Title: La Divina Commedia di Dante: Purgatorio
Author: Dante Alighieri
Release date: August 1, 1997 [eBook #1010]
Most recently updated: December 7, 2014
Language: Italian
Credits: Produced by an anonymous Project Gutenberg volunteer. HTML
version by Al Haines.
Per correr miglior acque alza le vele
omai la navicella del mio ingegno,
che lascia dietro a sé mar sì crudele;
e canterò di quel secondo regno
dove lumano spirito si purga
e di salire al ciel diventa degno.
Ma qui la morta poesì resurga,
o sante Muse, poi che vostro sono;
e qui Calïopè alquanto surga,
seguitando il mio canto con quel suono
di cui le Piche misere sentiro
lo colpo tal, che disperar perdono.
Dolce color dorïental zaffiro,
che saccoglieva nel sereno aspetto
del mezzo, puro infino al primo giro,
a li occhi miei ricominciò diletto,
tosto chio usci fuor de laura morta
che mavea contristati li occhi e l petto.
Lo bel pianeto che damar conforta
faceva tutto rider lorïente,
velando i Pesci cherano in sua scorta.
I mi volsi a man destra, e puosi mente
a laltro polo, e vidi quattro stelle
non viste mai fuor cha la prima gente.
Goder pareva l ciel di lor fiammelle:
oh settentrïonal vedovo sito,
poi che privato se di mirar quelle!
Com io da loro sguardo fui partito,
un poco me volgendo a l altro polo,
là onde l Carro già era sparito,
vidi presso di me un veglio solo,
degno di tanta reverenza in vista,
che più non dee a padre alcun figliuolo.
Lunga la barba e di pel bianco mista
portava, a suoi capelli simigliante,
de quai cadeva al petto doppia lista.
Li raggi de le quattro luci sante
fregiavan sì la sua faccia di lume,
chi l vedea come l sol fosse davante.
«Chi siete voi che contro al cieco fiume
fuggita avete la pregione etterna?»,
diss el, movendo quelle oneste piume.
«Chi vha guidati, o che vi fu lucerna,
uscendo fuor de la profonda notte
che sempre nera fa la valle inferna?
Son le leggi dabisso così rotte?
o è mutato in ciel novo consiglio,
che, dannati, venite a le mie grotte?».
Lo duca mio allor mi diè di piglio,
e con parole e con mani e con cenni
reverenti mi fé le gambe e l ciglio.
Poscia rispuose lui: «Da me non venni:
donna scese del ciel, per li cui prieghi
de la mia compagnia costui sovvenni.
Ma da chè tuo voler che più si spieghi
di nostra condizion com ell è vera,
esser non puote il mio che a te si nieghi.
Questi non vide mai lultima sera;
ma per la sua follia le fu sì presso,
che molto poco tempo a volger era.
Sì com io dissi, fui mandato ad esso
per lui campare; e non lì era altra via
che questa per la quale i mi son messo.
Mostrata ho lui tutta la gente ria;
e ora intendo mostrar quelli spirti
che purgan sé sotto la tua balìa.
Com io lho tratto, saria lungo a dirti;
de lalto scende virtù che maiuta
conducerlo a vederti e a udirti.
Or ti piaccia gradir la sua venuta:
libertà va cercando, chè sì cara,
come sa chi per lei vita rifiuta.
Tu l sai, ché non ti fu per lei amara
in Utica la morte, ove lasciasti
la vesta chal gran dì sarà sì chiara.
Non son li editti etterni per noi guasti,
ché questi vive e Minòs me non lega;
ma son del cerchio ove son li occhi casti
di Marzia tua, che n vista ancor ti priega,
o santo petto, che per tua la tegni:
per lo suo amore adunque a noi ti piega.
Lasciane andar per li tuoi sette regni;
grazie riporterò di te a lei,
se desser mentovato là giù degni».
«Marzïa piacque tanto a li occhi miei
mentre chi fu di là», diss elli allora,
«che quante grazie volse da me, fei.
Or che di là dal mal fiume dimora,
più muover non mi può, per quella legge
che fatta fu quando me nusci fora.
Ma se donna del ciel ti move e regge,
come tu di, non cè mestier lusinghe:
bastisi ben che per lei mi richegge.
Va dunque, e fa che tu costui ricinghe
dun giunco schietto e che li lavi l viso,
sì chogne sucidume quindi stinghe;
ché non si converria, locchio sorpriso
dalcuna nebbia, andar dinanzi al primo
ministro, chè di quei di paradiso.
Questa isoletta intorno ad imo ad imo,
là giù colà dove la batte londa,
porta di giunchi sovra l molle limo:
null altra pianta che facesse fronda
o indurasse, vi puote aver vita,
però cha le percosse non seconda.
Poscia non sia di qua vostra reddita;
lo sol vi mosterrà, che surge omai,
prendere il monte a più lieve salita».
Così sparì; e io sù mi levai
sanza parlare, e tutto mi ritrassi
al duca mio, e li occhi a lui drizzai.
El cominciò: «Figliuol, segui i miei passi:
volgianci in dietro, ché di qua dichina
questa pianura a suoi termini bassi».
Lalba vinceva lora mattutina
che fuggia innanzi, sì che di lontano
conobbi il tremolar de la marina.
Noi andavam per lo solingo piano
com om che torna a la perduta strada,
che nfino ad essa li pare ire in vano.
Quando noi fummo là ve la rugiada
pugna col sole, per essere in parte
dove, ad orezza, poco si dirada,
ambo le mani in su lerbetta sparte
soavemente l mio maestro pose:
ond io, che fui accorto di sua arte,
porsi ver lui le guance lagrimose;
ivi mi fece tutto discoverto
quel color che linferno mi nascose.
Venimmo poi in sul lito diserto,
che mai non vide navicar sue acque
omo, che di tornar sia poscia esperto.
Quivi mi cinse sì com altrui piacque:
oh maraviglia! ché qual elli scelse
lumile pianta, cotal si rinacque
subitamente là onde lavelse.
Già era l sole a lorizzonte giunto
lo cui meridïan cerchio coverchia
Ierusalèm col suo più alto punto;
e la notte, che opposita a lui cerchia,
uscia di Gange fuor con le Bilance,
che le caggion di man quando soverchia;
sì che le bianche e le vermiglie guance,
là dov i era, de la bella Aurora
per troppa etate divenivan rance.
Noi eravam lunghesso mare ancora,
come gente che pensa a suo cammino,
che va col cuore e col corpo dimora.
Ed ecco, qual, sorpreso dal mattino,
per li grossi vapor Marte rosseggia
giù nel ponente sovra l suol marino,
cotal mapparve, sio ancor lo veggia,
un lume per lo mar venir sì ratto,
che l muover suo nessun volar pareggia.
Dal qual com io un poco ebbi ritratto
locchio per domandar lo duca mio,
rividil più lucente e maggior fatto.
Poi dogne lato ad esso mappario
un non sapeva che bianco, e di sotto
a poco a poco un altro a lui uscìo.
Lo mio maestro ancor non facea motto,
mentre che i primi bianchi apparver ali;
allor che ben conobbe il galeotto,
gridò: «Fa, fa che le ginocchia cali.
Ecco langel di Dio: piega le mani;
omai vedrai di sì fatti officiali.
Vedi che sdegna li argomenti umani,
sì che remo non vuol, né altro velo
che lali sue, tra liti sì lontani.
Vedi come lha dritte verso l cielo,
trattando laere con letterne penne,
che non si mutan come mortal pelo».
Poi, come più e più verso noi venne
luccel divino, più chiaro appariva:
per che locchio da presso nol sostenne,
ma chinail giuso; e quei sen venne a riva
con un vasello snelletto e leggero,
tanto che lacqua nulla ne nghiottiva.
Da poppa stava il celestial nocchiero,
tal che faria beato pur descripto;
e più di cento spirti entro sediero.
In exitu Isräel de Aegypto
cantavan tutti insieme ad una voce
con quanto di quel salmo è poscia scripto.
Poi fece il segno lor di santa croce;
ond ei si gittar tutti in su la piaggia:
ed el sen gì, come venne, veloce.
La turba che rimase lì, selvaggia
parea del loco, rimirando intorno
come colui che nove cose assaggia.
Da tutte parti saettava il giorno
lo sol, chavea con le saette conte
di mezzo l ciel cacciato Capricorno,
quando la nova gente alzò la fronte
ver noi, dicendo a noi: «Se voi sapete,
mostratene la via di gire al monte».
E Virgilio rispuose: «Voi credete
forse che siamo esperti desto loco;
ma noi siam peregrin come voi siete.
Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco,
per altra via, che fu sì aspra e forte,
che lo salire omai ne parrà gioco».
Lanime, che si fuor di me accorte,
per lo spirare, chi era ancor vivo,
maravigliando diventaro smorte.
E come a messagger che porta ulivo
tragge la gente per udir novelle,
e di calcar nessun si mostra schivo,
così al viso mio saffisar quelle
anime fortunate tutte quante,
quasi oblïando dire a farsi belle.
Io vidi una di lor trarresi avante
per abbracciarmi con sì grande affetto,
che mosse me a far lo somigliante.
Ohi ombre vane, fuor che ne laspetto!
tre volte dietro a lei le mani avvinsi,
e tante mi tornai con esse al petto.
Di maraviglia, credo, mi dipinsi;
per che lombra sorrise e si ritrasse,
e io, seguendo lei, oltre mi pinsi.
Soavemente disse chio posasse;
allor conobbi chi era, e pregai
che, per parlarmi, un poco sarrestasse.
Rispuosemi: «Così com io tamai
nel mortal corpo, così tamo sciolta:
però marresto; ma tu perché vai?».
«Casella mio, per tornar altra volta
là dov io son, fo io questo vïaggio»,
diss io; «ma a te com è tanta ora tolta?».
Ed elli a me: «Nessun mè fatto oltraggio,
se quei che leva quando e cui li piace,
più volte mha negato esto passaggio;
ché di giusto voler lo suo si face:
veramente da tre mesi elli ha tolto
chi ha voluto intrar, con tutta pace.
Ond io, chera ora a la marina vòlto
dove lacqua di Tevero sinsala,
benignamente fu da lui ricolto.
A quella foce ha elli or dritta lala,
però che sempre quivi si ricoglie
qual verso Acheronte non si cala».
E io: «Se nuova legge non ti toglie
memoria o uso a lamoroso canto
che mi solea quetar tutte mie doglie,
di ciò ti piaccia consolare alquanto
lanima mia, che, con la sua persona
venendo qui, è affannata tanto!».
Amor che ne la mente mi ragiona
cominciò elli allor sì dolcemente,
che la dolcezza ancor dentro mi suona.
Lo mio maestro e io e quella gente
cheran con lui parevan sì contenti,
come a nessun toccasse altro la mente.
Noi eravam tutti fissi e attenti
a le sue note; ed ecco il veglio onesto
gridando: «Che è ciò, spiriti lenti?
qual negligenza, quale stare è questo?
Correte al monte a spogliarvi lo scoglio
chesser non lascia a voi Dio manifesto».
Come quando, cogliendo biado o loglio,
li colombi adunati a la pastura,
queti, sanza mostrar lusato orgoglio,
se cosa appare ond elli abbian paura,
subitamente lasciano star lesca,
perch assaliti son da maggior cura;
così vid io quella masnada fresca
lasciar lo canto, e fuggir ver la costa,
com om che va, né sa dove rïesca;
né la nostra partita fu men tosta.
Avvegna che la subitana fuga
dispergesse color per la campagna,
rivolti al monte ove ragion ne fruga,
i mi ristrinsi a la fida compagna:
e come sare io sanza lui corso?
chi mavria tratto su per la montagna?
El mi parea da sé stesso rimorso:
o dignitosa coscïenza e netta,
come tè picciol fallo amaro morso!
Quando li piedi suoi lasciar la fretta,
che lonestade ad ogn atto dismaga,
la mente mia, che prima era ristretta,
lo ntento rallargò, sì come vaga,
e diedi l viso mio incontr al poggio
che nverso l ciel più alto si dislaga.
Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio,
rotto mera dinanzi a la figura,
chavëa in me de suoi raggi lappoggio.
Io mi volsi dallato con paura
dessere abbandonato, quand io vidi
solo dinanzi a me la terra oscura;
e l mio conforto: «Perché pur diffidi?»,
a dir mi cominciò tutto rivolto;
«non credi tu me teco e chio ti guidi?
Vespero è già colà dov è sepolto
lo corpo dentro al quale io facea ombra;
Napoli lha, e da Brandizio è tolto.
Ora, se innanzi a me nulla saombra,
non ti maravigliar più che di cieli
che luno a laltro raggio non ingombra.
A sofferir tormenti, caldi e geli
simili corpi la Virtù dispone
che, come fa, non vuol cha noi si sveli.
Matto è chi spera che nostra ragione
possa trascorrer la infinita via
che tiene una sustanza in tre persone.
State contenti, umana gente, al quia;
ché, se potuto aveste veder tutto,
mestier non era parturir Maria;
e disïar vedeste sanza frutto
tai che sarebbe lor disio quetato,
chetternalmente è dato lor per lutto:
io dico dAristotile e di Plato
e di molt altri»; e qui chinò la fronte,
e più non disse, e rimase turbato.
Noi divenimmo intanto a piè del monte;
quivi trovammo la roccia sì erta,
che ndarno vi sarien le gambe pronte.
Tra Lerice e Turbìa la più diserta,
la più rotta ruina è una scala,
verso di quella, agevole e aperta.
«Or chi sa da qual man la costa cala»,
disse l maestro mio fermando l passo,
«sì che possa salir chi va sanz ala?».
E mentre che tenendo l viso basso
essaminava del cammin la mente,
e io mirava suso intorno al sasso,
da man sinistra mapparì una gente
danime, che movieno i piè ver noi,
e non pareva, sì venïan lente.
«Leva», diss io, «maestro, li occhi tuoi:
ecco di qua chi ne darà consiglio,
se tu da te medesmo aver nol puoi».
Guardò allora, e con libero piglio
rispuose: «Andiamo in là, chei vegnon piano;
e tu ferma la spene, dolce figlio».
Ancora era quel popol di lontano,
i dico dopo i nostri mille passi,
quanto un buon gittator trarria con mano,
quando si strinser tutti ai duri massi
de lalta ripa, e stetter fermi e stretti
com a guardar, chi va dubbiando, stassi.
«O ben finiti, o già spiriti eletti»,
Virgilio incominciò, «per quella pace
chi credo che per voi tutti saspetti,
ditene dove la montagna giace,
sì che possibil sia landare in suso;
ché perder tempo a chi più sa più spiace».
Come le pecorelle escon del chiuso
a una, a due, a tre, e laltre stanno
timidette atterrando locchio e l muso;
e ciò che fa la prima, e laltre fanno,
addossandosi a lei, sella sarresta,
semplici e quete, e lo mperché non sanno;
sì vid io muovere a venir la testa
di quella mandra fortunata allotta,
pudica in faccia e ne landare onesta.
Come color dinanzi vider rotta
la luce in terra dal mio destro canto,
sì che lombra era da me a la grotta,
restaro, e trasser sé in dietro alquanto,
e tutti li altri che venieno appresso,
non sappiendo l perché, fenno altrettanto.
«Sanza vostra domanda io vi confesso
che questo è corpo uman che voi vedete;
per che l lume del sole in terra è fesso.
Non vi maravigliate, ma credete
che non sanza virtù che da ciel vegna
cerchi di soverchiar questa parete».
Così l maestro; e quella gente degna
«Tornate», disse, «intrate innanzi dunque»,
coi dossi de le man faccendo insegna.
E un di loro incominciò: «Chiunque
tu se, così andando, volgi l viso:
pon mente se di là mi vedesti unque».
Io mi volsi ver lui e guardail fiso:
biondo era e bello e di gentile aspetto,
ma lun de cigli un colpo avea diviso.
Quand io mi fui umilmente disdetto
daverlo visto mai, el disse: «Or vedi»;
e mostrommi una piaga a sommo l petto.
Poi sorridendo disse: «Io son Manfredi,
nepote di Costanza imperadrice;
ond io ti priego che, quando tu riedi,
vadi a mia bella figlia, genitrice
de lonor di Cicilia e dAragona,
e dichi l vero a lei, saltro si dice.
Poscia chio ebbi rotta la persona
di due punte mortali, io mi rendei,
piangendo, a quei che volontier perdona.
Orribil furon li peccati miei;
ma la bontà infinita ha sì gran braccia,
che prende ciò che si rivolge a lei.
Se l pastor di Cosenza, che a la caccia
di me fu messo per Clemente allora,
avesse in Dio ben letta questa faccia,
lossa del corpo mio sarieno ancora
in co del ponte presso a Benevento,
sotto la guardia de la grave mora.
Or le bagna la pioggia e move il vento
di fuor dal regno, quasi lungo l Verde,
dov e le trasmutò a lume spento.
Per lor maladizion sì non si perde,
che non possa tornar, letterno amore,
mentre che la speranza ha fior del verde.
Vero è che quale in contumacia more
di Santa Chiesa, ancor chal fin si penta,
star li convien da questa ripa in fore,
per ognun tempo chelli è stato, trenta,
in sua presunzïon, se tal decreto
più corto per buon prieghi non diventa.
Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto,
revelando a la mia buona Costanza
come mhai visto, e anco esto divieto;
ché qui per quei di là molto savanza».
Quando per dilettanze o ver per doglie,
che alcuna virtù nostra comprenda,
lanima bene ad essa si raccoglie,
par cha nulla potenza più intenda;
e questo è contra quello error che crede
chunanima sovr altra in noi saccenda.
E però, quando sode cosa o vede
che tegna forte a sé lanima volta,
vassene l tempo e luom non se navvede;
chaltra potenza è quella che lascolta,
e altra è quella cha lanima intera:
questa è quasi legata e quella è sciolta.
Di ciò ebb io esperïenza vera,
udendo quello spirto e ammirando;
ché ben cinquanta gradi salito era
lo sole, e io non mera accorto, quando
venimmo ove quell anime ad una
gridaro a noi: «Qui è vostro dimando».
Maggiore aperta molte volte impruna
con una forcatella di sue spine
luom de la villa quando luva imbruna,
che non era la calla onde salìne
lo duca mio, e io appresso, soli,
come da noi la schiera si partìne.
Vassi in Sanleo e discendesi in Noli,
montasi su in Bismantova e n Cacume
con esso i piè; ma qui convien chom voli;
dico con lale snelle e con le piume
del gran disio, di retro a quel condotto
che speranza mi dava e facea lume.
Noi salavam per entro l sasso rotto,
e dogne lato ne stringea lo stremo,
e piedi e man volea il suol di sotto.
Poi che noi fummo in su lorlo suppremo
de lalta ripa, a la scoperta piaggia,
«Maestro mio», diss io, «che via faremo?».
Ed elli a me: «Nessun tuo passo caggia;
pur su al monte dietro a me acquista,
fin che nappaia alcuna scorta saggia».
Lo sommo er alto che vincea la vista,
e la costa superba più assai
che da mezzo quadrante a centro lista.
Io era lasso, quando cominciai:
«O dolce padre, volgiti, e rimira
com io rimango sol, se non restai».
«Figliuol mio», disse, «infin quivi ti tira»,
additandomi un balzo poco in sùe
che da quel lato il poggio tutto gira.
Sì mi spronaron le parole sue,
chi mi sforzai carpando appresso lui,
tanto che l cinghio sotto i piè mi fue.
A seder ci ponemmo ivi ambedui
vòlti a levante ond eravam saliti,
che suole a riguardar giovare altrui.
Li occhi prima drizzai ai bassi liti;
poscia li alzai al sole, e ammirava
che da sinistra neravam feriti.
Ben savvide il poeta chïo stava
stupido tutto al carro de la luce,
ove tra noi e Aquilone intrava.
Ond elli a me: «Se Castore e Poluce
fossero in compagnia di quello specchio
che sù e giù del suo lume conduce,
tu vedresti il Zodïaco rubecchio
ancora a lOrse più stretto rotare,
se non uscisse fuor del cammin vecchio.
Come ciò sia, se l vuoi poter pensare,
dentro raccolto, imagina Sïòn
con questo monte in su la terra stare
sì, chamendue hanno un solo orizzòn
e diversi emisperi; onde la strada
che mal non seppe carreggiar Fetòn,
vedrai come a costui convien che vada
da lun, quando a colui da laltro fianco,
se lo ntelletto tuo ben chiaro bada».
«Certo, maestro mio,» diss io, «unquanco
non vid io chiaro sì com io discerno
là dove mio ingegno parea manco,
che l mezzo cerchio del moto superno,
che si chiama Equatore in alcun arte,
e che sempre riman tra l sole e l verno,
per la ragion che di, quinci si parte
verso settentrïon, quanto li Ebrei
vedevan lui verso la calda parte.
Ma se a te piace, volontier saprei
quanto avemo ad andar; ché l poggio sale
più che salir non posson li occhi miei».
Ed elli a me: «Questa montagna è tale,
che sempre al cominciar di sotto è grave;
e quant om più va sù, e men fa male.
Però, quand ella ti parrà soave
tanto, che sù andar ti fia leggero
com a seconda giù andar per nave,
allor sarai al fin desto sentiero;
quivi di riposar laffanno aspetta.
Più non rispondo, e questo so per vero».
E com elli ebbe sua parola detta,
una voce di presso sonò: «Forse
che di sedere in pria avrai distretta!».
Al suon di lei ciascun di noi si torse,
e vedemmo a mancina un gran petrone,
del qual né io né ei prima saccorse.
Là ci traemmo; e ivi eran persone
che si stavano a lombra dietro al sasso
come luom per negghienza a star si pone.
E un di lor, che mi sembiava lasso,
sedeva e abbracciava le ginocchia,
tenendo l viso giù tra esse basso.
«O dolce segnor mio», diss io, «adocchia
colui che mostra sé più negligente
che se pigrizia fosse sua serocchia».
Allor si volse a noi e puose mente,
movendo l viso pur su per la coscia,
e disse: «Or va tu sù, che se valente!».
Conobbi allor chi era, e quella angoscia
che mavacciava un poco ancor la lena,
non mimpedì landare a lui; e poscia
cha lui fu giunto, alzò la testa a pena,
dicendo: «Hai ben veduto come l sole
da lomero sinistro il carro mena?».
Li atti suoi pigri e le corte parole
mosser le labbra mie un poco a riso;
poi cominciai: «Belacqua, a me non dole
di te omai; ma dimmi: perché assiso
quiritto se? attendi tu iscorta,
o pur lo modo usato tha ripriso?».
Ed elli: «O frate, andar in sù che porta?
ché non mi lascerebbe ire a martìri
langel di Dio che siede in su la porta.
Prima convien che tanto il ciel maggiri
di fuor da essa, quanto fece in vita,
per chio ndugiai al fine i buon sospiri,
se orazïone in prima non maita
che surga sù di cuor che in grazia viva;
laltra che val, che n ciel non è udita?».
E già il poeta innanzi mi saliva,
e dicea: «Vienne omai; vedi chè tocco
meridïan dal sole e a la riva
cuopre la notte già col piè Morrocco».
Io era già da quell ombre partito,
e seguitava lorme del mio duca,
quando di retro a me, drizzando l dito,
una gridò: «Ve che non par che luca
lo raggio da sinistra a quel di sotto,
e come vivo par che si conduca!».
Li occhi rivolsi al suon di questo motto,
e vidile guardar per maraviglia
pur me, pur me, e l lume chera rotto.
«Perché lanimo tuo tanto simpiglia»,
disse l maestro, «che landare allenti?
che ti fa ciò che quivi si pispiglia?
Vien dietro a me, e lascia dir le genti:
sta come torre ferma, che non crolla
già mai la cima per soffiar di venti;
ché sempre lomo in cui pensier rampolla
sovra pensier, da sé dilunga il segno,
perché la foga lun de laltro insolla».
Che potea io ridir, se non «Io vegno»?
Dissilo, alquanto del color consperso
che fa luom di perdon talvolta degno.
E ntanto per la costa di traverso
venivan genti innanzi a noi un poco,
cantando Miserere a verso a verso.
Quando saccorser chi non dava loco
per lo mio corpo al trapassar di raggi,
mutar lor canto in un «oh!» lungo e roco;
e due di loro, in forma di messaggi,
corsero incontr a noi e dimandarne:
«Di vostra condizion fatene saggi».
E l mio maestro: «Voi potete andarne
e ritrarre a color che vi mandaro
che l corpo di costui è vera carne.
Se per veder la sua ombra restaro,
com io avviso, assai è lor risposto:
fàccianli onore, ed esser può lor caro».
Vapori accesi non vid io sì tosto
di prima notte mai fender sereno,
né, sol calando, nuvole dagosto,
che color non tornasser suso in meno;
e, giunti là, con li altri a noi dier volta,
come schiera che scorre sanza freno.
«Questa gente che preme a noi è molta,
e vegnonti a pregar», disse l poeta:
«però pur va, e in andando ascolta».
«O anima che vai per esser lieta
con quelle membra con le quai nascesti»,
venian gridando, «un poco il passo queta.
Guarda salcun di noi unqua vedesti,
sì che di lui di là novella porti:
deh, perché vai? deh, perché non tarresti?
Noi fummo tutti già per forza morti,
e peccatori infino a lultima ora;
quivi lume del ciel ne fece accorti,
sì che, pentendo e perdonando, fora
di vita uscimmo a Dio pacificati,
che del disio di sé veder naccora».
E io: «Perché ne vostri visi guati,
non riconosco alcun; ma sa voi piace
cosa chio possa, spiriti ben nati,
voi dite, e io farò per quella pace
che, dietro a piedi di sì fatta guida,
di mondo in mondo cercar mi si face».
E uno incominciò: «Ciascun si fida
del beneficio tuo sanza giurarlo,
pur che l voler nonpossa non ricida.
Ond io, che solo innanzi a li altri parlo,
ti priego, se mai vedi quel paese
che siede tra Romagna e quel di Carlo,
che tu mi sie di tuoi prieghi cortese
in Fano, sì che ben per me sadori
pur chi possa purgar le gravi offese.
Quindi fu io; ma li profondi fóri
ond uscì l sangue in sul quale io sedea,
fatti mi fuoro in grembo a li Antenori,
là dov io più sicuro esser credea:
quel da Esti il fé far, che mavea in ira
assai più là che dritto non volea.
Ma sio fosse fuggito inver la Mira,
quando fu sovragiunto ad Orïaco,
ancor sarei di là dove si spira.
Corsi al palude, e le cannucce e l braco
mimpigliar sì chi caddi; e lì vid io
de le mie vene farsi in terra laco».
Poi disse un altro: «Deh, se quel disio
si compia che ti tragge a lalto monte,
con buona pïetate aiuta il mio!
Io fui di Montefeltro, io son Bonconte;
Giovanna o altri non ha di me cura;
per chio vo tra costor con bassa fronte».
E io a lui: «Qual forza o qual ventura
ti travïò sì fuor di Campaldino,
che non si seppe mai tua sepultura?».
«Oh!», rispuos elli, «a piè del Casentino
traversa unacqua cha nome lArchiano,
che sovra lErmo nasce in Apennino.
Là ve l vocabol suo diventa vano,
arriva io forato ne la gola,
fuggendo a piede e sanguinando il piano.
Quivi perdei la vista e la parola;
nel nome di Maria fini, e quivi
caddi, e rimase la mia carne sola.
Io dirò vero, e tu l ridì tra vivi:
langel di Dio mi prese, e quel dinferno
gridava: O tu del ciel, perché mi privi?
Tu te ne porti di costui letterno
per una lagrimetta che l mi toglie;
ma io farò de laltro altro governo!.
Ben sai come ne laere si raccoglie
quell umido vapor che in acqua riede,
tosto che sale dove l freddo il coglie.
Giunse quel mal voler che pur mal chiede
con lo ntelletto, e mosse il fummo e l vento
per la virtù che sua natura diede.
Indi la valle, come l dì fu spento,
da Pratomagno al gran giogo coperse
di nebbia; e l ciel di sopra fece intento,
sì che l pregno aere in acqua si converse;
la pioggia cadde, e a fossati venne
di lei ciò che la terra non sofferse;
e come ai rivi grandi si convenne,
ver lo fiume real tanto veloce
si ruinò, che nulla la ritenne.
Lo corpo mio gelato in su la foce
trovò lArchian rubesto; e quel sospinse
ne lArno, e sciolse al mio petto la croce
chi fe di me quando l dolor mi vinse;
voltòmmi per le ripe e per lo fondo,
poi di sua preda mi coperse e cinse».
«Deh, quando tu sarai tornato al mondo
e riposato de la lunga via»,
seguitò l terzo spirito al secondo,
«ricorditi di me, che son la Pia;
Siena mi fé, disfecemi Maremma:
salsi colui che nnanellata pria
disposando mavea con la sua gemma».
Quando si parte il gioco de la zara,
colui che perde si riman dolente,
repetendo le volte, e tristo impara;
con laltro se ne va tutta la gente;
qual va dinanzi, e qual di dietro il prende,
e qual dallato li si reca a mente;
el non sarresta, e questo e quello intende;
a cui porge la man, più non fa pressa;
e così da la calca si difende.
Tal era io in quella turba spessa,
volgendo a loro, e qua e là, la faccia,
e promettendo mi sciogliea da essa.
Quiv era lAretin che da le braccia
fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte,
e laltro channegò correndo in caccia.
Quivi pregava con le mani sporte
Federigo Novello, e quel da Pisa
che fé parer lo buon Marzucco forte.
Vidi conte Orso e lanima divisa
dal corpo suo per astio e per inveggia,
com e dicea, non per colpa commisa;
Pier da la Broccia dico; e qui proveggia,
mentr è di qua, la donna di Brabante,
sì che però non sia di peggior greggia.
Come libero fui da tutte quante
quell ombre che pregar pur chaltri prieghi,
sì che savacci lor divenir sante,
io cominciai: «El par che tu mi nieghi,
o luce mia, espresso in alcun testo
che decreto del cielo orazion pieghi;
e questa gente prega pur di questo:
sarebbe dunque loro speme vana,
o non mè l detto tuo ben manifesto?».
Ed elli a me: «La mia scrittura è piana;
e la speranza di costor non falla,
se ben si guarda con la mente sana;
ché cima di giudicio non savvalla
perché foco damor compia in un punto
ciò che de sodisfar chi qui sastalla;
e là dov io fermai cotesto punto,
non sammendava, per pregar, difetto,
perché l priego da Dio era disgiunto.
Veramente a così alto sospetto
non ti fermar, se quella nol ti dice
che lume fia tra l vero e lo ntelletto.
Non so se ntendi: io dico di Beatrice;
tu la vedrai di sopra, in su la vetta
di questo monte, ridere e felice».
E io: «Segnore, andiamo a maggior fretta,
ché già non maffatico come dianzi,
e vedi omai che l poggio lombra getta».
«Noi anderem con questo giorno innanzi»,
rispuose, «quanto più potremo omai;
ma l fatto è daltra forma che non stanzi.
Prima che sie là sù, tornar vedrai
colui che già si cuopre de la costa,
sì che suoi raggi tu romper non fai.
Ma vedi là unanima che, posta
sola soletta, inverso noi riguarda:
quella ne nsegnerà la via più tosta».
Venimmo a lei: o anima lombarda,
come ti stavi altera e disdegnosa
e nel mover de li occhi onesta e tarda!
Ella non ci dicëa alcuna cosa,
ma lasciavane gir, solo sguardando
a guisa di leon quando si posa.
Pur Virgilio si trasse a lei, pregando
che ne mostrasse la miglior salita;
e quella non rispuose al suo dimando,
ma di nostro paese e de la vita
ci nchiese; e l dolce duca incominciava
«Mantüa . . . », e lombra, tutta in sé romita,
surse ver lui del loco ove pria stava,
dicendo: «O Mantoano, io son Sordello
de la tua terra!»; e lun laltro abbracciava.
Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!
Quell anima gentil fu così presta,
sol per lo dolce suon de la sua terra,
di fare al cittadin suo quivi festa;
e ora in te non stanno sanza guerra
li vivi tuoi, e lun laltro si rode
di quei chun muro e una fossa serra.
Cerca, misera, intorno da le prode
le tue marine, e poi ti guarda in seno,
salcuna parte in te di pace gode.
Che val perché ti racconciasse il freno
Iustinïano, se la sella è vòta?
Sanz esso fora la vergogna meno.
Ahi gente che dovresti esser devota,
e lasciar seder Cesare in la sella,
se bene intendi ciò che Dio ti nota,
guarda come esta fiera è fatta fella
per non esser corretta da li sproni,
poi che ponesti mano a la predella.
O Alberto tedesco chabbandoni
costei chè fatta indomita e selvaggia,
e dovresti inforcar li suoi arcioni,
giusto giudicio da le stelle caggia
sovra l tuo sangue, e sia novo e aperto,
tal che l tuo successor temenza naggia!
Chavete tu e l tuo padre sofferto,
per cupidigia di costà distretti,
che l giardin de lo mperio sia diserto.
Vieni a veder Montecchi e Cappelletti,
Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura:
color già tristi, e questi con sospetti!
Vien, crudel, vieni, e vedi la pressura
di tuoi gentili, e cura lor magagne;
e vedrai Santafior com è oscura!
Vieni a veder la tua Roma che piagne
vedova e sola, e dì e notte chiama:
«Cesare mio, perché non maccompagne?».
Vieni a veder la gente quanto sama!
e se nulla di noi pietà ti move,
a vergognar ti vien de la tua fama.
E se licito mè, o sommo Giove
che fosti in terra per noi crucifisso,
son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?
O è preparazion che ne labisso
del tuo consiglio fai per alcun bene
in tutto de laccorger nostro scisso?
Ché le città dItalia tutte piene
son di tiranni, e un Marcel diventa
ogne villan che parteggiando viene.
Fiorenza mia, ben puoi esser contenta
di questa digression che non ti tocca,
mercé del popol tuo che si argomenta.
Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca
per non venir sanza consiglio a larco;
ma il popol tuo lha in sommo de la bocca.
Molti rifiutan lo comune incarco;
ma il popol tuo solicito risponde
sanza chiamare, e grida: «I mi sobbarco!».
Or ti fa lieta, ché tu hai ben onde:
tu ricca, tu con pace e tu con senno!
Sio dico l ver, leffetto nol nasconde.
Atene e Lacedemona, che fenno
lantiche leggi e furon sì civili,
fecero al viver bene un picciol cenno
verso di te, che fai tanto sottili
provedimenti, cha mezzo novembre
non giugne quel che tu dottobre fili.
Quante volte, del tempo che rimembre,
legge, moneta, officio e costume
hai tu mutato, e rinovate membre!
E se ben ti ricordi e vedi lume,
vedrai te somigliante a quella inferma
che non può trovar posa in su le piume,
ma con dar volta suo dolore scherma.
Poscia che laccoglienze oneste e liete
furo iterate tre e quattro volte,
Sordel si trasse, e disse: «Voi, chi siete?».
«Anzi che a questo monte fosser volte
lanime degne di salire a Dio,
fur lossa mie per Ottavian sepolte.
Io son Virgilio; e per null altro rio
lo ciel perdei che per non aver fé».
Così rispuose allora il duca mio.
Qual è colui che cosa innanzi sé
sùbita vede ond e si maraviglia,
che crede e non, dicendo «Ella è . . . non è . . . »,
tal parve quelli; e poi chinò le ciglia,
e umilmente ritornò ver lui,
e abbracciòl là ve l minor sappiglia.
«O gloria di Latin», disse, «per cui
mostrò ciò che potea la lingua nostra,
o pregio etterno del loco ond io fui,
qual merito o qual grazia mi ti mostra?
Sio son dudir le tue parole degno,
dimmi se vien dinferno, e di qual chiostra».
«Per tutt i cerchi del dolente regno»,
rispuose lui, «son io di qua venuto;
virtù del ciel mi mosse, e con lei vegno.
Non per far, ma per non fare ho perduto
a veder lalto Sol che tu disiri
e che fu tardi per me conosciuto.
Luogo è là giù non tristo di martìri,
ma di tenebre solo, ove i lamenti
non suonan come guai, ma son sospiri.
Quivi sto io coi pargoli innocenti
dai denti morsi de la morte avante
che fosser da lumana colpa essenti;
quivi sto io con quei che le tre sante
virtù non si vestiro, e sanza vizio
conobber laltre e seguir tutte quante.
Ma se tu sai e puoi, alcuno indizio
dà noi per che venir possiam più tosto
là dove purgatorio ha dritto inizio».
Rispuose: «Loco certo non cè posto;
licito mè andar suso e intorno;
per quanto ir posso, a guida mi taccosto.
Ma vedi già come dichina il giorno,
e andar sù di notte non si puote;
però è buon pensar di bel soggiorno.
Anime sono a destra qua remote;
se mi consenti, io ti merrò ad esse,
e non sanza diletto ti fier note».
«Com è ciò?», fu risposto. «Chi volesse
salir di notte, fora elli impedito
daltrui, o non sarria ché non potesse?».
E l buon Sordello in terra fregò l dito,
dicendo: «Vedi? sola questa riga
non varcheresti dopo l sol partito:
non però chaltra cosa desse briga,
che la notturna tenebra, ad ir suso;
quella col nonpoder la voglia intriga.
Ben si poria con lei tornare in giuso
e passeggiar la costa intorno errando,
mentre che lorizzonte il dì tien chiuso».
Allora il mio segnor, quasi ammirando,
«Menane», disse, «dunque là ve dici
chaver si può diletto dimorando».
Poco allungati ceravam di lici,
quand io maccorsi che l monte era scemo,
a guisa che i vallon li sceman quici.
«Colà», disse quell ombra, «nanderemo
dove la costa face di sé grembo;
e là il novo giorno attenderemo».
Tra erto e piano era un sentiero schembo,
che ne condusse in fianco de la lacca,
là dove più cha mezzo muore il lembo.
Oro e argento fine, cocco e biacca,
indaco, legno lucido e sereno,
fresco smeraldo in lora che si fiacca,
da lerba e da li fior, dentr a quel seno
posti, ciascun saria di color vinto,
come dal suo maggiore è vinto il meno.
Non avea pur natura ivi dipinto,
ma di soavità di mille odori
vi facea uno incognito e indistinto.
Salve, Regina in sul verde e n su fiori
quindi seder cantando anime vidi,
che per la valle non parean di fuori.
«Prima che l poco sole omai sannidi»,
cominciò l Mantoan che ci avea vòlti,
«tra color non vogliate chio vi guidi.
Di questo balzo meglio li atti e volti
conoscerete voi di tutti quanti,
che ne la lama giù tra essi accolti.
Colui che più siede alto e fa sembianti
daver negletto ciò che far dovea,
e che non move bocca a li altrui canti,
Rodolfo imperador fu, che potea
sanar le piaghe channo Italia morta,
sì che tardi per altri si ricrea.
Laltro che ne la vista lui conforta,
resse la terra dove lacqua nasce
che Molta in Albia, e Albia in mar ne porta:
Ottacchero ebbe nome, e ne le fasce
fu meglio assai che Vincislao suo figlio
barbuto, cui lussuria e ozio pasce.
E quel nasetto che stretto a consiglio
par con colui cha sì benigno aspetto,
morì fuggendo e disfiorando il giglio:
guardate là come si batte il petto!
Laltro vedete cha fatto a la guancia
de la sua palma, sospirando, letto.
Padre e suocero son del mal di Francia:
sanno la vita sua viziata e lorda,
e quindi viene il duol che sì li lancia.
Quel che par sì membruto e che saccorda,
cantando, con colui dal maschio naso,
dogne valor portò cinta la corda;
e se re dopo lui fosse rimaso
lo giovanetto che retro a lui siede,
ben andava il valor di vaso in vaso,
che non si puote dir de laltre rede;
Iacomo e Federigo hanno i reami;
del retaggio miglior nessun possiede.
Rade volte risurge per li rami
lumana probitate; e questo vole
quei che la dà, perché da lui si chiami.
Anche al nasuto vanno mie parole
non men cha laltro, Pier, che con lui canta,
onde Puglia e Proenza già si dole.
Tant è del seme suo minor la pianta,
quanto, più che Beatrice e Margherita,
Costanza di marito ancor si vanta.
Vedete il re de la semplice vita
seder là solo, Arrigo dInghilterra:
questi ha ne rami suoi migliore uscita.
Quel che più basso tra costor satterra,
guardando in suso, è Guiglielmo marchese,
per cui e Alessandria e la sua guerra
fa pianger Monferrato e Canavese».
Era già lora che volge il disio
ai navicanti e ntenerisce il core
lo dì chan detto ai dolci amici addio;
e che lo novo peregrin damore
punge, se ode squilla di lontano
che paia il giorno pianger che si more;
quand io incominciai a render vano
ludire e a mirare una de lalme
surta, che lascoltar chiedea con mano.
Ella giunse e levò ambo le palme,
ficcando li occhi verso lorïente,
come dicesse a Dio: Daltro non calme.
Te lucis ante sì devotamente
le uscìo di bocca e con sì dolci note,
che fece me a me uscir di mente;
e laltre poi dolcemente e devote
seguitar lei per tutto linno intero,
avendo li occhi a le superne rote.
Aguzza qui, lettor, ben li occhi al vero,
ché l velo è ora ben tanto sottile,
certo che l trapassar dentro è leggero.
Io vidi quello essercito gentile
tacito poscia riguardare in sùe,
quasi aspettando, palido e umìle;
e vidi uscir de lalto e scender giùe
due angeli con due spade affocate,
tronche e private de le punte sue.
Verdi come fogliette pur mo nate
erano in veste, che da verdi penne
percosse traean dietro e ventilate.
Lun poco sovra noi a star si venne,
e laltro scese in lopposita sponda,
sì che la gente in mezzo si contenne.
Ben discernëa in lor la testa bionda;
ma ne la faccia locchio si smarria,
come virtù cha troppo si confonda.
«Ambo vegnon del grembo di Maria»,
disse Sordello, «a guardia de la valle,
per lo serpente che verrà vie via».
Ond io, che non sapeva per qual calle,
mi volsi intorno, e stretto maccostai,
tutto gelato, a le fidate spalle.
E Sordello anco: «Or avvalliamo omai
tra le grandi ombre, e parleremo ad esse;
grazïoso fia lor vedervi assai».
Solo tre passi credo chi scendesse,
e fui di sotto, e vidi un che mirava
pur me, come conoscer mi volesse.
Temp era già che laere sannerava,
ma non sì che tra li occhi suoi e miei
non dichiarisse ciò che pria serrava.
Ver me si fece, e io ver lui mi fei:
giudice Nin gentil, quanto mi piacque
quando ti vidi non esser tra rei!
Nullo bel salutar tra noi si tacque;
poi dimandò: «Quant è che tu venisti
a piè del monte per le lontane acque?».
«Oh!», diss io lui, «per entro i luoghi tristi
venni stamane, e sono in prima vita,
ancor che laltra, sì andando, acquisti».
E come fu la mia risposta udita,
Sordello ed elli in dietro si raccolse
come gente di sùbito smarrita.
Luno a Virgilio e laltro a un si volse
che sedea lì, gridando: «Sù, Currado!
vieni a veder che Dio per grazia volse».
Poi, vòlto a me: «Per quel singular grado
che tu dei a colui che sì nasconde
lo suo primo perché, che non lì è guado,
quando sarai di là da le larghe onde,
dì a Giovanna mia che per me chiami
là dove a li nnocenti si risponde.
Non credo che la sua madre più mami,
poscia che trasmutò le bianche bende,
le quai convien che, misera!, ancor brami.
Per lei assai di lieve si comprende
quanto in femmina foco damor dura,
se locchio o l tatto spesso non laccende.
Non le farà sì bella sepultura
la vipera che Melanesi accampa,
com avria fatto il gallo di Gallura».
Così dicea, segnato de la stampa,
nel suo aspetto, di quel dritto zelo
che misuratamente in core avvampa.
Li occhi miei ghiotti andavan pur al cielo,
pur là dove le stelle son più tarde,
sì come rota più presso a lo stelo.
E l duca mio: «Figliuol, che là sù guarde?».
E io a lui: «A quelle tre facelle
di che l polo di qua tutto quanto arde».
Ond elli a me: «Le quattro chiare stelle
che vedevi staman, son di là basse,
e queste son salite ov eran quelle».
Com ei parlava, e Sordello a sé il trasse
dicendo: «Vedi là l nostro avversaro»;
e drizzò il dito perché n là guardasse.
Da quella parte onde non ha riparo
la picciola vallea, era una biscia,
forse qual diede ad Eva il cibo amaro.
Tra lerba e fior venìa la mala striscia,
volgendo ad ora ad or la testa, e l dosso
leccando come bestia che si liscia.
Io non vidi, e però dicer non posso,
come mosser li astor celestïali;
ma vidi bene e luno e laltro mosso.
Sentendo fender laere a le verdi ali,
fuggì l serpente, e li angeli dier volta,
suso a le poste rivolando iguali.
Lombra che sera al giudice raccolta
quando chiamò, per tutto quello assalto
punto non fu da me guardare sciolta.
«Se la lucerna che ti mena in alto
truovi nel tuo arbitrio tanta cera
quant è mestiere infino al sommo smalto»,
cominciò ella, «se novella vera
di Val di Magra o di parte vicina
sai, dillo a me, che già grande là era.
Fui chiamato Currado Malaspina;
non son lantico, ma di lui discesi;
a miei portai lamor che qui raffina».
«Oh!», diss io lui, «per li vostri paesi
già mai non fui; ma dove si dimora
per tutta Europa chei non sien palesi?
La fama che la vostra casa onora,
grida i segnori e grida la contrada,
sì che ne sa chi non vi fu ancora;
e io vi giuro, sio di sopra vada,
che vostra gente onrata non si sfregia
del pregio de la borsa e de la spada.
Uso e natura sì la privilegia,
che, perché il capo reo il mondo torca,
sola va dritta e l mal cammin dispregia».
Ed elli: «Or va; che l sol non si ricorca
sette volte nel letto che l Montone
con tutti e quattro i piè cuopre e inforca,
che cotesta cortese oppinïone
ti fia chiavata in mezzo de la testa
con maggior chiovi che daltrui sermone,
se corso di giudicio non sarresta».
La concubina di Titone antico
già simbiancava al balco dorïente,
fuor de le braccia del suo dolce amico;
di gemme la sua fronte era lucente,
poste in figura del freddo animale
che con la coda percuote la gente;
e la notte, de passi con che sale,
fatti avea due nel loco ov eravamo,
e l terzo già chinava in giuso lale;
quand io, che meco avea di quel dAdamo,
vinto dal sonno, in su lerba inchinai
là ve già tutti e cinque sedavamo.
Ne lora che comincia i tristi lai
la rondinella presso a la mattina,
forse a memoria de suo primi guai,
e che la mente nostra, peregrina
più da la carne e men da pensier presa,
a le sue visïon quasi è divina,
in sogno mi parea veder sospesa
unaguglia nel ciel con penne doro,
con lali aperte e a calare intesa;
ed esser mi parea là dove fuoro
abbandonati i suoi da Ganimede,
quando fu ratto al sommo consistoro.
Fra me pensava: Forse questa fiede
pur qui per uso, e forse daltro loco
disdegna di portarne suso in piede.
Poi mi parea che, poi rotata un poco,
terribil come folgor discendesse,
e me rapisse suso infino al foco.
Ivi parea che ella e io ardesse;
e sì lo ncendio imaginato cosse,
che convenne che l sonno si rompesse.
Non altrimenti Achille si riscosse,
li occhi svegliati rivolgendo in giro
e non sappiendo là dove si fosse,
quando la madre da Chirón a Schiro
trafuggò lui dormendo in le sue braccia,
là onde poi li Greci il dipartiro;
che mi scoss io, sì come da la faccia
mi fuggì l sonno, e diventa ismorto,
come fa luom che, spaventato, agghiaccia.
Dallato mera solo il mio conforto,
e l sole er alto già più che due ore,
e l viso mera a la marina torto.
«Non aver tema», disse il mio segnore;
«fatti sicur, ché noi semo a buon punto;
non stringer, ma rallarga ogne vigore.
Tu se omai al purgatorio giunto:
vedi là il balzo che l chiude dintorno;
vedi lentrata là ve par digiunto.
Dianzi, ne lalba che procede al giorno,
quando lanima tua dentro dormia,
sovra li fiori ond è là giù addorno
venne una donna, e disse: I son Lucia;
lasciatemi pigliar costui che dorme;
sì lagevolerò per la sua via.
Sordel rimase e laltre genti forme;
ella ti tolse, e come l dì fu chiaro,
sen venne suso; e io per le sue orme.
Qui ti posò, ma pria mi dimostraro
li occhi suoi belli quella intrata aperta;
poi ella e l sonno ad una se nandaro».
A guisa duom che n dubbio si raccerta
e che muta in conforto sua paura,
poi che la verità li è discoperta,
mi cambia io; e come sanza cura
vide me l duca mio, su per lo balzo
si mosse, e io di rietro inver laltura.
Lettor, tu vedi ben com io innalzo
la mia matera, e però con più arte
non ti maravigliar sio la rincalzo.
Noi ci appressammo, ed eravamo in parte
che là dove pareami prima rotto,
pur come un fesso che muro diparte,
vidi una porta, e tre gradi di sotto
per gire ad essa, di color diversi,
e un portier chancor non facea motto.
E come locchio più e più vapersi,
vidil seder sovra l grado sovrano,
tal ne la faccia chio non lo soffersi;
e una spada nuda avëa in mano,
che reflettëa i raggi sì ver noi,
chio drizzava spesso il viso in vano.
«Dite costinci: che volete voi?»,
cominciò elli a dire, «ov è la scorta?
Guardate che l venir sù non vi nòi».
«Donna del ciel, di queste cose accorta»,
rispuose l mio maestro a lui, «pur dianzi
ne disse: Andate là: quivi è la porta».
«Ed ella i passi vostri in bene avanzi»,
ricominciò il cortese portinaio:
«Venite dunque a nostri gradi innanzi».
Là ne venimmo; e lo scaglion primaio
bianco marmo era sì pulito e terso,
chio mi specchiai in esso qual io paio.
Era il secondo tinto più che perso,
duna petrina ruvida e arsiccia,
crepata per lo lungo e per traverso.
Lo terzo, che di sopra sammassiccia,
porfido mi parea, sì fiammeggiante
come sangue che fuor di vena spiccia.
Sovra questo tenëa ambo le piante
langel di Dio sedendo in su la soglia
che mi sembiava pietra di diamante.
Per li tre gradi sù di buona voglia
mi trasse il duca mio, dicendo: «Chiedi
umilemente che l serrame scioglia».
Divoto mi gittai a santi piedi;
misericordia chiesi e chel maprisse,
ma tre volte nel petto pria mi diedi.
Sette P ne la fronte mi descrisse
col punton de la spada, e «Fa che lavi,
quando se dentro, queste piaghe» disse.
Cenere, o terra che secca si cavi,
dun color fora col suo vestimento;
e di sotto da quel trasse due chiavi.
Luna era doro e laltra era dargento;
pria con la bianca e poscia con la gialla
fece a la porta sì, chi fu contento.
«Quandunque luna deste chiavi falla,
che non si volga dritta per la toppa»,
diss elli a noi, «non sapre questa calla.
Più cara è luna; ma laltra vuol troppa
darte e dingegno avanti che diserri,
perch ella è quella che l nodo digroppa.
Da Pier le tegno; e dissemi chi erri
anzi ad aprir cha tenerla serrata,
pur che la gente a piedi mi satterri».
Poi pinse luscio a la porta sacrata,
dicendo: «Intrate; ma facciovi accorti
che di fuor torna chi n dietro si guata».
E quando fuor ne cardini distorti
li spigoli di quella regge sacra,
che di metallo son sonanti e forti,
non rugghiò sì né si mostrò sì acra
Tarpëa, come tolto le fu il buono
Metello, per che poi rimase macra.
Io mi rivolsi attento al primo tuono,
e Te Deum laudamus mi parea
udire in voce mista al dolce suono.
Tale imagine a punto mi rendea
ciò chio udiva, qual prender si suole
quando a cantar con organi si stea;
chor sì or no sintendon le parole.
Poi fummo dentro al soglio de la porta
che l mal amor de lanime disusa,
perché fa parer dritta la via torta,
sonando la senti esser richiusa;
e sio avesse li occhi vòlti ad essa,
qual fora stata al fallo degna scusa?
Noi salavam per una pietra fessa,
che si moveva e duna e daltra parte,
sì come londa che fugge e sappressa.
«Qui si conviene usare un poco darte»,
cominciò l duca mio, «in accostarsi
or quinci, or quindi al lato che si parte».
E questo fece i nostri passi scarsi,
tanto che pria lo scemo de la luna
rigiunse al letto suo per ricorcarsi,
che noi fossimo fuor di quella cruna;
ma quando fummo liberi e aperti
sù dove il monte in dietro si rauna,
ïo stancato e amendue incerti
di nostra via, restammo in su un piano
solingo più che strade per diserti.
Da la sua sponda, ove confina il vano,
al piè de lalta ripa che pur sale,
misurrebbe in tre volte un corpo umano;
e quanto locchio mio potea trar dale,
or dal sinistro e or dal destro fianco,
questa cornice mi parea cotale.
Là sù non eran mossi i piè nostri anco,
quand io conobbi quella ripa intorno
che dritto di salita aveva manco,
esser di marmo candido e addorno
dintagli sì, che non pur Policleto,
ma la natura lì avrebbe scorno.
Langel che venne in terra col decreto
de la molt anni lagrimata pace,
chaperse il ciel del suo lungo divieto,
dinanzi a noi pareva sì verace
quivi intagliato in un atto soave,
che non sembiava imagine che tace.
Giurato si saria chel dicesse Ave!;
perché iv era imaginata quella
chad aprir lalto amor volse la chiave;
e avea in atto impressa esta favella
Ecce ancilla Deï, propriamente
come figura in cera si suggella.
«Non tener pur ad un loco la mente»,
disse l dolce maestro, che mavea
da quella parte onde l cuore ha la gente.
Per chi mi mossi col viso, e vedea
di retro da Maria, da quella costa
onde mera colui che mi movea,
unaltra storia ne la roccia imposta;
per chio varcai Virgilio, e femi presso,
acciò che fosse a li occhi miei disposta.
Era intagliato lì nel marmo stesso
lo carro e buoi, traendo larca santa,
per che si teme officio non commesso.
Dinanzi parea gente; e tutta quanta,
partita in sette cori, a due mie sensi
faceva dir lun No, laltro Sì, canta.
Similemente al fummo de li ncensi
che vera imaginato, li occhi e l naso
e al sì e al no discordi fensi.
Lì precedeva al benedetto vaso,
trescando alzato, lumile salmista,
e più e men che re era in quel caso.
Di contra, effigïata ad una vista
dun gran palazzo, Micòl ammirava
sì come donna dispettosa e trista.
I mossi i piè del loco dov io stava,
per avvisar da presso unaltra istoria,
che di dietro a Micòl mi biancheggiava.
Quiv era storïata lalta gloria
del roman principato, il cui valore
mosse Gregorio a la sua gran vittoria;
i dico di Traiano imperadore;
e una vedovella li era al freno,
di lagrime atteggiata e di dolore.
Intorno a lui parea calcato e pieno
di cavalieri, e laguglie ne loro
sovr essi in vista al vento si movieno.
La miserella intra tutti costoro
pareva dir: «Segnor, fammi vendetta
di mio figliuol chè morto, ond io maccoro»;
ed elli a lei rispondere: «Or aspetta
tanto chi torni»; e quella: «Segnor mio»,
come persona in cui dolor saffretta,
«se tu non torni?»; ed ei: «Chi fia dov io,
la ti farà»; ed ella: «Laltrui bene
a te che fia, se l tuo metti in oblio?»;
ond elli: «Or ti conforta; chei convene
chi solva il mio dovere anzi chi mova:
giustizia vuole e pietà mi ritene».
Colui che mai non vide cosa nova
produsse esto visibile parlare,
novello a noi perché qui non si trova.
Mentr io mi dilettava di guardare
limagini di tante umilitadi,
e per lo fabbro loro a veder care,
«Ecco di qua, ma fanno i passi radi»,
mormorava il poeta, «molte genti:
questi ne nvïeranno a li alti gradi».
Li occhi miei, cha mirare eran contenti
per veder novitadi ond e son vaghi,
volgendosi ver lui non furon lenti.
Non vo però, lettor, che tu ti smaghi
di buon proponimento per udire
come Dio vuol che l debito si paghi.
Non attender la forma del martìre:
pensa la succession; pensa chal peggio
oltre la gran sentenza non può ire.
Io cominciai: «Maestro, quel chio veggio
muovere a noi, non mi sembian persone,
e non so che, sì nel veder vaneggio».
Ed elli a me: «La grave condizione
di lor tormento a terra li rannicchia,
sì che miei occhi pria nebber tencione.
Ma guarda fiso là, e disviticchia
col viso quel che vien sotto a quei sassi:
già scorger puoi come ciascun si picchia».
O superbi cristian, miseri lassi,
che, de la vista de la mente infermi,
fidanza avete ne retrosi passi,
non vaccorgete voi che noi siam vermi
nati a formar langelica farfalla,
che vola a la giustizia sanza schermi?
Di che lanimo vostro in alto galla,
poi siete quasi antomata in difetto,
sì come vermo in cui formazion falla?
Come per sostentar solaio o tetto,
per mensola talvolta una figura
si vede giugner le ginocchia al petto,
la qual fa del non ver vera rancura
nascere n chi la vede; così fatti
vid io color, quando puosi ben cura.
Vero è che più e meno eran contratti
secondo chavien più e meno a dosso;
e qual più pazïenza avea ne li atti,
piangendo parea dicer: Più non posso.
«O Padre nostro, che ne cieli stai,
non circunscritto, ma per più amore
chai primi effetti di là sù tu hai,
laudato sia l tuo nome e l tuo valore
da ogne creatura, com è degno
di render grazie al tuo dolce vapore.
Vegna ver noi la pace del tuo regno,
ché noi ad essa non potem da noi,
sella non vien, con tutto nostro ingegno.
Come del suo voler li angeli tuoi
fan sacrificio a te, cantando osanna,
così facciano li uomini de suoi.
Dà oggi a noi la cotidiana manna,
sanza la qual per questo aspro diserto
a retro va chi più di gir saffanna.
E come noi lo mal chavem sofferto
perdoniamo a ciascuno, e tu perdona
benigno, e non guardar lo nostro merto.
Nostra virtù che di legger sadona,
non spermentar con lantico avversaro,
ma libera da lui che sì la sprona.
Quest ultima preghiera, segnor caro,
già non si fa per noi, ché non bisogna,
ma per color che dietro a noi restaro».
Così a sé e noi buona ramogna
quell ombre orando, andavan sotto l pondo,
simile a quel che talvolta si sogna,
disparmente angosciate tutte a tondo
e lasse su per la prima cornice,
purgando la caligine del mondo.
Se di là sempre ben per noi si dice,
di qua che dire e far per lor si puote
da quei channo al voler buona radice?
Ben si de loro atar lavar le note
che portar quinci, sì che, mondi e lievi,
possano uscire a le stellate ruote.
«Deh, se giustizia e pietà vi disgrievi
tosto, sì che possiate muover lala,
che secondo il disio vostro vi lievi,
mostrate da qual mano inver la scala
si va più corto; e se cè più dun varco,
quel ne nsegnate che men erto cala;
ché questi che vien meco, per lo ncarco
de la carne dAdamo onde si veste,
al montar sù, contra sua voglia, è parco».
Le lor parole, che rendero a queste
che dette avea colui cu io seguiva,
non fur da cui venisser manifeste;
ma fu detto: «A man destra per la riva
con noi venite, e troverete il passo
possibile a salir persona viva.
E sio non fossi impedito dal sasso
che la cervice mia superba doma,
onde portar convienmi il viso basso,
cotesti, chancor vive e non si noma,
guardere io, per veder si l conosco,
e per farlo pietoso a questa soma.
Io fui latino e nato dun gran Tosco:
Guiglielmo Aldobrandesco fu mio padre;
non so se l nome suo già mai fu vosco.
Lantico sangue e lopere leggiadre
di miei maggior mi fer sì arrogante,
che, non pensando a la comune madre,
ogn uomo ebbi in despetto tanto avante,
chio ne mori, come i Sanesi sanno,
e sallo in Campagnatico ogne fante.
Io sono Omberto; e non pur a me danno
superbia fa, ché tutti miei consorti
ha ella tratti seco nel malanno.
E qui convien chio questo peso porti
per lei, tanto che a Dio si sodisfaccia,
poi chio nol fe tra vivi, qui tra morti».
Ascoltando chinai in giù la faccia;
e un di lor, non questi che parlava,
si torse sotto il peso che li mpaccia,
e videmi e conobbemi e chiamava,
tenendo li occhi con fatica fisi
a me che tutto chin con loro andava.
«Oh!», diss io lui, «non se tu Oderisi,
lonor dAgobbio e lonor di quell arte
challuminar chiamata è in Parisi?».
«Frate», diss elli, «più ridon le carte
che pennelleggia Franco Bolognese;
lonore è tutto or suo, e mio in parte.
Ben non sare io stato sì cortese
mentre chio vissi, per lo gran disio
de leccellenza ove mio core intese.
Di tal superbia qui si paga il fio;
e ancor non sarei qui, se non fosse
che, possendo peccar, mi volsi a Dio.
Oh vana gloria de lumane posse!
com poco verde in su la cima dura,
se non è giunta da letati grosse!
Credette Cimabue ne la pittura
tener lo campo, e ora ha Giotto il grido,
sì che la fama di colui è scura.
Così ha tolto luno a laltro Guido
la gloria de la lingua; e forse è nato
chi luno e laltro caccerà del nido.
Non è il mondan romore altro chun fiato
di vento, chor vien quinci e or vien quindi,
e muta nome perché muta lato.
Che voce avrai tu più, se vecchia scindi
da te la carne, che se fossi morto
anzi che tu lasciassi il pappo e l dindi,
pria che passin mill anni? chè più corto
spazio a letterno, chun muover di ciglia
al cerchio che più tardi in cielo è torto.
Colui che del cammin sì poco piglia
dinanzi a me, Toscana sonò tutta;
e ora a pena in Siena sen pispiglia,
ond era sire quando fu distrutta
la rabbia fiorentina, che superba
fu a quel tempo sì com ora è putta.
La vostra nominanza è color derba,
che viene e va, e quei la discolora
per cui ella esce de la terra acerba».
E io a lui: «Tuo vero dir mincora
bona umiltà, e gran tumor mappiani;
ma chi è quei di cui tu parlavi ora?».
«Quelli è», rispuose, «Provenzan Salvani;
ed è qui perché fu presuntüoso
a recar Siena tutta a le sue mani.
Ito è così e va, sanza riposo,
poi che morì; cotal moneta rende
a sodisfar chi è di là troppo oso».
E io: «Se quello spirito chattende,
pria che si penta, lorlo de la vita,
qua giù dimora e qua sù non ascende,
se buona orazïon lui non aita,
prima che passi tempo quanto visse,
come fu la venuta lui largita?».
«Quando vivea più glorïoso», disse,
«liberamente nel Campo di Siena,
ogne vergogna diposta, saffisse;
e lì, per trar lamico suo di pena,
che sostenea ne la prigion di Carlo,
si condusse a tremar per ogne vena.
Più non dirò, e scuro so che parlo;
ma poco tempo andrà, che tuoi vicini
faranno sì che tu potrai chiosarlo.
Quest opera li tolse quei confini».
Di pari, come buoi che vanno a giogo,
mandava io con quell anima carca,
fin che l sofferse il dolce pedagogo.
Ma quando disse: «Lascia lui e varca;
ché qui è buono con lali e coi remi,
quantunque può, ciascun pinger sua barca»;
dritto sì come andar vuolsi rifemi
con la persona, avvegna che i pensieri
mi rimanessero e chinati e scemi.
Io mera mosso, e seguia volontieri
del mio maestro i passi, e amendue
già mostravam com eravam leggeri;
ed el mi disse: «Volgi li occhi in giùe:
buon ti sarà, per tranquillar la via,
veder lo letto de le piante tue».
Come, perché di lor memoria sia,
sovra i sepolti le tombe terragne
portan segnato quel chelli eran pria,
onde lì molte volte si ripiagne
per la puntura de la rimembranza,
che solo a pïi dà de le calcagne;
sì vid io lì, ma di miglior sembianza
secondo lartificio, figurato
quanto per via di fuor del monte avanza.
Vedea colui che fu nobil creato
più chaltra creatura, giù dal cielo
folgoreggiando scender, da lun lato.
Vedëa Brïareo fitto dal telo
celestïal giacer, da laltra parte,
grave a la terra per lo mortal gelo.
Vedea Timbreo, vedea Pallade e Marte,
armati ancora, intorno al padre loro,
mirar le membra di Giganti sparte.
Vedea Nembròt a piè del gran lavoro
quasi smarrito, e riguardar le genti
che n Sennaàr con lui superbi fuoro.
O Nïobè, con che occhi dolenti
vedea io te segnata in su la strada,
tra sette e sette tuoi figliuoli spenti!
O Saùl, come in su la propria spada
quivi parevi morto in Gelboè,
che poi non sentì pioggia né rugiada!
O folle Aragne, sì vedea io te
già mezza ragna, trista in su li stracci
de lopera che mal per te si fé.
O Roboàm, già non par che minacci
quivi l tuo segno; ma pien di spavento
nel porta un carro, sanza chaltri il cacci.
Mostrava ancor lo duro pavimento
come Almeon a sua madre fé caro
parer lo sventurato addornamento.
Mostrava come i figli si gittaro
sovra Sennacherìb dentro dal tempio,
e come, morto lui, quivi il lasciaro.
Mostrava la ruina e l crudo scempio
che fé Tamiri, quando disse a Ciro:
«Sangue sitisti, e io di sangue tempio».
Mostrava come in rotta si fuggiro
li Assiri, poi che fu morto Oloferne,
e anche le reliquie del martiro.
Vedeva Troia in cenere e in caverne;
o Ilïón, come te basso e vile
mostrava il segno che lì si discerne!
Qual di pennel fu maestro o di stile
che ritraesse lombre e tratti chivi
mirar farieno uno ingegno sottile?
Morti li morti e i vivi parean vivi:
non vide mei di me chi vide il vero,
quant io calcai, fin che chinato givi.
Or superbite, e via col viso altero,
figliuoli dEva, e non chinate il volto
sì che veggiate il vostro mal sentero!
Più era già per noi del monte vòlto
e del cammin del sole assai più speso
che non stimava lanimo non sciolto,
quando colui che sempre innanzi atteso
andava, cominciò: «Drizza la testa;
non è più tempo di gir sì sospeso.
Vedi colà un angel che sappresta
per venir verso noi; vedi che torna
dal servigio del dì lancella sesta.
Di reverenza il viso e li atti addorna,
sì che i diletti lo nvïarci in suso;
pensa che questo dì mai non raggiorna!».
Io era ben del suo ammonir uso
pur di non perder tempo, sì che n quella
materia non potea parlarmi chiuso.
A noi venìa la creatura bella,
biancovestito e ne la faccia quale
par tremolando mattutina stella.
Le braccia aperse, e indi aperse lale;
disse: «Venite: qui son presso i gradi,
e agevolemente omai si sale.
A questo invito vegnon molto radi:
o gente umana, per volar sù nata,
perché a poco vento così cadi?».
Menocci ove la roccia era tagliata;
quivi mi batté lali per la fronte;
poi mi promise sicura landata.
Come a man destra, per salire al monte
dove siede la chiesa che soggioga
la ben guidata sopra Rubaconte,
si rompe del montar lardita foga
per le scalee che si fero ad etade
chera sicuro il quaderno e la doga;
così sallenta la ripa che cade
quivi ben ratta da laltro girone;
ma quinci e quindi lalta pietra rade.
Noi volgendo ivi le nostre persone,
Beati pauperes spiritu! voci
cantaron sì, che nol diria sermone.
Ahi quanto son diverse quelle foci
da linfernali! ché quivi per canti
sentra, e là giù per lamenti feroci.
Già montavam su per li scaglion santi,
ed esser mi parea troppo più lieve
che per lo pian non mi parea davanti.
Ond io: «Maestro, dì, qual cosa greve
levata sè da me, che nulla quasi
per me fatica, andando, si riceve?».
Rispuose: «Quando i P che son rimasi
ancor nel volto tuo presso che stinti,
saranno, com è lun, del tutto rasi,
fier li tuoi piè dal buon voler sì vinti,
che non pur non fatica sentiranno,
ma fia diletto loro esser sù pinti».
Allor fec io come color che vanno
con cosa in capo non da lor saputa,
se non che cenni altrui sospecciar fanno;
per che la mano ad accertar saiuta,
e cerca e truova e quello officio adempie
che non si può fornir per la veduta;
e con le dita de la destra scempie
trovai pur sei le lettere che ncise
quel da le chiavi a me sovra le tempie:
a che guardando, il mio duca sorrise.
Noi eravamo al sommo de la scala,
dove secondamente si risega
lo monte che salendo altrui dismala.
Ivi così una cornice lega
dintorno il poggio, come la primaia;
se non che larco suo più tosto piega.
Ombra non lì è né segno che si paia:
parsi la ripa e parsi la via schietta
col livido color de la petraia.
«Se qui per dimandar gente saspetta»,
ragionava il poeta, «io temo forse
che troppo avrà dindugio nostra eletta».
Poi fisamente al sole li occhi porse;
fece del destro lato a muover centro,
e la sinistra parte di sé torse.
«O dolce lume a cui fidanza i entro
per lo novo cammin, tu ne conduci»,
dicea, «come condur si vuol quinc entro.
Tu scaldi il mondo, tu sovr esso luci;
saltra ragione in contrario non ponta,
esser dien sempre li tuoi raggi duci».
Quanto di qua per un migliaio si conta,
tanto di là eravam noi già iti,
con poco tempo, per la voglia pronta;
e verso noi volar furon sentiti,
non però visti, spiriti parlando
a la mensa damor cortesi inviti.
La prima voce che passò volando
Vinum non habent altamente disse,
e dietro a noi landò reïterando.
E prima che del tutto non si udisse
per allungarsi, unaltra I sono Oreste
passò gridando, e anco non saffisse.
«Oh!», diss io, «padre, che voci son queste?».
E com io domandai, ecco la terza
dicendo: Amate da cui male aveste.
E l buon maestro: «Questo cinghio sferza
la colpa de la invidia, e però sono
tratte damor le corde de la ferza.
Lo fren vuol esser del contrario suono;
credo che ludirai, per mio avviso,
prima che giunghi al passo del perdono.
Ma ficca li occhi per laere ben fiso,
e vedrai gente innanzi a noi sedersi,
e ciascun è lungo la grotta assiso».
Allora più che prima li occhi apersi;
guardami innanzi, e vidi ombre con manti
al color de la pietra non diversi.
E poi che fummo un poco più avanti,
udia gridar: Maria, òra per noi:
gridar Michele e Pietro e Tutti santi.
Non credo che per terra vada ancoi
omo sì duro, che non fosse punto
per compassion di quel chi vidi poi;
ché, quando fui sì presso di lor giunto,
che li atti loro a me venivan certi,
per li occhi fui di grave dolor munto.
Di vil ciliccio mi parean coperti,
e lun sofferia laltro con la spalla,
e tutti da la ripa eran sofferti.
Così li ciechi a cui la roba falla,
stanno a perdoni a chieder lor bisogna,
e luno il capo sopra laltro avvalla,
perché n altrui pietà tosto si pogna,
non pur per lo sonar de le parole,
ma per la vista che non meno agogna.
E come a li orbi non approda il sole,
così a lombre quivi, ond io parlo ora,
luce del ciel di sé largir non vole;
ché a tutti un fil di ferro i cigli fóra
e cusce sì, come a sparvier selvaggio
si fa però che queto non dimora.
A me pareva, andando, fare oltraggio,
veggendo altrui, non essendo veduto:
per chio mi volsi al mio consiglio saggio.
Ben sapev ei che volea dir lo muto;
e però non attese mia dimanda,
ma disse: «Parla, e sie breve e arguto».
Virgilio mi venìa da quella banda
de la cornice onde cader si puote,
perché da nulla sponda singhirlanda;
da laltra parte meran le divote
ombre, che per lorribile costura
premevan sì, che bagnavan le gote.
Volsimi a loro e: «O gente sicura»,
incominciai, «di veder lalto lume
che l disio vostro solo ha in sua cura,
se tosto grazia resolva le schiume
di vostra coscïenza sì che chiaro
per essa scenda de la mente il fiume,
ditemi, ché mi fia grazioso e caro,
sanima è qui tra voi che sia latina;
e forse lei sarà buon si lapparo».
«O frate mio, ciascuna è cittadina
duna vera città; ma tu vuo dire
che vivesse in Italia peregrina».
Questo mi parve per risposta udire
più innanzi alquanto che là dov io stava,
ond io mi feci ancor più là sentire.
Tra laltre vidi unombra chaspettava
in vista; e se volesse alcun dir Come?,
lo mento a guisa dorbo in sù levava.
«Spirto», diss io, «che per salir ti dome,
se tu se quelli che mi rispondesti,
fammiti conto o per luogo o per nome».
«Io fui sanese», rispuose, «e con questi
altri rimendo qui la vita ria,
lagrimando a colui che sé ne presti.
Savia non fui, avvegna che Sapìa
fossi chiamata, e fui de li altrui danni
più lieta assai che di ventura mia.
E perché tu non creda chio tinganni,
odi si fui, com io ti dico, folle,
già discendendo larco di miei anni.
Eran li cittadin miei presso a Colle
in campo giunti co loro avversari,
e io pregava Iddio di quel che volle.
Rotti fuor quivi e vòlti ne li amari
passi di fuga; e veggendo la caccia,
letizia presi a tutte altre dispari,
tanto chio volsi in sù lardita faccia,
gridando a Dio: Omai più non ti temo!,
come fé l merlo per poca bonaccia.
Pace volli con Dio in su lo stremo
de la mia vita; e ancor non sarebbe
lo mio dover per penitenza scemo,
se ciò non fosse, cha memoria mebbe
Pier Pettinaio in sue sante orazioni,
a cui di me per caritate increbbe.
Ma tu chi se, che nostre condizioni
vai dimandando, e porti li occhi sciolti,
sì com io credo, e spirando ragioni?».
«Li occhi», diss io, «mi fieno ancor qui tolti,
ma picciol tempo, ché poca è loffesa
fatta per esser con invidia vòlti.
Troppa è più la paura ond è sospesa
lanima mia del tormento di sotto,
che già lo ncarco di là giù mi pesa».
Ed ella a me: «Chi tha dunque condotto
qua sù tra noi, se giù ritornar credi?».
E io: «Costui chè meco e non fa motto.
E vivo sono; e però mi richiedi,
spirito eletto, se tu vuo chi mova
di là per te ancor li mortai piedi».
«Oh, questa è a udir sì cosa nuova»,
rispuose, «che gran segno è che Dio tami;
però col priego tuo talor mi giova.
E cheggioti, per quel che tu più brami,
se mai calchi la terra di Toscana,
che a miei propinqui tu ben mi rinfami.
Tu li vedrai tra quella gente vana
che spera in Talamone, e perderagli
più di speranza cha trovar la Diana;
ma più vi perderanno li ammiragli».
«Chi è costui che l nostro monte cerchia
prima che morte li abbia dato il volo,
e apre li occhi a sua voglia e coverchia?».
«Non so chi sia, ma so che non è solo;
domandal tu che più li tavvicini,
e dolcemente, sì che parli, accolo».
Così due spirti, luno a laltro chini,
ragionavan di me ivi a man dritta;
poi fer li visi, per dirmi, supini;
e disse luno: «O anima che fitta
nel corpo ancora inver lo ciel ten vai,
per carità ne consola e ne ditta
onde vieni e chi se; ché tu ne fai
tanto maravigliar de la tua grazia,
quanto vuol cosa che non fu più mai».
E io: «Per mezza Toscana si spazia
un fiumicel che nasce in Falterona,
e cento miglia di corso nol sazia.
Di sovr esso rech io questa persona:
dirvi chi sia, saria parlare indarno,
ché l nome mio ancor molto non suona».
«Se ben lo ntendimento tuo accarno
con lo ntelletto», allora mi rispuose
quei che diceva pria, «tu parli dArno».
E laltro disse lui: «Perché nascose
questi il vocabol di quella riviera,
pur com om fa de lorribili cose?».
E lombra che di ciò domandata era,
si sdebitò così: «Non so; ma degno
ben è che l nome di tal valle pèra;
ché dal principio suo, ov è sì pregno
lalpestro monte ond è tronco Peloro,
che n pochi luoghi passa oltra quel segno,
infin là ve si rende per ristoro
di quel che l ciel de la marina asciuga,
ond hanno i fiumi ciò che va con loro,
vertù così per nimica si fuga
da tutti come biscia, o per sventura
del luogo, o per mal uso che li fruga:
ond hanno sì mutata lor natura
li abitator de la misera valle,
che par che Circe li avesse in pastura.
Tra brutti porci, più degni di galle
che daltro cibo fatto in uman uso,
dirizza prima il suo povero calle.
Botoli trova poi, venendo giuso,
ringhiosi più che non chiede lor possa,
e da lor disdegnosa torce il muso.
Vassi caggendo; e quant ella più ngrossa,
tanto più trova di can farsi lupi
la maladetta e sventurata fossa.
Discesa poi per più pelaghi cupi,
trova le volpi sì piene di froda,
che non temono ingegno che le occùpi.
Né lascerò di dir perch altri moda;
e buon sarà costui, sancor sammenta
di ciò che vero spirto mi disnoda.
Io veggio tuo nepote che diventa
cacciator di quei lupi in su la riva
del fiero fiume, e tutti li sgomenta.
Vende la carne loro essendo viva;
poscia li ancide come antica belva;
molti di vita e sé di pregio priva.
Sanguinoso esce de la trista selva;
lasciala tal, che di qui a mille anni
ne lo stato primaio non si rinselva».
Com a lannunzio di dogliosi danni
si turba il viso di colui chascolta,
da qual che parte il periglio lassanni,
così vid io laltr anima, che volta
stava a udir, turbarsi e farsi trista,
poi chebbe la parola a sé raccolta.
Lo dir de luna e de laltra la vista
mi fer voglioso di saper lor nomi,
e dimanda ne fei con prieghi mista;
per che lo spirto che di pria parlòmi
ricominciò: «Tu vuo chio mi deduca
nel fare a te ciò che tu far non vuomi.
Ma da che Dio in te vuol che traluca
tanto sua grazia, non ti sarò scarso;
però sappi chio fui Guido del Duca.
Fu il sangue mio dinvidia sì rïarso,
che se veduto avesse uom farsi lieto,
visto mavresti di livore sparso.
Di mia semente cotal paglia mieto;
o gente umana, perché poni l core
là v è mestier di consorte divieto?
Questi è Rinier; questi è l pregio e lonore
de la casa da Calboli, ove nullo
fatto sè reda poi del suo valore.
E non pur lo suo sangue è fatto brullo,
tra l Po e l monte e la marina e l Reno,
del ben richesto al vero e al trastullo;
ché dentro a questi termini è ripieno
di venenosi sterpi, sì che tardi
per coltivare omai verrebber meno.
Ov è l buon Lizio e Arrigo Mainardi?
Pier Traversaro e Guido di Carpigna?
Oh Romagnuoli tornati in bastardi!
Quando in Bologna un Fabbro si ralligna?
quando in Faenza un Bernardin di Fosco,
verga gentil di picciola gramigna?
Non ti maravigliar sio piango, Tosco,
quando rimembro, con Guido da Prata,
Ugolin dAzzo che vivette nosco,
Federigo Tignoso e sua brigata,
la casa Traversara e li Anastagi
(e luna gente e laltra è diretata),
le donne e cavalier, li affanni e li agi
che ne nvogliava amore e cortesia
là dove i cuor son fatti sì malvagi.
O Bretinoro, ché non fuggi via,
poi che gita se nè la tua famiglia
e molta gente per non esser ria?
Ben fa Bagnacaval, che non rifiglia;
e mal fa Castrocaro, e peggio Conio,
che di figliar tai conti più simpiglia.
Ben faranno i Pagan, da che l demonio
lor sen girà; ma non però che puro
già mai rimagna dessi testimonio.
O Ugolin de Fantolin, sicuro
è l nome tuo, da che più non saspetta
chi far lo possa, tralignando, scuro.
Ma va via, Tosco, omai; chor mi diletta
troppo di pianger più che di parlare,
sì mha nostra ragion la mente stretta».
Noi sapavam che quell anime care
ci sentivano andar; però, tacendo,
facëan noi del cammin confidare.
Poi fummo fatti soli procedendo,
folgore parve quando laere fende,
voce che giunse di contra dicendo:
Anciderammi qualunque mapprende;
e fuggì come tuon che si dilegua,
se sùbito la nuvola scoscende.
Come da lei ludir nostro ebbe triegua,
ed ecco laltra con sì gran fracasso,
che somigliò tonar che tosto segua:
«Io sono Aglauro che divenni sasso»;
e allor, per ristrignermi al poeta,
in destro feci, e non innanzi, il passo.
Già era laura dogne parte queta;
ed el mi disse: «Quel fu l duro camo
che dovria luom tener dentro a sua meta.
Ma voi prendete lesca, sì che lamo
de lantico avversaro a sé vi tira;
e però poco val freno o richiamo.
Chiamavi l cielo e ntorno vi si gira,
mostrandovi le sue bellezze etterne,
e locchio vostro pur a terra mira;
onde vi batte chi tutto discerne».
Quanto tra lultimar de lora terza
e l principio del dì par de la spera
che sempre a guisa di fanciullo scherza,
tanto pareva già inver la sera
essere al sol del suo corso rimaso;
vespero là, e qui mezza notte era.
E i raggi ne ferien per mezzo l naso,
perché per noi girato era sì l monte,
che già dritti andavamo inver loccaso,
quand io senti a me gravar la fronte
a lo splendore assai più che di prima,
e stupor meran le cose non conte;
ond io levai le mani inver la cima
de le mie ciglia, e fecimi l solecchio,
che del soverchio visibile lima.
Come quando da lacqua o da lo specchio
salta lo raggio a lopposita parte,
salendo su per lo modo parecchio
a quel che scende, e tanto si diparte
dal cader de la pietra in igual tratta,
sì come mostra esperïenza e arte;
così mi parve da luce rifratta
quivi dinanzi a me esser percosso;
per che a fuggir la mia vista fu ratta.
«Che è quel, dolce padre, a che non posso
schermar lo viso tanto che mi vaglia»,
diss io, «e pare inver noi esser mosso?».
«Non ti maravigliar sancor tabbaglia
la famiglia del cielo», a me rispuose:
«messo è che viene ad invitar chom saglia.
Tosto sarà cha veder queste cose
non ti fia grave, ma fieti diletto
quanto natura a sentir ti dispuose».
Poi giunti fummo a langel benedetto,
con lieta voce disse: «Intrate quinci
ad un scaleo vie men che li altri eretto».
Noi montavam, già partiti di linci,
e Beati misericordes! fue
cantato retro, e Godi tu che vinci!.
Lo mio maestro e io soli amendue
suso andavamo; e io pensai, andando,
prode acquistar ne le parole sue;
e dirizzami a lui sì dimandando:
«Che volse dir lo spirto di Romagna,
e divieto e consorte menzionando?».
Per chelli a me: «Di sua maggior magagna
conosce il danno; e però non sammiri
se ne riprende perché men si piagna.
Perché sappuntano i vostri disiri
dove per compagnia parte si scema,
invidia move il mantaco a sospiri.
Ma se lamor de la spera supprema
torcesse in suso il disiderio vostro,
non vi sarebbe al petto quella tema;
ché, per quanti si dice più lì nostro,
tanto possiede più di ben ciascuno,
e più di caritate arde in quel chiostro».
«Io son desser contento più digiuno»,
diss io, «che se mi fosse pria taciuto,
e più di dubbio ne la mente aduno.
Com esser puote chun ben, distributo
in più posseditor, faccia più ricchi
di sé che se da pochi è posseduto?».
Ed elli a me: «Però che tu rificchi
la mente pur a le cose terrene,
di vera luce tenebre dispicchi.
Quello infinito e ineffabil bene
che là sù è, così corre ad amore
com a lucido corpo raggio vene.
Tanto si dà quanto trova dardore;
sì che, quantunque carità si stende,
cresce sovr essa letterno valore.
E quanta gente più là sù sintende,
più vè da bene amare, e più vi sama,
e come specchio luno a laltro rende.
E se la mia ragion non ti disfama,
vedrai Beatrice, ed ella pienamente
ti torrà questa e ciascun altra brama.
Procaccia pur che tosto sieno spente,
come son già le due, le cinque piaghe,
che si richiudon per esser dolente».
Com io voleva dicer Tu mappaghe,
vidimi giunto in su laltro girone,
sì che tacer mi fer le luci vaghe.
Ivi mi parve in una visïone
estatica di sùbito esser tratto,
e vedere in un tempio più persone;
e una donna, in su lentrar, con atto
dolce di madre dicer: «Figliuol mio,
perché hai tu così verso noi fatto?
Ecco, dolenti, lo tuo padre e io
ti cercavamo». E come qui si tacque,
ciò che pareva prima, dispario.
Indi mapparve unaltra con quell acque
giù per le gote che l dolor distilla
quando di gran dispetto in altrui nacque,
e dir: «Se tu se sire de la villa
del cui nome ne dèi fu tanta lite,
e onde ogne scïenza disfavilla,
vendica te di quelle braccia ardite
chabbracciar nostra figlia, o Pisistràto».
E l segnor mi parea, benigno e mite,
risponder lei con viso temperato:
«Che farem noi a chi mal ne disira,
se quei che ci ama è per noi condannato?»,
Poi vidi genti accese in foco dira
con pietre un giovinetto ancider, forte
gridando a sé pur: «Martira, martira!».
E lui vedea chinarsi, per la morte
che laggravava già, inver la terra,
ma de li occhi facea sempre al ciel porte,
orando a lalto Sire, in tanta guerra,
che perdonasse a suoi persecutori,
con quello aspetto che pietà diserra.
Quando lanima mia tornò di fori
a le cose che son fuor di lei vere,
io riconobbi i miei non falsi errori.
Lo duca mio, che mi potea vedere
far sì com om che dal sonno si slega,
disse: «Che hai che non ti puoi tenere,
ma se venuto più che mezza lega
velando li occhi e con le gambe avvolte,
a guisa di cui vino o sonno piega?».
«O dolce padre mio, se tu mascolte,
io ti dirò», diss io, «ciò che mapparve
quando le gambe mi furon sì tolte».
Ed ei: «Se tu avessi cento larve
sovra la faccia, non mi sarian chiuse
le tue cogitazion, quantunque parve.
Ciò che vedesti fu perché non scuse
daprir lo core a lacque de la pace
che da letterno fonte son diffuse.
Non dimandai Che hai? per quel che face
chi guarda pur con locchio che non vede,
quando disanimato il corpo giace;
ma dimandai per darti forza al piede:
così frugar conviensi i pigri, lenti
ad usar lor vigilia quando riede».
Noi andavam per lo vespero, attenti
oltre quanto potean li occhi allungarsi
contra i raggi serotini e lucenti.
Ed ecco a poco a poco un fummo farsi
verso di noi come la notte oscuro;
né da quello era loco da cansarsi.
Questo ne tolse li occhi e laere puro.
Buio dinferno e di notte privata
dogne pianeto, sotto pover cielo,
quant esser può di nuvol tenebrata,
non fece al viso mio sì grosso velo
come quel fummo chivi ci coperse,
né a sentir di così aspro pelo,
che locchio stare aperto non sofferse;
onde la scorta mia saputa e fida
mi saccostò e lomero mofferse.
Sì come cieco va dietro a sua guida
per non smarrirsi e per non dar di cozzo
in cosa che l molesti, o forse ancida,
mandava io per laere amaro e sozzo,
ascoltando il mio duca che diceva
pur: «Guarda che da me tu non sia mozzo».
Io sentia voci, e ciascuna pareva
pregar per pace e per misericordia
lAgnel di Dio che le peccata leva.
Pur Agnus Dei eran le loro essordia;
una parola in tutte era e un modo,
sì che parea tra esse ogne concordia.
«Quei sono spirti, maestro, chi odo?»,
diss io. Ed elli a me: «Tu vero apprendi,
e diracundia van solvendo il nodo».
«Or tu chi se che l nostro fummo fendi,
e di noi parli pur come se tue
partissi ancor lo tempo per calendi?».
Così per una voce detto fue;
onde l maestro mio disse: «Rispondi,
e domanda se quinci si va sùe».
E io: «O creatura che ti mondi
per tornar bella a colui che ti fece,
maraviglia udirai, se mi secondi».
«Io ti seguiterò quanto mi lece»,
rispuose; «e se veder fummo non lascia,
ludir ci terrà giunti in quella vece».
Allora incominciai: «Con quella fascia
che la morte dissolve men vo suso,
e venni qui per linfernale ambascia.
E se Dio mha in sua grazia rinchiuso,
tanto che vuol chi veggia la sua corte
per modo tutto fuor del moderno uso,
non mi celar chi fosti anzi la morte,
ma dilmi, e dimmi si vo bene al varco;
e tue parole fier le nostre scorte».
«Lombardo fui, e fu chiamato Marco;
del mondo seppi, e quel valore amai
al quale ha or ciascun disteso larco.
Per montar sù dirittamente vai».
Così rispuose, e soggiunse: «I ti prego
che per me prieghi quando sù sarai».
E io a lui: «Per fede mi ti lego
di far ciò che mi chiedi; ma io scoppio
dentro ad un dubbio, sio non me ne spiego.
Prima era scempio, e ora è fatto doppio
ne la sentenza tua, che mi fa certo
qui, e altrove, quello ov io laccoppio.
Lo mondo è ben così tutto diserto
dogne virtute, come tu mi sone,
e di malizia gravido e coverto;
ma priego che maddite la cagione,
sì chi la veggia e chi la mostri altrui;
ché nel cielo uno, e un qua giù la pone».
Alto sospir, che duolo strinse in «uhi!»,
mise fuor prima; e poi cominciò: «Frate,
lo mondo è cieco, e tu vien ben da lui.
Voi che vivete ogne cagion recate
pur suso al cielo, pur come se tutto
movesse seco di necessitate.
Se così fosse, in voi fora distrutto
libero arbitrio, e non fora giustizia
per ben letizia, e per male aver lutto.
Lo cielo i vostri movimenti inizia;
non dico tutti, ma, posto chi l dica,
lume vè dato a bene e a malizia,
e libero voler; che, se fatica
ne le prime battaglie col ciel dura,
poi vince tutto, se ben si notrica.
A maggior forza e a miglior natura
liberi soggiacete; e quella cria
la mente in voi, che l ciel non ha in sua cura.
Però, se l mondo presente disvia,
in voi è la cagione, in voi si cheggia;
e io te ne sarò or vera spia.
Esce di mano a lui che la vagheggia
prima che sia, a guisa di fanciulla
che piangendo e ridendo pargoleggia,
lanima semplicetta che sa nulla,
salvo che, mossa da lieto fattore,
volontier torna a ciò che la trastulla.
Di picciol bene in pria sente sapore;
quivi singanna, e dietro ad esso corre,
se guida o fren non torce suo amore.
Onde convenne legge per fren porre;
convenne rege aver, che discernesse
de la vera cittade almen la torre.
Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?
Nullo, però che l pastor che procede,
rugumar può, ma non ha lunghie fesse;
per che la gente, che sua guida vede
pur a quel ben fedire ond ella è ghiotta,
di quel si pasce, e più oltre non chiede.
Ben puoi veder che la mala condotta
è la cagion che l mondo ha fatto reo,
e non natura che n voi sia corrotta.
Soleva Roma, che l buon mondo feo,
due soli aver, che luna e laltra strada
facean vedere, e del mondo e di Deo.
Lun laltro ha spento; ed è giunta la spada
col pasturale, e lun con laltro insieme
per viva forza mal convien che vada;
però che, giunti, lun laltro non teme:
se non mi credi, pon mente a la spiga,
chogn erba si conosce per lo seme.
In sul paese chAdice e Po riga,
solea valore e cortesia trovarsi,
prima che Federigo avesse briga;
or può sicuramente indi passarsi
per qualunque lasciasse, per vergogna
di ragionar coi buoni o dappressarsi.
Ben vèn tre vecchi ancora in cui rampogna
lantica età la nova, e par lor tardo
che Dio a miglior vita li ripogna:
Currado da Palazzo e l buon Gherardo
e Guido da Castel, che mei si noma,
francescamente, il semplice Lombardo.
Dì oggimai che la Chiesa di Roma,
per confondere in sé due reggimenti,
cade nel fango, e sé brutta e la soma».
«O Marco mio», diss io, «bene argomenti;
e or discerno perché dal retaggio
li figli di Levì furono essenti.
Ma qual Gherardo è quel che tu per saggio
di chè rimaso de la gente spenta,
in rimprovèro del secol selvaggio?».
«O tuo parlar minganna, o el mi tenta»,
rispuose a me; «ché, parlandomi tosco,
par che del buon Gherardo nulla senta.
Per altro sopranome io nol conosco,
sio nol togliessi da sua figlia Gaia.
Dio sia con voi, ché più non vegno vosco.
Vedi lalbor che per lo fummo raia
già biancheggiare, e me convien partirmi
(langelo è ivi) prima chio li paia».
Così tornò, e più non volle udirmi.
Ricorditi, lettor, se mai ne lalpe
ti colse nebbia per la qual vedessi
non altrimenti che per pelle talpe,
come, quando i vapori umidi e spessi
a diradar cominciansi, la spera
del sol debilemente entra per essi;
e fia la tua imagine leggera
in giugnere a veder com io rividi
lo sole in pria, che già nel corcar era.
Sì, pareggiando i miei co passi fidi
del mio maestro, usci fuor di tal nube
ai raggi morti già ne bassi lidi.
O imaginativa che ne rube
talvolta sì di fuor, chom non saccorge
perché dintorno suonin mille tube,
chi move te, se l senso non ti porge?
Moveti lume che nel ciel sinforma,
per sé o per voler che giù lo scorge.
De lempiezza di lei che mutò forma
ne luccel cha cantar più si diletta,
ne limagine mia apparve lorma;
e qui fu la mia mente sì ristretta
dentro da sé, che di fuor non venìa
cosa che fosse allor da lei ricetta.
Poi piovve dentro a lalta fantasia
un crucifisso, dispettoso e fero
ne la sua vista, e cotal si moria;
intorno ad esso era il grande Assüero,
Estèr sua sposa e l giusto Mardoceo,
che fu al dire e al far così intero.
E come questa imagine rompeo
sé per sé stessa, a guisa duna bulla
cui manca lacqua sotto qual si feo,
surse in mia visïone una fanciulla
piangendo forte, e dicea: «O regina,
perché per ira hai voluto esser nulla?
Ancisa thai per non perder Lavina;
or mhai perduta! Io son essa che lutto,
madre, a la tua pria cha laltrui ruina».
Come si frange il sonno ove di butto
nova luce percuote il viso chiuso,
che fratto guizza pria che muoia tutto;
così limaginar mio cadde giuso
tosto che lume il volto mi percosse,
maggior assai che quel chè in nostro uso.
I mi volgea per veder ov io fosse,
quando una voce disse «Qui si monta»,
che da ogne altro intento mi rimosse;
e fece la mia voglia tanto pronta
di riguardar chi era che parlava,
che mai non posa, se non si raffronta.
Ma come al sol che nostra vista grava
e per soverchio sua figura vela,
così la mia virtù quivi mancava.
«Questo è divino spirito, che ne la
via da ir sù ne drizza sanza prego,
e col suo lume sé medesmo cela.
Sì fa con noi, come luom si fa sego;
ché quale aspetta prego e luopo vede,
malignamente già si mette al nego.
Or accordiamo a tanto invito il piede;
procacciam di salir pria che sabbui,
ché poi non si poria, se l dì non riede».
Così disse il mio duca, e io con lui
volgemmo i nostri passi ad una scala;
e tosto chio al primo grado fui,
sentimi presso quasi un muover dala
e ventarmi nel viso e dir: Beati
pacifici, che son sanz ira mala!.
Già eran sovra noi tanto levati
li ultimi raggi che la notte segue,
che le stelle apparivan da più lati.
O virtù mia, perché sì ti dilegue?,
fra me stesso dicea, ché mi sentiva
la possa de le gambe posta in triegue.
Noi eravam dove più non saliva
la scala sù, ed eravamo affissi,
pur come nave cha la piaggia arriva.
E io attesi un poco, sio udissi
alcuna cosa nel novo girone;
poi mi volsi al maestro mio, e dissi:
«Dolce mio padre, dì, quale offensione
si purga qui nel giro dove semo?
Se i piè si stanno, non stea tuo sermone».
Ed elli a me: «Lamor del bene, scemo
del suo dover, quiritta si ristora;
qui si ribatte il mal tardato remo.
Ma perché più aperto intendi ancora,
volgi la mente a me, e prenderai
alcun buon frutto di nostra dimora».
«Né creator né creatura mai»,
cominciò el, «figliuol, fu sanza amore,
o naturale o danimo; e tu l sai.
Lo naturale è sempre sanza errore,
ma laltro puote errar per malo obietto
o per troppo o per poco di vigore.
Mentre chelli è nel primo ben diretto,
e ne secondi sé stesso misura,
esser non può cagion di mal diletto;
ma quando al mal si torce, o con più cura
o con men che non dee corre nel bene,
contra l fattore adovra sua fattura.
Quinci comprender puoi chesser convene
amor sementa in voi dogne virtute
e dogne operazion che merta pene.
Or, perché mai non può da la salute
amor del suo subietto volger viso,
da lodio proprio son le cose tute;
e perché intender non si può diviso,
e per sé stante, alcuno esser dal primo,
da quello odiare ogne effetto è deciso.
Resta, se dividendo bene stimo,
che l mal che sama è del prossimo; ed esso
amor nasce in tre modi in vostro limo.
È chi, per esser suo vicin soppresso,
spera eccellenza, e sol per questo brama
chel sia di sua grandezza in basso messo;
è chi podere, grazia, onore e fama
teme di perder perch altri sormonti,
onde sattrista sì che l contrario ama;
ed è chi per ingiuria par chaonti,
sì che si fa de la vendetta ghiotto,
e tal convien che l male altrui impronti.
Questo triforme amor qua giù di sotto
si piange: or vo che tu de laltro intende,
che corre al ben con ordine corrotto.
Ciascun confusamente un bene apprende
nel qual si queti lanimo, e disira;
per che di giugner lui ciascun contende.
Se lento amore a lui veder vi tira
o a lui acquistar, questa cornice,
dopo giusto penter, ve ne martira.
Altro ben è che non fa luom felice;
non è felicità, non è la buona
essenza, dogne ben frutto e radice.
Lamor chad esso troppo sabbandona,
di sovr a noi si piange per tre cerchi;
ma come tripartito si ragiona,
tacciolo, acciò che tu per te ne cerchi».
Posto avea fine al suo ragionamento
lalto dottore, e attento guardava
ne la mia vista sio parea contento;
e io, cui nova sete ancor frugava,
di fuor tacea, e dentro dicea: Forse
lo troppo dimandar chio fo li grava.
Ma quel padre verace, che saccorse
del timido voler che non sapriva,
parlando, di parlare ardir mi porse.
Ond io: «Maestro, il mio veder savviva
sì nel tuo lume, chio discerno chiaro
quanto la tua ragion parta o descriva.
Però ti prego, dolce padre caro,
che mi dimostri amore, a cui reduci
ogne buono operare e l suo contraro».
«Drizza», disse, «ver me lagute luci
de lo ntelletto, e fieti manifesto
lerror de ciechi che si fanno duci.
Lanimo, chè creato ad amar presto,
ad ogne cosa è mobile che piace,
tosto che dal piacere in atto è desto.
Vostra apprensiva da esser verace
tragge intenzione, e dentro a voi la spiega,
sì che lanimo ad essa volger face;
e se, rivolto, inver di lei si piega,
quel piegare è amor, quell è natura
che per piacer di novo in voi si lega.
Poi, come l foco movesi in altura
per la sua forma chè nata a salire
là dove più in sua matera dura,
così lanimo preso entra in disire,
chè moto spiritale, e mai non posa
fin che la cosa amata il fa gioire.
Or ti puote apparer quant è nascosa
la veritate a la gente chavvera
ciascun amore in sé laudabil cosa;
però che forse appar la sua matera
sempre esser buona, ma non ciascun segno
è buono, ancor che buona sia la cera».
«Le tue parole e l mio seguace ingegno»,
rispuos io lui, «mhanno amor discoverto,
ma ciò mha fatto di dubbiar più pregno;
ché, samore è di fuori a noi offerto
e lanima non va con altro piede,
se dritta o torta va, non è suo merto».
Ed elli a me: «Quanto ragion qui vede,
dir ti poss io; da indi in là taspetta
pur a Beatrice, chè opra di fede.
Ogne forma sustanzïal, che setta
è da matera ed è con lei unita,
specifica vertute ha in sé colletta,
la qual sanza operar non è sentita,
né si dimostra mai che per effetto,
come per verdi fronde in pianta vita.
Però, là onde vegna lo ntelletto
de le prime notizie, omo non sape,
e de primi appetibili laffetto,
che sono in voi sì come studio in ape
di far lo mele; e questa prima voglia
merto di lode o di biasmo non cape.
Or perché a questa ogn altra si raccoglia,
innata vè la virtù che consiglia,
e de lassenso de tener la soglia.
Quest è l principio là onde si piglia
ragion di meritare in voi, secondo
che buoni e rei amori accoglie e viglia.
Color che ragionando andaro al fondo,
saccorser desta innata libertate;
però moralità lasciaro al mondo.
Onde, poniam che di necessitate
surga ogne amor che dentro a voi saccende,
di ritenerlo è in voi la podestate.
La nobile virtù Beatrice intende
per lo libero arbitrio, e però guarda
che labbi a mente, sa parlar ten prende».
La luna, quasi a mezza notte tarda,
facea le stelle a noi parer più rade,
fatta com un secchion che tuttor arda;
e correa contro l ciel per quelle strade
che l sole infiamma allor che quel da Roma
tra Sardi e Corsi il vede quando cade.
E quell ombra gentil per cui si noma
Pietola più che villa mantoana,
del mio carcar diposta avea la soma;
per chio, che la ragione aperta e piana
sovra le mie quistioni avea ricolta,
stava com om che sonnolento vana.
Ma questa sonnolenza mi fu tolta
subitamente da gente che dopo
le nostre spalle a noi era già volta.
E quale Ismeno già vide e Asopo
lungo di sè di notte furia e calca,
pur che i Teban di Bacco avesser uopo,
cotal per quel giron suo passo falca,
per quel chio vidi di color, venendo,
cui buon volere e giusto amor cavalca.
Tosto fur sovr a noi, perché correndo
si movea tutta quella turba magna;
e due dinanzi gridavan piangendo:
«Maria corse con fretta a la montagna;
e Cesare, per soggiogare Ilerda,
punse Marsilia e poi corse in Ispagna».
«Ratto, ratto, che l tempo non si perda
per poco amor», gridavan li altri appresso,
«che studio di ben far grazia rinverda».
«O gente in cui fervore aguto adesso
ricompie forse negligenza e indugio
da voi per tepidezza in ben far messo,
questi che vive, e certo i non vi bugio,
vuole andar sù, pur che l sol ne riluca;
però ne dite ond è presso il pertugio».
Parole furon queste del mio duca;
e un di quelli spirti disse: «Vieni
di retro a noi, e troverai la buca.
Noi siam di voglia a muoverci sì pieni,
che restar non potem; però perdona,
se villania nostra giustizia tieni.
Io fui abate in San Zeno a Verona
sotto lo mperio del buon Barbarossa,
di cui dolente ancor Milan ragiona.
E tale ha già lun piè dentro la fossa,
che tosto piangerà quel monastero,
e tristo fia davere avuta possa;
perché suo figlio, mal del corpo intero,
e de la mente peggio, e che mal nacque,
ha posto in loco di suo pastor vero».
Io non so se più disse o sei si tacque,
tant era già di là da noi trascorso;
ma questo intesi, e ritener mi piacque.
E quei che mera ad ogne uopo soccorso
disse: «Volgiti qua: vedine due
venir dando a laccidïa di morso».
Di retro a tutti dicean: «Prima fue
morta la gente a cui il mar saperse,
che vedesse Iordan le rede sue.
E quella che laffanno non sofferse
fino a la fine col figlio dAnchise,
sé stessa a vita sanza gloria offerse».
Poi quando fuor da noi tanto divise
quell ombre, che veder più non potiersi,
novo pensiero dentro a me si mise,
del qual più altri nacquero e diversi;
e tanto duno in altro vaneggiai,
che li occhi per vaghezza ricopersi,
e l pensamento in sogno trasmutai.
Ne lora che non può l calor dïurno
intepidar più l freddo de la luna,
vinto da terra, e talor da Saturno
quando i geomanti lor Maggior Fortuna
veggiono in orïente, innanzi a lalba,
surger per via che poco le sta bruna,
mi venne in sogno una femmina balba,
ne li occhi guercia, e sovra i piè distorta,
con le man monche, e di colore scialba.
Io la mirava; e come l sol conforta
le fredde membra che la notte aggrava,
così lo sguardo mio le facea scorta
la lingua, e poscia tutta la drizzava
in poco dora, e lo smarrito volto,
com amor vuol, così le colorava.
Poi chell avea l parlar così disciolto,
cominciava a cantar sì, che con pena
da lei avrei mio intento rivolto.
«Io son», cantava, «io son dolce serena,
che marinari in mezzo mar dismago;
tanto son di piacere a sentir piena!
Io volsi Ulisse del suo cammin vago
al canto mio; e qual meco sausa,
rado sen parte; sì tutto lappago!».
Ancor non era sua bocca richiusa,
quand una donna apparve santa e presta
lunghesso me per far colei confusa.
«O Virgilio, Virgilio, chi è questa?»,
fieramente dicea; ed el venìa
con li occhi fitti pur in quella onesta.
Laltra prendea, e dinanzi lapria
fendendo i drappi, e mostravami l ventre;
quel mi svegliò col puzzo che nuscia.
Io mossi li occhi, e l buon maestro: «Almen tre
voci tho messe!», dicea, «Surgi e vieni;
troviam laperta per la qual tu entre».
Sù mi levai, e tutti eran già pieni
de lalto dì i giron del sacro monte,
e andavam col sol novo a le reni.
Seguendo lui, portava la mia fronte
come colui che lha di pensier carca,
che fa di sé un mezzo arco di ponte;
quand io udi «Venite; qui si varca»
parlare in modo soave e benigno,
qual non si sente in questa mortal marca.
Con lali aperte, che parean di cigno,
volseci in sù colui che sì parlonne
tra due pareti del duro macigno.
Mosse le penne poi e ventilonne,
Qui lugent affermando esser beati,
chavran di consolar lanime donne.
«Che hai che pur inver la terra guati?»,
la guida mia incominciò a dirmi,
poco amendue da langel sormontati.
E io: «Con tanta sospeccion fa irmi
novella visïon cha sé mi piega,
sì chio non posso dal pensar partirmi».
«Vedesti», disse, «quellantica strega
che sola sovr a noi omai si piagne;
vedesti come luom da lei si slega.
Bastiti, e batti a terra le calcagne;
li occhi rivolgi al logoro che gira
lo rege etterno con le rote magne».
Quale l falcon, che prima a pié si mira,
indi si volge al grido e si protende
per lo disio del pasto che là il tira,
tal mi fec io; e tal, quanto si fende
la roccia per dar via a chi va suso,
nandai infin dove l cerchiar si prende.
Com io nel quinto giro fui dischiuso,
vidi gente per esso che piangea,
giacendo a terra tutta volta in giuso.
Adhaesit pavimento anima mea
sentia dir lor con sì alti sospiri,
che la parola a pena sintendea.
«O eletti di Dio, li cui soffriri
e giustizia e speranza fa men duri,
drizzate noi verso li alti saliri».
«Se voi venite dal giacer sicuri,
e volete trovar la via più tosto,
le vostre destre sien sempre di fori».
Così pregò l poeta, e sì risposto
poco dinanzi a noi ne fu; per chio
nel parlare avvisai laltro nascosto,
e volsi li occhi a li occhi al segnor mio:
ond elli massentì con lieto cenno
ciò che chiedea la vista del disio.
Poi chio potei di me fare a mio senno,
trassimi sovra quella creatura
le cui parole pria notar mi fenno,
dicendo: «Spirto in cui pianger matura
quel sanza l quale a Dio tornar non pòssi,
sosta un poco per me tua maggior cura.
Chi fosti e perché vòlti avete i dossi
al sù, mi dì, e se vuo chio timpetri
cosa di là ond io vivendo mossi».
Ed elli a me: «Perché i nostri diretri
rivolga il cielo a sé, saprai; ma prima
scias quod ego fui successor Petri.
Intra Sïestri e Chiaveri sadima
una fiumana bella, e del suo nome
lo titol del mio sangue fa sua cima.
Un mese e poco più prova io come
pesa il gran manto a chi dal fango il guarda,
che piuma sembran tutte laltre some.
La mia conversïone, omè!, fu tarda;
ma, come fatto fui roman pastore,
così scopersi la vita bugiarda.
Vidi che lì non sacquetava il core,
né più salir potiesi in quella vita;
per che di questa in me saccese amore.
Fino a quel punto misera e partita
da Dio anima fui, del tutto avara;
or, come vedi, qui ne son punita.
Quel chavarizia fa, qui si dichiara
in purgazion de lanime converse;
e nulla pena il monte ha più amara.
Sì come locchio nostro non saderse
in alto, fisso a le cose terrene,
così giustizia qui a terra il merse.
Come avarizia spense a ciascun bene
lo nostro amore, onde operar perdési,
così giustizia qui stretti ne tene,
ne piedi e ne le man legati e presi;
e quanto fia piacer del giusto Sire,
tanto staremo immobili e distesi».
Io mera inginocchiato e volea dire;
ma com io cominciai ed el saccorse,
solo ascoltando, del mio reverire,
«Qual cagion», disse, «in giù così ti torse?».
E io a lui: «Per vostra dignitate
mia coscïenza dritto mi rimorse».
«Drizza le gambe, lèvati sù, frate!»,
rispuose; «non errar: conservo sono
teco e con li altri ad una podestate.
Se mai quel santo evangelico suono
che dice Neque nubent intendesti,
ben puoi veder perch io così ragiono.
Vattene omai: non vo che più tarresti;
ché la tua stanza mio pianger disagia,
col qual maturo ciò che tu dicesti.
Nepote ho io di là cha nome Alagia,
buona da sé, pur che la nostra casa
non faccia lei per essempro malvagia;
e questa sola di là mè rimasa».
Contra miglior voler voler mal pugna;
onde contra l piacer mio, per piacerli,
trassi de lacqua non sazia la spugna.
Mossimi; e l duca mio si mosse per li
luoghi spediti pur lungo la roccia,
come si va per muro stretto a merli;
ché la gente che fonde a goccia a goccia
per li occhi il mal che tutto l mondo occupa,
da laltra parte in fuor troppo sapproccia.
Maladetta sie tu, antica lupa,
che più che tutte laltre bestie hai preda
per la tua fame sanza fine cupa!
O ciel, nel cui girar par che si creda
le condizion di qua giù trasmutarsi,
quando verrà per cui questa disceda?
Noi andavam con passi lenti e scarsi,
e io attento a lombre, chi sentia
pietosamente piangere e lagnarsi;
e per ventura udi «Dolce Maria!»
dinanzi a noi chiamar così nel pianto
come fa donna che in parturir sia;
e seguitar: «Povera fosti tanto,
quanto veder si può per quello ospizio
dove sponesti il tuo portato santo».
Seguentemente intesi: «O buon Fabrizio,
con povertà volesti anzi virtute
che gran ricchezza posseder con vizio».
Queste parole meran sì piaciute,
chio mi trassi oltre per aver contezza
di quello spirto onde parean venute.
Esso parlava ancor de la larghezza
che fece Niccolò a le pulcelle,
per condurre ad onor lor giovinezza.
«O anima che tanto ben favelle,
dimmi chi fosti», dissi, «e perché sola
tu queste degne lode rinovelle.
Non fia sanza mercé la tua parola,
sio ritorno a compiér lo cammin corto
di quella vita chal termine vola».
Ed elli: «Io ti dirò, non per conforto
chio attenda di là, ma perché tanta
grazia in te luce prima che sie morto.
Io fui radice de la mala pianta
che la terra cristiana tutta aduggia,
sì che buon frutto rado se ne schianta.
Ma se Doagio, Lilla, Guanto e Bruggia
potesser, tosto ne saria vendetta;
e io la cheggio a lui che tutto giuggia.
Chiamato fui di là Ugo Ciappetta;
di me son nati i Filippi e i Luigi
per cui novellamente è Francia retta.
Figliuol fu io dun beccaio di Parigi:
quando li regi antichi venner meno
tutti, fuor chun renduto in panni bigi,
trovami stretto ne le mani il freno
del governo del regno, e tanta possa
di nuovo acquisto, e sì damici pieno,
cha la corona vedova promossa
la testa di mio figlio fu, dal quale
cominciar di costor le sacrate ossa.
Mentre che la gran dota provenzale
al sangue mio non tolse la vergogna,
poco valea, ma pur non facea male.
Lì cominciò con forza e con menzogna
la sua rapina; e poscia, per ammenda,
Pontì e Normandia prese e Guascogna.
Carlo venne in Italia e, per ammenda,
vittima fé di Curradino; e poi
ripinse al ciel Tommaso, per ammenda.
Tempo vegg io, non molto dopo ancoi,
che tragge un altro Carlo fuor di Francia,
per far conoscer meglio e sé e suoi.
Sanz arme nesce e solo con la lancia
con la qual giostrò Giuda, e quella ponta
sì, cha Fiorenza fa scoppiar la pancia.
Quindi non terra, ma peccato e onta
guadagnerà, per sé tanto più grave,
quanto più lieve simil danno conta.
Laltro, che già uscì preso di nave,
veggio vender sua figlia e patteggiarne
come fanno i corsar de laltre schiave.
O avarizia, che puoi tu più farne,
poscia cha il mio sangue a te sì tratto,
che non si cura de la propria carne?
Perché men paia il mal futuro e l fatto,
veggio in Alagna intrar lo fiordaliso,
e nel vicario suo Cristo esser catto.
Veggiolo unaltra volta esser deriso;
veggio rinovellar laceto e l fiele,
e tra vivi ladroni esser anciso.
Veggio il novo Pilato sì crudele,
che ciò nol sazia, ma sanza decreto
portar nel Tempio le cupide vele.
O Segnor mio, quando sarò io lieto
a veder la vendetta che, nascosa,
fa dolce lira tua nel tuo secreto?
Ciò chio dicea di quell unica sposa
de lo Spirito Santo e che ti fece
verso me volger per alcuna chiosa,
tanto è risposto a tutte nostre prece
quanto l dì dura; ma com el sannotta,
contrario suon prendemo in quella vece.
Noi repetiam Pigmalïon allotta,
cui traditore e ladro e paricida
fece la voglia sua de loro ghiotta;
e la miseria de lavaro Mida,
che seguì a la sua dimanda gorda,
per la qual sempre convien che si rida.
Del folle Acàn ciascun poi si ricorda,
come furò le spoglie, sì che lira
di Iosüè qui par chancor lo morda.
Indi accusiam col marito Saffira;
lodiam i calci chebbe Elïodoro;
e in infamia tutto l monte gira
Polinestòr chancise Polidoro;
ultimamente ci si grida: Crasso,
dilci, che l sai: di che sapore è loro?.
Talor parla luno alto e laltro basso,
secondo laffezion chad ir ci sprona
ora a maggiore e ora a minor passo:
però al ben che l dì ci si ragiona,
dianzi non era io sol; ma qui da presso
non alzava la voce altra persona».
Noi eravam partiti già da esso,
e brigavam di soverchiar la strada
tanto quanto al poder nera permesso,
quand io senti, come cosa che cada,
tremar lo monte; onde mi prese un gelo
qual prender suol colui cha morte vada.
Certo non si scoteo sì forte Delo,
pria che Latona in lei facesse l nido
a parturir li due occhi del cielo.
Poi cominciò da tutte parti un grido
tal, che l maestro inverso me si feo,
dicendo: «Non dubbiar, mentr io ti guido».
Glorïa in excelsis tutti Deo
dicean, per quel chio da vicin compresi,
onde intender lo grido si poteo.
No istavamo immobili e sospesi
come i pastor che prima udir quel canto,
fin che l tremar cessò ed el compiési.
Poi ripigliammo nostro cammin santo,
guardando lombre che giacean per terra,
tornate già in su lusato pianto.
Nulla ignoranza mai con tanta guerra
mi fé desideroso di sapere,
se la memoria mia in ciò non erra,
quanta pareami allor, pensando, avere;
né per la fretta dimandare er oso,
né per me lì potea cosa vedere:
così mandava timido e pensoso.
La sete natural che mai non sazia
se non con lacqua onde la femminetta
samaritana domandò la grazia,
mi travagliava, e pungeami la fretta
per la mpacciata via dietro al mio duca,
e condoleami a la giusta vendetta.
Ed ecco, sì come ne scrive Luca
che Cristo apparve a due cherano in via,
già surto fuor de la sepulcral buca,
ci apparve unombra, e dietro a noi venìa,
dal piè guardando la turba che giace;
né ci addemmo di lei, sì parlò pria,
dicendo: «O frati miei, Dio vi dea pace».
Noi ci volgemmo sùbiti, e Virgilio
rendéli l cenno cha ciò si conface.
Poi cominciò: «Nel beato concilio
ti ponga in pace la verace corte
che me rilega ne letterno essilio».
«Come!», diss elli, e parte andavam forte:
«se voi siete ombre che Dio sù non degni,
chi vha per la sua scala tanto scorte?».
E l dottor mio: «Se tu riguardi a segni
che questi porta e che langel profila,
ben vedrai che coi buon convien che regni.
Ma perché lei che dì e notte fila
non li avea tratta ancora la conocchia
che Cloto impone a ciascuno e compila,
lanima sua, chè tua e mia serocchia,
venendo sù, non potea venir sola,
però chal nostro modo non adocchia.
Ond io fui tratto fuor de lampia gola
dinferno per mostrarli, e mosterrolli
oltre, quanto l potrà menar mia scola.
Ma dimmi, se tu sai, perché tai crolli
diè dianzi l monte, e perché tutto ad una
parve gridare infino a suoi piè molli».
Sì mi diè, dimandando, per la cruna
del mio disio, che pur con la speranza
si fece la mia sete men digiuna.
Quei cominciò: «Cosa non è che sanza
ordine senta la religïone
de la montagna, o che sia fuor dusanza.
Libero è qui da ogne alterazione:
di quel che l ciel da sé in sé riceve
esser ci puote, e non daltro, cagione.
Per che non pioggia, non grando, non neve,
non rugiada, non brina più sù cade
che la scaletta di tre gradi breve;
nuvole spesse non paion né rade,
né coruscar, né figlia di Taumante,
che di là cangia sovente contrade;
secco vapor non surge più avante
chal sommo di tre gradi chio parlai,
dov ha l vicario di Pietro le piante.
Trema forse più giù poco o assai;
ma per vento che n terra si nasconda,
non so come, qua sù non tremò mai.
Tremaci quando alcuna anima monda
sentesi, sì che surga o che si mova
per salir sù; e tal grido seconda.
De la mondizia sol voler fa prova,
che, tutto libero a mutar convento,
lalma sorprende, e di voler le giova.
Prima vuol ben, ma non lascia il talento
che divina giustizia, contra voglia,
come fu al peccar, pone al tormento.
E io, che son giaciuto a questa doglia
cinquecent anni e più, pur mo sentii
libera volontà di miglior soglia:
però sentisti il tremoto e li pii
spiriti per lo monte render lode
a quel Segnor, che tosto sù li nvii».
Così ne disse; e però chel si gode
tanto del ber quant è grande la sete,
non saprei dir quant el mi fece prode.
E l savio duca: «Omai veggio la rete
che qui vi mpiglia e come si scalappia,
perché ci trema e di che congaudete.
Ora chi fosti, piacciati chio sappia,
e perché tanti secoli giaciuto
qui se, ne le parole tue mi cappia».
«Nel tempo che l buon Tito, con laiuto
del sommo rege, vendicò le fóra
ond uscì l sangue per Giuda venduto,
col nome che più dura e più onora
era io di là», rispuose quello spirto,
«famoso assai, ma non con fede ancora.
Tanto fu dolce mio vocale spirto,
che, tolosano, a sé mi trasse Roma,
dove mertai le tempie ornar di mirto.
Stazio la gente ancor di là mi noma:
cantai di Tebe, e poi del grande Achille;
ma caddi in via con la seconda soma.
Al mio ardor fuor seme le faville,
che mi scaldar, de la divina fiamma
onde sono allumati più di mille;
de lEneïda dico, la qual mamma
fummi, e fummi nutrice, poetando:
sanz essa non fermai peso di dramma.
E per esser vivuto di là quando
visse Virgilio, assentirei un sole
più che non deggio al mio uscir di bando».
Volser Virgilio a me queste parole
con viso che, tacendo, disse Taci;
ma non può tutto la virtù che vuole;
ché riso e pianto son tanto seguaci
a la passion di che ciascun si spicca,
che men seguon voler ne più veraci.
Io pur sorrisi come luom chammicca;
per che lombra si tacque, e riguardommi
ne li occhi ove l sembiante più si ficca;
e «Se tanto labore in bene assommi»,
disse, «perché la tua faccia testeso
un lampeggiar di riso dimostrommi?».
Or son io duna parte e daltra preso:
luna mi fa tacer, laltra scongiura
chio dica; ond io sospiro, e sono inteso
dal mio maestro, e «Non aver paura»,
mi dice, «di parlar; ma parla e digli
quel che dimanda con cotanta cura».
Ond io: «Forse che tu ti maravigli,
antico spirto, del rider chio fei;
ma più dammirazion vo che ti pigli.
Questi che guida in alto li occhi miei,
è quel Virgilio dal qual tu togliesti
forte a cantar de li uomini e di dèi.
Se cagion altra al mio rider credesti,
lasciala per non vera, ed esser credi
quelle parole che di lui dicesti».
Già sinchinava ad abbracciar li piedi
al mio dottor, ma el li disse: «Frate,
non far, ché tu se ombra e ombra vedi».
Ed ei surgendo: «Or puoi la quantitate
comprender de lamor cha te mi scalda,
quand io dismento nostra vanitate,
trattando lombre come cosa salda».
Già era langel dietro a noi rimaso,
langel che navea vòlti al sesto giro,
avendomi dal viso un colpo raso;
e quei channo a giustizia lor disiro
detto navea beati, e le sue voci
con sitiunt, sanz altro, ciò forniro.
E io più lieve che per laltre foci
mandava, sì che sanz alcun labore
seguiva in sù li spiriti veloci;
quando Virgilio incominciò: «Amore,
acceso di virtù, sempre altro accese,
pur che la fiamma sua paresse fore;
onde da lora che tra noi discese
nel limbo de lo nferno Giovenale,
che la tua affezion mi fé palese,
mia benvoglienza inverso te fu quale
più strinse mai di non vista persona,
sì chor mi parran corte queste scale.
Ma dimmi, e come amico mi perdona
se troppa sicurtà mallarga il freno,
e come amico omai meco ragiona:
come poté trovar dentro al tuo seno
loco avarizia, tra cotanto senno
di quanto per tua cura fosti pieno?».
Queste parole Stazio mover fenno
un poco a riso pria; poscia rispuose:
«Ogne tuo dir damor mè caro cenno.
Veramente più volte appaion cose
che danno a dubitar falsa matera
per le vere ragion che son nascose.
La tua dimanda tuo creder mavvera
esser chi fossi avaro in laltra vita,
forse per quella cerchia dov io era.
Or sappi chavarizia fu partita
troppo da me, e questa dismisura
migliaia di lunari hanno punita.
E se non fosse chio drizzai mia cura,
quand io intesi là dove tu chiame,
crucciato quasi a lumana natura:
Per che non reggi tu, o sacra fame
de loro, lappetito de mortali?,
voltando sentirei le giostre grame.
Allor maccorsi che troppo aprir lali
potean le mani a spendere, e pentemi
così di quel come de li altri mali.
Quanti risurgeran coi crini scemi
per ignoranza, che di questa pecca
toglie l penter vivendo e ne li stremi!
E sappie che la colpa che rimbecca
per dritta opposizione alcun peccato,
con esso insieme qui suo verde secca;
però, sio son tra quella gente stato
che piange lavarizia, per purgarmi,
per lo contrario suo mè incontrato».
«Or quando tu cantasti le crude armi
de la doppia trestizia di Giocasta»,
disse l cantor de buccolici carmi,
«per quello che Clïò teco lì tasta,
non par che ti facesse ancor fedele
la fede, sanza qual ben far non basta.
Se così è, qual sole o quai candele
ti stenebraron sì, che tu drizzasti
poscia di retro al pescator le vele?».
Ed elli a lui: «Tu prima minvïasti
verso Parnaso a ber ne le sue grotte,
e prima appresso Dio malluminasti.
Facesti come quei che va di notte,
che porta il lume dietro e sé non giova,
ma dopo sé fa le persone dotte,
quando dicesti: Secol si rinova;
torna giustizia e primo tempo umano,
e progenïe scende da ciel nova.
Per te poeta fui, per te cristiano:
ma perché veggi mei ciò chio disegno,
a colorare stenderò la mano.
Già era l mondo tutto quanto pregno
de la vera credenza, seminata
per li messaggi de letterno regno;
e la parola tua sopra toccata
si consonava a nuovi predicanti;
ond io a visitarli presi usata.
Vennermi poi parendo tanto santi,
che, quando Domizian li perseguette,
sanza mio lagrimar non fur lor pianti;
e mentre che di là per me si stette,
io li sovvenni, e i lor dritti costumi
fer dispregiare a me tutte altre sette.
E pria chio conducessi i Greci a fiumi
di Tebe poetando, ebb io battesmo;
ma per paura chiuso cristian fumi,
lungamente mostrando paganesmo;
e questa tepidezza il quarto cerchio
cerchiar mi fé più che l quarto centesmo.
Tu dunque, che levato hai il coperchio
che mascondeva quanto bene io dico,
mentre che del salire avem soverchio,
dimmi dov è Terrenzio nostro antico,
Cecilio e Plauto e Varro, se lo sai:
dimmi se son dannati, e in qual vico».
«Costoro e Persio e io e altri assai»,
rispuose il duca mio, «siam con quel Greco
che le Muse lattar più chaltri mai,
nel primo cinghio del carcere cieco;
spesse fïate ragioniam del monte
che sempre ha le nutrice nostre seco.
Euripide vè nosco e Antifonte,
Simonide, Agatone e altri piùe
Greci che già di lauro ornar la fronte.
Quivi si veggion de le genti tue
Antigone, Deïfile e Argia,
e Ismene sì trista come fue.
Védeisi quella che mostrò Langia;
èvvi la figlia di Tiresia, e Teti,
e con le suore sue Deïdamia».
Tacevansi ambedue già li poeti,
di novo attenti a riguardar dintorno,
liberi da saliri e da pareti;
e già le quattro ancelle eran del giorno
rimase a dietro, e la quinta era al temo,
drizzando pur in sù lardente corno,
quando il mio duca: «Io credo cha lo stremo
le destre spalle volger ne convegna,
girando il monte come far solemo».
Così lusanza fu lì nostra insegna,
e prendemmo la via con men sospetto
per lassentir di quell anima degna.
Elli givan dinanzi, e io soletto
di retro, e ascoltava i lor sermoni,
cha poetar mi davano intelletto.
Ma tosto ruppe le dolci ragioni
un alber che trovammo in mezza strada,
con pomi a odorar soavi e buoni;
e come abete in alto si digrada
di ramo in ramo, così quello in giuso,
cred io, perché persona sù non vada.
Dal lato onde l cammin nostro era chiuso,
cadea de lalta roccia un liquor chiaro
e si spandeva per le foglie suso.
Li due poeti a lalber sappressaro;
e una voce per entro le fronde
gridò: «Di questo cibo avrete caro».
Poi disse: «Più pensava Maria onde
fosser le nozze orrevoli e intere,
cha la sua bocca, chor per voi risponde.
E le Romane antiche, per lor bere,
contente furon dacqua; e Danïello
dispregiò cibo e acquistò savere.
Lo secol primo, quant oro fu bello,
fé savorose con fame le ghiande,
e nettare con sete ogne ruscello.
Mele e locuste furon le vivande
che nodriro il Batista nel diserto;
per chelli è glorïoso e tanto grande
quanto per lo Vangelio vè aperto».
Mentre che li occhi per la fronda verde
ficcava ïo sì come far suole
chi dietro a li uccellin sua vita perde,
lo più che padre mi dicea: «Figliuole,
vienne oramai, ché l tempo che nè imposto
più utilmente compartir si vuole».
Io volsi l viso, e l passo non men tosto,
appresso i savi, che parlavan sìe,
che landar mi facean di nullo costo.
Ed ecco piangere e cantar sudìe
Labïa mëa, Domine per modo
tal, che diletto e doglia parturìe.
«O dolce padre, che è quel chi odo?»,
comincia io; ed elli: «Ombre che vanno
forse di lor dover solvendo il nodo».
Sì come i peregrin pensosi fanno,
giugnendo per cammin gente non nota,
che si volgono ad essa e non restanno,
così di retro a noi, più tosto mota,
venendo e trapassando ci ammirava
danime turba tacita e devota.
Ne li occhi era ciascuna oscura e cava,
palida ne la faccia, e tanto scema
che da lossa la pelle sinformava.
Non credo che così a buccia strema
Erisittone fosse fatto secco,
per digiunar, quando più nebbe tema.
Io dicea fra me stesso pensando: Ecco
la gente che perdé Ierusalemme,
quando Maria nel figlio diè di becco!
Parean locchiaie anella sanza gemme:
chi nel viso de li uomini legge omo
ben avria quivi conosciuta lemme.
Chi crederebbe che lodor dun pomo
sì governasse, generando brama,
e quel dunacqua, non sappiendo como?
Già era in ammirar che sì li affama,
per la cagione ancor non manifesta
di lor magrezza e di lor trista squama,
ed ecco del profondo de la testa
volse a me li occhi unombra e guardò fiso;
poi gridò forte: «Qual grazia mè questa?».
Mai non lavrei riconosciuto al viso;
ma ne la voce sua mi fu palese
ciò che laspetto in sé avea conquiso.
Questa favilla tutta mi raccese
mia conoscenza a la cangiata labbia,
e ravvisai la faccia di Forese.
«Deh, non contendere a lasciutta scabbia
che mi scolora», pregava, «la pelle,
né a difetto di carne chio abbia;
ma dimmi il ver di te, dì chi son quelle
due anime che là ti fanno scorta;
non rimaner che tu non mi favelle!».
«La faccia tua, chio lagrimai già morta,
mi dà di pianger mo non minor doglia»,
rispuos io lui, «veggendola sì torta.
Però mi dì, per Dio, che sì vi sfoglia;
non mi far dir mentr io mi maraviglio,
ché mal può dir chi è pien daltra voglia».
Ed elli a me: «De letterno consiglio
cade vertù ne lacqua e ne la pianta
rimasa dietro ond io sì massottiglio.
Tutta esta gente che piangendo canta
per seguitar la gola oltra misura,
in fame e n sete qui si rifà santa.
Di bere e di mangiar naccende cura
lodor chesce del pomo e de lo sprazzo
che si distende su per sua verdura.
E non pur una volta, questo spazzo
girando, si rinfresca nostra pena:
io dico pena, e dovria dir sollazzo,
ché quella voglia a li alberi ci mena
che menò Cristo lieto a dire Elì,
quando ne liberò con la sua vena».
E io a lui: «Forese, da quel dì
nel qual mutasti mondo a miglior vita,
cinqu anni non son vòlti infino a qui.
Se prima fu la possa in te finita
di peccar più, che sovvenisse lora
del buon dolor cha Dio ne rimarita,
come se tu qua sù venuto ancora?
Io ti credea trovar là giù di sotto,
dove tempo per tempo si ristora».
Ond elli a me: «Sì tosto mha condotto
a ber lo dolce assenzo di martìri
la Nella mia con suo pianger dirotto.
Con suoi prieghi devoti e con sospiri
tratto mha de la costa ove saspetta,
e liberato mha de li altri giri.
Tanto è a Dio più cara e più diletta
la vedovella mia, che molto amai,
quanto in bene operare è più soletta;
ché la Barbagia di Sardigna assai
ne le femmine sue più è pudica
che la Barbagia dov io la lasciai.
O dolce frate, che vuo tu chio dica?
Tempo futuro mè già nel cospetto,
cui non sarà quest ora molto antica,
nel qual sarà in pergamo interdetto
a le sfacciate donne fiorentine
landar mostrando con le poppe il petto.
Quai barbare fuor mai, quai saracine,
cui bisognasse, per farle ir coperte,
o spiritali o altre discipline?
Ma se le svergognate fosser certe
di quel che l ciel veloce loro ammanna,
già per urlare avrian le bocche aperte;
ché, se lantiveder qui non minganna,
prima fien triste che le guance impeli
colui che mo si consola con nanna.
Deh, frate, or fa che più non mi ti celi!
vedi che non pur io, ma questa gente
tutta rimira là dove l sol veli».
Per chio a lui: «Se tu riduci a mente
qual fosti meco, e qual io teco fui,
ancor fia grave il memorar presente.
Di quella vita mi volse costui
che mi va innanzi, laltr ier, quando tonda
vi si mostrò la suora di colui»,
e l sol mostrai; «costui per la profonda
notte menato mha di veri morti
con questa vera carne che l seconda.
Indi mhan tratto sù li suoi conforti,
salendo e rigirando la montagna
che drizza voi che l mondo fece torti.
Tanto dice di farmi sua compagna
che io sarò là dove fia Beatrice;
quivi convien che sanza lui rimagna.
Virgilio è questi che così mi dice»,
e additalo; «e quest altro è quell ombra
per cuï scosse dianzi ogne pendice
lo vostro regno, che da sé lo sgombra».
Né l dir landar, né landar lui più lento
facea, ma ragionando andavam forte,
sì come nave pinta da buon vento;
e lombre, che parean cose rimorte,
per le fosse de li occhi ammirazione
traean di me, di mio vivere accorte.
E io, continüando al mio sermone,
dissi: «Ella sen va sù forse più tarda
che non farebbe, per altrui cagione.
Ma dimmi, se tu sai, dov è Piccarda;
dimmi sio veggio da notar persona
tra questa gente che sì mi riguarda».
«La mia sorella, che tra bella e buona
non so qual fosse più, trïunfa lieta
ne lalto Olimpo già di sua corona».
Sì disse prima; e poi: «Qui non si vieta
di nominar ciascun, da chè sì munta
nostra sembianza via per la dïeta.
Questi», e mostrò col dito, «è Bonagiunta,
Bonagiunta da Lucca; e quella faccia
di là da lui più che laltre trapunta
ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia:
dal Torso fu, e purga per digiuno
languille di Bolsena e la vernaccia».
Molti altri mi nomò ad uno ad uno;
e del nomar parean tutti contenti,
sì chio però non vidi un atto bruno.
Vidi per fame a vòto usar li denti
Ubaldin da la Pila e Bonifazio
che pasturò col rocco molte genti.
Vidi messer Marchese, chebbe spazio
già di bere a Forlì con men secchezza,
e sì fu tal, che non si sentì sazio.
Ma come fa chi guarda e poi sapprezza
più dun che daltro, fei a quel da Lucca,
che più parea di me aver contezza.
El mormorava; e non so che «Gentucca»
sentiv io là, ov el sentia la piaga
de la giustizia che sì li pilucca.
«O anima», diss io, «che par sì vaga
di parlar meco, fa sì chio tintenda,
e te e me col tuo parlare appaga».
«Femmina è nata, e non porta ancor benda»,
cominciò el, «che ti farà piacere
la mia città, come chom la riprenda.
Tu te nandrai con questo antivedere:
se nel mio mormorar prendesti errore,
dichiareranti ancor le cose vere.
Ma dì si veggio qui colui che fore
trasse le nove rime, cominciando
Donne chavete intelletto damore».
E io a lui: «I mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
che ditta dentro vo significando».
«O frate, issa vegg io», diss elli, «il nodo
che l Notaro e Guittone e me ritenne
di qua dal dolce stil novo chi odo!
Io veggio ben come le vostre penne
di retro al dittator sen vanno strette,
che de le nostre certo non avvenne;
e qual più a gradire oltre si mette,
non vede più da luno a laltro stilo»;
e, quasi contentato, si tacette.
Come li augei che vernan lungo l Nilo,
alcuna volta in aere fanno schiera,
poi volan più a fretta e vanno in filo,
così tutta la gente che lì era,
volgendo l viso, raffrettò suo passo,
e per magrezza e per voler leggera.
E come luom che di trottare è lasso,
lascia andar li compagni, e sì passeggia
fin che si sfoghi laffollar del casso,
sì lasciò trapassar la santa greggia
Forese, e dietro meco sen veniva,
dicendo: «Quando fia chio ti riveggia?».
«Non so», rispuos io lui, «quant io mi viva;
ma già non fïa il tornar mio tantosto,
chio non sia col voler prima a la riva;
però che l loco u fui a viver posto,
di giorno in giorno più di ben si spolpa,
e a trista ruina par disposto».
«Or va», diss el; «che quei che più nha colpa,
vegg ïo a coda duna bestia tratto
inver la valle ove mai non si scolpa.
La bestia ad ogne passo va più ratto,
crescendo sempre, fin chella il percuote,
e lascia il corpo vilmente disfatto.
Non hanno molto a volger quelle ruote»,
e drizzò li occhi al ciel, «che ti fia chiaro
ciò che l mio dir più dichiarar non puote.
Tu ti rimani omai; ché l tempo è caro
in questo regno, sì chio perdo troppo
venendo teco sì a paro a paro».
Qual esce alcuna volta di gualoppo
lo cavalier di schiera che cavalchi,
e va per farsi onor del primo intoppo,
tal si partì da noi con maggior valchi;
e io rimasi in via con esso i due
che fuor del mondo sì gran marescalchi.
E quando innanzi a noi intrato fue,
che li occhi miei si fero a lui seguaci,
come la mente a le parole sue,
parvermi i rami gravidi e vivaci
dun altro pomo, e non molto lontani
per esser pur allora vòlto in laci.
Vidi gente sott esso alzar le mani
e gridar non so che verso le fronde,
quasi bramosi fantolini e vani
che pregano, e l pregato non risponde,
ma, per fare esser ben la voglia acuta,
tien alto lor disio e nol nasconde.
Poi si partì sì come ricreduta;
e noi venimmo al grande arbore adesso,
che tanti prieghi e lagrime rifiuta.
«Trapassate oltre sanza farvi presso:
legno è più sù che fu morso da Eva,
e questa pianta si levò da esso».
Sì tra le frasche non so chi diceva;
per che Virgilio e Stazio e io, ristretti,
oltre andavam dal lato che si leva.
«Ricordivi», dicea, «di maladetti
nei nuvoli formati, che, satolli,
Tesëo combatter co doppi petti;
e de li Ebrei chal ber si mostrar molli,
per che no i volle Gedeon compagni,
quando inver Madïan discese i colli».
Sì accostati a lun di due vivagni
passammo, udendo colpe de la gola
seguite già da miseri guadagni.
Poi, rallargati per la strada sola,
ben mille passi e più ci portar oltre,
contemplando ciascun sanza parola.
«Che andate pensando sì voi sol tre?».
sùbita voce disse; ond io mi scossi
come fan bestie spaventate e poltre.
Drizzai la testa per veder chi fossi;
e già mai non si videro in fornace
vetri o metalli sì lucenti e rossi,
com io vidi un che dicea: «Sa voi piace
montare in sù, qui si convien dar volta;
quinci si va chi vuole andar per pace».
Laspetto suo mavea la vista tolta;
per chio mi volsi dietro a miei dottori,
com om che va secondo chelli ascolta.
E quale, annunziatrice de li albori,
laura di maggio movesi e olezza,
tutta impregnata da lerba e da fiori;
tal mi senti un vento dar per mezza
la fronte, e ben senti mover la piuma,
che fé sentir dambrosïa lorezza.
E senti dir: «Beati cui alluma
tanto di grazia, che lamor del gusto
nel petto lor troppo disir non fuma,
esurïendo sempre quanto è giusto!».
Ora era onde l salir non volea storpio;
ché l sole avëa il cerchio di merigge
lasciato al Tauro e la notte a lo Scorpio:
per che, come fa luom che non saffigge
ma vassi a la via sua, che che li appaia,
se di bisogno stimolo il trafigge,
così intrammo noi per la callaia,
uno innanzi altro prendendo la scala
che per artezza i salitor dispaia.
E quale il cicognin che leva lala
per voglia di volare, e non sattenta
dabbandonar lo nido, e giù la cala;
tal era io con voglia accesa e spenta
di dimandar, venendo infino a latto
che fa colui cha dicer sargomenta.
Non lasciò, per landar che fosse ratto,
lo dolce padre mio, ma disse: «Scocca
larco del dir, che nfino al ferro hai tratto».
Allor sicuramente apri la bocca
e cominciai: «Come si può far magro
là dove luopo di nodrir non tocca?».
«Se tammentassi come Meleagro
si consumò al consumar dun stizzo,
non fora», disse, «a te questo sì agro;
e se pensassi come, al vostro guizzo,
guizza dentro a lo specchio vostra image,
ciò che par duro ti parrebbe vizzo.
Ma perché dentro a tuo voler tadage,
ecco qui Stazio; e io lui chiamo e prego
che sia or sanator de le tue piage».
«Se la veduta etterna li dislego»,
rispuose Stazio, «là dove tu sie,
discolpi me non potert io far nego».
Poi cominciò: «Se le parole mie,
figlio, la mente tua guarda e riceve,
lume ti fiero al come che tu die.
Sangue perfetto, che poi non si beve
da lassetate vene, e si rimane
quasi alimento che di mensa leve,
prende nel core a tutte membra umane
virtute informativa, come quello
cha farsi quelle per le vene vane.
Ancor digesto, scende ov è più bello
tacer che dire; e quindi poscia geme
sovr altrui sangue in natural vasello.
Ivi saccoglie luno e laltro insieme,
lun disposto a patire, e laltro a fare
per lo perfetto loco onde si preme;
e, giunto lui, comincia ad operare
coagulando prima, e poi avviva
ciò che per sua matera fé constare.
Anima fatta la virtute attiva
qual duna pianta, in tanto differente,
che questa è in via e quella è già a riva,
tanto ovra poi, che già si move e sente,
come spungo marino; e indi imprende
ad organar le posse ond è semente.
Or si spiega, figliuolo, or si distende
la virtù chè dal cor del generante,
dove natura a tutte membra intende.
Ma come danimal divegna fante,
non vedi tu ancor: quest è tal punto,
che più savio di te fé già errante,
sì che per sua dottrina fé disgiunto
da lanima il possibile intelletto,
perché da lui non vide organo assunto.
Apri a la verità che viene il petto;
e sappi che, sì tosto come al feto
larticular del cerebro è perfetto,
lo motor primo a lui si volge lieto
sovra tant arte di natura, e spira
spirito novo, di vertù repleto,
che ciò che trova attivo quivi, tira
in sua sustanzia, e fassi unalma sola,
che vive e sente e sé in sé rigira.
E perché meno ammiri la parola,
guarda il calor del sole che si fa vino,
giunto a lomor che de la vite cola.
Quando Làchesis non ha più del lino,
solvesi da la carne, e in virtute
ne porta seco e lumano e l divino:
laltre potenze tutte quante mute;
memoria, intelligenza e volontade
in atto molto più che prima agute.
Sanza restarsi, per sé stessa cade
mirabilmente a luna de le rive;
quivi conosce prima le sue strade.
Tosto che loco lì la circunscrive,
la virtù formativa raggia intorno
così e quanto ne le membra vive.
E come laere, quand è ben pïorno,
per laltrui raggio che n sé si reflette,
di diversi color diventa addorno;
così laere vicin quivi si mette
e in quella forma chè in lui suggella
virtüalmente lalma che ristette;
e simigliante poi a la fiammella
che segue il foco là vunque si muta,
segue lo spirto sua forma novella.
Però che quindi ha poscia sua paruta,
è chiamata ombra; e quindi organa poi
ciascun sentire infino a la veduta.
Quindi parliamo e quindi ridiam noi;
quindi facciam le lagrime e sospiri
che per lo monte aver sentiti puoi.
Secondo che ci affliggono i disiri
e li altri affetti, lombra si figura;
e quest è la cagion di che tu miri».
E già venuto a lultima tortura
sera per noi, e vòlto a la man destra,
ed eravamo attenti ad altra cura.
Quivi la ripa fiamma in fuor balestra,
e la cornice spira fiato in suso
che la reflette e via da lei sequestra;
ond ir ne convenia dal lato schiuso
ad uno ad uno; e io temëa l foco
quinci, e quindi temeva cader giuso.
Lo duca mio dicea: «Per questo loco
si vuol tenere a li occhi stretto il freno,
però cherrar potrebbesi per poco».
Summae Deus clementïae nel seno
al grande ardore allora udi cantando,
che di volger mi fé caler non meno;
e vidi spirti per la fiamma andando;
per chio guardava a loro e a miei passi
compartendo la vista a quando a quando.
Appresso il fine cha quell inno fassi,
gridavano alto: Virum non cognosco;
indi ricominciavan linno bassi.
Finitolo, anco gridavano: «Al bosco
si tenne Diana, ed Elice caccionne
che di Venere avea sentito il tòsco».
Indi al cantar tornavano; indi donne
gridavano e mariti che fuor casti
come virtute e matrimonio imponne.
E questo modo credo che lor basti
per tutto il tempo che l foco li abbruscia:
con tal cura conviene e con tai pasti
che la piaga da sezzo si ricuscia.
Mentre che sì per lorlo, uno innanzi altro,
ce nandavamo, e spesso il buon maestro
diceami: «Guarda: giovi chio ti scaltro»;
feriami il sole in su lomero destro,
che già, raggiando, tutto loccidente
mutava in bianco aspetto di cilestro;
e io facea con lombra più rovente
parer la fiamma; e pur a tanto indizio
vidi molt ombre, andando, poner mente.
Questa fu la cagion che diede inizio
loro a parlar di me; e cominciarsi
a dir: «Colui non par corpo fittizio»;
poi verso me, quanto potëan farsi,
certi si fero, sempre con riguardo
di non uscir dove non fosser arsi.
«O tu che vai, non per esser più tardo,
ma forse reverente, a li altri dopo,
rispondi a me che n sete e n foco ardo.
Né solo a me la tua risposta è uopo;
ché tutti questi nhanno maggior sete
che dacqua fredda Indo o Etïopo.
Dinne com è che fai di te parete
al sol, pur come tu non fossi ancora
di morte intrato dentro da la rete».
Sì mi parlava un dessi; e io mi fora
già manifesto, sio non fossi atteso
ad altra novità chapparve allora;
ché per lo mezzo del cammino acceso
venne gente col viso incontro a questa,
la qual mi fece a rimirar sospeso.
Lì veggio dogne parte farsi presta
ciascun ombra e basciarsi una con una
sanza restar, contente a brieve festa;
così per entro loro schiera bruna
sammusa luna con laltra formica,
forse a spïar lor via e lor fortuna.
Tosto che parton laccoglienza amica,
prima che l primo passo lì trascorra,
sopragridar ciascuna saffatica:
la nova gente: «Soddoma e Gomorra»;
e laltra: «Ne la vacca entra Pasife,
perché l torello a sua lussuria corra».
Poi, come grue cha le montagne Rife
volasser parte, e parte inver larene,
queste del gel, quelle del sole schife,
luna gente sen va, laltra sen vene;
e tornan, lagrimando, a primi canti
e al gridar che più lor si convene;
e raccostansi a me, come davanti,
essi medesmi che mavean pregato,
attenti ad ascoltar ne lor sembianti.
Io, che due volte avea visto lor grato,
incominciai: «O anime sicure
daver, quando che sia, di pace stato,
non son rimase acerbe né mature
le membra mie di là, ma son qui meco
col sangue suo e con le sue giunture.
Quinci sù vo per non esser più cieco;
donna è di sopra che macquista grazia,
per che l mortal per vostro mondo reco.
Ma se la vostra maggior voglia sazia
tosto divegna, sì che l ciel valberghi
chè pien damore e più ampio si spazia,
ditemi, acciò chancor carte ne verghi,
chi siete voi, e chi è quella turba
che se ne va di retro a vostri terghi».
Non altrimenti stupido si turba
lo montanaro, e rimirando ammuta,
quando rozzo e salvatico sinurba,
che ciascun ombra fece in sua paruta;
ma poi che furon di stupore scarche,
lo qual ne li alti cuor tosto sattuta,
«Beato te, che de le nostre marche»,
ricominciò colei che pria minchiese,
«per morir meglio, esperïenza imbarche!
La gente che non vien con noi, offese
di ciò per che già Cesar, trïunfando,
Regina contra sé chiamar sintese:
però si parton Soddoma gridando,
rimproverando a sé com hai udito,
e aiutan larsura vergognando.
Nostro peccato fu ermafrodito;
ma perché non servammo umana legge,
seguendo come bestie lappetito,
in obbrobrio di noi, per noi si legge,
quando partinci, il nome di colei
che simbestiò ne le mbestiate schegge.
Or sai nostri atti e di che fummo rei:
se forse a nome vuo saper chi semo,
tempo non è di dire, e non saprei.
Farotti ben di me volere scemo:
son Guido Guinizzelli, e già mi purgo
per ben dolermi prima cha lo stremo».
Quali ne la tristizia di Ligurgo
si fer due figli a riveder la madre,
tal mi fec io, ma non a tanto insurgo,
quand io odo nomar sé stesso il padre
mio e de li altri miei miglior che mai
rime damore usar dolci e leggiadre;
e sanza udire e dir pensoso andai
lunga fïata rimirando lui,
né, per lo foco, in là più mappressai.
Poi che di riguardar pasciuto fui,
tutto moffersi pronto al suo servigio
con laffermar che fa credere altrui.
Ed elli a me: «Tu lasci tal vestigio,
per quel chi odo, in me, e tanto chiaro,
che Letè nol può tòrre né far bigio.
Ma se le tue parole or ver giuraro,
dimmi che è cagion per che dimostri
nel dire e nel guardar davermi caro».
E io a lui: «Li dolci detti vostri,
che, quanto durerà luso moderno,
faranno cari ancora i loro incostri».
«O frate», disse, «questi chio ti cerno
col dito», e additò un spirto innanzi,
«fu miglior fabbro del parlar materno.
Versi damore e prose di romanzi
soverchiò tutti; e lascia dir li stolti
che quel di Lemosì credon chavanzi.
A voce più chal ver drizzan li volti,
e così ferman sua oppinïone
prima charte o ragion per lor sascolti.
Così fer molti antichi di Guittone,
di grido in grido pur lui dando pregio,
fin che lha vinto il ver con più persone.
Or se tu hai sì ampio privilegio,
che licito ti sia landare al chiostro
nel quale è Cristo abate del collegio,
falli per me un dir dun paternostro,
quanto bisogna a noi di questo mondo,
dove poter peccar non è più nostro».
Poi, forse per dar luogo altrui secondo
che presso avea, disparve per lo foco,
come per lacqua il pesce andando al fondo.
Io mi fei al mostrato innanzi un poco,
e dissi chal suo nome il mio disire
apparecchiava grazïoso loco.
El cominciò liberamente a dire:
«Tan mabellis vostre cortes deman,
quieu no me puesc ni voill a vos cobrire.
Ieu sui Arnaut, que plor e vau cantan;
consiros vei la passada folor,
e vei jausen lo joi quesper, denan.
Ara vos prec, per aquella valor
que vos guida al som de lescalina,
sovenha vos a temps de ma dolor!».
Poi sascose nel foco che li affina.
Sì come quando i primi raggi vibra
là dove il suo fattor lo sangue sparse,
cadendo Ibero sotto lalta Libra,
e londe in Gange da nona rïarse,
sì stava il sole; onde l giorno sen giva,
come langel di Dio lieto ci apparse.
Fuor de la fiamma stava in su la riva,
e cantava Beati mundo corde!
in voce assai più che la nostra viva.
Poscia «Più non si va, se pria non morde,
anime sante, il foco: intrate in esso,
e al cantar di là non siate sorde»,
ci disse come noi li fummo presso;
per chio divenni tal, quando lo ntesi,
qual è colui che ne la fossa è messo.
In su le man commesse mi protesi,
guardando il foco e imaginando forte
umani corpi già veduti accesi.
Volsersi verso me le buone scorte;
e Virgilio mi disse: «Figliuol mio,
qui può esser tormento, ma non morte.
Ricorditi, ricorditi! E se io
sovresso Gerïon ti guidai salvo,
che farò ora presso più a Dio?
Credi per certo che se dentro a lalvo
di questa fiamma stessi ben mille anni,
non ti potrebbe far dun capel calvo.
E se tu forse credi chio tinganni,
fatti ver lei, e fatti far credenza
con le tue mani al lembo di tuoi panni.
Pon giù omai, pon giù ogne temenza;
volgiti in qua e vieni: entra sicuro!».
E io pur fermo e contra coscïenza.
Quando mi vide star pur fermo e duro,
turbato un poco disse: «Or vedi, figlio:
tra Bëatrice e te è questo muro».
Come al nome di Tisbe aperse il ciglio
Piramo in su la morte, e riguardolla,
allor che l gelso diventò vermiglio;
così, la mia durezza fatta solla,
mi volsi al savio duca, udendo il nome
che ne la mente sempre mi rampolla.
Ond ei crollò la fronte e disse: «Come!
volenci star di qua?»; indi sorrise
come al fanciul si fa chè vinto al pome.
Poi dentro al foco innanzi mi si mise,
pregando Stazio che venisse retro,
che pria per lunga strada ci divise.
Sì com fui dentro, in un bogliente vetro
gittato mi sarei per rinfrescarmi,
tant era ivi lo ncendio sanza metro.
Lo dolce padre mio, per confortarmi,
pur di Beatrice ragionando andava,
dicendo: «Li occhi suoi già veder parmi».
Guidavaci una voce che cantava
di là; e noi, attenti pur a lei,
venimmo fuor là ove si montava.
Venite, benedicti Patris mei,
sonò dentro a un lume che lì era,
tal che mi vinse e guardar nol potei.
«Lo sol sen va», soggiunse, «e vien la sera;
non varrestate, ma studiate il passo,
mentre che loccidente non si annera».
Dritta salia la via per entro l sasso
verso tal parte chio toglieva i raggi
dinanzi a me del sol chera già basso.
E di pochi scaglion levammo i saggi,
che l sol corcar, per lombra che si spense,
sentimmo dietro e io e li miei saggi.
E pria che n tutte le sue parti immense
fosse orizzonte fatto duno aspetto,
e notte avesse tutte sue dispense,
ciascun di noi dun grado fece letto;
ché la natura del monte ci affranse
la possa del salir più e l diletto.
Quali si stanno ruminando manse
le capre, state rapide e proterve
sovra le cime avante che sien pranse,
tacite a lombra, mentre che l sol ferve,
guardate dal pastor, che n su la verga
poggiato sè e lor di posa serve;
e quale il mandrïan che fori alberga,
lungo il pecuglio suo queto pernotta,
guardando perché fiera non lo sperga;
tali eravamo tutti e tre allotta,
io come capra, ed ei come pastori,
fasciati quinci e quindi dalta grotta.
Poco parer potea lì del di fori;
ma, per quel poco, vedea io le stelle
di lor solere e più chiare e maggiori.
Sì ruminando e sì mirando in quelle,
mi prese il sonno; il sonno che sovente,
anzi che l fatto sia, sa le novelle.
Ne lora, credo, che de lorïente
prima raggiò nel monte Citerea,
che di foco damor par sempre ardente,
giovane e bella in sogno mi parea
donna vedere andar per una landa
cogliendo fiori; e cantando dicea:
«Sappia qualunque il mio nome dimanda
chi mi son Lia, e vo movendo intorno
le belle mani a farmi una ghirlanda.
Per piacermi a lo specchio, qui maddorno;
ma mia suora Rachel mai non si smaga
dal suo miraglio, e siede tutto giorno.
Ell è di suoi belli occhi veder vaga
com io de laddornarmi con le mani;
lei lo vedere, e me lovrare appaga».
E già per li splendori antelucani,
che tanto a pellegrin surgon più grati,
quanto, tornando, albergan men lontani,
le tenebre fuggian da tutti lati,
e l sonno mio con esse; ond io levami,
veggendo i gran maestri già levati.
«Quel dolce pome che per tanti rami
cercando va la cura de mortali,
oggi porrà in pace le tue fami».
Virgilio inverso me queste cotali
parole usò; e mai non furo strenne
che fosser di piacere a queste iguali.
Tanto voler sopra voler mi venne
de lesser sù, chad ogne passo poi
al volo mi sentia crescer le penne.
Come la scala tutta sotto noi
fu corsa e fummo in su l grado superno,
in me ficcò Virgilio li occhi suoi,
e disse: «Il temporal foco e letterno
veduto hai, figlio; e se venuto in parte
dov io per me più oltre non discerno.
Tratto tho qui con ingegno e con arte;
lo tuo piacere omai prendi per duce;
fuor se de lerte vie, fuor se de larte.
Vedi lo sol che n fronte ti riluce;
vedi lerbette, i fiori e li arbuscelli
che qui la terra sol da sé produce.
Mentre che vegnan lieti li occhi belli
che, lagrimando, a te venir mi fenno,
seder ti puoi e puoi andar tra elli.
Non aspettar mio dir più né mio cenno;
libero, dritto e sano è tuo arbitrio,
e fallo fora non fare a suo senno:
per chio te sovra te corono e mitrio».
Vago già di cercar dentro e dintorno
la divina foresta spessa e viva,
cha li occhi temperava il novo giorno,
sanza più aspettar, lasciai la riva,
prendendo la campagna lento lento
su per lo suol che dogne parte auliva.
Unaura dolce, sanza mutamento
avere in sé, mi feria per la fronte
non di più colpo che soave vento;
per cui le fronde, tremolando, pronte
tutte quante piegavano a la parte
u la prim ombra gitta il santo monte;
non però dal loro esser dritto sparte
tanto, che li augelletti per le cime
lasciasser doperare ogne lor arte;
ma con piena letizia lore prime,
cantando, ricevieno intra le foglie,
che tenevan bordone a le sue rime,
tal qual di ramo in ramo si raccoglie
per la pineta in su l lito di Chiassi,
quand Ëolo scilocco fuor discioglie.
Già mavean trasportato i lenti passi
dentro a la selva antica tanto, chio
non potea rivedere ond io mi ntrassi;
ed ecco più andar mi tolse un rio,
che nver sinistra con sue picciole onde
piegava lerba che n sua ripa uscìo.
Tutte lacque che son di qua più monde,
parrieno avere in sé mistura alcuna
verso di quella, che nulla nasconde,
avvegna che si mova bruna bruna
sotto lombra perpetüa, che mai
raggiar non lascia sole ivi né luna.
Coi piè ristetti e con li occhi passai
di là dal fiumicello, per mirare
la gran varïazion di freschi mai;
e là mapparve, sì com elli appare
subitamente cosa che disvia
per maraviglia tutto altro pensare,
una donna soletta che si gia
e cantando e scegliendo fior da fiore
ond era pinta tutta la sua via.
«Deh, bella donna, che a raggi damore
ti scaldi, si vo credere a sembianti
che soglion esser testimon del core,
vegnati in voglia di trarreti avanti»,
diss io a lei, «verso questa rivera,
tanto chio possa intender che tu canti.
Tu mi fai rimembrar dove e qual era
Proserpina nel tempo che perdette
la madre lei, ed ella primavera».
Come si volge, con le piante strette
a terra e intra sé, donna che balli,
e piede innanzi piede a pena mette,
volsesi in su i vermigli e in su i gialli
fioretti verso me, non altrimenti
che vergine che li occhi onesti avvalli;
e fece i prieghi miei esser contenti,
sì appressando sé, che l dolce suono
veniva a me co suoi intendimenti.
Tosto che fu là dove lerbe sono
bagnate già da londe del bel fiume,
di levar li occhi suoi mi fece dono.
Non credo che splendesse tanto lume
sotto le ciglia a Venere, trafitta
dal figlio fuor di tutto suo costume.
Ella ridea da laltra riva dritta,
trattando più color con le sue mani,
che lalta terra sanza seme gitta.
Tre passi ci facea il fiume lontani;
ma Elesponto, là ve passò Serse,
ancora freno a tutti orgogli umani,
più odio da Leandro non sofferse
per mareggiare intra Sesto e Abido,
che quel da me perch allor non saperse.
«Voi siete nuovi, e forse perch io rido»,
cominciò ella, «in questo luogo eletto
a lumana natura per suo nido,
maravigliando tienvi alcun sospetto;
ma luce rende il salmo Delectasti,
che puote disnebbiar vostro intelletto.
E tu che se dinanzi e mi pregasti,
dì saltro vuoli udir; chi venni presta
ad ogne tua question tanto che basti».
«Lacqua», diss io, «e l suon de la foresta
impugnan dentro a me novella fede
di cosa chio udi contraria a questa».
Ond ella: «Io dicerò come procede
per sua cagion ciò chammirar ti face,
e purgherò la nebbia che ti fiede.
Lo sommo Ben, che solo esso a sé piace,
fé luom buono e a bene, e questo loco
diede per arr a lui detterna pace.
Per sua difalta qui dimorò poco;
per sua difalta in pianto e in affanno
cambiò onesto riso e dolce gioco.
Perché l turbar che sotto da sé fanno
lessalazion de lacqua e de la terra,
che quanto posson dietro al calor vanno,
a luomo non facesse alcuna guerra,
questo monte salìo verso l ciel tanto,
e libero nè dindi ove si serra.
Or perché in circuito tutto quanto
laere si volge con la prima volta,
se non li è rotto il cerchio dalcun canto,
in questa altezza chè tutta disciolta
ne laere vivo, tal moto percuote,
e fa sonar la selva perch è folta;
e la percossa pianta tanto puote,
che de la sua virtute laura impregna
e quella poi, girando, intorno scuote;
e laltra terra, secondo chè degna
per sé e per suo ciel, concepe e figlia
di diverse virtù diverse legna.
Non parrebbe di là poi maraviglia,
udito questo, quando alcuna pianta
sanza seme palese vi sappiglia.
E saper dei che la campagna santa
dove tu se, dogne semenza è piena,
e frutto ha in sé che di là non si schianta.
Lacqua che vedi non surge di vena
che ristori vapor che gel converta,
come fiume chacquista e perde lena;
ma esce di fontana salda e certa,
che tanto dal voler di Dio riprende,
quant ella versa da due parti aperta.
Da questa parte con virtù discende
che toglie altrui memoria del peccato;
da laltra dogne ben fatto la rende.
Quinci Letè; così da laltro lato
Eünoè si chiama, e non adopra
se quinci e quindi pria non è gustato:
a tutti altri sapori esto è di sopra.
E avvegna chassai possa esser sazia
la sete tua perch io più non ti scuopra,
darotti un corollario ancor per grazia;
né credo che l mio dir ti sia men caro,
se oltre promession teco si spazia.
Quelli chanticamente poetaro
letà de loro e suo stato felice,
forse in Parnaso esto loco sognaro.
Qui fu innocente lumana radice;
qui primavera sempre e ogne frutto;
nettare è questo di che ciascun dice».
Io mi rivolsi n dietro allora tutto
a miei poeti, e vidi che con riso
udito avëan lultimo costrutto;
poi a la bella donna torna il viso.
Cantando come donna innamorata,
continüò col fin di sue parole:
Beati quorum tecta sunt peccata!.
E come ninfe che si givan sole
per le salvatiche ombre, disïando
qual di veder, qual di fuggir lo sole,
allor si mosse contra l fiume, andando
su per la riva; e io pari di lei,
picciol passo con picciol seguitando.
Non eran cento tra suoi passi e miei,
quando le ripe igualmente dier volta,
per modo cha levante mi rendei.
Né ancor fu così nostra via molta,
quando la donna tutta a me si torse,
dicendo: «Frate mio, guarda e ascolta».
Ed ecco un lustro sùbito trascorse
da tutte parti per la gran foresta,
tal che di balenar mi mise in forse.
Ma perché l balenar, come vien, resta,
e quel, durando, più e più splendeva,
nel mio pensier dicea: Che cosa è questa?.
E una melodia dolce correva
per laere luminoso; onde buon zelo
mi fé riprender lardimento dEva,
che là dove ubidia la terra e l cielo,
femmina, sola e pur testé formata,
non sofferse di star sotto alcun velo;
sotto l qual se divota fosse stata,
avrei quelle ineffabili delizie
sentite prima e più lunga fïata.
Mentr io mandava tra tante primizie
de letterno piacer tutto sospeso,
e disïoso ancora a più letizie,
dinanzi a noi, tal quale un foco acceso,
ci si fé laere sotto i verdi rami;
e l dolce suon per canti era già inteso.
O sacrosante Vergini, se fami,
freddi o vigilie mai per voi soffersi,
cagion mi sprona chio mercé vi chiami.
Or convien che Elicona per me versi,
e Uranìe maiuti col suo coro
forti cose a pensar mettere in versi.
Poco più oltre, sette alberi doro
falsava nel parere il lungo tratto
del mezzo chera ancor tra noi e loro;
ma quand i fui sì presso di lor fatto,
che lobietto comun, che l senso inganna,
non perdea per distanza alcun suo atto,
la virtù cha ragion discorso ammanna,
sì com elli eran candelabri apprese,
e ne le voci del cantare Osanna.
Di sopra fiammeggiava il bello arnese
più chiaro assai che luna per sereno
di mezza notte nel suo mezzo mese.
Io mi rivolsi dammirazion pieno
al buon Virgilio, ed esso mi rispuose
con vista carca di stupor non meno.
Indi rendei laspetto a lalte cose
che si movieno incontr a noi sì tardi,
che foran vinte da novelle spose.
La donna mi sgridò: «Perché pur ardi
sì ne laffetto de le vive luci,
e ciò che vien di retro a lor non guardi?».
Genti vid io allor, come a lor duci,
venire appresso, vestite di bianco;
e tal candor di qua già mai non fuci.
Lacqua imprendëa dal sinistro fianco,
e rendea me la mia sinistra costa,
sio riguardava in lei, come specchio anco.
Quand io da la mia riva ebbi tal posta,
che solo il fiume mi facea distante,
per veder meglio ai passi diedi sosta,
e vidi le fiammelle andar davante,
lasciando dietro a sé laere dipinto,
e di tratti pennelli avean sembiante;
sì che lì sopra rimanea distinto
di sette liste, tutte in quei colori
onde fa larco il Sole e Delia il cinto.
Questi ostendali in dietro eran maggiori
che la mia vista; e, quanto a mio avviso,
diece passi distavan quei di fori.
Sotto così bel ciel com io diviso,
ventiquattro seniori, a due a due,
coronati venien di fiordaliso.
Tutti cantavan: «Benedicta tue
ne le figlie dAdamo, e benedette
sieno in etterno le bellezze tue!».
Poscia che i fiori e laltre fresche erbette
a rimpetto di me da laltra sponda
libere fuor da quelle genti elette,
sì come luce luce in ciel seconda,
vennero appresso lor quattro animali,
coronati ciascun di verde fronda.
Ognuno era pennuto di sei ali;
le penne piene docchi; e li occhi dArgo,
se fosser vivi, sarebber cotali.
A descriver lor forme più non spargo
rime, lettor; chaltra spesa mi strigne,
tanto cha questa non posso esser largo;
ma leggi Ezechïel, che li dipigne
come li vide da la fredda parte
venir con vento e con nube e con igne;
e quali i troverai ne le sue carte,
tali eran quivi, salvo cha le penne
Giovanni è meco e da lui si diparte.
Lo spazio dentro a lor quattro contenne
un carro, in su due rote, trïunfale,
chal collo dun grifon tirato venne.
Esso tendeva in sù luna e laltra ale
tra la mezzana e le tre e tre liste,
sì cha nulla, fendendo, facea male.
Tanto salivan che non eran viste;
le membra doro avea quant era uccello,
e bianche laltre, di vermiglio miste.
Non che Roma di carro così bello
rallegrasse Affricano, o vero Augusto,
ma quel del Sol saria pover con ello;
quel del Sol che, svïando, fu combusto
per lorazion de la Terra devota,
quando fu Giove arcanamente giusto.
Tre donne in giro da la destra rota
venian danzando; luna tanto rossa
cha pena fora dentro al foco nota;
laltr era come se le carni e lossa
fossero state di smeraldo fatte;
la terza parea neve testé mossa;
e or parëan da la bianca tratte,
or da la rossa; e dal canto di questa
laltre toglien landare e tarde e ratte.
Da la sinistra quattro facean festa,
in porpore vestite, dietro al modo
duna di lor chavea tre occhi in testa.
Appresso tutto il pertrattato nodo
vidi due vecchi in abito dispari,
ma pari in atto e onesto e sodo.
Lun si mostrava alcun de famigliari
di quel sommo Ipocràte che natura
a li animali fé chell ha più cari;
mostrava laltro la contraria cura
con una spada lucida e aguta,
tal che di qua dal rio mi fé paura.
Poi vidi quattro in umile paruta;
e di retro da tutti un vecchio solo
venir, dormendo, con la faccia arguta.
E questi sette col primaio stuolo
erano abitüati, ma di gigli
dintorno al capo non facëan brolo,
anzi di rose e daltri fior vermigli;
giurato avria poco lontano aspetto
che tutti ardesser di sopra da cigli.
E quando il carro a me fu a rimpetto,
un tuon sudì, e quelle genti degne
parvero aver landar più interdetto,
fermandosi ivi con le prime insegne.
Quando il settentrïon del primo cielo,
che né occaso mai seppe né orto
né daltra nebbia che di colpa velo,
e che faceva lì ciascun accorto
di suo dover, come l più basso face
qual temon gira per venire a porto,
fermo saffisse: la gente verace,
venuta prima tra l grifone ed esso,
al carro volse sé come a sua pace;
e un di loro, quasi da ciel messo,
Veni, sponsa, de Libano cantando
gridò tre volte, e tutti li altri appresso.
Quali i beati al novissimo bando
surgeran presti ognun di sua caverna,
la revestita voce alleluiando,
cotali in su la divina basterna
si levar cento, ad vocem tanti senis,
ministri e messaggier di vita etterna.
Tutti dicean: Benedictus qui venis!,
e fior gittando e di sopra e dintorno,
Manibus, oh, date lilïa plenis!.
Io vidi già nel cominciar del giorno
la parte orïental tutta rosata,
e laltro ciel di bel sereno addorno;
e la faccia del sol nascere ombrata,
sì che per temperanza di vapori
locchio la sostenea lunga fïata:
così dentro una nuvola di fiori
che da le mani angeliche saliva
e ricadeva in giù dentro e di fori,
sovra candido vel cinta duliva
donna mapparve, sotto verde manto
vestita di color di fiamma viva.
E lo spirito mio, che già cotanto
tempo era stato cha la sua presenza
non era di stupor, tremando, affranto,
sanza de li occhi aver più conoscenza,
per occulta virtù che da lei mosse,
dantico amor sentì la gran potenza.
Tosto che ne la vista mi percosse
lalta virtù che già mavea trafitto
prima chio fuor di püerizia fosse,
volsimi a la sinistra col respitto
col quale il fantolin corre a la mamma
quando ha paura o quando elli è afflitto,
per dicere a Virgilio: Men che dramma
di sangue mè rimaso che non tremi:
conosco i segni de lantica fiamma.
Ma Virgilio navea lasciati scemi
di sé, Virgilio dolcissimo patre,
Virgilio a cui per mia salute diemi;
né quantunque perdeo lantica matre,
valse a le guance nette di rugiada,
che, lagrimando, non tornasser atre.
«Dante, perché Virgilio se ne vada,
non pianger anco, non piangere ancora;
ché pianger ti conven per altra spada».
Quasi ammiraglio che in poppa e in prora
viene a veder la gente che ministra
per li altri legni, e a ben far lincora;
in su la sponda del carro sinistra,
quando mi volsi al suon del nome mio,
che di necessità qui si registra,
vidi la donna che pria mappario
velata sotto langelica festa,
drizzar li occhi ver me di qua dal rio.
Tutto che l vel che le scendea di testa,
cerchiato de le fronde di Minerva,
non la lasciasse parer manifesta,
regalmente ne latto ancor proterva
continüò come colui che dice
e l più caldo parlar dietro reserva:
«Guardaci ben! Ben son, ben son Beatrice.
Come degnasti daccedere al monte?
non sapei tu che qui è luom felice?».
Li occhi mi cadder giù nel chiaro fonte;
ma veggendomi in esso, i trassi a lerba,
tanta vergogna mi gravò la fronte.
Così la madre al figlio par superba,
com ella parve a me; perché damaro
sente il sapor de la pietade acerba.
Ella si tacque; e li angeli cantaro
di sùbito In te, Domine, speravi;
ma oltre pedes meos non passaro.
Sì come neve tra le vive travi
per lo dosso dItalia si congela,
soffiata e stretta da li venti schiavi,
poi, liquefatta, in sé stessa trapela,
pur che la terra che perde ombra spiri,
sì che par foco fonder la candela;
così fui sanza lagrime e sospiri
anzi l cantar di quei che notan sempre
dietro a le note de li etterni giri;
ma poi che ntesi ne le dolci tempre
lor compatire a me, par che se detto
avesser: Donna, perché sì lo stempre?,
lo gel che mera intorno al cor ristretto,
spirito e acqua fessi, e con angoscia
de la bocca e de li occhi uscì del petto.
Ella, pur ferma in su la detta coscia
del carro stando, a le sustanze pie
volse le sue parole così poscia:
«Voi vigilate ne letterno die,
sì che notte né sonno a voi non fura
passo che faccia il secol per sue vie;
onde la mia risposta è con più cura
che mintenda colui che di là piagne,
perché sia colpa e duol duna misura.
Non pur per ovra de le rote magne,
che drizzan ciascun seme ad alcun fine
secondo che le stelle son compagne,
ma per larghezza di grazie divine,
che sì alti vapori hanno a lor piova,
che nostre viste là non van vicine,
questi fu tal ne la sua vita nova
virtüalmente, chogne abito destro
fatto averebbe in lui mirabil prova.
Ma tanto più maligno e più silvestro
si fa l terren col mal seme e non cólto,
quant elli ha più di buon vigor terrestro.
Alcun tempo il sostenni col mio volto:
mostrando li occhi giovanetti a lui,
meco il menava in dritta parte vòlto.
Sì tosto come in su la soglia fui
di mia seconda etade e mutai vita,
questi si tolse a me, e diessi altrui.
Quando di carne a spirto era salita,
e bellezza e virtù cresciuta mera,
fu io a lui men cara e men gradita;
e volse i passi suoi per via non vera,
imagini di ben seguendo false,
che nulla promession rendono intera.
Né limpetrare ispirazion mi valse,
con le quali e in sogno e altrimenti
lo rivocai: sì poco a lui ne calse!
Tanto giù cadde, che tutti argomenti
a la salute sua eran già corti,
fuor che mostrarli le perdute genti.
Per questo visitai luscio di morti,
e a colui che lha qua sù condotto,
li prieghi miei, piangendo, furon porti.
Alto fato di Dio sarebbe rotto,
se Letè si passasse e tal vivanda
fosse gustata sanza alcuno scotto
di pentimento che lagrime spanda».
«O tu che se di là dal fiume sacro»,
volgendo suo parlare a me per punta,
che pur per taglio mera paruto acro,
ricominciò, seguendo sanza cunta,
«dì, dì se questo è vero: a tanta accusa
tua confession conviene esser congiunta».
Era la mia virtù tanto confusa,
che la voce si mosse, e pria si spense
che da li organi suoi fosse dischiusa.
Poco sofferse; poi disse: «Che pense?
Rispondi a me; ché le memorie triste
in te non sono ancor da lacqua offense».
Confusione e paura insieme miste
mi pinsero un tal «sì» fuor de la bocca,
al quale intender fuor mestier le viste.
Come balestro frange, quando scocca
da troppa tesa, la sua corda e larco,
e con men foga lasta il segno tocca,
sì scoppia io sottesso grave carco,
fuori sgorgando lagrime e sospiri,
e la voce allentò per lo suo varco.
Ond ella a me: «Per entro i mie disiri,
che ti menavano ad amar lo bene
di là dal qual non è a che saspiri,
quai fossi attraversati o quai catene
trovasti, per che del passare innanzi
dovessiti così spogliar la spene?
E quali agevolezze o quali avanzi
ne la fronte de li altri si mostraro,
per che dovessi lor passeggiare anzi?».
Dopo la tratta dun sospiro amaro,
a pena ebbi la voce che rispuose,
e le labbra a fatica la formaro.
Piangendo dissi: «Le presenti cose
col falso lor piacer volser miei passi,
tosto che l vostro viso si nascose».
Ed ella: «Se tacessi o se negassi
ciò che confessi, non fora men nota
la colpa tua: da tal giudice sassi!
Ma quando scoppia de la propria gota
laccusa del peccato, in nostra corte
rivolge sé contra l taglio la rota.
Tuttavia, perché mo vergogna porte
del tuo errore, e perché altra volta,
udendo le serene, sie più forte,
pon giù il seme del piangere e ascolta:
sì udirai come in contraria parte
mover dovieti mia carne sepolta.
Mai non tappresentò natura o arte
piacer, quanto le belle membra in chio
rinchiusa fui, e che so n terra sparte;
e se l sommo piacer sì ti fallio
per la mia morte, qual cosa mortale
dovea poi trarre te nel suo disio?
Ben ti dovevi, per lo primo strale
de le cose fallaci, levar suso
di retro a me che non era più tale.
Non ti dovea gravar le penne in giuso,
ad aspettar più colpo, o pargoletta
o altra novità con sì breve uso.
Novo augelletto due o tre aspetta;
ma dinanzi da li occhi di pennuti
rete si spiega indarno o si saetta».
Quali fanciulli, vergognando, muti
con li occhi a terra stannosi, ascoltando
e sé riconoscendo e ripentuti,
tal mi stav io; ed ella disse: «Quando
per udir se dolente, alza la barba,
e prenderai più doglia riguardando».
Con men di resistenza si dibarba
robusto cerro, o vero al nostral vento
o vero a quel de la terra di Iarba,
chio non levai al suo comando il mento;
e quando per la barba il viso chiese,
ben conobbi il velen de largomento.
E come la mia faccia si distese,
posarsi quelle prime creature
da loro aspersïon locchio comprese;
e le mie luci, ancor poco sicure,
vider Beatrice volta in su la fiera
chè sola una persona in due nature.
Sotto l suo velo e oltre la rivera
vincer pariemi più sé stessa antica,
vincer che laltre qui, quand ella cera.
Di penter sì mi punse ivi lortica,
che di tutte altre cose qual mi torse
più nel suo amor, più mi si fé nemica.
Tanta riconoscenza il cor mi morse,
chio caddi vinto; e quale allora femmi,
salsi colei che la cagion mi porse.
Poi, quando il cor virtù di fuor rendemmi,
la donna chio avea trovata sola
sopra me vidi, e dicea: «Tiemmi, tiemmi!».
Tratto mavea nel fiume infin la gola,
e tirandosi me dietro sen giva
sovresso lacqua lieve come scola.
Quando fui presso a la beata riva,
Asperges me sì dolcemente udissi,
che nol so rimembrar, non chio lo scriva.
La bella donna ne le braccia aprissi;
abbracciommi la testa e mi sommerse
ove convenne chio lacqua inghiottissi.
Indi mi tolse, e bagnato mofferse
dentro a la danza de le quattro belle;
e ciascuna del braccio mi coperse.
«Noi siam qui ninfe e nel ciel siamo stelle;
pria che Beatrice discendesse al mondo,
fummo ordinate a lei per sue ancelle.
Merrenti a li occhi suoi; ma nel giocondo
lume chè dentro aguzzeranno i tuoi
le tre di là, che miran più profondo».
Così cantando cominciaro; e poi
al petto del grifon seco menarmi,
ove Beatrice stava volta a noi.
Disser: «Fa che le viste non risparmi;
posto tavem dinanzi a li smeraldi
ond Amor già ti trasse le sue armi».
Mille disiri più che fiamma caldi
strinsermi li occhi a li occhi rilucenti,
che pur sopra l grifone stavan saldi.
Come in lo specchio il sol, non altrimenti
la doppia fiera dentro vi raggiava,
or con altri, or con altri reggimenti.
Pensa, lettor, sio mi maravigliava,
quando vedea la cosa in sé star queta,
e ne lidolo suo si trasmutava.
Mentre che piena di stupore e lieta
lanima mia gustava di quel cibo
che, saziando di sé, di sé asseta,
sé dimostrando di più alto tribo
ne li atti, laltre tre si fero avanti,
danzando al loro angelico caribo.
«Volgi, Beatrice, volgi li occhi santi»,
era la sua canzone, «al tuo fedele
che, per vederti, ha mossi passi tanti!
Per grazia fa noi grazia che disvele
a lui la bocca tua, sì che discerna
la seconda bellezza che tu cele».
O isplendor di viva luce etterna,
chi palido si fece sotto lombra
sì di Parnaso, o bevve in sua cisterna,
che non paresse aver la mente ingombra,
tentando a render te qual tu paresti
là dove armonizzando il ciel tadombra,
quando ne laere aperto ti solvesti?
Tant eran li occhi miei fissi e attenti
a disbramarsi la decenne sete,
che li altri sensi meran tutti spenti.
Ed essi quinci e quindi avien parete
di non calercosì lo santo riso
a sé traéli con lantica rete!;
quando per forza mi fu vòlto il viso
ver la sinistra mia da quelle dee,
perch io udi da loro un «Troppo fiso!»;
e la disposizion cha veder èe
ne li occhi pur testé dal sol percossi,
sanza la vista alquanto esser mi fée.
Ma poi chal poco il viso riformossi
(e dico al poco per rispetto al molto
sensibile onde a forza mi rimossi),
vidi n sul braccio destro esser rivolto
lo glorïoso essercito, e tornarsi
col sole e con le sette fiamme al volto.
Come sotto li scudi per salvarsi
volgesi schiera, e sé gira col segno,
prima che possa tutta in sé mutarsi;
quella milizia del celeste regno
che procedeva, tutta trapassonne
pria che piegasse il carro il primo legno.
Indi a le rote si tornar le donne,
e l grifon mosse il benedetto carco
sì, che però nulla penna crollonne.
La bella donna che mi trasse al varco
e Stazio e io seguitavam la rota
che fé lorbita sua con minore arco.
Sì passeggiando lalta selva vòta,
colpa di quella chal serpente crese,
temprava i passi unangelica nota.
Forse in tre voli tanto spazio prese
disfrenata saetta, quanto eramo
rimossi, quando Bëatrice scese.
Io senti mormorare a tutti «Adamo»;
poi cerchiaro una pianta dispogliata
di foglie e daltra fronda in ciascun ramo.
La coma sua, che tanto si dilata
più quanto più è sù, fora da lIndi
ne boschi lor per altezza ammirata.
«Beato se, grifon, che non discindi
col becco desto legno dolce al gusto,
poscia che mal si torce il ventre quindi».
Così dintorno a lalbero robusto
gridaron li altri; e lanimal binato:
«Sì si conserva il seme dogne giusto».
E vòlto al temo chelli avea tirato,
trasselo al piè de la vedova frasca,
e quel di lei a lei lasciò legato.
Come le nostre piante, quando casca
giù la gran luce mischiata con quella
che raggia dietro a la celeste lasca,
turgide fansi, e poi si rinovella
di suo color ciascuna, pria che l sole
giunga li suoi corsier sotto altra stella;
men che di rose e più che di vïole
colore aprendo, sinnovò la pianta,
che prima avea le ramora sì sole.
Io non lo ntesi, né qui non si canta
linno che quella gente allor cantaro,
né la nota soffersi tutta quanta.
Sio potessi ritrar come assonnaro
li occhi spietati udendo di Siringa,
li occhi a cui pur vegghiar costò sì caro;
come pintor che con essempro pinga,
disegnerei com io maddormentai;
ma qual vuol sia che lassonnar ben finga.
Però trascorro a quando mi svegliai,
e dico chun splendor mi squarciò l velo
del sonno, e un chiamar: «Surgi: che fai?».
Quali a veder de fioretti del melo
che del suo pome li angeli fa ghiotti
e perpetüe nozze fa nel cielo,
Pietro e Giovanni e Iacopo condotti
e vinti, ritornaro a la parola
da la qual furon maggior sonni rotti,
e videro scemata loro scuola
così di Moïsè come dElia,
e al maestro suo cangiata stola;
tal torna io, e vidi quella pia
sovra me starsi che conducitrice
fu de miei passi lungo l fiume pria.
E tutto in dubbio dissi: «Ov è Beatrice?».
Ond ella: «Vedi lei sotto la fronda
nova sedere in su la sua radice.
Vedi la compagnia che la circonda:
li altri dopo l grifon sen vanno suso
con più dolce canzone e più profonda».
E se più fu lo suo parlar diffuso,
non so, però che già ne li occhi mera
quella chad altro intender mavea chiuso.
Sola sedeasi in su la terra vera,
come guardia lasciata lì del plaustro
che legar vidi a la biforme fera.
In cerchio le facevan di sé claustro
le sette ninfe, con quei lumi in mano
che son sicuri dAquilone e dAustro.
«Qui sarai tu poco tempo silvano;
e sarai meco sanza fine cive
di quella Roma onde Cristo è romano.
Però, in pro del mondo che mal vive,
al carro tieni or li occhi, e quel che vedi,
ritornato di là, fa che tu scrive».
Così Beatrice; e io, che tutto ai piedi
di suoi comandamenti era divoto,
la mente e li occhi ov ella volle diedi.
Non scese mai con sì veloce moto
foco di spessa nube, quando piove
da quel confine che più va remoto,
com io vidi calar luccel di Giove
per lalber giù, rompendo de la scorza,
non che di fiori e de le foglie nove;
e ferì l carro di tutta sua forza;
ond el piegò come nave in fortuna,
vinta da londa, or da poggia, or da orza.
Poscia vidi avventarsi ne la cuna
del trïunfal veiculo una volpe
che dogne pasto buon parea digiuna;
ma, riprendendo lei di laide colpe,
la donna mia la volse in tanta futa
quanto sofferser lossa sanza polpe.
Poscia per indi ond era pria venuta,
laguglia vidi scender giù ne larca
del carro e lasciar lei di sé pennuta;
e qual esce di cuor che si rammarca,
tal voce uscì del cielo e cotal disse:
«O navicella mia, com mal se carca!».
Poi parve a me che la terra saprisse
trambo le ruote, e vidi uscirne un drago
che per lo carro sù la coda fisse;
e come vespa che ritragge lago,
a sé traendo la coda maligna,
trasse del fondo, e gissen vago vago.
Quel che rimase, come da gramigna
vivace terra, da la piuma, offerta
forse con intenzion sana e benigna,
si ricoperse, e funne ricoperta
e luna e laltra rota e l temo, in tanto
che più tiene un sospir la bocca aperta.
Trasformato così l dificio santo
mise fuor teste per le parti sue,
tre sovra l temo e una in ciascun canto.
Le prime eran cornute come bue,
ma le quattro un sol corno avean per fronte:
simile mostro visto ancor non fue.
Sicura, quasi rocca in alto monte,
seder sovresso una puttana sciolta
mapparve con le ciglia intorno pronte;
e come perché non li fosse tolta,
vidi di costa a lei dritto un gigante;
e basciavansi insieme alcuna volta.
Ma perché locchio cupido e vagante
a me rivolse, quel feroce drudo
la flagellò dal capo infin le piante;
poi, di sospetto pieno e dira crudo,
disciolse il mostro, e trassel per la selva,
tanto che sol di lei mi fece scudo
a la puttana e a la nova belva.
Deus, venerunt gentes, alternando
or tre or quattro dolce salmodia,
le donne incominciaro, e lagrimando;
e Bëatrice, sospirosa e pia,
quelle ascoltava sì fatta, che poco
più a la croce si cambiò Maria.
Ma poi che laltre vergini dier loco
a lei di dir, levata dritta in pè,
rispuose, colorata come foco:
Modicum, et non videbitis me;
et iterum, sorelle mie dilette,
modicum, et vos videbitis me.
Poi le si mise innanzi tutte e sette,
e dopo sé, solo accennando, mosse
me e la donna e l savio che ristette.
Così sen giva; e non credo che fosse
lo decimo suo passo in terra posto,
quando con li occhi li occhi mi percosse;
e con tranquillo aspetto «Vien più tosto»,
mi disse, «tanto che, sio parlo teco,
ad ascoltarmi tu sie ben disposto».
Sì com io fui, com io dovëa, seco,
dissemi: «Frate, perché non tattenti
a domandarmi omai venendo meco?».
Come a color che troppo reverenti
dinanzi a suo maggior parlando sono,
che non traggon la voce viva ai denti,
avvenne a me, che sanza intero suono
incominciai: «Madonna, mia bisogna
voi conoscete, e ciò chad essa è buono».
Ed ella a me: «Da tema e da vergogna
voglio che tu omai ti disviluppe,
sì che non parli più com om che sogna.
Sappi che l vaso che l serpente ruppe,
fu e non è; ma chi nha colpa, creda
che vendetta di Dio non teme suppe.
Non sarà tutto tempo sanza reda
laguglia che lasciò le penne al carro,
per che divenne mostro e poscia preda;
chio veggio certamente, e però il narro,
a darne tempo già stelle propinque,
secure dogn intoppo e dogne sbarro,
nel quale un cinquecento diece e cinque,
messo di Dio, anciderà la fuia
con quel gigante che con lei delinque.
E forse che la mia narrazion buia,
qual Temi e Sfinge, men ti persuade,
perch a lor modo lo ntelletto attuia;
ma tosto fier li fatti le Naiade,
che solveranno questo enigma forte
sanza danno di pecore o di biade.
Tu nota; e sì come da me son porte,
così queste parole segna a vivi
del viver chè un correre a la morte.
E aggi a mente, quando tu le scrivi,
di non celar qual hai vista la pianta
chè or due volte dirubata quivi.
Qualunque ruba quella o quella schianta,
con bestemmia di fatto offende a Dio,
che solo a luso suo la creò santa.
Per morder quella, in pena e in disio
cinquemilia anni e più lanima prima
bramò colui che l morso in sé punio.
Dorme lo ngegno tuo, se non estima
per singular cagione esser eccelsa
lei tanto e sì travolta ne la cima.
E se stati non fossero acqua dElsa
li pensier vani intorno a la tua mente,
e l piacer loro un Piramo a la gelsa,
per tante circostanze solamente
la giustizia di Dio, ne linterdetto,
conosceresti a larbor moralmente.
Ma perch io veggio te ne lo ntelletto
fatto di pietra e, impetrato, tinto,
sì che tabbaglia il lume del mio detto,
voglio anco, e se non scritto, almen dipinto,
che l te ne porti dentro a te per quello
che si reca il bordon di palma cinto».
E io: «Sì come cera da suggello,
che la figura impressa non trasmuta,
segnato è or da voi lo mio cervello.
Ma perché tanto sovra mia veduta
vostra parola disïata vola,
che più la perde quanto più saiuta?».
«Perché conoschi», disse, «quella scuola
chai seguitata, e veggi sua dottrina
come può seguitar la mia parola;
e veggi vostra via da la divina
distar cotanto, quanto si discorda
da terra il ciel che più alto festina».
Ond io rispuosi lei: «Non mi ricorda
chi stranïasse me già mai da voi,
né honne coscïenza che rimorda».
«E se tu ricordar non te ne puoi»,
sorridendo rispuose, «or ti rammenta
come bevesti di Letè ancoi;
e se dal fummo foco sargomenta,
cotesta oblivïon chiaro conchiude
colpa ne la tua voglia altrove attenta.
Veramente oramai saranno nude
le mie parole, quanto converrassi
quelle scovrire a la tua vista rude».
E più corusco e con più lenti passi
teneva il sole il cerchio di merigge,
che qua e là, come li aspetti, fassi,
quando saffisser, sì come saffigge
chi va dinanzi a gente per iscorta
se trova novitate o sue vestigge,
le sette donne al fin dunombra smorta,
qual sotto foglie verdi e rami nigri
sovra suoi freddi rivi lalpe porta.
Dinanzi ad esse Ëufratès e Tigri
veder mi parve uscir duna fontana,
e, quasi amici, dipartirsi pigri.
«O luce, o gloria de la gente umana,
che acqua è questa che qui si dispiega
da un principio e sé da sé lontana?».
Per cotal priego detto mi fu: «Priega
Matelda che l ti dica». E qui rispuose,
come fa chi da colpa si dislega,
la bella donna: «Questo e altre cose
dette li son per me; e son sicura
che lacqua di Letè non gliel nascose».
E Bëatrice: «Forse maggior cura,
che spesse volte la memoria priva,
fatt ha la mente sua ne li occhi oscura.
Ma vedi Eünoè che là diriva:
menalo ad esso, e come tu se usa,
la tramortita sua virtù ravviva».
Come anima gentil, che non fa scusa,
ma fa sua voglia de la voglia altrui
tosto che è per segno fuor dischiusa;
così, poi che da essa preso fui,
la bella donna mossesi, e a Stazio
donnescamente disse: «Vien con lui».
Sio avessi, lettor, più lungo spazio
da scrivere, i pur cantere in parte
lo dolce ber che mai non mavria sazio;
ma perché piene son tutte le carte
ordite a questa cantica seconda,
non mi lascia più ir lo fren de larte.
Io ritornai da la santissima onda
rifatto sì come piante novelle
rinovellate di novella fronda,
puro e disposto a salire a le stelle.
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TAVOLA DEI CARATTERI SPECIALI
TABLE OF SPECIAL CHARACTERS
à = a grave
è = e grave
ì = i grave
ò = o grave
ù = u grave
é = e acute
ó = o acute
ä = a uml
ë = e uml
ï = i uml
ö = o uml
ü = u uml
È = E grave
Ë = E uml
Ï = I uml
« = left angle quotation mark
» = right angle quotation mark
= left double quotation mark
= right double quotation mark
= left single quotation mark
= right single quotation mark
= em dash
= middot
. . . = ellipsis