Title: Fatalità
Author: Ada Negri
Author of introduction, etc.: Sofia Bisi Albini
Release date: May 27, 2011 [eBook #36239]
Language: Italian
Credits: Produced by Maria Grazia Gentili and the online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net
Fatalità
MILANOFRATELLI TREVES, EDITORI1911PROPRIETÀ LETTERARIA.
I diritti di riproduzione e di traduzione sonoriservati per tutti i paesi, compresi la Svezia, laNorvegia e l'Olanda.
Tip. Fratelli Treves.--1911
ADA NEGRI1
Sta a Motta-Visconti. Questo lo si sa perchè tutte le sue poesie portano ai piedi, a sinistra, questa indicazione. Ma chi è Ada Negri? Perchè non scrive che sull'Illustrazione Popolare? Perchè non esce fuori in piena luce e nessuno l'aiuta a uscir fuori?
Io mi dibatto, maledico e piango,Ma passa il mondo e ride o non mi sente.
Perchè nessuno l'ascolta?
Questo si chiedevano, soltanto pochi mesi fa, gli abbonati del Corriere della Sera, e dell'Illustrazione Popolare; anche quelli che di versi non s'intendono, e non si curano, ma tutti, davanti alla poesia di Ada Negri, s'erano sentiti presi e scossi.
Strano davvero che, così conosciuta e ammirata privatamente, ella non trovasse modo di sbucar dalla siepe che fiancheggiava il suo sentiero e non potesse uscir fuori liberamente sulla strada maestra.
Ma forse è stato per il suo meglio: questa lotta contro ostacoli che non sapeva che fossero, questa sete di gloria non mai appagata, aiutarono certo ad accendere in lei quella fiamma che riscalda ormai tutta la sua poesia, dandole un'impronta così sentita, così nuova, così sua.
I suoi lettori sono andati man mano comprendendo che il dolore dei suoi versi è dolore vero, che questa creatura giovane deve aver sofferto come se avesse già vissuto una lunga vita, e finirono col tenersi sicuri che, conscia del suo ingegno com'essa è, forte della sua triste esperienza, sarebbe balzata fuori da un momento all'altro al sole di quella gloria che sogna con tanto ardore.
La «bieca figura» che le appare una notte al capezzale e si chiama sventura, dopo averla atterrita col profetarle tutto quello che è destinata a soffrire, le dice:
.... A chi soffre e sanguinando creaSola splende la gloria.Vol sublime il dolor scioglie all'idea.
Ed ella, che l'aveva respinta, le risponde: Resta.
La sventura! come si sente ch'essa fu la compagna della giovinezza di Ada Negri! forse fin da bambina seppe
.... le notti insonni e l'inquïetoPensier della dimane.
fors'anche conobbe «i giorni senza pane»...
Crebbi col buio intorno e qui nel coreUna feroce nostalgia di sole.
A diciott'anni saluta sua madre e parte da Lodi per il suo posto di maestra a Motta-Visconti: una grossa e grassa borgata della bassa dove però non arrivano ancora neppure le rotaie di un tram; è là come dimenticata sul ciglione del Ticino dove si stendono boscaglie conosciute dai cacciatori milanesi, e dove Ada Negri va ad ascoltare le voci del vento che sale,
Punge, penètra, sibila, travolge,Fiero scotendo l'ale.
Ada Negri, quando i tuoi versi usciranno raccolti in volume, molte cose si vorranno dire e si inventeranno intorno alla tua persona e alla tua vita. Lascia ch'io dica prima almeno un poco della melanconica verità; essa è un onore per te, e alla tua povertà un giorno tu ripenserai con dolcezza e con gratitudine, poichè ad essa devi in gran parte quello che sei.
Lasciaci dunque attraversare il vasto cortile fangoso, su cui s'aprono le stalle e dove guazzano le oche, per venir a bussare al tuo uscio screpolato, salendo i due alti scalini di mattoni rotti. Noi veniamo a salutarti nella tua stanza dove la luce è fioca perchè alla finestra non vi sono vetri ma impannate di carta, dove il mobile più elegante è la cassa de' tuoi libri che ti serve da divano.... Il nostro cuore si stringe al primo momento, ma poi s'allarga, gonfio di commozione e d'ammirazione.
*
È in un giornale letterario, se non sbaglio, che uscì Madre operaia, la descrizione di quel lanificio dove lavora senza posa una povera donna stanca e affievolita, la cui fronte patita è come illuminata da una nobile fierezza perchè essa lavora per suo figlio che deve studiare:
.... Suo figlio, il solo,L'immenso orgoglio della sua miseria,Cui ne la vasta e seriaFronte del Genio essa divina il volo.
Chi, leggendo, non ha pensato che forse si doveva dire una figlia?
La povera donna stanca e malata che ha lavorato tutta la vita, ora è là rifugiata presso la figliuola e attende, trepida e pensosa, l'avvenire luminoso in cui la bruna testa sarà cinta «di oro e di lauro».
Sta forse per arrivare il gran giorno? Ecco che da ogni parte d'Italia giungono lettere, giornali e libri, e il nome della sua figliola è dappertutto, e il pavimento n'è ingombro ed ella vi cammina sopra con venerazione.
Sì, il nome della tua figliola è conosciuto, ma nessuno sa chi ella sia ed ella non conosce nessuno, e dovrà ancora per qualche tempo andarsene in zoccoli alla sua scola, dove un'ottantina di ragazzi le strillano il buongiorno e mettono a prova la sua pazienza coi nasi che colano e l'ostinazione di voler gridare tutti insieme le lettere dell'alfabeto.
Sua madre la vede tornare col viso pallido, colle mani che bruciano, gli occhi che balenano, e trema per paura che sia malata. È l'intenso sforzo di vivere due vite, di ascoltare due voci: mentre ode quelle del di fuori, e parla e risponde e compie rigida e ferma il suo dovere, dentro ha mille altre voci che le parlano, una musica strana che le sale dall'anima e vorrebbe prorompere, ma non lo può che nella notte alta, quando tutto tace intorno a lei e il dovere della sua giornata è compiuto.
È allora che un immenso radiante orizzonte le si apre dinanzi. Chi legge i suoi versi può pensare ch'ella ha tutto visto e conosciuto: ma non conosce che la solitudine e la sventura: un mondo buio e freddo dal quale la luce del di fuori appare abbagliante, e più dolce e tepido che non sia, il mondo dei fortunati.
Ada Negri ha letto pochissimi libri moderni ma li conosce tutti dalle varie opposte critiche dei giornali letterari, ed è curioso come del male e del bene che se ne dice ella afferra il vero! Non ha mai visto un teatro, ma è entusiasta della Duse ed è presa in questi giorni da una smania di sentirla e vederla che non lascia pensare ad altro: sono sempre i suoi giornali che la informano; un fascio; quasi tutti quelli d'Italia che riceve da due anni ogni settimana col bollo postale di Milano, da un ammiratore che non le si è mai fatto conoscere.
Ada Negri non ha mai visto il mare, non conosce le montagne, neppure le colline o un lago: pochi mesi fa poteva dire neppure una grande città, poichè non faceva che attraversar Milano da Porta Ticinese a Porta Romana per andar a Lodi a passar le vacanze con sua madre.
Quest'estate alcuni amici la vollero trattenere per due giorni e fu tutta una nuova vita spalancatasi ai suoi occhi nella gran città popolosa, nella stagione in cui le corse e le esposizioni la rendevano così brillante. I gaudenti le sfilarono davanti col barbaglio del lusso, della bellezza, dell'eleganza. L'arte ch'ella intravvide a Brera la sbalordì, la commosse, la trasportò; il magico incanto di terre lontane e genti nuove la sedusse là fra quegli egiziani e quei cavalli, davanti a quelle brune almée dagli occhi dipinti.
Due giorni di sogno: tutta la sua personcina esile vibrava e i suoi grandi occhi neri fiammeggiavano come per febbre, tanto che gli amici si chiesero se non avevano commesso una cattiva azione mostrandole ciò di cui non avrebbe potuto godere a lungo.
Ella tornò laggiù a riprendere i suoi zoccoli; tornò a insegnar a compitare ai suoi ottanta bambini rumorosi e cocciuti, ma pur troppo non seppe più essere tranquilla e rassegnata al suo oscuro destino.
Vi sarà chi, leggendo il suo libro, dirà che c'è una nota insistente, troppe volte ripetuta: è vero, ella stessa lo sente e lo dice: ma è così, è lei, ora; è la campana lugubre, incessante che invoca al soccorso, è la sua giovinezza che si ribella al dolore che l'ha sempre accompagnata, è il grido dell'ingegno che lotta per non essere seppellito vivo.
Son poeta, poeta, e non m'arrideLuce di gloria.
Pure come triste e dolce si fa il suo canto qualche volta: come la sua giovinezza, stanca di anelare all'avvenire, torna al passato, e si riposa ridiventando bambina alle ginocchia di sua madre.
Madre, qui—nel silenzio—a te vicina!
E chiede:
Dimmi, perchè si soffre e si perdona.Perchè nel cor, con luminoso incanto,L'amore come alato inno risuona,Poi tutto crolla come sogno infranto?Dimmi, perchè si soffre e si perdona?
La nota dolce della lirica di Ada Negri sgorga sempre e sola dal ricordo della fanciullezza cullata dall'amore di sua madre, o dall'amor materno che le appare come un lontano miraggio di pace. La desolazione non accascia però mai a lungo Ada Negri; ella scatta come una molla d'acciaio; l'amarezza dello sconforto si muta sempre in un lampo di sfida, in un impeto di audace speranza. Par che la sua personcina diventi più alta, quando sfidando la miseria, «spettro sdentato dalle scarne braccia», esclama:
È mia la giovinezza, è mia la vita!Nella pugna fataleNon mi vedrai, non mi vedrai sfinita.Su le sparse rovine e su gli affanniBrillano i miei vent'anni!
E che profonda commozione proviamo quando, povera creatura, dice:
Vedi laggiù nel mondoQuanta luce di sole e quante rose,Senti pel ciel giocondoI trilli de le allodole festose,Che sfolgorìo di fedi e d'ideali,Quanto fremito d'ali!
Ma l'ammirazione ci riempie, quando questa fanciulla coraggiosa, altera della sua virtù e del suo ingegno, soggiunge:
Voglio il lavor che indìa,E con nobile imper tutto governa,
e salutando fieramente la «maga nera» dice:
.... dai lacci tuoi balzando ardita,Canto l'inno alla vita!
Se c'è poesia sentita da tutti è questa di Ada Negri, essenzialmente moderna e democratica. Qui dentro è il «turbinoso presente» invocato da Arturo Graf, qui rigurgita davvero «l'onda immensa di voci che ci ingombrano di stupore, ci empiono di pietà, ci infiammano d'entusiasmo, ci rattristano a morte».
dicembre 1901
Sofia Bisi Albini.
Questa notte m'apparve al capezzaleUna bieca figura.Ne l'occhio un lampo ed al fianco un pugnale,Mi ghignò sulla faccia.—Ebbi paura.—Disse: «Son la Sventura.»«Ch'io t'abbandoni, timida fanciulla,Non avverrà giammai.Fra sterpi e fior, sino alla morte e al nulla,Ti seguirò costante ovunque andrai.»—Scostati!... singhiozzai.Ella ferma rimase a me dappresso.Disse: «Lassù sta scritto.Squallido fior tu sei, fior di cipresso,Fior di neve, di tomba e di delitto.Lassù, lassù sta scritto.»Sorsi gridando:—Io voglio la speranzaChe ai vent'anni riluce,Voglio d'amor la trepida esultanza,Voglio il bacio del genio e della luce!...T'allontana, o funesta.—Disse: «A chi soffre e sanguinando crea,Sola splende la gloria.Vol sublime il dolor scioglie all'idea,Per chi strenuo combatte è la vittoria.»Io le risposi:—Resta.—
Io non ho nome.—Io son la rozza figliaDell'umida stamberga;Plebe triste e dannata è mia famiglia,Ma un'indomita fiamma in me s'alberga.Seguono i passi miei maligno un nanoE un angelo pregante.Galoppa il mio pensier per monte e piano,Come Mazeppa sul caval fumante.Un enigma son io d'odio e d'amore,Di forza e di dolcezza;M'attira de l'abisso il tenebrore,Mi commovo d'un bimbo alla carezza.Quando per l'uscio de la mia soffittaEntra sfortuna, rido;Rido se combattuta o derelitta,Senza conforti e senza gioie, rido.Ma sui vecchi tremanti e affaticati,Sui senza pane, piango;Piango su i bimbi gracili e scarnati,Su mille ignote sofferenze piango.E quando il pianto dal mio cor trabocca,Nel canto ardito e stranoChe mi freme nel petto e sulla bocca,Tutta l'anima getto a brano a brano.Chi l'ascolta non curo; e se codardoLivor mi sferza o punge,Provocando il destin passo e non guardo,E il venefico stral non mi raggiunge.
Se qualche volta i tuoi detti d'amore,Assorta, io non ascolto,E m'ardon gli occhi, e insolito palloreM'imbianca il labbro e il volto;Se, di tutto dimentica, reclinoLa bruna testa, e penso,Non mi turbar—dinanzi a me, divino,Si schiude un mondo immenso.Da le nubi squarciate io vedo il soleCinger, nudo e ridente,Il suol ricco di mirti e di violeIn abbraccio possente;E dai fieni falciati, e da le messiMareggianti all'aperto,Da le chiome de l'elci e dei cipressi,Da l'arido deserto,Dai grandi boschi urlanti al vento irosoCon grido appassionato,Dal fremito d'amor voluttuosoChe ravviva il creato,Sento, sento salir coi voli errantiD'aligere sperduteSoffi larghi, novelli e trionfantiDi forza e di salute.E non più sangue, non più sangue allagaLa dolorosa terra,Non più, feroce ed inflessibil maga,Spiana il fucil la guerra;Ma tutto il mondo è patria e tutti un santoEntusiasmo avviva,E di pace solenne e mite un cantoVola di riva in riva.Non più il pazzo furor de la mitragliaEruttano i cannoni,Non più volan fra mezzo a la battagliaLe belliche canzoni;Fuma il vapor; rompe l'aratro il cuoreA le zolle feraci,Rimbomba de le macchine il fragore,Rosseggian le fornaci;E sul ruggito leonino e rudeDe la terra in fermentoLibertà le sue bianche ali dischiudeFiera squillando al vento.
Fra l'alte rive, irrefrenata e cieca,Va l'onda, e piange.—Il plumbeo cielo ascolta.Non ha sorrisi la quieta vôlta.Non l'aura un soffio ne la notte bieca.Va l'onda, e piange. E nel suo grembo portaE via trascina con mestizia greveIl giovin corpo inanimato e lieveD'una leggiadra suicida smorta.Va l'onda, e piange.—In quel lamento accoltoÈ l'eco d'un mister torbido e strano;Da quel pianto s'eleva il grido umanoD'un disperato amor vinto e travolto.
Quando lo vedo per la via fangosaPassar sucido e bello,Colla giacchetta tutta in un brandello,Le scarpe rotte e l'aria capricciosa;Quando il vedo fra i carri o sul selciatoCoi calzoncini a brani,Gettare i sassi nelle gambe ai cani,Già ladro, già corrotto e già sfrontato;Quando lo vedo ridere e saltare,Povero fior di spina,E penso che sua madre è all'officina,Vuoto il tugurio e il padre al cellulare,Un'angoscia per lui dentro mi serra;E dico: «Che farai,Tu che stracciato ed ignorante vaiSenz'appoggio nè guida sulla terra?...De la capanna garrulo usignuolo,Che sarai fra vent'anni?Vile e perverso spacciator d'inganni,Operaio solerte, o borsaiuolo?L'onesta blusa avrai del manovale,O quella del forzato?Ti rivedrò bracciante o condannato,Sul lavoro, in prigione, o all'ospedale?...».... Ed ecco, vorrei scender nella viaE stringerlo sul core,In un supremo abbraccio di dolore,Di pietà, di tristezza e d'agonia:Tutti i miei baci dargli in un istanteSulla bocca e sul petto,E singhiozzargli con fraterno affettoQueste parole soffocate e sante:«Anch'io vissi nel lutto e nelle pene.Anch'io son fior di spina;E l'ebbi anch'io la madre all'officina,E anch'io seppi il dolor.... ti voglio bene.»
Ti vidi un giorno—e di sospetto un palpitoM'arse la solitaria alma sdegnosa,Senza saper perchè:Or ti conosco, e t'odio, e son gelosa,Son gelosa di te!...Va, sirena, e trionfa. A te di grazieMolli e procaci ben concesse IddioIl fulgido tesor:Va—sei bella e fatal come il desìo,Bianca fanciulla da le trecce d'ôr!...Perchè venisti? Di repente al fascinoDi tua fiorente giovinezza audaceFuggì mia speme a vol;E il mio splendido sogno infranto giace,L'ali spezzate, al suol.Se tu sapessi come punge l'animaL'acuta spina d'un dolor profondo,Quando fugge l'amor....Come par vuoto e desolato il mondo.Quando negletto e senza meta è il cor!...Oh, potessi scordar l'alate e roseeLarve del sogno appassionato e stoltoDe la mia gioventù;Su le rovine de l'amor sepoltoNon ridestarmi più!.... Va, sirena, e trionfa.—A te di gioieIntime il riso, e la bugiarda festaDi dolci voluttà;Ma se cupo abbandono a me sol resta,L'ira del fato su te pur cadrà.Quando, solinga, cercherai fra i ruderiMuti e dispersi de l'amor languenteL'ebbrezza che svanì,Quando, fra i geli, invocherai l'ardenteFelicità d'un dì,Ritta e proterva mi vedrai risorgereCome vindice larva a te dinante,Lieta del tuo dolor;E riderò su le tue gioie infrante,Bianca fanciulla da le trecce d'ôr:Poichè, superba di tue molli grazie,Tu calpestasti il sogno mio di rosaSotto l'audace piè,T'odio, balda sirena, e son gelosa,Son gelosa di te!...
Ella pareva un sogno di poeta;Vestìa sempre di bianco, e avea nel visoLa calma d'una sfinge d'oriente.Le cadea sino ai fianchi il crin di seta;Trillava un canto nel suo breve riso,Era di statua il bel corpo indolente.Amò—non riamata. In fondo al core,Tranquilla in fronte, custodì la riaFiamma di quell'amor senza parole.Ma quel desìo la consumò—ne l'oreD'un crepuscol d'ottobre ella morìa,Come verbena quando manca il sole.
Magro dottore, che con occhi intentiPer cruda, intensa brama,Le nude carni mie tagli e tormentiCon fredda, acuta lama,Odi. Sai tu chi fui?... Del tuo pugnaleSfido il morso spietato;Qui ne l'orrida stanza sepolcraleTi narro il mio passato.Sui sassi de le vie crebbi. Non maiEbbi casa o parenti;Scalza, discinta e senza nome erraiDietro le nubi e i venti.Seppi le notti insonni e l'inquïetoPensier della dimane,L'inutil prece e il disperar segreto,E i giorni senza pane.Tutte conobbi l'improbe faticheE le miserie oscure,Passai fra genti squallide e nemiche,Fra lagrime e paure;E finalmente un dì, sovra un giaciglioNitido d'ospedale,Un negro augello dal ricurvo artiglioSu me raccolse l'ale.E son morta così, capisci, sola,Come un cane perduto,Così son morta senza udir parolaDi speme o di saluto!...Come lucida e nera e come folta,La mia chioma fluente!...Senza un bacio d'amor verrà sepoltaSotto la terra algente.Come giovine e bianco il flessuosoMio corpo, e come snello!Or lo disfiora il cupido, bramosoBacio del tuo coltello.Suvvia, taglia, dilania, incidi e strazia,Instancabile e muto.Delle viscere mie godi, e ti saziaSul mio corpo venduto!...Fruga, sinistramente sorridendo.Che importa?... Io son letame.Cerca nel ventre mio, cerca l'orrendoMistero della fame!...Scendi col tuo pugnale insino all'imeViscere, e strappa il cuore.Cercalo nel mio cor, cerca il sublimeMistero del dolore!...Tutta nuda così sotto il tuo sguardo,Ancor soffro; lo sai?...Colle immote pupille ancor ti guardo,Nè tu mi scorderai:Poi che sul labbro mio, quale conatoFolle di passïone,Rauco gorgoglia un rantolo affannatoDi maledizïone.
Sui campi e su le stradeSilenzïosa e lieve,Volteggiando, la neveCade.Danza la falda biancaNe l'ampio ciel scherzosa,Poi sul terren si posaStanca.In mille immote formeSui tetti e sui camini,Sui cippi e nei giardiniDorme.Tutto dintorno è pace:Chiuso in oblìo profondo,Indifferente il mondoTace....Ma ne la calma immensaTorna ai ricordi il core,E ad un sopito amorePensa.
Soffro—Lontan lontanoLe nebbie sonnolenteSalgono dal tacentePiano.Alto gracchiando, i corvi,Fidati all'ali nere,Traversan le brughiereTorvi.Dell'aere ai morsi crudiGli addolorati tronchiOffron, pregando, i bronchiNudi.Come ho freddo! Son sola;Pel grigio ciel sospintoUn gemito d'estintoVola;E mi ripete: Vieni,È buia la vallata.O triste, o disamata,Vieni!...
Sul giardino fantasticoProfumato di rosaLa carezza dell'ombraPosa.Pure ha un pensiero e un palpitoLa quiete suprema;L'aria, come per brivido,Trema.La luttuosa tenebraUna storia di morteRacconta a le cardenieSmorte?Forse—perchè una pioggiaDi soavi rugiadeEntro i socchiusi petaliCade.—.... Su l'ascose miserie,Su l'ebbrezze perdute,Sui muti sogni e l'ansieMute,Su le fugaci gioieChe il disinganno infrange,La notte le sue lagrimePiange.
Ella mi disse: «Tu non ridi mai;Imprecan sempre i versi tuoi mordaci.Tu il cantico non saiOve il gaudio folleggia e vibra al soleLa musica dei baci.Tu non conosci la canzon febèaChe ignuda erompe dal pagano ammantoCome un'antica dea,E in alto vola, nuvole spargendoDi glicine e d'acanto.»Ella mi disse ancora: «Ove sei nata,Poetessa fatal del malaugurio?...Quale perversa fataTi stregò ne la culla?...»—A lei risposi:«Io nacqui in un tugurio.Io sbocciai da la melma.—Ed attraversoAl trionfo del sole ed ai ferventiInni de l'universo,A me giunge da presso e da lontanoUn'eco di lamenti.A me goccia sul cuore in accanitaPioggia vermiglia il sangue degli elettiChe gettaron la vitaOve crollante libertà chiedeaBaluardo di petti.Dalle case operaie ove si pigiaUna folla agitata e turbolenta,Una pleiade grigiaChe al pan che le guadagna la faticaFamelica s'avventa;Da le fabbriche scure ove sbuffandoVanno, mostri d'acciaio, le motrici,E l'acre aër filtrandoPei pori, il roseo sangue intisichitoRode a le tessitrici;Da l'umide risaie attossicate,Dai campi e da sterili radure,Da le case murateOve in nome di Dio s'immolan tanteInerti creature,A me giunge, a me giunge il pianto alternoChe mi persegue e che cessar non vuole,Lugùbre, sempiterno,Vipistrello che al buio sbatte l'ali,Nube che offusca il sole!Fuggon dinanzi a me gioia e bellezza,Fugge la luce a novo dì ridesta.La temeraria ebbrezzaFugge d'amore e l'estasi del bacio....Solo il dolor mi resta!...Ma è dolor che non cede e non s'inclina,È il dolor che pugnando a Dio s'innalza;È la virtù divinaChe Promèteo sostenne incatenatoSu la selvaggia balza.E tetro vola il canto mio sonanteSopra l'intenta folla impallidita,Come cala giganteSu la ghiacciaia ove s'indura il geloUn'aquila ferita.»
Passan, compatti, tragici, severi,Colla testa scoperta.La cassa dell'estinto è ricopertaDi lunghi veli fluttuanti e neri.Un pensoso dolor fra ruga e rugaSu le fronti s'incide.Su loro invan da l'alto il ciel sorride;Sgorga tacito il pianto, e niun l'asciuga.Fra le travi inchiodate egli riposa,Rattratto e sfracellato.Lavorava sul tetto; e s'è spaccato,Cadendo, il capo su la via sassosa.Pieno di speme e di gagliarda vita,Bello come un Titano,Cadde.—Or la fredda e raggrinzata manoStringe il cor d'una vedova sfinita;E via lo porta nei recessi austeriDel sonno e dell'oblio.—Sotto il dito terribile d'un DioPassan, compatti, tragici, severi;E pensano.—O destin!... Com'egli è mortoForse anch'essi morranno.Il bracciante è soldato; essi lo sanno.—Gonfiasi il petto, e il volto si fa smorto.Erculei sono e coraggiosi, ed hannoAi lor sogni una meta,Una famiglia e una casetta lieta,E forse, sul lavor, doman cadrannoDa un tetto, nel fragor d'un opificio,Sotto un crollo di vôlta;Ma il grido di chi muor nessuno ascolta,Niun comprende il supremo sacrificio.Sorgono i vivi al posto degli estinti:Sul lutto è la speranza:Sconfinato è l'esercito che avanza,Serenamente calpestando i vinti:E come corron su le fosse muteI bambini festanti,Vanno le turbe, ignare e rimugghianti,Sui resti de le vittime cadute.—
A Sofia Bisi Albini.Chi batte alla mia porta?...... Buon dì, Miseria; non mi fai paura.Fredda come una mortaEntra: io t'accolgo rigida e secura.Spettro sdentato da le scarne braccia,Guarda!... ti rido in faccia.Non basta ancor?... T'avanza,T'avanza dunque, o spettro maledetto.Strappami la speranza,Scava coll'ugne adunche entro il mio petto;Stendi l'ala sul letto di doloreDi mia madre che muore.T'accanisci: che vale?È mia la giovinezza, è mia la vita!Nella pugna fataleNon mi vedrai, non mi vedrai sfinita.Su le sparse rovine e su gli affanniBrillano i miei vent'anni.Tu non mi toglieraiQuesta che m'arde in cor forza divina,Tu non m'arresteraiNe l'irruente vol che mi trascina.Impotente è il tuo rostro.—O tetra Iddia,Io seguo la mia via.Vedi laggiù nel mondoQuanta luce di sole e quante rose,Senti pel ciel giocondoI trilli de le allodole festose:Che sfolgorìo di fedi e d'ideali,Quanto fremito d'ali!...Vecchia megera esangueChe ti nascondi nel cappuccio nero,Io nelle vene ho sangue,Sangue di popolana ardente e fiero.Vive angosce calpesto, e pianti, ed ire,E movo all'avvenire.Voglio il lavor che indìa,E con nobile imper tutto governa.Il sogno e l'armonia,D'arte la giovinezza sempiterna;Riso d'azzurro e balsami di fiori,Astri, baci e splendori.Tu passa, o maga nera,Passa come funesta ombra sul sole.Tutto risorge e spera,E sorridon fra i dumi le vïole:Ed io, dai lacci tuoi balzando ardita,Canto l'inno alla vita!....
.... in chiesa.—Prega—sei solo.—Il tardoPasso qual triste idea qui t'ha guidato,O pallido vegliardo?Forse ti parla ne la chiesa oscuraQuel Dio che ti fe' grande e sventurato,Quel tremendo Signor che t'impaura?...Passan ne la tua menteLe rimembranze de l'età fuggita,Passan, gelidamente:Ed il tetro squallor del tempo anticoE il calvario crudel de la tua vita,La tua vita di servo e di mendico.Prega. Sfiorîr cogli anniDi tua lontana gioventù solingaVoti, speranze, inganni.E pur fidavi—e ti cantava in core,E ti spronava sulla via ramingaIl fresco inno gentil d'un primo amore.Per quel nemico, acerboDestin che sotto un giogo empio curvavaIl capo tuo superbo;Per la tua mesta gioventù schernita,Pe' tuoi laceri panni ella t'amava,E l'orme seguitò de la tua vita....Era bionda e sottile,E come raggio le parlava in fronteIl cor grande e gentile.Con te divise degli affanni il pondo,De la tua povertà gli strazi e l'onte,E la sprezzante carità del mondo;Poi.... s'addormì. L'assortaDolce pupilla al bacio tuo chiudea,Piccola fata smorta.Ove fuggiva?... In qual plaga profonda,In qual lembo di ciel si nascondeaLa tua boema innamorata e bionda?....... Prega—sei solo.—Il tardoPasso ben triste idea qui t'ha guidato,O tremulo vegliardo!Forse ti parla ne la chiesa oscuraQuel tremendo Signor che pur t'ha datoIl sorriso di lei ne la sventura?...Svanîr calma e tempesta;Ormai la tua giornata è giunta a sera,Nulla quaggiù ti resta.Su te mendico, servo e dispregiato,Senza posa gravò la sferza fieraD'un avverso destin.... ma fosti amato!...
Ruvida spada io son che il terren fende;Son forza ed ignoranza.In me stride la fame e il sol s'accende;Son miseria e speranza.Io conosco la sferza arroventataDei meriggi brucianti,Dell'uragan che scroscia a la vallataLe nubi saettanti.Io so gli olezzi liberi e feraciChe maggio da la terraCon aulenti corolle, insetti e baciTrionfando disserra:E nell'opra d'ogni ora e d'ogni istanteIo più m'affilo e splendo;Rassegnata, fortissima, costante,Vo il duro suol rompendo.Ne le basse casupole sconnesse,Nel rozzo cascinaleOve penètra per le imposte fesseLa ràffica invernale,Ove del foco sul tizzon che gemeL'ignavia s'accovaccia,E la pellagra insazïata fremeGialla e sparuta in faccia,Entro e guardo.—E in un canto abbandonata,Ne l'alta e paurosaNotte che incombe a l'umida spianataE a la stanza fumosa,Mentre la febbre di risaia scoteFeminei corpi affranti,E più non s'odon che le torve noteDei villici russanti,Veglio, ed un soffio di desir m'infiamma..... Sogno la nova aurora,Quando, dritta qual rustico orifiammaNel sol che l'aure indora,Serenamente splendida, branditaDa un'inspirata plebe,Sorgerò, bella di vigor, di vita,Da le feconde glebe.Ma le lame saran pure di sangue,E bianchi gli stendardi;Conculcato morrà de l'odio l'angueSotto i colpi gagliardi;E dalla terra satura d'amore,Olezzante di rose.Purificata dal novello ardoreDe le gare animose,Fino a l'azzurro ciel tutto un tumultoDi rozze voci umaneSalirà come un inno ed un singulto:«Pace!... lavoro!... pane!....»
Sono cento, son mille, son milioni.Son orde sconfinate.Sommesso rombo di lontani tuoniHan le file serrate.S'avanzan sotto il rigido rovaioCon passo uguale e tardo.Nuda è la testa, l'abito è di saio,Febbricitante il guardo.Essi cercano me.—Tutti son giunti.—Fluttuando com'ondaDi grigie forme e di volti consunti,La turba mi circonda.Mi pigia, mi nasconde, m'imprigiona;Sento i rôchi respiri,Il lungo pianto che nel buio suona,Le bestemmie, i sospiri.«Noi veniam dalle case senza fuoco,Dai letti senza pace,Ove il corpo domato a poco a pocoPiega, s'arrende, giace.Veniam dagli angiporti e dalle tane,Veniam dai nascondigli,E gettiam su la terra un'ombra immaneDi lutto e di perigli.Noi lo cercammo un ideal di fede,Ed esso ci ha traditi.Noi cercammo l'amor che spera e crede,Ed esso ci ha traditi.Noi l'oprar che rigenera e rafforzaCercammo, e ci ha respinti.Ov'è dunque la speme?... Ove la forza?...Pietà!... Noi siamo i vinti..... Sopra e d'attorno a noi, del sol raggianteNe la gran luce d'oro,Scoppia e trasvola il vasto inno festanteDel bacio e del lavoro:Ferreo serpe, il vapor passa e rimbombaSotto montana vôlta,Chiama l'industria con guerriera trombaMenti e braccia a raccolta:Mille bocche si cercan desïoseInnamoratamente,Mille vite si lancian generoseNella fornace ardente;E inutili siam noi!..—Chi ci ha gettatoSu la matrigna terra?...Il sospiro del cor chi ci ha negato?Chi ne opprime e ne atterra?...Qual odio pesa su di noi?... Qual manoIgnota ci ha respinti?...Perchè il cieco destin ci grida: Invano?...Pietà!... Noi siamo i vinti.»
Rôtan le cinghie, stridono le macchine;Indefessi ne l'opre, allegri cantiVociano i lavoranti.Ma un dissennato grido a un tratto levasi;E pare lacerante urlo di belvaFerita in una selva.Fra i denti acuti un ingranaggio portasi—Povera donna bionda e mutilata!...—Una mano troncata.... Rôtan le cinghie, stridono le macchine;Ma le ruvide voci i lavorantiPiù non sciolgono ai canti.Stillan, confuse col sudor, le lacrime;Da lontano rombando, la motriceCupe leggende dice.E senza tregua appare agli occhi torbidi—Povera donna bionda e mutilata!...—Quella mano troncata.
La macchina romba.—S'eleva ruggendoIl vasto solenne rumor,Qual forte avoltoio che, l'aure fendendo,Si slancia a le nuvole d'ôr.La macchina romba.—Son gli urli selvaggiDi chi fra i suoi denti spirò:Di chi stritolata fra gl'irti ingranaggiLa giovine vita lasciò.Di cinghie, d'acciaio, di morse, di foco,Di spire temuto signor,Il mostro sbuffante nel vigile locoSi nutre d'immenso clamor:Folleggia, sghignazza, divampa, s'allenta,Stridendo si frena e ristà:Poi torna all'assalto, si snoda, ed avventaNel cielo il fatidico hurrà.«Avanti, campioni de l'opre venture,Scendete nel nobile agon:Di sega, di zappa, di picca, di scureVi chiami l'onesta tenzon.Bollenti di vita le turgide vene,Baciati nel viso dal sol,Spiranti l'ambrosia de l'aure serene,Nudriti da fertile suol,Osate, o campioni di novi ardimenti,V'aspetta la libera età....».... La macchina romba: nel cielo, fra i ventiSi slancia il fatidico hurrà.
Giran le spole, il fil s'attorce, io canto:Ho diciott'anni in core,Due begli occhi, un telaio ed un amore,Vesto d'indiana e non conosco il pianto.S'io snodo e sciolgo la mia treccia rossaOve un raggio sfavilla,Nel guardo a chi m'affisa una scintillaS'accende, e in petto elettrica una scossa!Ma passo noncurante, e rido in visoAi tentator loquaci;Serbo per l'amor mio tutti i miei baci,E il mondo venderei pel suo sorriso.Io l'amo;—egli è il signor della fucina,Egli è il re del martello:Alto, robusto, nerboruto e bello,A lui dappresso sembro una bambina.Quand'egli batte il ferro arroventatoDinanzi alla fornace,E sul volto ha i riflessi della brace,E s'inturgida il collo denudato,Io m'esalto per lui tutta d'orgoglio,E per lui tutto oblìo;Il mio demone egli è come il mio Dio,E per me sola, per me sola il voglio!....E s'io l'attendo ne la mia soffitta,E l'ora è già trascorsa,Mi si strozza il respir dentro una morsa,E mi sento qui al sen come una fitta:Ma un passo già risuona sulle scale....Già l'uscio si spalanca....La mano trema e il labbro mi s'imbianca,Ma per corrergli incontro ai piedi ho l'ale....Nero di polve e splendido d'amore,Affranto e sorridente,Ecco, ei m'avvolge in una stretta ardente,E sento sul mio cor battergli il core.
Tu la vedesti mai?... Sembra di rameLa sua pelle morata.È una dea che ha per letto il nudo strame,Una dea folleggiante ed abbronzata.Sorride sempre ed ha sì bianchi i denti,E il labbro sì vermiglio,Che ti provoca ai baci.—In cor tu sentiL'alta malìa del luminoso ciglio;E un turbamento che spiegar non saiLe tue viscere afferra.Ma d'esser bella ella non seppe mai,E non ama che me sopra la terra!....... Tutte le sere, sola, essa m'attendeSu quel canto di via.Quando mi vede, l'occhio suo s'accende,La sua voce diventa melodìa;Ed all'orecchio mi bisbiglia centoFolli e semplici cose.—Il batter lesto del suo core io sento,L'alito de le labbra desïose;E sento che benchè ricco soltantoIo sia d'un saldo braccio.Ella sarà felice a me daccanto,Niuno la strapperà da questo abbraccio!....... Sai?... Le dissero un dì ch'io la tradìa;E le dissero il nomeDa la nemica.—Tacita s'avvia.Anelante il respir, sfatte le chiome;La vede, la minaccia, s'accapiglia.La sfregia con un morso;Come indòmo cavallo che si sbriglia.Tutta la rabbia sua disfrena il corso..... Io ritorno alla sera.—A me s'avvinceElla, tutta tremante;E colla voce che ogni sdegno vince,Col grand'occhio bagnato e supplicante,Scomposta, paurosa, scarmigliata,Bellissima d'amore,Umil come una schiava appassionata,Ammalïante come schiuso fiore,«Perdonami,» susurra,—e colla manoCarezzando mi viene—«Non disamarmi, non fuggir lontano....Mi vendicai perchè ti voglio bene.»
Fra l'auree spiche, in faccia al rutilanteSole che tutta incendia la vallata,Nel solco fumicante,Su la tepida bocca ei l'ha baciata.Ride il ciel senza nube e ride il granoA la coppia rapita;Inneggia intorno al bacio schietto e sanoPotentemente l'universa vita.Sanguigne olezzan le corolle schiuseCome bocche anelanti nell'amore;Sale per l'aure effuseIl canto allegro de la terra in fiore.S'abbraccian sorridendo in mezzo al verdeI due giovani amanti,Mentre un trillo di rondine si perdeSotto l'arco dei cieli azzurreggianti;E dappertutto, nei cespugli ombrosi,Nei calici dei fiori, entro la biondaMesse e nei nidi ascosi,Freme il bacio che avviva e che feconda.
Sogni tu forse le gialle radure,Sogni tu forse le calde pianureArse dal sol?Vasti miraggi di sabbie cocenti,Corse d'audaci cavalli nitrentiSul patrio suol?Quando tu scoti la folta criniera,E punti a terra la zampa guerrieraMordendo il fren,Quando tu nitri con urlo selvaggio,Subita brama di novo viaggioM'avvampa in sen.Non sai?... M'attiran le plaghe serene;Non sai?... M'attiran le nitide areneArse dal sol.Vien, ch'io ti salti su l'agile groppa;Bruno corsiero, galoppa, galoppa,Divora il suol!...Fuggi le nebbie stagnanti sui piani,Su questa ignobile folla d'umaniPassa col piè:Fendi correndo l'irsuta ramaglia.Fuggi, galoppa per valle e boscaglia,Libero e re!Dietro ti lascia gli abissi e le frane,Gonfî torrenti, spezzate liane,Calpesti fior.Avanti sempre, se lunga è la strada,Fin ch'io con te ne la polvere cada,Mio corridor!...O fiamme rosee di vesperi queti,O visïoni di snelli palmetiRiflessi in mar;Scabri e rocciosi profili di monti,D'arabe nenie pei glauchi orizzontiFioco vibrar!...Sprizza scintille la sabbia infocata;Ahmed, galoppa!... La corsa sfrenataPiù non ristà.Verso l'ignoto ti slancia, t'avventa;Tutto disfido se in faccia mi ventaLa libertà!...
Qui.... te solo, te solo.—Oh, lascia, lasciaCh'io sfoghi sul tuo cor tutti i singultiDa tant'anni nel petto accumulati,Tutti gli affanni e i desiderî occulti....Ho bisogno di pianto.Sul tuo sen palpitante, oh, lascia, lasciaCh'io riposi la testa affaticata,Come timido augello sotto l'ala,Come rosa divelta e reclinata....Ho bisogno di pace.Sul tuo giovine fronte, oh, lascia, lasciaCh'io prema il labbro acceso e trepidante,Ch'io ti susurri l'unica parolaChe t'incateni a me per un istante....Ho bisogno d'amore.
Oh, si vouz rencontrez quelque part sous les cieux....V. Hugo.
Se nel crocicchio d'una via desertaO in mezzo al mondo gaio e spensieratoIncontrate un bambino abbandonato,Pallido il viso e la pupilla incerta;Che d'una madre il bacio ed il consiglioAbbia perduto, e pianga su una baraLa memoria più santa e la più cara,Oh, portatelo a me!... Sarà mio figlio.Io lo terrò con me, per sempre.—A seraGli metterò le sue manine in croce.Con lui, per lui dicendo a bassa voceDe' miei anni più belli la preghiera.La parola che eleva e che confortaIo gli dirò con placida fermezza;La gelosa e veggente tenerezzaAvrò per lui de la sua mamma morta.Io gli dirò che la vita è lavoro,Gli dirò che la pace è nel perdono;Di tutto ciò che è giusto e grande e buonoFarò nella sua mite alma un tesoro.La forza di pensier che Dio m'ha dataTutta trasfonderò ne la sua mente;Presso a lui sfiorirà tranquillamenteLa mia vita raccolta e scolorata.Mentr'io declinerò verso l'oblìo,E avrò la cuffia e metterò gli occhiali,Ei salirà, lo spirto agl'ideali,Le braccia alla fatica e il cuore a Dio.Fidente ei moverà verso l'aurora.Ingranaggio vital nell'universo,Irrequïeto augello al sol converso,Giovane stelo che nel sol s'infiora:E in pace io morirò.... poichè soffertoNon avrò indarno, e non indarno amato;E da un petto di figlio e di soldatoCadrà un sospiro su l'avello aperto.
Quando, bimba felice, a l'origliereDesiosa di sonno, io m'affidava,Curva su l'ago ne le lunghe sereLa madre mia vegliava.Cantando ella vegliava—era una dolceCantilena gentil come di fata,Donde il fioco ricordo ancor mi molceNell'anima turbata.Nel silenzio vanìan le note lenteCome tremando d'intima dolcezza,Vanìan per l'ampia oscurità dormente.Lievi come carezza;Ed io.... sognava.—Intorno a la mia cullaAleggiava di miti angeli un coro,D'amor parlanti a l'anima fanciulla,Belli nei nimbi d'oro.*
Or più non canti. Ma nel verno algenteCruda miseria strazia, inesorata,La tua stanca vecchiezza e l'impossenteMia gioventù spezzata.Or più non canti, o madre.—Ad una ad unaSvanîr le gioie—e pur, calma nei guai,A l'insulto crudel de la fortunaNon imprecasti mai;Ma nel torvo del cor sdegno profondo,Io lancio ai dardi de la sorte infida,A l'onta nera, a la miseria, al mondo,Una superba sfida..... Pur, quando a la mia fronte austera e smortaTacitamente, o madre mia, tu miri,Come in amare ricordanze assorta,Poi, timida, sospiri;Di lontane memorie una dolcezza,Di battiti segreti un'armonia,Mi spinge a ricercar la tua carezzaAppassionata e pia.Ne la penombra dell'ora quïeta,Sotto il tuo caro sguardo, a te vicina,Madre, vorrei scordar che son poeta,E ritornar bambina.Vorrei sentirle ancor le nenie lenteChe un dì, chinata su tranquilla cuna,Calma ne l'ampia oscurità dormente,Fidavi a l'aura bruna;E ribaciando la tua fronte bianca,Che tristezza d'amor tutta scolora,Fra le tue braccia, come bimba stanca,Addormentarmi ancora.
Quando de la procella scapigliataRugge l'ira e gialleggia il lividor,Ed Eolo come furia scatenataFischia dei lampi al vivido baglior,Vorrei nel turbinìo dell'uragano,Fra le saette d'ôr,Perdermi tutta, perdermi lontano,Così, stretta al tuo cor!...*
In questa febbre di cielo e di terra,Con te sospinta nell'immensità,Dirti l'antica ed ostinata guerraChe tu in me non sospetti e Dio non sa;A me d'intorno l'ulular del vento,Buio, schianto, furor;Sotto ai piè la ruina e lo spavento,La testa sul tuo cor....
A fasci s'effondePer l'aria tranquilla.Colora, sfavilla,La mite frescuraDel verde ravviva,S'ingemma giulivaPer terra e per ciel,Vittorïosa, calda e senza vel.Son perle iridateDanzanti nell'onde,Son nozze di biondeFarfalle e di rose,La vita paganaDolcissima emanaDai baci dei fior...Il mondo esulta e tutto grida: Amor!...Mi sento nell'animaLa speme fluire,L'immenso gioireDi vivere sento.Qual schiera di rondiniI sogni ridentiFra i raggi lucentiSi librano a vol....Son milionaria del genio e del sol!...
Oh, portami lassù, lassù fra i monti,Ove lampeggia e indura il gel perenne,Ove, fendendo i ceruli orizzonti,L'aquila spiega le sonanti penne;Ove il suol non è fango; ove del mondoPiù non mi giunga l'odïata voce;Ov'io risenta men gravoso il pondoDi questa che mi curva arida croce.Oh, portami lassù!... Ch'io possa amartiIn faccia a l'acri montanine brezze,Fra i ciclami e gli abeti, e inebbriartiDi sorrisi d'aurora e di carezze!...Qui grigia nebbia sul mio cor ristagna;Nelle risaie muor la poesia;Voglio amarti lassù, de la montagnaNel silenzio immortal.... portami via!...
Pur vi rivedo ancor, povere stanze,Linde stanzette de la madre mia:Oh, nel mio sen, che folla di speranze,Quando, ricca di sogni, io ne partìa!...Pur vi rivedo ancor, povere stanze.O bianco letto ove dormii bambina,O vaghi fiori, o ninnoli gentili,Soavemente, con virtù divina,Voi mi parlate dei trascorsi aprili;O bianco letto ove dormii bambina!...La speranza nel cor si rinnovella,Care memorie, in voi mirando—e al mutoLabbro la fede, più gagliarda e bella,Chiama il sorriso ch'io credea perduto........ La speranza nel cor si rinnovella.Madre, qui, nel silenzio, a te vicina,Chinar la testa fra le tue carezze,Sui tuoi ginocchi ritornar bambina,Dirti del cor l'indomite tristezze....Madre, qui, nel silenzio—a te vicina!...Oh, non lasciarmi, non lasciarmi mai,Solo conforto ai miei tristi vent'anni!...Tutti, presso di te, mamma, tu il sai,L'anima scorda i paventati affanni....Oh, non lasciarmi, non lasciarmi mai!...Move da l'aure un alito di pace;Palpitante di stelle è il firmamento,Ed ogni umana sofferenza taceCome dormono i fiori e tace il vento:.... Move da l'aure un alito di pace....
Treman le foglie con brivido lento:Al bosco verde che bisbiglia e posaNarra una storia il vento.E comincia così: C'era una volta....E, trepidando all'alitante spiro,Il bosco verde ascolta.*
Era un'errante e fervida gitana:Avea la bocca rossa e fulvo il crine,E si chiamava: Strana.Un giorno amò.—Fu spasmo e fu dolcezza,Fu sorriso e delirio, ombra e splendoreDi quell'amor l'ebbrezza.Un altro giorno attese, ed ei non venne.Attese a lungo, palpitante e muta.Non venne più.... non venne.Ed essa allor, chinando il volto assorto,Disse: A che serve trascinar la vita,Quando l'amore è morto?.... Un alito passò tra fronda e fronda.D'infinito riposo a lei parlavaL'acqua limpida e fonda;D'oblìo parlava!... E su come lamentoUn susurro venìa: Tutto si spegneQuando l'amore è spento.—.... La moritura si drizzò fremendo,Col teso pugno un'adorata, infidaLarva maledicendo;Poi com'ebra slanciossi. E su l'effuseChiome, e sul niveo corpo disfioratoLa fredda onda si chiuse.*
Narra il vento così. La notte densaCala, cinta di nubi, a la foresta,Che abbrividendo pensa.Ed ecco, a poco a poco il vento sale,Punge, penètra, sibila, travolge,Fiero scotendo l'ale.Ed è voce di pianto alta e suprema,Ed è lungo e gemente urlo d'angoscia,E la foresta trema.Son palpiti di fronde e son sussulti.Parole d'ira sibilate a volo,Aneliti, singulti....Squallida e nuda, ad un ricordo avvinta,Via per la selva turbinando giraL'anima d'un'estinta;E par che gema tra le foglie attorte;No, non v'è pace!... Amor che avvampa in vitaSpasima nella morte.
I.
L'uno ha vent'anni—è bello, innamorato,Dolce signor d'armonïosi canti,E sul suo labbro acceso ed inspiratoFioriscono per me gl'inni vibranti.Ei che descrive nel suo verso alatoSplendidamente de l'amor gl'incanti,Egli, vinto, sommesso, affascinato,Trema come un fanciullo a me davanti.E mi susurra al piè queste follìe:Darei la gloria pe' tuoi cari accenti,Per te che sola al mondo adoro e bramo...E de l'arte le mistiche armonie,Sogni, voti, sorrisi, estri ferventi,Tutto a' miei piè depone, e pur.... non l'amo!...II.
L'altro drizza la fronte imperiosaCome tronco di quercia a la procella.Tace—ma tutta in lui leggo l'ascosaPoesia de la schiva alma rubella.Non mi parla d'amor—forse non osa.Ma l'acuto suo sguardo, ignea facella,Con secreta carezza e dolorosaMi ripete ch'ei m'ama e che son bella.Quando langue sui vetri il dì che manca,Ed ei m'affisa ne la smorta faccia,E pensa, e soffre, e non sa dirmi: Io t'amo,Io chino il volto con ebbrezza stanca;Ed un desìo mi spinge a le sue braccia,Come trepido augello al suo richiamo.
O grasso mondo di borghesi astutiDi calcoli nudrito e di polpette,Mondo di milionari ben pasciutiE di bimbe civette;O mondo di clorotiche donnineChe vanno a messa per guardar l'amante,O mondo d'adulterî e di rapineE di speranze infrante;E sei tu dunque, tu, mondo bugiardo,Che vuoi celarmi il sol de gl'ideali,E sei tu dunque, tu, pigmeo codardo.Che vuoi tarparmi l'ali?...Tu strisci, io volo; tu sbadigli, io canto:Tu menti e pungi e mordi, io ti disprezzo:Dell'estro arride a me l'aurato incanto,Tu t'affondi nel lezzo.O grasso mondo d'oche e di serpenti,Mondo vigliacco, che tu sia dannato!Fiso lo sguardo ne gli astri fulgenti,Io movo incontro al fato;Sitibonda di luce, inerme e sola,Movo.—E più tu ristai, scettico e gretto,Più d'amor la fatidica parolaMi prorompe dal petto!...Va, grasso mondo, va per l'aer persoDi prostitute e di denari in traccia:Io, con la frusta del bollente verso,Ti sferzo in su la faccia.
Penso agli atleti della vanga—ai fortiChe disfidando urlanti nembi e soli,Strappano a l'arsa tormentata glebaMisero un pane.Penso agli atleti del piccone—ai macriDe la miniera poderosi atleti,Ne l'ombra nera ed imprecata ansantiSenza riposo..... Un sordo rombo ecco serpeggia—e crollaPrecipitando con fragor la vôlta,E tutto è polve e cieco abisso e lunghiGemiti e morte....Ma il sen squarciato del pietroso monteFende il vapor vittorioso, e passa;E lo saluta al trionfato varcoFulgido il sole.—.... Penso agli atleti dell'idea, che, accesiD'ansia febbril la generosa mente,Martiri e duci, fra le turbe ignareTuonano a pugna:Penso a chi veglia, s'affatica e muoreDisconosciuto.... e dal mio seno irrompeAlto echeggiando su la terra un grido:Forti, salvete!—*
Salvete, o petti scamiciati e ferrei,Ruvidi corpi e muscolose bracciaInfaticate nel clamor ruggenteDe l'officine:Salvete, o voi, cui del lavoro infiammaIl santo orgoglio, e nel lavor morrete,Voi, del pensier, del maglio e della scureStrenui campioni.A me dinanzi in visïon severaPassan profili d'operaie smorte,Passan le navi ruinanti a l'urtoDe la procella;E bimbi stanchi e incanutite fronti,E mozzi corpi e sfigurati volti,E tutta, tutta un'infinita, affranta,Lurida plebe.Sento da lungi un romorìo di voci.Colpi di zappe, di martelli e d'aste:Io, fra il tumulto che la terra avviva,Libera canto;Te canto, o sparsa, o dolorosa, o grandeFamiglia umana!... Va, combatti e spera,Tenta, t'adopra e non posar giammai;Breve è la vita.Su le tenzoni del lavor; sul capoDei vincitori e l'agonie dei vinti,Sguardo sereno ed immortal di Dio,Sfolgora il Sole.
Io t'invoco, o Signore,Che nel buio mi guardi.Batte da lungi l'oreLa bronzea squilla. È tardi.Spiega la notte l'ale....Io prego, inginocchiata,Convulsa, al capezzaleDi mia madre malata.Pietà!...Sul terreo viso immotoCala come un sudario.Dio dell'ombra e del vuoto,Che salisti il Calvario,Che portasti la croce,Che cingesti le spine,Ascolta la mia voce,Allontana la fine,Pietà!Pietà di lei che soffre,Pietà di lei che muore.Che vuoi da me?... M'avvinghia,O implacabil Dolore;Copri di strazi e d'onteI miei tristi vent'anni,Scavami sulla fronteLe rughe degli affanni,Fa che d'amor, di gioie,Fa che di tutto privaIo sia, tranne di lagrime....Ma che mia madre viva.Pietà!...
Tu che sei bello, generoso e forte,Tu amor mi chiedi?... Oh, bada.Se gaudio e speme a te reca la sorte,Non ti gettar su la mia fosca strada.Va, di pace e d'amor ricca è la terra:Fanciullo, io son la guerra.T'arde la fiduciosa alma ne gli occhi,E amor mi chiedi?... Oh, bada.Non trascinarti dunque a' miei ginocchi,Non ti gettar su la mia fosca strada.Se gaudio e speme a te reca la sorte,Ti scosta—io son la morte.De la mia madre sulla grigia testaE sul mio capo brunoScatenarsi vid'io nembo e tempesta,E cumular gli affanni ad uno ad uno.Esile ed avvilita, in vesti grame,Piansi di freddo e fame.Crebbi così, racchiusa in un doloreTorvo, senza parole;Crebbi col buio intorno e qui nel coreUna feroce nostalgia di sole.D'occulti pianti e di sconforto vissi,Soffersi e maledissi.E quando penso a mia madre, che un lentoVorace morbo uccide,Al focolar de la mia casa spento,Al lauto mondo che gavazza e ride,Un odio, un infrenato odio mortale,Spiega a' miei versi l'ale.E tu mi chiedi amor?... Parti, m'oblìa,Fanciullo!... Oh, tu non saiL'ansie de la rovente anima miaIn lotta sempre e non placata mai?...Lascia ch'io fugga, disamata e smorta,Ove il destin mi porta.Lascia ch'io fugga tra i sassi e le spineSin che la vita muore,Ch'io fugga senza tregua e senza fine,Colla febbre nel sangue e Dio nel cuore........ Va, di pace e d'amor ricca è la terra:Fanciullo, io son la guerra.
Io lo respinsi e dissi: «Non t'amai,Non t'amo, no. Che tenti?Viva o morta ch'io sia, tu non m'avrai.»Egli rispose: «Menti.»Io lo respinsi e dissi: «No—non mai.S'io t'ami, Iddio m'annienti.Per sempre dal mio cor ti cancellai...»Egli rispose: «Menti.»«Indarno, indarno, o pallido infelice,L'anima mia tu chiami.Sigilla il cuore ciò che il labbro dice....»Egli rispose: «M'ami.»In volto lo mirai, scossa, non vinta.«Pel tuo fatale amore,Per la memoria di tua madre estinta,Per me, pel mio dolore,Per Dio che tutto vede e tutto sente,Pel tuo bieco passato,Per questa vita mia breve e morenteNon ribellarti al fato;Lasciami e scorda. Oh, nulla ti trattenga:Favelli in te l'orgoglio.Vano ricordo io pel tuo cor divenga...»Egli disse: «Ti voglio.»*
Inutilmente in quel desìo raccoltoInfatti egli restò.Ma ancora, ancor gli sibilo sul volto:«Che fai? che aspetti?... No!...»
O amore, amore, amor!... Tutto ti sentoDivinamente palpitar nel sole,Nei soffii larghi e liberi del vento,Nel mite olezzo trepidante e puroDe le prime vïole!Come linfa vital, caldo e feraceVivi e trascorri nei nascenti steli;Con le allodole canti; angelo audaceFra mille atomi d'ôr voli, e cospargiDi luce i mondi e i cieli.O amore, amore, amor!... Tutto ti sentoNell'esultanza de l'april risorto;Dai profumi a le rose ed ali al vento,Copri la terra di raggi e di baci...Ma nel mio cor sei morto.
Nel lanificio dove aspro clamoreCupamente la vôlta ampia percote,E fra stridenti rôteDi mille donne sfruttasi il vigore,Già da tre lustri ella affatica.—LestaCorre a la spola la sua man nervosa,Nè l'alta e fragorosaVoce la scote de la gran tempestaChe le scoppia dattorno.—Ell'è sì stancaQualche volta; oh, sì stanca e affievolita!...Ma la fronte patitaSpiana e rialza, con fermezza franca;E par che dica: Avanti ancora!...—Oh, guai,Oh, guai se inferma ella cadesse un giorno,E al suo posto ritornoFar non potesse, o sventurata, mai!...—Non lo deve; nol può.—Suo figlio, il solo,L'immenso orgoglio de la sua miseria,Cui ne la vasta e seriaFronte del genio essa divina il volo,Suo figlio studia.—Ed essa all'opificioA stilla a stilla lascierà la vita,E affranta, rifinita,Offrirà di sè stessa il sacrificio;E la tremante e gelida vecchiaiaOffrirà, come un dì la giovinezza,E salute, e dolcezzaDi riposo offrirà, santa operaia;Mio il figlio studierà.—Temuto e grandeLo vedrà l'avvenire; ed a la brunaSua testa la fortunaD'oro e di lauro tesserà ghirlande!...*
.... Ne la stamberga ove non giunge il soleStudia, figlio di popolo, che portiScritte ne gli occhi assortiDe l'ingegno le mistiche parole,E nei muscoli fieri e nella sanaVerde energia de le tue fibre serbiGli ardimenti superbiDe la indomita razza popolana.Per aprirti la via morrà tua madre;All'intrepido suo corpo cadutoGetta un bacio e un saluto,E corri incontro a le nemiche squadre,E pugna colla voce e colla penna,D'alti orizzonti il folgorar sublime,Nove ed eccelse cimeAddita al vecchio secol che tentenna:E incorrotto tu sia, saldo ed onesto...Nel vigile clamor d'un lanificioTua madre il sacrificioDe la sua vita consumò per questo.
Perchè, quando con dolce e malïardoLabbro mi narri di tua vita errante,L'innamorato e cerulo tuo sguardoPar che tutto mi sugga il cor pulsante?...No, non chiamarmi ai morti sogni e ai baci....Non posso, taci!...Quando, raccolta e pensierosa, ascoltoLa voce tua che come un'arpa vibra,Perchè sale una vampa a te sul volto,Corre un brivido a me per ogni fibra?...No, non chiamarmi ai morti sogni e ai baci....Non posso, taci!...Altro fato m'incalza.—Oh, mai nell'oraVoluttuosa in cui tutto s'oblìa,E nel delirio rapida s'infiora.Labbro d'amante mi dirà: Sei mia.Su la mia bocca giovanile e puraBacio è sciagura.Tu mai non pensi l'amor mio?... RaggianteLuce sarebbe di gioia e di gloria,Riso di giovinezza trionfante,Inno di speme e canto di vittoria:D'anima e di pensier, di mente e d'ossaMagica scossa.E pur, vedi, ti scaccio e m'allontano,Rigida e casta, ne la notte fonda;Non mi chieder perchè di questo stranoTirannico mister che mi circonda;Non richiamarmi ai morti sogni e ai baci....Non posso, taci!...
Io mirai l'onda che rompeasi al lido;E di veder mi parveRasentar leggermente il flutto infidoUna schiera di larve.*
Eran vestite d'alighe spioventi:Avean sciolti i capelli,Disfatti i volti, occhi stravolti o spenti.Sotto ai lor piè l'acqua turbata aveaBalenii di coltelli.Da quelle labbra scolorate uscìaBava e un gemito rôco.Misto al rombo del mare esso venìaA parlarmi nel core.—Sui ginocchiIo caddi a poco a poco.Eran fracidi corpi d'annegati;Suicidi gettatiDa volontà demente ai flutti e ai fati;Vittime con un ferro in mezzo al petto,Naufraghi scarmigliati.Mi disser: «Che si fa sopra la terra?»Io risposi: «Si piange.Ipocrisia trionfa, odio si sferra.Oh, più felici voi su gl'irti scogliOve l'acqua si frange!...»Mi disser: «Scendi ai placidi riposiFra l'alghe serpentine.Nascondigli d'amor sono i marosiInesplorati, e sol nel nulla è pace.Scendi;—qui v'è la fine.»*
.... Ed io mirai su le verdastre larveIl tramonto morire:Ne la penombra il queto mar mi parveUn letto per dormire.
Si parte: è mezzanotte.—È pigra la cavalla,Su le malferme rôte il veicol traballa:Su, frusta, o carrettier!...Per noi, dell'avventura lieti e securi figli,Non ha minaccie il bosco, l'ombra non ha perigli,Sassi non ha il sentier.Tutto si cela e dorme—su, frusta, o carrettier!...Fuor da una nube occhieggia, sogghignando, la luna;Vecchia malizïosa, per la pianura brunaElla spiando va.Al ciel velato gli alberi tendono i rami storti,Come preganti braccia di scheletri contorti:Che narri, o immensità?....... Fuor da una nube l'algida luna spiando va.Ritta, commossa e pallida, l'occhio smarrito e fisso,Io, coi capelli al vento, interrogo l'abisso.Inghiotte il tenebrorPreci e rancori d'anime, baci di labbra amanti,Sogni, delitti e lacrime, carezze delirantiD'avvelenati amor.Passan sospiri e brividi traverso al tenebror!...«Che fai? che vuoi?...» mi chiedono, sôrte da fossa impuraFatue fiammelle erranti presso le basse muraD'un àtro cimiter.Non so; cerco il destino. Forse eterno è il viaggio,Forse eterna è la notte; non importa. Ho coraggio.Su, frusta, o carrettier!...Io non vi temo, fatui spirti del cimiter.Nel silenzio tranquillo de l'assopito vano,Misteriosa scôlta, veglia il pensiero umano,Com'angelo immortal.Veglia, e coll'ali fatte di sogno e d'ardimento,sfiora la cieca terra, le nuvole d'argento,La fossa e l'ideal.Vola, o pensier, sui ruderi, com'angelo immortal!...
A Nice Turri.Era grande ed oscuro. Un divo soffioDi genio la sua fronte irrequïetaBaciava. Ai sogni, ai palpitiCresciuto de l'idea,Bello, gentile, libero, poeta,Incompreso dal volgo, egli vivea.A lui gli astri e la luce—a lui la misticaArmonia de le cose un sovrumano,Un fervido linguaggioParlava.—Ei che ghirlandeNon chiedeva a la gloria, a un cuore invanoMendicò amor.—Gli fu negato.—GrandeEd oscuro, moriva!... In solitudineFosca, moriva.—Ride il sol lucenteSu l'invocato tumulo;Lunge, trilla e si perdeUn canto alato come augel fuggentePer la serena maestà del verde;Sotto, fra i chiodi de la cassa, sfasciasiLa domata materia.—A la fecondaTerra, la terra ignobileTorna.—De la tua mestaE commovente poesia profonda,Del tuo genio, di te, vate, che resta?...*
Tu, tu sola che amavi, e viva e roseaDel sol bevesti i luminosi rai,Tu che ne i lunghi spasimiD'intenso ardor fremesti,Tu, sanguinante ma non vinta mai,Sconosciuta e virile anima, resti!...Quando tace la terra, e nel silenzioCala il bacio de gli astri al fior sopito,E come alito d'angeliVia per gli spazi immensiUn sospiro d'amor corre infinito,Tu in quell'alito vivi, e guardi, e pensi.Quando il nembo s'addensa, e il vento indomitoFischia, e pei boschi impazza la bufera,E rossi lampi guizzanoSu ne l'accesa vôlta,Con la procella minacciosa e neraTu soffri e gemi, nei ricordi avvolta.Quando, vanendo per le limpide aure,Sale un canto di donna al ciel gemmato,E di carezze e d'impetiE di desii supremiParla e si lagna nel ritmo inspirato,Tu in quel canto, vibrante anima, tremi!Fin che sui rivi ondeggieranno i saliciFin che tra i muschi fioriran le rose,Fin che le labbra al bacioE a la rugiada il fioreAneleranno, e le create coseAvviverà, febèa scintilla, amore:Ne le nozze dei gigli, ne la gloriaIrrefrenata dei meriggi ardenti,In alto, de le tremuleStelle nei bianchi rai,Ne gli abissi del mar, librata ai venti,Nel mistero del cosmo, alma, vivrai.
Il sole sta. Sta l'auraD'atomi d'ôr cosparsa.L'erma pianura immobile,Tutta di foco e polve,Nella luce si avvolveArsa.L'afa morta, implacabile,Pesantemente piomba.Ne la tristezza fiammeaPosa la terra stanca,Come un'immane e biancaTomba..... Pace—Sognante vergineAssetata d'amore,Chino il riarso caliceSotto la vampa afosa,Un'appassita rosaMuore.Rugiade invoca e pioggieQuell'agonia pel suolo:La dolcezza d'un bacio,La voluttà d'un'ora,Per chi soffre e lavoraSolo.Ma tutto brucia e sfolgora,Tutto è riposo e oblìo;Nell'alidor terribileSopra la terra ignavaSolennemente gravaDio.
Tu vuoi saper chi io sia?... Fanciullo, senti.In deserta prigion chiuso e dannatoIo sono augello dall'ali possenti;E chiedo il folgorar dei firmamenti,E qui m'agito e soffro incatenato.Biondo fanciullo, senti.Io sogno nozze di silvestri fioriNe l'ombra secolar de la foresta,E de le belve i deliranti amoriSu le sabbie del tropico; e gli ardoriDel sole e il turbinar de la tempesta,Raggi, procelle e fiori.E qualche volta, vedi, audacementeIo mi dibatto, maledico, piango;Ma passa il mondo e ride o non mi sente,Ed io, testardo prigionier furente,Contro i ferri l'aperte ali m'infrango,E il mondo non mi sente!...Oh, chi mi spèzza l'ìnvide ritorte.Chi mi dona la luce e l'infinito,Chi mi dischiude le tenaci porte?Io voglio, io voglio errar, garrulo e forte,Nella luce del sole ebbro e rapito....O libertade, o morte.
Vieni ai campi con me!... Bagna nel verdeLa rugiada i miei sandali di seta.De la campagna che il mattin rinverdeVo' coglier tutti i fior....Vieni con me nei boschi, o mio poeta,Ma non dirmi d'amor!...Una rondin traversa il ciel di rosa,L'umide foglie sembran dïamanti;Brillan gl'insetti nell'erba muscosa,Ringiovanisce il pian;Guarda che luce, che festa, che incanti...Dio non esiste invan!....... Non parlarmi d'amor.—Di quei fulgoriL'anima nostra è un pallido riflesso.Guarda che forza di divini ardoriCirconfondente il suol;Che amor possente e che possente amplessoDe la terra col sol!...Tu dar non mi potrai quel bacio eterno.—.... Fatto di debolezza e gelosia,Di fosche nubi e di rose d'inverno,Di febbre e di timor,Dell'infinito innanzi all'armonia,Di', che vale il tuo amor?...Io voglio, io voglio i campi sterminatiOve fremono germi e sboccian fiori,Come snella puledra in mezzo ai pratiIo voglio, io voglio andar;Dell'iride vogl'io tutti i colori,Tutti i gorghi del mar!...Strappar le fronde e calpestar gli steli,Goder l'eccelsa libertà montana,Sul vergin picco che si slancia ai cieliBatter felice il piè;E assopirmi nel sol, come sultanaNe le braccia d'un re!...
Fra i boschi ceduiInfuria un demone.Sghignazza, avventasi,Piega le quercie,Rompe ogni stel,Sinistre nuvoleChiama pel ciel.Fra i boschi ceduiSghignazza un demone.Tutta ravvivasiLa selva ed ansima,Tutta contorcesi:Riscote ed animaL'immensitàUn urlo magico:«Fatalità.»Tutta contorcesiLa selva ed ansima.Narra la ràfficaBizzarre istorieD'amor, di lagrime,D'ebbrezze adultereChe Dio punì;Colpe e misteriiD'antichi dì.Narra la ràfficaStorie di lagrime.Prendimi, portami,Spirto malefico:Su l'audacissimeAli indomabili,Tra nubi e fulmini,Pel cieco orror,Portami, involami,Come la gracileFoglia d'un fior....In alto, in alto sempre, in alto ancor!...
Da che eccelse scaturigini tu nasci,O cascata impetuosa?...Rimbalzante sulla china perigliosa,Tu scrosciando volgi al mar;Spumi, brilli, ridi, spruzzi, e niun t'arrestaNe la corsa secolar.*
Da che eccelse scaturigini tu nasci,O pensiero zampillante?A te beve, secco il labbro e il petto ansante,L'assetata umanità;In te il sole si rispecchia, e niun t'arrestaNe l'immensa eternità.
Ella amava le gotiche navateDei templi solitari;I ceri agonizzanti sugli altari,Il biascicar dei misticiRosarî.Ella pregava sempre, pei doloriChe ancor non conoscea:Come un giglio era bella e nol sapea:Non di carne, ma d'etereParea.Una sera, nell'ombra d'un'arcata,Uno sguardo l'avvolse,Ella chinò la testa e non si volse.Ma nelle fibre un tremitoLa colse.Un'altra sera ancor, nel tempio vuoto,Ella incontrò quel viso.Prometteva l'inferno e il paradiso....Il cor le battè rapido,Conquiso.Ed una voce su la bocca: Io t'amo,Le disse, ed ella pianse....Un angelo dall'alto la compianse;Sull'altare una lampadaS'infranse.
Dunque tu m'ami. Hai confessato; or, trepido,Taci ed attendi, e ti scolora il visoUn'onda di pallor.Vuoi dal mio labbro un bacio ed un sorriso.Vuoi di mia fresca giovinezza il fior!...Ma dimmi: L'ansie, le battaglie e gl'impetiSai tu d'un ideal che mai non langue?Sai tu che sia soffrir?...Che ti val la tua forza ed il tuo sangue,L'anima tua, la mente, il tuo respir?...Hai lavorato?... Le virili insonnieDe la notte in severe opre vegliata,Di', non conosci tu?...A qual fede o vessillo hai consacrataLa tua florida e bella gioventù?...Non mi rispondi.... oh, vattene. Fra gli ozîLieti di sonnolente ore perduteTorna, vitello d'ôr.Torna fra balli, carte e prostitute;Io non vendo i miei baci ed il mio cor.Oh, se tu fossi affaticato e lacero,Ma coll'orgoglio del lavoro in faccia,E una scintilla in sen;Se stanche avessi l'operose braccia,Ma t'ardesse nel grande occhio un balen;Se tu fossi plebeo, ma sovra gli uominiCui preme e sfibra il vile ozio codardoErgessi il capo altier,E nel tuo vasto cerebro gagliardoAvvampasse la febbre del pensier,Io t'amerei, sì!... T'amerei per l'opreTue vigorose e la tua vita onesta.Pel sacro tuo lavor;Sovra il tuo petto chinerei la testa.Forte di stima e pallida d'amor!...Ma tu chi sei?... Da me che speri, o deboleSchiavo languente fra dorato lezzo?Sgombrami il passo, e va.Non m'importa di te—va—ti disprezzo,Fiacco liberto d'una fiacca età!...
Da l'ampia tela, ammaliante e fissoMi persegue il tuo sguardo; e a sè m'attiraCome bocca d'abisso.Sotto la chioma d'ôr fina e fluenteSei tutta bianca, e le rosate nariVibran nervosamente:Dice il labbro serrato: «Io penso e voglio:»Dice la fronte non curvata mai:«Io nacqui al lauro e al soglio.».... Senti. È ver che sei morta, o bionda Slava,Che tesori d'ingegno a noi portastiDai ghiacci di Poltawa;Che nel silenzio de le tristi neviCome rosa sbocciasti, e inconsumataSete di gloria avevi?...Del genio coll'ignoto a te la guerra;A te la fantasia che tutto sfiora,E irruendo si sferra;A te la melodia che ha preci e schianti.Che parla, erompe, impreca e si contorceSu le corde pulsanti;A te la tela ove gioia e dolore,E carne e sole ed anima diventaLo sprazzo del colore.Che trionfo di vita e di baldanza.Quanta grandezza in te, quanto futuro,Che soffio di speranza!...Fiore di landa fra le nevi aperto,Tu sognavi, sul verde agile stelo,I cieli del deserto:Gracil patrizia, tu gli abeti foschiSospiravi de l'Alpe, il mar di spuma,La libertà dei boschi..... Or di te che rimane, o battaglieraFiglia de l'Arte?... Una ferrata cassaSotto la terra nera;Su la cassa una croce esposta ai venti;Dentro, fra i vermi, il tuo teschio che ride,Ride, mostrando i denti.*
.... Null'altro?...—Calma senza fine gravaNella notte, dintorno.—Io su la telaTi miro, o bionda Slava.Il cangiante tuo sguardo m'incatena:Qualchecosa di te m'entra nel core,E tutta m'avvelena.Una elettrica forza si sprigionaDalla regal tua forma—e mi serpeggiaPer tutta la persona;Ed io mi sento te.—Del martellanteDesìo d'ignoto che il tuo sen minavaSento l'alito ansante.Sento l'innata facoltà che crea;Sento pulsar nel cérebro l'acutaVertigin dell'idea.Vedo la morte rotear da lungeGià guatando il mio capo; algida larvaS'appressa e mi raggiunge;Come in te, tutto stralcia e tutto annienta.Cala il corvo a gracchiar su la rovina:Fuma la torcia spenta.Nulla dunque di noi, nulla più resta?...Io lancio a te l'angoscïoso gridoDell'anima in tempesta.Ma la terra non sa, Dio non risponde!...Ne l'infinito il gemito s'inghiotteCome sasso ne l'onde.Mentre su i dubbi de l'ignare genti,O trapassata, il teschio tuo sorrideMostrando i tersi denti,Del tuo spirto la vivida scintillaNe l'esser mio che morirà tra pocoPenètra, arde e sfavilla.
Sogno.—Dinanzi al mio vagante sguardoUna turba fantastica traluceTutta ravvolta ne la rossa luceDel tramonto di giugno austero e tardo.Son macri volti e petti strazïati,Teste coperte di polve e di spine,Sfolgoranti d'amor luci divine,Corpi da interne piaghe divorati.Ed io domando: Ma chi siete voi,Che accennando sfilate a me davanti,E m'arridete, taciti e raggianti,Nella gloria del sol?...—«Noi siam gli eroi,Siam l'inspirata e tragica coorteChe sui campi di guerra e sugli spaldiFra cozzo d'armi e risuonar di caldiInni, i petti robusti offerse a morte.Gli sventurati eroi siam del pensiero,Siam la falange macera e sfinitaChe invanamente consumò la vitaNe la ricerca del fuggente vero.Soldati fummo, martiri e giganti:Nostre le pugne, i sacrifici e l'onte.Nemico ferro ci squarciò la fronte,E pur cadendo singhiozzammo: Avanti!E plebi insane inferocîr su noi,E vilipesi fummo e lapidati,Crocifissi, derisi, torturati,Senza tregua o quartier!... Noi siam gli eroi.».... Ed io sorgo ed esclamo: Oh, perchè maiTanti sospiri e tante vite infrante,E tante ambasce e tanto lutto, e tanteSerie infinite d'infiniti guai?...Perchè s'insegue con rovente ardoreUn ideal che balenando sfugge,Perchè piangendo l'anima si struggeNel desìo, ne l'inganno e nell'amore?...Perchè?...—Dinanzi al mio sognante sguardoLa fantastica turba ancor traluce,Tutta ravvolta ne la rossa luceDel tramonto di giugno austero e tardo:Dai volti radïosi e senza veloSpira una calma che non è terrena:Schiudendo la pupilla ampia e serenaSegnan col dito, sorridendo, il Cielo.
Langue d'autunno il solitario vesperoDe l'âtre nebbie fra i cinerei veli;Scendon l'ombre a le verdi solitudiniGiù dai lividi cieli.Cadon le foglie, volteggiando aereeDa la fredda portate ala del vento,Quai morti sogni. Erra per l'aure un brividoCome di bacio spento.Sui capelli di lei, ravvolti e morbidi,Muta agonizza l'ultima vïola.Ella guarda laggiù, fra i nudi platani,Ritta, scultoria—sola.Ella guarda laggiù. Pensa a le niveePlacide culle ove, chinato il biondoCapo sui lini, i sorridenti pargoliDormon sonno profondo:Veglian le madri—e a la commossa tenebra,Come voci di ciel blande, serene,Sciolgono, i sonni a raddolcir degli angeli,Le lunghe cantilene.Ne la queta foresta, entro il pacificoNido, l'augel s'appressa a la compagna,E s'addorme così... nè spira un alitoPer la brulla campagna:Solo a le basse, immensurate nebbieRabbrividendo il vizzo ultimo fiore,Sovra l'erbe, in un bacio, il roseo calicePiega—e quel bacio è amore.O dolcezze!... Ella sogna. Assorta in candidiPensier, presso gentil cuna modesta,D'una lampa al chiaror, curva su l'agileAgo la bella testa;E mentr'ei tenta con le forti bracciaCinger le caste flessuose forme,A lui susurra con carezza timida:Silenzio!... Il bimbo dorme.Vane grida del cor, parvenze splendide,Di sorrisi e d'amor larve gioconde,V'estinguete laggiù fra i nudi plataniE le brume profonde!...Foglia al ramo caduta, occulta lacrima,L'ultima speme dal suo cor s'invola;O nidi, o fiori, o baci, o culle nivee,Vi celate.—Ella è sola.Cala d'autunno il nebuloso vespero,Col lontano de i corvi acre lamento,Sovra gli aridi boschi e a lei ne l'anima,Inesorato e lento;.... Cala.—Superba come greca statua,Al plumbeo cielo ella solleva i rai....Scote la brezza di novembre un brividoChe le susurra: Mai!
Quando, senza pietà, pungente e rudeIn noi penètra il duol,L'anima le sue grandi ali dischiudeLibrata a vol.In alto, insanguinata aquila altera,Posa, ove tutto è gel,Ove l'urlo non san de la buferaLa vetta e il ciel.Pur, mentre impreca e sogghignando nega,Angiol ribelle, il cor,Mite una voce dal profondo prega:Amore, amor!...
Vedova triste che silente staiNel tuo gramo tugurio affumicato,E cuci, e cuci, e non riposi maiPresso il letto del tuo figlio malato;Che su la faccia scolorita e mestaD'un antico dolor serbi le impronte,E sei tanto infelice e tanto onesta,Vedi, vorrei baciarti sulla fronte.De la finestra tua sul davanzaleUn geranio vermiglio s'incolora.T'oppresse il fato, e pur tu serbi l'ale;Hai tanto pianto, e pur tu speri ancora.Ch'io m'inginocchi presso te: m'apprendiLa virtù che sopporta e che perdona:Tu che l'odio e il livor mai non comprendi,Benedicimi, o grande, o vera, o buona.Mai come qui con più commossa menteIo ricordai mia madre—e dentro il coreMi penetrò la fiera e pazïenteDignità del dolore.
Forse ella ha troppo amato:Ora è stanca e riposa.Forse ha sofferto molto:Sul gambo ripiegatoOr china con un tremitoLa testa dolorosa.Forse ella soffre ancora:La nausea de la vita,L'ebbrezza de la morteNell'agonia de l'oraParlan fra i vizzi petal....Forse ella fu tradita.Non so che storia ascosaMi narri il dì che cade,Il penetrante balsamoDe la sfiorita rosa,La stanza solitariaChe la penombra invade.L'anima d'un ignotoPresso la mia respira:Aleggiare la sentoCome un bacio nel vuoto,Mister di luce e d'ombraChe tutta a sè m'attira.Ed un desìo mi nasce:Essere morsa al cuore,Esser baciata in bocca,Provar gioie ed ambasce,La follìa del trionfo,La follìa del dolore.Batte un rintocco:—è l'Ave.O triste fior sfogliatoConsunto di dolcezza,O fior mite e soave,Senti: non vo' morirePrima d'avere amato.
Ascoltate, signor.—Da lunge, al porto,Il mar si lagna con muggente voce.Mi guardaste?... L'atroceGhigno d'un demon mi creava; io sonoD'una furia l'aborto.Coll'immortal malinconia del mareIl mio si fonde irrimediabil duolo.Piangetemi, son solo:Non ho moglie, non figli, non amici,Freddo è il mio focolare.E un giorno anch'io, capite, anch'io cercaiUn astro folgorante alla mia sera:Cercai la donna.... Ell'eraUna vagante e splendida boema;La raccolsi e l'amai.Quella donna mentiva, io lo sapea;Ma quando sul suo bianco, statuarioPetto di marmo parioIo reclinava il deformato volto,Il mio cor si struggea!...Ell'era noncurante ed io geloso,Ferocemente, ineluttabilmente,Del suo crin rilucente,De la sua bocca e del suo sen velato,Del suo riso festoso!...M'abbandonò.—Cercò il piacer, l'aurora,Il maggio e la beltà!... Non l'ho seguita.Ma verso la svanitaSua forma io vile, sfigurato e irrisoTendo le braccia ancora!...Oh, s'io potessi smantellar le porteDi questa vita maledetta e lenta!Ma il nulla mi spaventa:La debole e vigliacca anima temeL'al di là della morte..... Come de le schiumanti onde il fragoreCommove l'aura e fa tremar la riva!...Non s'ode anima viva;Questa notte assomiglia al mio destino.—.... Addio dunque, signore.
A Raffaello Barbiera.Solitudin di gelo.—La tenèbraQui nel bosco m'ha côlta.Infoscansi le nubi, ed io com'ebraSto, ma non temo.—O fredda aura sconvolta,Aura fredda del vespro in agonia,Parla all'anima mia!.... Ed essa parla. Parla con le arcaneVoci de la boscaglia,Rumoreggianti per la selva immaneCome ululìo di spiriti in battaglia:E mi dice: «Che fai su l'ardua piaggia,O zingara selvaggia?Cerchi forse la pace?... O il glacïaleRude schiaffo dei venti?Nulla qui, nulla a soggiogarti vale?Che temi tu, se al buio ti cimenti?Di che razza sei tu, se non t'adombraIl velame dell'ombra?Nata alle aurore fiammeggianti e ai voliDell'aquila fuggente,Nata a le vampe dei bollenti soliSovra gli aurei deserti d'Oriente,Fra ciniche bestemmie e stanche fediUn ideal tu chiedi!Ma t'annoda pei polsi una catena,Ti circonda la bruma,E la vita ti rode e t'avvelenaL'inutile desir che ti consuma.Fatalità su la tua testa grava,E sei ribelle e schiava.Pur tu combatterai, gagliarda figliaDi lutto e di disdetta:Senza freno irrompente e senza brigliaLa tua strofe sarà grido e saetta.Andrai fra gl'irti scogli del doloreInneggiando all'amore;Andrai coi piè nel fango e l'occhio alteroNella luce rapito,Le magnifiche larve del pensieroCercando per le vie dell'infinito:Da una possa virile andrai sospinta,Più grande ancor se vinta.»*
Così mi parla la tenèbra—ascoltaL'anima mia pensosa.Son pianti e lampi ne la notte folta,Tetri misteri ne la selva ombrosa:Ma il respiro d'un Dio forte e serenoSento aleggiarmi in seno.
Una zingara snella in vesti rosseMi toccò in fronte con un dito, e rise.Un tremito mi scosse.Ella disse: «Tu porti un marchio in fronte,Inciso in forma di bizzarra croce.Tu porti un marchio in fronte.Degli anni tuoi nel fortunoso giroSempre l'avrai con te—poi che l'impresseIl morso d'un vampiro.Ei della vita tua la miglior parteAvido succhia, e il fuoco di tue vene;E quel vampiro è l'Arte.Nelle tue veglie solitarie, oh, quante,Quante volte esso venne al tuo guanciale,Famelico e guatante!...Tu d'Apollo nascesti al vieto regno;Ma in questo secol bottegaio e tristoÈ un delitto l'ingegno.Su, denuda nel verso prepotenteLe vive piaghe del tuo cor; sul visoTi riderà la gente.Ricca di gioventù sana e dorata.Libra un inno d'amore; e ti dirannoFantastica e spostata.Critici e sofi con insulti vaniT'inseguiran come lupi la predaPer mangiarsela a brani;Ma cancellar quel marchio invan vorrai,Favilla di pensier più il non si spegne,Più mai, più mai, più mai....»*
Disse. E, proterva ne la rossa vesta,Ritta dinanzi a me, parve il destino..... Ed io curvai la testa.
Raccoglie le pesanti ombre la seraSovra il giaciglio dove il bimbo posa.Preme nel sonno una tristezza fieraLa bocca dolorosa.Soavissima e cara un dì venìaD'una madre la voce a questa cuna,E, qual canto d'amor, lenta salìa,Trillando, a l'aura bruna;Ed aleggiando per le chete stanze,De la notte fra l'alte ombre perduta,Di sorrisi parlava e di speranze....Or quella voce è muta..... Povero bimbo senza madre, oh, posa,Posa le membra sul diserto strame.Domani, a la frizzante alba nevosa,Ti sveglierà la fame.Bello ne l'ingiocondo occhio superbo,Nel serio labbro e nella fronte scuraCui segna il fosco, inesorato, acerboStigma de la sventura,Predestinato del dolor, vivrai,Sconosciuto dal mondo, a Dio sol noto,Pensosamente sollevando i raiSu, ne l'immenso ignoto:E, solo, errante, macero, fremendoD'inconscio sdegno fra le vesti grame,A quell'ignoto chiederai l'orrendoPerchè de la tua fame.Pur, qual vergine palma infra i deserti,Qual fior che, sôrto da silvestri dumi.Soavemente innalza ai cieli apertiAerei profumiTu, d'abbandono e di dolor nudrito,Tu, condannato da la sorte rea,Lo spirto librerai nell'infinitoSu l'ali dell'idea.Tu poeta sarai! Come invadenteLuce d'incendio nel silenzio nero,Splendida sorgerà ne la tua menteLa fiamma del pensiero;Poichè, se riso di beltà non resta,Se tutto al suolo le sue spoglie rende,Sola del Genio la possanza mestaFra le procelle splende.Tu poeta sarai—coi gravi incantiDe la schietta, virile arpa sovrana,Evocherai le veglie e i lunghi piantiDe l'infanzia lontana;E gli schianti ribelli, e l'impossenteTua giovinezza, e la miseria atroceE la secreta nostalgia struggenteDe la materna voce:E qual fiero singulto, o qual lamentoD'onda che al lido querula si frange,D'un popol tutto il doloroso accentoChe s'affatica e piange.Te, poeta dei miseri, vissutiOscuramente col destino in guerra,Dei martiri, dei prodi e dei cadutiSaluterà la terra:Tutto un mondo che passa e soffre e tace,Tutto un mondo di laceri e d'affranti,Di suprema rivolta un grido audaceAvrà dentro i tuoi canti:Per te, sôrto dal nulla a la vittoria,Della lotta su l'erta aspra e fatale,Innamorata serberà la GloriaIl suo bacio immortale.
Largo!... Da le sonore vôlte de l'officine,Dai rilucenti aratri, de l'orride fucineDa gl'infernali ardor,Dagli antri dove un popolo tesse, martella e crea,Da le miniere sorgo—e, libera plebea,Sciolgo un inno al lavor.Largo!... Dai boschi pieni di nidi e di bisbigli,Dai cespugli di mirto, dai freschi nascondigli.Dal fecondato suol,Da l'acque azzurre dove il mite alcion sorvolaCinta di fiori sorgo—e, balda campagnola,Sciolgo un peana al sol.Chi arresta la corrente nel suo corso sfrenato,Chi ferma a vol l'allodola sciolta pel ciel rosato,Chi il già partito stral?Il torrente che scroscia, la freccia scintillante,L'augel canoro io sono; or rondine vagante,Or gufo sepolcral!Arte, per te combatto:—avvenire, t'attendo.E il rigoglio d'affetti che, qual vampa fervendo,M'arde la mente e il cor,Ne la gemmata veste de la strofe volante,Io getto al mondo e al cielo, qual fascio rutilanteDi fulmini e di fior!...Fine.
[1] | È ormai costume generale presentare conferenzieri e poeti, la prima volta che compariscono dinanzi al pubblico. A presentare Ada Negri, ricorriamo ad un mezzo semplicissimo e che ci pare il migliore: riprodurre l'articolo che già nel dicembre scorso un'altra gentile e valente scrittrice le dedicò nel Corriere della Sera. (Nota degli Editori)
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Nota dei trascrittori
I seguenti refusi sono stati corretti (tra parentesi il testo originale):
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