The Project Gutenberg eBook of Pasquale Paoli; ossia, la rotta di Ponte Nuovo This ebook is for the use of anyone anywhere in the United States and most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included with this ebook or online at www.gutenberg.org. If you are not located in the United States, you will have to check the laws of the country where you are located before using this eBook. Title: Pasquale Paoli; ossia, la rotta di Ponte Nuovo Author: Francesco Domenico Guerrazzi Release date: March 15, 2015 [eBook #48490] Most recently updated: October 24, 2024 Language: Italian Credits: Produced by Carlo Traverso, Claudio Paganelli, Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images generously made available by The Internet Archive) *** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK PASQUALE PAOLI; OSSIA, LA ROTTA DI PONTE NUOVO *** PASQUALE PAOLI OSSIA LA ROTTA DI PONTE NUOVO ROMANZO STORICO DI F. D. GUERRAZZI ROMA EDOARDO PERINO TIPOGRAFO-EDITORE 1883 CAPITOLO I. Il vetturino livornese Gli dei di Ausonia se ne andarono, ed il suo cielo con essi! — esclamò Giacomo Boswell, fiore di galantuomo inglese, levando la faccia in alto e ricevendovi bravamente in mezzo uno sbuffo di acqua piovana. Il vetturino che lo menava, non intendendo bene codesta dotta esclamazione, tacque e, seduto alla peggio su le stanghe del calesse, continuò a toccare il cavallo perchè accelerasse il passo. Il signor Giacomo, tra lamentoso e stizzito, ripigliò a proferire più forte: — Ed è egli questo il tanto vantato cielo d'Italia? Allora poi il vetturino non si potè più reggere; e quantunque la domanda non fosse volta a lui, bensì a tutto il genere umano, egli, a ragione reputandosi particola di questo genere, pensò gli spettasse il diritto di rispondere per tutti, ed invero rispose: — Sia benedetto! io glielo aveva pure avvisato innanzi di partire da Pisa: l'acqua è in terra, ma vostra signoria che cosa ha saputo replicarmi? «Non importa.» Lo ha ella detto, sì o no? Adesso, se ciò che si prevedeva accadde, non ci rimane a fare altro che quello che mi lasciò detto mio padre. — Ed era? « — Chi non seppe ben fare, sappia almeno ben tacere.» E poi anco questo altro, il quale però ha da capire come per via di metafora, non perchè si riferisca punto a lei: «Quando il ladro è di casa, non bisogna chiamare il bargello.» Il signor Giacomo, chinato il capo, non fiatò più, anzi si pentì di avere aperto bocca, e, riprese il viaggio, accompagnato sempre dalla pioggia, giunse a Livorno e andò a smontare in via Borra al palazzo delle colonne di marmo, abitato dal signor Giovanni Dieck, scudiere e console di Sua Maestà Britannica in cotesta città. Gittandosi giù dal calesse, il signor Giacomo con voce burbera interrogò: — E devo pagarvi? — Ma!.... due scudi fu il patto, e la buona mano, se le piace. Queste parole pel modo, col quale vennero pronunziate, avrebbero fornito agli studiosi dell'arte musicale subietto stupendo ad ammirare, perchè dai suoni risentiti scesero giù giù per una scala semitonata ad una specie di bisbiglio; e questo in virtù del diritto che, fatta la prima parte, lasciava luogo alla speranza, la quale pareva persuasa che essendo fuori a quell'ora, non poteva buscare altro che acqua. — Bene; ecco i due scudi. Buona mano ch'è? — Diavolo! Oh! che? non ha mai viaggiato vostra signoria? oh! che? ci è ella piovuto dalle nuvole in Italia? La buona mano, a ragionarvi su, propriamente vuol dire la mancia che i viaggiatori, quando si trovano serviti bene, donano al vetturino oltre il fissato. — Quando si trovano serviti bene: ma io mi trovo servito male, dunque non vi do nulla. — Capisco che buon viaggio non fu di certo il suo — e così dicendo gli levava la valigia di cassetta — ma ci ho colpa io? Me ne rimetto alla sua coscienza. — E poi la vostra definizione della mancia è mal fatta. — Quanto a questo poi, io me ne ho da intendere più di lei. — Vi dico che manca; e manca questo: denaro al vetturino oltre al fissato, perchè vada ad ubbriacarsi all'osteria e bastoni poi la moglie e i figliuoli. — È vero, — rispose il vetturino abbassando il capo. — Bene, dunque portate in pace se non vi do nulla; perchè temo che Dio mi domanderebbe conto di avere dato causa col mio denaro a degradare la creatura: la creatura, capite, dove Dio impresse la sua santa immagine, ch'ella si affatica tutto giorno a cancellare sostituendovi quella della bestia; anzi no, perchè le bestie non si ubbriacano. Dite: avete mai visto per le strade cani, cavalli od asini briachi? Il vetturino, finito questo acquazzone di parole acerbe, rispose ingenuo: — No, signore, io non ce gli ho visti, ma io aveva creduto in coscienza potere omettere la sua giunta, perchè all'osteria non vado mai. — Bene. — E nè manco bevo vino. — Benissimo. — Non tanto come la si figura lei; ma che vuole? Bisogna stenderci quando il lenzuolo è lungo: che ho moglie e figliuoli, e quello che guadagno col padrone basta per pagare il fitto e pel pane; con le buone mani si rimedia al resto. — Avete moglie? avete figliuoli? non andate all'osteria? non bevete vino? Oh! allora è diverso. Perchè non me lo avete detto avanti? Potevatelo dirmelo prima, chè mi avreste risparmiato la mala azione d'ingiurarvi a torto. Vi domando perdono: ecco la buona mano, e il Signore vi dia la buona notte. E, lasciata la valigia nello androne, schizzò su per le scale presto così, che gli pervenne mezzo all'orecchio il «Dio gliene renda merito» che il povero vetturino gli mandava dietro nella pienezza del cuore. Il giorno dopo, verso le nove di mattina un uomo di florida età, bello in sembiante e, più che bello, sereno, stava fermo sopra il secondo gradino del palazzo delle colonne di marmo, guardando trasecolato il cielo ora da una parte, ora dall'altra, e pareva non si potesse saziare di contemplarlo. Egli era il signor Giacomo Boswell, giovine di trenta e qualche anno, di capelli biondi, occhi cilestri come la più parte de' suoi compatrioti appaiono: bensì proprio di suo ci metteva la sembianza, che l'Onestà stessa avrebbe potuto pigliare in presto, se le fosse venuto il capriccio di fare una visita al mondo vestita, come la signora Bloomer, da uomo, ed un misto di costanza, di argutezza ed anco di malizia, ma di quella buona, quasi fuoco che scalda e non iscotta. Il signor Giacomo si lasciava governare dalle sue voglie, le quali, per quanto talora si manifestassero singolari, essendo sempre dirette alla conoscenza del vero, all'ammenda e al sollievo dei proprii simili, se da un lato movevano al sorriso, dall'altro invitavano a tenergli dietro le lacrime. Così in primavera il sole si mescola talvolta con la pioggia, e i fiori giocondati da quello e da questa smagliano come diamanti: vera festa della Natura. Sogliono gli uomini francesi chiamare questi umori britanni stranezze, gl'irridono. Sta bene; essi sono tutti uniti, tutti lisci, anzi uguali tra loro come mattoni. Però badino: co' mattoni si fanno i pavimenti, non le cupole, e basta. Il signor Boswell non apparteneva alla setta dei _Fratelli_, o vogliamo dire _Quaccheri_, ma assai le si accostava coi costumi e col vestire; abborriva la cipria; i capelli portava stretti dopo le spalle con un nastro di seta nero senz'altra acconciatura; la barba rasa diligentissimamente, chè gl'Inglesi non erano a quei giorni venuti a contesa di pelo con gli orsi; le vesti tutte (se togli i pannilini bianchi e le scarpe nere) di una stoffa eguale e colore di piombo; nella mano manca tra l'indice e il pollice portava una tabacchiera d'argento, alla quale imprimeva di tratto in tratto un moto ondulatorio, e qualche volta, nelle veementi commozioni, mercè un colpo dell'indice della destra, la faceva girare dentro la medesima morsa. Ed ora appunto gli avea dato questo colpo solenne: nè a torto, imperciocchè adesso il cielo gli si spandesse sul capo immenso di azzurro sereno; e se l'occhio dell'uomo avesse potuto arrivare fino costà laggiù nel profondo del cielo, ci avrebbe contemplato Dio nelle magnificenze della sua gloria. Il sole, stupendo di calore e di luce, incedeva per lo emisfero come creatura che senta la solennità del messaggio di bandire alla terra la bontà infinita del suo Creatore. Le aure di aprile alitavano in faccia alla gente con la salute il profumo dell'arancio, dacchè a quei tempi Livorno non andasse gremito di case lunghe, intirizzite, fabbricate una sopra le spalle all'altra come frotta di perdigiorno su ritti in punta di piedi per vedere il cane barbone che porta in giro la scimmia a cavallo; bensì abbondasse di spazi grandi lavorati a giardino, fiorenti di ogni maniera di agrumi, ed appunto davanti la casa del console inglese se ne ammirasse uno vasto quanto leggiadro, attiguo al palazzo fabbricato dai signori Franceschi di origine côrsa. — Bene, benissimo! — ripeteva il Boswell con accenti sempre più musicali; e il piede inconsapevole, davanti tanta armonia di cielo, batteva la misura chè la melodia di un bel giorno d'Italia gli s'insinuava nel sangue — bene! gli dei ritornano, e naturalmente con essi l'Olimpo, ch'è casa loro. Intanto un uomo, il quale già quattro volte e sei lo aveva richiesto, pregato e supplicato a tirarsi da parte tanto ch'ei potesse passare, accorgendosi che con le buone non ne sarebbe venuto a capo, lo spinse oltre soavemente e passò. Ho detto soavemente, bene intesi però che questo ed altri avverbii cotali non vestono natura assoluta, bensì relativa: tanto vero questo, che la spinta, soave, quanto all'uomo che la dette, non parve tale al signor Giacomo che la sofferse, essendo andato di schianto a battere con la spalla nella colonna sinistra del portico; ond'è che, richiamato così _ex abrupto_ al senso delle faccende della vita, non senza un po' di collera egli prese ad esclamare: — Galantuomo! il maestro della buona creanza vi ha proprio rubato il salario. — Oh! è lei? In verità, vestito così da signore, io non l'avea mica riconosciuto. — Bene; ma, o io o un altro, dovete convenire che a fare le cose con un po' più di garbo non ci si scapita nulla. Orsù passate... — Eh! no, signore. — Come no? Poc'anzi mi avete dato uno spintone da rompermi il capo contro le pietre per passare, ed ora mi state piantato là come un palo. — Oh! che ci è da stupire? Io non ho più bisogno di passare adesso... Cercava per lo appunto di lei. — Me? — Proprio lei. Si ricorda vostra signoria dei ragionamenti che tenemmo ieri sera circa alla buona mano? — Sì, mi pare; qualche cosa fu detto. — E come! Su le prime lei non mi voleva dare niente... — Avanti. — E poi me la dette, ma era buio: ella si mise la mano in tasca e non ci badò, ed io nè meno. Tornato a casa consegnai la moneta a Caterina; e non ci era da sbagliare, in tasca mia cotesta moneta ci si trovava figliuola unica di madre vedova, e poi di oro non ci sono mai usate; Caterina guardò la moneta e me negli occhi; dopo disse: «E te l'ha data proprio lui?» Oh, chi me la deve aver data gua'? disse io. — Allora Caterina da capo: «Dunque dev'essere sbaglio.» Malanaggio! dissi io; se non isbagliava, stasera si rimediava al companatico. Venire ieri notte a riportarle la moneta non mi pareva che c'incastrasse, perchè a casa tornai tardi, chè prima mi toccò asciugare e governare il cavallo; stamani subito che ho potuto, vengo a fare il debito mio. E stesa la mano porgeva la sterlina al Boswell, il quale, dondolando la scatola via via, diceva: — Bene, bene. — Ad un tratto domandò: — Di che paese siete? — Di Livorno. — Proprio? — Eh! di sicuro e battezzato in duomo. — E ce ne hanno di molti vetturini come voi a Livorno? — Lo credo, e devo crederlo; quali e quanti non so; perchè io bado al fatto mio e tiro lungo. — Bene, come vi chiamate? — Mi chiamo Giovanni. — Non fu sbaglio, caro Giovanni: vi prego anzi a pigliare anche quest'altra, e la porterete da parte mia alla signora Caterina vostra consorte, che saluterete da parte mia e le direte che la spenda... la spenda come le farà piacere; chè so che non bisogna de' miei consigli. — Ma che? le pare? rispose Giovanni respingendo con la manca la mano del Boswell, e con la destra sporgendo sempre la ghinea. Ma che? le pare? di questa sola ce ne sarebbe di avanzo. — Non ricusate, Giovanni, la provvidenza che Dio vi manda; non vogliate peccare di superbia. — Eh! giusto; io sono troppo povero, mio signore, per concedermi il lusso dei peccati mortali. — Dunque obbedite; prendete e andate per le vostre faccende. — Obbedirò, e Dio gliene renda merito un'altra volta. Oh! la è pure la bella cosa essere ricco: ed io, veda, mi ci sono messo a desiderarlo più di una volta, perchè mi è parso che a far bene ai poveri si ha da provare un gusto matto; e ora che mi è capitata questa fortuna, il gusto me lo vo' cavare ancor io; una delle monete che vostra signoria mi ha dato, vo' mandarla al Paoli. — Com'entra qui il generale Paoli? come conoscete voi il generale Paoli? in qual modo è egli povero il signor generale Paoli? — Io lo conosco, e lo posso conoscere come gli altri, perchè la buona reputazione entra _gratis_ nelle orecchie di noi altri poveri come in quelle dei ricchi. Lo credo povero, perchè, il Paoli e la Corsica facendo una cosa sola, so che la Corsica è poverina e poi, ne vada la testa, non vuole patire prepotenze dalla Francia, la quale non si vergogna di mettersi a repentaglio con lei, chè sarebbe come se un pescecane invitasse a' morsi un ghiozzo del molo. E ci entra il Paoli, e ci entro io, perchè ad amare la libertà non si paga nulla, ed io amo con tutto il cuore la libertà e il Paoli, e benedetta la sua faccia che la difende! — Oh! — proruppe il Boswell cacciandosi a precipizio la scatola dentro la tasca della sottoveste; poi, con ambedue le mani libere, presa la mano del vetturino e stringendogliela e scotendogliela fino a slogargli la clavicola del braccio, ripeteva: — Benissimo, bene... bene! Giovanni, io da questo non vi dissuado davvero, perchè quello che voi avrete speso in benefizio della libertà del genere umano, Dio misericordioso, oltre il merito nell'altro mondo riservato alle anime sante, ve lo renderà centuplicato anco in questo, non fosse altro, col sentimento della vostra dignità. Aveva meco stesso disegnato non interrompere con digressioni il filo del racconto, properando a scavezzacollo verso la fine, come insegna Orazio nella poetica, ma con inestimabile amarezza mi tocca a rompere il proponimento, non già per colpa mia, bensì per contraddire a certe voci che mi odo bisbigliare qui attorno. «Costui, dicono le voci, delira; comprendiamo anco noi che a chi racconta novelle è mestieri fare la parte larga della fantasia, ma spingere fino al mostruoso la immaginazione, questo non patiremo mai. S'intende acqua, ma non tempesta! I vetturini di Livorno, a sentirlo, procedevano sviscerati della libertà nel secolo passato, mentre nel nostro gli stessi signori negozianti e gli altri che vanno per la maggiore in cotesta terra, o non la conoscono o, conosciuta, si affretterebbero a disfarsene come la peggiore delle derrate.» Ora io rispondo: Quanto ai Livornesi del tempo che corre, io non saprei, chè da parecchi anni vivo lontano da casa; ma non ci credo, e mi giova non crederci. Forse qualche sciagurato non aborrì procacciare a' suoi figliuoli perpetuo retaggio d'infamia; ma come un fiore non fa ghirlanda, così nè anche, dove apparisce un diavolo, ecci lo inferno. Ad ogni modo i Livornesi soli accolsero i Tedeschi a cannonate in Toscana; certo nelle difese non durarono nè potevano durare; non importa, non per questo palesarono meno l'odio contro la razza esecrata: e se tu pensi alla comune viltà, quanto fu minore la possa, invece di cavarne materia di biasimo, come fanno taluni codardi maligni, tanto ti parrà più grande il cuore di avere maledetto faccia a faccia un prepotente nemico. Quello che narro del popolo livornese del secolo passato, se non vuolsi credere a me, credetelo ad Ottavio Renucci, che prima fu gesuita e poi galantuomo (trasformazione difficile, ma che pure è talora accaduta); credetelo all'abate Giovacchino Cambiagi, le scritture dei quali (che storie non mi attento dire) io vi prometto farvi toccare proprio con le mani in altra parte di questa storia. Per ora contentatevi così. Dunque si metta in sodo, per quello che può valere, come, _cento anni sono_, il popolo livornese amasse la libertà. CAPITOLO II. Il mercante côrso Il signor Boswell, consultato il suo taccuino, si condusse senza sbagliare nella piazza grande: quando fu sopra la crociata del duomo, si girò a destra, e visto di fondo alla lunga strada spuntare parecchi pennoni di bastimenti, avviossi costà con passi accelerati, sicuro del fatto suo. In andando teneva la faccia voltata sopra la spalla sinistra, come le nottole nel volare costumano, e fissa a leggere il numero dipinto sopra gli stipiti delle porte de' casamenti. Di un tratto sta, rilegge il numero e mormora: — Senz'altro è qui. Guarda meglio, volta la faccia in su e mira una casaccia sciatta, scappata di mano all'architetto tra uno sbadiglio e uno starnuto, con certe nicchie ovali a tutti i piani nel sodo, tra una finestra e l'altra ornato di busti, i quali a tanta lontananza non sapevi distinguere se fossero di marmo o di bronzo o di che cosa si fossero; e peggio ancora non si conosceva se rappresentassero principi di corona o persone di garbo, o se _turchi, ebrei o cristian rinnegati_. Ai noti segni confermandosi nel suo giudizio, il signor Giacomo, dato un giro alla tabacchiera, ripetè: — È qui. Ma dove qui? abbacava poi dentro di sè. Da un lato gli si mostra una bottega con la insegna di una immane mignatta di lamiera tinta di verde, la quale vomitava un torrente di bambagine colorita nella robbia in simulacro di sangue e faceva fede lì dentro vendersi le mignatte. Ora pareva al signor Giacomo che un mercante _rispettabile_ (anche a quei tempi in commercio chiamavasi rispettabile chi aveva quattrini, fuori di commercio divo ed augusto, e tuttavia si chiama) non avesse a trovarsi in combutta con le mignatte: e posto eziandio alla più trista che la prima qualità di _mercante_ non facesse ostacolo, per la seconda poi di _rispettabile_ non ci quadrava assolutamente. Dall'opposto lato dentro un'altra bottega, il più innocente dei peccati mortali, sotto la forma di marzapani e di zuccherini, tendeva le reti per uccellare anime al demonio. Quante insidie alla nostra salute! e la nostra umanità è tanto frale! Chi avrebbe mai presagito un dì che Satana, proprio lui, per perdere un'anima cristiana, avesse potuto assumere la figura di confetto parlante? Ci pensino i confessori, ci pensino seriamente e ci provvedano. Però, se un _mercante rispettabile_ non poteva avere pratica con le mignatte, molto meno era da credersi tenesse domicilio comune co' marzapani. Tuttavolta, quasi nascosta tra gli sporti delle due botteghe, a cui ci avesse con diligenza atteso, sarebbe riuscito scoprire un'altra porta angusta, nera nera nera poco meno della coscienza di un _gesuita_ o di un _moderato_, chè _ella è tutta una minestra_; ma, a quanto appariva, la porta era di bottega; e tuttavolta non ci cascava dubbio, cotesto per lo appunto era il luogo che indicavano i ricordi del signor Boswell. Ora, poichè non ci lesse scritto sopra: Uscite di speranza, o voi ch'entrate, come su la porta dello inferno (e nello inferno il signor Giacomo non ci credeva; e quando anco ci avesse creduto, egli non ignorava che anco dallo inferno si esce, non fosse altro, agguantandosi ai peli dell'anguinaia del diavolo, a modo che Dante adoperò), il nostro eroe, risoluto, si mise dentro alle segrete cose. Inoltrandosi nello andito lungo, a poco poco la luce illanguidì, cassò del tutto, tornò ad apparire annacquata, un po' meno; per ultimo venne a riuscire in una chiostra. Chiostra ho detto, e doveva dire campo di battaglia non che museo delle geste e delle glorie del commercio, quivi disposto dalla mano della Memoria in trofeo. Colà il signor Giacomo contemplò botti, damigiane, caratelli incerati, involture di canapetta, brani di stuoie, casse di ogni maniera, fra le quali ne riconobbe parecchie di origine britannica, nobile orgoglio per un cuore inglese! Sul culmine del trofeo, come su l'elmo di quel Niccolino che combattè a Benevento e fu sì infesto al re Manfredi, sedeva un gatto.[1] Il gatto da prima comparve degno dell'alto seggio a cui era stato assunto in virtù delle sue zampe (e troppi più che Dio non vorrebbe, per andare in cima, non posseggono cagione migliore di questa) mercè la fronte di bronzo e la immobilità veramente imperiale; e non senza _quia_ dico imperiale, affacciandomisi al pensiero quel Costanzo Cloro, che riputò parte cospicua della sua dignità non soffiarsi mai il naso: se non che ad un tratto sprigionata una zampa dalla coda, che aveva tenuto fino a quel momento inanellata a mazzocchio attorno alle gambe, prima se l'accostò alla bocca e la baciò, poi se la stropicciò a più riprese pel capo disopra l'orecchia, e lungo il muso, quasi intendesse augurare il ben venuto al signor Boswell, secondo il costume degli orientali. Il signor Giacomo, senza rendergli nè anco il saluto, ed in questo non fu cortese, si girò intorno per vedere se incontrasse cosa che lo mettesse su la buona strada: ed ecco pararglisi davanti un cane ed un uomo, se uomo in buona coscienza poteva dirsi costui: berretto, giubba e ogni altra veste color marrone, pelosi quanto pelle di capra, e di vero tutte erano fatte di panno côrso, il quale le donne tramano co' ferri a mano come la maglia delle calze. Costui, che côrso era, aveva i piedi nascosti nella paglia, sopra la quale giaceva supino con le mani sotto il capo a mo' di capezzale ed il berretto tirato su gli occhi; i suoi capelli copiosi si mescolavano con la barba, ed entrambi apparivano coltivati quanto le boscaglie del suo nativo Niolo, e per di più nella tinta, pari al berretto e alle altre vesti; immobile affatto, se non che nella guisa che il fumo del cammino ti assicura che nella capanna perduta in mezzo allo scopeto ci vive l'uomo, i buffi fetidi dell'erba côrsa, che scoppiettando dentro la pipa ardeva, lo manifestavano vivo. Sopra la stessa paglia un cane di pelo corto, bianco brizzolato di rossigno, la coda a ricciolo su la groppa, il muso tra la volpe e il lupo, stava eretto su le zampe, appuntando le brevi orecchie e mostrando due file di denti acuti come lesine. Non brontolavano l'uomo nè il cane, ma pareva tenessero apparecchiate le armi alla zuffa, e con quattro occhi, pari a quattro punte di freccia su la noce della balestra, non lasciavano di seguitare il sopraggiunto in ogni suo moto. Però il signor Giacomo cotesti allestimenti non badava o temeva, bensì esitava pensando se, per ottenere risposta profittevole, tornasse meglio voltarsi al cane od all'uomo; ma perchè aveva fretta, e la indagine sarebbe andata per le lunghe, s'indirizzò ad ambedue per via di domanda generale: — Il signor Giacomini di Centuri? Veramente rispose l'uomo, ma non si potrebbe negare che rispondesse anche il cane; imperciocchè se il primo levò la barba in su e adoperando la pipa come l'ago della bussola indicò una porta, il secondo abbassò il labbro superiore e nascose i denti come la fregata, calati gli sportelli, fa scomparire i cannoni, volgendo a sua posta il muso colà dove il compagno aveva appuntato la pipa. Il signor Boswell, in mancanza di meglio, si tenne per informato e andò oltre. Stretta era la porta, e delle imposte una chiusa, l'altra semiaperta con una finestrina sopra munita d'inferiata: nè a questa finestra mancavano i suoi telai ed i vetri; se non che, quasi andasse ella stessa capace che in quel luogo non poteva compire veruno degli ufficii pei quali vengono aperte le finestre, e come vergognosa di reggere il sacco all'architetto ignorante, si era da molto tempo velata la faccia con un sudario di ragnateli; meritandosi, in difetto di altro migliore, il nome di sincera. Il signor Giacomo, guardata prima la finestra, che non mandava lume, aperse l'uscio, fece un passo e stette. Curioso uomo costui: caso mai gli fosse toccato di morire di freddo, egli era strumento da tornarsi indietro dal campo santo per ispecolare sul termometro con quanti gradi sotto il zero e' lo avesse ucciso. Egli guardando vide un magazzino a volta grandissima, sorretto da parecchi pilastri; a manca intorno alla parete molte tavole assicurate sopra mensole fitte nel muro: e su le tavole, ciotole piene di saggi di grano alternati da mucchi di pietre focili e sacchetti di pelle; anzi in qualche corbello (insegnamento supremo a popolo che non vuole soggiacere a tirannide, rivendicarsi in libertà) mescolati palle e grano; in terra alla rinfusa corami, scarpe, sciabole, cappotti, di ogni ragione ferramenta, piombo in pani e perfino due colubrine turche, coperte in parte con la bandiera côrsa, rappresentante la immacolata Concezione. [Illustrazione: Il signor Giacomo, pazientissimo uomo, attendeva in piedi, che il signor Santi si fosse accorto di lui. (_pag. 21_)] Di profilo, prossimo alla sola finestra che traverso vetri verdissimi mandava un cotal poco di luce colore di cavolo cappuccio, compariva il banco tinto di cenerino col piano inclinato, coperto di cuoio nero confitto con bullette dalla capocchia di ottone; dal lato destro sur un ripiano di legno si apriva la bocca del calamaro, quasi orefizio di vulcano; il qual paragone tanto meglio calzava se ponevi mente agli schizzi che, simili alla lava, infiniti e per così dire procellosi prorompevano da tutti i lati. Anche le penne con la chioma a strappi, dalle morsicature lacere, assai davano aria alle povere piante che si ostinano ad abbrustolire intorno cotesti fornelli della terra, vere anime dannate della vegetazione. Sopra lo scrittoio, fitti al muro uno su l'altro, tre quadri condotti a olio da artista più che mediocre, e splendidi per cornice indorata: quello di mezzo rappresentava la Concezione di Maria, al patrocinio della quale si commisero i Côrsi, quando, partito dall'isola il principe di Würtemberg, si dettero al re di Spagna che non li volle accettare. Nel medesimo modo e con pari fortuna i Fiorentini elessero Gesù Cristo re della repubblica; donde si ricava che gli uomini opereranno sempre direttamente a confidare negli aiuti celesti, a patti che non trascurino i terreni. Sopra la Concezione l'arme côrsa, che faceva testa di moro, e allora con la fascia intorno al capo: circa alla quale fascia è da sapersi che _ab antiquo_ i Côrsi la finsero calata su gli occhi del moro per la medesima ragione che persuase il Buonarroti ad effigiare la Notte addormentata sul sepolcro di Giuliano dei Medici; cessata la sventura e con questa il danno della servitù, i Côrsi rimossero la benda dagli occhi del moro e gliela cinsero al capo in segno di dignità. Quando poi i Francesi con forze prepotenti e con frode oppressero la nobile isola correndo l'anno 1770, ardirono levare via del tutto la benda e se ne vantarono con un verso latino che sonava così: _altri finse sollevarla, noi l'abbiamo tolta davvero._ Ahimè! vi è tale ch'è nato per imbiancare i sepolcri come i Savoiardi per pulire i camini. Disotto la immagine del generale Paoli e davanti a quella pendente dal palco il signor Boswell vide accesa una lampada. Difficile cosa per altrui ed anco pel signor Giacomini sarebbe stato distinguere a quale dei tre quadri egli più particolarmente accendesse la lampada; imperciocchè se ne fosse formato nel suo cuore un insieme indivisibile, di cui il tutto non potesse andare senza la parte, nè la parte senza il tutto. Degno uomo! Non basta avere la patria sventurata soltanto, ma bisogna anco averla magnanima per amarla, siccome il signor Giacomini l'amava. Santi Giacomini, côrso di Centuri, stava seduto sopra un seggiolone di cuoio nero; comecchè fossimo entrati in aprile, egli teneva la persona inviluppata dentro una coperta di lana, e dietro le spalle ed ai lati parecchi guanciali da letto lo sorreggevano: tossiva continuo, ora languido, ora da rompergli il petto: con angoscia spurgava; poteva del suo sembiante conoscersi poco, perchè un berretto a maglia di seta nera, il cappello ed una ventola di taffettà verde gli coprivano col capo buona parte del viso, e, come se tanto non bastasse, difendeva la vista con occhiali verdi; la parte inferiore della faccia quasi tuffata dentro il fascettone da collo. Quanti fossero i suoi anni non appariva giusto; ma, pochi o assai, si leggeva chiaro che la morte stava in procinto di tirarne la somma. La pelle sul naso aveva tesa così, che gli spigoli della costola mostravano gli angoli taglienti; le narici attenuate e cosparse di quella tale forfora che sembra mazzamurro di ossa tritate; la pelle colore di cera vieta e madida di sudore; sul sommo delle guancie una striscia vermiglia quasi raggio estremo del sole che, posato sopra le alture, chiami le campane al lamento dell'avemaria. Come mai in cotesto stato potesse vivere, non si capiva: l'amore di patria lo teneva attaccato alla vita, ed era appunto miracolo, e non il solo, dello amore di patria: questo, e non altro, con tale una tenacità da sbalordire il fisiologo, contrastava in lui la morte, e da un anno a questa parte egli le respingeva in gola ogni giorno il fiato che costei già soffiava per ispegnerlo: così la foglia a mezza verno dura, mutata di colore, a tremare al vento, in virtù di una delle mille fibre che un dì la tennero appesa sull'arbore, nè ella vuole morire se prima non abbia veduto spuntare sul ramo la gioconda sua erede. Questo miracolo di ostinato volere teneva nella destra un fascio di carte e nella manca un temperino. Nello scorrere i fogli talora abbandonava il capo sopra la spalla così spasimato, che se la morte fosse giunta in quel momento, sarebbe ita oltre senza toccarlo dicendo: «Questo è lavoro fatto;» tale altra poi le pupille di sotto ai vetri verdi mandavano fuoco, le labbra parole indistinte fremevano, ed egli feriva della punta del temperino i fogli con la ferocia con la quale il Côrso si butta a corpo perduto sopra l'odiato nemico. Il signor Giacomo, pazientissimo uomo se altri mai ne visse al mondo, e se ne vantava, attendeva in piedi che il signor Santi si fosse accorto di lui; intanto, dondolando la scatola fra le dita, squadrava l'uomo e ne avvertiva i cenni; all'ultimo, ciò che aveva presagito accadde: al vecchio Côrso venne fatto notarlo, ond'ei si rimescolava e con voce scorrucciata proruppe: — Come voi qui? che volete? qual siete? come vi chiamiate? andate via... e subito. — E con la punta del temperino gli mostrava la porta. Ed il Boswell, senza moversi nè anco per ombra, pacato, di rimando: — Caro signore, salva la grazia vostra, io non veggo nelle vostre parole quella sana logica che ogni gentiluomo deve recarsi a pregio di professare: quietatevi, e con la quiete verremo a capo di tutto. — Ma qual siete? vi dico, qual siete? — Voi lo vedete: molto vi preme di sapere chi sia; ora ditemi, che Dio vi benedica, come giungereste a saperlo se cominciassi ad andarmene? Dunque principierò dal restarmi e dal mettermi a sedere. Il signor Giacomo nel compire questo moto si accorse essersi ingannato e di molto nel supporsi solo in compagnia del signor Santi, però ch'ei si vedesse il cane dietro a un pelo dai garretti con la batteria dei denti scoperta, e dopo il cane l'uomo castagno con la destra dentro una tasca di giubbone, dove era più che probabile che non ci avesse il rosario, o almeno non ce lo avesse solo. Però a liberarlo da coteste due minaccie bastò un cenno della punta del temperino del signor Santi (pare che al signor Santi il temperino fosse come il bastone ai marescialli), e le due creature, l'uomo dico e il cane, nel modo che senza rumore erano entrate, senza rumore se ne andarono. — Molto bene! — disse il signor Boswell quando le vide fuori dell'uscio. Poi rivolto al Côrso, soggiunse: — Ora sappiate che mi chiamo Giacomo Boswell e vengo d'Inghilterra e voglio andare in Corsica. — Andateci. E come c'entro io co' vostri viaggi? In Corsica! Oh! che ci andate a fare? — Dirò: molte cose ho sentito contare di voi altri Côrsi. — Sì, eh? — Sì, e ne ho anche lette e non poche. — E che avete sentito dire dei Côrsi? che cosa ne avete letto? Poveri, ma onorati, per la Immacolata! e sopra tutto liberi. — Io ho inteso dire ed ho letto, la Corsica essere una macchia di uomini salvatichi, dentro la quale l'uno cerca l'altro per ammazzarsi. — Lo avete inteso? — Già: ancora, che siete barbari così che, paragonandovi con gli orsi, ingiurieremmo questi animali dabbene. — Lo avete inteso? — Ed in fede della incomportabile barbarie vostra adducevano che i vostri montanari non portano parrucca e non si danno la cipria. — Ed anche questo avete inteso voi? — Questo non intesi, bensì lessi nel libro di _monsieur_ Jaussin sopra la Corsica. Il signor Santi fece spallucce e senza ira soggiunse: — I Francesi fanno numero, ma non fanno gente; la lode di costoro mi avrebbe oltraggiato, ma l'oltraggio non mi affligge. — Però ne ho sentito contare delle peggio da altri che pure non sono francesi. — Peggio? — Peggio: perchè vi predicavano bugiardi, infingardi, cupidi dello altrui, avari del proprio, vendicativi, ingannatori e traditori.... — Traditori? Per Dio santo! anco traditori? — Anche traditori; insomma tali, che i Romani, i quali di uomini se ne intendevano, non giudicandovi buoni nè anco per ischiavi, vi buttavano via come cani tignosi. — Qual è lo sconsagrato che ha detto questo, perch'io gli passi il cuore? — urlò il vecchio levandosi a mezzo sul seggiolone e scompigliando i guanciali, di cui due cascarono in terra. Il signor Giacomo li raccolse, e, intanto che a bello agio li riassettava, proseguiva con la solita flemma: — E che bisognava condursi proprio in Corsica per toccare con mano che chi disse sette i peccati mortali, disse uno sproposito, perchè il diavolo in Corsica ne aveva annoverato fino a settantamila e non si era anco rimasto dal contare. — E voi ci avete creduto? — Io? vado a vedere. — Ma io vi domando se voi ci credete? — No, non ci credo: anzi credo il contrario, perchè ho fatto a dire: la libertà non è fungo che nasce dal fracido; ella deriva come sequela da premessa di virtù e completa il sillogismo della dignità umana. I Romani vi odiarono e vi portarono per bocca perchè nello stritolarvi si scorticarono le mani; i corpi vostri essi vinsero, non le anime, le quali, durando a loro marcia voglia, inconcusse nello aborrimento di qualunque tirannide, eglino screditarono per selvatiche. La gente odierna corrompere ed essere corrotta appella civiltà; prosuntuosa quanto vile, non le basta chiamare la pazienza imbelle accortezza, la paura sagacia, temperanza l'astio misero di ambiziosa impotenza, bensì provocando scredita ogni generoso irrompere alle armi, come febbre di mente feroce o partito da matto, il quale metta il fuoco a san Pietro di Roma per cuocersi una coppia d'uova; — È vangelo! — esclamò il Côrso; e prese un mazzolino di mughetti che gli stava accanto sul banco e, sollevati gli occhi alla immagine della Immacolata, riprese: — Era per lei, ma adesso lo profferisco a voi, e la nostra Avvocata non se ne arrecherà di certo. — Per lei fu côlto e a lei sta bene, — rispose il Boswell alzandosi e facendo quello che forse aveva dimenticato il signor Giacomini, cioè porre il mazzetto dentro un bicchiere davanti la immagine. Nel riassettarsi però vide il Côrso il quale, rannuvolato da capo, sfondava col temperino i fogli che teneva sul banco. Successe un silenzio lungo, per ultimo interrotto da un sospiro del Giacomini, cui tenne dietro la dolorosa esclamazione od interrogazione: — Ma ahimè! voi siete inglese... — Sì certo, la Dio grazia: avreste per avventura in uggia gli Inglesi, signor Giacomini? — Eh? gl'Inglesi no, l'Inghilterra sì. A me gl'Inglesi paiono tante partite di un conto corrente, scritte dagli angioli, l'Inghilterra poi la somma tirata dal diavolo in persona. — Oh! — Io non posso pensare alla Inghilterra senza che mi si affacci alla mente il mio Monterotondo: più che si salisce, più è freddo; in cima ghiaccio perpetuo. Gli uomini vostri, finchè privati, sentono e palpitano; fatti ministri, eccoli bilancia e iarda: allora il popolo più meritorio per essi è quello che logora maggior copia di balle di bambagino, l'ottimo dei governi quello che franca dai dazi le manifatture inglesi e grava le altrui. — Egli è un dannato governo. — Vedete? ne andate d'accordo ancor voi. Il primo dovere di un popolo libero non istà nel sovvenire gli altri popoli a liberarsi dalla schiavitù? — No, signore. Il primo dovere dei popoli e di chi li governa consiste nel procacciarsi la maggiore somma possibile dei beni. — Come, come? — Senza dubbio. Prima che i popoli diventino Cristo, il quale si fece crocifiggere per la salute dei genere umano, tempo ci vorrà; ed anco Cristo fu solo. — Dunque perchè mormorate contra al vostro governo? — Io gli do torto perchè i governi, promovendo gli interessi proprii, devono avere occhio agli altrui: altrimenti ogni cagione di alleanza durevole casca. Ora l'Inghilterra, proteggendo la Corsica a conservare la sua libertà, metterebbe un altro piede nel mediterraneo; sostenendo voi altri nella vostra indipendenza, si assicurerebbe la vostra amicizia. L'ingegno degli uomini di stato, mio caro signore, non mette allo sbaraglio le cose proprie per avvantaggiare le altrui, bensì s'industria di toccare la cima della prosperità per via del bene degli altri; imperciocchè, voi lo vedete chiaro, nel primo caso rovinano ambedue, nel secondo fioriscono entrambi. — Sia: anzi per lo appunto la va così; ed è per questo che l'Inghilterra nel giudizio dei popoli deve accomodarsi fin d'ora di andarsene allo inferno senza salvazione, mentre la Francia può sempre confidare nel limbo o alla più trista nel purgatorio. Di fatti nel giorno del giudizio l'Inghilterra che cosa vorrà mettere sul guscio della bilancia per equilibrare l'ira di Dio? Forse la leggerezza della Francia? Ma no, perchè ella medita sempre col dito teso verso la fronte. Forse l'orgoglio della Francia? Ma no, chè il giusto sentimento del volere e del potere non fa orgoglio. Forse la iattanza della Francia? Neppure. L'Inghilterra si astiene dalla stima e dal disprezzo anticipato, aspetta, giudica e onora quanto trova degno di onore. L'Inghilterra pertanto proverà più pesante la mano di Dio per la ragione, che al tristo savio sarà chiesto conto più rigoroso che al tristo folle. — Badate, caro signore: la vita dei popoli non si compone mica di anni e nè anche di secoli: onde, vedete, l'Inghilterra ha un bel tempo dinanzi a sè per pentirsi. — Sì, e intanto gli uomini si disperdono dentro i sepolcri. — Ma non i popoli, non la libertà. — Parole stantìe, senapismi ai piedi di tutte le agonie della libertà che passano! Vallo a predicare ai porri che, ammazzati i cani, saranno le pecore custodite meglio; intanto i lupi allestiscono le maschere per il carnovale. Parole scellerate, parole traditore, come le altre che s'ingegnano insinuare, i cittadini essere cosa diversa dalla città, i paesani dal paese, i governanti dal governo! No, per Dio santo! e' formano tutti una cosa; e se il governo è tristo, fa conto ch'ei sia il gavocciolo, e i governanti gli umori pestiferi che lo creano. — Mio caro signore, bisogna avere avvertenza a questo, che i governi, quantunque potentissimi, non possono mica sempre tagliare la veste dalla pezza. I mali vengono a capitomboli e se ne vanno con le grucce, e chi sta su la fossa piagne il morto. Assicuratevi, signore, che nelle faccende pubbliche se, invece di tirare a modo e a verso, taluno si avviasse dare uno strettone, correrebbe rischio di trovarsi con la corda strappata in mano e le gambe per aria. — Che strettoni farneticate voi, che strappi? Ora l'Inghilterra ci ha promesso Roma e toma, e, dopo avere aizzata la Corsica a ricuperare la libertà, la lascia in asso: tale altra viene, vede, butta bombe e granate, piglia Bastia, San Fiorenzo, e pare la voglia sgarare con la Francia finchè le rimanga pezzo in mano; di un tratto caglia, lascia lì sacco e radicchio; ha fatto pace soddisfatta lei, contenti tutti, e a chi si muove guai! Allora proibisce che qualche anima buona ci soccorra, ci condanna a morire come cani arrabbiati: di angioli diventammo demonii; a bandirci uomini dabbene non ci trova più conto, le torna meglio adesso di chiamarci ribaldi. «Accomodatevi,» ella urla nel nuovo furore di pace, «accomodatevi come potete.» «Ahimè!» noi rispondiamo «a noi è dato accommodarci tranne nelle fosse del campo santo.» «Bene,» replica l'Inghilterra forbendosi le labbra, «anche costà si trova pace.» — E rispondendo alla terza domanda — disse il Boswell. — Quale domanda? — Di che vada a fare in Corsica. Siccome mi hanno confidato che voi siete in procinto di spedirvi un bastimento... — Chi ve lo ha detto? non è vero nulla. Corrono degli anni più di dieci che io non commercio più con la Corsica: tutte bugie, tutte bugie. — Signor Giacomini, vi saluto, e siatemi cortese, prego, del vostro perdono se vi ho arrecato disturbo. In così dire il Boswell si alzava tendendo la mano al Côrso iroso in atto di commiato amichevole. L'altro, a cui pareva avere detto troppo e già se lo rimproverava, sbalordito da tanta mansuetudine, riprese: — Non ve lo avreste a caso avuto per male? Credete, io l'ho fatto per isfogarmi, non già con intenzione di offendervi. — Perchè mi avreste offeso? Primamente voi avete nella massima parte ragione; in seguito, se togliessimo agli infelici il lamento, che cosa altro rimarrebbe a loro? — Ma via, qui in confidenza ditemi un po': che cosa ci andate a fare in Corsica? — E voi in confidenza ditemi: ci spedite o non ci spedite il bastimento? — Io non ci spedisco nulla. — E allora a che pro la vostra curiosità per me ed anche per voi? — Perchè, essendo io Côrso, potrei vedere.... voi mi capite... m'ingegnerei agevolarvi la faccenda. — Ma voi ci mandate la mezza galera sì o no? — Che diavolo farneticate di mezza galera? Io non ci mando nulla. — Ed io non vi voglio dire dei fatti miei nulla. — Signor Inglese, voi siete un testardo. — Signor Côrso, io stavo appunto pensando lo stesso di voi. Di una sola cosa mi rincresce, ed è che il generale Paoli riceverà più tardi certe lettere importanti ch'io aveva tolto il carico di portargli. — Voi avete lettere pel generale? — Sicuro. — E chi è che manda coteste lettere? — Ma! ce ne ha di sua grazia lord Pembroke, del reverendissimo vescovo Harley, del cappellano Burnaby, del signor Giangiacomo Rousseau cittadino di Ginevra. — Sì, signore, io spedisco la mezza galera in Corsica; e quando vi ci vogliate imbarcare, consideratela come cosa vostra. — Bene! — rispose il Boswell facendosi girare la scatola fra le dita; — ma perchè vi siete ostinato fino...? — Ed esitava a finire. — Fino alla bugiarderia? — domandò il Giacomini, ed abbrancati con infinita passione i fogli deposti sul banco, disse: — Potete ripromettervi che il vostro sangue inglese, il vostro sangue di uomo libero, spingendosi contro il vostro cuore, non lo romperà d'ira e di vergogna? Lo potete? Udite allora. Sua Maestà il re di Francia, l'amatissimo Luigi XV, si degna avvisarci come egli ci abbia comprato, e la repubblica di Genova venduto. Capite bene: noi, anime cristiane, redente del sangue di Gesù Cristo, comprate e vendute! Poi ci promette che si compiacerà governare la nostra isola con vantaggio di coloro i quali si sottometteranno ai suoi _diritti sovrani_, la preserverà dai _tumulti che da tanti anni l'agitano_, e spera _non trovarsi ridotto dalla necessità a trattarvi come sudditi ribelli_, mostrandosi i Côrsi _solleciti di evitare i torbidi che distruggerebbero un popolo accolto con tanta benevolenza dal re nel novero de' suoi sudditi_.[2] Che ve ne pare? Non è egli magnanimo, liberale, generoso questo prediletto Luigi XV? — Così ho letto nell'Addison che sant'Antonio predicava ai pesci esultassero perchè il Salvatore gli aveva eletti per sua particolare pietanza.[3] In verità le sono cose da ridere coteste. — Certo sì, farebbero ridere, se la fortuna matta non avesse ricucito insieme ventisei milioni di cotesti matti; ma ohimè! ventisei milioni di matti fanno piangere sempre i savii. Adesso mo' sentite quest'altro: _Monsieur_ Claudio Francesco marchese di Chauvelin, gran croce dell'ordine reale e militare di san Luigi, maestro della guardaroba del re, governatore dei castelli e della città di Uguina, tenente generale degli eserciti del re, comandante in capo delle milizie di Sua Maestà Cristianissima in Corsica, ordina e comanda che tutti i naviganti côrsi prendano bandiera francese sotto pena di essere trattati come _pirati_ e _furfanti_, e qualunque bastimento fosse trovato sprovveduto delle patenti regie si confischi senza altro. Ora come signore discreto, andrete capace come io non mi tenessi obbligato di confidare al primo venuto che io sto in procinto di spedire un legno in Corsica; per ultimo molto più che, innanzi d'inalberarci quella cosa sciapita della bandiera bianca, io torrei a farlo passare per occhio. Dopo quanto vi ho esposto, io dubito che vi sia uscita la voglia di andare in Corsica. — All'opposto, mi è cresciuta due volte. Io andrò senz'altro. — Ma allora abbiate fiducia in me, come io l'ho avuta in voi. Ditemi se per avventura vi manda il governo di S. M. Britannica. Ha egli conosciuto finalmente il solenne sproposito commesso nello abbandonarci? Su via, purchè si faccia presto, ci è sempre tempo a ripararlo. Parlate... parlate, chè questa notizia mi riavrebbe da morte a vita. — E il vecchio moribondo agitavasi con la persona troppo più che non facesse il Boswell, giovane e gagliardo. — Nessuno mi manda, io vengo da me; però molti amici si appassionano meco per la libertà della Corsica e la sovverranno, mossi dai miei conforti, per quanto valgono le loro facoltà. Ancora, noi non siamo bastanti a costringere la corona, a mutare governo, ovvero a imporle modo di politica esterna diverso da quello praticato fin qui, tuttavolta siamo forti quanto bisogna per moverle potente opposizione e persuaderla per lo suo meglio a mutare. Questa è la verità. — Ebbene andate, nel nome santo di Dio! andate, e vi prenda pietà delle piaghe di un popolo doloroso. Io vi raccomando con tutta l'anima mia la patria, la libertà e il generale Paoli. Se io possedessi un regno, gliel'offrirei; e se giovasse, io gli darei anco l'anima, perchè so che la spenderebbe in benefizio della libertà. Altobello, Giocante e voi capitano, tenete questo uomo dabbene come uno dei nostri, anzi più dei nostri; perchè in noi amare la patria e nei bisogni sovvenirla è di natura, in lui lezione e larghezza di cuore. A sentire rammentare cotesti nomi, il signor Boswell, voltato il capo, vide dietro a sè tre uomini giovani, robusti a meraviglia e belli, i quali tutti gli porsero le mani ch'egli strinse con affezione. Uno di loro, che alla faccia riarsa dal sole si palesava per uomo di mare, gli disse: — Signore, i Francesi costumano tenere le spie a Livorno e non poche: veramente ventisei milioni di guerrieri, che pigliano a sgararla con duecento e pochi più mila montanari, dovrebbero vergognarsi di ricorrere a questi ripieghi; ma ciò spetta a loro, a noi preservarcene. Stanotte o piuttosto nella notte di domani tra le dieci e le undici manderò pei vostri bauli all'albergo che vi compiacerete indicarmi. — Al consolato inglese. — Inoltre, cominciando da domani sera, procurerete trovarvi poco prima della calata del sole sopra la via del Molo, e precisamente colà dove sopra un muro di cortina osserverete dipinta a olio una grandissima àncora bianca: quanto al resto non vi pigliate travaglio di nulla, io penso a tutto. — Bene, così farò, — disse il signor Boswell; poi tacque un pezzo, chè stava fra due, e la perplessità lo rendeva impacciato: da un canto pensava andarsene senza altre parole, ma poi non profferire il nolo di passaggio gli sembrava cosa da lesina; per ultimo temeva che l'offerta non adontasse cotesta gente superba. Stretto dal nodo, ricorse ad un partito medio: introdusse l'indice e il pollice della destra nella tasca del farsetto, intanto che con gli occhi sbirciava i volti, parato, secondo che scopriva la marina, a compire l'atto cavando la borsa ovvero la scatola, la scatola, urna per lui di tutte le buone ispirazioni, alla rovescia di quella di Pandora, piena zeppa di mali; la borsa, àncora di ogni tempesta, caduceo di amicizia, scudo superiore a quello di Astolfo contro qualunque pericolo. Di ciò accortosi il signor Giacomini, per levarlo di pena, gli disse: — Ho capito: non vi garba avere obbligo con noi altri povera gente; voi volete pagare il vostro nolo... gli è vero? — Veramente io credeva disdicevole... — Chi disse inglese, disse superbo... — Veramente io voleva... — No, signore, voi non dovevate credere e non dovevate volere: anch'io, sapete, sono superbo, e tutti noi Côrsi siamo: non perduti affatto quei popoli ai quali nella miseria loro avanza la superbia! Se per virtù propria la non si può tenere, abbila per un barbacane che impedisce l'anima dal rovinare nel pantano dell'abiezione. Se Lucifero, oltre questo, non possedeva altro peccato, era più facile diventasse papa che diavolo. Orsù volete pagare, pagate. Ecco qua, questi sono dispacci: il più piccolo consegnerete o farete consegnare al signor Francesco Maria Niccolaio Giacomini, mio nipote a Centuri; quest'altro più grande importa che lo ricapitiate irremissibilmente nelle mani del Generale a corte o a Rostino nella casa paterna della Stretta, ovvero in Pastoreccia nella casa materna; insomma dove si troverà. Io contava mandarci un mio fidato a posta, e, stillando il quattrino, le sue cento lire mi andavano via: ora il passaggio ne costa quaranta; dunque vi rivengono sessanta lire. E alzata la tavola del banco, pigliava da una ciotola nove scudi e, contatili, diceva: — Eccovi il resto, ed avrò fatto un buon affare. — Oh! — esclamava il Boswell, e, presa la scatola, offeriva sporgendola, una presa di tabacco per via di preliminare di pace; indi soggiungeva: — Bando dunque al dare e allo avere. Potrò io procurarmi la contentezza di vedervi un'altra volta? — Voi ed io stiamo per partire: voi per la Corsica, io per la eternità. Perchè farei l'ora della separazione grave di un sospiro da vantaggio? Noi non ci abbiamo a rivedere più. — Nel mondo forse, ma là, — riprese il Boswell alzando il dito — ma là porto ferma fiducia che noi ci rivedremo: perchè voi, in grazia dello infinito amore che professate alla patria, vi siete guadagnato di certo la salute eterna; rispetto a me, mi sono ingegnato e m'ingegnerò a non demeritarla. — Così piaccia al Signore! CAPITOLO III. La partenza Nella notte di quel medesimo giorno, mentre il signor Boswell stava leggendo la Bibbia, udì pianamente aprire l'uscio della sua camera e vide entrare l'uomo dal colore castagno col suo cane rossigno dietro le gambe: costui si piantò in mezzo della stanza senza far motto. Il Boswell, che aveva ammannito la valigia, gliela indicò; e quegli, recatasela su le spalle, si volse per partire non profferendo parola o accennando a saluto. Riavuto dallo stupore, il Boswell, toltosi prestamente uno scudo di tasca, corse dietro al Côrso, gli mise la mano sul braccio manco e glielo offrì. A cotesto atto gli occhi del Côrso balenarono come stiletto cavato dal fodero; sollevò con impeto la spalla quasi volesse buttare la valigia addosso al signor Giacomo: subito dopo un nuovo pensiero parve sopraggiunto a temperare l'acerbezza del primo, imperciocchè ripigliasse il cammino senza interrompere la sua taciturnità. Ci vorrà giudizio per governarmi con questa razza di gente, pensò Boswell, e si pose da capo a leggere la Bibbia, allorchè, quando se lo aspettava meno, si vide riapparire l'uomo colore castagno dinanzi e con voce strozzata dirgli: — Avvertite, signore Inglese, ch'io non sono un _camallo_;[4] con Santi Giacomini siamo cugini in _terza_. Ho voluto assicurarvi del mio perdono, perchè ho pensato che, come forestiero, non vi corre punto l'obbligo di conoscere le nostre usanze. E voltate le spalle uscì fuori. — Bene! — esclamò il signor Giacomo — tutto bene! Come, tutto bene? Certamente questo detestabile odore di erba côrsa che sempre mastica costui, non è bene. Ed aperse le finestre per mutare aria alle camere. Ciò fatto, si assettò allo scrittoio, ne trasse una carta, dentro la quale c'involse con molta diligenza lo scudo e ci scrisse sopra: «Oggi 27 aprile... sono stato perdonato da un Côrso per avergli voluto donare questo scudo;» e sotto: «_et olim meminisse iuvabit;_» poi lo ripose dentro una tasca insieme con altri ricordi dei casi più notabili della sua vita, arnesi strumentali della sua filosofia. Dopo tre giorni, mentr'egli verso le ore ventitrè s'incammina adagio adagio, secondo il solito, per la via grande verso la porta Colonnella, o piuttosto _Coronella_, come pare che si abbia più veramente a dire,[5] occorre in gente affollata davanti alla porta del banco del signor Giacomini. Allora egli prese ad affrettare il passo senza che paresse fatto suo, sicchè presto venne su la faccia del luogo. Di vero vi si trovava stipata una folla di preti, di frati, e croci, e lampioni, e gente incappata col cappuccio su gli occhi, insomma tutti gli attrezzi messi in opera nei riti cattolici quando portano via il morto di cui l'erede può pagare le spese. Il cugino in _terza_, col suo invariabile vestito di colore castagno e il cane appresso, teneva su le braccia da un lato un grosso fascio di torce pei preti, dall'altro uno dei moccoli per la compagnia: intorno al cugino bisticciavansi e preti e frati a cagione delle torce; i francescani contendevano le grosse di libbra ai domenicani, ma i francescani, che superavano in numero e, più che nel numero, in isfrontatezza, la sgararono: poi il curato di sant'Antonio pretendeva la candela più grossa perchè il morto era fratello della confraternita; ma gli contrastava quello di san Sebastiano per essere stato il parrocchiano anima della sua cura. Intanto i ragazzi, approfittandosi dello impaccio del cugino, tiravano giù dal fondo del fascio i moccoli, e presili, scappavano: chi rideva, chi brontolava, il cane ringhiava. Intanto i preti e i frati, con quella decenza che ha fatto dire la sfacciataggine nata in sagrestia e allattata in convento, continuavano a litigare. Per ultimo il cugino usci da' gangheri e proruppe: — Giuro alla Immacolata che, se non vi chetate, vi rompo le torce sopra la cherica! [Illustrazione: Il vetturino seduto alla peggio su le stanghe del calesse, ricevendo uno sbuffo di acqua piovana, toccava il cavallo perchè accelerasse il passo. (_pag. 5_)] Allora quietaronsi, ed anco a indurli al silenzio valse uno stropiccìo di piedi di gente che cammini aggruppata a disagio, la quale moveva giù dalle scale. Per siffatto rumore parecchie esclamazioni escono dal capannello della gente affollata che dicono: «Eccolo! eccolo!...» Di vero, indi a breve comparisce una cassa portata giù da quattro uomini incappati, che la reggono mercè maniglie di fune infilate dentro ai fori laterali. E poichè la cassa manca di coperchio, che porta dietro un quinto incappato, è concesso contemplare così di volo la effigie del morto. Ecco la folla accalcarcisi intorno per appagare la spietata curiosità; le donne, come suole, più smaniose degli altri, si avventano co' bambini in collo non badando che in mezzo a quel trambusto le loro creature potevano rimanere storpie, forse anche infrante. Il signor Boswell, sentendosi a posta sua limare dalla curiosità, si mette in punta di piedi, ma non venne a capo di nulla; perocchè, appena egli ebbe scorte due mani composte in croce e legate di un nastro nero, ecco precipitare giù il coperchio, che sottrae il cadavere agli sguardi disonesti, e subito dopo si sente il picchio del martello che presto presto lo conficca, e si vede spiegarvisi sopra il tappeto e metterci il guanciale di velluto nero a frange, nappe e ricami di oro, un Cristo d'argento in mezzo, e intorno al Cristo una ghirlanda di fiori in simbolo che il signor Giacomini era morto in istato di presunta verginità. Ciò fatto, ecco difilare la mandra dei preti e dei frati belando e mugghiando. Al cane rossigno sembrando che tra tante voci poco umane potesse starci anche la sua, prese a guaire, ma, tocca una pedata delle solenni, si tacque; e sì che tra tante finte e pagate la sua era lamentazione sincera e gratuita, ma non gli valse: giustizia umana! Un incappato, passando vicino al signor Boswell attonito da cotesto spettacolo tra sozzo e grottesco, gli susurrò dentro all'orecchio: — Presto al Molo! Il signor Giacomo, ripresa la flemma consueta, continuò il suo cammino, ormai chiarito che il morto non potesse essere altri fuori dell'uomo, col quale aveva alternato ieri ragionamenti d'ira, di grandezza e di speranza: e con molta amaritudine andava considerando il mistero che pare condanni un'anima, potente d'impeto e copiosa di concetti, alla catena di un corpo cascante a pezzi, arpa con corde rotte in mano ad un angiolo. Nè questo è il peggio, chè lo inferno vero prova quaggiù la creatura compita, l'anima sana nel corpo sano, balestrata in mezzo alla turpitudine di una gente prava che non conosce vergogna, o, se la conosce, s'industria a lavorarla in foglie di alloro per inghirlandarsene il capo; gente che giace traverso al tempo come le macerie di Palmira pel deserto, ingombro alla via e testimonianza di una vita che non può essere revocata mai più. Guai ai venuti tardi! Almeno Arnaldo e l'Huss e Girolamo da Praga dal sommo dei roghi consideravano le loro ceneri seme fecondo della nuova dottrina, e prendevano conforto dell'essere venuti troppo presto; ma guai, ripeto, a coloro che vennero troppo tardi! Mentre così il Boswell si sprofonda di pensiero in pensiero, si sente cingere a mezza vita, sollevare in aria, e prima che possa riaversi dalla maraviglia, si vede trasportato sopra la coperta di un legno in procinto di salpare dal porto. La mezza galera del capitano Angiolo Franceschi, liberata dagli ormeggi di prua e dalla mano di ferro che la teneva ferma nel fondo del mare, abbassò il rostro svelta e graziosa, come l'uccello che, aperte le ali, vola, si mise a vele spante a sfiorare lieve lieve il piano delle acque. Non fregio, non cintura dipinta di bianco o di vermiglio sotto le paratìe, la rendevano cospicua, bensì appariva di un colore tutta, e questo era nero; ma per gramaglia non iscema bellezza, all'opposto innamora così che la gente prega Dio non la faccia mai lieta. Insomma la mezza galera di capitano Angiolo, comecchè vestita a bruno, portava il vanto su quante navi stavano in quel momento ancorate nel porto di Livorno. Il signor Giacomo, fermo accanto alla ruota del timone, guarda scomparirgli davanti gli occhi l'anfiteatro dei monti che dal mare si distende fin su l'alpe di S. Pellegrino e il Marzocco, torre marmorea testimone della magnificenza della repubblica fiorentina, e i colli di Montenero. Gli balenò per un momento alla vista la villa del Paradiso a mezza costa sopra l'Antignano, dove il povero Smollet cessò alle muse e alla vita; e tempestando sempre la mezza galera a golfo lanciato appariscono e spariscono, quasi fantasime per la bruna della sera, la torre del Romito, Castelnuovo, Rosignano con gli altri castelli montanini della Maremma. Maravigliando della stupenda celerità e tuttavia sentendosi disposto a meste considerazioni, il signor Boswell disse: — Ecco, l'uomo è cosa che passa sopra cosa che passa, — forse raffigurando le generazioni umane in un uomo solo, e il mondo nave sopra la quale egli si fosse imbarcato per arrivare, traverso il fiume del tempo, al mare magno della eternità. Ci hanno di parecchi tra noi a cui immagini siffatte fastidiscono, ma ci vuole pazienza. Ogni popolo possiede un garbo proprio per concepire e per dichiarare il concetto: gl'Inglesi serbano il loro e ci tengono; essi non baratterebbero il Byron coll'abate Frugoni, nè Shakspeare coll'abate Pietro Metastasio, nè anche dando l'abate Bettinelli per giunta: avranno torto, ma la intendono così. Quasi dall'alto scendesse una ispirazione a conforto del signor Boswell, gli venne fatto di voltare gli occhi in su e vedere la bandiera côrsa con la immacolata Concezione, e, sopra le stelle che le incoronavano il capo, le lettere che dicevano: _Libertà_. La bandiera, quasi avesse senso di alterezza, si avviluppava, distendevasi scoppiettando; nè meno sembrava esultante la brezza vespertina di drappellarla insaziabilmente pel cielo ausonio. Di vero, o signori, in quale altra parte di mondo il santo vessillo della libertà sarebbe meglio venuto di qui? Qui, dove libero è tutto l'acqua, il vento e il cielo non sanno che sia tirannide di uomo: per poco ch'eglino si commovano, lo ricacciano cadavere su i lembi della terra: colà pianga o faccia piangere, ma mora e infracidi. Il signor Giacomo, levata la destra in atto di auspicare alla bandiera, esclamò: — Dio ti salvi! — E la salverà; e quando nel suo giudizio fosse sortita a cascare, le bandiere cascate nel sangue risorgono. Il signor Boswell, voltatosi per guardare da cui coteste parole movessero, conobbe uno dei giovani, ai quali lo aveva raccomandato il signor Giacomini. — Dunque quel povero galantuomo è morto eh? — tosto gli dimandò; e l'altro: — Poveri siamo noi che perdemmo un cuore senza pari nel mondo, quanto a morte non è così; gli uomini come lui vivono finchè le rupi della sua isola non subbissino in mare. — Bene.... però.... Qui il signor Giacomo venne interrotto dalla vista di un frate, il quale sbucò fuori dal boccaporto, e dopo il primo un secondo e dietro un terzo, un quarto, un quinto da mettere i brividi addosso all'onesto inglese, filosofo in tutte le cinque parti del mondo, in casa sua anglicano riformato a tre peli. Per la quale cosa, facendo girare tra l'indice e il pollice la sua tabacchiera più veloce delle vele di un molino a vento, scorrucciato interrogava: — E adesso come ci entrano cotesti frati? O che cosa vengono a fare costoro? — Vengono a pregare Dio. — E se ne aveano voglia non lo potevano pregare così giù come su? Oh sentiamo anco questa, via! Dio sente meglio di sopra che disotto coverta? — Non è così, ma sotto la volta del cielo, al chiarore delle stelle che una dopo l'altra balenano pel firmamento, come se rispondessero a Dio che le chiama per nome, pare a noi di trovarci più vicini alle orecchie del Creatore. — Bene: ma allora e perchè presumete imprigionare lo spirito eterno dentro le chiese? Io non vi capisco: avete forse una maniera di adorare Dio sopra il mare ed un'altra sopra la terra? — Signore, piacciavi ricordare che gl'Italiani fabbricarono in Roma S. Pietro, gl'Inglesi hanno costruito a Londra S. Paolo; per tutti i figliuoli di Adamo si leva il sole e poi casca la notte. — Bene: però voi dovete convenire meco che la preghiera parlata è cosa assurda; anzi pure oltraggio espresso alla divinità: imperocchè Dio veda i nostri pensieri prima che di embrione si facciano idea, ed oda il senso del cuore prima che diventi palpito. Levate gli occhi al cielo e basta. Dio vi penetra nel midollo delle ossa e vi giudica. Dio conosce i vostri bisogni, e, se crede che si abbiano a soddisfare, li soddisferà. Che ne sapete voi? Come potete comprendere gli arcani della natura? Forse domanderete mattoni, e vi farà mestieri calcina. Perchè tribolare con la favella, arnese manco, i concetti che riboccano infiniti dallo spirito dell'uomo? Lasciate spandere libere le acque della anima, costringete in canali quelle sole che irrigano gli orti vostri. — Sentite! — l'altro rispose. _Ave, Maria_, incominciarono a cantare i frati in suono grave; il quale però, temperato dall'ampiezza dello spazio e dallo strepito delle acque, percoteva dolcissimo: quando il Boswell se lo aspettava meno, ecco a cotesto canto accordarsi l'accompagnatura di uno strumento, che gli parve arpa, ed era cetra: fra tanti guai, dono dei Mori ai Côrsi, e non senza consiglio, imperciocchè Dio concedesse ai mortali arche supreme di salute in ogni diluvio di acque o di tirannide sopra la terra: musica e poesia. Se lo squillo della campana, che piange il giorno che si muore, stringe l'anima al nuovo pellegrino, ora che cosa non potranno mai corde di cetera e voce di uomo? Le preci, trasportate da venti lontano su le acque, empiono lo spazio di echi infiniti, i quali da tutti i lati ripercossi ti pungono con tale un'acre voluttà, che ti rimescola, e pure non vorresti cessata; conciossiachè gli echi dall'alto pàianti messaggi celesti, che ti annunzino le tue preghiere avere trovato grazia al cospetto di Dio; i sottani, che i tuoi morti le hanno intese e ringrazianti; i circostanti, che i tuoi vivi in quella medesima ora pensano a te e prece con prece ricambiano. — Tanto è, — esclamò, come suo malgrado, il Boswell dando un colpo maiuscolo sopra la tabacchiera — tanto è: tutte le strade menano a Corinto. — E aggiunse poi, levando lento gli occhi dal confine del mare al punto culminante del cielo: — Da tutti i lati, quando hai la fede per viatico, e l'amore ti accompagna, si arriva lassù. Compite le preghiere, un frate passò vicino al Boswell e gli disse: — Il Signore vi benedica. Il Boswell non rispose, anzi in atto mezzo acerbo gli si voltò di costa quasi invitandolo a passare oltre. Il frate sostò un momento ed aggrottò le ciglia, ma subito dopo placido riprese: — Signore, la benedizione di un povero vecchio non ha mai fatto male ad alcuno: pigliatela; il servo di Dio non ha altro da darvi. Uno scrittore elegante del nostro idioma accozzò per gioco le parole _amabile fierezza e terribile dolcezza_; questo accoppiamento si verificava nel frate di capello bianco più che neve, e dai soppraccigli folti e neri quanto penna di corvo.[6] CAPITOLO IV. Il Frate — Codesto vostro frate mi ha sconbussolato il cervello, — disse il Boswell. — Io credo che, se lo conosceste, voi gli vorreste bene. — E chi è costui? — Gli è un uomo uscito di galera. — Oh! — E appunto per questo voi lo ricevereste come padre. — Ohibò! — Vi contentate ch'io mi provi a farvelo riverire ed amare? — Provate. — Voi avete dunque a sapere come codesto frate si chiami padre Bernardino da Casacconi ed è francescano, d'ingegno certo minore all'Analdo, al Savonarola, al Campanella, al Sarpi e agli altri terribili frati usciti fuori dal seno d'Italia; però d'anima pari e, forse senza dubbio, superiore nella costanza operosa, impiegata in benefizio della patria. Voi lo riputereste giovane, e così veramente apparisce tanto per lo intelletto fresco, quanto per lo irrequieto agitarsi: però la massima parte degli uomini agli anni suoi raggiunsero i loro padri nel sepolcro, o si chiamano decrepiti. Mezzo secolo addietro egli si aggirava per le pievi dell'isola predicando pace, e stornati i ferri omicidi dal petto dei Côrsi, gli appuntava concordi in quelli dell'abborrito dominatore. — Bene! Onesto frate in verità! — All'ultimo cadde nelle mani del nemico, il quale lo trasse a vituperio in Bastia dove gli ordinò ritrattarsi: la quale cosa ricusando il degno frate di fare, ebbero cuore di esporlo alla gogna, e il boia accanto. Innanzi di sbigottirsi, sentite un po' che cosa mi va a pescare padre Bernardino. Aspetta che tutto il paese gli si affolli d'intorno, perchè (mi rincresce dovervelo dire, ma la riputazione del paese vuole che voi lo sappiate) Bastia di faccia alla rimanente Corsica rappresenta la piaga su le ginocchia di san Rocco... — E san Rocco ch'è? — Oh! non ve l'ho già detto? Egli era santo e per di più pellegrinava sempre. — Ed aveva le piaghe alle gambe? — Ed aveva piaghe alle gambe. — Bene: ma allora doveva smettere di camminare, e fermarsi in casa a guarire. Sapete che avete di santi curiosi voi altri? — Può darsi: ma quando saremo arrivati a casa, intendo in Corsica, io vi supplico ad astenervi da simili considerazioni; o se non potete astenervene, tenetevele in corpo. — Così farò: adesso tiriamo innanzi col frate. — Quando vide i Bastiesi gremiti intorno alla berlina, ecco il frate scotere arrabbiato il capo, e con voce di bombarda rimproverarli di viltà e disamore per la patria, ributtare loro in faccia la virtù dei padri, chiarirli che a cotesto modo tirando avanti, Dio non gli avrebbe voluti e il diavolo rifiutati: poi, dopo il diluvio, l'arco baleno di tanto dolci e mansuete parole che già co' singhiozzi e co' fremiti la gente cominciava a dare certissimi segni di vicina tempesta: onde e' fu mestieri levarlo di su la gogna, diventata cattedra di libertà, e ricondurlo in trionfo alla prigione, dalla quale lo avevano cavato fuora per buttarlo in balìa della infamia. — Ed ora come si trovi qui? — Volete che io glielo domandi? — Dacchè parmi entrare nel paese degl'incanti, fate. Il giovane andò con presti passi alla volta del frate, che, fattasi notte buia, ormai si disponeva a rientrare sotto coperta, e, presagli la mano, disse: — Padre Bernardino, prima di andarvene non mi permetterete ch'io vi baci la mano? — Quale siete voi? — Uno che da zittello ve la baciò delle volte più di mille. — Figliuolo, non ti riconosco; e per la faccia, sebbene gli occhi non mi dicano più il vero, pazienza! chè fa buio; ma nè anco alla voce. — Eppure giuoco il cuore contro una ghiaia, che voi non avete dimenticato Altobello di Alando. — E tu non lo avresti mica perduto il tuo cuore, caro, caro figliuolo. Un bacio... to' un bacio... un altro ancora... o caro... caro!.... E con ambo le mani presogli il capo, pareva non si potesse saziare di baciargli i capelli. E tuttavia tenendolo stretto come tanaglia al pesce del braccio e coll'altra asciugandosi la fronte, imperciocchè padre Bernardino quando si sentiva intenerito non piagnesse; bensì sudasse, con la faticata baldanza côrsa interrogava: — Sei venuto per batterti, n'è vero? Hai sentito la patria che chiamava Altobello, e tu subito: «Presente.» E babbito[7] dove l'hai tu lasciato? E il barba perchè non è teco? — Ve lo dirò, padre, ma cominciamo da voi. Oh! che miracolo è questo di vedervi comparire qui? — Miracolo? Io mi trovo naturalmente al mio posto, mi pare. — Sì, senza dubbio, e anche io, come vedete, ci sono; ma vorrei sapere qual santo vi aiutò a uscire da prigione. — Non mi ci hanno cavato i diavoli, ma davvero nè anco i santi. Ma i Francesi mi fecero il processo; e quei cosi neri che si chiamano giudici, avendomi trovato colpevole del misfatto di volere la patria franca da straniera dominazione, mi condannarono, senza troppo gingillare, a morte: e mi parve che facessero serio: ond'io mi era acconciato delle cose dell'anima e rimesso in Dio, quando, senza saperne la causa, ch'è, che non è, legato di catene le mani e i piedi, m'imbarcarono per Genova. — Povero padre Bernardino!... — Oh! Non ti dolga di me, figliuolo mio, bensì di quei santi, sacerdoti, di quei martiri frati, che il dannato generale francese di cui le opere inique chiarirono pur troppo che non a caso aveva sortito il nome di _Magliaboia_,[8] impiccò a centinaia agli alberi coi paramenti sacerdotali addosso. Ora a noi non rimane che a vendicarli, e quest'obbligo sacratissimo noi compiremo; non è vero, figliuolo mio, che li vendicheremo? — Faremo quello che potremo. Ma da Genova come vi riuscì di salvarvi? — Lasciami ripigliare fiato: che furia, santa fede! A Genova mi trovai chiuso con un certo santo padre, il quale da mattina a sera mi serpentava che, se mi fossi risoluto a rivelare l'ordine della congiura e i nomi dei congiurati, ben per me; perciò che oltre alla libertà avrei conseguito dalla serenissima repubblica grazie ed onori. Sta a vedere, dissi fra me, che per fare la spia ti consacrano vescovo! Che vuoi tu? La carne tira, la tentazione era grande, ed io mi lasciai svolgere.... — O padre Bernardino, che mi contate mai! — interruppe Altobello con sembianze disfatte. E il frate rise soggiungendo: — Lasciami finire. Un bel giorno dunque mi lasciai svolgere e gli dissi: «Tu mi pari un uomo dabbene e molto zeloso dei miei vantaggi; orsù ti voglio contentare, io rivelerò la congiura e i congiurati.» «Non a me, costui rispose, bensì lo hai a fare al magnifico segretario del senato.» «O a te, o a lui, per me è tutta una, soggiunsi io, assettati come ti garba.» E il segretario venne più che di passo, si mise a sedere e, tratti fuori carta, calamaio e penne, levò la faccia in su e disse: «Voi potete incominciare.» Io allora, strascinando a stento le catene, mi condussi al cospetto del segretario e dopo averlo un cotal po' mirato in viso gli domandai: «Voi dunque non conoscete i congiurati côrsi davvero?» «Io sono venuto espresso per saperlo da voi.» «E la signoria desidera proprio di saperli tutti?» «Ma sì, ma sì» gridò il segretario stizzito. «Non v'inquietate; riponete i vostri scartabelli, chè in due parole mi spiccio: congiurati in Corsica io ne lasciai 220 mila (chè a tanto montava allora la popolazione); adesso levateci quelli che sono morti, aggiungetevi gli altri che sono nati, ed avrete il numero giusto dei congiurati; il capo della congiura sta in Genova.» «In Genova?» «Nè più nè meno, anzi nel palazzo ducale, ed è il doge in persona, il quale col mal governo ha condotto i Côrsi al partito di volere mettere allo sbaraglio la roba e la vita piuttosto che piegare il collo a voi altri.» — Da quel giorno in poi se mi scemassero il pane non si dice nè manco; mi lasciarono inciprignire le piaghe delle gambe cagionate dalle catene... insomma patii spasimi atrocissimi; non importa, chi ha paura non vada alla guerra. Voi, Signore, che leggevate nell'anima mia, sapete, se in quel punto il re Luigi di Francia fosse entrato in carcere e mi avesse detto: «Padre Bernardino, vuoi barattare le tue catene con la mia corona?» io gli avrei risposto: «Tirate di lungo, Maestà.» Con quel filo di voce che mi era rimasto io mi raccomandava così: «Vergine benedetta, se la mia dolcissima patria tanto provocò l'ira del tuo divino Figliuolo, che i patimenti sofferti da lei fino a tutt'oggi non bastino a placarlo, e a me pare che, se laggiù s'intende discrezione che sia, ce ne dovrebbe essere d'avanzo, allora pregalo per amore mio, che a te, misericordiosa, volli sempre tanto bene, a scassarli dal conto della Corsica ed impostarli a debito mio, ch'io mi protesto di pagare per tutti. Se vedi che ci sia verso di scampare dallo inferno, tu fammelo risparmiare; ma se, per salvare la patria, dovessi perdere l'anima, vada la salute eterna, purchè rimanga stritolato l'abborrito straniero.» Confesso che simile proposta non veniva da mente sana; ed anco fatta con sensi più convenevoli, grande presunzione sarebbe stata la mia esibirmi in iscambio della nobile patria. Così non venni accettato. Papa Clemente XII, cui non garbavano i frati tormentati, a meno che li tormentasse egli medesimo, mi chiese alla repubblica con un breve: e la repubblica, immaginando che il papa le risparmiasse la spesa della sepoltura, volle farsi l'onore del sole di luglio e mi consegnò. Uscito di prigione, con una scrollatina buttai giù apprensioni e malanni: pensa se voleva acquietarmi nel convento di Monticelli, dove il papa mi aveva rilegato. Mi calai dai muri e, mentre i Francesi e i Genovesi mi credevano terra da ceci, eccomi da capo in paese di Comune a predicare e a tirare archibugiate per la maggior gloria di Dio e per la salute della patria. Ora poi che Genova ci ha venduti, e Francia comprati, a dirtela schietta, figliuolo mio, mi pare essermisi sgravato il cuore di un grossissimo peso, perchè quel sentirmi minacciare la morte e chiedere la vita nella mia stessa favella mi faceva proprio cascare le braccia. Non più pietà, non ritegno: fratellacci i Genovesi ci erano, tuttavolta fratelli; adesso forestieri tutti. Per la quale cosa, persuaso che per questo quarto di ora i Côrsi maggiore merito si acquistino presso a Dio menando di mani che a recitare il breviario, mi sono aggirato pei conventi italiani a reclutare questi buoni religiosi côrsi, ai quali su le prime parve duretto, ma io li convinsi dicendo: «E' non ci ha dubbio; all'obbedienza del vostro padre guardiano sopra questa terra voi trasgredite, ma lo fate per osservare la voce del padre guardiano di tutti che sta nei cieli, ed io vi assicuro che l'angiolo custode non vorrà farsi scorgere a pigliarne l'appuntatura: ad ogni modo io rispondo per tutti.» Allora essi hanno detto: «_Ecce ancilla Domini_; faremo quello che potremo;» e si sono provvisti di carabine che valgono un Perù. Ecco che io ti ho contato la mia, ora contami la tua. CAPITOLO V. Lo zio — Babbo è morto... — Oh povero uomo! E di che male? e dove? — Di puntura a Venezia. — Vedete di che male è andato a morire un galantuomo che poteva finirla con una brava archibugiata in Corsica e per la Corsica!.... E lo zio? — Lucantonio è rimasto a Venezia. — E perchè non venne teco? — Ma se mi tagliate le parole dalla bocca, io non vi potrò dire niente, e voi non potrete intendere niente. — È giusta; tira innanzi. — Voi vi avete a figurare che le notizie del trattato di Compiègne e dell'altro di Versaglia, vergogna nuova su la faccia di Francia, se su cotesta faccia potesse capire vergogna, arrivarono a Venezia prima assai che in Corsica, e lo zio, leggendo le gazzette, mutava di colore in viso; poi brontolava: «Che importa a me di Corsica? Non me ne hanno cacciato fuori? Chi l'ha a mangiare la lavi.» — Bò! Tentazionacce! Ma che, ci si pensa nemmeno quando si vuol bene davvero?, — E presa la gazzetta se ne accendeva la pipa. — Tutta superbia. — Se non vi chetate, smetto. — No, per lo amore di Dio! — Alla domane, quando io stava per uscire di casa, dicevami: «Altobello! guarda un po' se ci ha notizie di Corsica; e se le raccapezzi, portamele subito, sai.» Certo di la posta di Ancona recò un piego maiuscolo, immaginate come un mattone; nella sopraccarta si leggeva: _Al nobile uomo l'illustrissimo Lucantonio Alando, colonnello della guardia côrsa al servizio della serenissima repubblica di Venezia._ Il sigillo, largo quanto uno scudo, rappresentava l'arme di Corsica riformata, vo' dire colla fascia intorno alla testa. Capii che si doveva trattare di cosa seria; però difilato al quartiere, dove di fondo alle scale cominciai a urlare: «Zio! zio!» «Che ci è egli di nuovo?» rispondeva il colonnello di sul letto dove lo teneva conficcato la più parte del giorno la sua malattia. «Pieghi di Corsica.» «A me?» «Proprio a voi.» «Fa presto.» «Più di quattro scalini per volta io non posso montare.» Arrivai in camera con un palmo di lingua fuori e dalla soglia gittai il plico allo zio: egli lo prese con ambedue le mani, se lo accostò devotamente al petto, poi si pose a considerare il sigillo e, levatosi in atto di riverenza il berretto di capo, lo baciò; voleva aprirlo, e non gli riusciva, tanto gli tremavano le dita. Allora disse: «Altobello, leggi un po' tu, chè io ho dimenticato dove abbia messo gli occhiali.» Buono zio! gli occhiali avevali davanti sul guanciale, ma le lacrime gli velavano la vista ed anco a me un certo batticuore mi teneva sospeso ad aprire il piego; tuttavolta lo apersi e lessi una lettera, ma vi so dire una lettera da schiantare l'anima, comunque si fosse di granito dell'Algaiola. — Sì eh? — In verità, padre Bernardino, ella mi fece tanta impressione, che la lessi e rilessi, la copiai più volte, finchè mi rimase stampata nella memoria. Incominciava col dare in succinto il ragguaglio della origine e dei successi della guerra, gli accomodi insidiosi, le concessioni fallaci, le frodi sfrontate, le turpi offerte e gli empî contratti: aggiungeva, come per consenso di teologhi solenni fosse stato dichiarato potersi impugnare legittimamente l'arme contro Genova; tanto più poterlo adesso contro la Francia, sfacciatissima ed immanissima compratrice di umano e libero sangue; gli ufficî buoni, le mediazioni dei potenti, le suppliche stesse essere riuscite invano; la tremenda vanità francese smaniare nella libidine di possedere la Corsica, perchè Inghilterra acquistò Gibilterra e Porto Maone, e correre voce voglia in un modo o in un altro recarsi nelle mani Orano in Africa e Buenos-Ayres nell'America; tutto concederci la Francia, tranne la libertà; tutto sopportare la Corsica, tranne la servitù; guerra a qualunque costo volersi, e guerra fosse, chè i Côrsi non contano i nemici, ma ricordano quello che Giulio Cesare scrisse dei loro antichi: _seu vincendum belligerando, seu moriendum_. «Nessun principe, proseguiva il mirabile scritto, ha compassione di noi; l'avrà Dio. Assicurati fino da principio di combattere questa guerra per sottrarre alla perdizione anima, sangue, onore, libertà e sostanze, ricorremmo e ricorriamo sempre a Dio con pubbliche penitenze, frequenza di sacramenti, esposizione del Venerabile ed altre siffatte cautele.» Toccati poi parecchi particolari di minore importanza, ripigliava con pietosissime parole: «Ora, o carissimi fratelli, invitiamo anche voi acciò veniate ad unirvi con noi nell'ultimo cimento della patria. La causa è comune, nè voi sapreste sopravvivere alla caduta nostra: venite pertanto ad esserci compagni, a mietere palme sopra i nemici vinti, o ad unire il vostro col nostro sangue, acciò ingrossandosi il torrente faccia più clamoroso lo spirito che risuoni al Dio delle misericordie, e l'accetti in sacrificio di martirio per le patrie leggi, e resti memoria onorata ai secoli futuri, che i buoni hanno voluto piuttosto morire tutti, che vivere in più lunga servitù. La pietà e l'onore vostri non abbisognano di altro stimolo per imprendere subito il viaggio verso di noi, bastandovi conoscere la imminente rovina nostra. Via dunque superate ogni ostacolo per sovvenirci in tanta stretta; tutto è lecito per compire il debito verso la patria; nè vi ha scusa che valga a dispensarvene. Certo accettissime ci comparvero e fuori di misura grate le tante vostre lettere, piene di ammonimenti e di avvisi: però, a parlare alla libera, poveri noi se avessimo a condurre le imprese col consiglio dei lontani! Deh! Lasciate in pace la penna ed impugnate una volta la spada, chè è tempo questo di spargere sangue, non inchiostro; tempo di combattere fra i perigli, non già di consigliare al coperto. Ricordatevi Curzio, il quale ebbe a gloria di precipitarsi nella....» — No, signore.... — Come no, signore? O non diceva per avventura così? — Già; diceva in quest'altra: «Ricordatevi che l'amore santo di patria ha reso incuranti del fuoco, delle voragini, uomini fortissimi e onoratissimi; venite a morire con esso noi voi altri che con noi nasceste, nè vi spiaccia trovare la tomba là dove sortiste i natali....» — È vero; parlava come dite voi; dunque anco voi la imparaste a mente? [Illustrazione: I preti e i frati, con quella decenza che ha fatto dire la sfacciataggine nata in sagrestia e allattata in convento, continuavano a litigare. (_pag. 32_)] — Io? La scrissi.... — La scriveste voi? — gridò saltandogli al collo Altobello; e il signor Giacomo, stringendogli a sua volta e squassandogli la destra, esclamava: — Ma dunque voi siete proprio un frate dabbene?.. Pare! Male possiamo supporre quello che il padre Bernardino avrebbe risposto, caso mai avesse sentito cotesto strano complimento: fatto sta che, preoccupato dall'Alando, non ci pose avvertenza. — Oh! che credevi? — soggiungeva il frate favellando con Altobello, — che il tempo speso a imparare a leggere e a scrivere me lo fossi giocato a tarocchi, io? E poi quando si butta giù quello che scoppia di qua dentro (e il frate si picchiava il petto da rompersi una costola) e si fa sempre presto e sempre bene. — Benedetti quel cuore e quelle mani! Dunque posso smettere di recitarvi la lettera, poichè l'avete scritta voi? — O che tu smetta o che tu prosegua per me la è tutta una. — Non così per me, salvo vostro onore: e se nulla impedisce, vorrei pregare il signore Alando ad essermi cortese perchè continuasse.... — Ripiglierò la lettera, e, là dove sbagli, voi, padre Bernardino, mi verrete correggendo. Dopo avere discorso degli apparecchi formidabili del re di Francia, dei bandi rigorosissimi contro qualunque Côrso si attentasse in qualsivoglia maniera sovvenire alla patria, e delle pratiche fatte presso le corti di Europa per metterci al bando dei popoli cristiani, quasi nella sua superba viltà disperasse con ventisei milioni di uomini venire a capo di duecentoventimila, prorompeva in questi lamenti: «Noi siamo considerati dai principi bersaglio degli uomini. Fu lecito ai legni genovesi, ancorchè neutrali, somministrare nelle recenti guerre munizioni a Tolone, nella Sicilia, in Catalogna ed altrove: fu generoso noleggio ed onesto guadagno traghettare nel 1358 settantamila infedeli in Grecia per la profanazione di cotesto popolo cristiano, aprire il varco ai maomettani nella Europa con tanta iattura dello impero di Oriente, a scapito della fede cattolica; ma che adesso drizzi taluno la prua verso la Corsica a causa di mercatura, si reputa fellone e sacrilego; la sostanza rapinasi, il corpo apprendesi. Cristiani siamo e combattiamo giustissima guerra e d'incolpevole difesa: onde chiunque sovvenga noi meschini non può temere le scomuniche della bolla _in cœna Domini_, e vive sicuro di non offendere le santissime leggi del giusto e dell'onesto, anzi è certo del contrario, essendo stato sempre atto di misericordia soccorrere gli oppressi. Ora voi vedete, fratelli, quanti mali ne circondano: guardivi Dio dalla vergogna di starvene spettatori da lontano: non consentite che tanta ignominia si aggravi sul vostro capo: vi prenda rossore di chiedere nuove degli avvenimenti di Corsica con le mani alla cintola lontani, come se si trattasse di paese forestiero, di cui la curiosità sola vi muova a sapere le notizie. Venite, venite alla fatica e alla guerra, chè col sudore e col sangue o vinceremo o moriremo da forti: _si moriemur enim, non moriemur inulti_. Con amarezza inestimabile l'anima nostra trascorre a considerare come non anco vi punga il rimorso per avere tardato ad accorrere in sostegno della patria cadente, e come patiste aspettare le nostre grida di angustia. E voi pure, sacerdoti, ecclesiastici paesani, chiamiamo a ridurvi, senza mettere tempo framezzo, a casa vostra, non mica per combattere, chè le armi vostre sono le orazioni e le lacrime, bensì perchè, vedendo da vicino le battiture di questo povero popolo, possiate con più ardore pregare Dio, con maggiore pietà benedire gli estremi aneliti delle vite nostre[9]...» — Fa punto, figliuolo, e avverti che questo io ci misi così per mettercelo; chè credo Dio ascoltare bene e meglio la preghiera di ogni creatura si rivolga a lui senza mestiero di frati. E' s'intendeva sottinteso fra me che scriveva e quelli che leggevano, come dovessero venire a menare santamente le mani... — Bene! io mi congratulo infinitamente con voi, signor frate; voi siete un degno gentiluomo in verità. — Eh! no, signore, io sono nato pastore... — All'ora è diverso... — Niente affatto, la è tutta una, mi pare. Ma Altobello, per troncare ogni quistione molesta, riprese: — Rinunziate forse, padre Bernardino, a sentire la fine dal mio racconto? — Al contrario; di' presto. — Orbe': giunto al punto in cui mi avete interrotto voi, mi interruppe anche lo zio domandando; «Ecci altro?» Ed io: «Ecci l'augurio che l'arcangiolo Raffaello accompagni ognuno per la via caso mai che muova per la Corsica: la firma dei Nove, del Supremo Consiglio, quella del generale Paoli e per ultimo il sigillo del regno e la firma del gran cancelliere Massesi». «E finisce affatto?» interrogava egli ansiosamente. «No, in fondo io leggo: _volta_». «Volta dunque e vedi». «Ecci un'altra lettera». «Firmata?» «Sì, firmata aspettate... dal Paoli». «Be', riprese serenandosi, leggi piano e distinto». «Caro Lucantonio...» «Dice proprio: caro Lucantonio?» «Ecco qui se volete vedere...» «Non importa, tira innanzi». «Sambucuccio di Alando fu padre della côrsa libertà: voi suo nipote potete patire che casa vostra sia ridotta in servitù? I Côrsi furono venduti come pecore, ma i Côrsi hanno deliberato difendersi come leoni, imperciocchè sebbene io non la faccia facile, pure adoperando virtuosamente le mani ci ha caso di vincere, e allora oltre la salute della patria verremo ad acquistare bellissima fama; o saremo soprafatti, e i nemici impareranno a rispettare i superstiti dal valore dei morti superati dal numero non dal valore, ed anco in questa guisa gioveranno alla patria. I popoli côrsi, memori di Sambucuccio, domandarono: È spenta la stirpe degli Alando? Essendosi fatti a visitare le tombe di casa vostra, non hanno trovato alcuno sepolto con lo scudo ai piedi; e allora domandarono da capo: Dove vivono gli eredi? Mentre la patria ha bisogno di difesa a che vi state in Venezia voi prestantissimo in arme? Forse, perchè vi fu cugino Mario Matra, credete corrervi obbligo di procedermi nemico? Mario mi assalì alla sprovvista nel convento di Bozio cercandomi a morte; mancavano ai miei ed a me le munizioni: di accordi egli non ne volle sapere: in difetto di arnesi per rompere porte, egli appiccò il fuoco al convento, e noi, tenendoci per ispacciati, avevamo ormai raccomandato l'anima a Dio, allorchè una mano di popolo trasse a sovvenirci. «Mario in cotesta puntaglia rimase prima ferito, poi morto innanzi che io potessi recargli soccorso. Lo piansi, e non con le lagrime con le quali Cesare pianse Pompeo; e me lo potete credere, conciossiachè il cuore mi si schiantasse meno per lui che pei mali che presagiva imminenti alla patria: lo preservai da ogni insulto; con le mie mani gli detti onorata sepoltura, con le mie labbra gli supplicai pace: parlo cose a tutti note; fossero a tutti sconosciute, le affermo io, e basta. Lucantonio Alando presterà fede a Pasquale Paoli, perchè Pasquale Paoli presterebbe fede a quanto gli affermasse Lucantonio Alando. Ma, posto che il caso fosse andato diversamente, e Mario avesse avuto ragione come ebbe torto, che entrano odii privati col bene della patria? Vi piaccia considerare me non come Pasquale Paoli, bensì come magistrato eletto dal volere del popolo a difesa della libertà. Se vi riputate più capace al bisogno, venite e comandate voi; se invece vi paressi più adattato io, venite e militate sotto le bandiere della vostra patria. Più tardi, cessata la guerra, ripiglierete, se vi sembrerà giusto, il vostro odio e vendicherete nel mio il sangue di Mario. Frattanto io, in considerazione vostra, ritardo fino a maggio la rassegna delle milizie, perchè desidero che a quel tempo, facendo la chiamata dei difensori della patria, qualcheduno esca a mostrare viva la nobile stirpe degli Alando. Dio vi aiuti. Il vostro compatriota Paoli.» Lo zio non disse parola; fece atto che gli porgessi la lettera, la quale avuta piegò e ripose in seno, poi accennò che io uscissi. Per tre giorni interi non aperse bocca sopra la lettera; su l'alba del quarto il caporale Tancredi mi svegliò e mi disse: «Su via, signor tenente, chè l'illustrissimo signor colonnello lo aspetta.» Andai e rinvenni lo zio a letto con gli occhi rossi e il viso pallido più del consueto, notai il lume sempre acceso e le lenzuola macchiate d'inchiostro: il povero zio aveva vegliato tutta la notte, forse anco pianto. Quello però che mi fece maraviglia fu ch'io lo trovai vestito della sua assisa di gala con in capo il tricorno gallonato e piumato. Per man mi prese tostochè mi fui avvicinato al letto, e così mi favellò con voce piana: «Altobello, fra un'ora partirà per Ancona il brigantino le _Anime del purgatorio_, capitano Gabriello Tagliaferro: voi vi c'imbarcherete sopra, d'Ancona per terra ve ne andrete a Livorno e quinci partirete per casa» A questo punto, volendo io fare qualche avvertenza, egli mi strinse forte la mano e aggrottò le ciglia continuando: «Quanto alla licenza, eccola qua, la repubblica ve la concede ampissima con la promessa di mantenervi il grado senza pregiudizio dell'anzianità quante volte vi piaccia ripigliarla; imperciocchè come i principi, sebbene fra loro capitali nemici, si accordano mirabilmente dove si tratti conservare i popoli in servitù, così le repubbliche avrieno ad intendersi per tenere su in piedi la libertà: ma gli uomini sempre e gli stati troppo spesso queste cose capiscono tardi, e temo forte che Venezia le abbia apprese più tardi che altrui; ad ogni modo le ha capite, ed è perciò che vi concede la licenza. Questa lettera consegnerai in Livorno al signor Santi Giacomini, che vi procaccerà il passo sicuro per Corsica; queste altre sono pei cugini di casa; queste poi rimetterai nelle proprie mani del generale Paoli, in proprie mani, capisci e con essa questi mille zecchini, senza dire niente, perchè il danaro dato al Paoli è danaro dato alla patria: a te ecco la spada di Alferio fratello mio, che fu tuo padre; egli la illustrò combattendo per gente non sua, io procurai mantenerla senza ruggine, tu, più felice, adoprala per casa tua. Dammi un bacio e andate pel vostro dovere.» Ed ora, padre Bernardino, voi avete saputo come e perchè io mi trovi imbarcato qui con voi alla volta della Corsica. — Sangue di Alando non poteva mentire, benedetto ne' tuoi figliuoli e nei figliuoli de' tuoi figliuoli. Altobello, la fortuna può levarti gli averi, ma levarti la fama ormai non istà più in sua podestà. — Vedete un po' che razza di gente sono questi Côrsi! Chi mai lo avrebbe pensato? Il signor Boswell, comechè urbanissimo fosse, preso dal consueto svagamento, lasciò scapparsi questa osservazione di bocca con voce più alta che non avrebbe desiderato: per la quale cosa fra Bernardino, il quale era vago dei forestieri come il cane delle mazze, facendo grugno interrogò Altobello: — Donde hai cavato tu cotesto coso? Com'entra nelle nostre faccende costui? Padre Bernardino adesso veniva a movere sul Boswell quella medesima domanda che il Boswell aveva poca ora prima fatta sul frate; tanto vero che le bisogne umane presentano spesso il rovescio così appuntino uguale col loro diritto, che nè anche chi primo li fece, saprebbe distinguerli: ma poichè la domanda fratesca palesava intenzione acerba, dubitando Altobello che di parola in parola non divenisse lite, era sul punto di rompere con qualche suo trovato il colloquio, quando il capitano Franceschi lo sovvenne molto opportunamente gridando dal timone: — Ammaina le vele; i passaggeri abbasso. Allora i nostri passeggeri si accorsero come il vento, mutandosi ad un tratto, di tramontana si era volto a libeccio. Grosse nuvole nere, pari a gravi battaglioni di esercito, una dopo l'altra venivano ad attelarsi pei campi del cielo, mentre altre più leggiere percorrevano in sembianza di bersaglieri. — Avremo burrasca, neh! capitano Angiolo? — domandò fra Bernardino affrettandosi ad obbedire al capitano Franceschi; e questi: — Bò! Ma per istanotte in Corsica non si arriva mica; e' sarà bazza se in tutto domani. — Ciò mi sconcia; ma in questo come in ogni altro la volontà di Dio sia fatta. E si avviò sotto coperta seguitato dagli altri. CAPITOLO VI. Perchè i Côrsi non amino i forestieri Altobello, senz'altro dire, si giacque a canto allo amico suo Giocante Grimaldo, il quale, comechè animoso molto e della patria sviscerato, pure non sapeva fare altro che menare le mani e dormire. Fino da quando egli ebbe uso di favella non si ricordava avere parlato tre minuti senza sbadigliare quattro volte. Soleva dire che la rettorica del soldato sta sul taglio della spada, e se per questa ei non capisce, o con questa non si fa capire, gli è segno ch'ei nacque per servire la messa, non già per esercitare la milizia. Giocante per tanto dormiva; ma siccome riesce più agevole perdurare nel sonno che incominciarlo, come ogni uomo può avere esperimentato, così accadde che, sebbene Altobello, il Boswell e padre Bernardino ci si mettessero di proposito, non ne vennero a capo. E davvero, posti ancora da parte i pensieri che ad ognuno di loro mulinavano pel capo, non persuadevano il sonno lo zufolio del vento pel sartiame, il fiotto dei marosi che, rompendosi contro la prua, scivolavano cigolando lungo le bande della galera, e quel tracollo da poppa a prua squassa la carena alle navi e le viscere ai passeggeri. Infatti Altobello, dopo essersi voltato delle fiate più di venti ora sul manco, ora sul diritto fianco, si mise a sedere, tirando in su le gambe, e su quelle appoggiati i gomiti, introdusse la faccia nelle mani aperte come dentro una morsa. Fra Bernardino, notato l'atto e parendogli buono, non pose tempo fra mezzo ad imitarlo, e il signor Giacomo, quasi a far prova del quanto sia contagioso lo esempio, tenne dietro a que' due. Parevano gli amici di Giob quando, invece di consolarlo, andarono a fargli scappare la pazienza, finchè preso il morso fra i denti, il buon patriarca dette di fuori. Per la qual cosa io non sono mai arrivato a comprendere come sia passata in proverbio la pazienza di Giob. Scorsa lunga ora in silenzio, fra Bernardino chiamò: — Altobello! — Che desiderate da me? — rispose il giovine côrso. — Mi è venuto lo scrupolo di avere proceduto con manco di cortesia con questo gentiluomo su dianzi in coperta. — La coscienza non v'inganna; consideratelo voi: questo gentiluomo per visitarci muove da casa sua.... dalla Inghilterra.... — Ah! Inglese? La è dunque inglese vostra signoria? _Angli olim angeli, nunc diaboli_,[10] come ho sentito dire a Roma. — E non solo le parole vostre mi parvero inurbane, ma se penso che voi foste lettore di filosofia, senza discorso di ragione, — riprese a dire più acerbamente Altobello. E il Boswell allora con voce blanda soggiunse: — Buttiamo la filosofia in un canto, contrario alla carità predicata da Cristo, di cui voi giuraste praticare e bandire la dottrina: contrario al divino precetto che vi ordina di riverire e amare ogni uomo come fratello.... — Per Dio Santo! voi volete fare la predica al predicatore? Circa a mancare alla creanza, può darsi; voi l'avete inteso, io me n'era quasi avvisato da me; rispetto poi a carità, signor Inglese, voi avete il torto. Se voi sapeste quante desolazioni, quante rovine ci abbiano diluviato addosso i forestieri, voi parlereste diversamente. Io dubito riuscirvi sazievole, signor Inglese, ma tanto è; bisogna che voi mi porgiate ascolto: ce ne va della mia riputazione; e poi voi non potete dormire col vento che tira: per ultimo considerate che, se non vi porgo la chiave, voi non potrete entrare nella ragione dei fatti nostri. In breve mi spiccio.... vi degnate ascoltarmi? — Parlate a vostro agio, signor frate: anzichè infastidirmi, penso che mi recherete molto piacere, se m'ingannassi, ve ne accorgerete.... — Sentendovi russare? In qualunque caso ci guadagnerete un tanto. Il signor Boswell non rispose, ma aperta la scatola offerse tabacco al frate, il quale ne prese, e anco ad Altobello il quale ricusò; il signor Giacomo ne tolse anch'egli la sua porzione: ond'è che, tirando su in coro col frate la polvere attinta nel medesimo vaso, si sentivano questi due cristiani più che a mezzo riconciliati. — I forestieri — finito il tabacco, disse il frate Bernardino — i forestieri si ficcarono in Corsica dolorosi quanto i chiodi nelle santissime carni di Gesù Cristo: questo vi ho detto e questo vi provo. Raccontano che certi popoli vecchi, dei quali non si trova memoria e non importa trovarla, disertate le terre native, qui ponessero stanza. Se la cosa stia per lo appunto come la contano, io non so dirvi davvero; ma, posto che sia, ciò importa, che la Corsica ha amicizia antica con la disdetta. Difatti e come potreste figurare che codesta gente uscisse di casa? O ci fu cacciata da altri assalitori, e allora chi non ebbe virtù a difendere il proprio, si conosce a prova ingiusto con la roba altrui e ladro: o la inopia del vivere la costrinse ad esulare, e in questo caso ella ci cascò addosso ospite accetta quanto al Senapo le arpie: o per ultimo la tirò l'avarizia, e questo sarebbe stato il peggio, conciossiachè fame satolla si attuti, cupidità umana non dice mai: basta. Ma scendiamo a tempi più prossimi. I Cartaginesi un giorno intimarono a quella gente antica, focea od etrusca che fosse: «Chi ha ballato dia luogo; e a noi aborigeni voi altri ci servirete a questi patti: non seminerete nè pianterete; noi vi somministreremo il vivere dall'Africa.» Di tanto ci ragguaglia Aristotele, ch'era antico e lo poteva sapere: adesso taluno, che non lo può sapere, contraddice e sostiene che ciò non torna in chiave; imperciocchè, andando avanti di questo passo, bisognava che i Cartaginesi spesassero tutti i Côrsi, e questo non pare possibile; e, non potendo provvedersi la vittuaglia, i Côrsi avrieno dovuto impiccarsi ai larici delle loro foreste. Questo si chiama ragionare a vanvera; perchè salta agli occhi come i Cartaginesi, deviando i Côrsi dall'agricoltura, vollero che intendessero unicamente ai lavori delle miniere, a tagliare legna e a raccogliere la pece che stilla copiosa nelle macchie dell'Asco, cose tutte, non che utili, necessarie per popoli dediti alle faccende del mare come i Cartaginesi furono: ma per me m'immagino ci covasse sotto un'altra ragione, e ve la voglio dire. I popoli commercianti, fatti presto i quattrini, smettono la pristina asperità (che mi andrebbe di coscienza chiamare virtù) e tuttavia, o cupidi di acquistare di nuovo, o trepidi di difendere il vecchio, abbisognano di armi: ora costumando essi per abito di trafficare ogni cosa, si consigliano potersi provvedere anime e fede non altramente che tele bambagine o pesce salato. Cristoforo Colombo genovese lasciò scritto che a contanti si comprava anche il paradiso; e badate ch'ei fu dei buoni. Ora i Cartaginesi, secondo me, invece di comprare soldati al bisogno, come usavano le repubbliche italiane, pensarono tenersi in vivaio un popolo intero per servirsene alla occorrenza; però, somministrando ai Côrsi paga e panatica, ordinarono che in pace attendessero ad esercitarsi nelle armi, per adoperarle poi a profitto loro in guerra. Per questo modo due popoli antichi ci porgerebbero esempio di istituti contrarii, perchè gli Spartani, destinando gl'iloti alla coltura delle terre, sè conservavano interi alle armi; i Cartaginesi all'opposto, dediti alle industrie mercantili o rustiche, commettevano il carico della guerra, se non tutto, almeno in parte ai popoli deditizii o conquistati. Nè vi paia nuovo che, messe da parte le compagnie di ventura, i Romani, spogliate le virtù prische, sovente ricorressero alle spade dei gladiatori, invocando inviliti a difesa coteste anime che comprarono superbi agli immani sollazzi. E credo ancora che i Cartaginesi a mantenere, come ho detto, quel vivaio di uomini, ci trovassero il proprio interesse; perchè, quantunque l'abbaco non avessero ancora inventato, pur di conto sapevano fare anche a quel tempo. Intanto ai Romani erano allungati i denti anco su le marine: però vennero in Corsica con l'armata, dove uno Scipione romano, contendendo dell'osso con Annone cartaginese, glielo strappò dai denti, rimandandolo concio come un _ecce homo_ in Cartagine. Io ho letto su i libri come, per molto volgere che abbiano fatto di carte, non sieno riusciti a trovare la cagione donde i Romani mossero contro la Corsica; ma e' non sono curiosi costoro? La forza che va limosinando un po' di apparenza dal diritto, è trovato di moderna ipocrisia: a quei tempi la forza procedeva nuda e cruda, e non avrebbe tenuto in casa il diritto nè manco per le spese. Oppressori furono i Romani perchè forti, oppressi noi perchè deboli. Badate di non appuntarmi di contraddizione se, mentre vi dissi dianzi che i Côrsi destinavansi dai Cartaginesi alle armi, adesso ve li do per deboli; perchè la contraddizione si cava di mezzo avvertendo che forza e debolezza sono termini relativi; per la qual cosa i Côrsi, comecchè in sè forti, potevano comparire deboli di petto ai Romani o per numero, o per arti di milizia, o per questo altro ch'io vi vado a dire. Popoli veramente forti sono quelli che da una mano trattano la zappa e dall'altra la spada; il popolo dalla zappa sola casca facile preda di chiunque vada armato a sottometterlo; il popolo con la spada sola si vende e si rivende, e ammazza per vivere. Il popolo poi che ha da difendere la casa, il campo e il camposanto, pare che non muoia mai, perchè di lui non si viene ordinariamente a capo, se prima, passato per ogni estremo, non si senta rifinito di forze; e la natura sembra che abbia voluto in certo modo avvisarcelo quando commise al medesimo metallo l'uno e l'altro ministero; perchè dandogli la zappa di ferro gl'insegnò che con quella aveva da lavorare, e dandogli la spada di ferro lo ammonì che con quella doveva difendere il frutto delle sue fatiche. Affrancati noi dalla tirannide cartaginese, a non patire la romana, avevamo ragione da vendere, ma avemmo torto quando mettemmo innanzi la ragione senz'armi per sostenerla; tuttavia, con l'ingegno supplendo al mancamento di forza, una volta ci capitò di circuire Claudio Glicia, nè gli lasciammo altro scampo che riscattarsi a patto di pace a noi comportabile. L'accordo dispiacque al consolo Varo e al senato, ai quali riuscì ottenere vittoria non ardua di noi ormai assicurati della pace. Solo, per conservare illesa la fede quirita, ci mandarono Glicia in catene perchè lo martoriassimo; noi visto il tapino, dicemmo: «Mancano carnefici a Roma?» Difatti respinto da noi, essi lo ammazzarono in carcere. Le ipocrisie della giustizia odio più della stessa ingiustizia. Non solo, nè in catene, dovevano renderci Glicia i Romani, bensì co' suoi compagni armati ed in mezzo alle strette dove gli avevamo chiusi noi: allora avremmo forse vinto, non però senza strage, chè i Romani erano usi a quei tempi di morire con la carne fra i denti. Oppressi, non vinti, il cuore non si sbigottì; però riparati su le pendici, a mano a mano che le vene ci si riempivano di sangue, scendevamo ad arrisicarcelo al giuoco delle battaglie su le pianure rubate. Ci vinse la seconda volta Marco Pinario pretore ammazzando duemila dei nostri: tolse seco ostaggi, c'impose l'annuo tributo di centomila libbre di cera. Otto anni dopo col cuore medesimo, ma con forze maggiori, tornammo a metterci allo sbaraglio e con fortuna del pari sinistra: chè anco per questa volta Publio Cicereio tagliò in pezzi settemila dei nostri, ai superstiti impose doppio tributo. Bisogna dire che la vittoria non fosse lieta nè anco per lui, all'opposto piena di ansietà; imperciocchè le storie notano ch'ei votasse a Giunone Moneta una cappella se gli dava sgararla. Non vi crediate già che per queste battiture i Côrsi, come gente ricreduta, quietassero; se voi lo credeste, v'ingannereste a partito; di lì a breve ci rividero i Romani più tenaci e più forti; la nuova impresa fu commessa a Papirio Masone, che veramente la condusse a termine glorioso a lui, funesto per noi, ma con tale e tanto sudore, che il senato la giudicò degna del trionfo, il quale Papirio condusse sul monte Albano. Adesso poi i Romani come sicuri posavano il capo su due guanciali, quando di un tratto la sentono ribellata da capo minacciare più feroce di prima. Giovenzio Talma, collega di Tito Sempronio, le mosse contro con molto naviglio ed esercito consolare: al cimento delle armi ruppe i Côrsi cinque volte e sei; ma così apparve nella estimativa dei Romani o così desiderata o così trepidata la vittoria, che il senato decretò rendersi pubbliche grazie alle deità tutelari. Valerio Massimo ha di questo consolo un caso strano, ed è che, sopraggiuntogli il messaggio con l'annunzio del senatusconsulto mentr'egli stava sagrificando sul lido tanta allegrezza lo assalse che, mancatigli ad un tratto gli spiriti, cascò morto a piè dell'altare. Lascio altre ribellioni, altre stragi, le quali, come sono sazievoli a raccontarsi, furono truci a patirsi; unicamente vi chiedo che consideriate questo: anco gli imbelli, innanzi che conoscano di che cosa sappia la vendetta del superbo dominatore, possono avventurare la prima ribellione: solo gli animosi arrisicano la seconda prova e la terza consapevoli delle rovine che perdendo si chiamano addosso: ma contendere sempre senza consolazione di vittoria mai, anzi con la certezza di perdere e non isbigottirsi, è più che da uomini. In seguito, a Mario e a Silla piacque fondare su i nostri campi colonie mandate quaggiù, non sappiamo se a fecondarli con la fatica o piuttosto col sangue. I Côrsi, fatti simili agli uccelli, per quanto si può da cui va senza ale, dai comignoli dei monti agguardavano le pianure abbandonate da loro, dopochè i Romani, deriso l'antico tributo delle libbre dugentomila di cera, pretesero spogliarli di quanto in biade o in vino o in olio produceva la terra, e rigidi esattori inviarono a riscuoterlo Oppio e Tiberio Gracco pretori. Dall'alto delle pendici i Côrsi, quasi spettatori seduti in circo, mentre da un lato spasimavano pei perduti retaggi, dall'altro blandivano le ferite dell'anima alla vista dei duelli che l'avarizia o l'odio provocavano tra gli abborriti dominatori. Però nè anche le rupi salvarono, e queste ultime gioie vennero rapite; imperciocchè i Romani, conchiusa la guerra, incominciarono la caccia degli uomini. Nè dico cosa che non sia vera, dacchè con reti e cani si diedero a perseguitare per le selve i Côrsi come bestie feroci: fattane raccolta, mandavanli a Roma chiusi in gabbie per cavarne schiavi accomodati ai piaceri od alle necessità loro; ma per quanto ci si affaticassero attorno, non riuscivano ad acconciarli a nulla, e Strabone ne chiarisce le cause con queste parole: «Quantunque volte un capitano romano, scorrazzando l'isola, metta insieme una funata di schiavi e li mandi a Roma, destano in cui li mira grandissima maraviglia, non si sapendo se prevalga in essi la stupidità o la ferocia: molti abborrendo la vita si ammazzano, gli altri impazziscono o paiono corpi morti per guisa, che il padrone piglia a detestarli, maledicendo il danaro, comecchè poco, gittato in comperarli.» Strabone, pensando vituperarli, non poteva lasciarci della natura indomita dei padri nostri testimonio più solenne di questo; imperciocchè fino da tempi remotissimi si conosca com'essi sapessero al tedio della servitù preferire la morte. Dai Romani cascammo in potestà dei Greci, come un brandello di carne che il lupo vecchio, non potendo masticare, regala alle zanne dei lupicini. Sotto la dominazione loro i Côrsi, stremi di ogni bene, ebbero a pagare i tributi con monete di creature battezzate: così è, in vece di bisanti, figliuoli: ed il flagello, come in gravezza, crebbe di numero, perchè in un groppo ci capitarono sul capo Vandali, Goti, Saracini e Longobardi. Questi ultimi, oltre i mali presenti, ci lasciarono il germe dei futuri, come i Numidi fuggendo balestrano frecce avvelenate. I Saracini non potevano durare; perchè, pazienza se, figurandosi di aver dato il mondo a fitto, si fossero contentati dei raccolti, lasciando tanto ai coloni che potessero vivere! ma no; essi portavano via bestie, biade e coloni: sicchè voi capite bene che questa storia non si poteva rinnovare ad ogni capo di anno. In effetto gli storici, massime i romani, raccontano come Dio, tocco dalle supplicazioni del papa, c'inviasse il liberatore: vediamo quale. Carlo Magno, usurpato il regno ai nepoti, scende a combattere Desiderio, presso cui si erano rifuggiti cognati e nepoti. Incomincia da Carlo la forza a farsi ipocrita: ladro ai nepoti, costui s'industria dare ad intendere che Dio gli manda lo _star bene_ a mediazione del prete; e il prete di Roma parve nato a posta per questo. «Facciamo a mezzo, egli bisbigliò nell'orecchio allo imperatore dei Franchi, ed io ti reggo il sacco. Vuoi tu che ti spedisca la patente di galantuomo soltanto, o ami piuttosto che io ti mandi in paradiso addirittura? Questo rimetto a te, prima che spartiamo la roba.» Carlo Magno, che, a confessarla giusta, fu generoso quanto un pirata, rispose: «In paradiso più tardi»; e, donati a san Pietro i più bei tòcchi d'Italia e con essi la Corsica, si contentò di essere creato galantuomo in virtù della bolla pontificia. I Genovesi assegnano proprio a questa epoca la conquista operata dalle armi loro di Corsica sotto la condotta del conte Ademaro: non potevano scegliere peggio. Genova allora non era principe bensì vassalla come le altre città italiche, di Pipino; e Ademaro reggeva la Liguria prefetto in nome di lui; nè egli genovese, bensì franco, e lo dice espresso Einardo nella vita di Carlo Magno; nè i Genovesi allestirono l'armata, al contrario apparecchiavala il re Pipino e spedivala; per ultimo non vinse i Saracini Ademaro, al contrario rimase sconfitto e per di più morto; chi li vinse fu il contestabile Burcardo, che l'anno seguente tra le acque sarde e le côrse gli sterminò. Tanto mi piacque rammentare perchè tra i novellatori di questa canzone io trovo Uberto Foglietta, uomo certamente amico della libertà, per la quale ebbe a patire non poco, ma, come nato a Genova, non amico del pari della giustizia almeno rispetto alla Corsica. Gran cosa è questa che, mentre il mondo avrebbe bisogno di giustizia più che di pane, avviene di lei quello che vediamo accadere del sole, il quale mentre schiarisce metà del globo, ne lascia l'altra metà nelle tenebre! Ma ditemi in grazia, signor Inglese, vi annoio? — No in verità; anzi mi pare pigliarci diletto, mi pare. — Ditemelo senza cerimonie, sapete; poichè mi accorgo essermi cacciato dentro un ginepraio da non poterne uscire senza scapito. Al modo col quale ho cominciato, dubito che l'amore di patria non faccia piangere la carità del prossimo. — Quanto a questo, pensateci voi; accomodateli insieme senza che strillino troppo. [Illustrazione: Disse lo zio ad Altobello: — Dammi un bacio, e andate pel vostro dovere. (_pag. 55_)] — Allora favoritemi una presa di tabacco, e ripiglio il filo baldanzoso, facendo conto che amore di patria e carità abbiano a formare tutta una cosa: che se per disgrazia fossero due, e l'ultima avesse a toccarne, ora che mi ci sono messo vo' dire tutta la verità: poichè chi l'ha da friggere la infarini, ch'io ne farò penitenza a bell'agio. Carlo Magno dunque, incoronato da papa Adriano, costumò come tutti i cristianelli di Dio, i quali passata la festa gabbano il santo; dacchè ora con questo, or con quell'altro amminicolo andava schermendosi dal consegnare quanto aveva promesso, e, preso alla gola, dava a spizzico e tardi: la Corsica poi non dette mai: la governarono per lo impero i marchesi di Toscana e con essi i conti feudatarii delle varie terre dell'isola. Voi saprete le diavolerie successe tra i discendenti di Carlo Magno, che si strapparono l'impero di mano come una giubba rubata: in mezzo al tramestio l'erede del pescatore figurate un po' voi se gittava il giacchio nel torbido. Antiche memorie e tradizioni sempre vive assegnano a questi tempi la investitura di tutta o parte dell'isola a un certo Ugo Colonna romano, e dopo al conte di Barcellona, con questo patto, che retribuissero a Roma il quinto dei raccolti e la decima dei fanciulli. Che cosa poi andassero a fare cotesti fanciulli a Roma, sarà più bello non inquisire che onesto trovare. Però negano questi fatti di due maniere persone: quelle che, zelando troppo il patrio decoro, dubitano ricevere dal turpe tributo non reparabile infamia; e gli sviscerati della curia romana, cui non ripugna il caso, bensì lo scandalo. _Si non caste, saltem caute_, mi capite? Però riesce più comodo negare che facile chiarire falso cotesto fatto e gli altri che la storia aggiunge, voglio dire i rigidi delegati spediti dal papa fino al numero di cinque per vigilare che i tributarii non frodassero delle grasce nè dei fanciulli. Se i Côrsi avessero aspettato dalla verecondia romana la cessazione di cotesto censo, aspetterebbero anche adesso: ci si pose di mezzo Arrigo Belmessere e, intercedendo ancora il vescovo di Aleria, fece lasciare la presa ai mastini papali. Dicono che ciò non si ottenesse senza difficoltà, e al vescovo di Aleria ne toccasse una ramanzina delle buone, facendo specie che un ecclesiastico, un vescovo impedisse la osservanza dei dettami evangelici; della quale cosa maravigliato costui chiese spiegazione, e gli fu data così: «Non disse forse Gesù Cristo ai suoi discepoli, che allontanavan i fanciulli da lui: Lasciate ch'essi vengano a me? Ora il papa non rappresenta egli Cristo, e voi uno dei discepoli suoi?» Caro mio, quando l'interesse ci ficca la coda, non vi aspettate a più santi commenti della parola di Dio, massime dai preti. Voi intanto notate questo, che ne franca la spesa: da prima i Côrsi, ridotti alla disperazione dai Greci, vendono eglino medesimi i figliuoli per pagare i tributi; i Saracini poi se li pigliano da sè; per ultimo spettava alla corte romana mettere per patto nella investitura feudale la decima dei fanciulli. Ora le città italiche per forza o per amore incominciano a costituirsi a comuni franchi da soggezione imperiale. Comuni noi non avevamo, bensì conti: ma siccome la libertà piace a tutti, principalmente a quelli che non la vogliono lasciare godere altrui, anch'essi si vendicarono dalla servitù forestiera per contendere indi a breve della signoria domestica, e, virtù fosse o fortuna, tra questi rivolgimenti primeggiò il conte di Cinarca. La storia registra l'orribile governo che i tiranni facevano dei Côrsi; ma ad eterna onoranza dei nostri padri registra eziandio queste parole: i principi imperando a tirannide, i Côrsi agguantano le armi e bandiscono la libertà; poi convocata l'assemblea a Morosaglia, si costituiscono rettore Sambucuccio di Alando. Così è, signor Inglese; questo santo antenato del nostro Altobello fu padre della libertà côrsa. Sambucuccio giunse a stabilire il governo di Terra del Comune: di molte e sconcie botte picchiò i conti, ma innanzi di morire non venne a capo di superarli tutti, sicchè, morto lui, rialzarono la cresta. Il popolo, non si sentendo valente a resistere da sè, pare che chiamasse in aiuto i marchesi Malaspina di Massa. Io dico _pare_; imperciocchè per questi tempi non ci avanzino che scrittori e carte di donazioni chiesastiche, e a fabbricare storie con questa razza di materiali, adagio. Vo' che ve ne basti uno esempio. A questi giorni ho letto nelle _Antichità italiche_ di Ludovico Muratori una carta del 1019 o 29, la quale fa fede come un messere Rolando, conte per la grazia di Dio e signore di tutta la Corsica, Giulio giudice, e messere Giovanni legato _sentenziario e scapolaro_, costrinsero certi villani a pagare alla badia di Santo Stefano di Venaco libre cento di buoni danari e a sfrattare dalle terre in fra tre mesi sotto pena di 300 fiorini d'oro e della scomunica per parte di messer legato. Il dabbene proposto, comecchè poco tenero di Roma, tuttavolta ha preso un granchio nel darci questa carta come genuina: infatti pare impossibile come gli sia passato per occhio che una sentenza del 1019 o 29 non poteva ricordare i fiorini d'oro, battuti dal comune di Firenze nel 1252. Come a quei tempi le cose camminassero io non vi so dire per appuntino, nondimanco, essendoci guerra tra popolo e baroni, e non potendo questi vincere quello, nè quello questi, è facile indovinare che le procedessero per la peggio. Intanto, poichè non ci ha meraviglia che in Roma non si deva vedere, scappò fuori Gregorio VII, il quale, vicario di Cristo, che disse a cui non lo volle sapere, il suo regno non essere di questa terra, pretese nulla meno che dominare sopra tutta la terra. Costui, informato come la matassa andasse arruffata in Corsica, ci mandò legato Landolfo, vescovo di Pisa, a scoprire marina, limitando però il suo ufficio a _distruggere_, _sradicare_ e _costruire_ in punto di religione, non altro. Il vescovo ch'era malizioso più di una squadra di sbirri, trovato il terreno morbido, non contento di ficcarci la pala, ci ficcò anche il manico, disse mirabìlia della potenza del papa, promise Roma e toma; sicchè i popoli ignoranti e abbindolati si commisero al papa a patto che con validi aiuti li sovvenisse per superare i baroni di oltremonte. Il papa rispondendo mette in sodo avanti tutto questa volontaria dedizione, poi gli ammonisce ch'egli è per di più: perchè eglino avrieno a sapere, come l'universo intero lo sa, il dominio dell'isola appartenere alla santa Chiesa per diritto di proprietà; ladri, sacrileghi e dannati i tre imperatori e i tre re che la tennero senza prestare l'obbedienza a san Pietro. Il legato si trasforma in governatore, si mettono da parte le cose dell'anima per non parlare altro che di faccende terrestri. Però il carico assunto di difendere l'isola il papa teneva per novella: in lui non era potere nè volere a sostenere la guerra: ond'egli, inteso a mietere senza seminare, concesse l'isola in feudo al medesimo Landolfo, a condizione che gli retribuisse le metà delle rendite: non vi par egli generoso costui? Al tributo di sangue ei rinunzia, ma cresce quello dei frutti da un quinto, come sotto Gregorio IV, alla metà. Dopo quattordici anni Dalberto, vescovo di Pisa, uomo rotto, visto che la carne non valeva il giunco, scrisse al papa che egli a pescare per il proconsolo non la capiva: ripigliasse l'isola. Urbano, considerato tra sè e sè ch'egli era come se il vescovo gli avesse risegnato la luna, rispose: «Mira larghezza! io te la dono.» E l'altro soggiunse: «Manco male, ricatterò le spese.» Però quando fummo su l'atto del donare, ostico a tutti, ma per la Chiesa più doloroso dello spasimo del parto, il papa mascagno insinuò nel contratto due cose: che donava l'isola alla chiesa pisana, quantevolte però il vescovo fosse stato eletto canonicamente dal _clero e dal popolo_ e confermato dal papa; e retribuissero al palazzo lateranense l'annuo censo di lire 50 in moneta lucchese. Così quello che non può tenere, Roma dona; ma come i marinari quando gettano l'àncora in mare ci lasciano sopra il gavitello galleggiante per ripescarla a tempo e a luogo, il prete studia ch'esca fuori del dono un addentellato per poterselo ripigliare. Giustizia vuole che io dica come i Pisani dimorassero nella isola con garbo assai migliore di quello col quale ci entrarono: noi non reputarono essi vassalli, nè noi reputammo essi signori: ci accolsero come fratelli tornanti in famiglia; accomunarono con noi carichi ed onori: anzi ci alleviarono i primi, trovandoci alle lunghe sventure ridotti al verde. E di questa benevolenza scambievole durano tuttavia i testimoni sia nei monumenti pubblici, sia negli animi dei Côrsi, propensi a stanziarsi in Toscana a preferenza di ogni altro paese, quando necessità o vaghezza li tira fuori di casa; e più che tutto nella lingua loro, da noi conservata con tanta diligenza, che qualche voce costà disusata, o non più intesa quaggiù, s'incontra sopra le labbra dei montanari viva della sua primitiva significazione. I cagnotti di corte non cessano mai d'infamare il popolo come ingrato: voi per ismentirli fate tesoro del caso che vi raccontava, al quale aggiungerete quest'altro: degli oppressori antichi, dei Romani e dei Saraceni qui non troverete memoria, ed in breve nè anche dei Genovesi, eccetto qualche tomba. Fama, delitti e ossa dei vecchi e dei nuovi tiranni seppellimmo interi dentro un medesimo sepolcro. Ora i Genovesi, sopportando molestamente la parzialità di Roma per Pisa, studiano ogni ora per levargliela convertendola in proprio profitto, o almeno per pareggiarla; e la fortuna, come suole a cui sta su la intesa, ne porse loro il destro. Urbano II, per tenersi bene edificato Dalberto, lo creò arcivescovo assegnandogli suffraganei i vescovi di Corsica; questi, subillati dai Genovesi, ricusavano a viso aperto la consacrazione dello arcivescovo di Pisa, il quale pesta mani e piedi; e i Genovesi lì alle costole a mettere legna sul fuoco. Questo era tempo che Roma, voltata a Genova, le dicesse: «Com'entri tu in questi negozi? Bada ai fatti tuoi, o che ti scaravento addosso un nugolo di scomuniche»; e le scomuniche a quei giorni scottavano. Pensate voi che lo facesse? Nè manco per ombra. Roma in mezzo a cotesto tafferuglio non vide chiaro che una cosa sola: raspollare quattrini. In effetto considerate che spedienti adopera per aggiustare due emuli insatanassati: innalza il vescovo di Genova alla medesima dignità dell'arcivescovo di Pisa e gli assegna per suffraganei tre vescovi côrsi di Mariana, di Nebbio e di Accia, a patto che ogni anno paghi una _libbra_ di oro, a san Pietro, ci s'intende. Naturalmente e' fu uno spegnere l'incendio coll'olio: d'allora in poi fra Genovesi e Pisani non tregua mai nè pace, nè si rimasero i primi finchè non ebbero ridotti in piana terra i secondi. Innanzi però della rovina della Meloria, ecco come i Genovesi arrivarono ad incastrarsi nell'isola. Gli uomini di Bonifazio esercitavano la pirateria (mestiero a quei tempi tenuto nobile, quantunque fatto a minuto) recando continui danni ai Genovesi, frequentatori di coteste spiaggie per loro traffici. Di ciò meritamente stizziti, commisero ai proprî consoli che andassero a richiamarsene ai consoli di Pisa, e questo essi fecero. Venuti al cospetto dei Pisani favellarono: «E' non ci pare onesto, uomini dabbene, che, mentre la pace dura fra noi, i vostri concittadini corrano addosso ai nostri e gli spoglino. I vostri castellani bonifazini fanno il diavolo a quattro a danno della nostra mercatanzia: ciò non istà in chiave: ordinate pertanto a costoro che restituiscano il mal tolto, altrimenti sarà rotta la pace, e cui avrà torto faccia tristo Dio.» I Pisani risposero: «Quello che voi ci dite ci accora forte, perchè avreste a sapere che il castello di San Bonifazio non ci appartenga, e i castellani, innanzi di essere nostri uomini, ci contradicano in tutto e come i vostri mettono a ruba i mercatanti nostri: accordiamo a raccogliere insieme un'armata e andiamo uniti a farli stare in cervello.» Non dissero a sordo. I Genovesi, allestito un naviglio poderoso alla chetichella, assaltarono i Bonifazini quando se lo aspettavano meno ed occuparono la terra. Se i Pisani levassero scalpore per la presa di Bonifazio, ve lo potete figurare: ma i Genovesi rispondevano: «Voi vi lagnate di gamba sana: invece di ringraziarci di avervi levato un bruscolo dall'occhio senza che vi costi un quattrino, perchè ci maledite?» E aumentavano le provvisioni per difendere l'acquisto, perchè i Genovesi quando mordono tengono maladettamente: così vero questo che, per rammentare Genova, stringono le mascelle per paura che, non che altro, il nome della patria caschi loro dai denti. Rimase ai Pisani con le beffe il danno, pagando la pena della doppiezza loro. Donde io piglio occasione di ridere dei barbassori i quali si mettono in quattro per sostenere la diplomazia trovato moderno: no, signore, la diplomazia è vecchia quanto la bugiarderia, anzi una volta si riputava una cosa stessa con lei: soltanto ai dì nostri a taluno essendo venuto talento di separare la diplomazia, ci ha rinvenuto la bugiarderia e la gagliofferia rinterzata con la sfrontatezza. Appena i Genovesi ebbero messo il piede nell'isola, incominciarono a gittare con la pala ai Bonifazini danari, privilegi, insomma ogni bene di Dio: donde entrò, se non in tutti, almeno in corpo a moltissimi la voglia di venire a parte della cuccagna: arti antiche e tuttavia sempre efficaci; le mosche si pigliano col miele dacchè mondo è mondo. Calvi fu la prima a non si poter reggere e, accordatasi a patti, mise dentro i Genovesi; poi, continuando a declinare le fortune pisane, parecchi conti, voltate le spalle come suole ad occidente, si girarono a oriente. Allora si consigliarono spedire in Corsica Giudice di Cinarca con armi e navi per mantenersi nella devozione i vassalli fedeli, i ribelli reprimere: questi veduta la mala parata ricorrono ai Genovesi, che agguantano la occasione a braccia quadre. Cristo giudicò la lite contra i Pisani non senza ammonirli prima che s'imbarcassero, lasciandosi cascare di cima allo stendardo in Arno, che non era per loro. Se fu come la contano, certo non lo mossero i meriti dei Genovesi: forse in quell'ora i peccati dei Pisani pesarono più su la bilancia della giustizia divina, che quelli dei Genovesi. Roma, origine di tanti guai, considerando adesso che i Genovesi da un lato non erano pesci da abbocconare[11] l'amo di san Pietro, e dall'altro che i Pisani erano sfidati dal medico, ripiglia la Corsica e, poichè aveva le granfie stese, piglia anche Sardegna (era come fare un viaggio e due servizii), e concede la investitura di ambedue a Giacomo II re di Aragona. Teneva in quel punto l'accetta, voleva dire le chiavi degli apostoli, Bonifazio VIII, di mestiere avvocato: però s'egli sapesse tirare l'acqua al molino non occorre dire. Costui mise nel diploma per condizione, il re prestasse omaggio, pieno vassallaggio e giuramento di fedeltà alla Chiesa; la sovvenisse con cento uomini di arme corredati di un destriere e due palafreni per uomo, e cinquecento fanti, di cui cento almeno balestrieri con le balestre nuove, tutti aragonesi o catalani; ancora pagasse il censo annuo di due mila marchi sterlini di argento buono al romano pontefice in qualunque parte si troverà; e se non paga, scomunica e decadenza. Lui morto, succede poco dopo Clemente V, francese; quindi non parrà strano che dove Bonifazio rase la barba, ei ci facesse il contropelo: in effetto allo sprofondare di Corsica e di Sardegna aggiunse Pisa e l'Elba mercè l'aumento di altri mille marchi di argento da pagarsi dai reali d'Aragona. Roma vendeva a buon mercato provincie ed isole: bisogna dire perciò che le costavano anco meno; e per me giudico ch'ella avrebbe venduto il sole: basta che si fosse trovato chi avesse voluto comprarlo e sopratutto pagarlo. I reali d'Aragona ebbero fama, quanto a fede, di star meglio dei Turchi; sicchè, venuti alle strette con Roma, imaginate se la battesse tra il rotto e lo stracciato: così vero questo, che Giacomo, conquistata la Sardegna, mandò a dire al papa che, avendo speso un occhio per impadronirsene, durante dieci anni almeno non gli avrebbe potuto pagare un bolognino; dopo, se gliene avesse dati cinquecento, sarebbe bazza. Se il papa soffiasse a siffatte iniquità ed arricciasse il pelo, non è a dire; molto più che in quel torno nei piedi di san Pietro pescatore si trovava Giovanni XXII, famoso per tirare al quattrino:[12] ma ormai re Pietro se l'era presa, e bisognò, comechè al Papa paresse mandare giù una resta di grano, ingozzarla, non mica per perdere tutto, bensì per lesinarsela fra loro. Giovanni con quei paroloni pei quali Roma è unica ad onestare le più sozze cose, ammoniva primamente re Pietro come quel degno uomo di Carlo I di Napoli, malgrado le spese enormi per conquistare il regno, aveva sempre pagato puntuale come un banco il censo alla Chiesa; poi disse che per l'amore sviscerato che a lui figliuolo dilettissimo portava, _quantunque la sede apostolica non solesse mai fare rimessioni_, sarebbesi adattato a ricevere mille marchi per soli dieci anni; e cascasse un quattrino, a monte ogni pratica. Per allora continuò a quel modo, ma parecchi anni dopo Giovanni re di Aragona non volle pagare più nulla e ne allegava per causa, che regnando due papi, Urbano e Clemente, egli, che semplice era e timorato di Dio, il vero dal falso non sapeva distinguere, e molto lo atterriva il risico di somministrare pecunia allo scismatico; parergli meritorio a scanso di guai tenersela in tasca. I Côrsi di Terra di Comune e i conti di Cinarca, vedendosi allora ruinare sul capo cotesto nuovo flagello di dominazione straniera, ed anco saliti in furore per trovarsi così venduti e rivenduti peggio che bestie in fiera, accontatisi insieme, fermarono di darsi ai Genovesi mercè certe convenzioni di cui fecero carta; la quale, sebbene sia andata dispersa, pure il contenuto in grazia di vecchi scrittori delle cose patrie, pervenne fino a noi. Voi mi direte: «Questo darsi a bel patto in potestà altrui fu affare serio»; ed io rispondo: seriissimo e degno del castigo che Dio per mezzo di Samuele fece sapere agli Ebrei sarebbe loro cascato addosso, quando di riffa vollero costituirsi un re. In effetto il castigo non si fece aspettare; imperciocchè scappasse fuori di levante una morìa, la quale avventatasi su l'isola menò tanta strage, che il terzo degli abitanti appena rimase vivo. Veramente pareva che avesse a bastare: piacque in altro modo alla provvidenza, e la peste fu per così dire l'antifona del salmo. Ma qui facciamo punto e miriamo qual fosse lo stato dell'isola in cotesto tempo. I signori a posta loro se ne dicevano gli Aragonesi e i Genovesi; quelli per investitura pontificia, questi per virtù di arme e per patto. Ora esporvi anco alla grossa gl'indiavolati viluppi che ne successero, sarebbe troppo lunga la storia; bastivi che gli Aragonesi non essendo comparsi nell'isola così tosto come temevano, dei conti, che si erano sottoposti ai Genovesi, incominciò la più parte, massime i cinarchesi, a friggere per la maluriosa soggezione. I Genovesi mandarono in Corsica Tiridano dalla Torre per tenerli al _quia_; e i conti, conoscendo da sè soli non poter mordere, spedirono Arriguccio della Rocca in Aragona al re Pietro, per soccorsi; scarsi però, quanti bastassero al tenere in subbuglio il paese e lo stremassero di sangue agevolandogliene l'acquisto. Quando il re Pietro conobbe i Genovesi dalle contese quotidiane ridotti al lumicino, mosse ad opprimerli; e gli riuscì di leggieri sgomberarne l'isola, tranne Calvi, Bonifazio, San-Colombano e qualche distretto in Terra di Comune. Inferma la repubblica, cinque mercanti accozzatisi in Banchi dissero: «Lo stato in mano della signoria va come acqua messa nel vaglio; facciamo un negozio in comune e tentiamo di guadagnare la Corsica per noi.» Detto, fatto; la signoria, che, simile a papa Lione, quello che non poteva avere, donava, risegnò la Corsica ai cinque mercanti, i quali, costituitisi in società commerciale chiamata la _Maona_, raccolsero armi ed armati e vennero a combattere Arriguccio. Costui datene e ricevutene parecchie, all'ultimo disse ai Maonesi; «Che Dio vi aiuti, in Corsica che cosa ci siete venuti a fare? Per guadagnare di certo. Ed io perchè ci sto? Forse per perdere? Ma continuando di questo passo voi ed io ci rimetteremo il mosto e l'acquerello: accordiamoci; accettatemi sesto tra voi, e viviamo in pace.» Piacque il partito, e si spartirono l'isola. Intanto che Arriguccio patteggiava così co' Genovesi, persuadeva ai baroni côrsi non si movessero, aspettassero il destro di coglierli alla spicciolata; nè la occasione si lasciò attendere un pezzo, conciossiachè, stipulato il convegno dei Maonesi, chi andò di qua, chi di là: rimasero insieme due di loro con poca gente, e questi improvvidi assalirono, uno ammazzarono, l'altro fatto prigione ebbe a riscattarsi con seimila fiorini di taglia. I superstiti dei Maonesi, stroppi tra per questi tra per altri casi che si tacciono, un bel giorno, mandata la Corsica dove Luigi XI mandò Genova, voglio dire al diavolo, grulli grulli se ne tornarono a casa. Ma quel dovere lasciare la Corsica era per Genova una gran spina al cuore; per la qual cosa la signoria trovandosi meglio fornita di danaro, ripigliata la concessione, ci manda governatore lo Zoaglio, che venuto alle mani con Arriguccio lo sconfisse. Costui ch'era della razza di Anteo, il quale picchiato un tonfo in terra si rizzava più rompicollo che mai, tornò in Aragona, dove, ottenuto qualche sussidio dal re Giovanni, si fa vivo da capo su per le rupi dell'isola: indi a breve la grande computista dei conti umani tirò di frego alla sua vita facendo la somma: morì senza figli, ad eccezione di Francesco bastardo. Accorsero i parenti a stormo urlando: All'albero caduto accetta, accetta! Chi tira un brandello del suo retaggio, chi l'altro; sicchè Francesco, disperato, se non volle rimanere ignudo, ebbe a vendere al comune di Genova il castello di Cinarca per mille scudi di oro e le ragioni tali quali si trovava a possedere egli sopra la Corsica _pomontana_.[13] Per questo modo tornata in mano della signoria di Genova la stanga del torchio si mise a strizzare a suo bell'aggio il paese, finchè Vincentello d'Istria, parente di Arriguccio, non si reputando vincolato dalla vendita di Francesco, tentò più volte ripigliare il suo con armi proprie. Provata la fortuna contraria, si volge, secondo l'antico costume, al re di Aragona, il quale per questa volta intende usufruttare per sè le pontificie munificenze: sceso armato nell'isola, di leggeri occupa i luoghi aperti, espugna Calvi, mette l'assedio a Bonifazio. I benestanti, come suole, più studiosi della roba che della libertà, accordano rendersi, dove la città non venga soccorsa dentro certo termine prefisso. La vigilia della scadenza il popolo tumultua e cassa il convenuto; mandansi messi per notificarlo al re Alfonso, allegando per causa il soccorso nella notte antecedente entrato in città. Alfonso nega possa essersi intromesso il soccorso e li rinfaccia di fede tradita: i Bonifazini a purgarsi del rimprovero e in testimonio di verità esibiscono due caci freschi, i quali avevano fatto di latte di donna; di che Alfonso rimase confuso; nondimanco ordinò l'assalto, ma quantunque egli e i suoi ci si adoperassero attorno con tutti i nervi, rimasero ributtati valorosamente. Egregie opere in vero sono queste, però con troppo sangue acquistate e per dir più per causa non sua. Oh quanto meglio vivere liberi in pace all'ombra della vite e del fico proprii! Se togli Bonifazio, la intera Corsica venne in potestà di Alfonso; ond'ei un bel giorno, buttata giù buffa, impose una taglia di arbitrio. Il popolo comincia a bollire: allora Vincentello gli dice: «Da pignatta che bolle si allontana la gatta; leva la tassa.» E il re: «Oh bella! e se non posso mettere taglie come e quanto a me piace, a che sarei venuto a fare il re?» E Vincentello: «Qui tra noi non costuma imporre tasse senza il consenso dei popoli.» Il re, guardatolo fosco, conchiuse: «Questa è mala sudditanza e se non la sanno i Côrsi, gliela insegneremo noi.» La provvidenza volle che, invece di farla a noi, noi facessimo la lezione a lui, e di che tinta! La più parte dei Catalani lasciò le ossa in Campoloro; al punto stesso Calvi, per ardimento di Pietro Baglioni, si rivendica in libertà, e quasi presago che il cognome antico sarebbe un giorno infamato dal più grande traditore comparso al mondo dopo Giuda, smesso quello di Baglioni, Pietro assunse meritamente l'altro di _libertà_. La famiglia _Libertà_ partorì di ogni ragione uomini illustri: trapassata in Francia tenne cariche supreme; uno de' suoi difese Marsiglia contro gl'imperiali; e in cotesto paese si estinse. E' pare destino che, nome o cosa, la libertà, nata e cresciuta in altre terre, o in Francia o per cagione di Francia, deva morire! Alfonso, conosciuto che aveva preso a menare l'orso a Modena, maledicendo le fatiche durate e i quattrini rimessi, si parte lasciando l'isola a cui se la vuol pigliare. I Genovesi, arrabattati a strapparsi di mano la patria, adesso non badano a noi, e i baroni riarsi dalla superbia antica si legano insieme per ricuperare la perduta dominazione: il popolo, non sapendo che pesci pigliare, consulta i vescovi, e, come se avesse la virtù della bettonica, questi propongono Roma: chi ce la vuole, e chi non ce la vuole: chi ce la vuole manda gente ad offrire l'isola alla Chiesa. Eugenio IV con fronte romana bandisce accettarla perchè la commette alla sua fede il consenso universale dei popoli; e intanto manda parecchie migliaia di armati a dare sul capo a cui contradicesse. Da quello che pare, a Roma avevano dimenticato la storia côrsa; gliela rinfrescarono alla memoria i Côrsi mettendo in pezzi i papalini e Monaldo Paradisi che li capitanava. Allora il papa Niccolò V conobbe più sicuro attenersi alle pratiche de' suoi antecessori, e vendè cotesta manata di spine a Ludovico Campofregoso. Ora, sebbene non cessino qui i guai cagionati da Roma alla mia povera patria, domando a voi se da persone che rappresentano sopra questa terra il nostro Signore Gesù Cristo, potevamo aspettarci più e peggio? — Che vi dirò io, signor frate? — rispose il Boswell. — Da per tutto Roma suona la stessa musica. Quel vostro Gregorio VII trasferiva dai Sassoni nei Romani l'Inghilterra, perchè eglino si fossero mostrati poco premurosi di osservare la legge di Canuto circa al pagamento del tributo annuale da farsi a Roma. Offa, dopo ammazzato a tradimento Edelberto, domanda l'assoluzione al papa: concedergliela a patto che l'Inghilterra gli paghi ogni anno il denaro di san Pietro, il quale era tassa di un denaro per casa. L'Inghilterra scontava a contanti il delitto regio! Indi a breve passando il prete improntissimo i modi più avari, instituisce decime sopra i salari, le mercanzie, le paghe ai soldati, che più? fino sul turpe guadagno delle meritrici, indegnissima cosa e non però la più rea: nel vero voi troverete come Gregorio II, inviando il frate Agostino nella Britannia, per convertire gli abitanti, gli desse per precetto di provvedere cauto, avanzarsi bel bello, chiudere un occhio, se trovasse duro non si opponesse ai sacrifizi delle vittime; quanto sopra la religione cattolica potesse innestarsi di pagano accettasse, allo scopo che la gente rozza, senza che se ne accorgesse, all'antica religione trovasse sostituita la nuova: così, rinnegata la tradizione di Cristo dentro e fuori, la Chiesa cattolica è pagana. Tira, tira, un bel giorno la corda si stiantò, e l'Inghilterra si divise per sempre da Roma. — E fece male. — Come male? Anzi, dopo quanto vi ho inteso ragionare, io non concepisco come voi la duriate monaco. Sareste di quelli, salvo vostro onore, che parlano bene e razzolano male? — Adagio ai ma' passi, signor Inglese. Io sento e parlo in modo unico. Nè io solo, ma quanti ecclesiastici viviamo in Corsica, conoscendo le rovine originate alla Chiesa dai peccati dei supremi correttori, massime dall'appetito disordinato dei beni terreni, senza rispetto ne riprendiamo gli abusi. Affermano i curiali di Roma il potere temporale necessario allo splendore della Chiesa. Santa fede! Oh quale altro splendore può pareggiare quello che le viene dalla faccia di Dio? Ma, conoscendo tuttavia e deplorando le abominazioni della Chiesa, e di quelle con tutto lo spirito supplicando dal Signore riparo, noi non la crediamo meno santa; ammiriamo la vastità del concetto, la efficacia degli ordini secolari, e ci affatichiamo; per quanto è dato a noi oscurissimi figliuoli suoi, a mantenerne incolume la stupenda unità. Ditemi che avete fatto voi altri Inglesi, e con esso voi i luterani, i calvinisti, i zuingliani e socii vostri? Avete preso il male per medicina: invece di rammendare la veste di Cristo, l'avete strappata peggio di prima: non operarono lo stesso i soldati della sua crocifissione? — Signor frate, — rispose imperturbato il Boswell, — questi argomenti desiderano discussione positiva, messi da parte tropi, metafore e figure rettoriche di ogni maniera. Voi altri siete i soldati della riscossa, e levate i pezzi della disciplina per salvare il dogma. Ora voi sapete come il cattolicesimo arrivasse a mettere i suoi dogmi in custodia di Dio nel cielo, e degli sbirri in terra: inondando la barbarie, preti rozzi stettero al governo spirituale e sovente al temporale di popoli più rozzi: costoro fecero a gara a cui guastava di più, ma le sconcezze nel buio non apparivano. Più tardi, anzi troppo tardi, alcuni prelati romani, dotti, quanto pii, conobbero dove stringeva la scarpa, ma che farci? Ormai la natta tanto era ingrossata, che tagliandola correvano risico di ammazzare l'infermo; e la sbagliarono, perchè i medici pietosi sono proprio i babbi del canchero: di fatti gl'increduli trassero pro dagli errori per dissuadere da ogni fede gli empii per mandare tutto a rifascio sotto il flagello dello scherno. Dio è la regola, il Vangelo la chiosa; chiosa su chiosa è mestiere da mozzorecchi. Il cristianesimo, che taglia dalla pazza e può accomodare ottimamente di vesti la umanità mano a mano che scesce: i preti cattolici vollero stringere troppo e per sempre, quindi la cintura stiantò in più parti e tornerà a stiantarsi da capo: avendo eglino preteso non solo il concetto, bensì ancora le parole infallibili, adesso discredono l'uno e le altre. Che abbiamo fatto noi? domandate. Noi abbiamo rotto i cancelli alla libera indagine, la quale, come le altre libertà sorelle, deve appuntare in Dio padre misericordioso di tutte. — Zucche! Voi avete, rinnovata Babele. _Tot capita tot sententiae._ Fortunato quegli che sa distinguere con voi da che parte tira la tramontana e da quale altra mezzodì! Per me quello starsi fermo come torre che fa la Chiesa per bene diciotto secoli contro le persecuzioni dei suoi nemici, e più ancora contro le prevaricazioni dei suoi indegni pastori, emmi non dubbia prova dello aiuto divino. Se Dio non la governasse con le sue sante mani, ormai pei papi la Chiesa avrebbe dato in secco chi sa da quanti secoli! — Codesto vostro è l'argomento di Abramo giudeo quando, dopo essere stato in corte di Roma, volle il Battesimo; lo racconta il Boccaccio nelle Novelle.... — Io l'ho letto dentro il commento della _Divina Commedia_ scritto da Benvenuto da Imola, — rispose fra Bernardino con voce alterata. — Bene; egli è tutto uno, che la botte non fa il vino. Ma diamo un taglio a questi discorsi, chè io non venni in Corsica a disputare di teologia: torniamo sul tasto dei forastieri. [Illustrazione: Alfonso ordinò l'assalto,..... ma rimasero ributtati valorosamente. (_pag. 76_)] — La Corsica adesso è capitata nelle branche a san Giorgio, voglio dire della Banca di S. Giorgio. Questa compagnia è un banco che ha leggi e governatori a parte, prestava e presta al governo, il quale gli commise in appalto bestie, cristiani, gabelle, rendite, città, castelli e provincie quando il governo ne aveva: San Giorgio arrolò eserciti, allestì armate, sottomise paesi, dettò codici, istituì tribunali, fece giustizia; insomma fu ed è Stato dentro lo Stato: non manca gente che lo ammiri; gusti da donne gravide. Quanto a me lo giudico censura solennissima della repubblica ligure; imperciocchè badate a me, _aut, aut_: lo sperimentano buona cotesta amministrazione in preferenza del governo ordinario, e allora quella si tengano, questo mandino allo scorticatoio; o la faccenda va all'opposto, ed allora io non capisco come un reggimento bene ordinato patisca quel calcio in gola. Sopratutto io poi lo considero prova manifesta ed incentivo ad un punto del disamore che i Genovesi hanno per la patria. Per lui si chiarisce come una parte di Genovesi, messi in salvo gli averi, si dieno senza pietà a ruinare la patria: per lui l'altra parte, sicura di non perdere i danari, lascia nabissare ogni cosa; mentre se, sprofondata la patria, vedessero andarle dietro le fortune private, se non per benevolenza, almanco per avarizia i Genovesi si rimarrebbero da mal fare. Il Banco, solito a volere i negozi spicci, conobbe che il nodo stava nello abbattere con gli aiuti della Terra del Comune i baroni pomontani; nè riputò disperato lo assunto, conciossiachè, quantunque costoro fossero parecchi, pure, nel modo che gli universi fiumi della Corsica mettono foce nel Golo e nel Tavignano, si riunivano tutti sotto le due case della Rôcca e da Leca. Pel Banco di san Giorgio ogni partito buono, ma sopra gli altri gli piacquero il fuoco, il tradimento, il coltello. Antonio Calvo, governatore, fece una ghiacciata di ventiquattro baroni ad un tratto; gli altri fuggirono via atterriti riparando a Napoli. Beati loro se la volontà o gli anni li persuadevano a starsi in esiglio! E' vollero perfidiare nel cimento delle armi; e su le prime andò bene, chè Vincenzo da Leca, sorpreso Ambrogio Marabotto in quella che stava per entrare in Cinarca, lo tagliò a pezzi con tutti i suoi. Se non che Antonio Spinola, governatore, considerando come a mantenere viva la nuova guerra contribuivano massimamente gli aiuti che cotesti signori cavavano dal contado del Niolo divotissimo a loro, trovò partito più certo essere quello di sterminarlo e così fece: la desolazione e la morte percossero tutto il tratto di paese che giace tra Soana e Calvi: il passeggero che attraversa quel deserto, il quale nel suo silenzio maledice la straniera dominazione più che non potrebbero fare cento predicatori, sente venirsi addosso il ribrezzo della febbre. Ciò fatto, per mezzo di congiunti da bene, fa sapere ai da Leca che, ove si disponessero venire alla obbedienza, li perdonerebbe; chiesto di confermare la promessa con giuramento, giura. Fidasi Vincenzo, ma non si fida Giocante, che la scàpola, conservandosi a tempo men reo. Lo Spinola, avuti nelle mani Vincenzo, Mannone suo padre di ottant'anni vecchio e due bastardi di Renuccio da Leca, senza misericordia macellò; ai quali aggiunse contro la religione dei patti quattro baroni di casa Rôcca, Antonio e il figlio, Arrigo e il figliuolo del conte Polo. Cotesto Spinola indi a poco moriva di un trabocco di sangue; ed era ragione, ne aveva bevuto tanto che non bastava a capirlo. In questa, Genova sciolto un nodo ne lega un altro: dopo avere sperimentato tanti signori paesani, pare che voglia rifarsi la bocca tastando la straniera servitù: cacciati pertanto i Fregosi, si dà in balìa di Francesco Sforza e poi gli porge pecore da tosare di seconda mano. Ecco in Corsica gente insolita, consueti supplizii: il Cotta, vice-duca, per conto di non so quale tumulto, manda di punto in bianco su le forche una brigata di vassalli di baroni; e poichè cane non morse mai Côrso ch'ei non volesse del suo pelo, i popoli di Terra di Comune presero le armi e si elessero a capitano un secondo Sambucuccio di Alando, che fece ritirare le mani a cotesto sollecito Cotta. Anco i duchi di Milano passarono; Francesco Sforza morì; _Galeazzo Maria suo figliuolo rimase spento della morte dei tiranni senza che ne approdasse la libertà._ Ora San Giorgio ripiglia l'isola, disfà la lega di Tommaso Fregoso e Giampaolo da Leca, cacciando l'uno in prigione, l'altro in esigilo. Sorge vendicatore Renuccio da Leca. Potevano i Genovesi vincerlo in guerra, ma parve caro e gli proferirono uno spediente di molto risparmio. Capitato a sorte un figliuolo di Renuccio a Genova, lo acciuffano, poi, pensando cavarne partito migliore, lo rimandano in Corsica in compagnia di Filippino Fiesco amico vecchio di casa. Qui giunti il Fiesco fa sapere a Renuccio che, se ha caro il riscatto del figliuolo, vada per esso. Renuccio, che accivettato uomo era, non si fida e continua a starsi chiuso nel castello di Zirlina: allora Fiesco va a trovarlo e negozia con lui la restituzione del figliuolo e l'accordo con Genova. Renuccio, vergognoso di mostrare diffidenza o paura, si consiglia visitare l'amico; il diavolo lo tira; preso e incatenato, dopo breve spazio di tempo muore nelle prigioni di Genova; gli storici genovesi scrivono di malattia e non hanno torto, perchè _anco un capestro al collo è una infermità e di che tinta!_ In questo modo finiva la potentissima casata dei baroni da Leca; rimaneva adesso l'altra della Rôcca, sbattuta è vero, tuttavia sempre tale, da mettere in suggezione. I Genovesi, prima di venire in essa a mezza spada, spedirono governatore nell'isola Ambrogio di Negri, personaggio rotto alle più sottili arti di governare i popoli. Costui s'ingegnò staccare i Côrsi dall'affezione dei loro signori eccitando la vanità del popolo, blandendo la superbia dei caporali e principalmente saziando la cupidità di tutti: così seminato il terreno da Ambrogio di Negri, il Banco di san Giorgio mandò la falce tagliente a mietere, e la falce fu Nicolò Doria. I Doria stettero un giorno e credo tuttavia durino emoli degli Spinola; e poichè si era poco prima acquistato Nicolò Spinola bella fama tra i suoi per avere menato sterminio del paese tra Calvi e Soana, Nicolò Doria, dopo avere vinto Renuccio della Rôcca, a fine di precidere i nervi ai baroni, delibera condurre all'ultima rovina il Niolo, sul quale essi per ordinario facevano fondamento. Essendosi pertanto il nuovo governatore introdotto nella terra, assai forte su le armi, chiese per pegno di fedeltà sessanta ostaggi delle principali famiglie promettendo averne buona cura: avutili nelle mani, bandisce tutto il popolo esca dalla isola non badati sesso nè età. Un popolo intero ebbe ad esulare disperdendosi per le terre d'Italia; e fu sentenza dove uomo durava fatica a distinguere se la empietà superasse la mattìa, perchè i villani stessi ingrassano l'agnello per ammazzarlo a pasqua, e nol cacciano via dal presepio. Peggio accadde a Talavo, se pure peggio può dirsi la morte in paragone della vita, sofferta lontano dalla patria. Il prode uomo manda a sangue tutto il popolo di cotesto paese alla rinfusa, tranne una donna chiamata Lucrezia delle Vie, la quale ebbe ad ammazzarsi da sè per fuggire vergogna. Grande cosa ella è questa, che il nome di Lucrezia comparisca fatale in Italia; imperciocchè tre Lucrezie ci si ammazzarono per istudio di pudicizia e di carità patria, Lucrezia Mazzanti a Firenze, Lucrezia delle Vie in Corsica e la più antica Lucrezia a Roma. Le prime due, forse le più innocenti, perirono invano; fortunata l'ultima. Di tre, una giovò, e se, come di quelli delle donne, andasse pei sacrifizi degli uomini, avventurosi noi! Quando Renuccio udì coteste nuove, dubitò tutto il mondo gli cascasse addosso: come poteva starsi in Genova tranquillo mentre menavano siffatto scempio dei popoli devoti alla sua casa? La sua quiete non sarebbe stata argomento ch'egli avesse venduto il suo sangue a oncia a oncia? Se lo appellassero Giuda, non gli sarebbe parso che gli dessero il suo avere. Racimola quello che può di genti e di armi, e ricomparisce su i campi. Le arti del Di Negri così partorirono pessimi effetti, chè i Genovesi poterono opporre a Renuccio cavalli côrsi capitanati da un Cacciaguerra côrso. Incontraronsi in campagna, e non appena si videro (chè di ogni odio più bestiale è il fraterno), l'uno si avventò contro l'altro, si annodarono, nè si sciolsero prima che Cacciaguerra cadesse in terra sbranato. Poichè i Côrsi per mutue ferite si fecero scemi di sangue, Nicolò cauto con molta brigata si presenta a disperdere Renuccio della Rôcca stremo di forze; impresa copiosa di sicurezza, vuota di gloria; ma che importava al Genovese la gloria! Qui fu che apparve intera la virtù di Renuccio; imperciocchè, essendogli morto sotto il cavallo, e trovandosi travolto nella fuga, appena potè districarsi dai suoi, egli tornò addietro solo per tagliare la cinghia della sella, la quale postasi sul capo in mezzo a un turbine di archibugiate nemiche riparò incolume fra i suoi gridando: «Di me Genova non vanti trofeo!» La guerra tirava in lungo, e ormai questo Côrso diventava un cattivo affare nelle mani dei mercanti Genovesi: si posero a vedere se ci era verso di finirla a buon mercato, ed anco per questa volta lo trovarono. Renuccio della Rôcca fuggendo da Genova ci aveva lasciato a studio due figliuoletti: Nicolò Doria ordinò glieli mandassero, ed avutili nelle mani, intimò a Renuccio deponesse le armi, altrimenti guai! Questi, ora paventando la sconfinata perfidia del nemico, scingeva la spada; ora, parendogli impossibile che trascorresse a tanto nefanda immanità, ne stringeva l'elsa più forte, e così tra il sì e il no la sua mente tenzonava. Nicolò a rompere le ambagi di lui gl'invia per acconto la testa mozza di un figliuolo con la giunta di quella di un nipote; e siccome Renuccio preso da terrore non si risolveva sollecito come la sua impazienza desiderava, gli ribadisce il chiodo nella testa facendogli assassinare un altro nipote. Allora il barone sbalordito tremando per ogni vena scappa via dalla isola imprecando e supplicando che per l'amore di Cristo non gli ammazzino il figliuolo superstite: però riavutosi dal ribrezzo ritorna cieco di furore a brandire il ferro, niente altro cercando che sbranare od essere sbranato. Per questa volta gli si oppose Andrea Doria, cui non repugnando gli esempii del cugino, mise a ferro e a fuoco terre, case e cristiani: anch'egli intimò a posta sua Renuccio posasse le armi, diversamente gli ammazzerebbe l'altro figliuolo: ma Renuccio, ormai anima e corpo diventato una piaga, non sentiva percosse o non le curava. Dopo varie vicende tutte infelici, ridotto a sostenere la guerra con solo otto compagni, gli tesero insidie e lo lasciarono crivellato di ferite sopra la pubblica strada. Ecco come rimase estinta la schiatta dei baroni nella Corsica, nobile e valorosa gente, fiera, superba, larga del suo, per nulla oppressora, amica del popolo: gli spensero i Genovesi persuasi da diverse cagioni, delle quali principalissime queste: la prima fu, che i mercanti si sentivano umiliati da quel fare signorile dei baroni, che ostentavano disprezzare mentre formava la loro astiosa disperazione: l'altra perchè, tolti di mezzo i baroni, reputarono condurre i Côrsi al termine che fosse loro meglio piaciuto: il popolo, giudicavano essi, non ha sapore di libertà, e col sapore gli manca il valore: viva, lavori e serva: tanto ha da bastare a lui, e per noi ne avanza. I Genovesi però fecero il conto dello scarpatore,[14] che stiantata la siepe pensa non dovere attendere ad altro che a insaccare i cavoli, mentre di un tratto si trova faccia a faccia col cane, il quale gli brontola alla spartana: «Vieni a pigliarli!» — Bene, così doveva essere, — interruppe il signor Giacomo; a cui fra Bernardino di rimando: — Io dico male; e come regge il cuore a voi, che pure sembrate persona di garbo, di sostenere che fu bene? — Ho detto così, non mica per lodare le colpe che mi siete venuto raccontando, Dio me ne liberi; bensì perchè esse mi inspirano reverenza pei miei maggiori, i quali, in grazia della bontà e prudenza loro, apparecchiarono a noi altri posteri termini di vivere libero e modi di migliorarlo. — E che cosa fecero, in grazia, di bello i vostri nonni, signor Inglese? — Oh! i miei nonni innanzi tratto non chiamarono mai lo straniero per aggiustare i conti loro; qualche volta egli ci entrò pur troppo, ma per forza, ed invece che gl'Inglesi diventassero o Danesi, o Sassoni, o Normani, questi ebbero alla lunga a farsi Inglesi: inoltre quando i diversi ordini ruppero lite fra loro, adoperarono la prudenza di non condurre ora l'uno, ora l'altro, secondo che vinceva o perdeva, alla disperazione; bensì, temperando il talento o l'ira delle ingiurie patite, chi vinse si contentò di costringere il provocatore in parte dove non potesse trasmodare, contento di essersi procurato un arnese capace di valersi della libertà presente e di ampiarla nell'avvenire. Voi altri meridionali costumate come i selvaggi, che per raccattare il frutto, tagliano l'albero. Mirate un po' i Genovesi: non si chiamano contenti finchè non hanno schiattato i baroni; dopo i baroni ecco il popolo, che non sa od abborre le vie di composizione; ed ecco per ultimo il principe, che, piuttosto che reggere con giusto impero, si dà in balìa di podestà straniera: a questo menarono le stemperatezze così dei popoli come dei principi in Italia. — Signore Inglese, salvo vostro onore, vi dirò che dallo anteporre che voi fate la vostra gente alla nostra, anzi a quella dell'universo, vi lodo molto; ma che vi serviate della vostra predilezione per crescere la soma dei già troppo carichi, questo va contro alla carità ed al giusto. Alla carità, perchè bisogna compatire i miseri, non avvilirli; contro il giusto, perchè ho letto che i vostri re quando ci si misero fecero di tutto; e Guglielmo il Tegolaio e Giacomo Paglia informino che cosa importi anco tra voi fidarsi a pergamene regie giurate o non giurate, sigillate ovvero senza sigillo; e quando il popolo prese la rivincita non mondò nespole, chè non si tenne prima di avere giustiziato re Carlo: così un capo regio saldò il conto di due capi plebei, e non fu caro. Egli è vero, che il re condannarono i giudici a modo e a verso, e i plebei mandati alle coltella; ma ciò non vale; nelle faccende di Stato, sicarii o giudici, mannaia o pugnali sono tutti una cosa: rimane inteso sempre che, con le solennità o senza, il vinto ha da morire, e il coltello in questi casi parmi più spiccio; sopratutto più sincero. Quanto poi a chiamare lo straniero, voi ce lo chiamaste mercè le nozze di Maria con lo spagnuolo; ce lo chiamaste quando, cacciato l'ultimo Stuardo dal trono, vi commetteste alla fede del suo genero olandese; ce lo chiamaste, quando morta la regina Anna andaste ad accattare un padrone in Germania, quasi ve ne mancassero in casa vostra: ce lo chiamò Giacomo II, e potentissimo e cupido dello altrui, sicchè dalla dominazione straniera vi preservarono la tempesta, o la morte: qualche briciola di virtù, ma di prudenza nè anche un chicco. Leggiamo le storie anche noi altri, sapete? E leggendo, e meditando, siamo venuti nella sentenza di pregare Dio che non ci voglia male, imperciocchè allora il senno degli uomini diventi cenere, ed il ragazzo spacchi la testa al gigante. Il signor Boswell rimase percosso dalle parole del frate, e non ardì per allora rispondere; seguitò un lungo silenzio, durante il quale la destra del signor Giacomo era un via va, un via vieni dalla tabacchiera al naso. Quando non ci trovò più tanto tabacco, che bastasse ad essere preso tra il pollice e l'indice, ne versò ogni residuo nella fossetta che contraendo i nervi si fa tra l'aggiuntatura della mano col braccio, e tirò su su da riporne i granelli in mezzo al cranio; alla fine quasi a dispetto disse: — Signor frate, io ve lo confesso schietto; da prima quanto si trova nelle mie vene di sangue avvocatesco, e tutti ce ne abbiamo anche troppo, si era risentito, per disputare ogni virgola e ogni punto del vostro discorso, ma poi pensandoci su ho veduto, che nel sottosopra voi avete ragione. Ringraziovi per tanto di avermi annacquato il vino della superbia, e queste reputo tale guadagno, che, quando non me ne venisse altro, io giudicherei non avere gittato dalla finestra tempo nè danari nel venire in Corsica. Se vi piace tirate innanzi, ch'io sto ad ascoltarvi. — Levati di mezzo i baroni, il Banco di San Giorgio prese a camminare di un portante sì dolce, da disgradarne Brigliadoro, ma e' fu il trotto dell'asino. Il sale da quattro soldi, come eravamo convenuti, al bacino, a mano a mano si portò a dieci; ci tolsero le cancellerie civili; subito dopo i giudizii dei potestà; scarsi gli ufficii conferiti ai Côrsi così, che valeva proprio meglio non darne loro punti: per ultimo i dodici caporali aboliti. Veramente i Côrsi non avevano molto a lodarsene, ma lo istituto piaceva, e quando lo istituto accomoda, gli uomini tristi che lo tengono, muoiono, e i buoni possono succedere: e poi in qual momento toccarono questi cofani! giusto allora, che Giocante della Casabianca, comandante della piazza di Genova, emendando con la sua molta fede la poca prudenza della Signoria e del Doria, salvava la città dalla congiura del Fiesco. E' fu in questo tempo, che i capitani di Arrigo II di Francia, raccoltisi a Castiglione della Pescaia, misero partito se dovesse farsi la impresa di Corsica, e fu vinto di sì, perchè di utilità grande a mantenere viva la guerra che i Francesi combattevano grossissima contro le armi imperiali su quel di Siena ed in altre parti d'Italia. Mandarono innanzi Altobello Gentili sotto colore di visitare i parenti, ma in sostanza a riconoscere quali le difese e gli umori dei terrazzani: tornato, egli riferiva le prime inferme, non avversi i secondi, almeno in parte. Allora i Francesi vennero ed acquistarono il paese non senza valore com'essi costumano, ma con molte lusinghe altresì, e con frode non poca: indi successe una guerra promiscua: zarosa, piena di sterminio, vuota di concetto, imperciocchè i Francesi, intesi unicamente a divagare gl'imperiali d'Italia, non ne avessero alcuno che fosse buono pei Côrsi; nè questi, a cui pareva essere stati messi allo sbaraglio senza pro, nol tacquero al Termes. In fatti mentr'essi vedevano succedersi a sostenere la guerra per parte di Carlo V tedeschi, italiani e bisogni spagnuoli, di francesi non ne arrivava, e i pochi che ci erano, andavano stracchi ai cimenti; il Termes dava loro erba trastullo, e molto li tratteneva con la speranza del soccorso dei Turchi. Vennevi Andrea Doria, vecchio di presso a novanta anni, generale di tutta la impresa, e assediando San Fiorenzo sminuì la sua gloria, governando le altre faccende crebbe il nome di spietato, imperciocchè nello assedio dimostrasse senile ostinatezza, non già perizia, e nella rimanente amministrazione rabbia di non poter vincere. Intanto i Francesi accorgendosi come male i Côrsi si pascessero di parole, mandarono a chiarirgli solennemente, che il re per levare loro del dubbio, e i Genovesi di speranza, aveva incorporato l'isola alla Corona di Francia; cosa non consentita mai nè prima nè dopo alle altre provincie da lui conquistate; e ciò essere avvenuto mediante partito del suo consiglio reale, vinto con tutti i voti favorevoli; fatto degno di grandissima considerazione, conciossiachè egli d'ora in poi non potesse abbandonarli, se prima non abbandonasse la propria corona. Questo nel 1557. Tuttavolta, non vedendo alla magnificenza delle promesse conseguitare gli effetti, i Côrsi stavano di mala voglia; i timori crebbero dopo il rovescio toccato dai Francesi a san Quintino, epperò i caporali si condussero da Giordano Orsini per venirne in chiaro. Giordano li confortò a non dubitare: quegli avendogli detto volere mandare gente al re per raccomandarglisi, rispose, non cadercene il bisogno, pure mandandola non farebbero altro che bene: senonchè la pace era già stata bella e conchiusa a Castello Cambrese; e l'Orsini la sapeva, ma la dissimulò per vergogna o per paura. Sul quale proposito certo storico genovese scappa fuori con due sentenze, una buona, l'altra cattiva; buona quella con la quale rampogna l'Orsini, il quale, se veramente cristiano e gentiluomo era, non doveva patire che gente in procinto di essere abbandonata da lui, aizzasse con nuove ingiurie l'animo dei signori abbastanza inacerbito, massime che le offese fresche cociono più delle vecchie: cattiva l'altra con la quale sgrida il re Enrico di avere preso le parti dei Côrsi, non dovendo egli scomodare la Francia pei fatti nostri. Nel raccontare queste avventure mi pigliano i sudori freddi, e l'attaccherei, Dio mi perdoni, anche co' santi: ma sopratutto io mi arrovello con Sampiero, il quale, a quei tempi, era, si direbbe, il sopracciò della Corsica. Costui avendo militato nella ultima guerra della repubblica di Firenze contro l'Imperatore, doveva rammentarsi come i poveri Fiorentini restassero conci dai Francesi. Anche allora re Francesco, con mille promissioni e giuramenti, gli assicurò non gli avrebbe mai abbandonati; giunse perfino a dire, che avrebbe preferito perdere i figliuoli in Ispagna che abbandonare i confederati, e questo non tolse; che indi a pochi giorni li tradisse a Cambraio, e così vituperosamente, che Giuda stesso non avria fatto peggio. Anzi quando gli oratori fiorentini andarono a moverne querimonia in corte, udite un po' come li saldassero i ministri regi: — o che presumevate, dissero loro quei cortigiani guardandoli a stracciasacco, che pei vostri begli occhi perdessimo i figliuoli? Mandate la lingua al beccaio se non volete, invece di un nemico, tirarvene addosso due. La pace di Cambraio, e quella del Castello Cambrese, aspettando altre che le facciano il vezzo, tornano agli orecchi della Francia come i pendenti alla sposa. Talvolta però mi arrapino più col popolo che coll'uomo, imperciochè questo sia caduco, e invecchi, e instupidisca, e dimentichi, ma quello si rinnovi sempre, goda di giovinezza perpetua, e, dove voglia, non gli fanno mai fallo la mente o le braccia. Ma tanto è, quando mi metto a considerare come l'uomo spicciolo, e le masse degli uomini dimentichino presto, mi cascano le braccia, e torrei piuttosto a scalpellare un pezzo di granito dell'Algaiola, che imprimere in cotesti capacci un ricordo per loro governo. Oh! quante volte, fatto un falò dei miei libri, mi sarei ridotto in qualche eremo lontano, dove non si sentisse nè anco il rumore dei ranocchi... ma poi me ne dissuase la speranza, che dài, picchia, martella, una volta l'abbiano a capire. — La capiranno, con un grossissimo sbadiglio disse Ferrante Canale, e ci mise dentro un suono di voce, che male si distinse se attendesse approvare o piuttosto interrogare. — Però, riprese il frate, di raccomandazioni e buone parole, secondo il solito, per la parte dei Francesi non fu penuria, e giovarono quanto l'incenso ai morti. In effetto i Francesi senza ridere chiesero guarentigia di buon governo ai Genovesi, e questi di proteste empirono loro le tasche, ma appena eglino ebbero svoltato il canto, ci acciuffarono peggio di prima, gravandoci di 20 soldi, non più a fuoco, bensì a testa, e con altra imposta troppo più incomportabile, ch'era un tre per cento sul valore delle terre. Sarebbe stato piuttosto agevole cavare a san Bartolomeo una seconda volta la pelle, che a Côrsi quattrini, sia che ne patissero a quei tempi inestimabile inopia, sia che le terre, a cagione di cotesti trambusti, andassero nabissate, ed anco a parte ciò, fossero state stimate quattro cotanti oltre il giusto prezzo. Dopo molti strazii il Banco di San Giorgio se ne accorse, e soppresse il balzello, ma il Senato, udito ciò, fece una lavata di capo a San Giorgio delle buone, e gli disse: che cotesto suo era un pigliare il male per medicina, e che per uscirne a bene co' Côrsi ci abbisognano tre cose: forche, e poi forche, e sempre forche; e Côrsi e forche stavano insieme come la pasqua e l'alleluia. San Giorgio, che se ne sentiva fradicio, rispose, che una volta voleva fare come gli tornava, e un'altra come gli piaceva, e a cui non garbasse gli rincarasse il fitto. Voi lo sapete, le parole sono come le ciliege una tira l'altra, sicchè alle corte il Senato ripigliò il governo della isola, dando licenza a San Giorgio, strano a dirsi, per la prima buona azione commessa durante la sua vita. A carne di lupo dente di cane: tornò Sampiero in compagnia di undici fidati, e con esso la fortuna côrsa. Sampiero sì che avrebbe meritato la famosa tromba del signor Torquato, non quel coso del Buglione, il quale non leva mai un ragnatelo dal buco. Così è, signor Inglese, mentre per fare ammirande le geste di parecchi, che il mondo costuma salutare grandi, bisogna aggiuntarvi un terzo almanco di fantasia, per quelle di Sampiero è mestieri sminuire la verità a fine di non passare di sballone. Soccorso il valentuomo non ebbe da veruno, chè tale non si potria dire quel po' di munizione speditagli da Cosimo duca di Firenze, nè gli ottomila scudi con le undici bandiere di Caterina regina di Francia, intorno alle quali occorreva ricamato in oro il motto: _Pugna pro Patria!_ Singolare aiuto in fede di Dio; tanto più singolare, se si consideri, che Federico re di Prussia mandò al degno erede della grande anima di Sampiero, generale Paoli, una spada con la medesima leggenda: _Pugna pro Patria!_ senz'altro. Le quali parole voltate in buon volgare significano: — il nostro mestiere, che è quello di re, non ci permette aiutare repubbliche; se ti puoi reggere da te reggiti, se no impiccati. — Certo tra Caterina dei Medici e Federico di Brandenburgo ci correva, ma in fondo avevano ragione ambedue; e i principi fino da piccini si ficcano bene nel cervello la dottrina del dispotismo, mentre il popolo fin qui o non la seppe comprendere, o non la potè ritenere in mente. Le milizie genovesi intorno a Sampiero si consumavano a mo' delle farfalle intorno al lume; per la quale cosa i magnifici Signori avendo sperimentato come l'assassinamento costasse meno ed attecchisse meglio, commisero al Marcendino provenzale, e a Paolo Mantovano, di ammazzare quegli Sampiero, questi Achille da Campocasso, ed ambedue lo tentarono, il primo col ferro, col veleno il secondo, ma fallirono il colpo. I magnifici Signori non si sgomentarono per questo, anzi più alacri di prima si aggiunsero complici al delitto tre Ornani, e un Ercole d'Istria: questi chiamarono a parte della congiura frate Ambrogio di Bastelica (che Dio danni in eterno l'anima di quel maledetto frate), il quale, abusando della confessione, persuadea a Vittolo, fidato servitore di Sampiero, che avrebbe il favore della Repubblica, si guadagnerebbe la indulgenza plenaria e la remissione dei peccati, mettendo le mani nel sangue del suo padrone. Ahi! Sampiero, perchè ti lasciasti cogliere alla ragna? E sì che gli anni della discrezione non ti mancavano contandone tu più di settantaquattro; ma tanto è, ognuno ha da filare la lana che gli ha messo tra mano la fortuna. Certa sera recano a Sampiero lettere false a Vico di taluni amici della provincia della Rocca, le quali lo avvisano essere disposti a tumultuare; corresse difilato su i luoghi. Sampiero con giovanile avventatezza, senza ombra di considerazione, tolti seco il figliuolo Alfonso, e Vittolo, con alquanti cavalli, cavalca forte fino a Corticchiati; il giorno dopo passa a Ciglio, dove in cognizione come un uomo della terra facesse la spia al nemico, senz'altra forma di processo ordinò di presente lo impiccassero; quinci si affrettava alla posta datagli, la quale era a Cauro: senonchè tra Eccica e Suarella allo svoltare del poggio si vede accorrere di corsa parecchie centinaia di archibugieri a cavallo capitanati dal comandante Giustiniani e dai tre Ornani. Egli allora si giudicò morto, e rivolto al figliuolo gli disse: — E' vogliono me, tu sàlvati, chè quanto posso li tratterrò; — e siccome il signor Alfonso nicchiava, con gran voce Sampiero riprese: — Va via, se anco tu caschi morto, chi resta a vendicarmi? — Quegli allora voltò la briglia salvandosi a precipizio. Sampiero posto da questo lato l'animo in pace, sprona francamente contra il nemico: il primo ch'ei giungesse fu Michelangelo d'Ornano cui disse: — Traditore, tu sei morto! — E quegli di rimando: — Anzi tu, assassino di femmine! — E si spararono l'uno alla vita dell'altro gli archibugi. Sampiero ne uscì illeso, e Michelangelo soltanto ferito un cotal poco nel collo. Allora Sampiero chiese al Vittolo, gli porgesse un altro archibugio, e quei glielo porse, ma non fece fuoco, perchè Vittolo nel caricarlo aveva messo la palla nella canna prima della polvere. In quella, ch'ei stava maravigliato e sbigottito per la novità del caso, Giovannantonio di Ornano gli menò della spada su la faccia sfregiandolo di sconcia ferita, Sampiero afferrò per la canna lo archibugio, ed adoperandolo a guisa di mazza, con tanta forza ne diede in testa a Giovannantonio, che aperte le braccia come se dicesse: _Dominus vobiscum_, balenò per cascare da cavallo. Vittolo, che aspettava il destro, visto Sampiero, acciecato dal sangue, armeggiare con le mani, gli sparò a bruciapelo l'archibugio nelle spalle, e l'uccise di botto. Il commissario, quando gli fu messo dinanzi il capo mozzo di Sampiero, ebbe ad ammattirne per l'allegrezza; buttò moneta dalle finestre, fece le luminarie, commise tutte le artiglierie menassero gazzarra, e quante Ajaccio ha campane sonassero a festa. Dicono che certi fanti tedeschi, al soldo della Repubblica, chiedessero le viscere del tradito, e l'ebbero, ed in vendetta dei compagni ammazzati in guerra se le mangiassero: però bisogna avvertire che questo caso raccontano i francesi; sul quale proposito per me giudico, che i tedeschi sono capaci di far quello ed altro, e i francesi di dare ad intendere quello e peggio. Ma quanto sto per raccontarvi tenete per sicuro perchè ce lo attesta uno scrittore genovese: il corpo di Sampiero essendo stato ridotto in pezzi, tanto il Fornari si mostrò vago possederlo intero, chè ne riscattò a contanti ogni brandello dai soldati. Allora Genova diede al mondo spettacolo nuovo d'infamia e non dimenticabile mai, imperocchè Roma, Tiberio e Nerone imperando, vedesse spie e sicarii disputarsi il prezzo del sangue, ma non davanti ai tribunali o al Senato: in Genova poi fu al cospetto dei magistrati che Raffaele Giustiniani litigò co' fratelli Ornani per la taglia messa sul capo di Sampiero: milleottocento scudi toccarono per sentenza agli Ornani, ma Raffaele non si acquietò al giudicato, e ricorso in appello, oltre i duecento scudi chiese il decimo sopra i milleottocento assegnati ai suoi avversarii. Come andasse codesta infamia a finire io non lo so, questo so bene, che a Genova non se ne vergognavano; in effetto di che cosa avevano a vergognarsi i Genovesi? Considerando essi i delitti negozii mercantili come gli altri, qual maraviglia se nella maniera medesima li trattassero? Però la è cosa piena di amarezza infinita osservare come l'avarizia e la cupidità giungano a spegnere la coscienza non pure dei presenti, ma dei futuri eziandio: non pure dei partecipi al misfatto, bensì degli altri, i quali o per mitezza di discipline, o per religione di ufficio, ed anco per trascorso di tempo dovrieno mostrarsi più giusti. Così Casoni non abborisce dettare queste empie parole, che la strage del Sampiero fu evento molto favorevole alla Repubblica, permesso da Dio per sollievo e per quiete dei Côrsi, e quasi gli paresse poco, a ribadire la empietà, più oltre afferma, che alcuni di prudente e circospetta natura conobbero che Dio con questa morte pareva che manifestamente favorisse la causa della Repubblica. Alfonso, figliuolo di Sampiero, sostenuta un pezzo la contesa piuttosto con virtù che con fortuna, ebbe alla per fine a capitolare: molti patti egli pose alla resa, e molti la Repubblica gliene promise, ma fuori dal concedere a lui e a' suoi compagni di esilio di menare con esso loro un cavallo e parecchi cani per uomo, sembra che gli altri o non osservassero od osservassero poco. E perchè la guerra tirava alla fine, i Genovesi per illustrarla con tale un fatto che togliesse ai posteri la speranza di potere non che superare, uguagliare la loro virtù, fecero questo. Lionardo da Casanuova, tornato di Francia, dove si era condotto per la quinta volta in cerca di soccorso, casca in podestà dei Genovesi, i quali lo condannano a morte. Antonpadovano, recatosi alla Bastia con una fantesca nel disegno di liberarlo, ottiene facoltà per la fante di visitare Lionardo; la quale cosa facendo la donna quotidianamente, ed anco talora lo stesso giorno più volte, opera in modo che le guardie rallentino la consueta diligenza. Allora Antonpadovano piglia le vesti della fantesca, e penetrato nella carcere, persuade il padre a salvarsi in abito donnesco. Veramente Lionardo tentennò un pezzo, poi lasciò svolgersi dalle parole del figliuolo, che si sforzava capacitarlo com'egli innocente, ed infiammato di carità figliale, non corresse pericolo o poco. Anzi meritava premio, e non glielo negarono i Genovesi, no in fede di Dio non glielo negarono, però che ordinassero: il giovane Antonpadovano ad una finestra della casa paterna di Venaco s'impicchi, la casa, dopo lui morto, si abbruci. Al fine delle sue parole il frate abbassò la voce, comecchè brontolasse sempre corrucciato: così il fragore del tuono per allontanarsi non cessa atterrire i petti dei mortali. In ultimo il tuono si spense sopra le labbra frementi di lui: allora si nascose la faccia dentro le mani; nessuno vide se pianse, o Dio solo conobbe le sue lagrime segrete, e certo un giorno vorrà retribuirgliene il merito in palese. Di un tratto il frate, dopo alcuna pausa, sorse risoluto in piedi, e favellò: — Basta; il resto un'altra volta, per oggi io non ne posso più. E trovata a tastoni la scaletta, che menava sopra la coperta, prese a salirla. Il signor Giacomo, dondolando a furia la scatola fra le dite, esclamava: — Bene! benissimo! Ma sapete, signor Alando, che cotesto vostro signor frate... come lo chiamate? Oh! ecco... frate Bernardino da Casacconi... che cotesto frate ha tutto l'aria del galantuomo, e giocherei cento sterline ch'io non m'inganno... volete giocarle, signor Alando? — Io lo so di certo, che padre Bernardino ha camminato sempre nel santo timore di Dio e nel santissimo amore della patria. Al Boswel, indole temperata se altra fu mai, quantunque sembrasse strano quel positivo dato al timore di Dio accanto a quell'altro superlativo aggiunto allo amore di patria, pure si tacque, uso ad ammirare i nobili affetti anche quando paiono eccedere. E noi altri Italiani sovente non adoperiamo nelle parole misura: di questo particolarmente ce ne porsero esempio i nostri padri, come quelli che si sentivano il sangue a mille doppii più caldo di noi altri assiderati nepoti, e nei miei scritti sono soventi volte venuto rammentando l'avvertimento lasciato da uno di casa Alberti ai suoi figliuoli — che bisogna anteporre alla salute dell'anima la salute della patria. CAPITOLO VII. Il cattivo incontro Frate Bernardino, uscito all'aperto, scrollò quattro volte e sei la testa, e parve ricrearsi nel refrigerio dell'aria fresca, che gli s'insinuava per la barba e pei capelli: nè ciò bastandogli, fatta delle mani votazza, pigliava l'aria a guisa di acqua, e se la gettava nel viso. Così temperato alquanto l'ardore, s'incamminò tastoni verso la poppa, alla quale appressandosi gli fu domandato: — Chi è là? Il frate, riconoscendo la voce, rispose: — Oh capitano, siete voi? — Buon giorno, padre Bernardino; già mi figuro, che non avrete chiuso occhio tutta la notte. — Io no, e nè anco voi sembra che siate andato a riposare. — Per me la faccenda è diversa; quando navigo non dormo mai, e in terra poco: mi sfogherò a dormire dentro la fossa. — Ma dove ci troviamo adesso? Qui dintorno buio, parmi essere entrato nel pozzo di san Patrizio; sento fischiarmi il vento sul capo mentre la galera barcolla appena, che novità è questa capitano? — Voi avete la fantasia accesa, padre Bernardino; diversamente avreste indovinato a un tratto che ci siamo messi a ridosso della Capraia. [Illustrazione: .... ridotto a sostenere la guerra con solo otto compagni, gli tesero insidie, e lo lasciarono crivellato di ferite sopra la pubblica strada.... _(pag. 86)_] — È vero sì, ma perchè non avete continuato il cammino? — Perchè ho fatto il conto, che a proseguire era più la perdita del guadagno: della bussola non poteva giovarmi avendo dovuto per certa ragione, che non importa palesare, interdire rigorosamente qualunque fuoco a bordo; e il mare, comechè non procelloso affatto, impediva inoltrare senza molta fatica, nè a vela si poteva ire, e co' remi a stento, sicchè ammazzandoci tutta la notte saremmo arrivati a giorno chiaro in prossimità della costa del Macinaggio, dove temo che corseggino parecchie navi francesi. Trovandomi sotto vento alla Capraia ho pensato: piano ma sano: qui passeremo la giornata al sicuro, e stassera, per la bruna, con gente fresca e il mare abbonacciato, in quattro o cinque ore schizzo al Macinaggio. — Pace e pazienza, e morte con penitenza, rispose il frate: da che non ci si para di meglio sbarcherò a visitare i religiosi che ci abitano, e mi consolerò a vedere i luoghi nobilitati dal valore dell'Achille côrso; non sapreste mica dirmi se ci sia rimasto egli stesso a governarla? — Nè manco per ombra; il comandante Achille Morati dopo la conquista tornò al fianco del generale: credo che ci abbiano mandato il commissario Astolfi. — E qual è costui? — Per me non lo conosco; ha fama di essere uomo di stocco, e dicono, che sarebbe capace di farsi mettere in quattro sui cannoni prima di renderla. — Dammelo morto. — Come! non conoscete il commissario Astolfi e ne diffidate? — Oibò! mi fido... cioè mi fido come uomo che sa quanto sarebbe grazia di Dio potere non fidarsi di alcuno. — Badate, padre, al proverbio che dice: Il diavolo è triste perchè è vecchio; o meglio, ricordatevi del precetto: Non misurate se non volete essere misurato. — Santa fede! quando si ha per le mani la salute della patria bisogna pesare e misurare tutto il giorno, e non basta, perchè la peggior carne a conoscere è quella dell'uomo. — Voi altri fate professione di carità, ond'io devo credere che voi non parlate a vanvera; parlatemi chiaro; avete qualche motivo per dubitare del commissario Astolfi? — In ispecie io non ne ho veruno; però voi sapete quello che dicono i vecchi: fidati era un galantuomo, ma non fidati poi era più galantuomo di lui: per ultimo ve l'ho da dire come in confessione? — Dite pure. — Mi sento il cuore peso, e questo mi dà cattivo augurio: mira un po' da levante ora che incomincia a schiarire; non vedi come il cielo paia tinto di ferro, e cotesti nuvoloni, che precipitano per costà non ti sembrano le anime del purgatorio, che strascinando i lenzuoli sepolcrali si affrettino alle antiche sepolture? — Padre mio, poco più poco meno i giorni si rassomigliano; speranze lunghe, tribulazioni perpetue, e prosperità a spizzico, come il pepe su la minestra. I poeti cantano _mirabilia_ su l'alba che nasce, e in cui non se ne intende mettono la voglia in corpo di ruzzolare da letto avanti giorno: fantasie! Per me ho visto il più delle volte alzarsi in mezzo ad una nebbia di sangue, e rassomigliare lui stesso all'occhio del parente, che abbia pianto tutta la notte il morticino in casa. — Di vero io non capisco in che avrebbe il sole a gioire uscendo a illuminare questa culla della sciagura. — Io vedo il sole che, come tutte le altre cose di questo mondo, per diventare più luminoso e bello, bisogna che staccandosi dalla terra si avvicini al cielo. — Voi parlate come un dottore, capitano Angiolo: pure vi hanno fra tanti neri dei giorni bianchi, quantunque rari; e il cuore sembra che vi annunzi con qualche segno così gli uni come gli altri. — Sua eccellenza il generale Paoli mi disse: che l'uomo deliberato di vivere e di morire per la patria non abbisogna altramente di attendere ai presagi; imperciocchè avvenga che può, in questo mondo non si muoia mai alla gloria presso gli uomini, nell'altro al merito presso Dio. — Egli parlava da cristiano, ed io ti parrà che parli da pagano, pure io dichiaro riuscirci più facile negare, che astenerci dal dare retta ai presentimenti; così vero questo, che il generale, in onta della sua sapienza, io so ch'ei ci crede. Ma orsù il dì comincia a farsi chiaro, e tu che aspetti, figliuolo mio, a inalberare la santa bandiera, e a salutarla con la cannonata? — Aspettiamo che butti giù la maschera quella torre costà; — e così favellando il capitano Angiolo additava al padre Casacconi una torretta quadrata, che costruita su di una pendice sta come a cavaliere su la scala della Capraia, e serve pei segnali. Quivi tutte le notti accendevasi, e tuttavia si accende, una lanterna, la quale manda tanta luce, giusto quanto basta per vedere in quale razza di scogli ti scaraventi il grecale a perdere anima e corpo. — Per fermo, soggiunse il frate, quando tu sarai assunto al comando supremo del nostro naviglio, veruno negherà che la Corsica possiede un ammiraglio prudente. E il capitano che intese la botta, sorridendo rispose: — Io non lo nego; mi trovo carico di ferro e di paura; come dice il nostro proverbio, e lo vedrete: d'altronde metto subito a profitto la vostra lezione sopra la diffidenza... — Certo... certo la cautela non fu mai troppa... Intanto ch'egli profferiva queste parole, ecco tirarsi su lungo l'antenna della torre la bandiera; subito dopo, il saluto di un colpo di spingarda. Il vento, il quale, sebbene abbassato pure soffiava sempre con violenza, spiegò in un attimo la bandiera inalberata e ci mostrò dipinta la insegna di Francia; scudo celeste con gigli di oro, tenuto ritto da due angioli in campo bianco. Me ne rincresce proprio per la reputazione di padre Bernardino, che egregia anco ai dì nostri gode in Corsica; ma come storico mi trovo in obbligo di raccontare, ch'egli proruppe in un sacramento coi fiocchi all'aspetto della odiata bandiera; strinta con man rabbiosa la barba, se ne strappò due ciocche o tre, e quando la passione sfocata gli concesse la favella, non rifiniva mai di esclamare: — E ora, che novità è questa? O come sta questa cosa? Che l'abbiano assediata, non ci è pericolo; ne avremmo avuto odore a Livorno. Santa fede! il diavolo al sicuro ci ha messo dentro la coda. Diciamolo in onore del frate: quantunque egli sciorinasse dottrine di diffidenza da disgradarne Macchiavello, in pratica fino a quel momento aveva creduto spesso, e spesso ingannato, non si era ancora corretto, e però non gli passava nè manco per ombra nel cervello il sospetto, che l'Astolfi, corrotto per denari, avesse reso la Capraia ai Francesi, senza nè anco un simulacro di assalto, che valesse a colorire la brutta compra e la più brutta vendita. Però il sospetto, che ultimo si offerse alla mente del frate fidente, speculativo, fu il primo che venne nel pensiero del fiducioso pratico, di cui la faccia diventò bianca come panno lavato: senonchè dopo un brivido leggiero per tutta la persona, ed un aggrinzamento appena visibile dei labbri, disse: — Padre, andate sotto coperta. — Vo' restare io; vo' vedere il fatto mio; scendiamo armati e tentiamo ricuperare l'isola per forza. — Fra Bernardino, qui comando solo. Rammentate che l'ubbidienza è uno dei vostri voti, ed obbedite. Svegliate il pilota, e ditegli che venga tosto da me. Il frate abbassò il capo, ed eseguì il comandamento; indi a breve comparve il pilota, il quale, desto di soprassalto, si fregava gli occhi come mezzo assonnato. — Memè, gli susurrò negli orecchi il capitano Angiolo, abbiamo dato nella bocca al lupo. La Capraia è venuta in potestà dei Francesi, ed allungato il braccio additava al pilota la bandiera sopra la torre. — Oh! proruppe Memè sbarrando gli occhi. — Va, metti tutta la gente al remo, tira su l'àncora, dammene il segno; attenti al fischio, e giù in un attimo i remi dagli scarmi; — il timone lo reggo io. — E da quei frati non si potrebbe cavarne partito? — Il bisogno è grande; parlane a padre Bernardino, digli da parte mia che i primi discepoli di Gesù Cristo furono pescatori, ed ora importa ch'egli se ne rammenti. Si udì un fischio da prua, a cui rispose un altro da poppa, e in meno che non si dice _amen_, la ciurma sfrenellando mise i remi in voga, ed arrancò a golfo lanciato: il capitano Angiolo, pratico del luogo, lasciò prima correre la galera diritta per un cento palate: poi spingendo di uno strettone la manovella a destra la fece girare a poggia; la nave cedevole piegò come vela di molino a vento rasentando gli scogli, e sempre scivolando a pelo della costa irta di punte, con destrezza mirabile trapassò di sotto al forte, senza che i cannoni la potessero offendere. — Anche questa è passata, esclamò frate Bernardino, quando la galera, spuntato capo Fico, mise la prua verso ponente, e fermo sul remo raccoglieva con la mano il sudore che gli sgocciolava dal viso, gittandolo lontano da sè sul ponte. — Non dir quattro finchè la noce non è nel sacco. — Per la Immacolata! O che ti pare che non basti la perdita della Capraia? Per soddisfare un presagio malurioso non ti par egli che ce ne sia d'avanzo? — Padre! padre! Avete visto? — Che cosa? rispose il frate voltandosi di sbalzo. — Due legni — due legni francesi a mezzo tiro di cannone. — Io non ho visto... io non vedo niente. Ed avevano tutti e due ragione, però che il vento fosse abbassato, ma il mare si mantenesse grosso, e rotolando immani volumi di acqua, ora, come dentro capacissima valle, celavano le navi, ed ora la sospingevano quasi sopra la cresta di un monte; donde l'apparire e lo scomparire di due grossi sciabecchi francesi, legni molto usitati in Francia a quei tempi, dopochè ella ebbe smesso fino dal 1740 le galere e le mezze galere. — Santa fede! oh! li vedo; li vedo ancora io, prese a urlare di un tratto frate Bernardino, cui si fecero a sua volta palesi i due legni nemici. Ecco là cotesti scomunicati gigli d'oro, ma ciò che mi fa più saetta sono quegli angioli che li sostengono: che cosa ci entrino qui gli angioli io non mi so capacitare, a meno che non fossero di quei briganti che Dio agguantò per il petto, e arrandellò giù dal paradiso. Su da bravo, capitano Angiolo; spiegate la bandiera côrsa e andiamo contro questi cani, salvo il battesimo; presto chè lo indugio piglia vizio; uno dopo l'altro come le ciliegie. E non a torto il frate parlava parole avventate, chè il capitano Franceschi, bianco come un busto di marmo, pareva non sapesse a qual santo votarsi; di modo che il frate dubitando cotesta inerzia, paura, gli si accostò borbottando: — Ai cani mansueti ogni lupo par feroce. Gli occhi del capitano balenarono; un lampo solo, e le labbra ricomposte al consueto risolino, rispose: — Padre Bernardino, a voi piacciono i proverbi, e garbano anche a me; ora meditate su quello che dice: dove la pelle del lione non arriva, bisogna aggiuntarvi quella della volpe. Senz'altre parole scese sotto coperta, dove venutigli intorno gli ufficiali e i passeggeri, così palesò con succinto sermone il suo concetto: — Signori, abbiamo sopravvento due sciabecchi francesi, però noi non possiamo fuggire, chè il bastimento oltre a trovarsi stracarico, a cagione del mare grosso i remi non giovano; ma quando fossimo vuoti, e il mare più tranquillo, col vento che tira non potremmo mai salvarci dalla caccia dei Francesi: quanto a menare le mani, noi non dobbiamo combattere. — O come non dobbiamo combattere? uscì fuori frate Bernardino arrapinandosi; e il capitano Franceschi di rimando: — State zitto, padre, per lo amore di Dio, ch'io so quello che mi dico; noi non possiamo... noi non dobbiamo ricevere palle a bordo. Innanzi ch'essi ci chiamino alla obbedienza, io faccio conto di andare ad incontrarli. Memè, buttate in mare il caicco; voi, signore Inglese, vorrete usarmi la cortesia di accompagnarmi; mi pare che siate munito di passaporto per Bastia, firmato dal console francese di Livorno. — Così è, rispose il Boswell, ed anco porto meco lettere commendatizie per parecchi gentiluomini francesi. — Tanto meglio; voi lascerete parlare a me; solo approverete, quanto starò per dire. — Bene, non ci è da fare di meglio: tuttavolta chiedo licenza ammonirvi, che se le cose le quali voi siete per esporre, fossero troppo lontane dal vero, io non saprei in coscienza approvarle. — Confesso che questo intoppo m'imbroglia la matassa: ma andate franco: io procurerò che le cose intorno alle quali attesterete, le sieno vere: quanto al rimanente non ci porgete attenzione; figuratevi, che non sieno fatto vostro. — E badate, aggiungeva frate Bernardino, che le bugiarderie fra noi altri cattolici si pagano sette anni di purgatorio l'una; onde voi vedete il bel guadagno che fareste a confessarvi cattolico; e non finisce qui, chè per le bugiarderie che vi accadesse profferire adesso, come dirette a fine di bene, voi potreste contare sopra il ribasso almanco di un cinquanta per cento. E il signor Giacomo sorridendo rispose: — Un bel ribasso in verità, maggiore di quello che costumano le fabbriche di Birmingham; ma è meglio non mentire. — Memè, continuava il capitano Angiolo favellando al pilota, il quale aveva fatto gettare il caicco nell'acqua; intanto che noi andiamo a bordo al francese, voi senza parere fatto vostro vi scosterete bel bello uscendo dal tiro del cannone: allora, se vi riesce, mettetevi alla cappa; se fra due ore, o meno, vedrete tornare il caicco con bandiera a prua, aspettateci; se non vedete nulla, approfittatevi del campo preso e salvatevi all'Elba. Giocante Canale, che senza dir verbo, mentre questi casi avvenivano, aveva tratto fuori le armi ed osservato se la polvere stava bene nello scodellino, udite le parole ultime del capitano, le rimise da parte borbottando: — Qui i soldati fanno da cappuccini, i cappuccini da soldati: ma tradimento non ci è. Altobello, che pure lo intese, non sapendo che cosa pensarne, si strinse nelle spalle: quanto al signor Giacomo, che aveva assunto per regola di condotta la impresa dell'Accademia del Cimento _provando e riprovando_, disse fra sè: — Tiriamo innanzi, chè chi volge il dorso non fugge sempre; — e poi a voce alta riprese: — Eccomi pronto a seguitarvi. Il capitano, come uomo che si sottragga dalla tentazione, corso alla banda del bastimento e agguantata la corda scivolò giù per essa di tonfo nel caicco: dove assicuratosi bene in piedi si affrettò a porgere aiuto al signor Giacomo, mal destro a pericolarsi su quei rompicolli di scale, massime in mezzo al mareggiare dei marosi: ma il signor Giacomo, sebbene quattro volte e sei gli sprazzi lo infradiciassero fino alla camicia, e sebbene altrettante stesse a un pelo di dare il tuffo nell'acqua, nè con atto nè con detto disonestò la pacata gravità del suo portamento; per lo contrario, seduto appena sul banco, trasse fuori la scatola che, prima di lasciare la galera, aveva avuto cura di riempire, e prese, con la consueta pace, la sua presa di tabacco. Il capitano Angiolo drizzò il timone del caicco verso lo sciabecco più vicino, e dopo molto menare di remi pervenne alla banda di quello. I Francesi avevano calato giù a posta loro scala e funi; e così persuadendoli la indole loro certamente servizievole, non furono scarsi di aiuto per tirare su il capitano Angiolo e il signor Giacomo Boswell: i quali, senza mettere tempo fra mezzo, furono intromessi al capitano dello sciabecco, che gli accolse vestito in gala, e appena vistili sciorinò questa diceria: — Noi vi salutiamo, signori, come amici di S. M. cristianissima, imperciocchè senza aspettare altramente la cannonata, che vi chiamasse alla obbedienza, siete venuti a renderci conto dello essere vostro e della causa che vi conduce per questi mari. — Eccellenza, rispose il capitano Angiolo, ossequiandolo coll'abbassare la berretta fino alle ginocchia, atto così turpe di brutta servilità, che il signor Giacomo sentì venirsi la nausea al cuore. Lo stesso Francese, cui pure piaceva lo incenso, sentendosi arrivare da una fumata un po' troppo ardita, rispose: — Questo titolo in Francia spetta agli ammiragli; basterà che ci diate dell'illustrissimo. — Illustrissimo, dunque, perdonate all'ignoranza, — senza scomporsi continuò il Côrso sempre in accento carezzevole, — il mio nome vi sarà senza dubbio ignoto, ma per vostra regola io vi chiarisco chiamarmi Francesco Maria Semidei, comandante da parecchio tempo cotesta vecchia carcassa, di cui è armatore un tale Salvatore Padovano côrso, domiciliato a Livorno. Ora importa che sappiate com'egli avendomi fino a questi ultimi tempi spedito in Sicilia, in Provenza e in Barberia, le faccende succedessero di bene in meglio. Tutto a un tratto mi carica di grano, e di non so quali zacchere, e mi dice: — Capitano, piglierete le spedizioni per Corsica. — Va bene, rispondo io; andrò a mettermi in regola col console di Francia. — Che Francia, e che non Francia, prese a urlare il vecchio matto, io vi spedisco al generale Paoli, e voi avete a procurare, girato il Capo Côrso, di surgere all'isola Rossa, donde darete avviso al generale, che vi manderà l'ordine circa a mettere in terra il carico. Allora, udendo con giusta indignazione che si trattava di venire in aiuto di briganti, risposi: — Armatore, mi maraviglio di voi, che essendomivi mostrato fin qui uomo religioso e dabbene, mi spingiate a commettere cose contrarie ai comandamenti di Dio, i quali c'insegnano ad obbedire ai principi, che governano per volere divino, senza darci briga di indagare dond'essi vengano; e se nel caso lo volessimo cercare, avendoci S. M. cristanissima comprato, è chiaro, che non potrebbe avere conseguito titolo migliore di disporre di noi anime e corpi: tuttavolta, mi parve dovere di aggiungere, tuttavolta messo da parte questo, degnandosi un re potentissimo, qual è quello di Francia, aprirci le braccia e accettarci per sudditi e servitori, o dove avete messo il cervello a rendergli morsi per baci? E poi, che prosunzione è questa di stare a tu per tu col Cristianissimo? Oh! non corrono più i tempi nei quali David ammazzava Goliat con una sassata; e avvertite ancora, che ciò non accadde senza miracolo di Dio, essendo Goliat filisteo. Ora se aspettate che Dio operi miracoli in danno del suo prediletto il re di Francia, starete fresco. Per ultimo, ma vi par egli giudizio, che mentre tante armate formidabili vanno di su e di giù pei nostri mari, possa vivere un pezzo questa capretta di Corsica, lasciata lì appesa ad uno scoglio senza che veruno la difenda? Sapete che ci è di nuovo, signor armatore? Voi dovreste ringraziare Gesù a mani giunte, come faccio io, di averci sortito al bene di servire il re Luigi. Di qual popolo più degno del francese potevamo noi desiderare riuscire vassalli? Di qual principe più magnanimo di Luigi XV diventare servitori? Luigi chiamato dai suoi fedelissimi sudditi la delizia del mondo. — Veramente, interruppe il capitano francese con rara ingenuità, il suo giusto titolo è _bene amato_. — Voi avete ragione: perdonate alla ignoranza; Luigi il bene amato. Ora per finire, illustrissimo, dirò che l'armatore finse pigliare le mie considerazioni in buona parte, e rispose: Ci penseremo. Fortuna volle, che un buon religioso mi avvertisse in segreto, l'armatore meditare il tiro di levarmi di punto in bianco il comando del bastimento. Allora dissi fra me: Che faccio? Permetterò io che questo legno, il quale dovrebbe glorificarsi con la bandiera dei gigli d'oro, si veda scorrere i mari sotto la brutta insegna della testa di moro? Può egli un buon cristiano in coscienza sostenere questa infamia, mentre sta in lui impedirla? Non lo può, e non lo deve: questa mezza galera prima di disfarsi abbia la grazia di aiutare quanto può la signoria del suo re in Corsica... ma, illustrissimo, era più onorato pigliare, che agevole compire il partito preso; da un lato mi bisognava fare presto e bene, dall'altro salvarmi dalle spie, che mi codiavano. Andare in consolato di Francia per ottenere la patente era un guastarsi l'uovo in bocca, indugiarsi era perdersi: insomma, io dissi: Che fai? Che pensi? A restare, il danno è certo; a partire, ti possono accadere tre casi, o traversare il mare senza imbattere in cosa molesta, o venire trattenuto da qualche nave francese e lasciato ire, ovvero essere accompagnato fino alla Bastia: certo questo ultimo sarebbe un grossissimo smacco; certo ciò non meriterebbe la tua fede pel re di Francia, nè il tuo trasporto per l'illustrissima nazione francese: ma che importano le apparenze a patto che si salvi l'onore, il quale consiste nello impedire qualunque ostilità contro il benigno sovrano, che vuole deliziare del suo governo la Corsica? Ed essendo venuto in cognizione come questo gentiluomo inglese intendesse passare in Corsica, dove si ripromette essere accolto lietamente, a cagione del merito guadagnatosi or ora dalla Inghilterra presso la Francia, per avere vietato ai suoi sudditi, sotto asprissime pene, di aiutare i ribelli côrsi, lo presi a bordo; molto più che, provvisto di passaporto francese e di commendatizie pei principali del governo, avrebbe in ogni caso ottenuto fede nella testimonianza di tutte quelle cose del mio racconto... E qui gittò di scancio una occhiata sul Boswell, e vide come questi arrossisse, e imprimesse col dito una furiosa giravolta alla scatola: però da quel solenne pilota ch'egli era, con una stretta maestra di timone scansando lo scoglio aggiunse: — che riguardano la sua persona. Alla coscienza degli Inglesi basta non dire il falso: quanto al vero è un altro paro di maniche: chiunque non sa, o non può pescarlo dentro le loro parole, suo danno: onesti fino alle porte dell'inferno, non già fino a quelle del paradiso: e pei mercanti è anche troppo; onde il signor Giacomo credè potere affermare senza rimorso: Per quanto mi spetta, io faccio fede del vero. E subito dopo, non aspettando invito, si cavò di tasca il portafoglio, e lo porse al capitano francese, il quale, composti i labbri al sorriso, tuttochè protestasse che non faceva caso, lo prese, lo aperse ed esaminò diligentemente le carte dentro al medesimo racchiuse. Il passaporto egli trovò in perfetta regola, delle lettere una andava al marchese di Graind-maison, un'altra al conte Narbonne Pelet di Fritzlar, eravene una pel conte Gabrielle Riquetti di Mirabeau, quel desso di cui la vita assai si rassomigliò alle processioni, le quali, dopo aver vagato un pezzo per poche strade buone e per moltissime cattive, rientrano sempre colà donde uscirono: conte nacque, e conte morì. Ma la lettera che, sopra tutte le altre, percosse il capitano, fu quella diretta a sua eccellenza Luigi Carlo Renato conte di Marbeuf, gentiluomo di camera del fu re di Polonia, duca di Lorena e di Bar, luogotenente del re nei quattro vescovati dell'alta Bretagna, commendatore, eccetera, tenente generale delle milizie regie in Corsica, eccetera, eccetera: questa, trovandola senza suggello, spiegò e lesse. Le lodi che in essa si facevano al signor Giacomo, comechè peccassero di esagerazione e non poco, bisogna dire però che nella massima parte egli meritava. Eravi ricordata la sua qualità di membro del parlamento inglese: nè vi si taceva il grandissimo conto in cui lo tenevano i medesimi ministri della Corona. Poichè il capitano l'ebbe scorsa fino alla firma, che trovò nientemeno essere quella del segretario del duca di Choiseul, si affrettò a restituirla ripetendo più ossequioso che mai: — Mio signore, vi aveva pur detto che non faceva caso, e mi sono piegato a leggerla proprio per farvi piacere. Capitano Semidei, quanto avete operato in servizio di sua maestà nostro padrone e signore vi manifesta perfetto galantuomo: in Francia si ammira lo zelo e si premia: signor Boswell, sono desolato, che con questo mare sottosopra non potrò farvi l'accoglienza che meritate, ma imperversino mare e vento quanto sanno e vogliono, non sia mai detto, che essendosi incontrate tante brave persone, non abbiano bevuto un tratto alla salute del re. — Bene; con tutto il cuore, rispose il Boswell stringendo la mano al capitano e scotendogliela alla dirotta. Intanto che aspettavano il vino, il capitano Angiolo, cui premeva avere carte in tavola, uscì con queste parole: — Illustrissimo, dell'ottima mente che vi degnaste mostrare verso di me, vi rendo grazie quanto posso maggiori: spero e desidero, che come questa fu la prima volta che c'incontriamo, così non sia l'ultima. Ora vi pregherei a mettere il colmo alla vostra cortesia veramente di gentiluomo francese concedendomi due cose: di cui la prima è il presto di una bandiera di sua maestà cristianissima, affinchè la mia galera possa con quella fare il suo onorato ingresso nel porto di Bastia; l'altra un certificato, che renda testimonianza delle mie dichiarazioni e della obbedienza prestatavi prima di qualunque richiamo. — Ma ci s'intende, ci s'intende: anzi vi chiedo perdono se non vi ho offerto prima la bandiera: capisco benissimo quanto vi angustii entrare senza di lei in un porto francese: però voglio darvi la bandiera, ma ad un patto, ed è che ve la teniate in dono per amor mio, circa alla dichiarazione ci aveva già pensato: e mi corre anzi l'obbligo di munirvene per discarico mio non meno che vostro: solo mi rincresce, che gli sbalzi del bastimento non mi consentiranno dilungarmi quanto vorrei io e meritate voi. — Illustrissimo, o breve o lungo, voi non potete fare altro che bene — rispose capitano Angiolo abbassando le palpebre per nascondere gli occhi che gli smagliavano come quelli del gatto salvatico; poichè volete ch'io tenga la vostra bandiera, sarà mia cura darvene un'altra. In questa venne il mozzo coi bicchieri e col vino. Allora il capitano francese con bella cortesia sollevando il bicchiere; invece di propinare pel suo re, fece brindisi per sua maestà Giorgio III re d'Inghilterra, cui il signor Giacomo prontamente replicò bevendo alla salute di sua maestà Luigi XV re di Francia, e il capitano Angiolo, facendo coro ad entrambi con urli da spiritato, gridava: Viva il Re, viva il Re, vivano tutti i Re! La marineria, comecchè non convitata a bere, pure a cotesto grido sentì commoversi le servili viscere, e dal ponte, dalle coffe, dalla sentina con tuono formidabile di voce rispose _viva il Re!_ Lo sciabecco intero parve avere preso senso di umanità francese, per fare atto di servitù. — A cotesti tempi (bisogna pur dirlo) i Francesi erano ebbri di dispotismo peggio che di vino; e per le storie occorre, come a certa ciurma di vascello in procinto di sprofondare nell'oceano, nulla calse di patria, di famiglia e nè di Dio, bensì coll'urlo di _viva il Re_, disparve nella morte. Di tal gente nacquero coloro, i quali nel passato secolo vennero a insegnarci libertà, e in questo a ministrarci servitù, aspetto diverso di una medesima tirannide. Qualche menno d'ingegno vorria che queste cose non si avessero a dire: non gli date retta; l'adulazione è delitto di lesa maestà presso i popoli grandi. Il capitano francese non capiva dentro la pelle, abbracciava il signor Giacomo, stringeva il capitano Angiolo fino a levargli il respiro, e non rifiniva di gridare, come Gargantua quando uscì fuori dall'orecchio sinistro della madre: — Da bere! da bere! — Però rammentandosi della promessa, chiesta licenza scese nel suo camerotto, donde, scorso spazio non lungo di tempo, tornò con la bandiera e col foglio, dove con elogi sgangherati metteva il Franceschi col nome di Semidei innanzi ai massimi difensori della patria antichi e moderni, perchè tradiva la sua. Pervertimento di senso morale, di cui l'anima nostra va contristata con esempii quanto schifosi, altrettanto spessi. Consegnati il foglio e la bandiera, il capitano Angiolo, in grazia del primo, venne a conoscere il nome del capitano francese, per la quale cosa riempito il bicchiere a modo di addio propinò alla salute dell'illustrissimo signor capitano Torpè di Rassagnac, cavaliere di san Luigi, invitando il Boswell ad imitarlo, cosa che questi fece senza esitazione: ma il capitano Torpè si tenne obbligato per cortesia a rispondere al Franceschi e al Boswell separatamente. Alcuni ufficiali del bordo, richiesti di pigliare parte alle libazioni, non ebbero mestieri di scongiuri, onde in breve incominciarono tutti a parlare, nessuno ad ascoltare, mareggiando per proprio conto assai più, che pel barcollamento dello sciabecco. Il capitano Angiolo, colto il destro, chiese in cortesia al capitano Torpè gli desse licenza, imperciocchè, quantunque il vento calasse di minuto in minuto, pure restando il mare gonfio, e dovendo egli bordeggiare per accostarsi alla spiaggia, gli pareva non aver tempo da perdere se disegnava entrare in porto prima di notte e così farsi onore con la sua bandiera. Il capitano Torpè, abbastanza pratico del mare, per conoscere ch'egli aveva ragione, gli dette commiato, non però prima di essersi reiterate fra loro le proteste di stima scambievole, e le promesse di rinnovare l'amicizia in Marsiglia o in Bastia. Il capitano Angiolo scese nel caicco, considerato il mare e il vento, che lo spingeva al suo cammino in filo di ruota, lasciò il timone in mano del marinaro: egli assettavasi di contro al signor Giacomo, fischiando. Ma il signor Giacomo, uso ad almanaccare sopra gli uomini e i casi che si passavano tra le mani, battuto coll'indice un colpo sul coperchio della scatola, interrogava sè stesso: — Questo côrso è galantuomo? — e dopo lieve intervallo data un'altra percossa alla tabacchiera, domandò: — Questo côrso non è galantuomo? — È galantuomo: e allora o perchè non si è industriato di accostarsi ad uno dei due sciabecchi, e giratogli da poppa col vantaggio dei remi spezzarlo con una scarica diagonale, che gli avrebbe dato in un attimo la vittoria, e poi subito serrarsi alla vita dell'altro? Ma posto eziandio ch'egli dubitasse di potere ridurre felicemente a termine questo partito, a che pro la spontanea obbedienza? O non poteva egli, sforzando le vele e i remi senza avvilirsi con tante invenie rifugiarsi all'Elba o a Livorno? O di che cosa temeva? Con questo rullo di flutti male si possono assestare i tiri, e se il diavolo, ficcandoci la coda, avesse voluto che il Francese lo cogliesse di una palla, non sarebbe poi stato il finimondo, massime adoperandovi i remi. — Non è galantuomo, ma in questo caso come si spiega l'ordine dato al pilota di levarsi bel bello dal tiro, e di riparare all'Elba, se non ci avesse veduto di ritorno fra due ore? Perchè non si è messo addirittura nelle mani del Francese? Perchè non chiese gente dallo sciabecco per marinare la galera? Perchè a questa ora non ci troviamo tutti prigioni? — Per altra parte, chi lo capisce è bravo, se col Francese egli parlò in celia, io ne disgrado il Garrik a fingere meglio di lui. Ho letto nella relazione di Gerardo, visconte di Argentina, fatta a Federico imperatore, ch'egli giudicava i Côrsi tutti curiali: altro che curiali! Se rassomigliano a questo, ognuno di loro può vantarsi di tenere il bacile a quattro avvocati ad un tratto. — E in mezzo a cosiffatte ambagi l'animo suo tentennava sospeso, se non che adesso gli venne fatto di fissare gli occhi in viso al capitano Angiolo, e lo mirò così sereno di onesta baldanza, e direi quasi illuminato dalla interna contentezza, che la bilancia dello esame tracollò giù di piombo a favore del capitano, per la quale cosa, picchiando egli colla mano aperta sul coperchio della tabacchiera, disse a voce bassa: — È galantuomo, e poi a voce alta: — E lo vedremo tra breve. — E che cosa vedremo noi di corto? gli domandò il capitano Angiolo, con tali un suono ed un gesto, da far comprendere al signor Giacomo, ch'egli non visto avesse assistito in terzo all'arcano ventilare tra lui e la sua coscienza; ond'ei con certa paura rispose: — Eh! vedremo il Paoli. — Ah! voi lo vedrete, soggiunse il capitano Angiolo con un sospiro; io no, chè il dovere mi chiama in altra parte, e chi sa per quanto tempo e con quali fortune: però voi quando lo vedrete gli direte.... — Che cosa gli dirò? — Quello, che avrete veduto, aggiunse il capitano come pentito di essersi lasciato troppo ire: nè al signor Giacomo, per quanto vi s'industriasse con varii trovati, riuscì cavargli una parola di bocca. Arrivarono per ultimo su la galera, la quale aveva fatto quanto poteva per rammezzare loro la strada. Saliti sul ponte, il primo oggetto che si parasse dinanzi gli occhi del capitano Angiolo, fu Giocante, il quale reputandolo, se non traditore, almanco codardo, non intendeva ormai rispettarlo nè obbedirlo: all'opposto a manifestargli disprezzo gli pareva quasi fare opera meritoria; però, in onta al divieto rigorosissimo del capitano di accendere fuoco a bordo, egli fumava a gloria. Il capitano Angiolo gli si accosta mansueto e quasi peritoso, quando poi gli fu presso, agile come il gatto, gli strappa la pipa di bocca, e glie la scaraventa lontana nel mare. Se il sangue saltasse agli occhi di Giocante non importa dire, e concitato mosse a pigliare le armi; senonchè il capitano afferrandolo pel braccio, gli ci ficcò le dita con tanta violenza, che, malgrado i panni, ne portò la impronta livida per giorni parecchi, e con voce tutta soavità gli disse: — Signor tenente, se movete un passo, io vi mando a tenere compagnia alla vostra pipa. — E siccome l'altro infellonito stava lì lì per pronunziare qualche sproposito, egli pronto gli turò la bocca aggiungendo: — Guardatevi da dire cosa che io come comandante avessi a punire: per ora basti così; giunti a terra mi troverete disposto a darvi la soddisfazione che saprete desiderare. — E la vorrò di certo. [Illustrazione: .... il padre Bernardino proruppe in un sacramento coi fiocchi all'aspetto dell'odiata bandiera; strinta con man rabbiosa la barba, se ne strappò due ciocche o tre.... (_pag. 101_)] — Sia come vi piace. In questa taluni della ciurma o dei passeggeri si erano accostati a loro dubitando di qualche sconcio ma il capitano, lasciato il braccio di Giocante, continuò a dirgli piacevolmente tre o quattro parole quasi sequela di discorso, facendo credere che il tratto della pipa fosse stato uno scherzo. E al punto stesso volto al pilota: — Memè, gli disse, tira su la bandiera di Francia all'albero di mezzana, poi vedremo di salutarla con un colpo di cannone da prua. Frate Bernardino, contemplando sventolare la bandiera di Francia su la galera côrsa, strinse il pugno, e sollevato il braccio, glielo vibrò contro aprendo la mano come se volesse tirargli una sassata, e con quanto aveva di voce in gola gridò: — La maledizione di Sodoma sopra di te.... E proseguiva, senonchè il capitano Angiolo lo interruppe dicendo: Padre Bernardino, i Francesi non possono sentire le vostre parole, ma possiedono ottimi cannocchiali per vedere i vostri gesti: andate sotto coperta; io ve lo impongo. Ma siccome dai moti di stizza del buon frate il signor Giacomo conobbe, che il suo voto di obbedienza stava sul punto di ricevere un serio affronto, gli bisbigliò destramente negli orecchi: — Venite che vi racconterò tutto il successo su lo sciabecco francese. Il frate, curioso come tutti i compatrioti suoi, non se lo fece dire due volte, ed i compagni lo seguitarono. Il signor Giacomo raccolse tutte le sue virtù oratorie per fare un racconto a modo e a verso, capace di tenere ferma l'attenzione dell'uditorio; e su questo aveva abilità da rivendere. Più difficile gli riuscì presentare le cose in maniera, che tornassero in vantaggio della reputazione del capitano Angiolo: tuttavolta, quantunque ci mettesse dentro ottimo volere, ebbe a concludere che quanto alla fedeltà del capitano gli pareva potere dormire, e con esso lui tutti i gentiluomini a cui aveva l'onore di parlare, su due guanciali: forse non tanto si sarebbe confidato nella sua audacia: ma permettersi osservare che nel caso presente l'avventatezza poteva per avventura perderli, mentre la prudenza e la sagacia gli aveva salvati.... — Ma noi abbiamo bisogno di audacia, gridò il frate, e sempre audacia; davanti a questa i Francesi cagliano, l'umiltà altrui ne cresce la superbia. — Eh! sarà come dite, mio signor frate; ma dacchè sembra, che anche per tutt'oggi noi dobbiamo restarci sul mare, non vi parrebbe opportuno di finire il racconto delle fortune côrse? Assicuratevi, ch'io ne ricavo diletto pari alla istruzione. E fu colpo maestro del signor Giacomo, e quasi un grattare la pancia alla cicala: imperciocchè il frate, premuroso di provare come i Côrsi, nelle frequenti loro ribellioni e vendette, avessero fatto opere da meritarsi il paradiso, rispose: — Sicuramente che io ve la vo' finire la mia storia; e vera, sapete, non come l'hanno raccontata tanti bricconi di Genovesi, che il diavolo confonda: però mi bisognerà toccare i sommi capi, e su i casi minori scorrere di volo, chè altrimenti la sarebbe faccenda lunga. Voi lo sapete, gl'invasori rassomigliano un po' noi altri frati: quando chiudiamo la sepoltura diciamo: chi sta dentro se n'è andato in pace: però noi caliamo nella tomba i morti, mentre gl'invasori presumono metterci i vivi. Così i Genovesi a noi. Levateci le penne maestre, invece di blandire l'angoscia della indipendenza perduta, essi presero a bucare gli statuti pattuiti peggio dei vagli; con la forza talora tappavano i pertugi, ma ogni dì si tornava da capo; la fame fu reputata arte di regno, e così la ignoranza, e così lo sperpero delle famiglie. Voi vi avete a figurare che a tale intento moltiplicarono fino a sessantasette i conventi dei frati, mentre di monache ne concessero a pena uno... — Io non comprendo, disse l'Inglese, a cui il frate si affrettò rispondere: — La è chiara come l'acqua, perchè le donne stando a casa si maritano e stremano le famiglie per via delle doti, e gli uomini, rendendosi frati, in virtù del voto di castità non danno opera allo incremento della popolazione. — Il signor Giacomo guardò il frate sottecchi, per conoscere se e' burlasse o dicesse da vero, ma visto che il frate non aveva muscolo che non fosse di buona fede, data una giravolta alla scatola riprese: — Bene! ora capisco. — Ogni giorno una ferita: ora esclusero i Côrsi dalle dignità ecclesiastiche tutte, perfino dai benefizii semplici, ora dagli officii civili di luogotenenti, cancellieri, capitani di presidio, sindacatori, castellani, notari, massari, munizioniere, esattore; e via via rinfrescandosi i divieti negarono loro gli ufficii di giusdicente, capitano, alfiere, sergente, caporale, ed anco di soldato nei presidii. Rispetto a ladri io ben vi voglio dire altro che questo: certo patrizio genovese, parente di un governatore, reduce della Corsica, gli domandò: le montagne ce le hai lasciate? Ed un altro, quando sentiva sonare a morto, innanzi di recitare il _de profundis_, domandava: tenne ufficio in Corsica il defunto? — se gli rispondevano: lo tenne; egli ripigliava: allora è fiato buttato; dallo inferno nessuno lo può cavare. Signor Inglese, ponete mente, non siamo noi Côrsi che giudichiamo, bensì sono questi giudizii di Genovesi su Genovesi. — Bene, bene, ma gli raccontate voi altri, mormorò il Boswell fra i denti. — Però non vi date mica ad intendere che le apparenze offendessero la onestà, anzi il decoro: la tirannia appena nata si agguantò alle gonnelle della ipocrisia, come i putti costumano a quelle della balia per non cascare. Tutti gli oppressori, o vuoi domestici o vuoi forestieri, hanno imparato da Caco a tirarsi dietro i peccati mortali per la coda, affinchè la gente vedendo le orme impresse in terra alla rovescia, li creda usciti, mentre all'opposto sono entrati in casa al tiranno; ma le sono arti che non salvarono nessuno dalle mazzate di Ercole. Di vero non si poterono lungo tempo nascondere le discordie da loro aizzate, gli omicidi promossi come la più grossa delle entrate. Un degno ecclesiastico, il padre Cancellotti della compagnia di Gesù, computa che, durante 30 anni di dominio genovese, la Corsica annoverò 28,000 morti di omicidio, e non furono tutti; e questo perchè? Perchè giudicando il Governatore ad arbitrio o come dicevano _ex informata conscientia_, vendeva le condanne, poi le grazie o salvocondotti di venire liberamente in paese, detti di _tutto accesso_, donde le ire riardevano, e quindi morti, ed incendii, e assassinii, desiderata messe di guadagno pei magistrati egregi. Genova faceva pagare un occhio per la patente del porto di arme, e ne vendeva settemila all'anno. Supplicata, vieta le armi, e per ricatto del provento delle patenti, impone due lire per fuoco, ma poi continua a dare le licenze per danaro, ed ella stessa vende ai Côrsi di contrabando le armi, sicchè quando nel 1739 il Magliaboia le levò, furono trovati ai Côrsi mille schioppi proprio con la croce della serenissima Repubblica di Genova. Ma sentitene un'altra: dopo averci immesso alla sordina gli schioppi, ella _fustibus et gladiis_ mena a frugarli, e se li trova, guai! chè fra carcere e multe tu sei rovinato. L'assassinio, come per lo innanzi, tenuto in pregio di arte di regno: Giafferi, Venturini e Natali seppero a proprie spese, come lo stile della cancelleria genovese stesse a petto dello stile della romana curia, provato già da quel povero padre di fra Paolo Sarpi. Ho sentito dire, che procedessero i nostri oppressori libidinosamente, non meno che avaramente e crudelmente, e ci credo, perchè tutte queste qualità si tengono compagnia; ma come a religioso a me non addice allargarmi su questi tasti, ed anche dubito, che presto passasse loro la voglia di toccare i ferri sul banco del magnano: imperciocchè essendosi certa volta vantati di fare strazio delle donne della Isola-rossa, le quali di concerto coi mariti la difendevano, ributtati che gli ebbero dalle mura, esse sortirono arrabbiate, e presine 400 li nudarono, e li percossero con mazzi di ortica tanto, da parerne tanti _ecce homo_. Dopo l'assassinio non parrà strano nè forte, se l'incendio e la desolazione si reputassero dai Serenissimi pratiche di governo. Così la storia nostra registra 120 villaggi arsi di un tratto, provincie intere disertate, popoli spenti: e' pare che per ultimo si trovassero contenti di essere salutati re del deserto. — Nè in casa nè fuori i Genovesi seppero reggere da cristiani mai; ma quando alla incapacità si aggiunse l'odio pauroso, o l'avara gelosia, allora, a giudizio dei loro medesimi concittadini, vinsero quanto ricordano d'immane le storie antiche e le moderne. Essendosi ribellata Savona ventilarono in senato se la si dovesse smantellare delle fortezze, e parve di sì; ma la spesa atterriva; allora sorse in piedi un senatore di casa Doria, il quale così favellò: — Se pur volete ruinare le mura di Savona, senza spenderci un quattrino d'intorno, io ve ne propongo il modo: mandateci due governatori simili all'ultimo, ed è lavoro fatto. Così durò il popolo côrso una lunga agonia, e sarebbe morto, se fosse possibile a un popolo morire: alla fine proruppe; molti fuori, e parecchi in casa, come l'andasse per lo appunto o non sanno o mal sanno: io vi dirò proprio il modo in che fu fatta, perchè mi ci trovai. Piloti pratichi delle tempeste civili a più di un segno avrebbero presagito imminente il turbine; con parole ardenti alla scoperta si andava tastando ora questo, ora quello spediente che pungolasse il popolo con maggiore efficacia; s'incominciò dal sale, che prima pattuimmo ci fosse venduto 4 lire il moggio, e poi lo aumentarono oltre al giusto, ma non partorì l'effetto; aggiunsero voler soppressa la tassa pel rimborso del presto stanziato alla Corsica nel 1680 in occasione della fame: buono anche questo, ma il popolo non si mosse. Meglio operò quest'altro: nel presidio di Finale un soldato côrso per certe maccatelle fu messo alla panca: i terrazzani allo strazio aggiunsero lo scherno menandogli dietro la baiata; della quale cosa egli infellonito mise mano all'arme, e sovvenuto da parecchi soldati suoi compatrioti, molti uccise, troppi più ferì; furono tutti impiccati: pensate voi se i parenti dei morti, saputa la nuova, bollissero; e la gente a soffiare in quel fuoco non mancava; ed io con i miei religiosi ci spargemmo per le pievi come seme di libertà componendo in pace vecchie discordie, ed avventando le ire côrse contro la abborrita tirannide. Ora sul finire del 1729 il luogotenente del governatore Pinelli si condusse a Corte, dove volendo starsi a bell'agio senza un pensiero al mondo, si tolse per segretario un prete cortinese chiamato Matteo Pieraggi, il quale gli faceva ancora da cappellano: e fin qui non ci era male: il male fu che non gli volendo dare un becco di quattrino per salario, lo facultò a imporre un balzello di 8 danari a fuoco per farsi l'assegnamento; donde gli venne il nome di prete _baiocca_, perchè appunto 8 danari formano una baiocca, e se non è morto a questi giorni, tuttavia gli rimane. Intanto essendo sopraggiunto il tempo di pagare la tassa dei seini, certo paesano, chiamato Cardone, andò a Bozio per pagare a modo e a verso i suoi due seini: dopo aver pagato i seini gli chiesero la _baiocca_, ed egli rifiutò darla: allora l'esattore gli rese i seini, rimandandolo con una carta d'ingiurie. Cardone che zoppo era, ranchettando per la via, contò la cosa a quanti paesani incontrava, i quali tentennando il capo avevano esclamato: — La vuol ir male; — e recatisi gli arnesi in spalla, chè il giorno voltava a sera, lo accompagnarono facendogli dietro codazzo fino alla piazza della terra. Giusta in quel punto ci capitava io, però mi posero in mezzo raccontandomi il successo, e domandarono consiglio. Io risposi alla ricisa che non dovevano pagare la baiocca nè i seini; quella perchè imposta nuova, e le imposte per antico convegno non si potevano alterare; ad ogni modo non poterlo il luogotenente: questi perchè compenso del provento pel porto di arme, che avevano promesso proibire, ed all'opposto avevano continuato, cavandone maggior profitto di prima. E come dissi fecero, nè solo in Bozio, bensì a Tavagna e altrove. Il governatore Pinelli manda una squadra di sbirri e un esattore a Tavagna per mettere capo a partito ai malcontenti. I Tavagnini, non estimando gli sbirri gente da potersi combattere con onore, gli accolgono senza contrasto, gli albergano e convitano; nella notte gli legano, alla dimane gli rimandano disarmati con un carpiccio di busse delle buone! l'esattore non ebbe a deplorare altro danno che vedersi trasformato durante la notte il suo cavallo in asino. Cotesto fu stoppino buttato sul pagliaio; indi a breve lo incendio si dilatò per modo, da non temere più trombe: talune brigate corsero fino a Capocorso dove nessuno le aspettava e s'impadronirono alla sprovvista delle armi nelle torri: altre scesero nella Balagna, con la vista di sorprendere le armi e le provvisioni dell'Algaiola, senonchè il luogotenente avutone odore, valendosi dello aiuto dei paesani, potè metterle al sicuro in Calvi. I Côrsi tanto si arrovellarono contro i loro compatriotti per questo fatto, che di cima in fondo nabissarono l'Algaiola. Gli Algaiolesi certo avevano pessimamente operato, meritavano quello e peggio, ma non istava ai Genovesi punirli se la obbedienza a loro avessero anteposto alla carità della patria; in effetto non li punirono; all'opposto gli rimunerarono, e udite come (però devo avvertirvi prima, che io non burlo; e da questo apprenderete larghezza genovese che sia): con pubblico decreto il senato genovese compartì agli Algaiolesi il privilegio di andare accattando per la città di Genova. — Dunque, osservò Altobello, una _baiocca_ fu l'origine di questa guerra, che dura a un bel circa quarant'anni? — Non è così, rispose il frate, non può il primo granello nè l'ultimo vantarsi di dare il tratto alla bilancia; ci hanno del pari merito tutti; quello, che la fa traboccare, somministra nome, non cause al tracollo. — E se, con voce solenne aggiunse il Boswell, i popoli oppressi si movono per cagione vile, non s'incolpino essi, bensì coloro che gl'imbestiarono. — La più parte dei tumulti popolari nascono dalla fame, e sta bene; il tiranno, rapito al popolo il pensiero dell'uomo, bisogna pure che gli lasci l'istinto della bestia: moltiplice, non contentabile mai, divino il pensiero; unico l'istinto: però quanto procurano i tiranni sopprimere quello, altrettanto mettono studio a soddisfare questo; e tuttavolta neppure a questo possono provvedere le arti schiave, imperciocchè le industrie, o vogli agricole o vogli commerciali, desiderano ingegno educato, e la educazione non esce fuori se la mano della libertà non la semina, e la libertà non semina mai un seme solo, nè forse lo può; donde avviene, che da qualunque parte tu pigli le mosse, uscirai perpetuamente alla conseguenza che se qualche uomo è fatto per la tirannide, gli uomini non sono fatti per la servitù. — O caro, sclamò frate Bernardino levando le mani al cielo, voi parlate come un quinto evangelista; e voialtri, figliuoli, sappiate che se metterete questi precetti alla coda di quelli del decalogo, voi non farete altro che bene. Ma andiamo innanzi: tanta accendeva a quei giorni la smania di possedere armi i petti dei Côrsi onde adoperarle in pro' della patria, che parecchi di loro venderono i bovi per comprare uno schioppo. Circa 300 armati trassero alla Bastia, e presa di un tratto Terravecchia, fanno le viste di assaltare Terranuova. La storia non rammenta tutti i nomi di quelli, che su le prime mosse capitanarono il popolo, e dei pochi che ricorda dice appena il nome e la fine; miserabile fra tutti quella di Fabio da Loreto o Fillingheri, il quale, caduto in podestà dei Genovesi, ebbe mozzo il capo, poi fu squartato; Angiolo Taddei, richiesto di parlamento dal comandante genovese di Monserrato, con quattro compagni a tradimento rimane ammazzato; di Emmanuele Ciatra non so darvi ragguaglio, ma già la è cosa vecchia, chi inforna la rivoluzione non la mangia; e il popolano non si appaga di rumore di fama; tanto le lodi sono foglie, qual prima qual poi, cascano tutte; ma quando il verno ha spogliato l'albero, rimangono il fusto e i rami per riprodurle da capo, il popolo dura erede di ogni gloria dei suoi padri e dei suoi figliuoli, se la intende con Dio, e da lui spera misericordia e conforto nel giorno che quieterà nel suo seno come il Golo, dopo il rotto cammino, riposa nelle acque del Mediterraneo. Poco chiedevano i Côrsi, e da quello che domandavano voi piglierete argomento della giustizia della domanda: essi volevano il sale si pagasse un seino a bacino; si concedesse facoltà a tutti di portare arme, poichè nonostante la tassa dei 2 seini, a tutti non si negava, e la parzialità noceva più dell'uso universale, la tassa a soldi 20 per fuoco, com'era in antico, si restituisse; gli ufficii almanco in parte ai Côrsi si conferissero; i fuorusciti si richiamassero; il carico della vitella si sopprimesse. — E che è di grazia questo carico della vitella? — interrogò il Boswell. — Abbiate pazienza voi altri, ch'egli è forestiere e non ha obbligo di sapere le cose nostre come noi; in due parole mi sbrigo. In capo ad ogni due anni la repubblica scambiava il governatore in Corsica, il quale ci si trasferiva con la famiglia; ora le zitelle delle nostre comuni presero il costume d'ingrassare una vitella e donarla alla nuova governatrice per tenersela bene edificata: certa volta essendo accaduto che ci venisse un governatore scapolo, le zitelle giudicarono potersi astenere da presentare la vitella, tanto più che ella era pretta elargizione: ma il governatore che, se non aveva condotto la moglie, ci aveva portato l'avarizia, mutò con violenza il dono della vitella in balzello di pecunia, costringendo tutte le comuni a pagare ad ogni nuovo governatore 17 lire di buona moneta; e poichè questo iniquissimo aggravio non vergognarono i Genovesi di mantenere, i Côrsi, per ricordarne sempre la origine, continuarono a chiamare il peso della vitella. — In questo sollevamento non fu penuria per parte del governatore Pinelli delle solite tagliole ricoperte con le frasche delle scuse, delle promesse e delle ciurmerie, nè difettarono i benestanti, cui i garbugli danno la febbre, d'interporsi sminuzzando i bocconi al lupo ammalato; e molto meno la castroneria nel popolo di rimettersi a patti col padrone impaurito: certo, povero popolo! i suoi svarioni pagò, secondo il solito, in moneta di sangue; ma non importa; mentre i tiranni si rallegrano nella fede di avergli tagliato il capo, si accorgono che non gli hanno scorciato altro che le ugna, le quali col tempo crescono due cotanti più rasoi di prima. Però non vi era tempo da perdere, e bisognava dare base a questa faccenda, chè il tumulto va a catafascio come Dio vuole, ma per la guerra ordinata è un altro paio di maniche. Nel decembre del 1730 giusto l'antivigilia di pasqua di Ceppo, i Côrsi convenuti nella pianura di san Pancrazio si accordarono facilmente sopra i partiti da praticarsi; solo non sapevano dove darsi di capo per la scelta di un generale, quando di un tratto vedono passare, montato sur un mulo, il signor Andrea Ciccaldi, uomo nobile e facoltoso di Vescovato: lo fermano e lo eleggono capitano: egli bada a ringraziare, e dichiarandosi indegno dell'onore lo rifiuta: gli rispondono, accetti, altrimenti come a nemico torranno la vita e ne diserteranno i poteri. Se però il signore Andrea prese a contragenio il comando, non lo esercitò con minor fede o prodezza; e quando in appresso io gli rinfacciai cotesto suo schermirsi, egli mi rispose sorridendo: — Che volete, padre Bernardino? anche Gesù Cristo parve aver caro gli fosse rimosso il calice della passione dai labbri; in effetto codesto comando fu, per quel signore, calice di passione, e quanto amaro! Oltre le fatiche, le cure e i pericoli manifesti, appene potè sfuggire le insidie, massime quando Camillo Doria (i generali genovesi trattavano meglio il veleno della spada) tentò farlo avvelenare da Petruccio di Orezza; e i beni si vide arsi, le case disfatte; parecchi dei suoi morti, ed egli finalmente ebbe a esulare in Ispagna; dove, a vero dire, si trovò accolto a braccia aperte e promosso a colonnello di fanteria, ma ad ogni modo quel dovere vivere fuori di casa è una gran pena al cuore; adesso che i suoi occhi avrebbero potuto deliziarsi nello aspetto della patria risorta, glieli ha chiusi la morte. Dio esalti la sua anima secondo i meriti. — Il signore Andrea, col consenso dell'assemblea, si aggiunse nel comando Luigi Giafferi di qua dai monti, e di là Luca d'Ornano e Domenico Raffaelli preti: il pievano Aitelli, uomo capace di governare un regno, fu eletto a segretario, anzi si deve a lui la scelta dei compagni che fece il signore Andrea, la quale non poteva cascare in persone più acconcie al fine di raccogliere in mazzo tutti gli umori della isola, imperciocchè egli rappresentasse l'ordine dei nobili, il Giafferi i popolani, Luca la memoria di Sampiero primo vendicatore della libertà côrsa, il prete Raffaelli, gli ecclesiastici svisceratissimi dell'indipendenza della patria. Questo, a mio parere, fu ottimo partito e da seguitarsi da quanti s'affaticano nelle civili rivolture, imperocchè importi nei casi di momento impegnare tutti i cittadini a sostenerli coll'arco del dosso, e la esclusione partorisce superbia da una parte ed odio dall'altra; dove poi occorrono umori dei quali tu a verun patto ti possa servire, allora dà un'occhiata alla punta della tua spada, un'altra al cielo, e dopo decidi quello che tu ne abbia a fare. — I generali, assembrata la consulta in Corte, questa, non contrastando alcuno, bandì la libertà côrsa e la decadenza della Repubblica genovese dalla sovranità della isola: poco dopo diciotto teologhi convenuti nel monastero di Orezza, disputata sottilmente la materia, dichiararono giusta la guerra contro Genova, come quella che se mai aveva avuto diritto a reggere l'isola, la trascinava tiranna: questa sentenza confermò più tardi con nobilissimo scritto monsignor Natali, vescovo di Tivoli, nato in Oletta, il quale, da quel valentuomo ch'egli era, prese a chiarire tirannia che fosse, e potersi, anzi doversi, combattere il tiranno. I Genovesi commisero a certo azzeccagarbugli di rispondergli, ed egli lo fece con uno scritto sciatto, intitolato _Anticurzio_; ma non lo trovando concludente, incombenzarono un sicario a confutarlo meglio; questi vi adoperò uno stilletto a tre tagli, e ne ferì nel ventre monsignor Natali, che si condusse a fine di vita, la quale però gli fu salva per l'intercessione della Immacolata, e mercè le cure del suo compatriota Saliceti, archiatro di sua santità Pio VI. E poichè nella ingenerosa mercatanzia si apprende a truffare forse, ma si disimpara a reggere e a vincere i popoli, i Genovesi, sfidati di venire a capo della ribellione côrsa, si volsero per aiuto allo imperatore Carlo VI: qual coltello tal guaina: il tedesco di Austria, povero e avaro, in bottega o nella reggia, traffica sempre; sennonchè nella reggia, vende sangue; di fatti Carlo VI si chiamò pronto ad accomodare la Repubblica di dieci e più mila Tedeschi se le garbasse, a patto, che vivi gli mantenesse e morti glieli pagasse; la Repubblica spilorcia rispose per ora gliene basterebbero 3000, e tanti ebbe dal conte Daun, governatore di Milano, condotti dal barone di Schemettau, ma poi parvero pochi, e ne chiesero altri duemila. A prima giunta questo gentame ci fece del male assai, ed io lo so, perchè sortito, quando ce l'aspettavamo meno, da Bastia, ruppe i nostri, ed io ci cascai prigioniero: taccio gli strazi che patii; qui fu che esposto alla berlina non dubitai confermare sotto il patibolo, in profitto della libertà, la testimonianza che aveva palesata in Orezza; però dissi con gran voce queste parole: «La guerra che fanno i Côrsi è giustissima; io fui primo a chiarirla tale nella consulta di Orezza: e per dimostrarvi come per la patria e per la libertà io voglia patire tutto, ripeto qui la medesima cosa, intendo dire, ch'è giustissima la guerra impresa dai Côrsi contro Genova.» Ma come fossi quinci remosso a vergogna, trasferito a Genova, condannato a morte e salvato, non importa raccontare; bensì giova che voi sappiate, come i Tedeschi movessero contro la torre di san Pellegrino, e l'ebbero per tradimento; ma i nostri ce li chiusero dentro, per modo che non potendo cavare il vivere tranne dalla parte di mare, e questo indiavolato non permettendo gli approdi, furono costretti di venire a mercede. Il generale Giafferi aborrì di mettere a morte i supplichevoli, concedendo loro abilità di tornare a Bastia, e tregua di due mesi: sperò il generale che i modi onesti fruttassero qualche via di accordo ragionevole, e s'ingannò, perchè spirata la tregua i Genovesi bandirono la taglia di cento lire per testa di Côrso, e gli usseri, ubbriacati dalla cupidità del premio, ne portarono parecchie in Ajaccio e l'esposero, com'essi dissero, in _esemplare corona su i merli della città_. Avrebbero potuto in vendetta i Côrsi vendere i prigioni genovesi ad Aronne giudeo, che ne profferiva 80 mila piastre, ma non lo vollero fare, chè carne battezzata, quando è nemica, si ammazza, non si vende; e indi a breve una grossa mano di Tedeschi, condotta dal colonnello Vius e da Camillo Doria, uscita da Calvi, assalta Calenzano: erano 500, e prima di sera l'imperatore potè spedirne la fattura alla Repubblica in 50 mila fiorini, perchè erano tutti morti, e a 100 fiorini per testa sommano a tanto. Noi gli seppellimmo in luogo a parte, ed ogni anno celebriamo una messa per l'anima loro, ed aspergiamo le fosse con l'acqua santa: ah! signore Inglese, voi non siete prete e non potete sentire la dolcezza tutta divina di pregare pace pei nemici sepolti nella nostra terra.... e con le nostre mani. Il signor Giacomo, cui parvero coteste parole feroci, si voltò verso il frate con la intenzione di fargliene rimprovero, senonchè lo vide così compunto di compiacenza, e sto per dire quasi trasfigurato dall'estasi, che dando un grossissimo colpo alla tabacchiera pensò: — Si danno certi sentimenti, che su due piedi non si può giudicare se meritino salire in alto per fermarsi su la forca o per continuare fino al paradiso: ci mediteremo a comodo. — Nè questi furono i soli; nell'ottobre verso san Pellegrino accadde il memorabile fatto di arme, nel quale più di mille Tedeschi rimasero morti sul campo; ormai gli animi inviperiti ruggivano, i quartieri da una parte e dall'altra non si davano e nè si chiedevano. Parve bene mutare registro; allora vennero il principe Luigi di Wurtemberg, il barone di Schemettau e il principe di Culbah accompagnato da quattromila uomini; i sopraggiunti ne toccarono e ne fecero toccare; Schemettau assaltò il Nebbio, e prese Lento e Tenda, ma alla Chiesa Nera ne rilevò una battosta delle buone; il principe di Wurtemberg non potè penetrare, come divisava, in Balagna; allora pubblicò l'editto col quale si bandiva perdono universale, promessa di udire le istanze ed appagarle se ragionevoli; l'imperatore garantirebbe ogni cosa. Dei Côrsi alcuno accettò volentieri, parendogli duro avere a cozzare coll'Impero, tal altro mal volentieri, chè avendo gustato di già le promesse genovesi se ne sentiva ancora alleghiti i denti; ai generali, considerando che se rimasti uniti era malagevole resistere, impossibile riusciva allora che gli animi andavano divisi, parve bene accordare; ebbero dai Tedeschi carezze infinite; il principe di Wurtemberg li convitò a pranzo, bevve alla salute; partito egli, Wactendock, che aveva ruggine co' generali per le sconfitte sofferte, d'accordo col commissario genovese Rivarola, gli arresta, e li manda a Bastia: quinci imbarcati spedisconsi a Genova, che senza un rispetto al mondo li caccia, contro la fede dei trattati, in prigione a Savona. Da prima si bociava volessero strozzarli, poi si disse la Repubblica starebbe contenta a tenerli prigioni: di cotanta infamia si commossero i Côrsi, e, a lode del vero, non pure uomini principalissimi, bensì popoli interi di Europa; il canonico Orticoni, personaggio di bello aspetto e ben parlante, corse fino a Vienna a far valere la ragione dei traditi presso la corte: vi s'interpose lo stesso principe di Wurtemberg, che, nonostante tedesco, pare che fosse galantuomo; vi adoperò di ogni maniera ufficii il barone di Neuhoff, allora oratore di Carlo VI a Firenze, ma sopra tutti valse il principe Eugenio di Savoia, nell'anima del quale l'onore della giustizia superò quello della gloria. I Genovesi, volendo sgararla, mandarono alla volta loro a Vienna un marchese Girolamo Pallavicino con buone genovine e con cattive ragioni. L'imperatore s'intascò prima le genovine, poi disse, che lo esposto dall'oratore genovese era bugiardo, e tillato dal cervello di dieci curiali; sicchè mettessero i prigionieri in libertà e presto: allora i Genovesi non potendo calmare la paura, vollero compiacere alla vanità, ed introdotti i generali Ciaccaldi e Giafferi, il pievano Simone Aitelli e il prete Simone Raffaelli nella sala del gran consiglio alla presenza di una moltitudine di gente, ebbero a protestarsi pentiti dell'operato e ringraziare la Repubblica della restituita libertà. Questi furono i benefizii degli Austriaci alla Corsica: Genova ci spese meglio di 8 milioni di scudi; dei regali ai Wurtemberg si fece un gran dire a quei tempi; appena la nave che lo condusse a Genova sorse nel porto, lo salutarono con le artiglierie; posto piede a terra, cannonate da capo; fu ricevuto da due deputati del consiglio grande, che lo menarono con le carrozze del governo nel convento dei Carmelitani, dove gli avevano fatto apparecchiare l'alloggio; lo invitò il Doge alla grande; e di ritorno a casa fu presentato con casse di cioccolate e di varia ragione liquori; ancora di una canna d'India diamantata e di una spada altresì, intorno alla impugnatura della quale si leggevano incise le parole: — _Mi acquistasti con gloria, conservami con onore._ — Per ultimo venivano quadri rappresentanti le sue imprese di guerra e di pace operate in Corsica, e si crede di certo che il pittore, cui furono commessi, ebbe a sudare meno di quello che dipinse le geste di Alessandro Magno. La fama raccontò che il valsente dei regali sommasse a meglio di 80 mila genovine; ma forse fu iattanza dei Genovesi, i quali, quanto sottili nel dare, altrettanto sono larghi a magnificare; ad ogni modo spesero molto, e non levarono un ragnatelo da un buco, anzi opinarono parecchi che avessero peggiorato le loro faccende, e fu appunto in proposito di questa guerra, che il marchese di Argens inventò l'apologo dell'ortolano e del cacciatore, il quale, come giocondo molto, vi voglio raccontare. Certo ortolano non poteva venire a capo di salvare i suoi cavoli, chè una maladetta lepre quanti ne nascevano, tanti gliene mangiava, ond'ebbe ricorso a certo cacciatore suo vicino, raccomandandosi che andasse a cacciargliela: questi glielo promette, ed un bel giorno arriva co' cani, che sguinzagliati sopra la lepre, la perseguitano di su e di giù facendo maggior danno in un'ora, che la lepre in un anno; al fine la lepre scappa; il cacciatore chiede la mancia, e consiglia l'ortolano a turare le buca della siepe donde la lepre potrebbe rientrare nel verziere. — I Genovesi, costretti ad osservare, almeno in apparenza, i termini dello editto imperiale, mettono su con poche lire una mano di furfantoni a chiedere grullerie, le quali subito concedendo, intendevano potere affermare di avere largito quanto i Côrsi avevano saputo chiedere, anzi qualche cosa di più; ma sventarono il tranello Giacinto Paoli, Simone Fabiani, G. Giacomo Ambrosi e Angiolo Luciana e Antonio Marengo, i quali prima chiarirono come quei ribaldi non avessero ricevuto veruna commissione dal popolo, e poi che coteste l'erano cianciafruscole, e ci voleva di altra maniera riforme per riparare i vecchi abusi; così bisognò alla fine promulgare un regolamento, dentro il quale non si sguazzava, ma si lasciava vivere; l'imperatore l'approvò e ne guarentì l'adempimento; i Genovesi lo sottoscrissero e deliberarono non osservarlo. Dio sta in alto e il re abita lontano, dicevano i vicerè di Napoli; i Genovesi non lo dicevano, ma lo pensavano, ed operavano giusto secondo tale opinione. — Siccome lo espediente più corto e ad un punto più sicuro di ottenere il silenzio sta nello ammazzare chi parla, così Simone da Campoloro, Giovanfrancesco Lusinchi assassinano, l'Alessandrini imprigionano, citano a comparire in Bastia Giangiacomo Ambrosi, Giacinto Paoli ed altri parecchi; domandando essi salvocondotto, si mandano 450 soldati in Rostino sotto il comando del capitano Galliardi ad arrestarli; i Côrsi gli assaltano e rompono. Felice Pinelli, surrogato a Girolamo Pallavicino, bandisce perdonerebbe la ribellione a patto gli consegnino i capi. [Illustrazione: Lo zoppo Cardone contava la cosa a quanti paesani s'imbatteva, i quali, recatisi gli arnesi in spalla esclamavano: — La vuol ir male... (_pag. 119_)] In questa arriva il vecchio Giafferi, che i Genovesi dandogli pensione e carico di comandante, avevano tentato confinare a Savona, e raccolti gli armati, espugna Corte e il castello; quivi si convoca la consulta, la quale risponde al bando del Pinelli abolendo il governo della Repubblica e ardendone gli statuti. La guerra risorge più feroce che mai; fu varia la fortuna delle armi, ma più spesso arrise alla virtù côrsa, che al numero dei Genovesi, come a Moriani, dove rimase disfatto il figliuolo del Pinelli e il vescovo di Aleria, ma la corruzione da una parte, il diligente corseggiare delle galere genovesi intorno alla isola dall'altra, impedendo l'arrivo delle armi, e per ultimo dividendo gli animi, ridussero le cose all'estremo: ormai costretti a chiedere pace avevano loro risposto, consegnate le armi si rimettessero alla misericordia di Genova; disperati di ogni umano soccorso si volsero a Dio con le parole del Salmista: — _Et tu, Domine, usquequo?_ — E il Signore, che non patisce sia detto avere egli abbandonato i difensori della patria, mandò, quando meno se lo aspettavano, in aiuto della Corsica il barone Teodoro di Neuhoff. Egli si mostrò su le coste di Aleria, dove lo condusse la nave inglese, comandata dal capitano Dick, in arnese stupendo; portava cappello a tre punte piumato e gallonato; la parrucca con cipria; sottana e zimarra all'armena, questa verde, l'altra vermiglia; le pantofole rosse alla barbaresca, un bastone ritorto in mano e la scimitarra turca pendente alla cintura: pareva venuto a posta per essere piantato in mezzo ad un campo di saggina per ispaurire gli uccelli, e invece volle essere re. Gli dissero che re non usavano in Corsica, si contentasse che lo salutassero salvatore del popolo; e' non ne volle sapere; i Côrsi poveri non poterono dargli altro scettro, che di quercie, ma ahimè! o di quercie o di oro lo scettro non è meno atto a fracassare le ossa del popolo. In ciò ammirate la mano di Dio, il quale a salvarci adoperò l'arnese che apparve più sconcio. Accompagnavano Teodoro, Saverio Buongiorno, tre barbareschi, fra i quali Maometto, stato schiavo a Livorno su le galere toscane, due giovani livornesi scappati da casa, Attiman e Bondelli, un prete di Portoferraio, Francesco dell'Agata fiorentino, una Costa, un Fozzani, un Loczi; insomma una vera brigata di saltatori. Quali e quanti soccorsi portasse seco, io non vi so dire, chè stava sempre prigioniero a Genova; però ne corse diverso il grido: chi pretese avvilirlo disse: 200 fucili, altrettante pistole, alcuni piccoli pezzi di artiglieria, certe quantità di sciabole; ed anco genovine e zecchini, ma pochi: all'opposto quel barone Friderik, che si faceva credere suo figliuolo ed era un frate sfratato, volendo magnificarlo sostiene, che Teodoro venne in Corsica con una fregata e due navi cariche di 14 mila sacca di grano, 6 cannoni di bronzo, 12 di ferro, 20 mila fucili, 14 mila vesti, altrettanti cappelli e para di scarpe e 100 mila zecchini. Forse, secondo il solito, la verità è tra due. Ma poco importa sapere quale dei due racconti sia il vero; questo intanto è certissimo, che senza l'apparizione di Teodoro, tra la gola côrsa e il rasoio genovese non si vedeva che si potesse mettere di mezzo. — Bene: io mi sento lieto nel vedere, che non vi unite agli altri per dare la baiata ad un uomo forse generoso, certo infelice. — Ohibò! So che i Francesi lo hanno preso a godere come quella forca del Voltaire: cotest'altra buona lana del marchese di Argens gli dedicò il secondo volume delle lettere ebree, come i tre successivi a Don Quicotto, a Sancio Panza ed a Amadigi delle Gallie: il Casti, vergogna del clero toscano, lo mise in canzone in un dramma; breve; all'albero che casca, accetta accetta, secondo il solito; non io così; ma confessando, che senza la sua comparsa per la Corsica era finita, non posso tacere che alla gratitudine nostra si chiuse ogni via quando, approfittandosi delle angustie nelle quali versavamo, ci mise il gancio al collo, e volle dominarci re; e degno di corona apparve nella breve potestà, se consideri la lascivia, la ferocia e l'abbiettezza di lui. La lascivia lo condusse a toccare un carpiccio di bastonate a Cervione, ma delle solenni, e ciò per opera di un giovanotto di Alesani, che stando di sentinella alla casa di Teodoro, fu visitato dalla sua sorella; vedutala il re volle tirarsela a letto; e a letto veramente ei ci si condusse, ma solo e con le ossa rotte. Di talento immane fe' prova quando nella presa del forte dell'isola Rossa, trovato un tenente côrso complice di certa congiura contro di lui, ordinò che gli mozzassero la lingua, poi legato ad un albero lo ardessero vivo. I Genovesi, avendo preso uno del suo seguito, lo impiccarono, ed egli senza porre tempo tra mezzo, fece impiccare di un tratto 40 prigionieri genovesi sotto le mura di Bastia; certo qui si può scusare, perchè intese ammaestrare quei cosacci dei nostri nemici nelle buone creanze; pure ecco questa la trovai anch'io un tantino abbrivata; peggio fu mandare a morte, _brevi manu_, due Côrsi venuti a zuffa tra loro; e questo nacque da considerarsi, come re, sopra le leggi e i maestrati; ciò poi, che più di tutto gli nocque, fu la morte di Angiolo Luccioni, capitano di valore, che avendo favellato con manco di riverenza di Teodoro, egli se lo fece ammazzare sotto gli occhi in onta alle supplicazioni dei circostanti: dell'abbiettezza rammenterò una cosa sola, ed è la vendita della Corsica ai suoi creditori; e questo stette meglio ai Côrsi che il vezzo alla sposa; dacchè si dettero come schiavi, fu giusto, che si trovassero venduti come bestie. Chi fosse questo uomo, chi lo mandasse, da cui ritraesse i quattrini, o non è noto, o poco manifesto. Affermano avere vagato pel mondo a mo' di zingano sotto nomi diversi, ora pigliando quello di Napaer, ora di Limber, ora di Nisun, ora di Seimbough; quanto a titoli potete credere ch'ei non si lasciasse patire; in Londra passò per tedesco, in Livorno, per inglese; di commendatizie non conosceva penuria, perchè, dicono, se le fabbricava da sè; assicurano eziandio, ch'ei dimorasse schiavo qualche tempo a Tunisi. La fonte dei quattrini taluno la trova nel Gran Turco, altri nel Bey di Tunisi, cui promise arrolare un reggimento di Côrsi; altri per ultimo l'attribuisce ad una sequela di truffe, dentro le quali accalappiò un Burazzo di Sartene, l'ebreo Sebagh di Livorno, e certe religiose di casa Fonseca stanziate a Roma nel convento dei santi Sisto e Domenico: voi per avventura ne saprete qualche cosa di più sicuro, perchè credo che morisse a Londra, e forse l'avrete conosciuto. — Difatti io l'ho visto, ma non so di qual colore sia la sua voce, imperciocchè ad ogni mia interrogazione rispose col silenzio: ciò può non parere gentile, ma egli aveva perfettamente diritto di fare così. Io posso darvi contezza precisa della sua vita e della sua morte... — Oh! sì fatelo, che siate benedetto. — Suo padre si chiamò Antonio barone di Newhoffen della contea della Mark in Vesfaglia, e condusse a moglie la figliuola di un mercante di Visen nel paese di Liegi: tribolato dai rinfacci della famiglia per le turpi nozze, va in Francia con la principessa palatina moglie del duca di Orléans; favorito da lei ottenne un impieguccio nel Messin, dove morì giovine e povero; lasciò Teodoro, nato sul finire del seicento e il cominciare del settecento; la duchessa di Orléans se lo prese per paggio, più tardi lo mandò luogotenente nel reggimento della Mark. Indole irrequieta, concetti avventurosi, anzichè magnanimi, pure non ingenerosi del tutto; uomini di ferro fusi nelle medesime forme dove gli uomini di Plutarco uscirono di oro: preso in uggia quel lento arrampicarsi dei soldati poveri su pei gradi della milizia, pianta la Francia, e ripara nella Svezia: milita con Carlo XII, entra a parte nella congiura del barone Goertz per deprimere la Inghilterra; a questo fine è spedito in Ispagna al ministro Alberoni. Nel frattempo Carlo III muore ammazzato a Fredereishal, Goertz paga la congiura, riuscita a male, col capo. Allora l'Alberoni lo piglia a proteggere, e lo fa colonnello di un reggimento; giovane di anni, di aspetto giocondo e d'ingegno bizzarro piacque a lady Sarsfield, figliuola di lord Kilmarnock; la sposò e la lasciò; se per colpa sua o della moglie non so, forse di ambedue. Recatosi a Parigi si amica Law, ed entrambi porta via il turbine amministrativo di cotesto Vesuvio delle sostanze pubbliche e private, allora viaggiò in Inghilterra, nell'Olanda e nell'Oriente, in cerca di buona fortuna: in Amsterdam, strinse lega con parecchi ebrei per certi traffici, che si fanno più volontieri di quello che si confessino. Che venisse a Firenze rappresentante di Carlo VI non trovo, nè credo che fosse: credo all'opposto che dimorando egli a Livorno, alcuni Côrsi, massime quel vostro canonico Orticoni, gli proponessero farsi re dell'isola, e questo a fin di bene; in prima per cavare da lui qualche soccorso, trovando chiusa ogni porta; poi per mettere fine alle gare dei Capi côrsi, le quali impedivano si potesse venire mai a capo di qualche cosa di buono: certo pochi saranno stati a parte del segreto ma ch'ei spuntasse fuori come un fungo, caro signor frate, non è da credersi. — Il barone tastò l'imperatore, i re di Francia e di Spagna, non meno che quello di Sardegna, ma si ebbe cartacce; nell'Oriente in quel tempo s'intorbidavano le acque, e Teodoro ci si recò a pescare: la guerra stava sul rompersi tra Russi e i Turchi; e sembrava sicuro che l'imperatore avrebbe fatto causa comune con la Russia. Teodoro, accontatosi col principe Rakocus e il conte di Bonneval diventato Osman pascià, nemici mortali dell'Austria, mulina la scesa in Italia con un esercito di Mori di Algeri, Tunisi e Tripoli; quinci per la parte del Friuli assaltare l'Austria, intantochè un altro esercito turco metterebbe a soqquadro la Ungheria. Teodoro terrebbe la Corsica in feudo della Porta, nè si fermerebbero qui le larghezze di lei. Ecco pertanto donde trasse i primi sussidii e i danari col marchio turco: più tardi, avendo la Porta mutato concetto, egli ebbe a ricavare denari dagli ebrei di Amsterdam, sue conoscenze vecchie, che poi messi dall'oratore genovese a Londra lo perseguitarono infelice, e lo fecero mettere in carcere dove languì sette anni. Orazio Walpole un bel giorno si rammentò di lui, e un po' per bizzarria, un po' per buon cuore prese a perorare la sua causa davanti al popolo inglese; il Garrick recitò una sera a profitto di lui e questi lo fece tutto per cuore: breve; tanto da cavarlo di prigione, fu messo insieme; quanto bastasse a spesarlo con agio negli ultimi anni della vita, no; visse poveramente, e morto si può dire giovane ancora, perchè annoverava 56 anni, gli fu dato sepoltura nel cimitero di sant'Anna a Westminster. Sopra la sua tomba si legge un molto strano epitaffio, il quale giudico fattura del medesimo lord Walpole; in italiano sarebbe così; «qui vicino sta sepolto Teodoro re di Corsica, morto in questa parrocchia l'11 decembre 1756, subito uscito dalla prigione del Banco reale, godendo il benefizio dei falliti, in sequela del quale assegnò il regno di Corsica ai suoi creditori. Gran maestra è la fossa: al segno stesso Paltonieri riduce e semidei, E condannati al remo, e re sul trono; Ma Teodoro vivea mentr'ebbe in sorte L'acerbo insegnamento; chè fortuna Donogli un regno, e gli contese un pane.» — Se la sta come dite, riprese fra Bernardino, noi dobbiamo portare il voto alla Madonna, perchè i disegni di costui non abbiano sortito effetto: ad ogni modo rimarrà sempre vero che, sua mercè, i Côrsi rinfrancarono l'animo, ed ebbero armi per durare. Tornò due altre volte; la prima fu respinto dalla tempesta a Napoli, e i capitani olandesi congiuravano a darlo vivo o morto in mano ai Genovesi e forse ci riuscivano; ma egli che stava su le intese, riparò in casa di un principe napoletano, il quale lo fece scortare a Gaeta, e quivi custodire in prigione; donde andò a Terracina, e quinci di nuovo in Corsica. L'ultima volta venne sopra una nave svedese; mentre stava sorto su le àncore travagliato in cuore per non avere visto accorrere i Côrsi a fargli festa, si addormenta, e sogna essere arso vivo; destosi va in compagnia di tre suoi famigli nella stanza del capitano Wichmanhausen, e lo trova inteso ad apparecchiare una mina, che sottoposta alla sua camera doveva buttarlo all'aria. Teodoro, ch'era uomo di modi spicci, ordinò lo impiccassero all'antenna della nave; poi si allontanava senza che più si facesse vedere, sia che la fredda accoglienza dei Côrsi gli levasse il coraggio, sia che conoscesse non poterla durare contro i nuovi ausiliarii della repubblica, o si chiarisse a prova come stesse a cuore ad ogni maniera di gente guadagnare la taglia delle 2000 genovine che la repubblica aveva messo sopra il suo capo: egli è vero che egli aveva fatto il medesimo su quello del Doge, ma nessuno gli dava retta, perchè sapevano che le genovine della repubblica ci erano, e belle e contate, le sue nessuna zecca le aveva battute fin lì. Ai Genovesi disperditori un giorno della potenza pisana, ai Genovesi, che mirano a un pelo la rovina della veneta, temuti padroni dei mari fino a Caffa e a Trebisonda, ora rimangono le mani per limosinare una spada straniera che li difenda, o per trattare lo stiletto; in prima trovarono Grigioni e Svizzeri; dei primi ne vennero dodici compagnie, dei secondi tre reggimenti, e fu per morire; tornarono anco più tardi, e fatti prigioni, la repubblica negò barattarli con altrettanti Côrsi; noi allora li liberammo senza compenso, a patto che le tre leghe non mandassero gente ai danni nostri; questo promisero, e questo mantengono; e noi ci loderemo degli stranieri quante volte non si mescolino nelle nostre faccende in bene nè in male. — Partiti gli Svizzeri, i Genovesi ricorrono alla Francia, e le chiedono gente per due milioni: poco cacio fresco, poco san Francesco; gli fecero capaci che più di tremila soldati non c'incastravano ed anco per breve tempo. Genova rispose, per ora basterebbero. Il conte Boissieux ce li condusse; il canonico Orticoni e Giampietro Gaffori, uomo dal cuore di ferro e dalla bocca di oro, a nome dei Côrsi scrissero al cardinale Fleury: che novità era cotesta? come ci entravano i Francesi? che volevano dai Côrsi? — I Francesi, che ai tempi di Enrico II mandavano navi, armi e soldati in soccorso dei Côrsi combattenti contro Genova per la libertà della patria, que' dessi che, non potendo più combattere per noi, spedirono danari a Sampiero, e le bandiere col motto _pugna pro patria_ per confortarlo a durare nella guerra, sì signori, quei medesimi sotto Luigi XV, interprete dei sensi loro il cardinale Fleury, scrivevano ai Côrsi: sottomettessersi ai legittimi padroni genovesi: poco importare come lo fossero, bastava il possesso antico e la conferma delle potestà straniere: non essere lecito resistere ai principi stabiliti da Dio, e il sacro testo parlar chiaro in proposito: i mali delle rivoluzioni superare di lunga mano qualunque incomodo fosse per partorire la obbedienza: però essi non mirare ad altro che a sottoporli di nuovo alla repubblica, che gli acconcerebbe pel dì delle feste. — O Francesi! O Francesi! O Francesi! dirò tre volte come fece Creso quando condotto a morte chiamò Solone, e più non voglio dire. — Tanto è, i Francesi vennero in fregola di entrare pacieri: invano i nostri dichiarano ogni accordo con Genova tornare loro più amaro che morte: invano concludevano co' Maccabei, volere piuttosto morire che contemplare i mali del popolo; e' vollero un memoriale che spiegasse in che si dolevano, e come intendessero che ci fosse riparato; e l'ebbero; poco dopo domandarono otto ostaggi per sicurezza che il regolamento o lodo per la pace sarebbe stato osservato: parve, e fu duro patto, ma gli ebbero; e mandaronli in Francia. Allora venne il lodo, e il conte Boissieux impose ai deputati lo approvassero a nome di tutti i Côrsi; i deputati rispondevano, che i Côrsi non gli avevano investiti di tanta autorità, e quando gli avessero, non poterlo fare se prima non vedevano lo scritto. Qui il conte dà nelle stoviglie, e minaccia bestie e cristiani: non crediate mica che fosse un tristo il conte Boissieux, — egli era Francese: allora sentite il ripiego: attela su la spiaggia del mare i suoi 3000 uomini, ci chiama il commissario genovese, e poi commette al suo aiutante di campo Goumai lo legga ad alta voce e in italiano: poi parendogli questa solennità fosse poca, ordinò a parecchi suoi mandati che lo leggessero ad alta voce alla foce di quanti più monti potevano. Questo lodo era una cosa ladra: concedevasi un tribunale di giudici forestieri, ma il senato aveva a sceglierli, i Côrsi pagarli; le condanne _ex informata conscientia_ abolite, ma data facoltà ai Genovesi di arrestare e tenere in forze i sospetti; la Francia e l'Austria mallevavano l'adempimento del lodo, salva però la sovranità della repubblica su la Corsica: tempo 15 giorni a deporre le armi, e accettare: e altrimenti guai. Avete visto i cavalloni, che dianzi si cacciava davanti il libeccio; tali voi dovete figurare che fossero i Côrsi raccolti a Orezza per sentire questo stupendo portato del cervello francese. Il Boissieux, per mostrare ch'ei diceva da vero, manda 400 uomini a Marana per operare il disarmo, egli si apparecchia a correre la Biguglia coll'altra gente. Giangiacomo Ambrosi va a Marana e si ingegna persuadere ai Francesi con le buone, che non fa buon'aria per loro, tornino a badare ai fatti proprii a Bastia; e' predicava ai porri; alfine gli scappò la pazienza, e prese a menare le mani; accorse il Boissieux a sostenere i suoi: ma sì! lacero, lasciando il terreno coperto di morti, ebbe di catti di riparare a Bastia, dove non sopravvisse che pochi giorni al dolore di trovarsi disfatto da un branco, com'egli diceva, di villani. — I preti sono testardi, e in Francia non si conosceva allora, nè credo si conosca adesso, quanto sia più giudizioso riparare la ingiustizia con la generosità, che ribadirla col sopruso; però il Cardinale manda di Provenza rinforzi; un reggimento sopra parecchi brigantini, e 4 compagnie su due tartane: la tempesta parte annega, parte disperde: le 4 compagnie caddero prigioniere in mano dei nostri: il Cardinale poteva apprendere cotesto caso come avvertimento del cielo, ma anche qui gli nocque essere prete, imperciocchè essi credono che il cielo mandi gli ammonimenti di giustizia per gli altri non mica per loro; e coi rinforzi invia Maillebois. Voi sapete, signore Inglese, come non vi abbia gentildonna in Francia, la quale ricusi diventare marchesa a patto di passare per la via delle sgualdrine,[15] come del pari gentiluomo che senta ribrezzo di venire in cima a quelli che in lingua di corte si chiamano onori, facendo di tutto un po', ed anco direi di che, ma l'abito mi persuade a tagliare corto; però essendo stato promesso il bastone di maresciallo al nuovo generale se arrivava a mettere in cervello i Côrsi, pensate voi se le sue gambe si arrestassero dinanzi a fosso divino o umano. Io non vi ci metto su nulla di mio; quanto vi narro lo cavo da persona molto privata di lui, la quale ne scrisse la storia: non gli bastando quindicimila uomini tra fanti, cavalieri e bombardieri a vincere la facile impresa, trovandosi i Côrsi si può dire senz'armi, dette opera di seminare la discordia fra i capi, screditando gli uni presso gli altri come traditori; alcuni corruppe con premii presenti, e speranza di maggiori vantaggi avvenire; ad altri fece toccare con mano la condizione disperata delle cose, e poichè non venne a capo di ottenere, che staccatisi dai compagni si mettessero alla scoperta dalla parte sua, si contentò della promessa che nelle difese andassero fiacchi; dopo questa nobile arte adoperò l'altra di devastare le pianure, perchè i possessori colligiani o per salvarle dalla ruina si sottomettessero, ovvero calando per difenderle al piano, gli dessero abilità di lacerarli con le artiglierie; e questo parve per un tempo il miglior partito, ma non gli riuscendo sollecito, giusta il suo desiderio, ne saggiò un altro, e fu non solo negare quartiere a quanti gli capitavano nelle mani, ma eziandio farli con tormenti crudelissimi morire; a Giussoni quaranta patriotti insieme al parroco furono arsi vivi, sbracciandosi in questo alto gesto il colonnello Arboville; e perchè la immanità francese moderna nulla avesse ad invidiare le antiche torture, segarono in mezzo alla maniera di Tamerlano un Côrso: in ispecial modo Magliaboia l'aveva co' preti e coi frati, talchè a Corte fece impiccare un parroco in mezzo a due contadini; a Olmeta due frati vestiti del loro abito religioso; anche le ipocrisie giuridiche erano trascurate; il prete Gianni, preso, fu impiccato su l'atto; la persecuzione francese sofferta dalla chiesa di Corsica per amore della libertà, non disgrada veruna delle romane per amore di Cristo; e se vi piace saperne il delitto, ve lo dirò con le parole dei loro stessi storici; insomma bisogna dire, che altro non si opponeva, tranne una smania eccessiva per la _indipendenza ed uguaglianza di tutti gli stati, cosa senza dubbio colpevole_; e in altra parte favellando costoro del venerabile curato di Zicavo, lo chiamano bandito perdutissimo per avere fatto giurare il suo popolo davanti il sacramento di difendere la patria fino all'ultimo sospiro. Io desidero, che sappiate come gli ecclesiastici côrsi amassero la libertà, e patissero per lei, perchè ciò vi chiarirà della cagione per la quale il popolo qui continua a proseguirci di riverenza e di affetto, mentre altrove, diventati ormai cagnotti della tirannide, ci hanno in conto poco meno di scorpioni. Frate Serafino di Ampugnani (Dio beatifichi l'anima sua), condotto alla presenza del Magliaboia, avendo notato un colonnello che con gesti minaccevoli e voce sdegnosa gli favellava, comprese che non gli faceva il panegirico; non intendendo il francese non capiva per lo appunto le parole, onde pregato taluno glielo spiegasse, e udito come fossero oltraggi, gli sbatacchiò sul mostaccio il vangelo dei cinque evangelisti con tanta grazia, che gli mandò giù due denti in gola, e subito dopo, arraffatto lo schioppo alla sentinella, glielo sparò contro stendendolo in terra morto; preso e portato alla forca, ritto come un cero, il frate dabbene con alta voce cantò per tutta la via il _Tedeum_. I Genovesi si consultarono col Magliaboia per mettere sesto a questa faccenda dei Conventi; e proposero chiuderli addirittura, mandando i padri gesuiti a predicare, conforme i miserabili loro istituti persuadono, il servaggio: ma al Magliaboia non parve partito buono, non fosse altro, per essere stato messo innanzi da altri: consigliò piuttosto far venire in Corsica frati francesi, ormai avvezzi a chinare la schiena e mescolarli coi Côrsi, confidando che in breve gli avrebbero istruiti nella civiltà, che così in Francia, ed anco un po' in Italia, si chiama l'arte del servitore. Ai Genovesi, non meno presuntuosi del Magliaboia, non piacque nè anche questo ripiego; pensatoci su offersero regalare alla Francia tutti i parenti e fautori dei fuorusciti, non che i ribelli rimasti o tornati in casa, affinchè ella gli spedisse alla Luigiana o altrove. Allora il Magliaboia, come preso da orrore, rimprocciò il senato ligure, che mentre gli altri principi si adoperavano popolare i proprii Stati, essi li disertassero: il francese ingegnoso trovava differenza tra il bando da casa di un popolo, e il tenervelo dentro a mo' de' capponi nella stia, per tirargli il collo la vigilia delle solennità. Ad un tratto, ch'è, che non è, i Francesi dopo avere raccomandata la loro memoria in Corsica al fuoco e alla corda, l'abbandonano lasciando Genovesi e Côrsi ad aggiustarsela in famiglia, non dandosi un pensiero al mondo della umanità spaventata come con tanta leggerezza potesse accoppiarsi tanta ferocia. I Genovesi considerando che, durante la guerra della successione, avrebbero teso indarno la mano usa a chiedere l'elemosina di un po' di forza, si avvisano ad operare l'altra del tradimento; monsignore Mariotti vescovo di Sagona, che ormai dalla repubblica non isperava più pace, e lo diceva, pigliano e mettono in fondo di torre; richiesto da Benedetto XIV, negano darlo, scaldandocisi il Papa lo rendono; il giorno dopo la sua libertà muore; i Genovesi avevano trovato, che il camposanto custodisce meglio della torre, e il veleno carceriere fidato cui non si fa le spese; rendutisi sempre più odiosi e privi di forza; per tenere il popolo in obbedienza sguinzagliano ladri e assassini dalle carceri, richiamano sbanditi, mettono sottosopra l'isola, e ciò col fine che, lacerandosi, si mantenga debole, per poterle poi in tempi più destri rimettere le manette ai polsi. I Côrsi non volendo andare a sacco e a sangue, provvedono al caso eleggendo tre uomini per sopraintendere al buon governo, li chiamarono protettori, e fu tra questi Giovampiero Gaffori; la repubblica si risente, come quella che, per la creazione di siffatto maestrato, immagina offesa la sua autorità. Il commissario Giustiniano a suono di cannonate mette in un mucchio di sassi la casa del Gaffori a Corte, e ne cattura il figliuolo. Ma il Gaffori non era uomo da spaventarsi della casa disfatta nè del figliuolo preso; al contrario, il pericolo crebbe l'ira a lui ed ai suoi: oh! allora i Côrsi combattevano in guisa, che non ci era paragone che gli uguagliasse, e spero, prima Dio, che combatteranno anche adesso: i soldati del castello rimasero come annegati da un rovescio di piombo; quando si arresero non ne fu trovato veruno illeso, e parecchi con più ferite. Parrebbe che i Genovesi non si fossero dovuti lamentare del commissario Giustiniano, dacchè in verità che cosa potesse tentare di più e di peggio non si sa vedere; non si tennero soddisfatti: lo richiamarono e gli fecero così feroce bravata, che dalla paura il dabbene patrizio si rese frate somasco, ed indi a breve morì. Inviarono il Mari, che promise Roma e Toma, ma stremo di denaro non riusciva a motivo che valesse; avendo menato per teologo il padre gesuita Porrata, si ristrinse seco lui per consigli; questi propose levare gli argenti dalle chiese e con pretesto di tenerli custoditi in Bastia, valersene; al Mari piacque la pensata, e gli mandò a pigliare; dalla sola Annunziata, chiesa dei Serviti, ne cavò 600 libbre, e gli parve averli rimessi in buone mani. Raccolti gli argenti, perchè la faccenda si mantenesse segreta, spedì il gesuita a venderli a Livorno; e questo il gesuita fece; solo non ritornò, simile al corvo dell'Arca ei battè l'ale in contrade lontane; benchè altri affermi ch'ei se ne andasse a Roma a mettere in salvo il bottino nel collegio di Gesù, dove i suoi superiori, dopo lunghe disamine, sentenziarono che il ladro, il quale ruba al ladro, non fa peccato e lo venerarono due cotanti meglio di prima. Quando i Côrsi se lo aspettavano meno, ecco commoversi le materne viscere di Maria Teresa (i Papi le hanno paterne) e a Carlo Emanuele altresì, e prima coi bandi, poi con buon polso di gente comandata da un colonello Cumiana aizzano i Côrsi a dare addosso ai Genovesi; la imperatrice, d'accordo col re, aperti un bel giorno gli occhi, vedono «che la repubblica ha violato la umanità e la giustizia continuando nei modi più aspri alla distruzione dell'onore, delle sostanze e della vita degl'infelici Côrsi.» Cagione della nuova tenerezza la lega di Genova con la Francia e la Spagna per istabilire l'infante don Filippo nel ducato di Parma e Piacenza, nella quale la repubblica era condotta a cagione del marchesato di Finale, che donato prima da Carlo VI ai Genovesi, il medesimo imperatore con la consueta verecondia di casa di Austria, cesse al re di Sardegna. Così questi signori, a seconda dei loro interessi, si dicono corna, e quando a vicenda l'uno ha scoperto gli altarini dell'altro, maravigliano se il popolo si ride dell'autorità di tutti.... oh! non sono curiosi costoro?... Dietro ai Sardi e ai Tedeschi si accordarono gl'Inglesi, ch'erano allora di balla; i Francesi per astio ritornano l'isola in mano a loro, pari alla veste di Cristo, giocata a dadi tra sbirri briachi. Che parlo, o che taccio? La lingua per queste infamie non si avvolge impunemente, come chi cammina per la melma senza macchia non può uscirne. I principi discordi stipulano un armistizio, nel quale includono i Côrsi; nella pace finale di Aquisgrana li dimenticano. Donde ciò? Gli è chiaro: gl'includono nell'armistizio, affinchè continuando a combattere non iscompiglino le uova nel paniere; gli scordano nella pace, perchè i Genovesi, aiutati da capo dai Francesi, abbiano facoltà di rimettere loro le mani dentro i capelli. Di fatti i Francesi, per la smania di mestare, entrano di mezzo e arruffano la matassa peggio di prima; a una parte non piacciono, all'altra sgarbano, e inimicatisi Genovesi e Côrsi lasciano da capo ogni cosa in asso dicendo: chi l'ha da mangiare la lavi. Ora sì che i Genovesi non sapevano a qual santo votarsi; i Gesuiti, in ammenda del furto, si proffersero seminare zizzania fra i Côrsi e fino a un certo punto riuscirono, chè un certo padre Ricchini, imbroglione di tre cotte, arrivò a scalzare il generale Giuliani, uomo dabbene, ma facile ad essere aggirato; il Gaffori tenne sodo, e fu mestieri venire a patti con lui: richiesto dalla repubblica di mettere in carta le sue pretensioni, rispose, dandosi un paio di fregate alla fronte: è presto fatto, e incominciò: non si parli di _concessioni_ perchè questa parola implica facoltà di ritirarle, quando anco ci si aggiunga l'altra d'irrevocabili e perpetue; dicasi _convenzioni_: ancora tacciasi di _perdono_, perchè la natura somministri ad ogni uomo il diritto di pigliare le armi per la libertà; si _adoperi_ il termine _dimenticanza_ e sarà meglio, molto più che potrebbe convenire ad una parte ed all'altra; e così di seguito. I Genovesi crederono diventarne matti, cotesti repubblicani bottegai a sentirsi toccare la regia autorità andarono su i mazzi; le consorti repubblicane offersero cedere le gioie per sostenere nuove guerre, anzichè perdere il titolo di regine di Corsica; vanità di vanità! senonchè i nobili mariti anche per questa volta ricorsero all'assassinio come spediente meno costoso, ed un bel giorno il Gaffori si vide circondato nel bel mezzo di una macchia da uomini, che gli ordinarono scendere da cavallo, e raccomandare la sua anima a Dio, ed egli lo fece, ma, da quel Giovanni bocca d'oro ch'egli era, con tante belle ed amorose parole gli raumiliò, che gli caddero ginocchioni davanti, chiamandolo padre, e chiedendogli perdono. Così per questa volta la scampò: allora i Genovesi sapendo che, come dal migliore vino si cava l'aceto più forte, l'odio del pari ribolle mortalissimo tra le persone, le quali per vincolo di sangue arieno maggiormente ad amarsi, confidarono l'opera di sangue ad Antonfrancesco fratello di Giampietro, che si aggiunse compagno Giambatista Romei, detto biscaglino. Quando entrerete a Corte vedrete a manca un convento di cappuccini; lì proprio sul canto fu ammazzato a schioppettate il Gaffori che ritornava da visitare una casa che fabbricava in campagna; inoltrandovi troverete una piazza dove stanno ritte le forche, e questa è l'area su la quale sorgeva la casa del Romei sovvertita dalla vendetta pubblica; su lui non si potè sfogare, che, dopo essersi riparato a Calvi, andò a Genova ov'ebbe il prezzo del sangue; le forche fra noi chiamansi _biscaine_, facendo, del nomignolo dello assassino, nome al patibolo per memoria d'infamia: dirimpetto alla feritoia del castello, dove fu esposto il figliuolo di Giampietro, contemplerete la casa sua novellamente ricostruita, e nondimeno sopra ogni altra più vecchia famosa: qui fu che la moglie di Gaffori, assediata in assenza del marito, poichè vide i difensori scorati dalle morti di parecchi fra di loro, e dalle ferite ormai disposti a capitolare, accostatasi con un tizzo acceso ad un barile di polvere disse: Cugini cari, se ripigliate a combattere ci è caso che taluno di voi si salvi, se cedete le armi siete morti tutti, perchè quanto è vero Dio, metto fuoco alla polvere. — Ricominciorno le schioppettate, e soccorsi in tempo scamparono. Qui la stessa donna, fatta toccare la camicia insanguinata del marito al suo figliuolo di 12 anni, ordinò che giurasse: — Sacramento di perseguitare a morte i Genovesi — e lo sacramento pel sangue di mio padre, e pel dolore di mia madre. — Qui finalmente, avuto nelle mani il caino cognato, gli fece bere sotto i suoi occhi a lenti sorsi la morte, e per ultimo mazzolare. — Povera donna, chi non la compatirebbe se con ogni partito onesto s'industriava a temperare la sua angoscia? Il Boswell si sentì come rimescolato a udir coteste parole, che ei non sapeva se avesse a considerare più o selvatiche, o bizzarre, e voleva dire la sua riprendendo cotesto atto di ferocia, biasimevole in tutti, ma guardati con la coda dell'occhio i compagni, ne vide i volti così arricciati, che non gli parve aria da avventurare considerazioni. — Compiti questi ed altri assassinii, i Genovesi ricorrono da capo alla Francia; a vero dire sfidati, che la sapevano ristucca, e più di una volta si erano sentiti dire sul muso da lei: voi siete buoni a bastonare i pesci, non già a reggere stati, ma ci mandarono un mezzano di nome Agostino Sorba, che si vantò bastargli l'animo: di vero e' ci pervenne; udite come: avendo letto di Temistocle, il quale soleva dire, il figliuolo suo comandare a tutta la Grecia, conobbe, che certe faccende bisogna pigliarle per la coda. Ora il duca di Choiseul come ministro poteva tutto su l'animo del re, su quello del duca la duchessa di Grammont sua bagascia, su la duchessa la cameriera Giulia: pertanto egli barattò alla cameriera Giulia 500 mila franchi di credito sul Canadà, che scapitavano 75 per cento; con tanti biglietti della banca di San Giorgio, ch'erano d'oro in oro, e per questa guisa tornarono i Francesi a sostenere in Corsica le parti dei principi legittimi, immagini sopra questa terra di Dio ottimo massimo, come tutti sappiamo: aspettate, mi dimenticava un tale Dumoriez che, dopo avere offerto di noleggiare la sua spada ai Genovesi contro i Côrsi ribelli, venne ad offerirla ai Côrsi contro i Genovesi tiranni, prima persuade al duca di Choiseul di mandare armi in Corsica, ma per guadagnare cento luigi detta una memoria per chiarirlo che farebbe un buco nell'acqua; però ha la fronte di scrivere che ci mise dentro ragioni da sassate, e con questo confessa che rubò i luigi. — Insomma andare pel minuto a ridire tutte le infamie di questi maneggi, l'anima umana per vergogna invilisce; e per dar fine, basti, che i Francesi, aizzatori prima dei Côrsi contro la oppressione genovese, in seguito ausiliari della tirannide genovese contro i Côrsi, adesso ci hanno comprati come bovi da macellare, e ci bandiscono traditori e felloni se non porgiamo di buona grazia la gola. Ma Dio ci ha inviato Pasquale Paoli, e staremo a vedere se creature, cui il prete insufflò l'_effeta_ di Dio, se anime immortali, redente alla libertà dal sangue di Cristo, possano essere vendute a mo' di stime vive o morte col podere del creditore fallito! Ora abbiamo o non abbiamo ragione di odiare i forestieri, noi? Ditelo voi nella vostra coscienza. Con tutte le potenze dell'anima e del corpo non devono i Côrsi custodire la libertà? — Me ne rimetto in voi, signore Inglese. Parlate franco, gli uomini liberi sanno del pari favellare ed udire la verità. — Eh! vi dirò; viaggiando per Toscana arrivai ad un paesotto, dove lessi sopra la spalliera del seggiolone del Giudice un avvertimento, che chiedo in grazia potervi ricordare. — Dite pure. — _Priore, udite l'altra parte._ L'altra parte qui non occorre, sicchè la possa sentire io: e voi sapete, che con un bove solo non si fanno solchi: pertanto io giudico, che parecchie delle cose da voi esposte non sieno vere. — Voi dunque mi date del bugiardo in faccia? — Ohibò! Voi mi avete narrato quello che avete letto ed udito, ma passione e sete si rassomigliano nel mandare giù acque e novelle che confortino, senza badare da qual fonte nascano; parte le credo aggrandite sempre in virtù della passione che ho detto, tutte poi guardate sotto la luce di un cuore in burrasca. — Insomma nel sottosopra fandonie. [Illustrazione: Il barone Teodoro di Neuhoff, in arnese stupendo, si mostrò su le coste di Aleria, condottovi dalla nave inglese.... (_pag. 128_)] — Ma no, signor frate, no: i colli, i campi, il mare dinanzi ai quali ci troviamo adesso, sono sempre quei dessi; da un giorno all'altro non variano di certo: tuttavolta contemplateli quando il sole smaglia nel vostro azzurro sereno, e quando un tendone di nuvole nere lo ricopre, e vedrete come vi appariranno diversi. — Io però credo, che Dio ha creato gli uomini liberi ed uguali, e mi viene dimostrato appunto dalla impossibilità della tirannide di attecchire su la terra: tiranno risponde a oppresso; padrone a schiavo: ora dalla oppressione nasce l'odio, dalla ingiustizia la vendetta, e tutto questo non mica per elezione, bensì per necessità: e ciò è così vero, che nella tirannide l'uomo buono o tristo nè giova nè nuoce; ella partorisce, spontanea e per forza, i frutti, che poi matura l'ira del Signore. Onde, secondo la mia opinione, trovo, signor frate, grandemente a riprendere voi altri Côrsi, che vi arrovelliate a saccheggiare Aristotele, san Tommaso e quanti vi hanno vecchi e nuovi dottori per dimostrare il diritto che avete alla libertà, e affastelliate argomenti sopra argomenti, come se aveste paura che vi dessero torto. Le verità capitali non patiscono bisogno di dimostrazione, e dovrete ricordarvi di colui, che per chiarire Pirrone della verità del moto prese a passeggiargli dinanzi, e non gli disse parola. Ponetevi la mano aperta sul cuore, contemplate il cielo, ch'è la casa di Dio, e dite: io sento e voglio essere libero. Ogni di più, signor frate, sciupa il negozio. — Anche in questa maniera ci possiamo intendere, disse Giocante; e il frate, che, bisognoso di respirare aria più aperta aveva posto un piede sopra la scala, e teneva il capo volto su le spalle per ascoltare il Boswell, raggruppò le dita della destra, se le recò ai labbri, e confidatoci un bacio lo vibrò a mano aperta verso di lui, esclamando: — Benedetto voi e chi vi ha fatto, meritereste essere Côrso. Il Boswell sorrise, notando però che in pari caso egli avrebbe detto: meritereste essere inglese. Dopo pochi momenti ecco precipitare, piuttostochè scendere, dalla scaletta frate Bernardino trasfigurato in sembianza; i denti stretti non gli lasciavano il varco alla parola, solo lanciava a destra e a sinistra sguardi smarriti. — Ch'è? Ch'è? — Furongli intorno a domandargli i compagni; ed egli con molto stento rispose: — Traditi... traditi... siamo in dirittura della tomba dei Minelli abbrivati a Bastia. — Perdio santo! urla Giocante mettendosi le pistole al fianco, e salta in coperta. Altobello e l'inglese Boswell gli tengono dietro con minore prestezza, non con minore agitazione. Appena sorti dal boccaporto tendono gli occhi, e loro davanti si para la costa orientale dell'isola divisa nelle sue tre vallate di Sisco, Pietra Corbara e Rogliano, crestata con le torri di Cassaiola, Sisco, Osso, Santa Severa e Tomino; stanno al loro cospetto come dipinti sopra un ventaglio aperto marine e paesi, e il porto di Macinaggio, fine della impresa navigazione. Il capitano Angiolo, fermo sul cassero governa col _biagio_ del timone in mano la galera senza far motto e nè sembiante di accorgersi di cosa alcuna. Il frate Casacconi sopraggiunse, comecchè più tardi, e vista la scena mutata si fregava gli occhi come trasecolato. — Sentendosi il signor Giacomo più padrone di sè, si accosta piacevolmente al capitano, e gli domanda: — E ci vorrà molto tempo prima di arrivare? — No; verso l'un'ora di notte ci saremo. Colle bordeggiate ho finito; questa ultima è stata la più lunga; pensava mi conducesse fino a Bastia; adesso ho stretto il vento, e come vedete vado di burina ch'è un incanto: non vi par ella la mia galera così chinata un gabbiano che radendo il mare vi tuffa un'ala? Grazie alla Immacolata siamo fuori di pericolo così degli uomini come del mare. I Côrsi tornarono sotto cheti; il Boswell non si partì più dal fianco del capitano, finchè questi non gli disse: Ci siamo: adesso faccio calare il caicco, che ci rimorchi fino alla spiaggia col piombino alla mano per iscandagliare il fondo. — Ed ora in quanti passi di acqua giudicate voi che peschiamo? — Giudico venti. Il Boswell, fattosi allora al boccaporto, vi si affacciava gridando: — Su, su che siamo a casa. Salirono; la notte già scura non dava luogo a contemplare la faccia della gente: ma si sentiva gli aneliti, i gemiti e per fino i brividi: segni tutti del tremendo affetto che gli agitava. Dalla parte di terra non comparivano distinte le cose; solo i contorni di monti neri dipinti in cielo meno fosco, e le masse dei fabbricati; però di su, di giù, sopra la spiaggia andavano e venivano persone con ischiappe di pino accese nelle mani, rammentando le miriadi delle lucciole sfavillanti pei bui sereni delle notti estive. Il frate Casacconi andò difilato a prua e colà, sporte le braccia dal parapetto delle nave, con voce di pianto esclamava: — O madre! o madre mia! E il Boswell, che gli veniva dietro rispose: — Bene, bene; mi rallegro con voi, signor frate, che abbiate la madre viva: deve aver a quest'ora una bella età. Ma il frate non lo badando continuava: — Tu mi stendi le braccia... e ohimè! a te vengo. Il Boswell dietro: — Non sarebbero mica i vostri occhi di natura di gatto, che vi vedono di notte? Mentre così il signor Giacomo favella, il frate spicca un salto di sopra al buonpresso, e giù di tonfo nel mare. — Misericordia! grida il signor Giacomo spendolandosi fuori della galera — affoga... il signor frate si affoga — pare... tengo opinione... salvo suo onore... che sia ammattito. E sopragiunsero Giocante e Altobello, i quali, chinandosi a loro posta, videro il frate in mezzo alle onde, che sotto i suoi colpi vigorosi smagliavano fosforo, notare, malgrado la sua tonica, come un tonno: parve non avesse a traversare gran tratto per mettere i piedi sul sodo, dacchè fu visto sorgere ritto e rompere le acque, che gli gorgogliavano intorno alle gambe, con passi veloci, mentre anch'egli alla sua volta gridava: — Tocco la madre mia: lasciatemi con la mia mattana, e voi, signor Inglese, restatevi con la vostra sapienza, che buon pro' vi faccia. — Grande è l'amore di patria, diceva in questa Altobello, in ispecie se riposino nel suo seno i nostri parenti, imperciocchè allora ci appaia come l'erede del loro affetto per noi. — Bene; siamo d'accordo: ma non vedo ragione di bagnarsi senza bisogno fino all'osso; e mettersi al cimento di troncarci il collo per voler bene alla patria. — Certo, rispose Altobello, non cascava nel quarto ad aspettare tanto da scendere a modo e a verso... oh! sentite? sentite?... — Che cosa ho da sentire? — Non vi pare che una voce, chiami: Altobello! Altobello! Ditemi, signor Giacomo, non la sentite voi? — Io non sento nulla. — Sì, che la sento io... È mia madre... mamma! mamma! — Eh! dico, signor Altobello, non vi venisse mica la tentazione d'imitare il frate... per amor di Dio non fate... fermatevi. E visto Altobello in procinto di gittarsi giù capovolto in mare, lo afferrò per le falde; invano però, chè il vestito cesse, e il signor Giacomo si trovò come la moglie di Putifarre quando dette l'assalto a Giuseppe ebreo: così almeno racconta la Genesi al capitolo trentanove. Allora il signor Giacomo si volse agli altri, che gli facevano calca d'intorno, e con voce alta predicò: — Il soverchio, signori miei, rompe il coperchio; cotesti due gentiluomini, il signor frate e il signor Altobello non hanno, a mio parere, fatto mostra di buon giudizio... e non andò oltre che lo interuppe un tonfo, poi due, poi tre: insomma la smania di buttarsi in mare, per giungere un tantino prima a baciare la sacra terra della patria, invase tutti i passeggeri a mo' di contagio, — e nonostante che il signor Boswell si aggirasse dintorno infuriato, come non fu mai prima nè poi in tutta la sua vita, urlando: Siete diventati i montoni di Panurgo, o Dio mi perdoni, vi è entrato il diavolo in corpo... badate... vi romperete le gambe... le braccia... il collo, — fiato perduto; vide però con piacere, che i marinari e le ciurme restavano a bordo; e perchè questo facessero bastò una parola sola; è vero che la parola sonava così: il primo ch'esce dal bordo senza permesso, sarà impiccato; ma infine gli dava sempre argomento di maraviglia considerare come il capitano con una parola sola era riuscito farsi obbedire, mentre a lui che ne aveva dette tante, nessuno aveva dato retta; ond'è che accostatosi al capitano così gli disse: — Voi avrete letto di certo, signor capitano, che nei tempi antichi il popolo di Abdera durò matto tre giorni: questa molti reputano favola, ed io era fra loro; oggi poi avrei incominciato a crederla, se non eravate voi, che con savio e prudente contegno avete fatto eccezione tra i vostri compaesani. — Per amore di Dio, tenetevi in tasca il vostro elogio, perchè io non so chi mi tenga che non mi butti giù dalla galera per correre dietro a quegli altri. — O tempo, o danari buttati via! Se partito da Londra e venuto in Corsica io non ci doveva vedere altro che pazzi, era meglio che me ne stessi a casa sfogandomi a visitare Beldam tutti i giorni... e con mio comodo. Poichè fu ormeggiata la galera ed acconigliarono i remi con le debite cautele, il capitano Angiolo invitò il signor Giacomo a recarsi con esso lui nel medesimo schifo a terra, dove in breve ora giunti ambedue, il capitano si diede subito in cerca di padre Bernardino; non gli fu arduo rinvenirlo, che lo vide girare e rigirare come un arcaiuolo, dispensando e ricevendo all'intorno un diluvio di baci. Il capitano riconobbe il frate per la pratica grande che ne aveva, imperciocchè diversamente non lo avrebbe trovato in capo a un mese; di lui come dello spettro di Ettore avrebbe detto Virgilio; _ehu quantum mutatus ab illo_; in effetto egli aveva spogliato la tonaca, che inzuppata di acqua gli sarebbe divenuta pesa come se fosse stata di piombo, ed alle consuete vesti ne aveva sostituite altre tumultuariamente senza badare se convenissero o no; le gambe mostrava ignude, dal ginocchio alla cintura andava coperto di un paio di mutande bianche, poi vestiva una camiciola di lana rossa da marinaro, sulle spalle portava un mantello da pastore e un cappello a tre corni da prete sopra la testa; la barba sua così candida, e il viso, presentavano più tinte della tavolozza dei pittori, primeggiando però fra esse il nero, il verde e il giallo, e questo in virtù delle centinaia di labbra colorite di erba côrsa, che lo avevano baciato. Il capitano Angiolo gli pose ardito una mano sulla spalla dicendo: — di voi appunto cercava. — Di me? rispose il frate con voce mal sicura temendo chi sa qual rabbuffo pei suoi mal sortiti sospetti; — e l'altro: — Di voi. Vi paiono azioni da gente bene allevata disertarmi di bordo come se aveste paura ch'io volessi menarvi schiavi in Algeri? — Figliuolo, abbiate pazienza... — Pazienza! Questa non tutti la intendono a un modo: per voi altri frati è un vestito; io non ve la posso perdonare, massime che mi faceva bisogno dei vostri frati e di voi... A questo punto Giocante si accostò ai due che parlavano, ma il capitano finse di non lo vedere, e continuò: — aveva proprio bisogno dei vostri frati e di voi perchè mi aiutaste a scaricare il bastimento. — O che ci avete preso per camelli? — Io vi ho preso per buoni patriotti, capaci a mettere in terra presto e bene un carico che preme molto al generale e alla patria. — Com'è così, torna onorata ogni cosa. — Ma non basta; è necessario, date retta, è necessario che ve ne andiate in chiesa, e la sgombriate fino all'altare maggiore; se trovate accesa unicamente la lampada del Santissimo Sacramento, lasciatela stare, fuori questa, le altre spegnete; le casse mettete da un lato, i barili dall'altro, il ferro e le cuoia a rinfuso nel mezzo: intorno alla chiesa piantate in sentinella quattro religiosi perchè con parole oratorie persuadano la gente a non si accostare; ma siccome potrebbe accadere, che delle parole non facessero caso, così per cautela, ho recato certi moschettoni, i quali distribuirete ai predetti quattro religiosi con raccomandazione, che, occorrendo il caso, non gli lascino dormire; con altri frati, che potrete darmi, valendomi ancora di parte della ciurma, ordinate la catena, per mezzo della quale uno passando all'altro il barlozzo o la cassa, in breve ora avremo sgombrato la galera. — Ma non si potrebbe fare con maggior comodo e meglio queste cose domani? — Eccoci qui da capo per perfidiare; e parrebbe che non fosse stato mai frate: e sì che avreste a sapere, che il primo obbligo del frate, e (qui si volse di un tratto a Giocante) del soldato, consiste nell'obbedire. O signor Giocante, mi perdonerete se prima di aggiustare i conti con voi, io penso a mettere in sicuro il carico.... non lo farei se non appartenesse al governo. — Capitano Angiolo, di grazia non vogliate rammentare le parole dette sul mare; il vento se l'è portate via. — Non così; ogni mancanza merita punizione. — Quanto a punirmi poi... — Tacete, la vostra punizione sarà vigilare in terra a che il discarico succeda con massima puntualità: vorreste ricusare questo servigio alla patria? — Quanto a questo eccomi pronto con tutto il cuore. — Vedete? voi v'inalberate di nulla. Prima vi tiravate addietro arruffato, adesso che mi avete udito, veruno riuscirebbe a farvi metter giù questo carico. Crescete il peso dall'altra parte perchè la vostra bilancia possa andar giusta. L'orologio della parrocchia batteva le due dopo la mezzanotte, e la gente rifinita dalla stanchezza camminava come ebbra con le palpebre socchiuse, quando il capitano Angiolo, volto al padre Bernardino e Giocante, domandò loro: — Dov'è andato il signor Altobello? — In verità non lo so, rispose il frate: appena sceso in terra, una donna lo ha arroncigliato con una furia di amore materno... — Dite piuttosto con la ferocia del gatto salvatico.... — Sicuro, voi dite bene, Giocante, ci era anco del gatto, e se lo portò Dio sa dove... — Andiamo a cercarlo perchè lo vo' salutare. — O non sarebbe meglio andarcene a dormire? — Ouf! padre Bernardino, vi dico, che ho bisogno di salutarlo. E domandando seppero il luogo dove Alando si era riparato con la madre sua: apersero pianamente l'uscio, un lume ardeva sul lastrico, sicchè poterono vedere di colta una donna di sembianze severe, assettata sopra un letto di paglia, con le spalle al muro, in grembo della quale dormiva Alando; ella non faceva altro che, guardato il figlio, levare gli occhi al cielo; guardato il cielo, declinare gli occhi sul figliuolo, come se volesse condurre Dio in terra a pigliare sotto la sua speciale protezione il figliuolo, deporre l'anima di questo nel grembo di Dio come adesso ne riposava il corpo sopra il suo grembo. Anche le mani teneva giunte insieme, ma tratto in tratto le spaiava o per asciugargli il sudore o per iscacciarne qualche insetto pertinace a recargli fastidio. Michelangiolo ma Michelangiolo solo, se a caso si fosse imbattuto costà, avria saputo cavarne modello a significare in marmo lo abisso della gioia materna da mettere a riscontro della _Pietà_, abisso di dolore di madre, da cotesto Divino confidato alla pietra. Padre Bernardino, che la riconobbe, senza appunto avvertire lo strano arnese nel quale in quel momento si trovava, le si accostò alla domestica dicendo: — Siete qui, donna Francesca Domenica? Oh! che miracoli sono questi? La madre, interrotta nelle soavi cure, gli sbarrò in viso certi occhi truci da mettere i brividi addosso ad ogni fedele cristiano; ma l'altro senza scomporsi: — Oh! che vi ribolle, ne'! Francesca Domenica, che mi fate gli occhiacci? — Qual siete voi? andate via! — Questa la è nuova di zecca! dopo dieci anni arrivo adesso, e voi mi volete mandar via? Intanto Altobello destandosi si era ritto in piedi, e vergognoso di avere piantato in asso la compagnia, stava per farne le scuse, quando il capitano Angiolo lo prevenne parlando. — Signore Altobello, vi domando perdono se sono venuto a svegliarvi, ed a voi pure, signora, domando umilmente perdono se vi levo per un minuto il figliuolo dal seno: mi pareva non potere partire col cuore contento se non avessi detto addio a voi come agli altri nostri compagni di viaggio. Addio dunque, datemi tutti, e pigliatevi un bacio; desidero, e spero che ci rivedremo quaggiù; ma se a Dio piacesse altrimenti, ci rivedremo ad ogni modo, perchè il nostro padre Bernardino ci ha fatto toccare con mano col suo libro, che chi muore per la patria va in paradiso senza passare pel purgatorio, e, padre, scusate, il mio cuore me lo aveva detto prima di voi.[16] — Come! volete partire subito? Non piglierete un'ora di riposo? Che prescia è questa? Si udiva domandargli d'intorno ed egli: — Mi tarda di andare a rendere la bandiera di Francia allo sciabecco che me la imprestò, e vedere se mi riuscisse fargli inalberare la côrsa. Signor Giacomo, voi mi avete promesso, che al nostro Generale raccontereste quanto avreste veduto. Di grazia accostatevi. Così parlando raccatta di terra il lume a mano, e messolo sopra una botte, che lì si trovava a caso, si cavò dal seno uno astuccio di foglia di argento; da questo aperto trasse fuori una lettera, che spiegò con tremito religioso, e lesse con voce strozzata: — Al signor Angelo Franceschi. Casinca 4 ottobre 1768. Il vostro zelo ed onoratezza hanno riscosso gli applausi di tutta la nazione, dalla quale sarete contradistinto: ed io vi farò conoscere quanto vi sono particolarmente tenuto. Se vi faranno proposizioni indegne del vostro coraggio, dite per unica risposta: viva la libertà! Cordialmente vi saluto. Il generale Paoli.[17] Dopo averla ripiegata, chiusa nello astuccio e bene assicurata sul petto riprese: — Voi gli direte, che il capitano Angiolo ha sentito farsi proposizioni infami, e non le ha respinte, anzi le ha accettate; ditegli, che egli prese in prestito una bandiera francese, ammainò la côrsa, ed in sua vece inalberò la nemica... però aggiungetegli tosto che il capitano Angiolo lo ha fatto per salvare cento e più patriotti come questi (e qui toccò le mani a padre Bernardino, ad Altobello e a Giocante), ed un amico, come siete voi, alla patria: e questo è già molto; e l'ha fatto eziandio per condurgli sano e salvo un carico di armi e di polvere, dal quale può dipendere la salute della patria, stante le angustie in cui ella si versa; di qui il mio abborrimento a combattere, e di qui l'odio per la vostra pipa, signor Giocante: per ultimo ditegli che, depositate in terra anime e beni, egli, senza porre tempo fra mezzo, si è partito per andare a vincere o morire onoratamente combattendo i nemici. Altobello gettò le braccia al collo di sua madre, e singhiozzando disse: — O mamma mia, quando avrete un figliuolo che rassomigli al capitano Angiolo? Padre Bernardino, dopo essersi sentito mareggiare il terreno sotto più che non aveva provato la galera in mare, cascò di stianto ginocchioni, e presa la mano del prode uomo la baciava e la ribaciava; intanto Giocante, levatesi le pistole di tasca, le porgeva al capitano con queste parole: — Capitano, io vi supplico di accettare queste pistole, perchè ogni volta vi capiterà gettarvi gli occhi sopra, vi rammentiate di un folle, che voleva spararvele nel capo per traditore. — No, tenetele per voi, che vi faranno bisogno più spesso che a me; e il paese soffre penuria di armi; d'altronde quando mai potessi dimenticare Giocante Canale, io vado persuaso che i vostri gesti mi riporteranno il suo nome più spesso che io saprei desiderare. Il signor Giacomo, anche prima che Giocante avesse offerto le pistole, aveva pensato lasciare al capitano qualche pegno che a lui lo ricordasse, e da prima si fermò sulla tabacchiera ma subito dopo conoscendo quanto necessario arnese gli fosse, torse lo sguardo altrove e lo posò sopra un anello che aveva in dito, ma questo era ricordo della sua madre defunta: allora la sua volontà cominciò dentro a ondeggiargli dalla scatola all'anello come la cima di un cipresso al rovaio: quella, bisogno frequente del naso; questo, bisogno perpetuo dell'animo; si rinnovava la battaglia antica tra lo spirito e la materia, e il signor Giacomo uscì da cotesto parapiglia da galantuomo par suo, imperciocchè sporgendo la scatola: — Quanto a questa spero non ricorreranno i motivi delle pistole per escluderla, però quando ci anderete a cercare una presa di tabacco.... — Io non piglio tabacco, signor Giacomo, e levare a voi la tabacchiera sarebbe proprio come rubarla di su l'altare. Mio buono e generoso Inglese, se in qualche parte vi piacqui, se in alcuna cosa vi parve io meritassi di voi, vi supplico a mani giunte di un guiderdone, e questo sia avere a cuore il generale Paoli e la mia patria. — Mio degno amico, sì, quello come padre, questa come madre. — Il gallo chiama Francesca Domenica alle opere diurne; deposto soavemente il capo del figliuolo, ella lo ricopre col _pilone_ affinchè la brezza mattutina non lo raffreddi, poi si fa ad esaminare il fornimento dell'ospite e del figliuolo. Egli era negozio serio quello del signor Giacomo: due valigie, e come pese! una sacca, una cassetta e un mazzo fra ombrello, canna e spada: a considerare tante robe la donna alza le mani quasi per dire: manco male, che colui non si porta dietro la casa; allora va e soppesa anche la valigia del figliuolo, e la trovando, fuori di ogni presagio, grave, si stringe nelle spalle; intanto si accosta ai labbri uno dopo l'altro il pollice, l'indice e il medio, e mormora: tre di certo, ma ce ne bisogneranno quattro; e via fuori dell'uscio. Attinse una mezzina di acqua, e la portò nella stalla ad abeverarne il ciuco; tratte da una sacchetta tre manciate di castagne gliele mise per profenda davanti; ma subito dopo pensando che quel giorno avrebbe fatto cammino sforzato, gliene crebbe due altre: uscita all'aperto, mentre andava in fretta verso una casa, vide una capra che, scioltasi durante la notte, brucava le cime del polloni agli ulivi, ond'ella presto presto la ridusse al laccio e proseguì; in questa una donna al bruzzo la prega: mi fareste la carità a darmi una mano a mettermi questo fascio sul capo? e Francesca Domenica, preso il fascio di legna da un lato, le rende il servizio; dopo le chiede: mi sapreste indicare dove potrei trovare bestie da prendere a nolo? — Ho il fatto vostro, voi non avete a far altro che andare in cotesta casa lassù, e chiedere dello Zembo vetturale. — Buon giorno e buon anno, disse Francesca Domenica dando una spinta all'uscio, dubitando che a codesta ora dormissero in casa tuttavia, ma rimase delusa, chè si trovò a petto di un'altra donna non meno sollecita di lei, che avendo già acceso il fuoco, e scaldato il latte, adesso ci buttava giù la farina di castagna rimuginando sempre per impedire li zolli, e preparare una scodella di _brilloli_ superlativi; costei levò il capo di su la pignata e rispose: — Buon giorno. Qual siete? E che volete? — Vorrei pigliare a nolo quattro muli o cavalli per tre o quattro giorni. Gli avete? Volete darli? Quanto prendete per giorno? — Noi non gli abbiamo tutti; possiamo cercare quelli che mancano; ma dove hanno a ire? — A Corte. — Viaggio lungo. — Lungo. — E pericoloso; il mozzo ha da venire con voi? — Sì. — Strade dove spesso le bestie capitombolano; nemici nel paese alla busca, e se si perdono, chi me gli rimette? — I muli non sono fatti mica per stare in convento; coteste strade pure hanno a correre e a ricorrere, e non sarà da oggi che le passeggeranno; quanto a' nemici è un altro paio di maniche: se vi saranno ritenuti ve ne manderemo altrettanti, e meglio dei vostri. — Bo! Spaccata pomontinea,[18] e tacque. — Insomma li volete dare o non li volete dare? — Assicuratemi prima che me li rimetterete sani e salvi, poi parleremo del resto. — E come volete che io vi assicuri? — Datemi un pegno. — Un pegno? Vi darò questa croce di oro? E la donna, tirato avanti il mento e col labbro di sotto copertosene il superiore, faceva atto di disprezzo. — Non vi basta? eccovi questi orecchini. — E la donna ripeteva il gesto. — Aggiungerò questi anelli. — Fossero tutti di oro potrebbero bastare, ma ci vedo questi vetri che non valgono una baiocca. — Vetri! baiocca! Ma sapete che sono diamanti del valsente mille volte superiori all'oro? — E via spaccate; ad ogni modo vo' contentarvi, mi darete cinquanta soldi al giorno per bestia, con questo che ci mettiate la profenda di vostro, e li ferriate a vostre spese caso mai venissero a sferrarsi: il mozzo verrà pel vitto e venti soldi al giorno. — Domine, aiutateci! tanto varrebbe a comprarli addirittura. — E tu comprali. — Su via non istiamo a bisticciarci, vi darò trenta soldi al giorno per capo. — E tu comprali. — Vada per trentacinque. — Se casca un quattrino da cinquanta soldi, voi non gli avrete. — Pazienza! mi provvederò altrove, rendetemi le orerie, certo io non avrei mai creduto di trovare tanta mal fidanza, nè tanta tenacità; ma voi altri del Capo Côrso siete mezzo Genovesi. — In Capo Côrso, come per tutto il mondo, ce n'è dei buoni e dei cattivi, interruppe una voce di uomo che apparve sull'uscio; tu poi, moglie mia, venisti al mondo per levare la riputazione alla Immacolata, rendi le orerie, brutta scimmia, e ringrazia Dio se non ti lascio sulle costole la memoria di questa giornata. Va via, levamiti davanti gli occhi. La donna uscì non prima però di aver levato la pignatta dal fuoco per paura che i brilloli pigliassero di bruciato e nello andarsene brontolava: — Sono più vicini i denti che i parenti; se manca pane, raccatterò le ghiaie per darle ai vostri figliuoli. — Non vi state a confondere; dicendo voi che noi altri siamo Genovesi, per questa volta avete colto nel segno meglio che non credevate, perchè mia moglie mi viene diritta diritta da Genova; quanto a interessi certo è stretta più della cruna dell'ago, un po' per genio, ma troppo più per necessità: in tutto il resto è una spada: se per amore dei figliuoli vi riuscì fastidievole, voi madre scusatela. Sappiamo chi siete, sappiamo ancora la causa che vi muove a cercare le bestie da soma; padre Bernardino ci ha ragguagliato di ogni cosa, noi tutti dobbiamo tenerci bene edificato l'ospite illustre.... così imponendo l'antica riputazione di ospitalità della nostra patria, e le angustie nelle quali viviamo. — Avrete quatto bestie, quello che non si potrà mettere sulla schiena dei muli, porteranno le donne. Signora Alando, non vi sia per rimprovero, ma vogliate credere che anche qui a Capo Côrso il popolo palpita per la salute della patria. — E questo è ciò che non si potrebbe negare senza taccia di follia, o senza essere presi dalla ira; e voi sapete che ira è breve insania. Altobello ed il Boswell erano già in piedi, e pronti a partire; Giocante aveva tolto il carico di portare la lettera al Giacomini a Centuri; il padre Casacconi si scusava di non potere accompagnargli più oltre volendo dare una giravolta pei conventi del Capo Côrso, e vedere da sè se vi era cresciuta la buona semenza, ovvero frammesso il loglio della perdizione, gli avrebbe quanto prima raggiunti. Francesca Domenica di ciò si mostrava lieta, perchè ormai le tardava tornarsene a casa, chè le faccende dovevano soffrire; e qui disse avere apprestato le bestie e le donne pel viaggio, nè tacque il come. In questa comparvero i quattro muli ed il ragazzo; Francesca Domenica, invano contrastandolo Altobello, cavò fuori il suo, e gli mise gli arnesi; intanto il signor Boswell, chiamato a parte padre Casacconi, seco lui si trattenne breve ora, e parve a fatica lo persuadesse su qualche punto di quistione sorta fra loro; sopraggiunsero anche due donne, le quali, un po' per difetto dei muli, un po' perchè la cassa, la sacca e lo scrittoio del signor Giacomo mal si adattava sul basto dei muli, si proffersero portarle in capo; parve la cosa sì enorme al buon Inglese, che non voleva assentire a verun patto, ma le donne lo supplicarono a non defraudarle di codesto guadagno; per loro camminare due giorni o tre con quei ninnoli in capo gli era, si può dire, un trastullo, molto più che munite della pietra quadra non poteva vincerle la stanchezza, e così favellando si cinsero sotto il ginocchio un dado colore di ferro. Avendo domandato il signor Giacomo che cosa tutto ciò significasse, gli fu risposto che la pietra _catochite_ era una pietra come vedeva, cuba e ferrigna, glutinosa a modo di pania, di cui avrebbe incontrato copia a Origlia sotto la torre di Seneca: correre antica credenza che, attaccata sotto il ginocchio sinistro, partecipasse in quale la portasse la virtù di non si straccare mai. Il signor Boswell si strinse nelle spalle, e prese tabacco.[19] Frate Bernardino così ordinò la cavalcata: tre muli carichi di una valigia per uno (chè l'angustia delle strade non permetteva ingombro maggiore) precedevano col mozzo, seguitavano le due donne; sul mulo più grosso a quando a quando sarebbero saliti Francesca Domenica, o Altobello, e per la piana ambedue. Per ultimo il signor Giacomo sul mulo di casa Alando, coperto di un bel manto vermiglio da disgradarne un cardinale. Padre Bernardino, reiterati tre o quattro volte i saluti, andò pei fatti suoi; gli altri, compresi il Côrso, proprietario delle bestie, e la genovese consorte, gli accompagnarono un pezzo, poi dopo mille augurî di buon viaggio tornarono addietro. La sottile massaia genovese rientrando in casa non ebbe poco a maravigliarsi vedendo in mezzo della stanza padre Casacconi seduto sopra un sacco, il quale, appena ebbe scorta la donna, si rizzò in piedi e le disse: — Ecco qua, Caterina, il Signore vi ha provveduto, questo è un buon sacco di grano, ch'egli vi manda, e questi scudi per le spese dei vostri figliuoli: ringraziate dunque Dio, e pensate che quando si rende servizio alla libertà, sempre di là, e più spesso che non si crede di qua, se ne riceve mercede. — Potrei sapere chi mi ha mandato questa carità?... — I've l'ho detto; Dio. Non vi basta? E sì che la curiosità perse la prima donna, e da cotesta ora in poi avreste potuto emendarvene. — Eh! padre mio, non era per questo, bensì per pregare Dio in pro' del nostro benefattore. — Il nome non fa nulla; pregate sempre. Dio lo ha veduto, non abbisogna di certo che voi gli diciate chi sia. Il viaggio dei nostri pellegrini era per Tomino, donde per la valle di Luri, traversato il Capo Côrso, intendevano ridursi al Pino, o a Beretali. Mentre passo passo s'incamminavano alla prima stazione, il signor Giacomo incominciò a dire: — Capisco ancora io, signor Alando, che ai tempi della cavalleria si tributava alle femmine riverenza eccessiva, e sto per dire che scemata di una buona metà se ne sarebbe appagato anco Dio; ma i Côrsi poi mi pare, che trattino le donne come se non fossero madri o mogli di loro. — Io penso che v'inganniate, perchè è difficile, che tra noi un Côrso vizii una fanciulla e poi la pianti. — Bene; ma avverto che ciò potrebbe accadere piuttosto in grazia della paura pei parenti, che del rispetto alla donna. — E non vi sembra carità grande quel collettarci che costuma fra noi per fare la dote alle fanciulle povere? Non reputerete amore quel coltivare _gratis et amore Dei_ i campi della vedova e della orfana? — Carità e fiorita, non rispetto; per ordinario la donna lavora, e il marito fuma; ospitando gente la donna non siede, bensì serve a tavola; ella va scalza, l'uomo calzato; ella sempre a piedi, e per giunta col fascio della legna in capo, l'uomo dietro a cavallo; che più? entrando in una casa al Macinaggio ho veduto una grama femmina girare la mola per macinare il grano. [Illustrazione: .... aperto pienamente l'uscio, fu potuto vedere una donna di sembianze severe, assettata sopra un letto di paglia, in grembo della quale dormiva Alando. (_pag. 153_)] — Questo ho sentito dire, che trae origine dalle inimicizie, flagello antico del paese, imperciocchè l'uomo dovesse poggiare in alto per iscoprire gli agguati camminando con la barba sulla spalla, e la mano su l'archibugio. — Benissimo; ma com'entra questa scusa col macinare il grano in casa? — Perchè l'interno della casa è reame esclusivo della femmina. — Bene; anzi male. Bello impero davvero quello dove il re è condannato alla parte di schiavo! Mio giovane amico, soffrite che io vi ammonisca, che chi tutto vuol difendere per ordinario non discolpa nulla. La nemica mortale dell'ammenda è la prosunzione: ora lo stato in che senza rimorso o vergogna mantenete la donna fra voi, mi dà la misura giusta della barbarie nella quale vivono gli uomini. E tacquero, finchè non furono a Tomino; qui giunti, mentre passavano davanti la chiesa, al signor Giacomo venne fatto vedere nella nicchia, a destra di cui mira la facciata, una bomba di ferro, onde piacevolmente interrogò: — Gli è un santo côrso cotesto? — No, è un predicatore, che ci hanno mandato i Genovesi, rispose un Côrso che in cotesto punto passava, il quale dì e notte come dal pulpito bandisce, che dai forestieri non ci dobbiamo aspettare miglior bene di quello. — Però i Genovesi non giunsero mai ad espugnare Tomino; e gli uomini di questo paese traendo alla chiesa, nel vedere la bomba, ne cavano argomento di supplicare con tutta l'anima Dio, che alla occasione non ci faccia peggiori dei nostri padri. Se vi piace scendere, vedrete il Tabernacolo, meraviglia della Corsica, sto per dire del mondo. Scesero tutti, ed entrarono nella Sagrestia, dove sta esposto il modello di legno assai bene architettato, e condotto con fino lavorio, pure non tale da meritarsi codesta lode smodata; senonchè la guida aggiunse: — Prima era tutto di argento, donato alla chiesa da un Filippi arricchito in America, a cui costò un milione e mezzo di lire; prima di disfare il Tabernacolo di argento ne cavammo questo modello per memoria dell'opera, non del dono; avrete forse sentito a dire o sentirete da qualcheduno che noi Tominesi repugnando dal dare il nostro Tabernacolo al generale Paoli pei bisogni della patria, lo sottraessimo mettendolo sotto terra; non gli date retta; fummo proprio noi che glielo andammo a profferire, come offrimmo a Roma il magnifico ostensorio di argento del peso giusto di un rubbo, e il Papa in beneficenza ci promise quattro scudi romani all'anno! — O pelo o pelle con Roma bisogna lasciarci, pensò il signor Giacomo; nè anco l'uno per cento senza contare la fattura: la Curia romana è donna, ma non ebbe mai bisogno di curatore: poi a voce alta chiese: avete detto promesso; per avventura non li pagarono mai? — No, signore, li pagarono per pochi anni; in seguito le disdette della chiesa non permisero retribuire più oltre questo piccolo censo. — Ahimè! si direbbe, che la vigna del Signore sia peggio trattata di quella dell'empio; colà sempre grandine, sempre tempesta. Altobello, pauroso che il colloquio pigliasse piega spiacevole per la madre sua piuttosto pinzochera che devota, unica macchia fra tanto splendore, alzando il dito accennò: — Vedete cotesta torre là? noi altri la chiamiamo la torre di Seneca, e tutto questo distretto ha nome da Seneca. — Se questo fu il luogo della relegazione di Seneca, certo non si riconoscerebbe per la orribile descrizione ch'egli ne fa nella epistola ad Elvia sua madre, ma il tedio dell'esilio glielo avrà fatto comparire più tristo, e da quel tempo in poi voglio credere, che la natura e la industria lo abbiano reso più bello. — Poi oltre la torre troveremo Mercurio, dove la fama narra, che Seneca fosse flagellato con le ortiche dalle donne a cagione della sua incontinenza. — Ohibò! coteste mi paiono grullerie: vi sembra probabile, che Seneca fra tante angustie avesse capo a siffatte novelle? Uscito di Roma, sazio di femmine senatorie e imperiali, come supporre, che gli venisse vaghezza di rincorrere le donne per questi balzi a mo' di Satiro? Che ne dice la mia rispettabile signora Francesca Domenica? — La medesima vendetta si racconta che le donne di Bonifazio e di Sollacarò abbiano preso in simile occasione; ma io le reputo favole tutte, perchè la donna prudente difende l'onore suo, e non ostenta la difesa, sentendosi abbastanza umiliata dal sapere, che altri con parole, anzi pure col pensiero, le abbia recato oltraggio. — Bene, mia signora, bene. Ma il fine pel quale Altobello aveva intromesso discorso, gli venne tronco appunto per causa del medesimo, imperciocchè la piissima madre riprese a dire: — Invece di trattenervi in queste pantraccole avrebbe dovuto il mio figliuolo raccontarvi come oltre quel poggio di Pietra Corbara in riva al mare sorga il santuario di santa Caterina, dove tra le altre sante reliquie si conserva una zolla di terra adoperata dal Padre eterno nella creazione dell'uomo. — Che mai dite, mia rispettabile signora! proruppe il signor Giacomo levandosi alto su le staffe. — Già; una zolla di terra servita alla formazione del nostro padre Adamo. — Diavolo! esclamò da capo il signor Giacomo, e stava lì lì per uscire dai gangheri, senonchè alzata la faccia occorse negli occhi di Altobello, i quali con muto linguaggio lo supplicavano ad avere misericordia della fede di quella semplice donna; ed egli che filosofo veramente era, e per ciò tollerantissimo, si astenne di portare lo scompiglio nell'anima di lei con importune considerazioni; solo facendo l'atto del tacchino quando ingola una noce, tacque, e la donna soggiunse: — Ed oltre la zolla ci ha un vaso di manna raccolta nel deserto; un frammento della verga non ricordo bene se di Aronne o di Mosè; alcune goccie di latte della Madonna, e parecchie gugliate di refe, torto proprio con le sue sante mani. Il degno signor Giacomo sostenne bravamente la enumerazione di coteste reliquie come un granatiere inglese la scarica di una cannonata a mitraglia, rinnovando però ad ognuna l'atto del tacchino che ingola le noci. Così ora tacendo, ora alternando i ragionamenti, arrivarono, traversato il Nebbio, su i gioghi di Lento e Canavaggia, donde scesero nelle strette del Golo a Pontenuovo, già famoso per la resa dei Tedeschi al prete Castineti, e sortito dai cieli a ben altra, e per questa volta, lacrimevole celebrità. Intanto che scendevano da Lento, Francesca Domenica indicando i colli dalla parte opposta della valle avvertì: — Vedete colà quel paese? Lo vedete? Lì dietro giace la terra benedetta che ha dato alla Corsica il generale Pasquale Paoli, mio cugino _in terza_. — E usciremmo molto di strada se andassimo a visitare la sua casa? — Non troppo, no, chè, per Saliceto e Pietrarossa riusciremo verso Omessa sopra la strada di Corte. — Dunque... con voce un po' tremante dalla commozione incominciò il Boswell, e la Côrsa conchiudendo in fretta: — Venitemi dietro, che io vi condurrò fin là; e voi altri proseguite, che vi raggiungeremo. Allora Francesca Domenica, seguitata da Altobello e dal Boswell, salito il colle, arrivò alla valle, e lasciatosi dietro Morosaglia, giunse alla Stretta nella pieve di Rostino. A mano a mano che si accostavano, il luogo sembrava, e veramente si empiva di orrore religioso; pareva lo sbocco di un vasto torrente, qua e là seminato di massi enormi, fra mezzo i quali scendevano mille rivoli di acque, che ripetendosi da più parte gli echi, e confondendo le voci, mandavano intorno come un fremito di armi. E com'era vocale la terra, così dall'alto non iscendeva meno misteriosa la copia dei suoni; questi poi uscivano dalle fronde di castagni secolari, i quali mossi dal vento susurravano, e a volta a volta, o coprivano di ombre il sentiero, o vi lasciavano penetrare un raggio fulgidissimo di sole; passato il torrente, le coste si alzano blande, a scaglioni alberati tutti di castagni, fra cui l'occhio spazia lontano di viale in viale, sicchè tu credi infinito quel bosco. Non pertanto alla svolta di un poggiuolo, custodita dalle ombre di parecchi castagni apparisce la casa del Paoli. — Qui è nato da Giacinto Paoli e da Dionisia Valentini mia cugina il generale Paoli nel 1724. Il Boswell vide attonito due corpi di fabbrica coi tetti dispari, e formanti insieme una casa di cui il più umile dei fattori si sarebbe appena giovato; poche le finestre ed anguste, la porta ottimamente munita d'imposta ferrata, alla quale non si poteva giungere che con molta difficoltà. Poichè rinvenne dallo stupore il Boswell chiese, se avrebbe potuto, senza indiscretezza, visitare dentro. — Signore! rispose Francesca Domenica, o chi para? — E qui con una specie di fischio acutissimo incominciò a urlare: — Minugrò, Marifrancè, Orsantò. Cotesti fischi avrebbero avuto la virtù di resuscitare i morti senza altrimenti attendere la chiamata degli Angioli, pensate se di far correre i vivi: di fatto indi a breve tra la macchia s'intese un grido come di cuculo; dopo altro spazio di tempo comparve un villano, che, riconosciuta la donna, con grandissima dimestichezza favellò: — O signora Francedomè, siete voi? Il generale non ci è, e nè anche Minugrò e Orsantò: entrate a rinfrescarvi. Dove siete stata? Donde venite? Questi signori chi sono? — Questo è mio figliuolo Altobello, questo altro è un signore nostro ospite e amico, sono andata a riscontrarli, e torno con essi a casa. Il villano, dopo aver bene udito queste cose, schizzò fuori dei denti uno spruzzo di saliva verde a cagione del sugo dell'erba che masticava, e forbitosi col rovescio della man manca le labbra abbracciò e baciò Altobello; volendo in seguito praticare la stessa cerimonia col Boswell, questi lo respinse mettendogli con quanto possedeva di forza il pugno al petto: per la qual cosa il Côrso aggrondato brontolò: — Per Dio santo, o che frulla a costui? Senonchè Altobello sovveniva pronto a quel frangente mormorando nelle orecchie al Côrso: — Costà nelle parti d'Inghilterra il bacio tra uomini non usa, e il vostro ospite è inglese. — Allora muta aspetto, e ripresa la consueta compostezza il Côrso soggiunse: — Passeremo dalla Cappella ne'? Entrarono in una stanza terrena foggiata a modo di Cappella, nè priva di eleganza, certo poi netta e fresca come se fosse nuova. Appena Francesca Domenica vide una lampada accesa davanti la immagine della Immacolata ed uno inginocchiatoio ci si gettò giù di sfascio; Altobello e il Boswell l'ebbero ad imitare a scanso di scandali: questi dopo convenevole intervallo levò il capo per iscoprire marina, ma la donna teneva sempre gli occhi chiusi, e la faccia bassa su le mani giunte; dopo lui, e scorso altro spazio di tempo, si provò di specolare Altobello; non ci era apparenza di prossima fine; tossirono, starnutarono: peggio! Ci volle pazienza, chè la Francesca Domenica quinci non si rimosse se prima non ebbe votato e scosso il sacco; per ultimo fattasi il segno della redenzione, con un bellissimo inchino si licenziò dalla Immacolata. Allora passarono nel celliere, a giudicarne dai vasi vinarii di ogni maniera sparsi qua e là: donde per via di scala di legno, che metteva capo ad un'apertura nel pavimento, riuscirono al piano superiore. — Occorse agli occhi del Boswell una sala vastissima cui faceva soffitto la travatura del tetto con un camino proporzionato alla grandezza del luogo nella parte meridionale; il camino, come ogni altro antico di Corsica, pareva dilettarsi a distribuire imparzialmente il fumo fuori e dentro casa, imperciocchè i travi, le muraglie e tutto in cotesta sala apparisse ingrommato di vernice nera: mobili unici una tavola in mezzo, parecchi seggioloni a braccioli con la spalliera diritta, e la predella ignuda da cuscino; su la parete a tramontana, un quadretto, che forse conteneva una immagine, ma stante la piccolezza sua e la distanza non era dato distinguere. Tutto questo com'è da credersi, fu presto veduto; però senza quasi fermarsi passarono in certa cameretta quadra, di forse sette passi, a otto non ci arrivava, per lato, e qui videro una cassa, una scrivania, una seggiola, uno inginocchiatoio; nella parete sopra lo inginocchiatoio coi bullettoni inchiodate due stampe, una rappresentante la inevitabile Immacolata, l'altra il ritratto di Sampiero D'Ornano: in fondo della stanza un arco, non però in mezzo della muraglia, bensì tutto su un lato, per la quale cosa mentre a sinistra del riguardante posava sopra un pilastro fuori di tutte le regole largo, a destra finiva ad angolo acuto sopra la stessa parete; la tenda di bordato larga quanto l'aria dell'arco, impedendo la vista, il maggiordomo di casa fu sollecito di tirarla, ed espose per questo modo un lettuccio, una scranna, e un lavamano. Il signor Boswell con qualche leggera impazienza disse: — Non importa che mi mostriate di questa casa più oltre; menatemi addirittura al quartiere del signor generale[20]. — Gli è bello e finito; nelle altre camere abita la famiglia, cioè i cani e i servitori. Il signor Giacomo trasecolava, anzi considerando più minutamente vide che le finestre non andavano munite di cristalli, e di vetri, bensì da impannate, onde non potè trattenersi dallo esclamare: — Senza vetri! Senza cristalli! Qui siamo ai tempi di Adamo; per lo meno a quelli di Noè. — Veramente prima che il signor generale venisse da Napoli, io ce li feci mettere, ma egli entrato in casa, tostochè li vide, li ruppe col bastone che teneva in mano, dicendo: impannate ci lasciai ed impannate io ci vo' trovare: anche traverso il cristallo il lusso entra nelle case, e allora addio parsimonia, senza la quale la repubblica è vergone da civettare beccafichi. Il Boswell taceva, solo non rifiniva di cacciarsi su nel naso tabacco sopra tabacco. Rientrato in sala il maggiordomo convitò gli ospiti a mensa, che parve al nostro Inglese più che patriarcale davvero: sopra rozza tovaglia avevano posto un catino di zuppa di magro, copiosa di legumi e di erbe; accanto al catino due zucche, una piena di acqua, l'altra di vino, dove ogni commensale poteva dissetarsi a suo talento: assettatisi a tavola misero davanti al Boswell una scodella di zuppa, e gli dettero forchetta e cucchiaio di bossolo: non sentendosi troppo allettato da cotesta vivanda, egli si pose a considerare la posata fatta con bellissimo garbo, ma, per molto uso, pingue di grasso. Il manente notò l'attenzione dell'ospite, e non gli sfuggì nè anche un suo gesto di disgusto, ch'egli non valse a reprimere; per la qualcosa credè molto a proposito dirgli: — Vedete, signore, anche il generale da principio non ci si sapeva adattare, e ne scrisse a suo padre signor Giacinto buona anima perchè da Napoli gliene provvedesse di argento; il signor Giacinto ecco cosa gli rispose: — qui si levò da tavola, e salito su di una seggiola staccò dalle pareti il quadrettino, il quale appunto conservava sotto il cristallo la lettera del vecchio Paoli al suo figliuolo; lo porse al Boswell, che lesse: «Signor figlio. Mi congratulo con la patria e con voi per la espugnazione della torre di San Pellegrino; però sarebbe stato meglio, che più in tempo aveste avvertito come senza artiglierie non si potesse pigliare: adagio col sangue altrui; del vostro siete padrone. Quanto alle posate di argento che mi chiedete, innanzi di mandarvele mi occorre sapere da voi se sia morto costà Solimano, che le faceva di legno, ecc. — Giacinto Paoli[21].» L'Inglese rimase sbalordito; incominciava quasi a temere di trovarsi al cospetto del Paoli: di vero leggendo Plutarco, nell'udire i magnanimi gesti, e i detti non meno mirabili degli uomini sommi, tu ricorri sovente a contemplarne le immagini, ma se fissandoci troppo la mente ti avvenga di credere, che gli occhi o le labbra loro si movano, ti si mette addosso la paura di trovarti così piccolo, così gramo, così imbelle, così insensato a tu per tu con un Temistocle, un Camillo ed anco con un Mario. Non ci ha prosunzione moderna la quale, urtando taluno di cotesti grandi, non caschi giù come vescica sgonfiata. — Molte cose ricercò del Paoli, e molte ne seppe che lo confermarono nell'alto concetto che aveva di lui: egli è da credersi che la notte lo avrebbe colto in cotesta casa, se Francesca Domenica non avesse sollecitata la partenza, essendo ormai l'ora tarda. Comecchè il sole fosse da parecchio tempo tramontato dai poggi, pure il cielo conservava tanto di luce, che i nostri viaggiatori usciti allo aperto potessero vedere, addossati ai monti dirimpetto, Omessa, Sueria, Castirla ed altri non pochi paesi. Francesca Domenica, a mano a mano che si accostava a casa, cresceva d'irrequietezza: parendole fastidioso il moto del mulo, scese e percorse spedita per quei colli al pari di un mufflo: ora cantarellava qualche frammento di vocero, ed ora (incredibile a dirsi!) anche qualche canzone di amore: allo improvviso stette, e: — Signore Inglese, incominciò, vedete cotesto paese là di faccia a noi? Lo vedete? Colà abita una santa donna mia cugina in _terza_, e ciò che importa se non di più, certo del pari, una donna che si farebbe mettere in pezzi per la Patria. — Bene; lo credo senz'altro, ed ha nome? — Eufrosina Cervoni; se il general Paoli viveva, debitore della sua vita prima a Dio, poi a lei. — E come andò, signora? Sto su la brace per saperlo. — Eh! ve lo direi se non temessi destare il cane che dorme: ad ogni modo quello che ho sul cuore, ho sulla lingua. La famiglia di mio marito parteggiò sempre pei Matra, massime per Mario; io non credei mai questo sciagurato venduto nè traditore, bensì ossesso di ambizione e di superbia: posposto al Paoli nel generalato lo avversò con le frodi e con le armi; riuscitegli vane ambedue, si gettò per disperato in braccio ai genovesi, i quali armatolo da capo lo vomitarono nell'isola a rinfocolare la guerra civile. Mentre il generale improvvido scorreva la provincia di Aleria, ecco il Matra cascargli addosso con ottocento uomini tra Zuani e Pietraserena, ond'egli ebbe di grazia scampare fuggendo; seguitato da quaranta uomini si chiuse nel convento di Bosio; sopraggiungono i Matristi, e chiusolo d'intorno, lo assediano; io non vi racconterò le vicende dello assedio, bastivi che non essendo stati soccorsi quei di dentro dopo due giorni di battaglia erano ridotti agli estremi; e ormai le porte incendiate cascando a pezzi aprivano la strada agli scellerati che urlavano: ammazza! ammazza! Per salvare il nostro eroe ci voleva un miracolo: e il miracolo fu operato per la virtù di mia cugina Eufrosina. Sentendo ella il pericolo del Paoli scese dalla camera soprana in traccia del figliuolo Tommaso, il quale stava seduto intorno al fuoco, gli porse lo schioppo e gli disse: — Tomè, che fate voi qui? Non sapete che il nostro generale corre pericolo? Pigliate lo schioppo e andate co' nostri a liberarlo, o a farvi ammazzare. — Tommaso non si movendo punto rispose che col Paoli aveva ruggine vecchia e non parergli vero che altri facesse la sua vendetta. — La vendetta non è da cristiani, nè da cittadini, se prima che io abbia recitato un Paternostro non siete in via, vi prometto abbandonare la casa vostra, lasciandovi invece la maledizione di una madre. — Tomè non se lo lasciò dire due volte, e messasi la via tra le gambe arrivò a tempo per salvare il generale. Dicono che di colta ferisse Mario in un ginocchio: o egli o altri, fatto sta che ferito rimase e poco stante morto di molte ferite; dicono ancora che il generale nel vederlo cadavere piangesse; e su ciò la verità al suo luogo, perchè quello che ci fosse da piangere, io non ci so vedere; ciò che non si potrebbe negare si è che egli gli fece fare onesti funerali; nè di più deve attendersi da cui teneste nemico. — Lo zio, riprese Altobello, che si trovò in cotesto tafferuglio, mi assicura che il Cervoni con Giovannifelice Valentini molto contribuirono ad accertare la vittoria del Paoli, ma quelli i quali veramente lo salvarono, furono due popolani Pierinotto da Fornoli e frate Ambrogio; questi sul campanile senza far conto delle palle, non altrimenti che fossero castagne, picchiava la campana a martello, l'altro accorrendo con poca gente sonò il _colombo_[22] per le macchie vicine con tanto furore, che i Matristi paurosi, di essere sorpresi cessarono l'assalto per andare alla scoperta dei sopraggiunti; lo zio mi disse ancora, la moschettata che colpì il signor Mario nel ginocchio essersi partita dagli uomini di Pierinotto, non già da quelli del Cervoni. — Sia come si vuole rimarrà sempre degno di memoria l'atto magnanimo di Eufrosina, — osservò Francesca Domenica, cui rispondendo il figliuolo disse: senza dubbio, senza dubbio. Intanto le ombre della notte si erano sparse sopra la terra, e Altobello, tenendo per la cavezza il mulo dove stava seduta la madre, lo mise dentro un calle angusto in mezzo di foltissima macchia, il quale faceva capo alla casa paterna per la via più diritta, imperciocchè Corte non fosse città murata, e la più parte delle case stessero a que' tempi sparse per la campagna come giovenchi alla pastura: essendosi per questo modo Altobello scostato alquanto dal signor Boswell e dagli altri compagni di viaggio, con bassi accenti si fece ad interrogare la madre. — Ma com'è che siete venuta, mamma, a incontrarmi fino al Macinaggio? Chi vi ha avvisato del mio arrivo? — Il generale. — Possibile! Egli non poteva saperne niente. — Eppure lo sapeva. Domenica scorsa mentre usciva da messa lo trovai sul prato davanti la chiesa; tostochè mi vede egli mi si fa dappresso, e mi dice: Buon dì e buon anno; come va la salute, cugina? — Eh! piaccia a Dio quando va male la vada sempre così. — Che nuove abbiamo dei parenti? — Di quali parenti? — Di quelli di Venezia. — Ne vivo in pensiero, perchè come saremo a Santa Giulia, correranno due mesi che non ricevo lettera di loro. — Non vi confondete, cugina, accertatevi, che stanno per arrivare. — Santa Vergine, che cosa mi dite! e verranno tutti e due, cognato e figliuolo? — Se tutti e due, non saprei, ma uno di certo e sarà Altobello. — Generale, non mi tacete nulla, ve ne supplico; capite... io sono madre. — Capisco tutto, epperò vi paleso che tra pochi giorni il vostro figliuolo arriverà al Macinaggio su la mezza galera del capitano Franceschi, almeno così spero: ma subito dopo ripigliandosi ha soggiunto: — No, ne son sicuro. — L'ho ringraziato, e tornando a casa pareva una rondine: credo avere cantato per via, sicchè se la gente non mi ha creduta matta sarà stato un miracolo; spazzai la camera, mutai le lenziola di sul letto, misi in sesto ogni cosa, e poi badandomi bene d'intorno, affinchè nessuno mi frastornasse, sono venuta ad incontrarti. Altobello la prese per mano, e glie la baciò due volte, — e quindi a breve soggiunse: — Però cotesto annunzio del generale mi riesce strano. — Non fartene meraviglia, figliuolo, perchè il generale fu beneficato da Dio col dono della profezia, e te ne accorgerai. Il ragionamento tra la madre e figliuolo venne interrotto da uno scoppio di archibugio, anzi Altobello sentì persino quel sibilo che manifesta il passaggio della palla: subito dopo in lontananza urli e pianti disperati. — Ho paura sia successo qualche disgrazia, osservò Altobello alla madre. — Ne dubito anch'io, questa rispose, e proseguì in silenzio. Non erano andati guari, che fu udito per la macchia uno stormire come di cignale che rompendo le roste si faccia via traverso alla foresta: soprastettero sospettosi, intanto lo strepito più e più sempre si appressava; ad un tratto proruppe fuori della macchia un uomo di cui i gesti, per quanto lasciassero vedere le ombre della sera, palesavano il terrore; con le mani faceva l'atto di aprirsi le frasche davanti al passo, e il capo teneva volto sulla spalla manca, qual è colui che tema di vedersi inseguito. Nè badando, e nè credendo d'incontrare molestia per cotesta via, venne ad urtare con violenza nel petto di Altobello che allargate le braccia lo recinse a mezza vita prima che costui se ne accorgesse. L'effetto, che prima percosse il fuggitivo, fu la paura, a giudicarne dallo strido straziante che cacciò fuori; ma subito dopo prevalse l'amore della salvezza, dacchè incominciò a dare crolli da schiantare un pino. Altobello, quanto egli si sforzava svincolarsi, tanto intendeva con supremi conati a tenerlo stretto. Il signor Giacomo, studioso della libertà del cittadino, pensava se fosse lecito per mera suspizione privare, come Altobello aveva fatto, un uomo dell'esercizio delle sue facoltà; e intanto che discuteva la cosa stavasene a cavallo al mulo e non lo sovveniva. Dopo parecchie scosse riuscì allo sconosciuto sprigionare il braccio destro, che in un attimo cacciò nella tasca delle brache, e lo ritrasse armato di stile: già lo teneva levato per conficcarlo nelle spalle ad Altobello, quando Francesca Domenica, che alta era e gagliarda, con ambedue le mani gli attenagliò il polso, e costringendolo a piegare, tale vi impresse un morso, che lo sciagurato, sentendosi a lacerare carne e muscoli, con doloroso guaito lasciò cadere lo stiletto. Non per questo meno egli tentava scappare con ogni modo, e Altobello affannoso gridava: — Una fune, una fune! levate la cavezza ad un mulo. Il signor Giacomo appena ebbe ombra, che lo sconosciuto avesse cavato lo stile, non istette più a tentennare; ma anche egli si precipitava alla riscossa, se nonchè si trovò prevenuto dalla madre; e nondimeno il suo intervento fu utilissimo perchè appena sentì chiedere la fune, frugatosi in tasca fra un arsenale di arnesi rinvenne una matassa di cordicella; con essa adoperandovisi egli medesimo, legarono l'uomo, che grugniva maledizioni e bestemmie. Mentre lo legavano, Altobello non senza un po' di stizza, disse al Boswell: — Veramente potevate venire prima a darmi una mano. — Bene, rispose l'inglese, ma io stava perplesso a considerare se non essendo magistrato, e per semplice sospetto, poteva io privare della libertà un cittadino. — E come va, che adesso lo legate con tanto garbo, che salvo vostro onore parrebbe non vi giungesse nuovo il mestiere? — Oh! tra un cittadino che va per fatti suoi, ed uno che ha tentato ammazzare il suo prossimo, corre divario; e questo senza scrupolo lego. Circa agli elogi di vostra signoria circa il mio modo di legare, io opino che quando l'uomo si mette a fare qualche cosa deve studiarsi di farla meglio che può. Così proseguirono fin presso la casa paterna di Altobello allorchè questi sentì all'improvviso scivolarsi su la mano qualche cosa di liscio e viscoso, ond'è, che trasalendo esclamò: — Che diavolo mi capita di nuovo adesso? — Allora si fece sentire un brontolìo, il quale quantunque in favella dalla nostra diversa, pure assai chiaro esprimeva: smemorato! tu mi avevi già messo in dimenticanza, ed io anco al buio ti ho riconosciuto. — O Leone, rispose Altobello, e tese le braccia al cane e il cane le zampe a lui, sicchè si abbracciarono nelle regole, e si baciarono come vecchi amici. Intanto erano giunti a piè della porta, e Francesca Domenica a tastoni trovò la chiave depositata dentro una fessura del muro; l'aperse, e a tastoni mise la mano su l'acciarino e l'esca, che innanzi di partire insieme alla lanterna lasciava in luogo destro. Appena acceso il lume gli occhi di tutti si appuntarono nella faccia del prigioniero; sinistra ella doveva essere sempre, ora poi tutta impiastricciata di catrame metteva spavento. Altobello non seppe ravvisarlo, e la madre sua, per molto studio ci mettesse, nè meno: interrogato chi fosse, torse gli occhi in atto di rabbia e di minaccia, mandò un grugnito. Il signor Giacomo, intanto che dava una mano a levare le valigie dalle groppe ai muli, proponeva: — Io direi, salvo la vostra approvazione, di mettere questo sciagurato in luogo sicuro — intendo nelle mani del magistrato. — Potrebbe per ora non essere il luogo più sicuro, rispose Altobello. — Bene; allora in altro modo; e mentre la signora vostra madre e quest'altra gente danno sesto alle robe, noi andarcene un po' a scoprire marina; e poi sentite.... fattosegli accosto gli bisbigliò dentro gli orecchi — importa che nessuno esca di casa prima del nostro ritorno. Altobello spinse il prigioniero dentro il celliere, di cui chiuse diligentemente le imposte, rallentò un poco la legatura delle mani di lui; chiuse del pari la porta della stanza per di fuori; raccomandò sottovoce alla madre non lasciasse uscire le donne nè il ragazzo; per ultimo prese il braccio del Boswell in atto di condurlo fuori. — Adagio, questi disse, e voltosi a Francesca Domenica, dopo avere frugato nel consueto arsenale delle sue tasche, continuò: signora mia, non ci ha persona al mondo, almeno spero, sempre però salvo vostro onore, e quello del vostro signor figlio, che mi superi nella osservanza nel quinto precetto del Decalogo; ma si danno casi nei quali senza peccato possiamo tenergli per non iscritti; quali essi possano essere a me non importa chiarire adesso; però mi pare bene lasciarvi qui un arnese che possa farvi approfittare della eccezione — e trasse fuori una pistola — la sorella tengo per me. — Non ve ne private: ho il fatto mio; e la donna andò nella sua camera tornando subito dopo con lo schioppo, la _carchera_ e il pugnale, che col rosario facevano a cotesti tempi compagnia ad ogni Côrso, e sovente alle donne loro fuori di casa; sempre ai Cristi côrsi in casa. — Bene; scusate, e si avviò dietro ad Altobello. Nel passare davanti la finestra del celliere questi favellò piacevolmente al signor Giacomo: — Voi avevate avvertito alle difese interne, a me spetta provvedere all'esterne. Leone, qui — il cane gli era dietro ai calcagni — Leone, cùcciati qua; prima del mio ritorno non ti movere. Il cane come gli fu comandato fece. Forse di dieci minuti potevano essere partiti, e Francesca Domenica si stillava il cervello ad apparecchiare cena senza avere bisogno di mandare persona fuori di casa, e con le donne e il ragazzo faceva un gran tramestare di su e di giù, quando dal celliere uscì una voce che chiamava: — Francedomè! Francedomè! — Che vuoi? — Ohimè! mi sento trangusciato. Portatemi da bere. Stette la donna alquanto sospesa; il cuore le si rimescolò perchè le parve riconoscere codesta voce pure, animosa com'era, aperse la porta, e col lume in una mano e una ciotola d'acqua nell'altra entrando disse: — Te', bevi. — Francedomè, dopo bevuto riprese il prigioniero, la corda mi sega i polsi: allentatemela tanto che non mi faccia soffrire. — Offrilo al Signore in isconto dei tuoi peccati. — Sono innocente come Cristo. — Meglio per te; ha patito tanto egli, puoi patire un tantino anche tu... — Ma voi, Francedomè, volete mandarmi alla morte... — Perchè? Oh! non siete innocente? — Cugina! non mi riconoscete? — Zitto là; non riconosco nessuno. — Sono Giovà Brando figliuolo della cugina carnale del fratello di vostro cognato; capite, carne vostra; cugino vero in terza, all'usanza; vi basterà il cuore di mettermi in mano al boia, ne'? e la vergogna del parentado?... — Zitto là, ti dico. — E i rimproveri del cognato e dei cugini? — e la vendetta?... sì, per Dio, la vendetta... di casa Alando non rimarrà pietra sopra pietra; arsi gli uliveti, ammazzate le bestie... — Che chiasso è questo in casa mia?... [Illustrazione: ... Francesca Domenica, con ambedue le mani gli attanagliò il polso, e tale v'impresse un morso, che lo sciagurato lasciò cadere lo stiletto. (_pag. 173_)] Questa voce singolarissima, come quella che avendo incominciato in tuono basso terminava in falsetto, mosse da un personaggio soppraggiunto, di cui vale il pregio disegnare la figura; grasso il viso ma frollo, del colore del lardo invietito, la barba come cavolo, verde; capelli e peli spelazzati, rari e quasi venuti a lite fra loro; gli occhi tondi in fuori e nelle pupille nerissimi, se non che stando immobili gli partecipavano l'aria stupida dei tacchini; in capo portava una berretta di cuoio logora e bisunta; piuttosto che vestito pareva imballato a forza dentro un farsetto di ciambellotto di un certo colore che non si poteva affermare in buona coscienza colore; forse fu giallo in origine ritinto in verde, ma qua il sole lo aveva sbiadito, là qualche acido alterato, in altra parte qualche grasso unto; insomma era un problema tintorio; gli occhielli stavano lì lì per iscoppiare, intanto che le flosce membra a festoni gli scappavano di sotto e di sopra l'abbottonatura; dalle maniche corte uscivano certe manacce, fatte ad uso di mestole da bucatai; la pancia in isconcia guisa appuntata, le calze giù bracaloni, e i piedi immani resi più turpi da ciabattaccie lacere donde sbucavano più che mezzi fuori. Costui a prima giunta moveva a risa, perchè su cotesta faccia primeggiavano i segni della melensaggine, ma subito dopo ti rabbrividivano gli altri della frode, della viltà e della ferocia senza compassione. Questi era Mariano fratello dello avvenente Altobello, nè la santa castità della madre apriva adito al sospetto che fosse illegittimo: ghiribizzi della natura! — Cugino Mariano, Dio vi manda per riparare qualche casaccio; voi vedete come mi hanno concio vostro fratello, e un cane di forestiere, che egli ha menato quaggiù. — Mio fratello! da quando è arrivato? Faceva meglio a stare a Venezia. Che cosa è venuto a fare? Mamma! ve lo ha detto che sia venuto a fare? — È venuto a fare quello che non puoi, nè vuoi far tu, a travagliarsi in pro' della patria. — Misericordia! quanti bauli! E come pesi! sarebbe diventato ricco? — Di suo non ce n'è che uno! gli altri appartengono all'ospite. — Cugino Mario, per Dio santo, mi volete slegare ne'? Innocente come Cristo? — Chetatevi là; mi gira altro pel capo adesso: ed ove albergherà l'ospite? — Dove l'albergherebbe Altobello se non in casa sua? — Casa sua? Dove ha casa Altobello? — Oh! questa non è sua? — È mia! È mia! Tutta mia. La sua parte se l'è mangiata. — Davvero? Da quando in qua! — Eh! faranno cinque anni come arriveremo a San Martino. — Mi giunge nuova; io non ne aveva saputo nulla prima di adesso. — E da quando in qua importa che le donne sappiano tutte le faccende di casa? Voi altre siete adattate a conservare i segreti come i panieri il vino. — Non monta, l'ospiterai tu; sosterrai tu l'onore di casa. — Io? Che razza di onore gli è questo farsi mangiare il suo da gente che non si conosce? — Sta quieto: farò io la spesa. — Voi? per la Immacolata! Ne avete dunque moneta? Lo aveva sempre sospettato io; già le buone massaie governando la casa trovano sempre la maniera di mettere qualche cosa da parte: sentite una cosa, mamma, voi fareste carità fiorita a darli a me quei vostri quattrini.... già infine di conto sono miei perchè gli avete guadagnati col marito. — Perchè non dici dirittura rubati? — Dio mi liberi; via dateli a me; voi che state su la fossa potete piangere il morto; considerate le spese quotidiane, i raccolti scarsi, gli aggravi per questa maledettissima guerra. Francesca Domenica, femmina avvistata molto, al primo comparire del figliuolo presagì che non l'avrebbe cavata netta; però, ingegnandosi di allungare il colloquio finchè tornasse Altobello, toccò questo altro tasto. — La libertà, come preziosissima, se costa cara non ha da dolere. — La libertà? che importa a me questa libertà? Mi pota gli olivi? Raccatta ella le mie castagne? La libertà se non consiste nel fare quanto ci piace, massime non pagare nulla, per me non so capire che sia. Dicono che i Francesi abbiano bandito di farci franchi da qualunque gravezza se ci sottomettiamo a loro; dove volete trovare libertà migliore di questa? — Mariano, non mi volete dar retta, per Dio santo? Anche voi vi accordate a tradire il vostro cugino Giovà Brando? Bada che i Brando si rassomigliano al carbone, tingono e scottano. — _Guelfo non son, nè Ghibellin mi appello; Chi mi dà da mangiar, tengo da quello:_ questo si chiama ragionare. — O che ci guadagnate a farmi impiccare come un cane? Nulla; anzi correte rischio di ritrovarvi anche voi compreso nella vendetta, che di traverso va fino al terzo grado... e voi sarete nel primo. — Per me questi Paoli mi paiono una manica di avari che vogliono campare alle spalle degli altri, e mettere in serbo le entrate.... — Mentre se mi mandate libero, il _chioso_ della Padulella, che fa corpo col vostro _procoio_, delle Lungagnole.... — Oè! scusate, Giovà, se non vi ho atteso.... la Padulella dunque. — Che fa corpo al vostro _procoio_ io ve la regalo; voglio dire: prometto vendervela al prezzo che mi avete offerto, e, capite bene? torna lo stesso, che donarvela. — Passata la festa si leva l'alloro: chi mi assicura che manterrete sciolto la promessa fatta mentre eravate legato? — Voi mi potrete sempre accusare di avere _tombato_.... non è così.... di avermi preso con le armi alla mano la notte, che ammazzarono il colonnello Albertini.... — O povero colonnello! che ti aveva fatto quel degno galantuomo, scellerato? — Francesca Domenica, io sono innocente come Cristo. — Sentite, Giovà, se volete che vi sciolga, bisogna che mi confessiate alla libera di avere ammazzato il colonnello Albertini; allora sì che mi mettete la caparra in mano, e di voi io mi potrò fidare. — Be'; tagliate le corde. — Lo avete tombato o non lo avete tombato? — Io l'ho tombato, e non l'ho tombato: tagliate le corde. — Niente. Sì o no? Su bello e tondo.... — Sì l'ho tombato, taglia. — Sia ringraziato Dio! esclamò Mariano. — Madonna della Vasina benedetta! che bestemmi, figliuolo. — Eh! voi vedete la cosa dalla parte del morto, e vi pare bestemmia; io, che la miro di qua dalla parte della Padulella mi sembra un'_alleluja_. Mariano preso un coltello si avvia a liberare Giovanni Brando, se non che gli si oppose risoluta la madre ordinandogli di non muovere passo: egli procurando tirarla in disparte strilla con la sua voce agrodolce: — In casa mia son padrone io, e non ci voglio brighe. — Aspetta tanto che torni Altobello e vi consiglierete. — Mi trovo forse ancora nei pupilli io? È mio tutore Altobello? Largo, mamma, largo. — Non ti muovere per quanto hai cara la grazia mia. Altobello me l'ha consegnato, e a lui mi tocca renderlo. — Orsù, dacchè non fanno frutto le buone.... — Le cattive non gioveranno, gridò con voce spaventevole Francesca Domenica, e dato di piglio al moschetto lo spianò contro Mariano aggiungendo: — chi ti ha fatto ti può disfare. Mariano stralunato per la paura, con le braccia levate correva via tutto di un pezzo come se nelle gambe non avesse giunture intantochè un po' in basso, un po' in falsetto, strillava: — lo schioppo.... lo schioppo alla vita del figliuolo. — Ipocrita! e tu perchè hai messo la madre a repentaglio di farsi rispettare con le armi alla mano? * * * * * Altobello e Boswell, tenendo dietro alla gente che traeva concitata verso un medesimo luogo, arrivarono alla montata del castello dove si parò innanzi a loro un molto fiero spettacolo. Gli accorsi e gli accorrenti giunti a pena smettevano ogni clamore facendo più spesso il cerchio che circondava un uomo morto. Qualcheduno reggeva torcie di resina, la più parte schiappe di pino, onde gli oggetti e gli uomini apparivano rischiarati da luce, che potremmo dire sanguigna; ancora, se ne eccettui alcuni, come taciturni, così restavano immobili; adoperandoci forza di spalla e di gomiti il Boswell e Altobello riuscirono a mettersi nelle prime file, e videro una fanciulla meravigliosamente bella, alta di persona, co' capelli neri giù per le spalle, pallida come se di marmo, gli occhi un po' sbalestrati; sovente le palpebre le si chiudevano e le si aprivano per tremito convulso, sicchè pareva mandassero faville come spade incioccate fra loro; anco le labbra ad ora ad ora le sussultavano: si conosceva espresso che un uragano di passioni molinava in codesta povera anima; e nondimanco il supremo sforzo della volontà impediva loro prorompere. Ella era intenta a prestare gli ultimi uffici al morto; alcune donne ministrandole con acqua tepida e vino ella li lavò la faccia sordidata nella caduta; gli occhi li chiuse e la bocca; tolta via ogni traccia di sangue dalla persona gli fasciò la ferita, immane ferita che nel petto gli fracassò alcune costole, e riuscendo dietro le spalle in mezzo le scapole gli aveva sbrizzato le vertebre della spina; all'ultimo gli pose fra le mani un crocifisso, un guanciale ripieno di paglia sotto il capo, in capo il suo cappello gallonato: non vincibile miscuglio nella natura côrsa di religione e di vanità. Ciò fatto si lasciò andare prostesa sopra la faccia del morto e parve piangesse, ma non si sarebbe potuto affermare, imperciocchè di tratto in tratto lei dimostravano viva soltanto i brividi della persona; pure di repente assorse più feroce che mai. — Ora vendetta, ella urlò; voi altri miei parenti più prossimi mettete mio padre su cotesta barella; recatevela sopra le spalle e seguitemi: voi altri amici con le torce accompagnateci. E corse via; tutti gli altri dietro; eccetto lo strepito dei passi accelerati non si udiva altro rumore, ma la fanciulla fermatasi ad ogni capo di strada ripeteva il grido: — vendetta! vendetta! — La gente traeva ai balconi, e vedendo quel cadavere portato a furia, la corsa turbinosa di coloro che recavano le torcie, e la donna di cui i capelli ventilati le fischiavano di dietro le spalle come serpenti, gemevano — Ohimè! qualche flagello ci è sopra. — Gli uomini volevano uscire, e le donne, madri o mogli, si provavano a trattenerli; ma era niente; che essi con modi più o meno acerbi si sbarazzavano da loro, ed alla sinistra associazione si aggiungevano. La fanciulla, ch'era figliuola all'ammazzato e si chiamava Serena, mentre andava sì che pareva che volasse, sentì con maraviglia grande tanto rasente a lei lo strepito di altre pedate, che giudicò lo inseguente dovesse porre il piede giusto nell'ombra dond'ella lo cavava; si volse senza intermettere la corsa, e si riconobbe a lato Orso Campana, nemico mortale del padre suo; si fermò, lo ghermì per il collo e gli disse: — Sei venuto a pascere gli occhi nella morte di mio padre? Tu morrai. — Serena figliuola mia, lasciatemi; io fui emulo di vostro padre; egli contro me si adoperò duramente, io contra lui; ma la sua morte fu angoscia, e, comechè per causa diversa dalla vostra, pure mi preme quanto a voi, ch'ei sia vendicato. — Prega il tuo Dio di non mentire, rispose Serena; e gli levò le mani dal collo. — La emulazione è necessaria nelle repubbliche, e diversifica dall'odio. Non pianse Cesare quando gli mostrarono il capo di Pompeo? — Forse pianse di piacere. Sii sincero; veramente.... veramente non è adattato il luogo, pure anche la bara del padre ammazzato può offrire l'altare dove si giurino fede due anime riconciliate davvero. — Lo vedrai. La consulta del 1762 aveva conferito facoltà di far sangue ad una giunta di dieci uomini presieduta dal generale, e poichè stanziavano in Corte, ed erano noti a tutti, riuscì facile a Serena condurre la processione alle case loro: colà bussando in modo da far sentire i morti, con immensi urli gridavano: — fuori, signori dieci! fuori! venite a far vendetta. — I decemviri, i quali per essere l'ora anco presta si trovavano levati, scesero in fretta sulla strada presagendo guai; e solleciti per quanto stava in loro di prevenirli. Venuti in mezzo alla moltitudine rimasero travolti come dalla piena del fiume, che gli menò davanti la casa Albertini, dove allestiti, in meno che non si dice, tavola, lumi, e scanni, crocifisso pei giuramenti, e arnesi a scrivere necessari, fecero assettare i decemviri; la barella col cadavere del colonnello deposero ai piedi della tavola, e poi con un tal piglio, che in sembianza di prego era comando, gli assembrati dissero: — sentenziate! — Il presidente manca. — Non importa: prima di dare la sentenza sarà tornato, battete il ferro adesso ch'è caldo. — Chi accusa? — Io, risposero ad un punto Serena ed Orso Campana. — Il delitto pur troppo è manifesto, ma chi il colpevole? — Sentite, uomini prudenti, soggiunse Orso: io fui emulo antico di questo valoroso soldato di cui vista davanti il cadavere; però dopo i suoi congiunti, ai quali corre l'obbligo di procacciarne la vendetta, importa a me, che si scopra il reo e si punisca a fine che il sospetto maligno non si posi sopra di me. Ora pertanto ricercando sono venuto in chiaro, che nella mattina d'ieri in quella d'ier l'altro, salvo, il colonnello ebbe la malavventura di accapigliarsi con Grazio Romani, giovine che ha le mani più pronte della lingua, quantunque anco questa abbia prontissima; dicono che il colonnello alzata la mazza gliela desse sul capo, e Grazio tratto il coltello giurasse ammazzarlo e lo faceva se altri non lo avesse tenuto: però nello andarsene lo minacciò che mettesse in sesto le faccende dell'anima perchè aveva la morte in tasca; ed altre più fiere parole adoperò tutte rivelatrici l'animo suo deliberato ad ammazzarlo: stamane per tempo fu visto uscire di casa collo schioppo, nelle prime ore della sera aggirarsi intorno alla casa dello infelice colonnello: tutti questi indizii a parere mio sono sufficienti, non dico già a condannare Grazio Romani, Dio mi liberi, ma almeno a ricercarlo sottilmente intorno all'atroce caso non ha guari accaduto. Le opinioni delle moltitudini, troppo più spesso che non si vorrebbe, fanno come le acque alle quali per poco sgrondo si dia o per un po' di canale loro si scavi, tu le vedi pigliare tutte quel verso, di fatti intesi molti altri testimoni, che pure non avevano interesse nè voglia di attestare il falso, sia che una frazioncella di vero sopprimessero, o un frammento di meno vero sostituissero, qui un bricciolino alterando, là il giudizio proprio offerendo come realtà, vennero a generare nella mente dei giudici e degli astanti la persuasione della colpa di Grazio! E tanta fu l'ira, che accese di subito quei petti, che i decemviri avendo ordinato al capitano delle armi andasse per esso, e senza indugio lo traesse davanti a loro, questi non potè impedire, che una turba dei più clamorosi agitando schiappe accese di pino gli si accompagnasse. Trovarono Grazio che dormiva, e a quello che pare aveva legato l'asino a buona caviglia, imperciocchè non si accorse di loro prima di avergli intorno al letto urlanti: — Svegliati, cane rinnegato da Dio, dopo di averne sparso il sangue cristiano, oh! non ha cuore questo furfante di dormire come un galantuomo? — Grazio, desto di soprassalto, agguantò lo schioppo che aveva a capo del letto, non sapendo quello che si facesse, e solo per istinto; cento mani gli cascarono addosso su le braccia, sul petto, sulle gambe, sicchè non gli riuscì dare più crollo, e lui invano gridante e scontorcendosi, con gli occhi strabuzzati, e la bava alla bocca, vestito appena quanto la decenza desidera, portarono di peso al cospetto dei decemviri. Si può immaginare il rovescio d'ingiurie, che scoppiarono dalla bocca di Grazio quando ebbe modo di parlare; ce ne fu per tutti: sacramentò come un turco, urlò che gli slegassero le mani tanto che potesse agguantare lo schioppo (il quale insieme con la sua _carchera_ vedeva depositata sopra la tavola dei giudici), e metteva pegno di sbertirne una dozzina in meno che si dice il _Credo_. Alle interrogazioni dei giudici se egli avesse ucciso il colonnello rispondeva, ch'erano matti: ai gridi del popolo, che lo chiamava assassino, opponeva più sgangherato il grido: ch'erano tutti briachi. — Insomma e' nacque un garbuglio, una confusione, un tramestìo da non potere descrivere. All'improvviso un uomo fattosi largo a furia di spinte arriva affannoso alla presenza dei giudici; egli era Orso Campana; che a strappi come uomo cui o la troppa passione o la troppa fatica impedisca il dire, favellò: — Ecco, ecco la prova del costui delitto.... Assassino!.... dei meno sfrontati di te se ne manda in galera. E gettò sulla tavola una palla di piombo schiacciata insieme ad un foglio di carta mezzo arso. — Ch'è questo? dimandò il capo dei decemviri. — Ch'è? È la palla che ha ammazzato il povero colonnello: l'abbiamo rinvenuta a piè del muro dove egli rimase ucciso; e questo è lo stoppaccio, che servì a caricare lo schioppo.... — Io non comprendo, che notizie aggiungano a quanto sappiamo. — Leggete.... leggete la carta. Il Decemviro spiegò la carta, e accostato un lume lesse ad alta voce: — lib.... co.... Romani.... pino la.... a.... quei.... pan... nacci: — qui il Decemviro interrompendosi interrogò da capo — e questo che importa? — È chiaro come il sole; costui ha caricato lo schioppo con la carta stracciata dal libro di conti di casa sua; non ricordate voi che suo padre vende legname? Il diavolo insegna a fare le pentole, ma non insegna a fabbricare i testi. — È vero, è vero, grida la moltitudine con crescente furore, la provvidenza lo ha convinto; su via condannatelo; va impiccato subito, e qui al cospetto del morto. E come per incanto furono viste alzarsi da terra le forche, un paio di scale, e intorno ad esse sbracciarsi gente ad ammanire la fune, e insaponarla. Le quali provvidenze, a cui serbava la mente pacata lasciavano sospettare che tutta quella faccenda fosse apparecchiata di lunga mano, e qualcheduno facesse fuoco nell'orcio perchè l'indugio non pigliasse vizio. Intanto Grazio aveva perso il lume degli occhi, e diventato del tutto insano per rabbia, con le minaccie e i giuramenti rendeva pessima la sua causa già cattiva. I giudici titubavano non mica perchè le prove difettassero, che anzi credevano ce ne fosse d'avanzo, ma perchè pareva loro cedere all'impeto popolare: l'unica cosa che li tratteneva dal dare la sentenza era il timore che il generale rinfacciasse loro averla conceduta allo schiamazzo popolare; però si conosceva chiaro che avrebbero terminato col mandare su le forche il Romani, sì perchè lo avevano preso in ira, ed anco perchè dubitavano non lo impiccasse il popolo senz'altra forma di giudizio. In questa suprema ansietà la moltitudine dopo le spalle dei Decemviri, obbedendo ad impulso che veniva da lontano, incominciò a diradarsi spartendosi a manca e a sinistra, nella guisa che le acque tagliate fuggono gorgogliando lungo i fianchi del piroscafo che si avanza; sempre e più sempre slargandosi, per ultimo lasciò il campo ad un nuovo personaggio, il quale appena comparso venne salutato dal popolo con le voci: — Viva il generale! viva il Paoli! Il signor Giacomo tutt'occhi fissò l'uomo, e lo vide alto, complesso, di faccia larga e accesa, senza pelo alcuno, di sopracciglia grosse e aggrondate, lo sguardo feroce, portava un berettone nero fino sugli occhi, e di sotto a quello scaturivano alcune ciocche di capelli di color fulvo; il suo vestire era la gamarra di panno côrso cinta alla vita con la _carchera_ donde pendevano sciabola, pistole e pugnale; nelle mani stringeva il moschetto; notabili i calzari composti di strisce di pelle di cignale concie con la polvere di mirto. Egli si fece innanzi con passo sicuro, mentre un cane gigantesco gli teneva il muso quasi appoggiato alle gambe; senza rispondere, senza salutare si locò in mezzo ai Decemviri; le turbe sì clamorose poco anzi, adesso tacevano, sicchè si udiva il fiotto della Restonica quantunque scarsa di acque; egli con voce chiara parlò: — Degni di libertà veramente voi? Meritevoli proprio del plauso della Europa i Côrsi, che impongono le sentenze ai giudici come in Algeri le bastonate agli schiavi? Serena, che fino a quel punto non aveva trovato occasione di far sentire la sua voce, si gittò in ginocchio a capo del cadavere di suo padre, e con le braccia levate prese ad esclamare: — Vendetta, signor generale! vendetta! Il Paoli le vibrò un'occhiata terribile e rispose: — Qui non siamo per fare la vendetta di un uomo, bensì la giustizia del paese; rimovete di qua cotesto morto; potete deporlo nella cappella là dirimpetto. — Nessuno lo tocchi; nessuno; non deve starsi separato da me. — E voi andate con esso, e pregate per l'anima sua; questo si addice meglio a fanciulla e a figliuola: vostro padre adesso si raccomanda più al perdono di Dio, che alla vendetta degli uomini. Intanto quattro uomini presero la barella dove giaceva il cadavere dell'Albertini, e Serena affisse gli occhi a terra forse nel concetto del marinaio che getta le àncore, perchè la nave non venga strappata dalla spiaggia da qualche raffica di vento: però non rimase a lungo in cotesto proponimento, che a mano a mano si allontanava la bara la faccia sua si sollevò, si piegò alla parte dond'essa scompariva, e quando stette per passare la soglia della cappella, e uscirle affatto dagli occhi, la pietà vinse l'odio nel cuore della mestissima fanciulla, la quale con un sospiro quinci levossi, e si recò a tenere compagnia al morto padre ed a pregare per lui. Allora in mezzo al solenne silenzio che tuttavia durava, fu udita una voce che parve straniera, la quale esclamò: — Bene, bene, benissimo; — e subito dopo uno strepito di cosa percossa. Il signor Boswell non aveva potuto frenarsi dal manifestare la propria approvazione con la solita formula e col solito picchio sopra la scatola; nè ciò sfuggi al Paoli, che sottilissimo indagatore era, e dardeggiò uno sguardo dalla parte donde vennero il rumore e la voce, senonchè restando il signor Giacomo al buio potè sottrarsi alla curiosità del generale. A quanto parve, il Paoli aveva raccolto per via qualche notizia del caso, imperciocchè volse addirittura queste parole a Grazio: — Orsù, Grazio, confessa la verità, — Anche voi?... rispose il giovane. — Io possiedo argomenti terribili per cavare la verità di bocca agli ostinati; potrei adoperare teco la tortura; non voglio, ti ho conosciuto sempre manesco, è vero, pure schietto; confessa, dopo il peccato, Dio ha fatto la penitenza per tornare in grazia sua. Il giovane alle parole prime del Paoli si contorceva come se avesse il diavolo in corpo; ci fu un momento, che sembrò non potersi più tenere da tagliare le parole del generale: ma a grado a grado che questi procedeva, rimase tocco dal tono di voce che di severa si fece blanda e oratoria; onde il poveretto diede all'ultimo in uno scoppio di pianto. — Anche voi mi condannate? e sì che una volta mi volevate bene: quando vi accompagnai in Aiaccio co' miei compagni a suono di violini per far vedere a Genova che soggezione ci pigliavamo de' suoi soldati, mi picchiaste su la spalla, e mi diceste: Bravo Grazio — voleste che bevessi un sorso di vino alla vostra zucca... e ora... anche voi date addosso all'innocente... — Dio lo volesse! E se sta come affermi, Grazio, ti supplico a porgermi modo di chiarirti innocente; perchè, vedi, l'ufficio di giudice è quello che mi pesa di più, la esperienza insegnando che l'assassino col coltello mena strage di un uomo, ma il giudice con la legge ammazza la umanità. Dà retta; avevi, o no, nimicizia col colonnello Albertini? — No. — Ma non venisti ieri a contesa con lui? — No; egli fu che venne a lite con me. — Ciò non rileva; e la cagione? — Avendo egli restaurata la casa, noi gli fornimmo il legname, che ricevuto da lui senza eccezione mise in opera; avendo bisogno del saldo dei conti pei fatti nostri, ieri capitatomi davanti gli dissi: Signor colonnello, a vostro comodo vi pregherei del resto del mio avere. Il colonnello rispose: Prima di saldarlo bisogna aggiustarci, perchè non trovai tutto il legname di qualità perfetta. Allora saltai su, e senza barbazzale soggiunsi: Mi maraviglio di voi che mettiate in campo questi amminicoli; il legno avete ricevuto e adoperato senza richiamo, e furono nostri patti qualità andante e non perfetta. Il colonnello si fece rosso come un gambero fritto e mi buttò in faccia: Chetati, villano; io di rimando: Se io sia più o meno villano di voi la faremo giudicare, ma che voi siate un prepotente la è cosa sicura. Qui il colonnello levò la mazza gridando: t'insegnerò io come in Austria si mettono i briganti pari tuoi a partito; ed io cavato fuori il coltello urlai più di lui: Ed io vi ricorderò con qual moneta in Corsica si barattino le bastonate. Il colonnello pare si persuadesse che quanto aveva imparato al servizio dello imperatore non era buon'aria insegnare quaggiù; egli abbassò il bastone, ed io riposi il coltello in tasca; se altre parole ci corressero e quali, non so dirvi, ma può darsi benissimo che ce ne siano state; tuttavolta non me ne rammento, perchè dalla rapina in quel punto non vedeva lume. — E se ti avesse percosso gliel'avresti tirata la coltellata? — Per Dio santo! come bere un uovo. — Stamane sei uscito di casa con lo schioppo? — Già, come gli altri giorni per andarmene al bosco a vigilare i lavoratori; ma ecco lì lo schioppo, è sempre carico; anzi a capo di questa strada avendo incontrato il povero colonnello, e non mi sentendo più stizza in corpo, l'ho salutato; egli, un po' brusco per dire la verità, mi ha risposto; Addio, Grazio. — Dove ti hanno preso? — A letto mentre dormiva; da quando in qua, signor generale, i Côrsi si fanno pigliare come una volpe malata dentro il covo? — Cotesto è il tuo schioppo? — Sì. — Ne hai altri? — No. — Sai leggere? — E scrivere e procedere da galantuomo quanto ogni altro Côrso, che ama la libertà. — Leggi questo straccio di foglio e dimmi quello che te ne paia. — Dico che questo carattere è mio, e il foglio fa parte del libro dei conti che tiene nella camera da letto mio padre. — Gli è strano! mormorò il Paoli, e si mise a sedere appoggiando il capo alla mano come per meditare: allora comparve accanto al suo viso un muso enorme di cane, che volto in su incominciò a guaire quasi volesse raccomandargli pietosamente qualche sua istanza. Il popolo, visto il caso, ad una voce prese a dire: — Ora sì che scopriremo l'assassino; Nasone ne ha bisbigliato il nome nell'orecchio al Generale; Nasone sa tutto; se poi dalla parte di Cristo o dalla parte del diavolo chiariremo più tardi. — Come dalla parte del diavolo? rispose un altro; o non fu a frate Damiano, che per ispirazione divina fu rilevata la scienza del cane Nasone? — E poi, intervenne un terzo, il Generale avrebbe bisogno del cane Nasone per indovinare le cose occulte? Il Signore non ha fatto anco lui degno di un tanto dono? — Il signor Giacomo udendo siffatti discorsi tanto non si potè tenere, che non domandasse al suo vicino: — Dunque voi reputate il vostro Generale anche profeta? — E come! — E avete avuto molte prove del suo profetare? — Tante, signore, ed il Côrso, a cui volgeva il discorso, agguantò dei suoi folti capelli quanti gliene capivano nella mano e mostratili al Boswell soggiunse: — Più che questi capelli non sono, e poi state attento, e vi scaponirete. Intanto il Paoli, poichè ebbe meditato un pezzo, si levò in piedi da capo, e voltosi ad uno dei presenti gli disse: — Santo, va a bottega, e portami le tue bilancie. In questa un vocione aggiunse: — Santo, prima dimmi, dacchè nessun ci sente, se le vanno giuste le tue bilancie. — Minuto Grosso, se San Michele mi proponesse barattarle con le sue senza giunta, non accetterei. — Sarà, ma Dio mi guardi di essere pesato sopra di quelle nel giorno del giudizio. — Silenzio! interruppe il Paoli; Minuto Grosso, qui si tratta della vita di un uomo, e non ci entrano arguzie: ma forse senza intenzione hai dato nel segno; va da Gieppicone lo speziale e ordinagli da parte mia, che venga qua anche lui con le sue bilancie. Lo speziale arrivò al punto stesso del merciaiuolo, e depositarono entrambi le loro bilancie sopra la tavola; il Paoli, per natura e per necessità accostumato a notare ogni cosa quantunque piccola, osservò nel merciaiuolo certa smorfia di malcontento, onde piacevolmente gli disse: — Santo, ti giuro in onore che se fossi venuto in bottega tua a comprare seta o cotone, non avrei desiderato dalla tua in fuori altra bilancia, ma adesso si tratta pesare la vita di un uomo, però non t'impermalire se sto sul malfidato, e voglio il riscontro. — Dunque, recandosi in mano la palla schiacciata rinvenuta da Orso Campana, soggiunse: questa è la palla che ammazzò il colonnello! — Almeno così si crede. Allora il Generale pesò, e riscontrò, e: Mirate, signori, riprese a dire, questa è la palla di oncia. Grazio, di' su, oltre questo hai schioppi in casa? — In camera a Babbo ce ne ha da essere un altro, ma vecchio e rugginoso: questo è l'unico mio. — Lo prese, lo esaminò attentamente all'acciarino, poi alla bocca, vi introdusse un dito per tentare se fosse lordo di polvere bruciata, e al punto medesimo misurare il calibro; indi soggiunse: Grazio, cotesta _carchera_ è la tua? — Sì. — Ci hai palle grosse? — Sì. — Il Generale l'aperse, e cavatene parecchie palle con molta diligenza le provò alla imboccatura della canna, poi le pesò, e rinvenutele poco più di mezza oncia favellò risoluto: — Questo schioppo non ha ucciso l'Albertini; e poi voltosi al comandante delle armi: — Signor Serpentini, sia vostra cura di condurre senza indugio dinanzi al tribunale Orso Campana, e Telesforo Romani padre di Grazio; nella casa di quest'ultimo staggirete il suo libro di conti, e lo porterete con esso voi. Usate diligenza. — Signor Generale, Babbo giace infermo di dolori da più di un mese. — Signor Serpentini, pigliate la mia bussola, copritelo, fasciatelo, venga a pezzi, ma venga. Il padre di Grazio dormendo in certa stanza posta sull'orto dietro la casa, non aveva udito il tafferuglio quando menarono via il figliuolo, e le donne assistenti non si erano attentate dirglielo per paura che peggiorasse; onde come rimanesse sbigottito allo annunzio dello accaduto può immaginarselo ogni uomo; pianse, smaniò, strappandosi i capelli esclamò che il suo figliuolo era innocente, averglielo calunniato, volerne la morte i suoi nemici, con altre più cose, che non importa riferire; pure il Serpentini arrivò alla fine a fargli intendere la ragione, e allora Telesforo, cessate le smanie, si buttò giù dal letto per correre così come si trovava in camicia alla difesa del figliuolo, senonchè il Serpentini, e meglio i dolori lo trattennero: rimessolo a letto e incamuffatolo fino agli occhi lo trasportarono al cospetto del Tribunale. Qui stava sul punto di rinnovare i piagnistei, quando il Generale gli disse: — Telesforo, cessate di smaniarvi, attendete a rispondermi, e vi rendo il figliuolo; sciogliete Grazio; siete contento così? Via, su da bravo, calmatevi e rispondete. — È questo il vostro libro dei conti! — È. — Ci avete strappato voi tre fogli? — Ci sono dei fogli strappati? Non ne sapeva nulla, fanno sei giorni, ch'io non l'ho preso in mano. — Chi maneggia questo libro? — Io e Grazio. — Nessun altro? — Nessuno. — Pensateci bene; può nessun altro averci messo le mani sopra? — Aspettate.... sicuro, che ci hanno messo le mani degli altri.... voglio dire un altro.... Orso Campana. I presenti tanto non si poterono frenare, che non prorompessero in voci di ammirazione, mentre il volto del Paoli pareva che prorompesse luce: or bene, questi disse, raccontateci pianamente in qual modo il libro capitò nelle mani di Orso Campana. — Oh! l'è faccenda facile; Orso ieri l'altro, che fu l'ascensione di nostro Signore, venne a visitarmi e mi parlò della mia infermità, del figliuolo, e di altre novelle, per ultimo disse: Telesforo, io credo di avere un debito con voi. — L'è poca cosa, il saldo di un conto vecchio, non vale il pregio di ragionarne. — Anzi sì, vo' vedere quanto devo e pagarlo; perchè vi faccio sapere che ho pensato restaurare tutta la casa. — Voi opererete da pari vostro, perchè le case dei nostri padri non si devono trasandare, e la vostra casca a pezzi. — Molto più che il colonnello Albertini ha rimesso a nuovo la sua, e non vo' di faccia al paese apparire da meno di costui. — Benone, chè i Campana non sono da meno degli Albertini. — Di certo, ma però io non intendo aprire conto nuovo se prima non pago il vecchio. — Fate come volete; il libro dei conti è là sulla scrivania; da un lato troverete appuntato il legname che riceveste, dall'altra gli acconti che pagaste, tirate la somma, fate il diffalco, e quello che resta è il vostro debito. Orso si assettò alla scrivania, e terminato il calcolo me lo mostrò, affinchè vedessi se stava a dovere. — Va d'incanto; voi mi dovete ventiquattro lire, sei soldi, e otto. — E me le pagò, rimise il libro al posto, e dopo essersi trattenuto qualche altro po' di tempo meco, prese commiato augurandomi la pronta guarigione della mia infermità. — Se non abbiamo scoperto un reo abbiamo però riconosciuto un innocente, e tanto basta per ringraziarne Dio. Grazio, fatti in qua; tu sei un cattivo mercante e diventeresti un ottimo soldato: a trafficare ci vuole pazienza, e tu l'hai troppa corta; bisogna sapere contare e tu sai menare le mani più con lo schioppo, che con la penna: vuoi tu entrare nelle mie guardie? — Magari! se me ne credete degno, e se Babbo se ne contenta. [Illustrazione: ... si fece innanzi con passo sicuro, mentre un cane gigantesco gli teneva il muso quasi appoggiato alle gambe.... (_pag. 187_)] E poichè il vecchio incominciava a guaire come se intendesse cosa grandemente molesta, il Generale stringendo le ciglia soggiunse: — Telesforo, voi siete stato a un pelo di raccattare la messe che seminaste: sopportate in pace l'affanno col quale il Signore ha voluto punire la negligenza con la quale avete educato il vostro figliuolo; la riga non è mai troppa, dice il proverbio; voi lo dimenticaste, ed egli vi si è fatto rammentare da sè. Lasciatemi Grazio, io ve lo renderò corretto: in ogni sinistro pensate che la educazione vostra fu lì lì per metterlo su la forca; la educazione mia può condurlo alla morte, ma a quella morte per cui nè padre, nè patria credono avere perduto un figliuolo o un cittadino, perchè chi muore per la libertà vive eterno nella memoria degli uomini e nella benedizione di Dio. Voi altri poi, disse favellando più acerbo alle turbe, imparate ad astenervi da mettere su le bilancie della giustizia il peso delle vostre passioni. Per colpa vostra stette a un pelo che non s'impiccasse un innocente stasera. Ogni volta che un innocente è condannato, il cielo trema, chè si rammenta la morte di Gesù redentore nostro: meglio io vi dico provare la fame e la peste, che l'ira di Dio accesa per la strage dell'innocente. Adesso tutto è finito. — Domando scusa, disse Altobello facendosi innanzi, ma io credo che appena abbiate incominciato. — Qual siete voi? interrogò il Paoli squadrandolo così di traverso, però che quel volto non gli arrivasse novo, e la voce gli paresse straniera. — Io sono Altobello di Alando, e penso potervi consegnare l'assassino del signor colonnello Albertini. Serena avvertita dello inopinato mutamento dei casi lasciò la cappella, perocchè arrivando giusto in quel punto che Altobello favellava coteste parole, corse verso di lui, gli pose una mano sopra la spalla, e sbarratigli gli occhi fissi nei suoi parlò: — Straniero, se dici il vero.... io ti dovrò.... io ti dovrò.... non aver perduto il bene dell'intelletto. Altobello da cotesti sguardi arditi si sentì come ferito; declinata la faccia rispose: — non sono straniero, e non mentisco mai; con buona vostra licenza, signor Generale, permettete che il comandante Serpentini mi accompagni con alquanti uomini suoi. Giovan Brando venne tratto al cospetto dei giudici: lo spavento, e la rabbia che in cotesto punto lo possedevano sarebbero bastati a renderlo pauroso, ma imbrattato com'era di catrame, più che altro aveva sembianza di demonio, per la qual cosa molti rifuggirono accalcandosi sopra i vicini, le donne si fecero il segno della croce, talune si copersero il viso col grembiale; i ragazzi strillarono. Altobello nel consegnare Giovan Brando in mano ai magistrati espose minutamente quando e come era giunto a fermarlo; la sua testimonianza venne confermata dal signor Giacomo, e dagli altri della loro compagnia, eccetto Francesca Domenica; che pregò il figliuolo a non metterla nel bertovello, dacchè di lei potevano fare a meno. Interrogato il prigioniero chi fosse, e ostinatosi a tacere, gli lavarono la faccia a più riprese coll'olio, poi con acqua e sapone, e così i presenti ebbero comodità di riconoscerlo. — È Giovan Brando, si udì ripetere da tutte le parti, Giovan Brando, Dio lo perdoni. Il Generale avendo preso a interrogarlo, nè per lusinga nè per minaccia trovò maniera di venire a capo di farlo rispondere. Tentate e ritentate le preghiere, ormai deliberava co' colleghi se gl'indizi raccolti formassero quella prova incompleta è vero, bensì assai prossima alla convinzione per cui potesse senza taccia di barbarie ricorrere allo esperimento della tortura, quando tornati gli uomini spediti dal comandante Serpentini sopra le traccie del Campana, riferirono nonostante le sottili indagini non lo avere rinvenuto in casa nè fuori: solo affermavano alcuni averlo visto passare a cavallo fuggendo via come se cento diavoli lo cacciassero: Matteo da Casamaccioli aggiungeva che Orso chiamatolo a sè lo aveva pregato si conducesse fino a casa sua a rassicurare le donne, e dir loro che fatto fagotto andassero a trovarlo alla Bastia: del rimanente non si prendessero travaglio, e chi era in ballo ballasse. Un lieve suono, che parve grugnito, uscì, suo malgrado, dalle labbra compresse di Giovan Brando, e il Generale pratico a maneggiare coteste nature côrse fu pronto a reggere quel capo per isvolgere la matassa. — Sicchè, Giovan Brando, voi lo vedete di per voi stesso, il vostro complice vi abbandona; dirò di più, vi schernisce dopochè, approfittandosi della vostra semplicità, vi ha spinto al delitto. Il Generale metteva fuoco alla polvere, ma non ci era bisogno nè meno di tanto; nè lo ignorava già egli: di fatti Giovan Brando si morse per furore due o tre volte le mani legate, strabuzzò gli occhi pieni di sangue, digrignava i denti, sicchè pareva che li volesse stritolare; per ultimo con rotti accenti così palesò l'animo suo. — Volete sapere chi abbia ammazzato il colonnello Albertini? — Ah! così non lo sapessi.... — E v'importa anco sapere come e perchè? State a sentire, che in poche parole vi levo di tedio. Conoscete voi l'amore, signor Generale? — Conoscete voi Lellina figliuola di Orso Campana? Voi non conoscete veruno dei due: meglio per voi, non maledico già Lellina, povera figliuola! Ella mi ama con tutte le viscere; il male fu che ella amasse troppo anco il padre; o piuttosto no, che questo non potrebbe essere male, così aveva decretato la mia sorte. Insomma volete o no darmi la vostra figliuola? veniva io sovente istando presso il Campana, ed egli dicendo: bisogna pensare più di due volte a quello che si fa una volta solo, mi rimandava. Tentai Lellina di maritarci senza attendere più oltre il consenso del padre, ma parve a lei così enorme proposta, che non ci rispose nè manco. Inacerbito dalle continue dilazioni, al fine minacciai mandare a monte il trattato; allora Orso mi raumiliò con dolci parole conchiudendo; domani venite a desinare da me; dopo pranzo aggiusteremo la soma all'asino: andai, e bevvi oltre il consueto. Lellina e la serva dopo mangiato andarono in chiesa al vespero, noi restammo a tavola. — Or bè, incominciai, perchè differite le nostre contentezze? Non sono da pari vostro io? Quanto a dote non ve ne cerco. — Questo non fa al caso, egli rispose, e la dote non manca. Io da Lellina in fuori non ho figli, e vorrei che il marito di lei mi tenesse luogo di figliuolo. — E questo non posso fare io? — Potreste, ma vorrete? Il figlio eredita tutti gli amori, e tutti gli odî del padre, egli fa sue così le amicizie come le inimicizie paterne; a questo avete pensato voi? — Ho pensato. — Non basta, riprese Orso, io inoltre ho fatto un voto, ed è di non maritare Lellina se non prima non sia levato dal mondo il colonnello Albertini. — Ma in che vi offese il colonnello, signore Orso? — In che mi ha offeso? Già fra le nostre famiglie dura antica nimicizia e mortale; adesso poichè costui per gioco della maladetta fortuna militando in Austria si è arrampicato ai primi onori come la zucca quando salì sulla quercia, non passa giorno senza che di me faccia strazio. Lascio la insolente ostentazione della sua ricchezza, lascio il continuo sbottoneggiare, i soprusi, gli strapazzi, mi fermerò a questa ultima; dietro a casa sua ha tirato su un muro che togliendo la vista alla mia, me l'ha ridotta a carcere; e siccome io gliene feci tenere proposito parendomi che egli murasse, anzichè per comodo suo, per dispetto mio, rispose essere padrone di levare fabbriche fino al cielo, e sprofondarle fino all'inferno, e se non mi piaceva gli rincarassi il fitto. Se costui vive non posso vivere io, e non sarà mio genero chi non mi aiuta a levarmi cotesto pruno dagli occhi. — Persuasioni non valsero a fargli mettere giù il suo proponimento; le preghiere lo irritavano; alla fine tirato pei capelli dal diavolo promisi quel che volle; allora egli disse: tiriamo a sorte chi di noi farà il colpo, e scrisse due nomi su due pezzetti di foglio che accartocciati gettò nella berretta, poi ne trasse fuori uno, e questo fu il mio.... che aggiungerò? Non lo so nemmen io: il cuore mi si scoppia per la passione. Il giorno appresso tornai a casa di Orso, che mi consegnò i cartocci per caricare lo schioppo, affermandomi averli fatti colle sue proprie mani di polvere inglese; a Lellina non mi riuscì parlare, solo uscendo ella apparve alla finestra e ingannata dal padre suo mi disse: — Giovà, obbedisci a babbo, e subito dopo ci maritiamo. — Povera Lellina, tu non sapevi che mi mandavi a sposare la morte.... e qui il singhiozzo lo strinse alla gola, sicchè incominciò ad arrangolare senza potere profferire parole articolate. Dal violento ondeggiare dei capi, e dal cupo fremito, che le diverse passioni cavavan dai petti, la moltitudine quivi raccolta ricordava il mare che rompe intorno le patrie scogliere. I giudici declinata la faccia stavano pensosi, più degli altri era commosso il Paoli, che appoggiata la fronte alla mano sinistra sembrava in balìa di angosciose meditazioni. — Quando questi, aperti lento lento gli occhi, li volse alla parte dove stava legato Giovanni Brando, vide accanto a lui un vecchio di sembianze austere, e da angoscia sconvolto, e pure degno di riverenza in vista come di rado si vede. Non fu tardo a riconoscerlo il Paoli, che fattogli cenno con la mano lo chiamò a sè vicino, e gli disse: — O signor Matteo! mio onorato cugino, quanto siamo infelici! — In effetto una voce molesta mi è giunta fino a casa che mi annunziò il mio figliuolo arrestato; qui giunto, con inestimabile amarezza vedo che non fu fallace la nuova. E quale è la colpa che appongono al mio figliuolo? — Siccome il Paoli esitava, il vecchio insistè: — dite franco, signor Generale, accusato per la Dio grazia non significa reo, molto meno condannato. — Lo accusano di omicidio proditorio con premeditazione. — Ohimè! e chi lo accusa? Al Paoli non bastò l'animo favellare; ma sollevò la mano col dito teso; il vecchio fissò gli occhi in cotesto dito, e con ansietà seguitandolo vide che dopo avere trascorso su molte teste si fermò su quella del proprio figliuolo. — Cristo! allora egli esclamò con grido strazievole; e per parecchio tempo non fu inteso verun suono dintorno, eccetto qualche gemito: alla fine il vecchio levò la faccia bianca del pallore della morte, e con voce velata incominciò a parlare: — Compatriotti, amici, Matteo Brando di Russio crede non avere demeritato di voi. — Perdonate se io v'interrompo, cugino, disse il Paoli; conosco a prova la modestia vostra, che non consentirebbe ricordare nè manco un terzo di quello che operaste in pro della patria. Côrsi! Matteo Brando fu quegli, che spinse la pieve di Bozio a ricusare il pagamento dei seini; donde l'origine della guerra con Genova, e la causa della nostra libertà; egli sostenne le prime imprese; non si conosce campo nè pendice nell'isola, dove fu combattuta battaglia o fatto di arme, che non abbia veduto Matteo Brando nell'ora del pericolo; egli a Furiani, egli a Calenzano, egli a Pontenuovo, egli da per tutto — E così come di sangue, prodigo delle sue sostanze.... — Perdonate se interrompo a mia volta voi, signor generale, riprese il vecchio; non era questo che voleva dire, bensì quest'altro: io credo di non avere demeritato l'amore de' miei compatriotti per essermi ritirato dalla milizia e spedito a surrogarmi il mio unico figliuolo, perchè vi giuro da uomo onorato, che me ne ha trattenuto legittima causa; fin qui non la palesai per paura che mi credessero capace di rinfacciare alla patria i servigi, che per mia buona fortuna le potei rendere: ma se adesso lo manifesto, spero che sarò compatito — e qui apertesi le vesti mostrò fasciato il petto — vedete, di tutte le altre questa maligna ferita non si volle rimarginare, sicchè di ora in ora mi arreca spasimo tale, ch'io ne rimango privo di sentimento; se dunque operai qualcosa in pro' della patria, se non demeritai l'antica benevolenza di voi, deh! per le piaghe santissime del nostro Signore non vogliate permettere che Matteo Brando chiuda la tomba del suo unico figliuolo... dell'ultimo dei suoi... La gente oppressa dal dolore taceva. Matteo ripreso fiato a strappi continuò: — uditemi, amici; noi combattiamo una dura guerra, massime ora che entra in campo un nemico munito di ogni maniera di arme: poche all'opposto le nostre, le artiglierie pochissime, e senza di queste io ve ne assicuro, non verremo a capo di nulla; tale è pure l'avviso dei periti; ebbene, io vi provvederò di due cannoni di bronzo, con l'arme di Corsica, carretti, arnesi, ed otto muli da carreggiarli; non basta, io armerò una compagnia di soldati, e fin che dura la guerra la manterrò a mie spese; del mio figliuolo non ne vorrete sapere più altro; capisco; ebbene ve gli ammaestrerò io, li condurrò da me stesso, dirò alla mia ferita: chiuditi; se non vorrà chiudersi, procurerò mi dolga meno; e se vorrà continuare a tribolarmi, tal sia di lei; ognuno si piglierà cura di sè dal canto suo; ma, patriotti miei, amici, parenti, accettate vi supplico il prezzo del sangue, non consentite che il figliuolo di Matteo Brando finisca strozzato sopra la forca. Al fine delle sue parole s'intese un gemere basso fra la gente, un rammarichio come quando i congiunti accompagnano alla fossa un caro defunto. Serena si provò a gridare: vendetta! ma la voce le rimase attaccata alla gola, e proruppe anch'essa in un singhiozzo. Il Paoli si strinse a parlamento co' Decemviri: parve piuttosto stesse a udire, che favellasse: per ultimo a quanto sembrò, ed anco l'effetto diede a divedere, vennero in una sentenza, la quale fu significata dal Paoli in questi termini: — Matteo Brando, la gente côrsa in premio dei vostri benefizii vi compartì da parecchi anni il nome di padre della patria; il popolo non può dare altro ai suoi benefattori, ma che cos'altro al mondo può stare a pari di questo? Adesso affinchè tutti conoscano che così chiamandovi, egli non intese conferirvi un titolo vano, commette nelle vostre mani la salute del paese, la maestà delle leggi, l'assoluzione e la pena, la fama sua onde vivrà perpetuo alla reverenza, o al vituperio dei posteri. Sedete qui; voi siete in questo momento supremo dittatore della nazione. Il vecchio tra attonito e spaventato si schermiva da sedere sopra il seggio del Paoli, ma il popolo con uno scoppio di gridi urlò: — no, no, sedete e giudicate. Il vecchio sedè, forte agguantandosi con le mani ai bracciuoli: il volto per l'agitazione sofferta in quel punto aveva vermiglio; volse sottecchi uno sguardo al figliuolo, quasi dubitasse ch'ei fosse desso, e lo aspetto di lui gli somministrasse qualche speranza: invano però, che Giovanni giaceva disfatto sotto il peso del rimorso e della vergogna; allora il signor Matteo si fece d'un tratto bianco, strinse gli occhi, ed abbassò il capo sul petto; da un punto all'altro il suo viso sformandosi pigliava il colore livido del cadavere; ci fu anzi un momento nel quale crederono ch'ei fosse morto addirittura, e più di un grido di terrore s'intese; ma di questo fu niente, chè all'improvviso sollevò il capo, aperse gli occhi e con voce tremula, e pure forte perchè tutti sentissero, parlò: — Come padre doveva pregare, ed ho pregato, come giudice condanno. E cadde svenuto. Il Paoli sostenendolo fra le braccia gridò: — Segretario, scrivete: in virtù dei poteri delegatici dalla nazione ordiniamo che il nome di Matteo Brando di Russio venga inciso nelle tavole delle parrocchie fra coloro che dettero la vita per la patria, e tutte le domeniche venga letto dal sacerdote dopo l'Evangelo all'altare, affinchè questo sia di onore a lui, esempio della virtù côrsa ai presenti e ai futuri. — Poi commettendolo alle cure degli astanti soggiunse: — Che se taluno opponesse come egli non abbia dato, a tenore della legge, la vita per la patria, quanti siete padri quaggiù ditegli, che dando la vita del figliuolo in ostia consacrata alla giustizia, egli fece più.... troppo più che dare la sua. Un grido unanime rispose: — troppo più. Il Paoli da capo: — voi altri, cittadini pietosi, sollevate questo magnanimo infelice, e trasportatelo soavemente nel palazzo del governo; se fossimo in Roma antica vi avrei detto: portatelo al Campidoglio e deponetelo nel tempio di Giove. Però, mentre il vecchio svenuto era trasferito altrove, il Paoli compresso un gemito esclamava: — che non per questo sarebbe meno al cuore di padre il monte Calvario! — Giovanni Brando di Russio, raccomandatevi a Dio; il cielo può perdonarvi, ma sopra la terra non vi rimane che espiare la colpa. Era più che mezza inoltrata la notte, quando al lume sanguigno delle torce quasi consunte, fra il silenzio sepolcrale delle genti per cui si sarebbe potuto sentire il rumore del grano di sabbia nell'ampolla dell'orologio a polvere, fu letta la sentenza, la quale condannava Giovanni Brando ad essere impiccato alle forche _biscagline_; era inoltre fatto per essa comandamento, che veruno si attentasse rimoverne il cadavere senza ordine superiore, pena la vita. Mentre Altobello e il Boswell se ne tornavano a casa, per così dire, intirizziti dalle molte e fiere commozioni, il primo rompendo il silenzio domandò: — che ve ne pare del nostro generale? E l'altro dimentico della scatola, del tabacco, di tutto insomma, si scosse e rispose breve: — Ah! mi pare un Dio. Pasquale Paoli non era un Dio, no, bensì una di coteste creature, che molti doni ebbero in sorte da lui, segnatamente quello di penetrare con uno sguardo nei cuori, e leggerne i più reconditi pensieri come in un libro aperto; onde nel porre la sua firma sotto la sentenza, che condannava a morte Giovanni Brando, osservò che la scrittura di quella offeriva svolazzi e rifioriture di penna, come avviene se un uomo scriva cosa che gli faccia piacere. N'era stato scrivano Matteo Massesi figliuolo di Giuseppe Maria, grande cancelliere del regno; giovane per eccellenza d'intendimento, e venustà di corpo facilmente primo fra i giovani che stavano intorno al Paoli, e da questo tenuto in delizia. Il Paoli, intanto che firmava, notò di più, guardando obliquo, gli occhi del giovane mandare un lampo di gioia; fu un lampo solo; ma non andò perduto. Nel recarsi al palazzo il generale si appoggiò al braccio del giovane senza dire motto: giunto sopra la soglia della sua camera si fermò e gli volse la parola in tali termini: — Matteo, mal giorno fu questo; pensava ultima l'angoscia del caso di Giovanni Brando; e m'ingannai; mi venne cresciuta, e la cresceste voi. — Io? E perchè signor Generale?. — Perchè mi avete fatto conoscere che chiudete in seno un cuore cattivo. Voi avete esultato della morte di Giovanni Brando. — Io? — rispose Matteo mutando colore: — certo se sentirsi compreso d'indignazione contro uno scellerato assassino è colpa, io confesso averla commessa. — Per voi dovevate serbare la pietà; a noi giudici lasciare la giustizia. L'uomo giudica dai fatto, nè l'ingegno infermo gli concede adoperare altra misura; Dio poi, che conosce le ragioni recondite del fatto, io credo che sovente scusi dove l'uomo condanna; però chiunque non si trovi in condizione di giudice farà molto bene a starsi col cuore dalla parte di Dio, che sovente scusa, e sempre ai pentiti perdona. Ciò detto lo licenziava senza permettere che gli entrasse nella camera, dov'era solito leggergli, prima di addormentarsi, qualche tratto della vita di Plutarco. Lo so, l'ho detto, e lo ripeto: interrompere il filo della narrazione per frammetterci dentro avvertimenti e sentenze fa contro le regole dell'arte; raffredda il libro, guasta la composizione, insomma equivale a porre in tavola un pranzo diaccio ai convitati: di più questo affibbiarmi la tonaca censoria sa di predicatore lontano un miglio, e chi vuole spacciare quaresimali attenda la quaresima: per ultimo siffatti ammonimenti screditati per dichiarazioni importune nessuno vuole intendere; anzi alla comune degli uomini riescono incresciosi; però aveva pensato evitarle con diligentissimo studio, ma tanto e' caccia via il tuo vizio dalla porta, e ti rientrerà in casa dalla finestra, sicchè in proposito del fatto di Giovanni Brando _trovo_ (dizione da me imparata su i bandi austriaci quando _trovano_ di fucilare i cittadini, e di taglieggiare le nostre città) da notare, che di esso e di altri simili, memoria scritta appena si rintraccia, e la tradizione ogni giorno più illanguidisce nei ricordi dei Côrsi; nè senza ragione, che alla moderna civiltà paiono delitti le virtù antiche; così i casi di Postumio Tuberto, di Manlio Torquato, di Spurio Cassio, di Decimo Sillano, di Marco Scauro, di Antonio Fulvio o si nascondono, o si vituperano, o si negano; poi i focosi lo bandiscono addirittura immanità contro natura, i moderati lo screditano per falsa virtù. L'età servile ha bisogno discredere le virtù di cui l'esempio e lo eccitamento riescono perniciosi; all'opposto ricorda con compiacenza il cavaliere di Assas, eroe del servaggio, e questo perchè ai tempi che corrono ci trovano il conto loro così padroni come servi; i padroni nella speranza che torni il secolo di oro della obbedienza, i servi pel premio che ne diviene agli eredi del morto. Da una parte e dall'altra si vogliono virtù, che si possano comprare, vendere, mandare al monte, impegnare in mano all'usuraio: virtù insomma da cavarne costrutto. Le virtù le quali si propongono a scopo la fama, o la patria, non sono virtù di consumo: cose di lusso scomunicate meritamente dalla buona economia. Quanto non può ridursi a moneta ai dì nostri si giudica infame, per lo meno pessimo. Un banchiere, udendo narrare _mirabilia_ dei trovati di Galileo, domandò quanto fruttavano per cento d'interesse all'anno. Oh! se l'apostolo delle genti tornasse a pellegrinare nel mondo non troverebbe più scritto sul frontone del tempio: _Deo ignoto_; no, davvero, perchè il Dio è bello e trovato, ed il suo nome si legge sul fastigio delle basiliche, nelle facciate dei palazzi, nei frontoni dei tribunali, in carcere, in bottega, in sagrestia, alla taverna, al bordello, in faccia ad ogni uomo segnato tra ciglio e ciglio, da per tutto insomma, da per tutto, ed è il _Dio quattrino_. Quanto alla Francia la cosa è diversa, e ognuno lo sa; quivi Dio tutelare del gran popolo continua ad essere la trinità: _libertà, fraternità, uguaglianza....!_ Tornando Altobello a casa in compagnia del signor Giacomo, egli si accorse dal non rispondere di costui a parecchie proposizioni, o rispondervi a vanvera, che il suo spirito galoppava in rimote contrade; si rimase pertanto in silenzio, e lo condusse per mano come si costuma i fanciulli; egli entrò senza accorgersene, o almeno senza darne segno, come del pari si assise alla mensa. Altobello allora notò cosa, alla quale a cagione del tumulto dell'animo non aveva avvertito prima, cioè l'assenza del fratello Mariano, e notò eziandio la miserrima imbandigione, non già che di questo a lui venisse molestia, che avvezzo dalla infanzia alla frugalità, e soldato, si sapeva adattare, bensì se ne crucciava per l'ospite, ed anco per la superbia naturale ai Côrsi, che li persuade a ostentare maggior stato di quello che veramente possiedano, mentre adesso vedeva cascare la madre nel vizio opposto, mostrandosi di gran lunga più disagiati di quello che fossero; però a cavarlo ben tosto di pena valse l'osservazione, che il signor Giacomo continuava nel suo stato di estasi non badando, nè curando quanto gli cascava dinnanzi agli occhi; singolare qualità di queste nature settentrionali, che come i sassi posti su la cresta dei colli, quanto più sono pesi a smovere, tanto più difficilmente si fermano una volta abbiano preso il ruzzolone. Di questo divagamento in quel punto insanabile furono segni tuffare le dita nella scodella del pan bollito nel latte e recandosele al naso come per prendere tabacco, e scambiando la scatola col bicchiere accostarla alla bocca per bevere; allora Altobello giudicò conveniente accompagnarlo nella sua stanza, e quivi lasciarlo in balìa dei suoi pensieri: arrivati che furono sopra la soglia, il Boswell riscotendosi disse: — Signor Alando, egli è certo che nell'ordinario andamento della vita, quando i bisogni del corpo abbaiano, l'anima tace paurosa: dove poi questa sia tocca dal fuoco celeste, ella si strascina dietro il corpo quasi schiavo al trionfo. Il bisogno che si pasce di pane forza è che taccia davanti al bisogno che si nutrisce di meditazione e di preghiera. Però Francesca Domenica lo aveva precorso nella camera, e con la sollecitudine solita alle buone massaie gli andava indicando: — Veda, ecco qui il suo cavastivali.... — Nei tempi moderni non saprei a cui paragonarlo, e negli antichi a veruno, se togli Licurgo. — No, signore, egli è modernissimo, me lo riportò l'altra settimana maestro Nottola; se le farà bisogno qui troverà il suo vaso da notte. — Degno proprio di essere messo in paradiso. Francesca Domenica, trasecolata, guardava il vaso da notte, guardava il signor Giacomo; quando questi, scosso il capo, volse attorno gli occhi consapevoli, e favellò: — Gran peccatore, in fede mia ha da essere quello che abita qui dentro; e' pare che tema l'assalto non di un diavolo, bensì di una legione di demoni. — O signore! tutta scandalezzata esclamò Francesca Domenica, come potete dire questo? — È chiaro; a che tanto presidio di santi in fortezza se non temeste la scalata di centomila diavoli? Idolatri! Voi non sapete come si adora, nè come si prega Dio. Qui di un salto il signor Giacomo balzò sul letto con terrore di Francesca Domenica, che vedeva nabissare la sua bella coperta di cataluffo nero a fiorami amaranti, che dopo l'ultimo parto non aveva più messa fuori; dove piegate le ginocchia e giunte le mani in atto d'ineffabile compunzione, esclamò: — Dio onnipotente, in ogni opera della tua creazione ti benedico e ti ammiro; quando poi mi mostri un cuore di uomo illuminato da intelletto divino, io ti ringrazio con tutta la effusione dell'anima mia, imperciocchè allora io creda che aperto il tuo santo tabernacolo tu mi renda degno di contemplarti faccia a faccia... Francesca Domenica si segnò tre volte, e bisbigliando nell'orecchio al suo figliuolo disse: — Altobello, io temo forte che il sole abbia offeso il cervello di questo povero inglese, ed ei ne sia diventato matto. — Ah! mamma mia, piacesse a Dio che di questi matti possedesse molti il mondo, come pur troppo ne ha pochi, che adesso non si troverebbe più il seme dei ricchi insolenti, dei poveri disperati, nè di oppressori nè di oppressi. Chiusa la porta, e seduto Altobello al fianco della madre, prese a dirle con voce sommessa: — Di Mariano che n'è? È infermo? In campagna? Come accade che io non l'abbia anco visto? — Ah! è infermo. — Perchè tacermelo? — Figlio mio, ci hanno malattie che incominciano dal corpo e ne discacciano l'anima; ce ne ha delle altre che incominciano a guastare l'anima per distruggere anco il corpo, e sono le peggiori; il tuo fratello vive travagliato dalla pessima fra queste. — Misero lui! e come si chiama questo flagello? — Senti, tanto tacertelo non si può, e forse ho mal fatto a differire fin qui, e tu mi pari giovane savio... ah! tu solo mi ritrai il tuo povero padre. Accostati, che nessuno ci senta; Mariano è preso dalla più feroce avarizia che si sia mai vista al mondo; accostati ancora, chè morirei di vergogna se qualcheduno lo sapesse; egli mi ha cacciato di casa... Chetati! non dare in furore, altrimenti chiudo la bocca e non dico più nulla. — Continuate, mamma mia, io sono tranquillo quanto posso essere udendo tali enormità. — Il suo angiolo custode ed io abbiamo tentato il possibile per salvargli l'anima, ma il demonio l'ha vinta, ed ora che ci ha messo il nido, temo che non ci abbia partorito la sola avarizia. Quanto ho sofferto! Ogni giorno mi erano contati i bocconi, ogni momento mi ributtava in faccia il tozzo di pane che cibava, e nonostante ciò io fingeva non capire per evitare scandali, finchè una mattina mi disse che non poteva sopportare la spesa di mantenermi, onde pensassi a ricoverarmi presso i miei parenti; risposi che la casa apparteneva metà a te, e che se non mi voleva sul suo, sarei rimasta sul tuo. Io non ho visto mai bestia arruffata come Mariano a queste parole; urlava, pestava i piedi, si svelleva i capelli, Dio e i suoi santi peggio di un turco bestemmiava, e in mezzo alle bestemmie non rifiniva di affermare che la casa era sua, averla comprata da te, tu non averci a fare più nulla. Possibile, Altobello, che tu abbia venduto la casa di tuo padre? — Andate innanzi, mamma... io sono tranquillo. — Allora, sentendomi strappare il cuore nel pensiero di dovere uscire vecchia e madre dalla casa dove entrai giovane e zitella, una ispirazione mi suggerì queste parole: «non v'inquietate, Mariano, io me ne andrò, ma non prima che mi abbiate reso la mia dote.» E' sembra non ci avesse avvertito, perchè rimase come tocco da accidente; ed io, prevalendomi del suo sbigottimento, gli proposi si tenesse la dote, mi lasciasse abitare il piano terreno della casa; al mio mantenimento avrei provveduto da me. — E adesso come fate a camparvi? — Alla meglio, figliuolo; un po' sul _chioso_ degli olivi che mi lasciò la zia Bartolommea a mezzo col cugino Bastiano, un poco lavorando; certo tutto questo non fa spesa grassa, ma mi contento; solo con questo signore in casa non so a qual santo votarmi, perchè quanto a danari sono più povera dei cappuccini. — Oh! per venire al Macinaggio come l'avete stillata? — Ci vogliono quattrini per questo? Ho preso il mulo di casa, senza curarmi della sciarrata che ne avrebbe mossa Mariano, gli ho messo sul groppone un bravo sacco di castagne, e per la via sono bastate crude per lui, cotte per me. — E a dormire? — Dormire due o tre notti su la paglia non fiacca le ossa, nè guasta la nobiltà. — Ma chi ha pagato i muli che avete preso a nolo? — Me l'hanno fidati a credenza senza pegno. — Manco male pei muli; ma che potevate pure chiedermi danaro per provvedere alla cena; sudava acqua e sangue nel vedere la imbandigione che ogni più gramo Côrso sariasi vergognato presentare al suo ospite. — Quanto a questo non ho colpa, Altobello, vedi; io non ci pativa meno di te: prima di partire pel Macinaggio lasciai nell'armadio vino, olio, farina, frutta, _micischia_, _lonzo_, cipolle, insomma da tirare avanti un mese: durante la mia assenza pare che Mariano, aperto l'uscio con qualche altra chiave, abbia portato via ogni cosa. — Anche ladro? — Ma! lo avrà fatto per pagarsi il nolo del mulo che menai meco al Macinaggio; mi sono accorta tardi della mancanza, e a venire a chiederti in pubblico i quattrini per cena non mi ha retto l'animo; mi è venuto in mente il santo patriarca Abramo, il quale andando pel monte disse ad Isacco: Dio provvederà, e mi son gettata anch'io nelle sue braccia, e Dio ha provveduto, come vedi, perchè il signore inglese non ha voluto cenare e non si è accorto di nulla: quanto a noi altri mangiare poco o assai torna lo stesso. — E la gente che ci ha accompagnato le bestie, dove l'avete riposte? — Non dartene pensiero, l'ho raccomandata al cugino Bastiano, e da lui accettai il pane e il latte. — Signore! sclamò Altobello coprendosi la faccia con tutte e due le mani, o nobile casa di Alando, a che punto ridotta! Ma il fratello Mariano sa il mio arrivo? — Lo sa: quando eri fuori egli è comparso qui, voleva ad ogni patto sciogliere cotesto sciagurato di Giovà, ed io l'ho impedito; allora ricorse alla violenza, ed io l'ho impedito. — Tutto questo aggiusteremo con l'aiuto di Dio domani: ora andiamo a letto. — Che importa? Fra poco sarà giorno; per dormire un'ora o due, tanto vale non coricarsi del tutto. — Mamma mia, sento forte il bisogno di dormire. — Signore! Stenditi sul pavimento e dormi, perchè.... perchè al mio figliuolo non posso offrire altro letto. — Ma non vi ha lasciato Mariano tutto il piano terreno? — Disse di lasciarmelo, ed anco per pochi giorni me lo lasciò ma poi mi ritolse ora una stanza per la legna, ora pel grano ora per le castagne, che son rimasta con la cucina e con la camera da letto; e dubito che non si rimanga finchè non mi abbia cacciato dentro un sottoscala. Altobello, dopo avere passeggiato un pezzo di su e di giù per la stanza, scotendo ad un tratto il capo come uomo deciso, favellò: — Qui importa vederne il chiaro; prima di tutto, pigliate qua, mamma, questo è denaro, e spendetelo come conviene all'antica rinomanza della magnifica nostra casa: adesso accompagnatemi da Mariano. — Altobello! Altobello! per amore di Dio, non mi far pentire di quello che ti ho detto. — Non dubitate, gli occhi di Dio in cielo e quelli della madre in terra preservano l'uomo dalle male azioni, venite. [Illustrazione: Come padre dovea pregare, ed ho pregato, come giudice condanno. (_pag. 201_)] Francesca Domenica, recatasi la lucerna in mano, precedè rischiarando il figliuolo al piano superiore: arrivata sul pianerottolo incominciò a bussare adagio prima, dopo qualche intervallo più forte, ed anco più forte, fino a tanto che una voce agra non si fece sentire, la quale domandava chi fosse e che volesse. — Apri, Mariano, apri, è tuo fratello, il figliuolo di tuo padre, che dopo dieci anni viene ad abbracciarti. Si sentì per di dentro brontolare, ma troppo fu potente lo scongiuro, perchè un Côrso, avesse anco dato l'anima al diavolo, si attentasse resistervi; subito dopo il rumore di passi pesanti e lo scatenìo di chiavacci; finalmente si aperse la porta, e comparve la lurida figura di Mariano. Altobello gli gettò le braccia al collo ed accostò la bocca alla bocca di lui per baciarlo, ma quegli torse altrove il volto e profferse l'una e l'altra guancia. Fosse ira o coscienza, Mariano non rese il bacio, che tra i Côrsi si ha per cosa sacramentale; Altobello finse di non ci badare, e sospingendo alquanto Mariano entrò in casa. — Mariano, allora senza perdere tempo gli disse, vi ho da parlare. — Potevate sciegliere ora meno incomoda, ma non rileva, sto ad ascoltarvi. — Accendete il lume.... — Le parole non hanno bisogno di esser vedute...., e poi spero che finirete presto: in ogni caso basta la lucerna che mamma ha lasciato sul pianerottolo. — Lo zio vi manda a salutare caramente voi e la vostra moglie. — Grazie, rispose Mariano, e dopo lui una voce in falsetto uscita dall'altra stanza ripetè: grazie. — Lo zio vi prega accettare certi suoi regaletti... — Era meglio che mandasse quattrini; e che roba sono questi regali? — Un bel taglio di panno per voi, un altro di stoffa di seta per la cognata, e di più una collana di Venezia. — Meglio quattrini, ma per la verità le mie vesti sono tutte toppe. — E non reggono più il punto, non reggono più il punto, ripetè la voce stridula per di dentro. — Mi ci rivestirò... o non sarà meglio barattarlo in panno côrso, e la differenza farcela dare in quattrini; che ne dici Lucia? — Quattrini, quattrini, ripeteva la moglie con lo strido della civetta. — O se ti parrà che io ne possa fare a meno per qualche altro po' di tempo, venderemo tutto, panno, seta e collana, e ridurremo in quattrini. — Sì.... in quattrini. Altobello sentì venirsi la nausea al cuore, ebbe un capogiro durante il quale gli parve che un turbine di monete luminose facesse remolino dentro la stanza. — Voi ne farete quanto vi piacerà; ma adesso, Mariano, vi prego dirmi da quando in qua in Corsica, massime in casa Alando, si ricevono nel modo con che avete fatto, ospiti e fratelli? Così vi preme la riputazione dei nobili nostri antenati? — A vero dire, io credo che ai nostri antenati all'ora che suona non prema più di fama e ne manco d'infamia: ad ogni modo se gliene importa, ci pensino da loro; quanto a me io so che chi dà pane ai cani degli altri è abbaiato dai suoi. — Lasciamo stare il pane, ma almeno un po' di ricovero! — Anzi, su questo per lo appunto bisogna camminare col piè di piombo: non bisogna metterci in casa gente che non conosciamo; chi mi assicura che egli non sia un ladro?... — Mariano! — Non v'inquietate; ad ogni modo è meglio vergognarci di avere tenuto chiusa la porta, che pentirci per averla aperta; e poi, alla meno trista, co' forestieri sono creanze gettate; costoro ci hanno sempre fatto del male; i Saracini informino. — Ma il signor Giacomo Boswell non è mica un Saracino, bensì un gentiluomo inglese. — Peggio, mille volte peggio; è un eretico che non crede nel Papa, mercanzia d'inferno; sento fin di qua il puzzo di zolfo che manda; lo senti, Lucia, il puzzo di zolfo? — Puzzo! zolfo! io non sento niente. — Perchè sei una bestia... una scema, e non apri mai bocca che per contradire il tuo marito; lo senti o non lo senti il puzzo dello zolfo? — Zolfo! zolfo! strillò la donna. — Povera creatura, sospirava Francesca Domenica, costui l'ha fatta scipidire senza rimedio. — Me ne rincresce per voi, proseguì Altobello, perchè so che vi aveva portato di bei regali dal suo paese. — Circa a questi li faremo benedire, e non recherà stroppio tenerli; ma lui sarebbe opera buona buttare a terra dalle scale. — E di lui non parliamo più, ma di me? — Di voi? Di voi sarebbe stato altra cosa se foste venuto solo; per una notte, ricovero ve lo avrei dato; e pel figliuolo di mio padre una fetta di pane e un bicchiere di acqua l'avrebbe avuta di certo. — Non ci era da appuntellare la casa per timore di ruina. Mariano fingendo non avere inteso, continuò: ma siete venuto con un branco di bestie e di cristiani, anzi con un eretico; e come se fosse poco mi ci avete tratto legato anco Giovanni Brando. O questa, che novità è stata? Dove non si guadagna, fratello mio, la perdita è sicura. Se costui commise malefizio, tocca pensarci il bargello: adesso mi avete messo su le braccia tutti i parenti di Giovà: non rifiniscono dire che ora si fa buona giustizia; me ne rallegro tanto, ma se mi tagliano gli olivi, ammazzano le bestie, bruciano le biade, _accintolano_ i castagni, chi mi rifà il danno? E se mentre vado attorno per le fiere da qualche macchia mi viene un'archibugiata nella testa, chi mi ce la cava? La giustizia eh! Continuando a vivere insieme, voi capirete, Altobello, che voi mi mettete a brutto partito; onde confido nella vostra compitezza... — Se temevate davvero che dallo starci sotto il medesimo tetto ve ne potesse derivare danno, il ripiego ci era prontissimo. — Quale? — Andatevene di casa. — Come! uscire di casa mia? — E perchè sarei uscito io? per farvi piacere? Questa casa non appartiene a me come a voi? I campi, i chiosi, le selve non sono mie come vostre? Quando abbiamo diviso? — Diviso mai, nè divideremo. — Dunque, se sopra la mensa comune voi aveste imbandito il frutto della terra comune, non mi avreste dato nulla del vostro. — Nulla del mio? Ma che svagellate, Altobello? O non vi rammentate? — Di che ho a rammentarmi io? — Del contratto... — Qual contratto? — Quello col quale mi avete venduto i vostri beni così mobili che immobili, semoventi, usi, servitù, comodi diritti, crediti, insomma tutto, niente escluso, eccettuato di quello che vi spettava sopra la eredità paterna. — Io vi ho venduto questo? — Già, vale a dire il vostro procuratore, prete Stallone, un degno sacerdote in verità, il quale riscosse il danaro per voi e si prese la fatica di portarvelo fino a Venezia. — Fino a Venezia? In verità non me n'era accorto; e mi immagino che ne avrete le prove. — E come! Primieramente ho il mio libro di amministrazione, che attesta avere io sborsato tutta la somma di un tratto, il quale pagamento, a cagione della scarsità dei quattrini, mi ha messo in piana terra; non è vero, Lucia? — Piana terra! Piana terra! — Lo sentite, lo dice anche Lucia, che non fa altro che contradirmi, e poi ho la ricevuta. — Ricevuta di chi? Mia, forse? — Ella è come se fosse vostra, perchè fu sottoscritta dal prete Stallone, vostro procuratore, un degno sacerdote... — Sta bene; per questa volta abbiamo discorso assai, ora tornate a dormire che dovrete aver sonno. Mariano non se lo fece dire due volte per evitare di sentirsi chiedere materasso o paglia, dove i suoi parenti potessero adagiare le membra; fingendo non ricordarsi che una sola stanza occupava la madre, ed ignorare ch'era stata ceduta all'ospite, sbatacchiato l'uscio tirò precipitosamente l'uno su l'altro i chiavacci. Pertanto non recò piccola maraviglia al suo fratello, quando dopo alcuno spazio di tempo, si sentì chiamare traverso il buco della chiave. — Altobello, Altobello. — Che volete da me? — Se domani uscirete di casa prima che faccia giorno alto — di che vi pregherei — in questo caso vi raccomando l'osteria del Violino — pulita, sapete! e ci si spende poco; costà la gente si leva da letto prima dell'alba; — voi potreste aprire i bauli e cavarne i regali, che lo zio ha mandato a me e alla mia Lucia; — pensate che non è roba vostra, e che il vostro dovere vi obbliga consegnarmeli; se me li ritenete un minuto più del necessario sarebbe un rubarmeli, capite... un rubarmeli; sicchè fate ch'io li trovi dopo che sarete andato via. — Non dubitate, sarà pensiero mio. — E quelli dello inghilese, saltò su a strillare la scema: anche quelli dell'inghilese io voglio... li voglio... e che puzzino di zolfo non me ne importa niente... li voglio... li voglio... — Altobello, se vi riescirà averli per contentare questa povera donna, ve ne sarò obbligato; poi verremo a ringraziarvi voi e lui quando sarete alloggiati alla osteria del Violino. Altobello, seguitato dalla madre, scese al pianterreno col cuore chiuso; pareva, ed era troppo più triste che irritato; senza dire parola stese il suo cappotto per la terra e ci adattò sotto una valigia per capezzale; piegate di poi le ginocchia si mise a pregare per la madre, per sè e pel suo sciagurato fratello, affinchè Dio lo ravvedesse. La madre stette a contemplarlo estatica, poi d'impeto lo baciò e lo benedisse, esclamando: — Tu sei il figliuolo della mia consolazione. — Ma voi, ora che ci penso, dove dormirete, mamma? — Dormirò seduta — e presa una seggiola l'accostò alla tavola, accomodandosi meglio che potè; nè stette guari che parvero addormentati ambedue; però la madre vegliava; ella leva cauta la testa, e poichè dal sospiro profondo si accerta essere il sonno disceso sopra le palpebre del figliuolo, si alza piano piano e si mette a giacere traverso la porta della scala che conduce alle stanze di Mariano... intanto ch'ella si chinava premendosi con la destra il petto bisbigliava: — Perchè questo? Capo mio, capo mio, oh! non dirlo a questo mio cuore. Noi non meriteremo di essere messi in mazzo tra preclari e tra grandissimi scrittori (come Gualtiero, il marchese, _eccetera_) che tanto nobilmente dettarono storie dal 1847 in poi, nè manco pel fatto della verità, se affermassimo che il signor Giacomo Boswell si destasse con lo entusiasmo col quale si era coricato: anzi, di quanto nella notte questo gli scemava, di altrettanto gli cresceva l'appetito, onde fu consiglio buono quello dell'Alando di provvedere in tempo; cibò il signor Giacomo di tutto largamente e con gusto, tornò all'usanza antica del prendere tabacco, dondolare la scatola e ripetere: bene, sia che c'incastrasse, sia che ci stesse come Barabba nel Passio: avvezzo a vivere fra gente di ogni maniera, e per natura discreto, non essendogli fatto motto dei parenti, capì che non ne doveva cercare e non ne cercò; solo gli parve dicevole affrettarsi a consegnare al generale le lettere a lui confidate dal signor Giacomini, non che le proprie: a questo scopo uscì di casa accompagnato da Altobello; per via seppero che lo sciaurato Brando era stato rimesso in braccio ai confortatori, e al tramontare del sole sarebbe stato giustiziato; i congiunti suoi avere sporta supplica al generale poichè la corda mutasse in fucilazione, ma non essere stata accolta; finalmente sboccati dinanzi al palazzo del Governo videro parecchi capannelli dintorno alle porte, e in mezzo loro una ventina di uomini a cavallo; questi vestiti di assisa soldatesca non si potevano dire, tuttavolta portavano abito uniforme di panno scuro, schioppo e banderuola, sciabola, pistola e stiletto; in capo un berrettone nero appuntato, con nappa in cima parimente nera; montavano tutti cavalli côrsi scarsi di altezza e di carne, di pelo la più parte sauro, però inquieti e di guardatura salvatica; altri sei cavalli più appariscenti e avvantaggiati stavano in mezzo bardamentati di tutto punto, ma vuoti; tra questi mirabile uno di razza araba, storno, con morso e staffe alla turca di argento, la gualdrappa di velluto chermesino ricamato in oro alla grande. Naturalmente venne fatto ai nostri personaggi di domandare la causa di cotesta adunata, e cui appartenessero cotesti cavalli: da principio non trovarono chi volesse loro rispondere, ma quando dichiararono uno di essi forestiero e l'altro giunto dopo lunga assenza il giorno precedente, seppero la cavalcata doveva muoversi a ricevere l'ambasciatore che il re di Francia mandava al Governo di Corsica; cotesti cavalli spettare ai comandanti Valentini, Serpentini, Saliceti ed altri; l'arabo a sua eccellenza il generale; averglielo mandato a regalare il Bey di Tunisi, perchè il generale impedì saccheggiassero una sua nave data in secco su la spiaggia di Aleria, e manomettessero la ciurma; in cotesta occasione essere uscito un bando bellissimo, il quale in sostanza diceva che l'uomo colpito dalla fortuna non deve più considerarsi turco, ebreo, anzi nemico, bensì sventurato, e come tale correre l'obbligo a tutti di confortarlo: in sequela di ciò i naufraghi affricani, dopo risarcita la nave, ebbero la facoltà di tornarsene a salvamento in Affrica: non ingrato il Bey, avergli spedito un oratore, che venuto al cospetto gli disse: il mio signore ti saluta e ti vuol bene, poi donatogli il cavallo, ed altre robe di valsente, gli fece profferte grandi per parte sua in ogni emergenza si ritrovasse. — In questa si udirono parecchie voci, che dissero: eccoli! e la gente in fretta si ammucchiò curiosa di vedere. Di un tratto con un mediocre stupore del Boswell uscirono dal palazzo alquanti uomini ottimamente vestiti di panno scuro, con rovesci al collo e alle mani di velluto verde, armati come gli altri cavalieri, che rispettosi rimasero a piedi finchè il Paoli non salì sopra il suo cavallo. Dove non lo avessero avvertito, a gran pena il Boswell lo avrebbe potuto ravvisare, imperciocchè adesso gli comparisse davanti coi capelli colti e ripresi dietro al capo in un nodo, e il cappello a tre punte piumato; vestito da capo a piedi di velluto verde trapunto in oro su le costure e negli orli; oltre il consueto doviziosa notò essere la spada che gli pendeva al fianco; tutto insomma, sembianza, gesti e addobbi, tramandavano un misto di grandezza e d'impero, per modo che il nostro signor Giacomo, sbalordito, non sapeva che cosa pensare. Un tiro di archibugio fuori delle ultime case di Corte la cavalcata incontrò il cavaliere Valcroissant accompagnato da un ufficiale e da parecchi suoi famigliari; appena si scorsero, che da una parte e dall'altra smontarono alternandosi urbane accoglienze secondo che porgeva l'indole diversa, aggraziate nel francese, sostenute nei côrsi, che risaliti a cavallo posero in mezzo al generale e al comandante Achille Murati, con molta cerimonia, l'oratore francese, mutando a quando a quando fra loro qualche motto senza costrutto. In questo modo procedendo erano arrivati quasi presso al palazzo, allorchè fu vista comparire fuori della porta di una casa certa vecchia a capo nudo, segno nelle femmine côrse della massima costernazione, esprimente nelle sembianze sconvolte l'estremo dell'angoscia e del terrore; appena vide gente lasciò cadersi giù di sfascio in ginocchio, e con le mani aperte e con le grida implorava soccorso: — Aiuto! per carità, ella esclamava, lo ammazza, lo ammazza, mio marito ammazza il suo figliuolo. Il Paoli in un attimo sbalzò da cavallo, il cavaliere Valcroissant anch'esso, prima di pensare a quello che facesse, si trovò col piede a terra; gl'imitarono gli altri, e tutti di corsa alla casa dove stava per commettersi l'atroce misfatto; nè la donna aveva punto alterato il successo, imperciocchè il Paoli trovò un vecchio infellonito, per tutte le membra tremante, che ad ora faceva l'atto di accostarsi alla spalla lo schioppo e spararlo contro un giovane di piacevole aspetto, il quale ritto accanto alla parete opposta aveva l'aria che non si trattasse di lui. — Fa l'atto di contrizione, borbottava fremendo il vecchio, se non vuoi andare di posta all'inferno. — Ma, signor padre, sentite la ragione... — Non vo' sentir nulla, preparati a morire. Intanto il Paoli, sopraggiunto costà, mirando che il cane dello schioppo era inarcato, fu cauto con un colpo del braccio voltarne la canna al soffitto, e al tempo stesso diceva: — Per Dio santo, Quirico, hai dato l'anima al diavolo, che vuoi ammazzare il tuo figliuolo? — Non ci è Cristi che tengano; ha da morire; non l'ho generato io; lo rinnego per figliuolo; deve morire... e deve morire... — Pare che l'abbia fatta grossa costui! — Eh! una cosa da niente; — vedete, dianzi gli ho detto: Vito, l'aria si carica da levante, avremo presto burrasca; il generale raccoglie una compagnia di mille giovani, fiore di Côrsi, per combattere questi prepotentacci di Francesi, che dopo avere finto amicizia per quattro anni, adesso ci si scuoprono nemici; non istare a gingillarti, procura essere dei primi a segnarti, perchè i Savelli non sono usi di farsi aspettare. Ora sapete che mi ha risposto quel figliuolo ribelle? — Mi ha risposto che chi ne aveva voglia, andasse. Dunque, se non vuoi difendere la tua patria, vai fuori, carnaccia da ingrassare gli olivi. E qui faceva prove di liberare lo schioppo di mano al Paoli: questi però tenendolo stretto si volse al giovane con mal piglio esclamando: — Dunque vive nella Corsica un vile? Il giovane, rosso come un focone allora sbraciato, rispose risentito: — Se ci vive, non sono mica io, sapete, signor generale; ma babbo qui si arrapina per un filo di paglia, e poi non vuol sentire la ragione: mettetevi di mezzo, perchè mi ascolti, ascoltatemi voi stesso, e se ho torto condannatemi. Diavolo! Dove sono uomini, sono modi. — Questo non si può per giustizia negare, Quirico mio; anco ai banditi si permette difendersi. — Così va pei suoi piedi. Voi sapete che in casa eravamo tre fratelli maschi senza più. Giampaolo rimase ucciso a Furiani, Niccoletto morì al convento di Bozio, quando accorse a cavarvi dalle brande del Matra; l'ultimo sono io. Quando babbo mi ha comandato di scrivermi nella compagnia dei volontari, ho fatto a dire: pare che la disdetta voglia che i Savelli non abbiano a uscire vivi di battaglia: chiedo perdono, non deve dirsi disdetta, e veramente chi muore per la patria vive alla gloria e nello amore dei suoi; però, meno che sotto questo aspetto dovete convenire, signor generale, per tutti gli altri, o che l'uomo spiri nel campo o nel letto, quando è morto è morto. Ora ho fatto a dire, se questo caso mi accade, ecco, lascio qui i miei poveri vecchi soli, abbandonati negli ultimi giorni della loro vita; chi li consolerà? chi ne piglierà cura? chi porgerà loro un bicchiere di acqua se cascano infermi? Però ho fatto a dire: io sono promesso a Chilina di Marco Aurelio Brandone, e ci dobbiamo sposare a Pentecoste; dunque sarebbe meglio che prima me la sposassi, ed una volta che la sapessi incinta, e per parte mia, signor generale, vi prometto che farei presto, venire senza un pensiero al mondo a menare le mani, perchè se campo, tanto di guadagnato; se casco, tagliato il ceppo rimane il pollo, e Chilina resta in casa in luogo di figliuola ai miei poveri vecchi. Ora, per Dio santo, domando un po' a voi se qui ci trovate motivo di saltare su i mazzi, e di _tombare_ un povero figliuolo come un cane? Il vecchio Quirico, che a mano a mano il figliuolo ragionava si faceva sereno, alle ultime parole, mentre s'incamminò a depositare lo schioppo in un canto, disse: — Come è così, la faccenda muta di aspetto: ma nossignore; nè anco così va bene, perchè vedi, figliuolo mio, tutti i giorni capita morire di punta, di catarro, insomma di uno di quei tanti malanni che il diavolo ci manda; ma l'occasione di morire con una brava palla in testa per la libertà della patria capita di rado, e mentre t'indugi per le nozze, potrebbe scappare: sicchè, Vito, fa' a modo di tuo padre, non perdere tempo a segnarti. — Ecco, si potrebbe, soggiunse il Paoli, pigliare due colombi ad una fava: invece di celebrare le nozze a Pentecoste, o chi para di farle domani? Vito ha promesso (e così dicendo il Paoli batteva sorridendo la mano su la spalla del giovinotto), che non si farebbe aspettare ad accertarvi la successione, e lo credo; sicchè tra un mese io mi figuro che potrebbe essere lesto: ora, per male che vada, prima del giugno non ci avrebbero ad essere batoste. — Gua', per un accomodo ci sto; perchè non è una galanteria ammazzare un figliuolo, ed anco il patriarca Abramo non ci si adattava mica di buona voglia, sebbene glielo avesse ordinato un angiolo; immaginate se io, che non aveva ricevuto ordine da persona; però vatti veggendo se Marco Aurelio se ne accontenta, il quale fuma più di un camino e gli parrebbe rimanere vituperato se i _mudracchieri_ non andassero a prendergli la sposa a casa, e non facessero la travata, con tutti gli altri fastidi d'usanza. — Ciò non tenga; ditegli che accompagnerò io stesso la sposa alla parrocchia; e parmi se ne dovrebbe contentare. — Ma ci credo! È onore troppo grande per lui, ed anco per me. — Dunque addio, a domani. — La benedizione di Dio sia su di voi, signor generale, gli augurò la povera madre, che piangeva e rideva. — _Amen_, buona donna, e su voi ancora; e tutta la comitiva rimontò in sella. Il generale entrando in palazzo rinvenne l'anticamera ingombra di gente più che non soleva, ci vibrò sopra uno sguardo, e gli parve vedere facce nuove, ma studioso di praticare verso il cavaliere francese ogni termine di convenienza, si trattenne ad indagare. Licenziato sulla soglia la compagnia entrò nel gabinetto coll'oratore ed un frate. Il signor Giacomo, il quale comecchè si fosse riconciliato in parte co' frati dopo l'incontro del padre Casacconi, pure si sgomentava a trovarsegli sempre fra i piedi, domandò ad Altobello: — E chi è quel frate che si chiude in conclave col generale e coll'ambasciatore francese? — Costui si chiama Buonfigliuolo Guelfucci; appartiene all'ordine dei Servi di Maria, o vogliamo dire servita; lo dicono uomo di molta dottrina, e di prudenza grande; detta con molta eleganza di lingua, sicchè in Toscana lo chiamarono a parte dell'Accademia della Crusca, custode, come saprete, della purezza del parlar toscano; il signor generale se lo tiene da molti anni per segretario, ed ha da lodarsene; ma ecco che esce dal gabinetto. Di vero fra Guelfuccio, comparso nella sala, fece intendere con urbanissime parole rincrescere al generale non potere sul subito accogliere le persone ivi presenti; confortarle a non aspettare; tornassero dopo la calata del sole, che avrebbe provveduto in modo da trovarsi libero. Taluni si partirono dicendo si sarebbero fatti rivedere il giorno appresso; altri risolverono aspettare: solo una donna di bello aspetto e giovane ancora non si tenne contenta, ed incominciò a strillare: — Ho furia io, mi sono partita innanzi giorno da Castirla, e non posso ritornare; sì, veramente è la via dell'Orto da Castirla a Corte; e poi ho furia io; bisogna che parli subito al generale, e gli voglio parlare. — Ma capite bene, buona donna, la veniva ammonendo il servita, che il generale adesso sta in faccende per lo Stato. — E se il generale fa le sue faccende, io non posso mandare a male le mie: ho furia, vi dico, ho furia: bisogna che inforni il pane, dia da mangiare ai maiali, annacqui i fagiuoli: insomma ho furia. Tanto e tale mandava schiamazzo costei, che il generale importunato, dopo chiestane licenza al Valcroissant, levatosi da sedere, si affacciò alla porta con volto torbo interrogando: — Che bordello è questo? Perchè non cacciate via il temerario? — Non sarebbe un temerario, bensì una temeraria; ma se merito questo nome, giudicherete poi; intanto bisogna che vi parli, ed ho furia. — Dunque sbrigatevi. — Vien qua, Giacinto; vedete eh! che pezzo di figliuolo? Sentiamo, quanto gli fate? Ma voi non indovinerete da qui a mezza notte, però ve lo dirò addirittura io, perchè ho furia; egli è entrato in sedici anni la festa di san Giacomo e Filippo apostoli... — Sbrigatevi, vi dico. — Lasciatene il pensiero a me, che ho da tornare a casa a infornare il pane. Io, per l'addietro, non rifiniva mai rinfacciare a questo povero figliuolo di mangiarsi il pane a tradimento; perchè come si trattava recarsi in mano una zappa, sudava peggio di un cavallo bolso; sempre lì con lo schioppo in mano, sempre erpicato pei comignoli delle rupi, o sempre inabissato per le fratte delle valli. — Donna, pel vostro meglio, vi consiglio andarvene... — Ma no; ma no; coll'interrompermi mi fate perdere tempo, ed io ho furia; ieri, dunque, mirando che il mio zitello ammanniva lo schioppo per uscire di casa, gli ho detto: scioperataccio che sei, almeno, dacchè da quella rocca in fuori non vuoi toccare altro, tu la sapessi maneggiare come ogni fedele cristiano; gioco un seino che non ti basta l'animo di ammazzarmi quel falco, che fa la ruota costassù. Giacinto si ripose in tasca il misturino dei pallini che stava per arrovesciare dentro lo schioppo, e cavata dalla carchiera una palla la cacciò nella canna, e mi rispose: adesso è troppo alto. Intanto il falco calò, e Giacinto: mamma preparate il seino! — Il falco giù come cencio bagnato. Allora detti spesa al mio cervello e parlai: — Figliuolo, mi sembra che ci stia sopra le spalle un tempo in cui si deve sparare l'archibugio contro qualche cosa di meglio che un falco; dimani verrai meco a Corte: questo domani è oggi, ed io ve l'ho menato, perchè se vi abbisognasse albergare a trecento passi una palla di oncia dentro la testa di qualche prepotente francese, egli è il fatto vostro. Certo il vostro bando chiama alle armi gli uomini da diciotto anni in su; ma ciò non tenga, gliene darò due de' miei, o, se non erro, non vi farà disturbo, generale, dargliene anco due dei vostri. — Devota, poichè mi pare che siate Devota Pieragia di Castirìa.... — Sì certo, giusto, voleva dire che voi non mi aveste riconosciuta! — Il vostro zitello non avrà mestieri di questo brutto regalo, se come corpo gagliardo gli deste cuore disposto adoperare virtuosamente in pro del suo paese. — Ma sicuro che gliel'ho dato; fatti qua oltre... o dove sei ito? Presto che ho furia. Il giovanetto si era rimpiattato dietro le spalle alla madre; ella lo spinse dinanzi a sè tutto vergognoso con gli occhi bassi. Il generale gli pose la destra sul capo e gli disse: — Guardami in viso. Ed egli lo guardò: allora il generale si volse alla madre, e soggiunse: — Non occorre altro, Devota; questo giovane farà dire di sè, o non mi chiamo più Paoli; lo metto nella mia compagnia col fiore dei giovani del paese. — E adesso vado a infornare il pane: mio Colombo addio; un bacio e addio... un altro, e un altro. Signor generale, non ha da costarvi nulla... capite... grazie a Dio ho da fargli le spese, e ad un altro ancora se occorrerà; gli manderò o gli porterò la provvista settimana per settimana: ve lo raccomando perchè l'ho solo, ma all'occorrenza non lo risparmiate veh! Giacinto mio obbedisci il signor generale come obbedivi a tuo padre, che vuol dire un zinzino più che a tua madre, e ora anche un bacio... e addio, chè ho furia. E via di corsa; il generale stava per richiamarla, senonchè Minuto Grosso gli diede su la voce notando: — Lasciatela andare, eccellenza, che la buona femmina pare che abbia furia di andare a infornarvi il pane, e un altro figliuolo. — Minuto! dubito che la stagione dei tuoi motti sia passata: per me penso che se la nostra causa sostenuta dal sangue più puro delle viscere del popolo avesse a soccombere, sarebbe segno che Dio ha ritirate le sue sante mani da questo mondo. Rientrò il Paoli nella stanza, e chiusane diligentemente la porta si volse al cavaliere Valcroissant dicendo: — Signor colonnello, se vi piacerà espormi il fine della vostra ambasciata, sono disposto ad ascoltarvi. Il cavaliere attendeva ricevere lo invito di assettarsi; visto però che il Paoli prese a camminare su e giù per la stanza, non fu tardo ad imitarlo; intantochè essi si movevano su due linee parallele, il cane Nasone, messosi in terzo, si era cacciato nel mezzo regolando i suoi moti con quelli dei nostri personaggi. Il cavaliere, ch'era uomo dotto, non potè astenersi, a cagione dell'accompagnatura, di paragonare il Paoli con gli eroi dei tempi a mezzo barbari, come Evandro, Patroclo, Telemaco e Siface, che Virgilio, Omero e Tito Livio ci rappresentano inseparabili dai propri cani, e per la irrequietudine sua a Catilina, il quale, giusta quando avverte Sallustio, nè vegliando nè dormendo poteva star fermo un momento, tuttavolta con felice disinvoltura incominciò: — Innanzi tratto permettetemi, signore, che io mi congratuli con voi, che col senno e la fermezza, che tutta Europa onorano, avete saputo ridurre i Côrsi dallo stato in cui vivevano a quello in cui oggi li vediamo.... — E li conoscevate voi questi Côrsi? — I Francesi, che con la distanza di parecchi secoli visitarono l'isola, ci lasciarono ragguagli così copiosi come veridici. — E adesso li conoscete voi questi Côrsi? — Spero dimostrarvelo, signore. Il mio padrone e signore.... Il Paoli gli vibrò un'occhiata di traverso. — Sua maestà il re di Francia voi sapete che va degnamente insignito di due titoli del pari gloriosi: uno lo possiede comune co' suoi antenati; l'altro glielo deferivano i popoli riconoscenti: desideroso sempre più meritarsi i nomi di cristianissimo e di bene amato, prese in matura considerazione la guerra secolare che lacera due illustri popoli, il Côrso e il Genovese, e poichè per esperienza propria ed altrui conobbe ormai disperato che tra loro potesse cadere termine alcuno di concordia, deliberò affrancare la Corsica dallo odiato governo della repubblica genovese. Se la Provvidenza non avesse riposte nelle sue auguste mani le forze della prima nazione del mondo, forse avrebbe comandato ai Genovesi sgombrassero da una contrada che non avevano o voluto o saputo nel corso di tanti secoli felicitare; e trovatili contumaci a obbedire, sarebbe ricorso all'ultima ragione dei re; la potenza sua unita in bello accordo con la magnanimità gli persuase partiti più blandi, volle risparmiare sangue cristiano, e la Provvidenza secondò il pio desiderio. La Francia, ricca abbastanza per pagare la sua gloria, con molto denaro acquistava il diritto di beneficare la Corsica; e così operando era mossa dal desiderio di appagare i voti secolari di questi popoli generosi, dacchè con grato animo essa rammenta che un giorno vennero ascritti alla famiglia dei sudditi di S. M., che sotto le bandiere francesi militarono, e per ultimo che anche nei tempi recentissimi manifestarono per mezzo di oratori e di istanze, non una volta, ma molte, il fermo proposito di essere chiamati a parte della naturalità francese. La Francia pertanto oggi senza ostacolo vi apre le braccia, e voi potete commettervici con effusione di cuore. [Illustrazione: Giacinto mio, obbedisci il signor generale come obbedivi tuo padre... (_Pag. 222_)] Uniti alla Francia, di deboli diventate ad un tratto potenti; invece di temere le minacce dei nemici, sta adesso ai nemici a imparare la paura delle vostre; la Francia conosce le vostre piaghe e vuole e può ripararle: nuove strade si apriranno, saranno asciugati paduli, ponti eretti, l'agricoltura ricondotta in fiore, i commerci promossi; questa fortunata isola sta per diventare in mano alla Francia scala dei suoi traffici per tutto Levante, arsenale per le sue armate più acconcio dello stesso Tolone; per la copia dei suoi legnami cantiere privilegiato, per la moltitudine dei porti fidatissima staziona navale; i vasti golfi le accertano la scuola di marina quasi esclusiva; qui ufficiali sì civili che militari, qui prelati, e con essi le belle case, le splendide masserizie, l'urbanità, le arti del lusso, le feste. Stupendo a dirsi! Quello che la Francia con la fatica di molti secoli conseguì, voi altri Côrsi in un giorno, anzi in un'ora, acquistate; nè questo è tutto: S. M. cristianissima intende ancora sopra i suoi antichi sudditi felicitarvi; non mica che in lei, ch'è fonte di tutta giustizia, possa allignare parzialità, bensì perchè qui vede urgente riparare le ingiurie della dominazione altrui; a questo scopo divisa affrancare i Côrsi per trent'anni dal pagamento di qualunque imposizione o gravezza. E voi, illustre signore, che per l'egregie opere vostre meritaste che un principe barbaro mediante onorevole ambasciata vi palesasse l'alto concetto nel quale vi teneva, non maraviglierete certo se il re cristianissimo, ch'è quanta gentilezza vive nel mondo, per mia bocca vi partecipa la sua ammirazione e il desiderio di vedere con la presenza vostra onorata la Corte con ufficio degno, come sarebbe quello di tenente generale degli eserciti del re, o, se meglio vi aggradisce vita più tranquilla, rimette in voi la scelta della provincia di terraferma, dove vorreste andare governatore.» Finchè il Paoli conobbe che questo discorso era per durare un pezzo stette quieto, o parve; mano a mano però che volgeva alla fine, il suo passo si fece più accelerato; gli s'infiammò la faccia, tremava; tuttavolta si contenne e socchiuse gli occhi per nascondere le faville dell'ira che quinci prorompevano. Tacque fin tanto gli fu possibile senza offendere l'urbanità; costretto per ultimo a parlare, con voce tremula incominciò: — Signor colonnello, i miei complimenti per la vostra facondia: perdonerete le mie disadorne parole; rettorica non ci so mettere, e sapendo non ci metterei; studierò all'opposto di mostrarmi più schietto che per avventura la mia condizione non comporta. Orsù, il vostro discorso contiene due parti: la prima concerne la patria, la seconda me. Quanto alla patria, mi fate sapere che il vostro padrone ci ha comprato interi, terra e anima, come si acquistano poderi con le stime vive e morte; ovvero, che mentre l'Europa incomincia a vergognarsi per la tratta dei negri, S. M. cristianissima non prova ribrezzo alla compera dei bianchi: un'altra cosa vedo nei vostri discorsi, ed è che il vostro padrone, ottimo padre di famiglia, vi manda a pigliare possesso del podere acquistato, con facoltà di levare di mezzo imbarazzi col migliore mercato possibile... — Signore, voi fate ingiuria... — Colonnello, io non vi ho interrotto, adesso non interrompete me, e ricordatevi che il vostro signore e padrone non è il mio, anzi ponete addirittura che nessuno, intendete bene, nessuno sarà padrone del Paoli, eccetto Dio. Or via, supposto che siffatti traffici non sieno infami, che cosa ha potuto comprarsi da una parte, che vendersi dall'altra? I Genovesi mentiscono quando vantano aver conquistato la Corsica, e di questo vi chiarirà il libro di Don Gregorio Salvini, che fece stampare in Oletta, e l'altro più breve di mole, e forse di argomento più notabile, di monsignor Natali, vescovo di Tivoli.[23] Quale, non dirò pudore, ma conformità in voi? Ci aiutaste prima col sangue, con la pecunia, con armi a rompere il giogo aborrito della repubblica genovese, anzi ci mandaste per conforto a perseverare le bandiere col motto _pugno pro patria_; più tardi vi siete uniti con la repubblica genovese, e non risparmiaste nulla, nè anche delitti, per ribadirci al collo le catene di Genova; ora vi augurate esercitare la tirannide, auspice Genova, ma per conto proprio. Dio eterno, ma che credete voi che i popoli sieno la cavalla morta legata al piede di Orlando matto? Voi dite che ci volete felici, e cominciate intanto col rendere i Côrsi schiavi, me traditore. Certo, non vo' negarlo, costretti dalla necessità e mossi ancora dalla gratitudine, che nei nostri cuori facili a commuoversi esageriamo del pari che l'odio, ci proferimmo a voi, e voi ci accettaste e prometteste tenerci perpetuamente a parte del vostro reame; ma questo accadde, vi piaccia rammentarvelo, quando le forze di Carlo V, il più potente degl'imperatori dopo i Romani, mosse di Germania, di Spagna e d'Italia, minacciavano inondarci; comunque sia, noi ci demmo, voi ci accettaste; come ci teneste? Voltabili nella fortuna contraria, non fermi nella buona, appena credeste aggiustare i fatti vostri con vantaggio ci gettaste via a modo... a modo di donna, che butta là un ventaglio sgualcito. Un'altra volta ci proferimmo a voi, lo confesso, e fu quando intromessi pacieri tra Genova e noi, con gravità non so se più stupida o feroce, ci andavate avvisando: tendete prima il collo al rasoio, e poi aggiusteremo le cose! nè a noi giovava punto rispondere: Dio ve ne renda merito, morti una volta non vale medicina, che imperturbati voi nella medesima proposta insistevate; allora vi si proffersero i Côrsi nella guisa che il condannato, al cui arbitrio si lasci morire di laccio o di mannaia, sceglie la scure, sperando patire meno, e tuttavolta voi non ci accettaste. Adesso voi volete dare ad intendere a voi stessi ed a noi che di questa razza uffici a voi conferiscano diritti, a noi obblighi? Senza ridere voi vi vantate benefattori, e noi sul serio ci confesseremo beneficati? Ah! colonnello, forti siete, perchè venti e più milioni legati ad un medesimo giogo tirano un monte, e non importa se trattisi di bestie o di uomini; ma quanto a ingegno, che nella solitudine può salire fino alla divinità, non presumete vincere le menti latine. Il vostro re ha sentito (voi lo accertate) pietoso ribrezzo di spargere sangue cristiano per costringere i Genovesi a vendere i Côrsi, ma pare non proverà scrupolo a versarlo a bigonce, caso mai i Côrsi repugnassero a confessarsi comprati. — Voi volete rendere i Côrsi felici; lo siete voi, signor colonnello, in casa vostra? Ah! voi pretendete guarirci mettendoci a parte dell'olio santo che già vi ha amministrato il prete? — Signore, noi siamo potenti. — Potenti? Sia; ma oltrechè la felicità di rado nasce dalla potenza, io talora credo che la potenza sia la fortuna in maschera: ad ogni modo se fortuna e potenza sono due enti diversi, io gli ho veduti spesso seduti al medesimo tavoliere passarsi alternativamente nelle mani il bussolotto co' dadi. Presumereste forse di avere preso a pigione la fortuna voi altri, frammento minimo della rovina romana? Colonello, io non ho, in fede mia, intenzione di oltraggiare la Francia; pure non crediate che noi ignoriamo quali rovesci condussero le paci di Utrecht e di Rastdat sotto Luigi XIV, che scambiò una candela col sole, e prima di morire la vide condotta al verde: avendo comandato troppo in casa altrui, finì col comandare appena in casa propria, quantunque affermasse l'opposto. Ditemi, la pace di Aquisgrana vi venne persuasa dalle vostre vittorie? Per la Francia non si bisbiglia che il vostro ben amato re si nabissi nello stravizio e nelle lascivie, meno per talento naturale che per sottrarsi al senso dei mali che il suo stato patisce? Voi non siete potenti, voi non felici, ma se io errassi, lasciateci stare; contentatevi dei doni della Provvidenza e non disturbate noi poveri grami. Noi non possiamo essere felici a modo francese, bisogna lo siamo a modo côrso; la vostra civiltà mi sa di acqua nanfa sparsa nella stanza mortuaria per coprire il fetore del cadavere fradicio; come si mariterebbe ella alla barbarie côrsa? E noi siamo barbari, e prego Dio con tutte le viscere dell'anima mia ci mantenga lungamente così; la vostra civiltà travasata tra noi riuscirebbe schifosa a vedersi come il vomito di pasto reale sopra un masso di granito. Perdonate la turpezza del paragone in grazia della verità. Il Côrso è superbo: prosuntuoso; ombratico, non patisce padrone, e non per tanto ha in uggia i vili; con lui ci vogliono esempi buoni piuttosto che leggi; onesti fatti e forti, non già parole dolosamente leggiadre; ad emendarli, appena bastano amore di padre, carità di fratello, e tanto tu hai ad adoperarci industria, che ammaestrandoli paia che da per loro trovino l'insegnamento; di pazienza non parlo, perchè qui ci bisogna troppo più di pazienza; in effetto non solo importa sopportare le ingiurie, ma per mantenersi in credito fingere che non te ne sia accorto nemmeno; la naturale superbia persuadendo il Côrso a non chiedere mai scusa, e al tempo stesso la sua rettitudine sforzandolo a compensarti il male che ti ha fatto. Ora lascio considerare a voi se i Francesi possono praticare queste ed altrettali provvidenze additate nel consorzio quotidiano co' Côrsi; e se, potendo, vorranno essi così impazienti, così superbi. Anco conceduto che voi poteste e voleste, tanto non verrete a capo di nulla, perchè non vi recate in mano la fiaccola della libertà, bensì la spada della forza. Ora che i Côrsi non vorrebbero stare nè anco in paradiso; e voi la libertà non amate, anzi offendete e perseguitate: miseri! che la libertà matura nel suo segreto la vendetta, e quando un giorno vi sentirete appetito di lei, i vostri petti spasimeranno accesi non di amore, ma di libidine, e la santa libertà da voi invocata con bramiti di belve non vi consolerà alito respirato dal creatore su la creatura, ma come furia vi si attaccherà alle ossa. Non istarà per voi che la libertà non si faccia detestabile quanto il dispotismo e più. Il proposito nel Paoli di tenersi fermo alle regole del severo ragionamento era ito, tutto il suo ente pareva un mazzo di ferro che il fabbro cava arroventato dalla fornace; però di un tratto facendosi più mite riprese: — Adesso resta a favellare di me; e da parte mia direte al vostro ministro che, innanzi di propormi i partiti discorsi da voi, egli doveva considerare se mi stimava ambizioso, se ambizioso od onesto; come avrei scambiato il governo di una provincia di Francia col comando supremo di un popolo? Come la libertà col servaggio, per lo meno con la soggezione? Se onesto, come spero, che tradissi il popolo che ho giurato difendere, e che difenderò finchè mi basti l'anima? — Oh! fossi padrone del fulmine — perchè sghignazzate, signor cavaliere, e mi sporgete irridendo alle mie parole il volume di Plutarco? Lo so, lo so quello che volete dirmi. Non fu uomo al mondo, che affaticandosi per la libertà del popolo, non capitasse male: corre molto tempo, che mi sono ammannito anche a questo; però avvertite bene, con animo diverso di quello che supporreste voi, imperciocchè abbia considerato, che i nemici del popolo non si condussero a fine migliore, e i primi ebbero il conforto della pace dell'anima, i secondi le angosce del rimorso, la quale cosa non è pericolo capitale nelle ultime ore; finalmente i grandi benefattori come i grandi malfattori sopravvivono al sepolcro, ma questi alla infamia, quelli all'amore dei popoli pentiti e riconoscenti. Ora, per gli animi gentili non si conosce premio che superi questo in bontà, quantunque gustato da loro unicamente per via di presagio. — Io non mi offenderò, rispose l'oratore di Francia, generale, delle vostre parole, ammiro le nobili doti dell'animo, anco quando paiono eccedere. Senza punto cancellare le cose, che già vi dissi, pregovi avvertire quanto altro brevemente vi dirò; la questione côrsa offre due aspetti, il primo esterno, il secondo interno. La vostra sagacia vi avrà a questa ora chiarito che gli stati d'Europa intendono estendersi, e bilanciarsi così per mare come per terra. La Russia mira allungare i piedi a Costantinopoli per iscaldarseli al sole: lo ha per testamento dello czar Pietro il grande; l'Austria suda acqua e sangue per mettere capo ai mari; lei tiene addietro la repubblica di Venezia, però è riuscita a ficcarsi nel ducato di Milano, e quivi sta nel mezzo d'Italia, come un topo chiuso in dispensa; lasciatela rodere, è il suo mestiero, da qualche parte bucherà: ma mettiamo da banda i casi remoti; ragioniamo degl'imminenti. Voi vedete Francia e Inghilterra, emule eterne, ed io credo meno per volontà che per necessità provvidenziale: adesso riposano non amiche, bensì come gladiatori stanchi di combattere, che la Inghilterra aspira al dominio dei mari, massime del Mediterraneo, come quello che fu e tornerà un giorno ad essere la fiera dove hanno a concorrere la più parte dei popoli del mondo: di già ella si è presa Gibilterra, occupò porto Maone unico per sicurezza a giudizio universale dei marinari; le coste africane furono un dì municipî fiorentissimi dei Romani, anche i Crociati le tennero, Carlo V tentò farsele soggette, e riuscì in parte; l'Egitto ci offre la strada più spiccia, comunque disusata, di penetrare in Asia: questi ed altri concetti mulinano nella mente degli uomini di Stato, e secondo l'opportunità colgono il destro di allungarci la mano. La Francia non può dunque patire che la Corsica barcolli in mezzo al mare come caicco senza padrone in pericolo di venire in potestà del primo occupante: o bisogna che la pigli, o la lasci pigliare; e tra i due partiti non si domanda quale le garbi di più. Repubbliche di san Marino non possono reggere su i mari, e se mi opponete Malta, io vi dirò che vive sì, ma come la lodola perseguitata dal falco; in meno di venti anni Malta diventerà una gemma della corona di Francia.... o d'Inghilterra; ma questa parmi più difficile. Non vi potendo sostenere da voi, qual senno vi persuade a rigettare la offerta, che vi chiama a parta delle fortune di un popolo grande, a voi di lunga mano conosciuto, e se non concorde, nemmeno da voi affatto disforme? — Pensateci. Circa all'interno, vi ho detto che conosceva i Côrsi; intendo provarvelo adesso. Non in tutti vive un animo solo: anche i popoli che avete nelle mani procedono con voglie divise; nei presidii vi si professano avversi, e da ogni parte, compreso l'interno dell'isola, fioccano suppliche di omaggio in corte di Francia a fine di non essere ultimi alla pioggia dei regi favori. Cupidissimi noi proviamo i Côrsi, è di ogni lavoro nemici giurati: degli agi e delle vanità del lusso insaziabili, ma questi agognano come regalo di favore, non come premio della fatica; col governo intendono guadagnare, non già fargli le spese; la libertà, che non paga, ed invece vuol essere mantenuta, incomincia a riuscire sazievole all'universale. Sono parecchi anni che vedono la faccia di Luigi, e per quanto so ci spasimano di amore davanti, perchè la è faccia di oro, che costa ventotto lire di vostra moneta. Ah! signore, voi vi credete circondato da eroi, e lo siete da traditori. — Oh! non è vero. — A Dio non piaccia che dobbiate farne amaro sperimento. Intanto voi non avete provvisione di danari, non di vettovaglie, pochissime le milizie stanziali, le altre, comecchè valorose, certo non disciplinate, ed incapaci a sostenere gli sforzi dei veterani di Francia: di artiglierie grosse scarsi, di minute al tutto manchevoli, non ospedali, non chirurghi. Ora posto che in uno scontro, che in due, possiate avere il disopra, credete in coscienza sgararla coi Francesi, i quali se favoriti dalla fortuna vi opprimeranno di un tratto, se contrariati s'infiammeranno di furore, non consentendo, nè savi nè matti, di apparire vinti al cospetto del mondo da una mano di montanari. Cogliete l'occasione, signore; adesso nello accordo potere mettere un po' di volere; più tardi non vi rimarrebbe che a obbedire. — Quanto a me state certo che non obbedirò: ma se veramente ci ama la Francia, laddove arrivasse ad accertarsi i profitti che desidera, perchè si ostina a levarci la libertà? Ci diventi protettrice; accordiamoci con un trattato in virtù del quale sia lega perpetua fra noi; per continuare la vostra similitudine, se non può lasciarci barcollare come caicco senza padrone, ci attacchi dietro alla sua nave, ma non ci faccia passare per occhio sfondandoci senza misericordia: le condizioni dei mutui commerci e dei mutui uffici ella detti, e noi le accoglieremo con gratitudine, adempiremo con fedeltà. Il duca di Choiseul mi scrive che non manda milizie in Corsica ai nostri danni, e intanto incomincia a rompere la tregua prima dello spirare del termine: non intende recarci ingiuria, e alla sprovvista assalta ed occupa quanto paese più può; corrompe, e la corruzione mi butta in faccia come argomento di servitù da parte nostra, di dominio da parte sua; compra pugnali e poi cerca atterrirmi con le minacce del tradimento. — Signore, a me non fu conferito mandato di proporre o di accettare leghe, nè la Corsica si trova in termini di presumere di avere per confederato il re cristianissimo. — Ho capito; quanto a me il mio avviso vi fu manifesto: adesso l'obbligo mio sta nel sottoporre la proposta vostra alla Consulta, che fra pochi giorni si adunerà qui in Corte: se vi piace, potete fermarvi a sentirne la conclusione. — Lo credo inutile, perchè la gente chiamata sarà a voi pienamente devota, e voi le saprete persuadere di leggieri quanto vi piace. — V'ingannate; come capo di governo l'obbligo mio consiste nello esporre la proposta e nulla più. Non mi si concede parlare pro o contro di quella; anzi la legge mi ordina uscire dalla sala mentre accadono i dibattimenti e la votazione. Importa a me più che a voi conoscere se i Côrsi intendano sinceramente respingere od accettare le proposizioni della Francia. — In questo caso rimarrò, — Vi manderò a stanza nel convento dei Francescani, e spero ve ne chiamerete contento; ci manderò guardie per onore e tutela: se desiderate guida vi darò il più giovane dei miei segretari, giovane d'ingegno svegliato e di modi gentili. Qui reiterati da una parte e dall'altra i complimenti, il Paoli ordinò ai comandanti Serpentini e Morati conducessero l'oratore di Francia alle stanze del convento dei Francescani, gli ponessero guardie, procurassero tenerlo con ogni maniera di cortesia bene edificato; a Matteo Masessi commise andasse, finchè il cavaliere stesse in Corte, ai servizi di lui. Il lettore avrà notato, come la baldanza del Paoli nella seconda parte del colloquio col colonnello francese scemasse, e questo accadde perchè gli fu messo il dito dove gli doleva: infatti appena il colonnello ebbe posto il piede fuori delle stanze, egli con tutte e due le mani si strinse il capo esclamando: — Pur troppo! Oh! perchè consentii la tregua quadrienne coi Francesi? Perchè permisi i mercati settimanali dei paesani con loro? Di questo fallo io temo mi abbia a chiedere severo conto Dio; ignorava forse che a mo' delle arpie i Francesi dove toccano contaminano? Poi quasi per divertire la mente da angosciose considerazioni chiamò il segretario fra Bonfigliolo, commettendogli introdurre la gente rimasta ad aspettare la udienza. Qualcheduno fra gli antichi afferma, Socrate avere sentenziato, che l'uomo virtuoso in lotta con l'avversità offre spettacolo degno degli Dei, ed è a mio parere troppo fiero giudizio; piuttosto mi sembra degno questo altro, che lo sgomento delle anime forti così comparisce pieno di spasimo e di passione da meritare che Dio lo sollevi con prontissimo aiuto. E veramente allora parve che le cose passassero come ho avvertito, imperciocchè il frate Bonfigliolo mise dentro di un tratto frate Casacconi, Alando, Giocante, il signor Boswell e il Giacomini di Centuri, i quali tutti venivano per faccende comuni, sebbene poi non mancassero averne delle speciali a ciascheduno di loro. Il padre Bernardino, comecchè più innanzi degli altri negli anni, avvezzo a lasciarsi trasportare dal sangue saltò al collo del generale, e gl'innondò la faccia di baci e di lacrime, intanto che con frasi rotte diceva: — Benedetto! Benedetto! Tu non mi conosci, ma ti avrà parlato di me quel galantuomo di tuo padre Giacinto: noi altri vecchi abbiamo fatto quello che abbiamo potuto, ma se voi altri giovani opererete meglio vi batteremo le mani, non ne dubitate vi batteremo le mani. — Noi non avremo mai la presunzione di vincere i nostri padri nell'amore della patria, contenti di poter dire anco noi un giorno: abbiamo fatto quello che abbiamo potuto; sta alla Provvidenza coronare di lieto successo gli sforzi degli uomini. Queste cose furono discorse con voce così solenne, accompagnate con gesti tanto dignitosi che fra Bernardino, quasi smarrito, si sentì come costretto ad aggiungere: — Spero, signor generale, che non avrete preso in mala parte la libertà che si è tolta con voi un vecchio amico di vostro padre! — Mala parte! Sì certo, e di ciò parleremo più a lungo sta sera a mensa, perchè l'amico paterno è giusto che non abbia alloggio fuori della casa del figliuolo del suo amico. Intanto perchè venite così tardi? — Figliuol mio, prima perchè mi hanno tenuto prigione, poi perchè scappato ho fatto a dire: vecchio e solo qual mai profitto potrai arrecare al tuo paese? Allora mi sono dato a mettere insieme alquanti religiosi dei buoni, e gli ho menati meco disposti ad usare la parola dell'evangelio in pro' della libertà, ed anche un zinzino la schioppetta. — E forse un po' più la schioppetta che la predica? domandò il Paoli sorridendo. — Eh guà! potrebbe anche darsi — rispose il frate stringendo li occhi mentre i peli della barba su i labbri gli si movevano a guisa di ale. — E voi, signori, chi siete? — Eccellenza, io sono Altobello Alando... — Ah! io vi aspettava... ma vostro zio sarebbe forse morto, che non lo vedo con voi? — In letto... — Sta bene, non poteva essere altrimenti: morto o infermo... sangue di Alando non può fallire; spero non sia grave la sua malattia. — Per ora no, ma incurabile, perchè frutto degli strapazzi e degli anni. Queste sono lettere, che vi manda, e con esse questa tenue offerta, che gli serva come prezzo del cambio. Il generale lesse la lettera, e mutò, per la commozione, di colore più volte; poi preso il danaro depositato da Altobello sopra la tavola lo porse al segretario dicendo: — Padre Guelfucci, consegnerete questo danaro al tesoriere ordinandogli che noti su i registri il nome di cui lo manda, e la causa per la quale è mandato: ancora scriverete lettere circolari ai parroci perchè nella domenica prossima bandiscano dai pulpiti il fatto ai popoli. — Questi sono i nostri diarii, signor Altobello, e mi paiono sopra gli altri onorevoli: non costano nulla, e le bugie, e le calunnie, e le frodi per ordinario peritandosi di entrare nella casa di Dio rimangono sulla porta. — Vi chiedo licenza, signor generale, di presentarvi questo mio amico Giocante Canale; esso non seppe resistere alla vostra chiamata, amico non volle dividersi dall'amico: egli era tenente alla compagnia di cui io stava a capo come capitano. — Datemi un abbraccio, Giocante: la vostra venuta mi fa bene più di quello che non potete credere; qui non vi è penuria di fatiche, nè di officii, io vi terrò entrambi presso di me, voi in grado di maggiore, Altobello, e voi, Giocante, capitano: io ho bisogno di officiali esperti: dentr'oggi vi faremo spedire la patente. Voi, signore, siete inglese? Qual grazia vostra o merito di noi vi conduce ospite in questa povera isola? — Signor Paoli, nato libero, amo la libertà; di voi e dei vostri udii parlare con diversa sentenza, volli venire a sincerarmi da me stesso se voi eravate un bandito o un eroe: quanto ho visto mi basta, e me ne avanza per andarmene pienamente convinto che voi siete un rispettabile... un molto rispettabile... un rispettabilissimo gentiluomo in verità. Però concedetemi ch'io vi stringa la mano, e dimani me ne torno a casa. — Anzi rimanete, perchè di molte cose ho da parlarvi, le altre molte mostrarvene. — Questo è una copia di testamento, disse fra Bonfigliolo. — Leggete su, ordinava il Paoli, e quegli: — In nome di Dio. Amen.... — Correte via alle disposizioni. — _Jure legati_, o come meglio, lascio a S. E. il generale Paoli quale rappresentante della nazione côrsa tutto quanto la mia casa apparirà creditrice per provviste da guerra e da bocca da me spedite al governo della Corsica fino dal principio della guerra contro i Genovesi. — Item, lascio al prefato generale Paoli, sempre nella sua qualità, tutte le provviste sia da guerra che da bocca, che si troveranno in essere al tempo della mia morte nei magazzini messi a bordo senza spesa. Item lascio al medesimo generale Paoli il mio orologio; se fosse una corona non gliela lascerei, perchè sarebbe un presente indegno di uomo libero, ed egli la butterebbe via. Nella universalità degli altri miei beni, veruno escluso nè eccettuato, instituisco erede Tiburzio Giacomini di Centuri mio nepote, al quale faccio invito, e in quanto occorre comando, di recarsi a Livorno, e continuare il traffico della mia ragione, industriandosi favorire come ho fatto io con l'opera, col consiglio e co' beni la libertà della patria. A guerra finita, se, come spero e desidero, col vantaggio della Corsica, liquidi ogni suo interesse, e convertiti gli assegnamenti in danaro cessi la mercanzia, e si faccia agricoltore: in cotesta occasione porterà seco le mie ossa, e le seppellirà a piè dell'olmo davanti casa dove la gente va a meriggiare, e la sera a prendere fresco; se (e questo Dio non voglia) la Corsica avesse a cascare sotto la dominazione straniera, allora venda le terre e le case di Corsica e pigli stanza fuori; mi lasci stare dove mi troverò, perchè mi sembra che a me morto non darebbe meno uggia dormire nella patria schiava che a lui vivo strascinarvi la vita. — Padre Bonfigliolo, anco lui, anco lui mettete nella Circolare ai parroci; senza mancare di reverenza ai santi antichi mi sembra, che su gli altari ci possano stare anco questi. Che ne dite, padre Bernardino? — Veramente bisognerebbe aspettare la canonizzazione da Roma; ma non fa caso, perchè quando Roma o non vorrà o non potrà salutare come santi quelli che amarono la patria, io credo che anch'ella potrà fare il suo testamento. — Bene, bene, benissimo! esclama ad alta voce il Boswell, e tosto gli occhi di tutti gli astanti gli si voltarono contro corrucciati; egli a ciò non badando riprese: se mi cedete cotesta lettera io vi darò in compenso cento... anche centoventi.... forse.... quando non possa farsi a meno, centocinquanta lire sterline.... — Signore... interruppe il Giacomini battendo di un piede la terra; ma il Boswell imperturbato continuò: — Io metterò in quadro cotesta lettera e l'attaccherò al muro nella Borsa di Londra perchè i mercanti inglesi, anzi tutti i mercanti del mondo la leggano, e si vergognino, o meglio ancora la leggano e imparino ad imitare il cittadino Santo Giacomini. Allora lo sdegno cessò come vela al cessare del vento, e gli sorrisero benevoli. Il Giacomini in quel punto colse il destro per favellare: modestissimo uomo era costui, e appena ardiva sollevare gli occhi, sicchè arrossendo disse: — Signor generale, mi sono mosso da Centuri per confermarvi colla mia bocca sentirmi disposto a soddisfare con tutto il cuore i desiderî del mio signore zio, che Dio abbia nella sua misericordia; siccome mi sembra che la faccenda stringa vi prego parteciparmi i vostri comandi anche subito, che senza indugio col vostro beneplacito mi avvierò a Livorno. — Non prima di domani; per questa sera albergherete qui meco, s'intende che anche voi, signor Boswell, farete lo stesso; di ciò vi prego — e sorridendo aggiunse — e vi consiglio di non ricusarlo al barbaro capo di tribù selvaggie. Altobello spero non mi appiccherà lite perchè io gli rubi l'ospite — e qui strettogli tra il pollice e l'indice un bottone della veste lo tirò dolcemente in disparte bisbigliando: capirete quanto necessiti tenerci questi signori bene edificati. — Anzi, rispose Altobello, voi mi levate dal più grande impiccio che mi sia venuto addosso dacchè sono al mondo, — e visto il generale che si turbava un cotal po' a siffatto strano discorso, fu sollecito a dire: sul quale proposito importa ch'io vi parli subito subito, e in segreto. Il generale, accommiatata la gente che gli stava dintorno coi modi più urbani che si addicono a perfetto gentiluomo, rimase solo con Altobello: allora questi gli espose per filo e per segno quanto dopo il suo arrivo gli era accaduto col fratello Mariano; la vergogna sofferta, e l'ira che repressa per decoro della famiglia sentiva in procinto di prorompere: dall'altra parte lo combatteva la paura di affliggere quell'angiolo di sua madre più che non era già afflitta, e il pensiero si avesse a propalare la infamia del fratello con iscapito di reputazione della onorata sua stirpe. — Questo racconto mise i brividi addosso al generale, che troppo bene sapeva la miseria di Mariano, ma ignorava, atteso la prudenza della madre, che egli fosse arrivato a tale estremo di ribalderia: si strinse, come costumava nei casi gravi, con la manca mano la fronte, e poi con la solita veemenza parlò guardando l'orologio: — Avanza tempo, per aggiustare anco questa, nè la giudico tale da patire dimora. Altobello, volete rimetterla in me? — Io l'ho fatto a posta; e voi mi userete non solo piacere, ma carità se comporrete questa lite, che minaccia fine ben triste. — Va bene; scrivete — e gli dettò, tuttavia passeggiando, un compromesso nelle regole, col quale gli conferiva facoltà di decidere le differenze insorte tra lui e il suo fratello Mariano, senza strepito come senza forma di giudizio, con la renunzia allo appello, e a qualunque altro rimedio, o piuttosto veleno, inventato dai legali per fare scontorcere il litigante, finchè gli basti un filo di vita nel corpo. Compito che fu gli porse un libro aggiungendo: — ritiratevi là nella mia camera da letto, e lì rimanete finchè io non vi chiami: intanto voi potete leggere; sono tragedie di un conte piemontese, che parlano e molto altamente di patria e di libertà; certo le quercie partoriscono limoni, ma tanti miracoli ha offerto ai nostri occhi il secolo, che non ci può fare maraviglia nè anche un conte piemontese che predichi libertà. Altobello ridottosi nella camera prese a scartabellare il libro; su le prime rimescolato, dirò anzi più, inferocito dalle parole rotte, dai contorcimenti delle frasi convulse e dallo strepito del verso piacevole quanto la grandine schioppettante su i vetri, stette per gittarlo fuori dalla finestra, ma non lo fece, tornò quasi a marcio dispetto a rileggerlo, e a mano a mano, dimenticata la scorza inamabile, il concetto insinuatosi nella sua mente la vinse, e l'agitò in guisa, che incapace di starsi più oltre seduto, egli prese a correre di su e di giù per la stanza, a fare gesti da spiritato e mettere urla da chiamare gente sotto le finestre. — Che diavolo fate? gli domandò ad un tratto il generale sporgendo il capo dentro la stanza dalla porta semiaperta — voi mi mandate all'aria tutta Corte. — Chiedo perdono. Questo benedetto conte mi caccia l'argento vivo nel sangue. — Lo fa anche a me, ma non alzate la voce, tra poco sarà qui vostro fratello Mariano, che ho già mandato a cercare, nè vorrei che vi sapesse in casa. — Procurerò leggere piano, e se non mi riesce chiudere il libro.[24] [Illustrazione: .... ma giunto alla presenza del Paoli, che lo guardava fisso, colle maniche della giubba si asciugò il sudore, col rovescio della mano il naso, che poi si strofinò dietro ai calzoni. (_Pag. 240_)] Mariano non istette guari a comparire; brutto fu sempre, adesso poi piuttosto laido che brutto, imperciocchè gli crescessero deformità la paura di un pericolo che gli pareva respirare nell'aria; ei venne con le vesti lerce e rattoppate, le calze bracaloni, e in ciabatte; con la coda dell'occhio ora si guardava a destra ora a sinistra; le mani aveva in tasca, ma giunto alla presenza del Paoli, che lo guardava fiso, ne cavò la destra e con la manica della giubba si asciugò il sudore, col rovescio della mano il naso, che poi si strofinò dietro ai calzoni: per ultimo costretto a parlare, osservando il Paoli ostinatamente il silenzio, incominciò: — Signor generale... e avaro di parole come di ogni altra cosa si tacque. — Buona sera, signore Mariano; vi ho mandato a chiamare per affari che vi spettano — Me? — Per lo appunto; il vostro signor fratello mi ha messo a parte di quanto gli è accaduto dopo il suo ritorno nella casa paterna. — Perchè gli avete dato retta? — Io gliel'ho data — rispose il Paoli lampeggiando col guardo, pensando allo scandalo che avrebbe mosso nel paese il sentire che al soldato accorso a spargere il suo sangue per la patria era stata chiusa la porta in faccia della sua casa; — gliel'ho data perchè la lite fra due fratelli a cagione del retaggio paterno è pessimo esempio a popolo che mi affatico temperare a sensi di virtù; — gliel'ho data perchè i dissidii per averi, ordinariamente gl'incomincia l'avarizia, e li termina l'assassinio, massime tra fratelli; — gliel'ho data perchè straziandovi con ispese di giudizii, se il vinto piangerebbe, il vincitore non avrebbe motivo di ridere. Di tutto questo discorso la parte che trovò la via del cuore a Mariano fu quella delle spese; onde quasi atterrito rispose, — ma o le spese, che ci erano ai tempi dei Genovesi, non furono tolte via? A che cosa è buona questa libertà se ci tocca a spendere come prima? Inoltre, o come ci entrano spese se possiedo i miei contratti in regola? — I contratti non salvano sempre, anzi quasi mai, dalle liti; i legali sanno sforacchiarli con mille malizie, a mo' di esempio appuntandoli di lesione, di simulazione, di errore, di violenza, di frode; sentiamo un po' in virtù di qual contratto voi possedete il retaggio del vostro fratello? — Di compra e vendita; a titolo oneroso, anzi onerosissimo, perchè io gli pagai la sua parte due cotanti più che non meritava. — E questo prezzo pagaste a lui proprio? — A lui no, al suo procuratore, ma voi signor generale, mi insegnate che torna lo stesso. — Ed era il suo procuratore? — Prete Stallone, quel santo uomo, quel degno ecclesiastico. — E il fratel vostro aveva nominato egli questo suo procuratore? — Veramente non lo elesse costui; la procura era a nome mio, ma contenendo facoltà di surrogare, io lo sostituii a me nella procura, e voi m'insegnate, che non poteva fare a meno dacchè il compratore dei beni del fratello era io stesso. — E a prete Stallone pagaste il prezzo? — Giusto! un po' con la dote della moglie, un po' coi danari accattati in presto, che mi costano un occhio. — Immagino ci sarà ricevuta. — Sicuro; nel contratto medesimo, perchè io sborsai la moneta alla presenza del notaro e dei testimoni. — Dico ricevuta di vostro fratello. — Eh! questa avrà... questa deve avere prete Stallone; voi mi insegnate che questa ricevuta non mi riguarda. — Ma se prete Stallone non avesse la ricevuta? se prete Stallone gli avesse truffato il denaro? — Ohibò quel santo uomo? Quel degno ecclesiastico? — Certo la supposizione sente del temerario; pure sapete, anco i santi peccarono; ad ogni modo si procede per via di supposizione: immaginiamo dunque che il prete avesse truffato il danaro, sapete voi a qual cimento si sarebbe esposto costui? — Che volete che io sappia? — Sappiatelo dunque; egli se ne andrebbe in galera dopo quattro o sei ore di gogna! — Un religioso! Un prete! — La legge, proseguì il Paoli con voce terribile, non guarda in faccia nè a preti, nè a frati; e la santità dell'abito deve essere stimolo alla virtù, freno al delitto, non causa di esenzione alla pena meritata; il prete tutto che prete andrà in galera, non prima però di provare qualche strappatella di corda, affinchè confessi i complici della truffa, — caso mai ci fossero complici. Mariano tornò ad asciugarsi il sudore con la manica del vestito. — Però, riprese egli, voi sapete, eccellenza, che non è concesso mandare un uomo alla fune se non concorrono gl'indizii; _ad torturam_, e qui non ce ne possono essere. — Mariano, volete che io v'insegni una cosa della quale vorrei voi faceste senno? compromettete in me la vostra lite col fratello, ed io la deciderò in famiglia senza scandalo, e sopratutto senza spesa; avrò a sportula gratissima e desideratissima la conservazione della fama di una famiglia come la vostra. — Signore! io possiedo i miei contratti in regola; ora come ci cade arbitramento? — Su tutto si disputa: volete o no compromettere in me? — Io non dico.... io non ricuso assolutamente di compromettere; ma che vi pare, non ho ragione io? — Se devo essere giudice, voi capite, Mariano, che non posso aprirvi l'animo mio; perchè se il lodo confermasse il parere dato, equivarrebbe contro tutte le regole di giustizia a sentenza già conosciuta; o lo contraddicesse, e allora non andrei immune dal rimprovero di cervello leggero, o forse di coscienza prevaricatrice. — Sicuro... Sicuro! Tuttavolta voi m'insegnate, che senza tradire la coscienza il giudice in via privata può benissimo dare ad intendere... in certo modo da qual parte propenda l'animo suo... non già che questo sia obbligo... molto meno contratto... vorrei che mi capiste. — Io vi ho capito benissimo, e penso che questa vostra distinzione tra giudice e privato non abbia luogo, tuttavolta voglio contentarvi, e alla ricisa vi dichiaro che se le cose stanno come le contate voi, avete ragione da vendere. — Io l'ho sempre detto, che voi per la Corsica siete _homo missus a Deo_; peccato non vi chiamiate Giovanni. Adesso bisognerà vedere se ci vuole stare Altobello. — A questo io l'ho già disposto. — E sopratutto importa comporre il compromesso in modo che non si lasci adito a scappatoie, e di un sol colpo tagli la testa al toro, perchè voi m'insegnate... — Io non potrei insegnarvi cosa, che voi non sappiate più e meglio di me; ecco qua il compromesso; io ho procurato insinuarci tutte le clausole più estese; nondimanco voi esaminate se vi paia a dovere; avvertite ancora che, a scanso di arzigogoli, feci che il signore Altobello lo scrivesse tutto di suo carattere. Mariano lesse e rilesse la carta: — e' sta a pennello, — finalmente disse, e presa la penna, la quale tenendo sospesa aggiunse: — dunque vi pare che io abbia proprio ragione? — Vi ho detto, e vi ripeto, che se le cose stanno come me le avete esposte voi, la ragione è vostra. — Eccovi il compromesso firmato; adesso vado a pigliare i contratti. Mariano uscendo disegnava, è vero, recarsi a casa per cercarvi i contratti, ma voleva provvedere in un punto ad altra faccenda della quale tacque, e questa era di consigliare prete Stallone a svignarsela mettendosi al soldo dei Francesi come spia; gli troncò la pensata il Paoli, che mettendosegli traverso alla porta disse: — Dove andate? — Vado per le carte. — Non importa; rimanetevi: padre Guelfucci! Il servita segretario subito comparve, e il generale gli disse: — siatemi cortese di recarvi al convento di San Francesco, e pregate il padre guardiano, che per amor mio voglia venire fin qui portando seco la immagine miracolosa del Crocifisso che si adora all'altare dei santi Pietro e Paolo. Voi signore Mariano, intanto che Cristo viene, potete impiegare il tempo utilmente leggendo questo volume — e gli pose in mano la istruzione criminale dove venivano descritti i delitti e le pene con le quali si vendicavano. Il Paoli sempre passeggiando prese ad esaminare un fascio di fogli annotandoli con lapis velocissimamente sui margini. Il guardiano non venne, bensì reputò bene confidata alla religione del padre Bonfigliolo la immagine miracolosa del Crocifisso; il Paoli ordinò al frate che la scoprisse, e depositasse sulla tavola, poi gli fece cenno che andasse via. Chiusa la porta, chiamò: — Altobello di Alando, comparite davanti il giudice. Altobello uscì dalla stanza palpitando per la commozione ricevuta, e per quella che stava per ricevere. Il generale in piedi, con una mano sopra la immagine, solenne negli atti e nel suono della voce severo, favellò: — Mi vergogno, ed ho ribrezzo a rammentare, come faccio, a due côrsi, figliuoli della più illustre casata dell'isola, giuramento che sia e che cosa importi: mi scusi presso voi l'ufficio di giudice. Il giuramento è atto solenne in virtù del quale invochiamo Dio in testimonianza della verità delle nostre parole: allo spergiuro per legge divina spetta nell'altro mondo l'inferno, in questo per legge umana la galera. Altobello, giurate di non aver mai ricevuto da veruna persona in tutto nè in parte il prezzo dei beni da voi posseduti per eredità paterna. — Lo giuro. — Ora a voi, Mariano, giurate aver pagato il prezzo di questi beni a persona, o a persone, al fine che lo facessero pervenire nelle mani di vostro fratello a Venezia. — Vi chiedo perdono, signor generale, non già che mi metta paura giurare, che non un giuramento io posso prendere, ma mille, bensì per non pregiudicare i miei diritti vi osservo, che i contratti parlando chiaro per me, io non devo essere obbligato a giurare. Io non farò il torto di credere che il figliuolo di mio padre abbia giurato il falso, no davvero, ma in fine di conto se prete Stallone si è mangiato il danaro che ci ho a fare io? Quanto a me basta avere eletto a suo procuratore un uomo reputato generalmente onesto, e prete Stallone è tale, e per di più prete. — Voi dimenticate i termini del compromesso; io sono facoltato a procedere come meglio mi parrà senza obbligo di osservare forma alcuna di giudizio. — Io non lo nego, ma voi siete per insegnarmi che qui non si tratta di forma, o vogliamo dire di procedura, sibbene d'jure, ovvero di sostanza. — Io sono per insegnarvi, che l'uomo onesto non fa scudo della sua probità un pezzo di carta, ed invitato a porgere testimonianza in qualsivoglia modo della rettitudine delle opere e parole sue, lo fa con animo volenteroso e fronte serena. — Dunque voi volete che giuri? — Di avere pagato il prezzo dei beni di vostro fratello a persona o persone col fine che glie lo recassero a Venezia. — Lo giurerò.... e levata la mano già la calava sul Crocifisso, e le sue labbra già componeva all'atto di pronunziare le parole sacramentali, quando Altobello con la manca fermatogli il braccio, e con la destra aperta turatagli la bocca gridò: — Sangue di Alando!... e sottovoce aggiunse: — le ossa di nostro padre! — poi comecchè disfatto in volto, e per le membra tremante, disse con voce pacata: — Signor generale, giusto adesso mi venne in mente come persone degne di fede mi abbiano accertato che questo mio fratello pagò veramente il prezzo dei miei beni al prete Stallone; certo questi non mi fece pervenire mai uno scudo del denaro riscosso, forse lo tiene in serbo; forse gli fu portato via, ad ogni verso questo è negozio che distrigherò col prete, onde non merita che ne pigliate altra briga, pregandovi frattanto a perdonarmi il disturbo che vi ho dato fin qui; dichiaro che la lite quanto a noi è finita. Il Paoli, come colui che ormai non poteva più frenare l'impeto dello sdegno, abbrancato Mariano, e scotendolo forte gridò: — Chi è che nega la trasmigrazione? Ecco qui la prova che nel costui corpo trasmigrò l'anima di Caino: no, no... questa sarebbe troppa cosa per lui: Caino fu fratricida, ma non si legge che rubasse la sussistenza al suo fratello a tradimento, sarà l'anima di Giuda, o di altro anco più tristo. Queste infamie non si hanno a tollerare; e qui meno che altrove: ringrazia il tuo Dio che non ti posso giungere senza ferire lo immacolato onore della tua famiglia. La mia sentenza è questa, che io procurerò ridurre in forma legale; entri Altobello nel possesso di tutti i beni Alando, e gli usufrutti interi per tanti anni quanti li tenne il suo indegno fratello, spirati questi torni Mariano a possederne la metà; ciò varrà meglio di un rendimento di conti che sarebbe scandalosamente ladro. Tu, Mariano, sgombrerai da Corte, e ti ridurrai a vivere nel procoio di Biguglia, che ti costituirono in dote quando conducesti in moglie la infelicissima donna, che hai imbestiata. Danari, bugiardo, tu non avesti da lei nè accattasti d'altrui; quivi rimanti fastidioso a te, abominato da tutti. La peste, allorchè non possiamo estinguere, vuole essere isolata. Il giorno di domani non ti ha a vedere in Corte, e bada che il Paoli non usa replicare i comandi più di una volta: ora levami il tuo odioso aspetto davanti agli occhi. Mariano rimase sbalordito; uscì facendo angolo coi ginocchi, e strascinando i piedi così, che l'uno urtava dentro l'altro: tanto era il suo terrore che non ebbe balìa non di profferire, pensare nè manco ad una imprecazione: entrato in casa si mise a sedere su la cenere del camino come una cosa balorda, e alla moglie, che gli strillava dintorno: — che hai? che hai? non rispondeva, e forse non la sentiva. Ad un tratto dandosi un pugno nel capo urlò: — Presto, scappiamo, che non mi abbia a mettere le mani addosso; presto, bisogna scansarci... La donna spaventata rispose accorrendo alla finestra col grido: — al fuoco! al fuoco! — Taci là, scema, il tuo cognato non ieri sera come fingeva, ma oggi mi ha portato doni veramente fraterni; si è messo di accordo col Paoli, già i birboni s'intendono all'odore... come i cani, e adesso mi trovo condannato ad esiliarmi da Corte prima di domani, e a lasciare i miei chiusi, le mie terre e le mie case in podestà di Altobello: ma giuro alla Immacolata, tal bove crede andare all'aratro, e va al macello, e la somma si tira a fine del conto. Orsù, donna, io vado pei muli; forse mi acconcerò con quelli che hanno menato qui Altobello; chi mai lo avrebbe creduto che avessero a condurre lui, e levare me! Dovrebbero pretendere poco perchè sono muli di ritorno, e il ragazzo pare fidato. Ora fa tosto, donna, e metti insieme il buono e il meglio da caricarsi sopra le bestie. E borbottando uscì. La donna dalla crudele miseria del marito era rimasta così percossa nello intelletto, che ormai aveva perduto il giudizio intorno alla diversa importanza delle cose. Appena costui si fu allontanato, prese un sacco e con quello alla mano incominciò a rovistare per la casa: ci mise dentro il mazzo dell'esca, la matassa degli stoppini, non omesso quello che aveva mezzo consumato, un mozzicone di candela di sego, non so che trucioli, e alcuni pochi cannelli di carbone; poi stovigli, su gli stovigli la _batteria_ religiosa, la palma e l'olivo benedetti, l'agnus dei, un Gesù bambino di cera, e una sant'Anna visitante la Madonna accartocciata, per ultimo un gatto e una gallina. Buon per tutti che il gatto e la gallina erano conoscenze antiche, e ognuno di loro, nella propria specie, d'indole angelica: altrimenti Gesù o sant'Anna avrebbero avuto un saggio della pena ordinata dalla legge pompea su i parricidi. Pieno un sacco, diè di piglio a un altro dove mise chiodi, spaghi e sciarpe di ogni maniera. In questa rientra Mariano, e vista la squisita diligenza della massaia, tanta ira lo assale che avventandosele contra le mena una recchiata così solenne, che il muro gliene rende un'altra. — Maledetta da Dio, non so chi mi tenga che con queste mani non ti ammazzi! Ti pare ora questa da badare a siffatte ciammengole? La donna piagnucolando rispondeva al marito indracato: — prima mi picchiavi perchè non teneva conto delle bazzecole, adesso mi batti perchè le ho raccattate; se continui così so io quello che farò.... — E che farai? — Che farò? Ti lascerò solo, oppure quando dormi ti ficcherò un chiodo negli occhi. — Vien qua, scempia, e aiutami a cavare fuori i quattrini. — Quattrini! E da quando in qua hai quattrini? E ce ne hai di molti? E perchè non me l'hai detto? Mariano non rispose, ma andato nella latrina, sconficcò un asse dal pavimento, e dal vano che ivi sotto comparve trasse fuori a manciate molta quantità di moneta. La sua sospettosa avarizia lo aveva persuaso a tenere celato cotesto nascondiglio perfino alla propria moglie, e quando gli cascava nelle mani qualche danaro, sotto pretesto di bisogno corporale chiudevasi nello stanzino, dove mediante una fessuretta praticata nella tavola gittavalo dentro. La donna alla vista di tante monete saltava, e batteva le mani e strillava: — quanti quattrini! quanti quattrini! — Sta cheta, che tu possa cascar morta, aiutami a portarli sulla tavola. Allora incominciò un via va, un via vieni del marito e della moglie a raccattare danari di per la terra, e portarli su la tavola: siccome in cotesta fatica presto incominciarono a grondare sudore dalla faccia e con le mani sozze dal maneggiare metallo se l'erano asciugato, divennero orribili a vedersi. In effetto la moglie fissando all'improvviso il marito proruppe in altissimo strido, e si fece il segno della croce. — Scema! che ti frulla pel capo adesso? — Santissima vergine, che paura! mi era parso mi fosse apparito il diavolo. — A te è parso vederlo, ma io lo vedo di sicuro. — Mettiti accanto a me, separiamo le monete di rame da quelle di oro e di argento, dacchè tutte non le possiamo portare. Ed uno allato dell'altro, rischiarati dal lucignolo di un lume a mano, presero a fare tre mucchi di queste diverse monete. Chiunque gli avesse veduti conci com'erano, anima e corpo intenti a cotesto travaglio, non so se più avrebbe pianto o riso sopra la miseria umana. Mariano che con un occhio guardava il gatto coll'altro la padella sospettò la moglie gli avesse involato una moneta, onde brontolando disse: — Dove hai messo la moneta? — Qual moneta? — Quella che tenevi poc'anzi fra le dita. — Al monte. — Non è vero nulla; mostrami la mano, — eccola. — Mostrami quell'altra. — Bada bene di non rubare, perchè altrimenti tu andrai all'inferno, e poi io ti spaccherò la testa con questo pietrone. Compita la cerna, Mariano favellò: — L'oro porteremo addosso noi, l'argento caricheremo su i muli: il rame appiatteremo in qualche sito, perchè capisci ci tocca a camminare per luoghi deserti dove non so se sia da temersi più degli amici o dei nemici. — Tu sempre mi chiami scema, Mariano, e veramente mi pare esserlo pur troppo, ma tu sei più scemo di me e non te ne accorgi. Hai distinto le persone, nelle quali ci accadesse d'imbatterci, in amici o nemici; ma dove mai noi possiamo avere amici? E poi ci vorranno frugare e svaligiare, e a che giova la separazione delle monete? Avremo di catti se ci lasceranno la camicia addosso. O salvi tutto, o perdi tutto, però rimescola l'oro coll'argento, e non lasciarti dietro il rame. O piuttosto senti il parere di una folle: guardati dal metterti in viaggio in tempo di guerra con danari addosso; e se ti venne in uggia la vita va nell'orto, e impiccati al primo fico che trovi, che così la farai più spiccia. — Hai ragione, hai ragione; a lasciarlo mi si stacca il cuore, ma a portarlo mi può strappare la vita; sarà meglio lasciarlo; ma dove? Chi lascia la via vecchia per la nuova spesse volte ingannato si ritrova; lo rimetterò colà donde io l'ho tratto. — Là non lo metterai perchè è luogo frequentato, e il rumore del vano può facilmente palesare il nascondiglio. — Hai ragione, hai ragione; dunque che cosa si stilla? — Rimpiattiamolo sotto la catasta delle legna. — Va via, matta, queste saranno le prime che il maledetto fratello adoprerà. — Buttiamolo dentro il tino del vino. — Sta zitta, scema, questo sì che piglieranno all'assalto. — Sotterriamolo nell'orto. — Sei una bestia, le zolle smosse di fresco daranno indizio dello scavo. O Signore, dove celerò io questo mio sangue? Mi viene in mente di confidarlo a mamma; donna segreta ella è; adesso Altobello non si trova in casa, nè temo che glielo volesse dare: resta a vedere se non lo pigliasse per sè.... perchè no? La madre ladra del figliuolo! Nella sacra Scrittura Rebecca non invola gl'idoli al padre Labano? Se la figlia ruba al padre, la madre può rubare al figliuolo. Maledetto l'uomo che confida nell'uomo: ti lascio considerare moglie mia, che diavolo egli avrebbe detto se discorreva di donne; e lo Spirito Santo, capisci, se ne ha da intendere, capisci? — Capisco. E si rimasero lungamente in silenzio costernati: per ultimo dopo molto torturarsi il cervello, Mariano non trovò di meglio che sotterrare il danaro in un angolo del giardino, e quivi sopra ammucchiare pietre; ancora volgervi pruni lì oltre cresciuti, e vitalbe, cosicchè paresse che da tempo antico non fossero state rimosse. — Quando rifinita di forze dopo quattro ore di dura fatica la moglie domandò se adesso si giudicasse sicuro, egli rispose: — Come posso reputarmi sicuro se ho confidato il mio segreto ad una donna.... a te? Bisognerebbe ch'io ti tagliassi la lingua. — O le mani non indicano? Gli occhi, i piedi non accennano? — Certo, certo, adesso che ci penso, era più sicuro sotterrarti co' quattrini. — Nè anche questo, perchè dopo un'ora ti domanderebbero: che hai tu fatto della tua moglie? Per sicuro costui l'ha scannata. — Ouf! non avrei mai creduto che fosse tanto difficile sbarazzarsi della moglie e conservare i danari. * * * * * Quando declinato il sole all'occaso il signor Giacomo Boswell si recò alla mensa del generale Paoli, non ebbe a maravigliarsi mediocremente nel considerare intorno alla tavola raccolti di ogni generazione frati e preti; eranvi parecchi soldati, e tali apparivano piuttosto che dall'assisa, dalle armi che scinte avevano deposte in un canto. Il generale spogliate le vesti pompose vi compariva co' suoi abiti consueti alla côrsa; seduti tutti, un domenicano lungo e ossuto, di faccia bianca come la cera, l'occhio grigio, recitò con voce cupa il _Benedicite_, e dopo ognuno attese a cibarsi in silenzio come nei refettori di frati. I romanzieri e i poeti, non esclusi gli eroici, ossia in virtù della memoria, ossia in virtù della speranza, molto si talentano a raccontare come e quanto si cibassero i propri eroi; io non gl'imiterò in questo: basti dire, che il pranzo fu parco, e i commensali da venti; nè già si creda che gli spesasse il Paoli; all'opposto la patria nutriva anco lui; e la Corsica, costumando passare gli alimenti a parecchi magistrati, risparmiava e provvedeva alla concordia, e ad altri, che non importa dire, beni, raccogliendoli intorno alla mensa del generale. — Anche questa è fatta, disse il Paoli gittando il tovagliuolo su la tavola: arrivò finalmente l'ora mia, e la dico mia, perchè le altre spettano alla patria, eccetto alcune, che si piglia la morte, o il sonno, che è tutto uno, e come sarebbe a dire marito e moglie. Io dico poi mia quest'ora, perchè ragionando con gli amici conduco il corpo e l'anima ad esercitarsi sanamente in pro' loro. Il corpo, a cui se dopo il pasto torna nocivo il moto violento, gli giova il moderato qual è appunto il leggere a voce alta, o il disputare con modi cortesi, con amici cortesi: così almeno la pensava il buon Plutarco, che ci lasciò nove libri di dispute convivali, ed io di leggieri consento con lui: l'anima, come quella che per ozio non si irruginisce, e tratta alacrità dal rinnovato vigore del corpo prova con seco, o con altrui, concetti e partiti prima di metterli in pratica. In effetto le dispute tra gli amici si possono paragonare alla scherma con la quale il soldato si addestra alle vere battaglie. Platone, Aristotile, Epicuro e i Greci tutti, assai si piacevano di cosiffatti colloquii; Plutarco ne formava sua delizia, nè i Romani rimasero a dietro di loro, e quando Plutarco racconta che Cornelia, orba di marito e di figliuoli in cotesta sua villa nel Miseno, dopo il convito consolava la sua vecchiezza discorrendo di Tiberio e di Caio Gracchi, della indole, dei concetti e delle imprese loro con labbra severe da disgradarne quelle della storia, io ho pianto di molte lacrime, e volentieri lo confesso. — Intanto per incominciare da me (che il primo prossimo è se stesso) io desidererei che mi diceste, signor Boswell, donde avviene che voi non mi chiamate mai generale? Fu per caso, ovvero con intenzione che voi mi avete chiamato sempre signor Paoli? — Io lo feci apposta; il titolo di generale dichiara una qualità che possedete comune con infinita schiera di uomini, e di per sè non significa niente, mentre il nome Paoli mi rappresenta un uomo meritevole dello amore dei buoni e dell'ammirazione di tutti. — Cospetto! riprese il Paoli sorridendo, pensava dovervi fare un serio rabuffo, ed ora mi tocca a ringraziarvi. — Che dite mai, mio signore? Sono io che devo ringraziare voi, imperciocchè stanziando a Roma io con infinito sconforto contemplai in quali miserabili rovine può traboccare un popolo, e più delle stesse rovine mi umiliò l'aspetto della brutta ellera che le ricopre. — Io non ho mai visto l'ellera di cui parlate. Il signore Giacomo esitò alquanto, ma all'ultimo animosamente continuò: — intendo dire la Corte romana. — Egli dubitava dover sostenere un rovescio di riprensioni, forse d'ingiurie per parte dei preti e dei frati quivi adunati, ma con suo stupore essi non fecero cenno pro' nè contro, non altramente che se fossero stati santi dentro le nicchie. — Bene! qui all'opposto l'anima mi si riaperse alla speranza purificata dallo spettacolo di un popolo che risorge per l'aiuto prima di Dio, e poi di un grande uomo. — Voi altri Inglesi vi rassomigliate al metallo che quanto più tarda ad arroventarsi, tanto infocato più ci arde. Troppo tratto corre tra questo popolo e il romano; altri i tempi e i fini, i quali anche potendo aborrirei si proponesse pari, dacchè i romani intesero vincere e dare leggi al mondo, e a noi basterebbe non si frastornasse nessuno, paghi di fare leggi per noi soli. Quanto a me il cuore mi palpita come a romano, ma il mio petto è angusto; se io vi paio grande non è merito che mi appartenga, bensì colpa dei tempi; io sono grande come le ombre diventano lunghe al tramonto del sole; grande della piccolezza altrui; in vile secolo eroe. Se grande io fossi e metuendo davvero, i sovrani come Caterina di Russia e Federico di Prussia non si trastullerebbero meco come con ninnolo strano. — Bene; non poteva essere a meno che voi mi favellaste così, dacchè la modestia formi massima parte della grandezza. — V'ingannate, io la penso come la dico, e se mi paragono co' vivi mi sento grande, ma io mi metto in confronto co' morti, e lo sgomento mi assale. Lascio da parte Cesare ed anco Alessandro, il quale reputo migliore assai della sua fama; che a parere mio lo denigrarono i suoi generali per farlo meno desiderabile ai Greci dopo averlo ammazzato, e messo in brani l'impero: misuratemi con Epaminonda, con Pelopida, con Trasibulo, mi troverete più corto chi sa quante spanne, anzi neppure con Aratro io mi posso mettere a petto, che a lui riuscì impadronirsi dell'Acrocorinto, mentre io non giunsi per forza o per ingegno a superare giammai una terra murata. — Mi pareva avere udito che espugnaste San Fiorenzo. — Non io, bensì i generali Andrea Colonna e Luigi Giafferi; io ne fui ributtato, e se volete udire come, Clemente mio fratello ve lo racconterà. — È breve storia, incominciò a dire un uomo che molto arieggiava il generale, senonchè la complessione e la statura sua erano tutte avantaggiate, le sembianze non si poteva conoscere ad un tratto se più malinconiche o più rigide, ma forse ci entrava un po' dell'uno e un po' dell'altro, — è breve istoria, e poco gloriosa. Indettati con Francesco Arena e i Gentili, mio fratello ed io movemmo il 7 febbraio 1760 all'acquisto di San Fiorenzo: sessanta uomini condotti da Giovanni Rocca buon'anima, fiore di valoroso, si accostarono a mezza notte su due barche ai bastioni dalla parte del mare; le acque trovarono basse per via del rovaio che si era messo a soffiare forte di prima sera, e le scale trovarono corte al bisogno: l'accidente cagionò perdita di tempo, ma a nessun cadde in mente di abbandonare la impresa. Su i bastioni stava, e sta tuttavia appoggiato il muro di una casa dentro la quale giaceva un infermo custodito da certa femmina del luogo: ora nel punto che i nostri salivano, a costei venne voglia di votare non so che vaso, per la quale cosa affacciatasi alla finestra gli scoperse di botto, e prese a rangolare: battaglia! battaglia! — Le sentinelle trassero, e il povero Giovanni rotolò giù in mare gridando: su, figliuoli. I nostri si arrampicarono come gatti, e messo il piede in sodo si stringono a zuffa manesca co' soldati; sopraffatti dal numero riparano in alcune case prossime alla porta, e quinci attendono a difendersi da uomini. Io me ne stava co' miei quatto di fuori, ma sentendo le grida non mi parve tempo di gingillare; dato di piglio alle accette in breve ora con lo aiuto di Dio mandammo in fascio le imposte accorrendo in aiuto dei pericolanti. Il comandante genovese non si rimase ad aspettarci, ma rinchiusosi nel castello incominciò a fulminarci con la batteria dei cannoni: tanto è, i cannoni non ci facevano paura, e volevamo ad ogni modo spuntarla. Alla provvidenza piacque altrimenti; trecento soldati genovesi spediti a dare la muta al presidio di Bastia, sbattuti dal vento avevano preso terra in Capogrosso, dove udito il caso di San Fiorenzo mossero a marcia forzata, ed occuparono il posto di Santa Maria fuori delle mura: di assedianti diventammo assediati di mezzo a due corpi, ognuno dei quali superava di numero il nostro, e per più avevamo di fronte una fortezza. Conobbi che ostinarmi più oltre sarebbe stato tentare Dio, chinai il capo ai divini voleri, e mi ritrassi. — Troppa più lacrimevole vicenda fu quella di Aiaccio, soggiunse Pasquale Paoli, Giuseppe Masseria, il quale come avvocato dei poveri aveva facile accesso nella cittadella, e nel maschio dove si custodivano i carcerati, mi fece sapere essere disposto a darmi nelle mani la città: esitando io di seguitare il trattato per colpa della fortuna sperimentata nemica in simili avventure, egli per pegno di fede e per conforto alla impresa mi mandava in ostaggio la moglie con due suoi figliuoletti: allora, gettato via ogni dubbio mi accostai con duecento soldati regolari, e un corpo di volontarii co' quali mi fermai a 10 miglia da Aiaccio nel convento dei Francescani alla Mezzana; quinci spedii un corpo ad Alata con ordine che occupasse i conventi dei francescani e dei cappuccini per istornare l'attenzione dei Genovesi, mentre commetteva al colonnello Buttafuoco, che con molto maggior punta si accostasse ad Aiaccio, e sentito il tiro del cannone desse la scalata. Il Masseria per mandare a compimento il disegno si era confidato nello aiuto di certi banditi côrsi i quali gli mancarono non per difetto di volontà, bensì perchè la sentinella negò lasciarli entrare in fortezza; obbligato allora di rimediare alla meglio condusse seco due preti e il suo figliuolo maggiore, con questi entra nel maschio, investe con le coltella le guardie, e lo occupa; subito dopo con l'accetta rompe le porte delle carceri, libera i prigioni, e con parlare succinto dice loro, che se hanno cara la vita lo sovvengano nella impresa recandosi a difendere le porte del maschio; quinci ancora invia un soldato al commissario genovese, affinchè lo ammonisca che non si attenti movere passo, altrimenti appiccato fuoco alle polveri manderà sottosopra la terra con quanti ci rifiatano dentro; lui volere restituire la patria alla libertà; cercasi la chiave della polveriera al magazziniere, che col ferro alla gola confessa averla confidata alla moglie, la quale o fedele o maligna se la cava di tasca ed in un attimo la sbalestra nel mare; non per tanto sbigottisce il Masseria, che spinto il figliuolo e un prete in cima al maschio per dare il segno col cannone al Buttafuoco, affinchè tentasse la scalata, resta coll'altro prete a rompere l'uscio della polveriera. Il figlio Masseria accosta la miccia al focone, e il colpo non parte; tenta da capo, e invano; specolato il pezzo lo trova scarico; adesso mentre quei grami, poveri di consiglio si baloccano lassù, un nugolo di palle sparate di casa il commissario, ammazza il Masseria, e ferisce il prete. I prigioni, liberati, vista ogni cosa a rovescio, inviliti disertano la porta, che viene sforzata dai Genovesi irrompenti. Il Masseria che si adoperava intorno alla polveriera, la quale, oltre alla estimativa, ai suoi supremi conati resisteva, ferito a morte casca; nondimanco messo ai tormenti, incolpò sè e il figliuolo, i preti disse ignari di tutto, e da lui condotti per diporto lassù; indi a poco moriva. Uomo degno di memoria nelle storie per l'ardimento, per la fine generosa, e per la magnanimità sua, dacchè nel mettersi a tanto sbaraglio, niente aveva chiesto per sè; solo qualche privilegio pei suoi concittadini. Tentai anco sorprendere il forte di San Pellegrino e non l'ebbi; all'opposto vi perdei Felice Valentini, soldato di valore e mio parente; la presa della torre della Paludella non vale il pregio di essere rammentata, sicchè voi vedete che io non posso in coscienza venire a contesa di fama col Demetrio _Poliorcete_[25] nè con Ambrogio Spinola _espugnatore di fortezze_. [Illustrazione: .... il sig. Giacomo Boswell non ebbe a meravigliarsi mediocremente al considerare intorno alla tavola, raccolti di ogni generazione frati e preti; eranvi parecchi soldati... (_Pag. 251_)] — Benissimo; ho avvertito nel vostro discorso che avete ragionato di milizie regolari e di volontarii; a me la fama riferì che di soldati fermi non conoscevate in questa isola la mala semenza. — Porgete ascolto; tanto è volere sfondare il cielo con un pugno, che presumere di vincere le guerre co' volontarii soli: lo ammiraglio di Coligny lasciò detto amare meglio di condurre mille diavoli che cento volontarii, ed io consento con lui. Senza disciplina, gente armata saranno masnadieri, guastatori, tutto quanto vorrete, tranne milizia atta a vincere battaglie; i volontarii desidero per segnarsi soldati, da questo in fuori devono pareggiarsi agli altri. Quanto al soldo sarebbe lodevole poterne fare a meno; Roma per 374 anni non ammise milizia pagata, allora la introdussero i patrizii per gratificarsi il popolo, ma i tempi ed i costumi nostri non concedono questo; ho ordinato due reggimenti a cui assegnai istruttori svizzeri e prussiani, e questi pago; se i casi persuadono a tenere le altre genti oltre lo stabilito, retribuisco a ragione di venti soldi per giorno, e ci stanno volentieri; ma il nostro Achille Murati, che in coscienza di cristiano si è guadagnato sette volte con le sue imprese il nome di Achille, vi chiarirà intorno agli ordini delle nostre milizie. — E' sono ordini semplici, mio caro signore, prese a parlare l'eroe della Capraia, uomo che al guardo, al naso, alle forme spigliate rassomigliava all'aquila; da diciotto a sessanta anni ogni Côrso ha da combattere; dei preti, i curati soli esclusi; dividonsi in due terzi; ogni terzo va al campo e si ferma otto giorni a spese proprie, gli altri succedono di mano in mano: si chiamano i più prossimi al luogo dove si tiene il campo; i rimasti a casa si addestrano; massime la domenica, e tanto riescono capaci, che Ambrogio, guardia del generale, non è il solo che con un colpo abbia ammazzato due Genovesi. In ogni paese stanzia un capitano, in ogni pieve un commissario di cui lo ufficio consiste nel levare e istruire le reclute; ci sono i due reggimenti dei quali vi ha parlato il generale, la sua guardia, quella dei magistrati, e qui finisce; tutti insieme possono sommare a quarantamila uomini, ma da farci proprio assegnamento sopra, un venticinquemila. — E i bagagli, le artiglierie, gli ospedali, le munizioni al bisogno? — I cannoni, abbiamo quelli presi ai nemici, o pescati in mare dai legni perduti; circa agli ospedali vi racconterò la risposta data testè da un Côrso ferito a Barbaggio ad un Francese: _il Côrso muore volentieri all'aria aperta_. Per ciò che spetta alle munizioni, ogni uomo porta le sue per una settimana; dove mancassero, la carità patria supplirebbe a ribocco, e perchè non la crediate jattanza io vo' che sappiate come gli abitanti del piccolo casale di Altipiani nudrissero per bene otto giorni tremila uomini ricusando qualunque compenso. — I bagagli sono guaio per le spedite mosse degli eserciti, osservò il Paoli; i Romani solevano chiamarli _impedimenta_, ed avevano ragione; io penso che i bagagli i quali si strascica dietro adesso un esercito di cinquantamila uomini sarebbero stati di avanzo a tutte le legioni romane; ma se l'averne troppi reputo guaio, certo mancarne affatto non giova. Lo stesso dicasi delle artiglierie; qualche pezzo ho ordinato a Livorno, altri promette allestirne in breve Settecervelli col bronzo delle campane donate. I nostri preti, signor Giacomo, hanno creduto che in tempo di guerra per la patria il bronzo glorificasse meglio Dio ridotto in cannoni che in campane, però ogni chiesa ha donato la sua. Settecervelli è il nostro Archimede: quando prima fondai la zecca a Murato ci proposi certo maestro svizzero assai pratico nell'arte, e Settecervelli lo aiutava per garzone; un bel giorno il male del paese pigliò lo svizzero, e Settecervelli rimase solo, e nondimeno tanto per la bontà del suo ingegno istruito, che non pure manda innanzi la zecca, ma getta artiglierie, fabbrica ordigni di nuova invenzione che fanno maraviglia a vederli. Quello di cui non so darmi pace è la mancanza di ospedale e di cerusichi: la risposta del mio compatriotta ricordata da Achille palesa la costanza côrsa nel soffrire, ma per la Immacolata, questa costanza non è ragione perchè soffrano, colpa la povertà nostra, di tante angustie. Ah! che non darei io per essere ricco; il vostro Shakspeare, signor Giacomo, mise in bocca a certo suo personaggio queste parole: — mi conierei anco il cuore! — io farei di più, piglierei moglie.... — Come! aborrireste voi il matrimonio? — Certo nella condizione in cui mi trovo lo aborro sopra tutte le cose, dacchè il matrimonio scemi la passione per la patria, o la diverta, e a me ha da essere moglie la Corsica, figliuoli i Côrsi, pure sposerei una moglie oltre modo facoltosa per convertire la sua dote in sollievo dei miseri feriti nelle difese della patria. — Bene! — Affinchè divampi il fuoco che arde nel cuore dei Côrsi ricercai gli spedienti adoperati nei tempi antichi e nei nuovi: piacquemi sopra tutti quello degli Spartani i quali non accettavano nella legione il milite se non a patto che presentasse la sua amante, essendosi attestato dagli storici come queste o per paura di vedere ferito l'amato compagno, o per smania di vendicarlo morto, combattessero da leoni: ora tali amori non consentendo i costumi, mi industriai ottenere il medesimo fine con più diritto amore, epperò composi le compagnie per quanto potei di parenti e di vicini, trovando giusto il proverbio che dice mezza parentela la vicinanza. Sto dietro a raccogliere, avendo perciò spedito lettere circolari ai parroci, i nomi dei morti in guerra dal 1729 in poi, e questi intendo stampare, e tener fissi dentro una tavola in ogni chiesa; avranno elogio funebre annuale; degli altri, che sortiranno non so se io mi abbia a dire grazia o sventura di cadere combattendo, di ora in avanti ne sarà cavato il ritratto per essere esposto nella sala del consiglio qui in Corte; i figliuoli di questi eroi fu statuito che per dieci anni vadano immuni da qualsivoglia gravezza; ricevano istruzione gratuita; arrivati alla età legale siedano di pieno diritto nelle consulte, affinchè, dichiara il decreto, — il sangue degli eroi venga con pubblici onori solennemente distinto. — Ma con quali leggi vi governate? Non chiamaste Giangiacomo Rousseau a dettare per voi uno statuto, un codice? — Invitai Rousseau di riparare in Corsica, mosso da compassione delle sue sventure, e gli avrei anche concesso di dettare la storia di questo paese; intendiamoci però la storia epica, quale compose Erodoto, che parla alla passione del popolo e commovendolo lo migliora, non già la storia dell'uomo di Stato, che stillata dal cervello si volge al cervello, e conviene meditare notte tempo, al lume di lucerna, seduti sopra un gradino di marmo a canto della statua della Patria. Certo, ingegno, e grande possiede costui, ma bizzarro, inquieto, e presuntuoso al pari del Voltaire; uno chiama l'altro _povero uomo_, questi quello _garzone_, e veruno di essi ha torto di disprezzarsi così quando nel mutuo orgoglio si reputano capaci di dettare leggi co' ghiribizzi loro ad un popolo che non conoscono. Di rado i letterati intendono di Stato; in effetto il Macchiavelli passava piuttosto per uomo non senza lettere, che letterato. Però tutti i governi abbisognano di uomini periti delle lettere e nelle scienze, decorandoli troppo meglio che le pompe, e le orerie, di ogni onore degni quando accreditano i reggimenti benevoli della umanità, vituperevoli quando onestano la tirannide, e nondimanco luce sempre, comechè in un caso conduca allo scampo, e nell'altro a perdizione. — A quanto sembra voi reputate assai il Macchiavello; non so se sappiate che i Francesi vadano dicendo, che voi lo portate sempre in tasca. — Passiamo le grullerie francesi, troppo spesso essi giudicano senza verità, e senza conoscimento. Non porto in tasca il Macchiavello chè darebbe incomodo, bensì nella mente dove arreca beneficio; anche il re Federico di Prussia senza conoscerlo lo sprezza, o piuttosto finge, e fa, secondo il motto arguto del Voltaire, come colui che sputa su la vivanda, perchè altri schifato la lasci stare ed egli possa mangiarsela tutta. Del Macchiavello è somma l'arte di considerare; e se volge la mente ai suoi tempi, la materia infelice gli somministra argomento a tristi pensieri, se ai fatti degli antichi ne cava precetti di ottimo vivere civile. — Questo vi chiarisca; da lui si mette la religione base principalissima dell'umano consorzio; anzi con forti raziocinii ed acconcissimi esempi dimostra che venuto meno ogni altro vincolo, dove questo uno rimanga saldo, basta a salvarlo; all'opposto Federico nelle lettere al maresciallo Keit ostenta l'ateismo. _Bella consolazione davvero per un guerriero moribondo sentirsi dire: tra poco voi non sarete più nulla!_[26] Con tali insegnamenti non si possono sperare uomini grandi, sopratutto buoni. Dalla setta di Epicuro un solo uomo degno, la scuola degli stoici ne fu semenzaio. — Il signore Giuseppe Maria Massesi, cancelliere del governo, vorrà essermi cortese d'informare l'ospite nostro delle leggi, e del modo di amministrare la giustizia. — I Genovesi (così prese a favellare un grave personaggio, che al sembiante arieggiava un po' il bue, un po' la faina, tipo assai facile a incontrarsi nella classe dei magistrati), ci lasciarono certi statuti, i quali contengono ordinamenti generali quanti bastano per incamminare a fine uniforme lo esercizio della giustizia; comporre codici a noi non importa, nè giova; questi reputano miglioria, e sono impedimento; in effetto essi sommano i beni partoriti dai buoni costumi, e poi si parano come la steccaia in mezzo al fiume, la quale trattiene il flusso delle acque finchè non arrivino a soperchiarla: così il codice impedisce la immissione quotidiana e regolare dei buoni costumi nelle leggi fino al giorno che la discrepanza diventi massima e ostile. Nè il codice per quanto prolisso tu lo immagini può comprendere la descrizione dei casi speciali, epperò ad ogni codice fa coda la faraggine della giurisprudenza; donde avviene, che quanto sarà più concisa la legge meglio ti troverai; pensate a Dio; con soli 10 comandamenti provvede più che tutti i legislatori con i codici loro. — Posta la regola, il cuor sincero e la mente retta ti faranno più giudice che il Baldo ed il Bartolo non saprebbero. Furono fabbrica di curiali i codici non semplici e non compiti, ma così ammezzati e difficili, per ridurre la giustizia a mestiere privilegiato. No, signore, la giustizia entra nel pane quotidiano dell'uomo, ed ognuno deve sapere allestirla per sè, e ministrarla agli altri. — Ogni paese elegge annualmente un potestà, e due padri del comune; il potestà giudica senza appello le liti fino a dieci lire, unito ai padri del comune fino a trenta, e senza appello: in qualche paese nominano due podestà, in tale altro eleggono padri del comune fino a dodici. Prima di entrare in ufficio i magistrati provinciali li confermano; talora il governo commette ai medesimi le incumbenze dei magistrati provinciali; non hanno paga. Le cause di merito superiore giudicano essi ancora, ma le sentenze si possono appellare alla ruota composta di tre giudici: brevi i giudizii, non graditi gli avvocati, in arbitrio del giudice le chiusure del processo: le decisioni non si raccolgono, nè si allegano, chè andiamo persuasi come ogni sentenza motivata da casi speciali non può estendersi, se non per via di garbugli, ad altri casi non mai pari; questa è la nostra giustizia civile. — La quale, salvo il vostro onore, mi sembra un po' parente della giustizia turca. — Ditela addirittura sorella, riprese il Paoli, e dubitando offenderci voi ci avrete lodato: ora ve ne dirò la ragione: educato al foro ho potuto osservare come nei paesi che si chiamano civili, le sentenze proferite dai tribunali di prima istanza vengono almeno per la metà revocate dai superiori; ora se ciò avvenga o perchè siasi fatto errore, o per causa della contradizione che corre nelle vene dell'uomo, poco rileva; la cosa sta: — conceduto adesso che anche i Turchi sbagliassero per metà, avremmo di risparmio gli avvocati, le spese di giustizia, le disperate lungaggini, e quella turba di giudici mestieranti, che si abbarbica vera pianta di passione sulla facciata del tempio della giustizia. Quanto a noi vi so dire che di rado si appellano, e delle cause appellate, nè manco un quarto se ne baratta; onde vi accorgete, che non abbiamo punto vaghezza di cercare miglior pane che di grano. — Questo concerne la giustizia civile, e la criminale come si amministra ella? — Eh! rispose il Massesi come se gli fosse andata una lisca per la gola, vostra signoria capisce che in tempi torbidi, minacciati da nemici interni ed esterni, la non si può guardare tanto al sottile. — Esponete liberamente, soggiunse il Paoli, affinchè non accada che dove non meritiamo lode di bontà non ci neghino anco quella di schiettezza. — Or bene, da prima fu conferita alla Ruota la facoltà di giudicare al criminale, ma poi, crescendo i pericoli, l'ebbe una giunta di guerra composta di dieci ufficiali, presieduta dal generale; e quando la setta dei Matra istigata dai Genovesi si sbracciava a mandare sottosopra l'isola, commisero al Antongiulio Serpentini il potere di far sangue nella provincia del Verde, e in pari casi la confidarono anche ad altri ufficiali di armi: di presente può condannare a morte un tribunale composto di uno del supremo consiglio e di uno dei magistrati provinciali, referendone però al supremo consiglio per conseguire la conferma del giudicato. La confisca e la tortura furono mantenute; prima fucilavano i rei, ora gl'impiccano, e ragione vuole che aggiunga che tutte queste provvidenze furono prese a mia insinuazione. — A vostra insinuazione! esclamò il Boswell allontanando spaventato la seggiola da quella del Massesi, che gli sedeva accanto. Questi crollò il capo, e sorrise; poi ripigliò: — Che volete dirmi? Forse questi essere partiti barbari? Lo so meglio di voi; ma i tempi e gli uomini in mezzo ai quali viviamo non ne consentono migliori. Il Côrso, che fa caso della sua vita quanto di un sorso d'acqua, trema al pensiero di lasciare la famiglia nella indigenza e si astiene dal tradire la patria. Se il terrore della corda non fosse, bisognerebbe renunziare a sapere la verità; ed avvertite bene, la conservazione della tortura ci dispensa dall'adoperarla, imperciocchè il Côrso reputa infamia patirla, e la minaccia di applicargliela basta perchè confessi. Opinano i filosofi, l'uomo non possedere diritto ad uccidere l'uomo, ed è vero; però non ad ucciderlo solo, ma a imprigionarlo altresì, a tribolarlo in qualunque altra guisa, imperciocchè, leviamo la maschera, distruggerlo in linea retta, o per via obliqua, egli è tutt'uno. Zitti dunque a potestà, e dichiariamo che le pene nascono dalla necessità della difesa: chi afferma, che la pena vendica la offesa non ha discorso; i legislatori la statuirono affinchè l'esempio trattenga altri da offendere; ora la fucilazione del colpevole tra noi non otteneva altro scopo che la vendetta, e questo era barbaro e di poco profitto, non ispaventandosi punto i Côrsi di tal genere di morte; all'opposto al pensiero di morire appiccati battono i denti come se il freddo li gelasse nell'ossa. Tuttavolta avendo avvertito che il nostro boia è mal pratico, e fa patire troppo i pazienti, io ho inventato un arnese, che non iscemando il terrore al supplizio ne agevola la esecuzione: datemi ascolto, che m'ingegnerò darvelo ad intendere con esattezza. — Ve ne dispenso, ve ne dispenso. — Spero, disse il Paoli, che vi garberà sapere come in tutta la Corsica non si trovò chi accettasse il mestiere del boia, e convenisse pigliarlo fuori: in effetto egli è siciliano. — Pregiudizii! riprese il Massesi, il boia dovrebbe tenersi in pregio quanto ogni altro magistrato: per me più ci penso e meno raccapezzo la ragione dell'odio che gli porta la gente. Sarebbe forse perchè uccide gli uomini per premio? Ma i giudici non tirano anch'essi salario? Essi infornano il pane, egli lo cuoce. Prima che il suo capestro strozzi il colpevole il magistrato lo ha ucciso con la penna. Che giudizio è questo pigliarsela col sasso, e non con la mano che lo ha tirato? Anzi se il giudice fa bene, il boia opera meglio; se quegli fa male, questi non ne ha colpa, essendo uno strumento cieco. Se poi si aborre perchè ammazza persone che non gli nocquero mai, e a cristiani, e inabili a difendersi, i soldati che pure reputiamo onoratissimi non fanno lo stesso? Nè mi si opponga, che questi ammazzano i nemici della patria, perchè nelle guerre civili da una parte e dall'altra si stimano tali; e il boia leva dal mondo per ordinario facinorosi che sono il flagello dell'umanità: e nè anco i soldati uccidono sempre gente che loro contrastino con le armi alla mano; per lo contrario senza scapito di onore godono il privilegio di farsi la festa in famiglia. Potrei aggiungere altre cose, ma queste paionmi sufficienti ad affermare, che negli Stati civili si avrebbe ad assegnare al boia il posto tra i più cospicui magistrati. — Negli stati civili io spero che non occorreranno carnefici, nè giudici che condannino a morte; ma voi, signor Paoli, come non vi studiaste con le arti e con le lettere ingentilire i costumi di questi isolani? — Padre Mariani, sta a voi rispondere. — Ed io lo farò, generale, se non con dottrina, certo con piena convinzione. Distinguo tra arti e lettere; queste, spirituali essendo, quanto più si perfezionano e allargano tanto meglio sublimano lo spirito; quelle versandosi sopra cose fisiche io non dirò che lo disamorino dalle spirituali, bensì lo affezionano oltre il giusto alle materiali: e questa è la prima ragione per cui io le ho per sospette. Le arti quando crescono, se non hanno bisogno dei vizii per alimentarsi, per lo meno vivono di lusso e lo promuovono: ora il lusso sappiamo per esperienza essere stato il verme roditore degli Stati più potenti: e questo allego per seconda ragione di curarle poco. La perfezione delle arti segna il principio della decadenza dei popoli e il fine della loro virtù; in Italia ne porgono testimonianza i secoli di Augusto, di Lorenzo dei Medici, di Leone decimo; in Grecia il secolo di Pericle; in Francia quello di Luigi XIV; degli antichissimi, io taccio. I popoli o perfetti nella civiltà come pretendono alcuni, o corrotti dalle morbidezze come sostengo io, diventano sempre conquista dei barbari: e questa è la terza ragione che mi allontana dal culto delle arti. Non nego, che troppo più spesso che non si vorrebbe le lettere apparirono vili, corrompitrici, e venali e ribalde; ma noto, che a ciò non le spinge necessità, bensì la malattia, da cui non vanno esenti in questo mondo le cose più sane; mentre le arti si trovano condotte per bisogno di vita a piaggiare i ghiribizzi dei potenti, e a soddisfarne le voglie. Per secolo non breve la religione sostenne le arti, ed in quel tempo a mantenerle in fiore contribuì eziandio il culto degli uomini grandi: e questa fu per loro la bella stagione; ma anche in tale periodo per lavorare fecondarono con offesa della religione la superstizione, e furono complici a propagarla nelle menti dei mortali; e per una statua di Socrate ne scolpirono trecento a Demetrio Falereo. Le lettere nocquero alla umanità, ma con la medesima agevolezza ripararono l'errore; un esempio mi valga a chiarire il mio concetto. Plinio racconta che Teodoro gettò la statua di Nerone alta 110 piedi, e che un pittore gli dipinse il ritratto dell'altezza di 120 piedi; immaginiamo che lo scultore e il pittore, vergognando delle opere loro intendessero per ammenda fondere il simulacro di Cristo, o dipingere la immagine di Bruto con la dimensione della statua e del ritratto di Nerone, lo potrieno essi? Non lo potrebbero, per lo più scarsi come sono di facoltà. — Dove all'opposto se un letterato inciampa, di lieve si raddrizza, e con un quinterno di carta, un po' d'inchiostro ed una penna, può edificare eterno monumento al suo nome. — Forse sarà che le arti splendano l'ultimo raggio di un popolo, e se così è, io come vedete ho buoni motivi per desiderare che venga tardi, e per ammonire che, venuto, gli si tenga l'occhio addosso perchè non faccia guasto. D'altronde sarebbe strano che ad un popolo inetto a cucire scarpe e giubboni avesse a insegnare dipingere quadri: par quanto poi appartiene a lettere, i Côrsi abbisognano piuttosto di freno, che di sprone, chè gli stessi Francesi, parchi lodatori altrui, confessano questa propensione dei nostri ad ogni maniera di letteratura: nè ciò era sfuggito agli antichi, avendo, fra gli altri il Grevio, nel suo _Tesoro delle antichità_, dichiarato come — sub lingua Corsi... cum lacte et mele habent aculeum, ideoque foro nati sunt[27]. — Ciò sia detto quanto ad eloquenza; rispetto alla poesia voi non troverete pastore che non legga i nostri sommi poeti, massime il Tasso, e se vi affermassi che in capo all'anno si vendono più volumi della _Gerusalemme liberata_ che lunari, voi non potreste appuntarmi di menzogna. Pressochè tutti qui improvvisano versi, e le donne altresì, anzi più degli altri le donne, e vi so dire che tremenda cosa sono i loro _voceri_ sopra i corpi dei congiunti ammazzati. Ma posti da parte i naturali talenti del popolo, auspice il nostro generale, per coltivarli in regola abbiamo fondato una università. — Università? Il signor Bournaby mi consegnò una cassa di libri da offerire in dono alla scuola di Corte, però di università non mi tenne parola. — La scuola è diventata Università; poca cosa invero, pure bastevole per ora, e coll'aiuto di Dio crescerà. I professori tutti frati; io indegnamente la reggo, ed insegno istituto civile, e canonico, etica, e diritto di natura e delle genti. Padre Leonardo da Campoloro, che mi siede accanto, minore osservante come me, espone filosofia e matematica; i cappuccini Angelo da Venaco e Giambattista da Brando leggono il primo teologia morale, il secondo rettorica; l'instancabile nostro padre Bonfigliolo Guelfucci servita, che vi sta rimpetto, segretario del generale, ammaestra gli scolari nella teologia dommatica e nella storia ecclesiastica; e come fosse poco, trova tempo di dettare storie; e mantenere corrispondenze coll'Accademia della Crusca di cui è socio. Viviamo insieme, e con esso noi venti scolari educati e nudriti per l'amore di Dio, oltre i figliuoli dei morti per la patria. La istruzione costa nulla, e fu provveduto affinchè gli altri scolari trovassero in Corte vitto ed alloggio con piccolissima spesa; di più sappiate che nè anche allo Stato l'Università costa. Noi, memori del detto del Vangelo _gratis accepistis, gratis date_ distribuiamo altrui senza guadagno il sapere che ricevemmo senza spesa; agli altri bisogni vien supplito così: ogni pievano contribuisce con lire 18 all'anno, ogni curato 9, i canonici 6 a testa: ancora noi abbiamo molte confraternite nell'isola, le quali, quante volte muore un fratello, danno lire 20 in denaro o in candele per onorare il mortorio, onde dicemmo loro: Fratelli, sta bene la luce ai morti, ma sta meglio ai vivi; figurate avere un morto di più per anno fra voi, e date venti lire per ognuna alla Università; e come le supplicammo fecero. Nati dal popolo, stiamo con lui; quanto possediamo gli diamo così di sostanza come d'insegnamenti e di sangue, però se egli ci chiama padri, e noi figliuolo, questi non escono suoni vani dalle nostre labbra. Siamo una stessa famiglia deliberata a vivere o a morire nello amore di Dio e della libertà. — Bene, signor minore osservante, bene, superlativamente bene, e vi so dire che se in Inghilterra i frati avessero rassomigliato voi e i vostri degni compagni, ella a questa ora si manterrebbe sempre cattolica. — Ed ora del governo vi ragguaglierò io, prese a favellare il Paoli; quando la consulta di santo Antonio della Casabianca nel 1755 mi elesse a reggere la Corsica, volle conferirmi assoluta potestà, la quale ostinatamente rifiutai, imperciocchè sebbene io non mi sentissi legno da tagliarci il tiranno, pure mi parve che meritasse più lode di prudenza chi si astiene dal pericolo, che di costanza chi ci resiste, e la occasione, voi lo sapete, fa l'uomo ladro: istituii pertanto senza indugio un consiglio supremo di nove uomini animosi e savi, i quali governassero meco standomi al fianco tre per volta ogni quattro mesi; questi fanno l'ufficio che presso a poco esercitano da voi i ministri della corona; io presiedo a vita il consiglio, ed ho la condotta delle armi; questo mio potere come eccessivo, ha da mutare: in parte è più, in parte è meno di un re inglese; forse si rassomiglia meglio allo statolderato di Olanda. Poteva come Mosè, Licurgo, Romolo ed altri parecchi, dettare solo le leggi; non volli, sembrandomi che il popolo partecipando alla composizione di quelle le avrebbe amate e rispettate di più: ancora, il dispotismo rinfaccia al popolo la sua inettezza: ipocrisia! imperciocchè se tieni sempre il fanciullo stretto in fascie, come imparerà a camminare? Ora veruna scuola di libertà supera il pubblico dibattimento su le faccende della patria. Il principe vero della Corsica è la consulta: da tempo antico costumavano i padri nostri assembrarsi in congressi cui appellavano Vedute, per lo più nella valle di Morosaglia; andate in disuso con la tirannide, rinacquero con la libertà. Così si compongono oggi; ogni villa elegge un procuratore di comune, e gli confida il mandato per mano di notaro; finchè sta fuori di casa il comune del paese lo paga a ragione di una lira al giorno; anche qui va emendato, dacchè in taluna villa la popolazione non arriva a 40 persone, in altre supera le 400. Prima eleggeva tutto il popolo e da sè senza che se ne mescolasse il governo, ma riuscendo le elezioni scompigliate sempre, e le più volte inani, fu provvisto così: il podestà e il padre del comune proporrebbero i cittadini da eleggersi a procuratori; quali dove non uscissero eletti, toccherebbe ai padri di famiglia designarli; e se nè anche questi restassero approvati, cotesta villa o comune per quell'anno perderebbe il dritto di mandare procuratore: resta eletto chi raccoglie più voti, che devono superare la metà degli elettori. Nè questi soli compongono la consulta, chè in prima c'intervengono tutti i consiglieri supremi usciti in carica, poi i figli dei morti per la patria, per ultimo i procuratori dei magistrati provinciali di cui vi chiarirò fra poco. La consulta convocata da me si riunisce ordinariamente una volta l'anno in Corte; occorrendo più, volte, e in altri paesi; appena adunata essa nomina due procuratori comunali, ed uno dei magistrati di provincia: i tre eleggono il presidente, e l'oratore dell'assemblea; il primo presenta le leggi a nome del governo, il secondo a nome del popolo; mandate a partito, una volta si vincevano con due terzi di voti, ora ne bastano la metà; la legge del governo appena vinta si eseguisce, quella del popolo può restare impedita dal governo, ed allora fino alla consulta dell'anno seguente non può riproporsi. Vi parrà questo eccessivo, ed è; ma io desidero il popolo libero affinchè meco concorra e mi aiuti a fabbricare la sua libertà; ma procurai che, poco esperto e facile a rimanere carrucolato, non avesse le braccia libere di scombussolarmi di una mala legge ogni cosa; io e gli amici miei come il profeta Eliseo stiamo distesi su questo popolo per infondergli la libertà col nostro alito; questo vogliamo, questo faremo, ma oltre questo ministero di vita, ecci forza armare la mano di spada per dare in testa a chiunque con violenza e con frode si argomenta ricondurre la Corsica in ischiavitù. Oltre discutere o votare le leggi, la consulta elegge i magistrati provinciali e i sindacatori; però nella nomina dei primi pigliano parte unicamente i procuratori delle provincie, nella nomina dei secondi tutti. Sono i magistrati provinciali composti di un presidente, due consultatori, un auditore, un cancelliere; si rinnovano ogni anno; lo stipendio scarso, sono nudriti dal pubblico; sta agli ordini una guardia pagata: questi sono dieci, quante le province nelle quali si scompartisce l'isola: 6 cismontane e 4 oltramontane; giudicano le cause civili di qualunque importanza oltre le lire 30, e criminali; le sentenze di morte e di esilio non si eseguiscono se il supremo consiglio non le approva. I sindacatori dicono istituisse Carlo Magno; certo è che la Repubblica Genovese li ebbe: ufficio loro raccogliere le lagnanze del popolo, inquisire i magistrati, non escluso il capo supremo dello Stato, conoscere le colpe e ripararle o punirle. Qualche volta mi elessero sindaco, non sempre, diverso in ciò da Andrea Doria che si fece nominare dal sindacato a vita, onde fra per questa autorità esorbitante, e per conservare forze proprie capaci da opprimere chiunque lo contrariasse, che razza di libertà intendesse egli donare alla sua patria a me non riuscì mai di comprendere. Dimenticava dirvi, che mentre dura il dibattimento, e il voto delle leggi, il generale e supremo consiglio hanno da uscire dalla sala della consulta. Arrivato a questa parte del suo ragionamento, chiesta prima licenza, entrò una guardia del generale, che gli presentò lettere sigillate: egli stava per metterle in tasca e leggerle a bell'agio, quando la guardia gli disse: — Avvertite! — Allora il generale guardando meglio vide scritto nella sopraccarta: — preme. Scusatosi con la compagnia, lesse una volta, e due, poi ripiegati pacatamente i fogli, senza mutare sembianza soggiunse: — va bene; e licenziò la guardia; dipoi voltosi al Boswell continuò: Fin qui non vi ho detto il peggio; nella coda sta il veleno, io posso di mia autorità far arrestare sospetti, posso anche mandarli a morte... non vi spaventate; questa è tirannide, ma come vi hanno tiranni che curvano i popoli nella servitù, così la dura necessità vuole che talora abbisognino tiranni per raddrizzarli alla libertà. Ai popoli corrotti, o imbestiati dalla oppressione, per purgarsi fa mestieri a modo del Dante di passare per lo inferno e forse ha meno pericoli il nostro mare nelle bocche di San Bonifazio, che il diritto del suffragio universale, e pure in questo fuoco bisogna ritemprarsi. Se da una mano io pongo un pugnale atto così a difendere come ad uccidere la libertà, importa che io tenga armata l'altra mano per riparare in tempo; lasciamo da parte i privati cittadini e supponete un procuratore comunale, uno del magistrato provinciale, che più? uno del supremo consiglio, che io sappia per sicuro macchinare tradimento a danno della patria, ma il tempo manchi al giudizio, anzi riesca impossibile procacciarsi prove legali, e il pericolo si versi nello indugio: aggiungete, che nelle cause di Stato se aspettiamo che il delitto sia compito, allora la patria è venduta, la libertà spenta, il giudice in catene. Quando il traditore può in un momento sovvertire la patria, deve potere la pubblica vendetta colpirlo improvviso come la folgore di Dio; ed io stringo nella mia destra questo fulmine pronto sempre ad avventarlo quando occorre. Poteva conferirsi questo diritto al consiglio intero; ma oltrecchè sarebbe sembrato sanzionarlo con legge, enorme cosa, i consigli procedono sempre lenti, di rado concordi, almeno sulle prime, e i casi piuttosto si indovinano, che si dimostrino, nè può definirli nelle moltiplici specie la legge, mostrandosi ordinariamente la malizia più feconda al nocere, che la sapienza a riparare. Io rabbrividisco per questo diritto di sangue che possiedo, e non lo depongo, disposto a renderne conto a Dio ed ai sindacatori; voi però non crediate che meco stesso non vada ravvolgendo la contingenza, che quello che a me parve necessità suprema ad altri tale non paia; ed anco confesserò di più, che temo mio malgrado la passione più o meno non entri a sprigionare dalla volontà la parola che apre alla creatura una tomba infame. Ahimè, spesse volte — troppe volte — questa ragione di Stato rassomiglia alla croce che l'uomo porta sul calvario dove lo crocifiggeranno la ingratitudine dei popoli, l'odio dei nemici, e le perfidie della fortuna...; non importa, perocchè io sia uno di quelli, che fermamente credono essere l'anima nostra un angiolo smarrito, che ritroverà il suo paradiso per la via del dolore. — Qui il valent'uomo versò alquanto di vino nel bicchiere, e levatosi in piedi disse con raccoglimento: — Quando anco questo fosse sangue del mio cuore, io non lo berrei meno volentieri alla salute della Patria: viva la Patria! Tratti da un medesimo spirito, i convitati assorgendo risposero: viva la Patria! — Avrei voluto, comecchè voi, signor Boswell, non rassomigliate l'eroe troiano, ed io assai meno Didone, avrei voluto, soggiunse Paoli, che qualche Jopa côrso vi avesse dato contezza della musica e della poesia côrsa: ciò sarà per un'altra volta. Intanto _suadent cadentia sidera somno_, e assai fatiche ci toccarono in questo giorno perchè non dobbiamo più oltre rifiutare riposo alle stanche membra. Qui, fatto e ricevuto ogni maniera di cortese salutazione, presero il Paoli e i suoi compagni commiato. * * * * * Aura di maggio, oh! come divina quando il sole abbandona il nostro emisfero; per lei le chete superficie delle acque s'increspano in così dolci pieghe, che rammentano il sorriso della vergine quando l'amante le diventa sposo, o quello della madre allorchè le presentano la sua prima creatura dicendo: ecco, un figliuolo ti è nato; — all'aura di maggio dall'aperto calice commette intero il suo profumo la rosa, quasi fanciulla, che, combattuta l'ultima battaglia del pudore, lascia andarsi in balìa dell'affetto che la vince; — al soffio di lei le foglie del pioppo ora ti mostrano il lato colore di cenere, ora quello di smeraldo come per ammonirti, che neanche l'inferno possa spegnere amore, e i cipressi custodi dei sepolcri, mossi da lei tentennano l'uno verso l'altro le cime bisbigliandosi in loro favella, che ciò che l'uomo chiama morte è trasformazione; l'amore feconda anche le fosse, e da una vita cessata sgorgano innumerevoli rivi di vite che incominciano; — le stelle ai fiati di lei corruscano più somiglianti a mo' di fiaccole, le quali ventilate divampano; e quando dall'acque si leva la luna, e a lei piace sospingerle incontro qualche nuvola, par che Febea corra a precipizio pei bruni campi del cielo alla caccia delle fiere del firmamento, come ella già le selve correva su le orme delle belve terrestri. Pei lidi ricurvi, per gli aperti piani, per le arcane foreste, in terra, in cielo, in mare suona un misto di voci, che ad alcuni parve sospiro, ad altri riso, ed è l'una cosa e l'altra, imperciocchè riso e sospiro scintillassero su l'animo dei mortali col medesimo baleno, e spesso si confondono scambiandosi tra loro forma ed ufficio; così la gioia sovente sospira, e il dolore, esaurita la fonte delle lagrime, ride. Gemito e riso, alfa ed omega della vita umana! E poichè non ci ha festa senza musica, una famiglia di rosignoli, aspettato che il fragore delle opere divine cessasse sopra gli olmi della piazza di Corte, conveniva ai canti alternando le armonie alle melodie con note così infinitamente alte, che incominciate sopra la terra sembrava che non si rimanessero finchè non erano giunte lassù in fondo dei cieli, dove si mescolavano ai cori degli angioli; però in cotesta sera tacevano; anzi gli usignoli avevano disertato l'arbore diletto; spandendosi per la campagna con istridi acuti ammonivano gli altri a torcere altrove le ali perchè qualcosa di spaventoso li minacciava lì presso. In verità i poveri uccelletti avevano ragione; poco discosto dall'olmo appeso alla traversa della forca dondolava il cadavere di Giovanbrando impiccato. All'ultimo palpito del sole corrispose l'ultimo del cuore, quello s'immerse nel mare, questo nella eternità; e lo lasciarono appeso in obbedienza dell'ordine del generale; non posero sentinella a guardarlo, reputandolo abbastanza vigilato dalla giustizia inesorata ma retta che percoteva indistintamente umili e superbi. [Illustrazione: .... erasi recata in mano le molle, e percotendo con quelle, di tratto in tratto, il pavimento, ne aveva scheggiato un mattone. (_Pag. 276_)] I Côrsi in quei tempi non consumavano olio per risparmiare sole, onde si coricavano a buon'ora: ordinariamente prima delle due di notte andavano a giacere, se qualche occorrenza non li persuadeva a vegliare; sicchè chi si fosse aggirato per le vie di Corte avrebbe, meravigliando, veduto dopo assai cotesto tempo due lumi accesi in due case diverse. Per cui manca di discorso gli obietti estremi passano a un dipresso come acqua piovana per la doccia; chi poi costuma notare, da tutto piglia argomento di speculazione, e quindi causa di conoscenza; per la quale cosa non parrà strano se affermo che dal modo con che la luce dei lumi viene riflessa fuori dai vetri delle case tu puoi distinguere in quale stato si trovino le famiglie. Calda e, per così dire, petulante è la luce che rischiara i conviti e i festini; però, se da imposta allo improvviso aperta essa prorompe, ti parrà che insulti la notte, anzi pare che la provochi e la ferisca. Più modesto, non pertanto meno sicuro splende il lume compagno agli studi della sapienza, come quello che sa essere luce in traccia di luce; ma il lume acceso della tribolazione trema, e supplica che al suo dolore non si aggiunga il dolore della tenebra: abbastanza la travaglia la vita delle miserie circostanti, perchè non vengano anche i fantasmi della notte a crescerle il peso. E non sarebbe stato difficile indovinare che i lumi, i quali in cotesta notte scaturivano dalle finestre delle due case di Corte, erano stati accesi dalla tribolazione: per verità uno ardeva nella casa del padre di Giovanbrando, l'altro in quella di Orso Campana. Vi rammentate di Lellina la figliuola di Orso, che doveva esser moglie di Giovanbrando? Ebbene, essa è quella che veglia. Bisogna che voi impariate meglio a conoscerla, diventando d'ora in poi parte importante della nostra storia; e perchè vi entri bene nella fantasia io ve la vado a descrivere con parole succinte. Di statura è breve, e di membra asciutte, però mirabilmente disposta a sopportare le fatiche; forte come l'acciaio, destra quanto i muffli dei suoi paesi; la pelle pallida le imbrunì il sole, chè il padre usava menarla sempre seco pei monti a caccia, o ai _procoi_ per vigilare le faccende di villa: giusta il costume côrso le vela il capo un pannilino bianco fino alle sopraciglia curve in bell'arco, ma quasi invidiose; gli occhi sempre teneva mezzo chiusi e bassi forse per modestia, o piuttosto perchè sapesse che mettevano paura: in effetto le sue pupille apparivano chiazzate di nero, di celeste chiaro e di giallo, ma, quietando essa, quest'ultimo colore non si distingueva troppo; e gli altri due componevano un cotal grigio scialbato assai somiglievole al piombo polito; quando poi qualche passione l'agitava, il giallo si estendeva, si accendeva; insomma i suoi occhi allora diventavano pari a quelli del gatto salvatico; il volto ovale con sì perfetto contorno che meglio non avrieno disegnato le Grazie: la bocca ombreggiata dalla caluggine del labbro superiore mostrava due margini stretti, e rovesciati in dentro, indizio sicurissimo di animo deliberato e costante. Questa fanciulla stava seduta sopra una panca dinanzi al camino per abitudine, non già perchè la stagione invogliasse a scaldarsi; da parecchio tempo erasi recata in mano le molle, e percotendo con quelle di tratto in tratto il pavimento, ne aveva scheggiato un mattone; di contro a lei giaceva in terra la serva, vecchia côrsa con gli occhi, il naso e le mani uguali agli occhi, al becco e agli artigli del falco, e forse la somiglianza di lei col falco non finiva qui; teneva le spalle appoggiate, o come i Côrsi dicono, _arrembate_ alla parete, le gambe su ritte, e con le braccia tese e le mani aggruppate si agguantava i ginocchi; anima propria, o piuttosto volontà ella non aveva; bensì con l'occhio fisso nel volto della fanciulla spiava quello che avesse a fare o non fare; il cane in mezzo a loro, aggomitolato a modo di chiocciola, pareva che dormisse; però di tanto in tanto squittendo dava ad intendere sè essere pronto ad avventarsi dove la padrona ordinasse. Lella, riposte le molle su gli alari, si levò, e dalla cantera della tavola in mezzo alla stanza trasse fuori un trinciante: avendone tentato il taglio col dito le parve ottuso; prese allora la cote, e premendovi sopra la lama con le dita incominciò a strisciarvela obliquamente: poi lo tentò da capo, e trovatolo affilato lo avvolse dentro una salvietta, e lo ripose in tasca. La serva l'agguardava senza far motto, e quando Lella le disse: — andiamo! — si levò su tutta di un pezzo mettendosele dietro, non interrogando dove s'incaminasse, nè per quale causa, nè nulla: il cane sorse a sua posta, e scotendo il pelo parve si accingesse a seguitarle, senonchè la fanciulla fattogli cenno col dito gli ordinava: — tu rimarrai — e il cane mandato un guaito tornò a cucciarsi. Le donne uscirono e si avviarono difilate alla casa di Matteo Brando. La Lella battè un colpo solo — ma forte e risoluto così da significare: apritemi presto: tuttavolta aspettò e dopo convenevole spazio di tempo ne percosse un altro; — poi un terzo, un quarto: quei di dentro pareva non sentissero, o non volessero sentire; finalmente fu visto il lume mutare luogo, e poco appresso una voce domandò: qual siete voi? — Aprite. — Schiuso l'uscio Lella entrò, e alla donna che tenendole dietro con la lucerna ripeteva: qual siete voi? non rispose niente, bensì andava tuttavia. Arrivata nella camera soprana la perlustrò con gli occhi, e vide in un canto Matteo Brando genuflesso davanti la immagine della Madonna dei sette dolori; le mani teneva giunte sopra una sedia, e su le mani declinato il capo doloroso. Lella lo tocca lieve lieve su la spalla e il vecchio solleva la faccia domandando: chi siete? che cercate? — Matteo, voi avete un figliuolo? — Lo aveva. — Sta bene; ma ora resta di levare il suo corpo di forca. — Chi di coltello ammazza conviene che muoia; se l'è meritato. — Se l'è meritato? — Certo; era corsa inimicizia tra i Brando e gli Albertini ma non ingiuria, non offesa accadde mai tra noi; egli ha sparso sangue umano senza vendetta, nè odio. — Ha fatto meglio; lo ha sparso per amore. Orsù, volete venire a dare al vostro figliuolo sepoltura cristiana? — Lo lascerebbero forse esposto al vento ed alla pioggia? — Ne sono capaci: e ai corvi, che gli beccheranno gli occhi, e agli avoltoi che gli strazieranno le carni. — Oimè! lo ha meritato. — E le sue ossa andranno in bocca ai cani, nè saranno riposte nella tomba dei suoi antenati. — La tomba dei Brando non raccoglierà mai le ossa di un impiccato..... — Di certo? — Di certissimo. — Ebbene allora le raccoglieranno le tombe dei Campana. Il padre si è vergognato del suo figliuolo, ma la sua promessa gli rimarrà fedele anche alla forca. Addio vecchio. Io vi venni a cercare non mica per bisogno di voi, ma come padre del mio sposo volli adoperarvi questo atto di rispetto. Addio. Senza ira, come senza fretta uscì al modo stesso col quale era entrata, e seguìta dalla serva riprese il cammino per la piazza delle forche. Non aveva mutato ancora cento passi, che vide venirsi incontro un uomo; la luna si era levata, e sebbene non fosse anco giunta al sommo del cielo, pure spandeva tanta luce da lasciare poca speranza a Lella di potersi nascondere fra le ombre della via angusta: deliberò guardare in faccia la fortuna, e procedè oltre: quando le venne vicino il notturno camminatore, lo riconobbe pel giovane Matteo Massesi, il quale con la cetera in mano pareva si affrettasse a qualche posta: senza per ciò smarrirsi di animo la fanciulla gli accolse salutandolo: — Buona notte, Matteo, e dove andate a questa ora, in tanta prescia con la cetera in mano? — Voi non me lo avreste a domandare, Lella; adesso posso tornarmene. — In verità, non m'indovino niente. — Ah! Io veniva sotto le vostre finestre. — A farmi la serenata per l'allegrezza avuta? — Le corde sono come chi le suona; piangono o ridono e la voce canta così il _Tedeum_ come il _Miserere_. — Ma voi non me lo potete negare, ci avete avuto gusto alla morte di Giovà? — Io? Dio me ne liberi; io vi amo... — Sì; ma alla morte di Giovà ci avete avuto gusto. — Vi ripeto di no; solo costui m'impediva la speranza che voi un giorno pensaste a me. — Arzigogoli! Una volta che la sua morte ha levato l'impedimento il vostro cuore ne deve avere esultato. — Lella mia, deh! non andiamo tanto a squattrinare col cuore io non ho pensato ad altro, che a voi. — Dunque voi mi amate molto, Matteo? — Non ve lo ho io detto? — Detto sì le mille volte, ma provato mai. — Provate. — Avvertite alle parole che vi escono di bocca, Matteo: potrebbe venirmi voglia di mettervi al cimento. — Provate. — Vi provo. Voi non mi avete domandato perchè a questa ora io mi trovassi sola per le strade; ve lo dirò io; vado a levare di su le forche Giovanbrando; se mi amate davvero, venite meco, ed aiutatemi... Matteo si sentì mancare sotto le gambe, e gli fu mestieri appoggiarsi al muro. — O Lella mia, qual diavolo vi tenta. E non sapete il bando che minaccia del capo chiunque si attenti di toccare lo impiccato? — Lo so: per questo v'invito; se ciò non fosse, bella forza sarebbe levare un morto; allora basterebbe il becchino. — Ma il segretario del generale deve essere per lo appunto quegli che ne trasgredisce i comandi? — E se preferite i comandi del generale ai desiderii miei, sposatevi il generale. — Sentite, Lella, pensate che io sono figliuolo del gran cancelliere, e quanto ne accadrebbe scandalo se si venisse a scoprire che le leggi furono rotte dal sangue di colui che la nazione elesse a farle custodire. — Matteo, voi mi parete ottimo segretario, eccellente figliuolo, ma pessimo amante — e scivolò via lasciando il giovane tutto confuso. Eccola giunta a piè della forca: sosta alquanto, e contempla il derelitto che al vento notturno dondolava; la serva anche essa guardando in su non sapeva in qual guisa la fanciulla avrebbe salito in alto; per lei tanto non ci trovava modo: senonchè Lella la cavò presto di dubbio: di botto ella con le cosce e con le braccia aggavigna l'antenna; poi datosi un tratto con la persona si arrampica un sommesso; distende da capo in su le braccia; ma all'improvviso sdrucciola per quanto è lungo il palo battendo terra così aspro, che ne rimase intronata: ripresa lena ricomincia la salita, nè per questa volta la seconda meglio la fortuna; imperciocchè mentre stende la mano alla traversa, e già l'agguanta, torna a scorrere giù a precipizio. Si sentiva le braccia rotte, le cosce e il petto indolenzito, le bruciavano le mani: mentre alla serva pareva perduta la prova, sovvenne Lella un nuovo consiglio; china per terra si bagna le mani e le braccia con la rugiada caduta su l'erba, e braccia e mani s'imbratta poi d'arena: così allestita ritenta, e la ruvidezza dell'arena le vale; abbrancata la traversa ci si appoggia con le costole restando con le gambe penzoloni; penoso le riuscì moversi di traverso, ma aiutandosi con le braccia e col petto arrivò in breve sul capo all'impiccato: senza perdere tempo allora cavò di tasca il trinciante, e di un colpo recise il laccio orribilmente teso: il corpo tracolla con infelice rovina; dietro a lui giù di piombo la fanciulla, che sciolto il laccio se lo cinge intorno alla vita. — Su presto, intantochè si avvolge la fune alla persona, favella alla serva; so che a tela ordita Dio manda filo, tu piglialo da capo sotto le ascelle, che sei più forte e meno affaticata di me; io lo agguanterò per le gambe e via. E come disse fecero; la serva passò le proprie sotto le braccia di lui, lo strinse forte, e se lo recò sul petto; l'altra si mise tra mezzo alle gambe recandosene una per braccio, e si allontanarono gambettando leste come pernici inseguite. Arrivate a casa, stesero il morto su la tavola; ciò fatto Lella ordinava alla serva: — Ora va a casa da i parenti miei, batti forte ma senza furia, e aspetta tanto che ti abbiano sentito. Quando qualcheduno si sarà affacciato alla finestra gli dirai: — in casa Campana evvi un morto — e te ne andrai subito senz'altre parole, capisci? senz'altre parole. Partì la serva; ella rimase sola col morto; prima di tutto gli ricacciò gli occhi in testa perchè gli erano schizzati fuora, e come meglio potè glie li rinchiuse. Che Lella possedesse anima e nervi di bronzo, non importa ch'io dica, nondimanco cotesti occhi penzoloni le mettevano paura; lo lavò col vino, lo pettinò; con molto stento lo vestì della cappa della confraternita di San Francesco del padre suo; gli coperse le faccia di un mantile bianco su cui ella medesima aveva ricamato il nome di Maria; gli sottopose al capo il guanciale ripieno di paglia fresca; tra le mani gli adattò un Cristo, quantunque non le riuscisse a piegare le dita irrigidite del morto tanto, che sembrasse le tenessero strette; e ai quattro lati della tavola accese quattro candele di cera. Ciò fatto s'inginocchiò da piedi sul terreno ignudo, e aperto il breviario prese a dire l'uffizio dei morti. La serva in questa si aggirava per Corte dando l'avviso alla parentela dei Campana: grande sbigottimento si faceva in coteste case, imperciocchè chi fosse il morto non sapevano. Orso a quell'ora si trovava a Bastia; i fratelli e i nepoti di rado si recavano a Corte; rimaneva Lella, ma lei non poteva essere, dacchè era ella che li mandava ad avvisare: temevano di qualche tranello, e per altra parte sembrava enormezza non rispondere alla chiamata in tanto estremo; scelsero pertanto una via di mezzo, mandarono le donne a scoprire marina; chiariti da loro del come si mettevano le cose, sarebbero andati ancora essi. Le donne una dopo l'altra arrivarono, e, chi è morto? domandavano esse, Lella in piedi accanto alla tavola rispondeva: — il mio fidanzato. Allora le donne avvicinandosi alla fanciulla una dopo l'altra ne prendevano il capo con ambedue le mani, e fronte accostata a fronte così restavano per circa un minuto; poi traendo dolorosi omei non senza percotersi il seno e il volto, e taluna anche stracciandosi i capelli, andavano a porsi ritto lungo la parete. — Questa cerimonia i Côrsi chiamano _Scirrata_. * * * * * La lettera ricevuta dal Paoli conteneva queste parole: — Eccellenza. Adesso adesso ci giunge l'avviso, che il corpo di Giovan Brando è stato rapito; stiamo dietro a rintracciare i trasgressori. E forse per questa causa il generale abbreviò le sue quistioni convivali troppo più presto, che non avrebbe desiderato. Rimasto solo diè forte del pugno sulla tavola ed esclamò: — Sarebbe stato meglio non fare quel bando; ma una volta fatto si deve obbedire: altrimenti ritorna la Babele genovese; e il punto va raccattato sotto pena di vedere andare a male tutta la calza. E calcatosi il cappello sul capo uscì: menò seco Minuto Grosso ed Ambrogio; il cane Nasone non invitato precorse. Anche il signor Giacomo, che confuso per le tante vicende accadutegli nel giro di ventiquattro ore, e dalle cose che aveva udito si sentiva il cervello proprio in istato di caldaia bollente, si era posto alla finestra per mettere un po' di sesto a quella matassa arruffata dei suoi pensieri, appena ebbe scorto, che il generale invece di dormire se ne andava attorno, scese e si pose a seguitarlo come Simon Pietro quando menavano Gesù Cristo al Pretorio. Non ci ha dubbio, la curiosità lo spingeva, nè cotesto suo contegno poteva reputarsi discreto, ed ei lo sentiva; ma appunto perchè lo sentiva, lo spirito di contraddizione che dentro noi regna e governa aveva in un subito accumulato tante ragioni per farlo discredere, che un avvocato con metà meno avrebbe vinto in una causa più spallata di quella. Il Paoli con la sua comitiva arrivato sotto la forca prese a speculare sottilmente il terreno e ci vide là orme di piedi scalzi, ma poche: invece moltissime di piedi calzati brevi così che appena si addirebbero a fanciullo; le quali accanto lo stile della forca si moltiplicavano in più versi e con diverse profondità. In questa sopraggiungevano una dopo le altre le guardie mandate alla scoperta, che interrogate in proposito rispondevano tutte nella medesima maniera: niente. Il Paoli allora levata la faccia scorse un pannolino rimasto appeso alla traversa, e sicuro di avere in mano il bandolo ordinò salissero e glie lo portassero: recata una scala eseguirono il comando. Cotesta era la salvietta dentro la quale Lella aveva avvolto il trinciante, adesso per inavvertenza rimasta lassù. Appena il Paoli l'ebbe in mano, la spiegò esaminandola su i quattro canti, certo di trovarci marcate le iniziali del nome del proprietario, ma gli fece fallo il presagio; la salvietta era senza marca. — Qui bisogna venirne a capo. Nasone! gridò guardandosi attorno, e non lo vide perchè gli stava accanto — Nasone! quà — e gli mise sotto il naso per parecchie volte la salvietta; — poi gli disse: — cerca. Il cane col muso in terra cominciò a fiutare ora declinando a manca ora a destra, pure proseguendo sempre dietro una traccia; e tanto fece, che si condusse dopo breve ora per lo appunto alla porta della casa di Orso Campana. Stando la porta chiusa, e disegnando il generale penetrare nella casa inaspettato, disse sotto voce qualche parola a Minuto Grosso, che rispose affermativamente accennando col capo; subito dopo guidati da lui si avviarono dietro la casa dove giaceva il giardino circondato da un muro a secco, che fu agevole cosa scavalcare; ed avendo, come speravano, rinvenuta socchiusa la porta, che dalla casa menava al giardino, all'improvviso comparvero in mezzo della stanza del morto. Se fosse stato il luogo aperto, le donne al comparire di costoro sarebbero fuggite via porgendo materia alla similitudine di colombe spaventate, ma chiuse così rannicchiaronsi in un canto e fecero grappolo a guisa di api, che cacciate dal bugno si rifugiano a fretta su di un ramo di albero. — Qual è che ha rapito dalle forche l'impiccato? domandò severo il Paoli. — Io, rispose a occhi bassi, e con voce velata Lella. — Perchè lo avete tolto? — Vivo me lo toglieste voi, ed io me lo ripigliai morto per dargli sepoltura. — Questo toccava al padre, forse, e non a voi. — Ed io andai a persuaderlo al padre, ma chiuso in Dio, egli non pensa più ad affetti terreni. — E voi chi siete per togliervi questo carico? — Io sono... vo' dire doveva essere la moglie di Giovanbrando. — Avete compagni? riprese il Paoli con un suono più mite. — No; gli avessi, non ve li direi, e a voi non istà bene domandarmelo. — Perchè no? Quando il popolo intero fa la legge corre a tutti il dovere obbedirla; e il pregiudizio che sia infamia a rivelare i malfattori ha da perire: chi era il vostro compagno dai piedi scalzi? — Sono io sua nudrice una volta, adesso compagna per servirla. — Fu un giudizio di quanti la udirono che la nutrice di Lella in tutto il tempo della sua vita trascorsa non si era arrisicata mai a discorso tanto lungo, e dicono ancora, che, in quella ch'ebbe a vivere poi, non ci si attentò più. — Voi per certo ignoravate il bando, che sotto severissima pena vietava si toccasse il cadavere del giustiziato — riprese a dire il Paoli volgendosi a Lella con manifesta intenzione di porgerle il filo alla scusa, ma la fanciulla pronta: — Anzi lo sapeva, — Dunque sapete che tocca morire anche a voi? — Sarete pietoso a riunire la sposa col suo sposo come foste spietato a separarli. — Non io, fanciulla, non io vi separai, ma la legge del popolo, e il suo delitto. — E questa corda — aggiunse Lella scingendosi il capestro dalla vita. — Forse credete che io senta gusto a condannare a morte i miei simili? Potete rimproverarmi di parzialità? Il primo che mettessero a morte per omicidio non era mio parente? — Oh! nessuno vi contrasta la fama di spietato. — Sta bene, spietato; ma la mia severità ridusse nè manco a dieci gli ammazzamenti che una volta sommavano in ogni anno a mille; ora fate conto se costa più lacrime la mia asprezza o l'altrui clemenza. La pena bandita contro il rapitore del giustiziato non pose la legge; che in questo caso potrei compiangervi non già salvarvi; bensì il governo, e posso rimetterla, e la rimetto. Povera _tinta_! io vi perdono: onorate il morto col costume patrio... capisco... rispetto a voi, egli periva in virtù del grande amore che vi portava; solo fate che venga sepolto prima di giorno nel camposanto della parrocchia. Così ordinando il Paoli era mosso dal pensiero, che la pietà del caso della fanciulla poteva per avventura scemare lo abborrimento al delitto, ed il terrore alla pena; sicchè erano da evitarsi le peregrinazioni, e le fiorate alla tomba del giustiziato, le quali quantunque non si potessero vietare affatto, pure nel cimiterio comune avrebbero mantenuto modo più comportabile. Al Boswell, mancato ogni pretesto per dimorare più oltre là dentro, toccò uscire dietro al Paoli; tuttavolta avendo avvertito, come egli assorto ne' suoi pensieri non lo badasse, si ristette nella strada in aspettativa di quanto fosse per accadere. — Nè andò guari, che i parenti e gli amici incominciarono ad accorrere alla casa di Lella Campana a due, a tre, e a quattro: imperciocchè gli uomini, simili ai ranocchi, finchè dura il pericolo per ordinario si tuffano sott'acqua rimpiattandosi chiotti nella belletta: quando poi uno di loro o più improvvido o più animoso degli altri torna a galla, e dà il segnale altrui che non ci è più da temere, allora tutti ficcano il capo fuori dello stagno, e chi più ebbe paura più gracida. Il signor Boswell, osservato come adesso i parenti lasciassero la porta aperta, credè non commettere indiscretezza rientrare in casa alla coda di loro; cacciatosi in un cantuccio egli vide gli uomini anch'essi farsi incontro alla fanciulla, ed uno per volta abbracciatala disporsi lungo la parete di faccia alle donne senza però o piangere o favellare. Poichè dopo qualche dimora non giunse altra persona, le donne una dietro l'altra si mossero pigliando a circuire la tavola, e intanto che giravano chiamavano pietosamente il morto, rammentando le virtù poche che possedeva, e le moltissime che non aveva mai posseduto: di grado in grado, nei moti e nella voce s'infervorarono così, che le donne parvero menare proprio una ridda frenetica. Intanto Lella nel mezzo accanto al morto lo guardava con occhi socchiusi tenendo verso di lui tesa la destra con le dita aperte: di repente si caccia via dal capo il mandile lasciando giù correre per le spalle i capelli quasi criniera di polledro; spalanca gli occhi e ne vibra dintorno le pupille fiammeggianti come spada in mezzo alla strage. — Silenzio! dissero gli uomini, cessate il _caracolo_; sta per cantare. — Attente al vocèro — risposero le donne, e tacquero. Lella con voce velata, e da prima tremula, tenendo sempre la mano tesa incominciò a cantare: — Giovan Brando a che vi state Là disteso su la _tola_? Della sposa, che vi chiama Non sentite la parola? Via, porgetemi la mano, Non lasciatemi qui sola. Di campane e di archibugi Come levano rumore! Quanto in chiesa di Sant'Anna Ci è concorso, ci è splendore! Su Giovà, che il _cavaliere_ Sta su l'uscio e porge il fiore.[28] Curciarella[29]! ava' tu gli hai Su la soglia la _travata_[30], L'orzo sparso per lo capo E la rocca _infrisciulata_[31] Prima vedova son fatta Che dal prete maritata! Niuno leva tra i parenti Per aitarti o mano o voce. Dietro l'urlo: dàlli! ammazza! Ti perseguita feroce; Se _babbìto_[32] ode il tuo nome Si fa il segno della croce. Non ritrovi in cielo e in terra Un rifugio alla tua testa; Non pai carne battezzata, Tanto ogni uomo ti calpesta; Ma da tutti maladetto La tua sposa anco ti resta. La tua sposa? Ahimè! dal petto Lo mio core hanno schiantato; Rotte l'ale il mio colombo Giace in terra insanguinato; Mi rubarono lo sposo, Mi hanno reso un impiccato. La fanciulla come spossata si abbandonò con le braccia e con la testa sul cadavere; dalla scossa convulsa delle spalle soltanto si faceva manifesta la tremenda agitazione dell'anima; certa vecchia, che aveva vanto di cantatrice, pigliò da cotesto istante di quiete il destro di profferire i suoi consigli in questa maniera: — Deh! consolati figliuola, Porta in pace il tuo dolore; Giovan Brando adesso è in cielo Fra le braccia del Signore. Fissa gli occhi in questo Cristo, Che t'insegna a perdonare; Non por legna sopra il fuoco, Abbastanza è torbo il mare: La giustizia non fa patti; Chi ha tombato ha da pagare. La fanciulla leva d'un tratto la testa: aveva la bocca contratta e il guardo truce più che non abbia tigre che si avventi, e fra singulti rispose alla malavvisata consigliatrice: — Se alle nozze di Chilina Vi mandava il boia in dono Quella corda, che strozzava Vostro genero Omobono, O Lucia, mi avreste udito Se io parlava di perdono? Chi lo uccise caschi morto Come bove con la mazza, Le sue membra messe in brani E gettate su la piazza. Oh! potessi con un soffio Spegner tutta la sua razza A infocar l'ira di Dio Non mi bastano gli accenti. Ma vorrìa vedere in fiamme Le sue case, e gli suoi armenti, Le sue vigne e gli oliveti In balìa dei quattro venti. Al soffitto ecco ti appendo, O capestro scellerato; Gli occhi miei ti hanno abbastanza Con le lacrime bagnato; Resta là, finchè io non ti abbia Dentro il sangue rituffato. Coi serpenti nei pruneti Vo' seguir vita e costume, Purchè in mezzo delle strade Del tuo sangue corra fiume. Io lo giuro sopra il corpo Del mio sole senza lume. Troppo grande è lo mio danno, Troppo forte il mio dolore; Una semplice vendetta Non contenta lo mio cuore; Se io sarò troppo crudele Mi perdoni lo Signore. Giovan Brando, ava' obbedisci Alla tomba che ti appella; Non badar, che la promessa Ti abbia dato una zitella; Che per far la tua vendetta Sta sicuro, basta anch'ella.[33] Quando tacque, il sudore della morte le imperlava la fronte; traballò per cadere, ma agguantatasi alla tavola le riuscì mantenersi in piedi; tacevano tutti col capo basso, le labbra strette, i sopraccigli aggrondati, finchè riavutasi la fanciulla esclamò: — su gente, portiamolo al camposanto, poichè così ha ordinato il vostro padrone e mio. E come ella disse, eglino fecero; e la povera salma fu portata alla sepoltura senza lume, senza croce, e senza canto, in silenzio, con sospetto come i contrabbandieri costumano i frodi; bene incontrarono il becchino, ma questi stava dietro a scavare un'altra fossa e non ci fu modo di farlo smettere prima che l'avesse terminata; allora ne cominciò un'altra accanto; a coloro che lo ricercavano cedesse la prima, rispose caparbio non potersi fare perchè era stata pagata, e non gli rompessero il capo, se non volevano che lo rompesse a loro; e in così dire alzava con tutte e due le mani la zappa. Intanto, consumandosi il tempo ora in questa, ora in quell'altra cosa, spuntò l'alba, e fu udito il canto del _Miserere_ accostarsi vie via sempre più al cimitero; — interrogato il becchino che novità fosse cotesta, rispose: che non ci capiva novità, essendo un altro morto, il quale veniva a pigliare possesso della sua ultima casa; in questo modo uno accanto all'altro terranno compagnia. Come si chiamasse il morto non domandarono; imperciocchè in quel punto la compagnia sboccò dal canto e videro Serena figliuola del colonnello Albertini. Le due fanciulle si scorsero, e non avendo lo stiletto addosso si ricambiarono una occhiata; veramente un colpo di coltello avrebbe fatto più danno, non però svelato odio maggiore. Il prete chiese a Serena se avesse desiderato seppellissero altrove il corpo di suo padre ma ella rispose: — No; così, stendendo la mano, piglierà pei capelli il suo assassino, e lo trascinerà al tribunale di Dio. Lella dal canto suo diceva al becchino: — lasciate la terra accanto a Giovanbrando vuota fino al muro, che appena basterà per coloro che hanno da pagare la sua morte. Il signor Giacomo condottosi fin là per osservare ogni cosa, picchiando alla disperata sopra la scatola esclamò: — Che gente! Che gente! A che cosa vanno a pensare invece di porre mente ai decreti della Provvidenza, la quale ordinò l'assassino scendesse nella sepoltura prima dello assassinato, e tremare della giustizia, che fece tenere la pena dietro al delitto come tuono al baleno. * * * * * Pel buio della notte i colli circostanti a Corte si rimandano l'èco delle conche marine, e paiono scolte che si eccitino mutuamente a vigilare su la Patria. Quando prima si fu messo un po' di raggio si videro calare giù da mille sentieri i popoli accorrenti alla consulta in sembianza di cascatelle di acqua piovana le quali arrivate in mezzo alla valle si uniscono senza confondersi: però che la confusione delle genti impedissero le vesti, e le bandiere diverse: rispetto a queste ogni drappello costumava adoperare i suoi colori, che stavano attaccati a mo' di fiamma su lo stendale in cui tutti portavano dipinta la immagine della Immacolata. Veramente muove a ira vedere come gli uomini non abbiano mai saputo smettere il vezzo di prendere Dio a complice delle mattie e delle ferocie loro; pure se è lecito invocare il cielo quando avventiamo le armi omicide, o lo possiamo nelle guerre per la salute della Patria, o mai. — Dapprima venivano i commissari delle armi, seguitati dalle compagnie addestrate dai medesimi; portavano il moschetto a bandoliera, e pistole, e pugnale; la _carchiera_ della polvere e delle palle davanti, dietro lo zaino; nessuno aveva loro ammannito le provvisioni, nessuno l'alloggio; nello zaino recavano pane e cacio, nella zucca vino, e tanto bastava per tempo non lieve: circa alle stanze, l'erba verde e la fronda di un'elce o di uno olivo era quanto sapessero desiderare; per loro i locandieri potevano impiccarsi dalla disperazione alla soglia dello albergo. Certo non presentavano l'aspetto delle milizie ordinate, pure assai composte procedevano nei moti, e quello che massimamente importa, sembravano decise a mettere in isbaraglio anime e corpi. Talune compagnie erano comandate da frati; altre da preti; fra i primi terribile di aspetto il padre Paolo Roccaserra, che con la spada in mano rammentava proprio san Paolo quale stampavano a Venezia nei frontespizii del Testamento nuovo; per amore di Patria e per prestanza, pari, se non superiori a lui, venivano dopo i frati Serafino, Venanzio, Sammarco, e Agostino; dei secondi erano mirabili Domenico Leca vicario di Guagno, anima di ferro in corpo di ferro, e il prete Mugghione grave e solenne, cui faceva contrasto il nostro conoscente prete Settembre. Inseparabili in vita, come poi lo furono in morte, il prete Piscione e il pievano Astolfi. Con quali argomenti questi preti e questi frati si schermissero dai sacri canoni non so, e non m'importa sapere; questo altro conosco, e mi piace che altri conosca, come oltre al Natali vescovo di Tivoli, il quale scrisse con San Tommaso potersi anzi doversi ammazzare il tiranno, e il padre Lionardo da Campoloro, che nel suo trattato dei primi rudimenti affermò martiri i morti per la Patria, il frate Filippo Bernardi addirittura sostenne degno di assoluzione colui che in qualsivoglia maniera un nemico spegnesse. Onde non è da maravigliarci se i Côrsi, commettendosi a loro, fossero certi di rimettersi in buone mani. Oltre cinquanta frati e preti furono deputati; cinquecento combatterono, terrore dei Francesi, che alcuni in guerra col ferro, i superstiti in pace con la corda barbaramente trucidarono; nè ciò bastando ad assicurarli degli altri, i quali pure erano rimasti all'ombra dei chiostri, mandarono in Corsica una frotta di frati francesi, affinchè gli educassero alla servitù, appunto come nella India si servono degli elefanti ammansiti per pigliare i selvatichi. [Illustrazione: .... fra i primi terribili di aspetto, il padre Paolo Roccaserra, che con la spada in mano..... (_pag. 291_)] Co' frati e co' preti gareggiavano le donne, nè tutte a modo di gregario, bensì taluna in vista di capitano; e queste furono Rossana Serpentini, la moglie di Bartolo da Barbaggio già famosa in guerra, la moglie di Giulio da Pastoreccia, ed altre parecchie, tra le quali degna d'immortale memoria la nepote del vicario di Guagno onde l'inclito amico nostro Salvatore Viale con patrio orgoglio cantava: — Coll'archibugio in mano, e in sen lo stile Donne vedeansi valorose e ardite Che abito assunto al par che alma virile San le maschie emular vergini scite[34]. E prima di lui Ottaviano Savelli con nobilissimo carme latino il quale recato nel volgare nostro suona così: — Quanto femmina possa, a prova impara. Forza ho nel corpo sano e nelle vene Il patrio sangue, e la virtù nel core, Nè sola o prima ch'io mi cinga al fianco La spada, e porti in su la spalla l'arme, E di sandali cinga il piè veloce: Emularono molte i gesti aviti, Adesso teco agli ultimi cimenti Io mi commetto, e le più ree fortune Patirò; spirerò l'anima teco, Tu duca mio, tu padre....[35] E' pare, non vo' negarlo, che alle donne si addicano studi più miti, ma le côrse use alle fatiche, nelle quali si travagliavano troppo più degli uomini, trattarono le armi non per andazzo di tempi, o per muliebre vanità, bensì, perchè ci si sentivano atte; di vero parecchie imprese vinsero sole; tutte poi sostennero stupendamente. Dietro gli armati veniva la varia moltitudine di vecchi, di fanciulli, e di donne, e in mezzo a questa il deputato, o vogliamo dire il procuratore del comune; i più pedestri, vestiti come gli altri, che lo stipendio di una lira al giorno non consentiva lusso maggiore; i troppo vecchi procedevano sopra piccoli muli, e taluno di loro davanti si recava un tenero ragazzetto, in groppa una donna mingherlina; tale altro stava seduto in modo da permettere che dal basto pendessero attaccate due ceste, dentro le quali uno per parte giacevano due pargoli; le madri seguitavano filando, e al primo gemito recatisi i bambini in collo porgevano loro la mammella: avrebbero voluto a un punto filare, camminare, e allattare, e ci si erano provate; ma conosciuto il pericolo, non senza rammarico erano rimaste da filare. Forse di queste cose taluno sorriderà, e tuttavolta, in fino d'ora, lo avverto, che se lo universale dei Côrsi avesse praticato costumi non diversi da questi, la Francia sarebbe venuta meno contro la virtù di quel pugno di gente. Intanto dal palazzo del generale uscirono Damiano, Minuto Grosso, Ambrogio, ed altri famigliari di lui, i quali andando attorno, e mescendosi ai varî capannelli, assai destramente pigliavano lingua dei nomi, stato di famiglia, casi; insomma più che potevano dei caporali di cotesta moltitudine; in simile faccenda sopra tutti sbracciavasi frate Damiano con quel fare procaccevolone, che nei frati diventa natura; egli porgeva ai fanciulli la mano, alle donne la croce della corona a baciare; agli uomini poi lo scatolone di tabacco, che senza empietà si sarebbe potuto mettere a petto con la misericordia di Dio, imperciocchè come quella pareva non dovesse avere mai fine. Quando ebbero fatto sufficiente raccolta, se la svignarono andando a riferire ogni cosa al generale, che, dopo averli ascoltati per bene, si dispose a scendere a sua posta in istrada, e mescolarsi fra il popolo. Ora vuolsi sapere come il Paoli possedesse memoria non affermerò superiore a quella di Giulio Guidi suo compatriotta da Calvi, che ebbe il soprannome _dalla grande memoria_, e mandò trasecolato il Mureto nella università di Padova, ma certo da stare a pari con Temistocle, Teodosio, od altri famosi dell'antica e della moderna storia; però bisognava, che per imparare le cose a mente qualcuno gliene dicesse; e tale incombenza appunto commetteva ai suoi famigliari; onde egli poteva salutare a nome infinite persone mostrandosi eziandio ragguagliato di molte particolarità concernenti alle medesime. Questa pratica gli conciliava benevolenza, e credito inestimabile, reputandosi ogni uomo col quale entrava in parole conosciuto da lui specialmente, e sempre più confermando la opinione, che per volontà di Dio a lui fossero rivelati i più riposti segreti. Se i tempi lo avessero consentito è da credersi, che egli avrebbe osato di più, che senza un po' di meraviglioso gli ordinamenti dei legislatori tra popoli rozzi non attecchiscono, ed ei lo sapeva; e nè anche andava del tutto immune da certe sue superstizioni alle quali pure partecipò Napoleone Buonaparte; sia che la Provvidenza lasciando insinuare negli alti spiriti simili debolezze voglia insegnarci come niente di perfetto esista su questa terra, sia, come credo piuttosto, che i primi germi della educazione ci rimettano nostro malgrado il tallo nell'animo; e i Côrsi allora erano superstiziosissimi, ed anche oggi, comecchè molto meno, sono. Pertanto il Paoli qua e là aggirandosi, con maraviglia pari al contento di cotesti fieri isolani, quale chiamava a nome, quale col suo nomignolo, e a quello chiedeva contezza del padre infermo, della moglie incinta, del garzoncello spoppato, a questo del pastino, degli olivi piantati, della vigna potata, ad altri altre cose, e poi ad un tratto li tastava di scancio intorno ai casi imminenti; imperciocchè sapesse, che il suffragio universale si rassomiglia assai a cavallo sfrenato cui fanno mestieri un po' di briglia e un po' di sprone, e se fosse vissuto ai giorni nostri egli lo avrebbe paragonato volentieri alle carrozze a vapore, le quali, finchè corrono incastrate nelle rotaie, vanno d'incanto su per erti argini e per cieche botti, dove prive di guide ruzzolerebbero, o darebbero di cozzo dentro le muraglie: ond'egli si era tolta quella fatica nel concetto di persuadere gli avversi, sostenere i vacillanti, i risoluti confermare; ma non n'ebbe bisogno; che da tutte parti sentì rispondersi su questo punto: fate il vostro dovere, e noi faremo il nostro. Egli allora, attentandosi più oltre, interrogati costoro che cosa intendessero per suo dovere, gli udiva replicare alla recisa: voi comandate la guerra, e noi per Dio santo la combatteremo. — Fino all'ultimo? — Fino all'ultimo. — Allora siamo a cavallo, disse fra sè il Paoli, e ritornò in palazzo per mutare vesti, che l'ora per la Consulta stringeva. Deposti gli abiti di panno côrso, vestì la sfoggiata assisa di velluto verde gallonato di oro, cinse la spada, dono di Federigo, e con in mano il cappello del pari gallonato e piumato s'incammina verso la chiesa di San Marcello dove era convocata la Consulta; teneva la mano su la maniglia della sua stanza quando gli si schiuse con impeto la porta davanti, cosicchè per poco stette, che non gliela sbatacchiassero in faccia: — O padre Bernardino siete voi? che novità portate? voi mi parete torbo. — E lo sono, disse il frate agguantando il Paoli per un braccio, e sbarrandogli negli occhi due occhiacci da spiritato. Le novità le fate voi, e non ho a contarvele io; chiaritemi un po' che significhi là in chiesa quel baldacchino di damasco rosso? sareste per avventura diventato il Santissimo Sacramento? se così è ditemelo, perchè mi possa inginocchiare dinanzi a voi, e venerarvi come meritate. Ancora, che importa quel seggiolone di velluto chermesino con la corona reale ricamata nella spalliera? — La è chiara; in trono siede il principe, o chi lo rappresenta; qui la nazione è principe, ed io ne sostengo le parti, però in luogo di quella mi assetto in trono. — La corona reale, voi avrete osservato, che sormonta l'arme del regno di Corsica; veramente questo titolo non va bene; bisogna mutarlo; ma per ora si mantiene a fine che la Europa non creda sia rovinato in Corsica il finimondo. — No, io ho osservato, che la spalliera del seggiolone fu fatta alta per modo, che la corona viene per lo appunto ad adattarsi sul capo di quale ci si ponga a sedere. — A questo non badai. — Ci ho badato io. — Orsù via di che temete voi? Che io mi faccia tiranno? — Pasquale, nelle anime rette la rea passione non entra mai per la porta maestra, ella piglia per dietro, e si caccia per la gattaiola; penetrata in casa, in un attimo diventa in guisa gigante, che non la puoi buttar fuori dalle porte nè dalle finestre. Pasquale, io ho veduto perfino le immagini della Immacolata diventare nere per troppo incenso. — Te lodano ogni giorno, e lo meriti; se ti lodassero meno farebbero meglio, e tu saresti savio se a coteste lodi sbardellate ponessi modo; e se, come credo, aborrisci veramente farti tiranno, non pigliare nè manco usanza con le apparenze della tirannide. — Ma io non mi sono accorto di avere offeso così la temperanza dei padri nostri di lasciare adito a sospetti: in casa mia alla Stretta si adoperano ancora posate di bossolo, e le impannate coprono le finestre. — Sì, ma qui le usi di argento; e questi, che vedo alle finestre, sono cristalli; nè il velluto, per quanto io sappia, fu mai lavorato in Corsica. — Come privato vivo secondo l'osservanza antica, ma come magistrato supremo mi parve degno della nostra nazione mostrare alquanto più di decoro. — E vi parve male. Pensate voi, che Pirro e i suoi legati stimassero più o meno il popolo romano e Fabrizio perchè lo trovarono a cuocere rape? — Oh! volgevano allora altri tempi; in cotesti giorni di virtù repubblicana la povertà tenevasi in pregio; adesso si reputa colpa; certo la non si legge scritta in verun codice, ma la trovi scolpita in luogo troppo più dannoso, nel cuore umano. — Pasquale! Pasquale! Picchiatevi il petto, e dite _mea culpa_; perchè concedeste i passaporti ai francesi? Perchè permetteste i mercati in prossimità dei presidii? L'oro francese serpeggia come veleno nelle vene dei Côrsi; e il lusso non entra mai solo nei paesi, bensì a braccetto della corruzione. Il Paoli divampò in volto; senza dubbio perchè senti mordersi il cuore: cotesto rimprovero che adesso gli moveva il frate ad alta voce, sovente, come in altra parte fu avvertito da noi, glielo sussurrava sommesso la coscienza; onde piuttosto acerbo rispose: — Voi, usi nei chiostri, delle faccende umane intendete niente. La Corsica difettava di danaro, e per sostenere guerra giusta contro i nemici faceva di bisogno procacciare artiglierie, di ogni maniera, armi, munizioni e simili altri monimenti: ora a tutte queste cose provvidi coi denari del nemico: e senza i mercati concessi, in quale guisa io glieli avrei potuto cavare di tasca? In verità se voi non me lo insegnate non saprei indovinarlo io. I partiti politici presentano sempre molte facce: ogni diritto ha sempre il suo rovescio, e la necessità costringe i cimenti; gli uomini poi non possono prevedere tutte le sequele, di qui, padre Bernardino, di qui, la fortuna buona è la rea. D'altronde ho fatto esperienza di questi fieri fratelli nostri, e non li trovo punto corrotti. — Oh! qui sui monti no, perchè sui monti si vive più da presso a Dio, ma per le città e le campagne circostanti temo che sia diverso. — Ad ogni modo piaccia alla Provvidenza, che i quattrini francesi rechino minore danno a noi che a loro il ferro che ne abbiamo comprato. — Padre Bernardino, uditemi: voi per fermo sapete come Marco Aurelio assunto allo impero consegnando la spada al prefetto del palazzo gli dicesse: — Tu con questa difendimi finchè osservo la legge; quando la trasgredissi ammazzami con questa; — e io dico a voi: — pigliate questo pugnale; ve lo do con le medesime intenzioni di Marco Aurelio, pigliate. — No, Pasquale: vogliate non essere nè manco Marco Aurelio; egli si professò filosofo, ma a fine di conto rimase imperatore; onde a ragione Epitteto evitava disputare con lui, reputando cosa da matto venire a litigio anche di parole con tale che teneva al suo comando sessanta legioni. Coteste erano chiacchere; se Marco Aurelio avesse temuto del prefetto questi avrebbe finito come la _giustizia_ di Arragona. Persuadetevi, giova più per tutti procurare che il male non accada, che rimediarci accaduto. — Ma adesso che questo benedetto trono sta su ritto, io non so a qual santo votarmi. — Non vi date travaglio per ciò, ecco, che io vi profferisco un partito bellissimo: assettatevi accanto al trono, e se taluno interroga, perchè usiate così, e voi rispondete: il trono fu eretto per la libertà della nazione, la quale, comecchè sia ente astratto pure noi tutti dobbiamo estimare presente alle nostre deliberazioni, affinchè ella ci infonda partiti degni di lei. — Mi piace; così farò, siete contento? — Sì, sono; ma vorrei un'altra grazia da voi; la ricuserete all'amico di vostro padre? — Parlate. — Vorrei, che mi diceste proprio col cuore se vi siete avuto a male di quanto vi discorsi? — Datemi la mano: ecco io ve la bacio come quella di mio padre quando mi castigava per mio bene. — Ed io, soggiunse il frate liberando la sua mano e ponendola sul capo al generale, vi benedico, come avrebbe fatto la grande anima del povero signor Giacinto, nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo. * * * * * Il presidente della Consulta, Paolo Luigi Vinciguerra, poichè tutti si furono assettati, in mezzo al silenzio universale, volto al Paoli gli disse: — Esponete. Il Paoli parlò in piano stile, e disse delle pratiche tenute, mediatrice la Francia, con la repubblica di Genova per la pace, essere state respinte le offerte del tributo annuo di lire 40 mila pel feudo di Bonifazio e per Capraja, le franchigie commerciali, e le cerne di soldati côrsi in tempo di guerra: allora, poichè ai repubblicani genovesi coceva tanto la perdita del titolo di re, avere proposto che sel tenessero, e la Corsica, purchè sgombra di loro, avrebbe retribuito un omaggio annuale a mo' che il Re di Sicilia costumava con Roma: in oltre (e questo era quel più, che da lui si fosse potuto consentire) tenesse Genova presidio in qualche città litoranea della Corsica: nè anche questo avere potuto attecchire. Fra tanto i gesuiti spinti fuori di Spagna essere stati accolti dai Genovesi in Calvi, Ajaccio, Algajola, dalla qual cosa inalberati i Francesi votarono codesti presidii; noi stavamo a un pelo di occuparli; si posero fra mezzo i Francesi, perchè fino al termine della lega gli lasciassimo stare; allora se Genova non si fosse composta con esso noi ci chiarivano liberi di tutelare i nostri diritti come la intendessimo. Desideroso tenermi bene edificata la Francia, obbedii. Di un tratto la Francia, o piuttosto il suo ministro duca di Choiseul, pari all'amico che frequentando la casa dello amico ne concupisce la moglie, promette lasciare libera la Corsica di governarsi a suo senno, a patto che gli concediamo noi San Fiorenzo e Bastia con tutta la contrada, che da queste due città si distende fino a Capo Côrso. E' parve pretensione strana, perchè in breve spazio due governi diversi e per necessità ostili non potevano durare; massime se potentissimo l'uno, e l'altro si sente ed è in effetto debole; la pignatta di ferro accanto a quella di coccio; per ultimo, popoli da evo immemorabile congiunti, di repente lacerati; dissi: amare meglio ci sottomettessero interi, che pigliarci a questo modo divisi. Onde non lasciare intentato spediente per vedere se umiltà vincesse superbia, offersi altresì che il re di Francia assumesse titolo e ufficio di protettore della libertà Côrsa, per difendere la quale presidiasse Bastia, San Fiorenzo e Capo Côrso. Risposero smettessero i Côrsi l'audacia di presumere che il Cristianissimo volesse accettare di simile sorte confederati. Subito dopo corse una voce molesta, che la Francia avesse comprato noi altri da Genova; da Genova, contro la tirannide della quale un giorno ci somministrò armi e sussidii; da Genova, contro la tirannide della quale ai tempi nostri stette per difenditrice; da Genova, che sa non potere vantare su di noi potestà se non convenzionata, e però tale che senza il consenso delle parti contraenti non possa mutarsi; e compra noi altri che da quaranta anni ci travagliamo nelle lotte sanguinose della libertà, come il macellaio costuma un branco di montoni. La Francia è potente, troppo potente per noi, onde potrebbe astenersi dagli inganni; ma no, le piace approfittarsi anche di questi, e mentre il duca di Choiseul mi manda a dire, che delle nuove milizie spedite in Corsica io non mi adombri, ecco che il conte di Marbeuf appena sbarcato m'intima a rimettergli in mano senza indugio San Fiorenzo, Bastia, Algaiola, Isola Rossa, Macinaggio, e Gornali. Risposi breve: averli i Côrsi acquistati col sangue; senza sangue non li avrebbero lasciati. Il marchese di Chauvelin, capitano della impresa, da Bastia ha pubblicato il suo bando; voi lo conoscete; promette farvi del bene assai, e confida di non avervi a trattare da ribelli; e voi dovete estimarvi avventurosi di essere cascati nella _servitù_ della Francia, perchè la libertà non temperata da buoni ordinamenti mena i popoli alla _servitù_. Frattanto si rompe slealmente la guerra prima che spiri la tregua, e, malgrado la resistenza dei nostri, parte del Nebbio, molti luoghi di Casinca e di Capo Côrso vengono espugnati da loro. Già la gazzetta di Francia ridonda delle iattanze consuete intorno al valore ed alla fortuna delle armi del Re. È inutile che io v'informi come la mia fama sia fatta segno di vituperii; dove io, essi affermano, dove io non insidiassi la libertà vostra, forse avrei avuto virtù per governarvi con gloria; i cieli vi destinano a sovrano Luigi XV il quale possiede certo le virtù di reggervi con gloria serbando intatta la vostra libertà. A me poi se lamento la iniqua oppressione rispondono: colpa vostra; perchè quando volevamo mutilare la Corsica del Capo Côrso, di San Fiorenzo e di Bastia, voi urlaste meglio è che le tolghiate addirittura la vita; noi abbiamo visto, che voi avevate ragione e l'ammazziamo. In questa guisa si ragiona in Francia. Adesso che vi ho esposto lo stato delle cose nel quale ci versiamo, deliberate voi liberamente se vi piaccia accordare o piuttosto respingere la forza con la forza: se vi garbi la pace, io tornerò in esilio dispiacente di non aver fatto per la mia patria quanto poteva, e senza dubbio poi quanto voleva, pure sempre obbediente ai voleri del popolo, sia restando, sia partendo; se all'opposto sceglierete la guerra, considerate se l'abbia ad amministrare io od altri; se giudicherete altri, dirò come la madre di Brasida diceva del figliuolo: esulto, che la patria abbia cittadini migliori di me; se io, sarò una spada nelle vostre mani, la quale percoterà sempre, finchè o non vinca o si rompa. Così avendo parlato si disponeva a partire, quando Marco Aurelio Rossi oratore della Consulta saltò su a dire, non doversi a verun patto permettere, che in faccenda tanto grave il generale si allontanasse: rimanesse, e quasi anima dell'assemblea con i suoi consigli la ispirasse. — Che piacenterie sono queste, oratore? proruppe sdegnoso il padre Bernardino Casacconi, il quale giusto sedeva nella Consulta come procuratore del Comune di Casacconi. — Non vi vergognate? chi fece la legge primo la obbedisca: fuori il generale. — E ciò, soggiunse pacato il Paoli, tanto più importa che sia in quanto che restando non mancherebbero di bociare su pei canti avere io con rigiri strascinata la Consulta alle mie voglie. Il procuratore di Casacconi ha ragione; concedete, che io vi lasci liberi a discutere il partito desiderando, e sperando, che riesca quale la dignità della Patria aspetta da voi. Uscito di chiesa con piccola accompagnatura intendeva tornarsene a casa per aspettare costà il partito della Consulta, ma il capo gli bolliva così, che gli parve bene rimanersi alcun poco all'aria aperta. Intanto che andava pensieroso s'imbattè nel colonnello Valcroissant, il quale in compagnia di certo suo ufficiale di ordinanza, e di Altobello Alando datogli in quel giorno di guardia, percorreva le strade notando diligentissimamente i casi che si succedevano. Appena il colonnello ebbe scorto il generale gli si fe' incontro, e dopo alternati i saluti, gli domandò: — Or come avviene, signor generale, che non vi troviate a presiedere la consulta? — A me non tocca. — Sia pure così: ma almeno dovreste stare presente alle deliberazioni, massime quando scottano davvero. — La legge mi esclude giusto perchè il negozio è serio; mi pareva avervelo già avvertito... — Sicuro, ma io credeva, che voi... — Avessi dato ad intendervi una bugia; ecco a che siete ridotti voi altri Francesi; chiunque vuole ingannarvi d'ora in poi non avrà a fare altro, che dirvi la verità. — Vorrei domandarvi un favore, signor generale. — Parlate. — Desidero, che mi permettiate visitare il castello. — Venite meco; io non ci vedo alcun male, perchè quando la guerra si ridurrà attorno al castello, e' sarà come la vita, che si stringe al cuore, per cessare. Innanzi di porre piede dentro al castello venne fatto al colonnello di osservare una casa tutta piena di cicatrici fattevi dalle palle di carabina, e di spingarda; quelle di cannone erano state murate; pure se ne osservano tuttavia le toppe. Pertanto il colonnello, preso da vaghezza di sapere che fosse, interrogò: — Qui si fece battaglia a quello che pare? — E terribile, rispose il generale. Questa fu casa di Giampiero Gaffori: allorchè il commissario Giustiniano gli fece rapire il figliuolo, la moglie sua ch'è donna feroce gli andò incontro forsennata urlando: Giampiero, rendimi il figlio! — E Giampiero, condotte notte tempo bertesche e feritoie intorno casa sua, cominciò su l'alba a fulminare quanti Genovesi si affacciavano ai baluardi; il commissario ordina gli si sfasci la casa con le artiglierie; ma provò che questo era più agevole a dirsi che a farsi, imperciocchè quanti artiglieri comparivano a maneggiare il pezzo tanti colti di punto in bianco andavano a gambe all'aria. Allora il diavolo agguantava per i capelli il commissario, il quale ordinò pigliassero il figliuolo del Gaffori, lo legassero sul piano della cannoniera, intantochè riparati da lui potessero gli artiglieri ammannire con sicurezza il pezzo. Ai nostri atterriti da simile vista cascano le braccia, e si volsero al Gaffori senza far motto, ma in atto di domandargli: e ora che pesci si piglia? — Sicuro, uno strettone se lo sentì dare il Gaffori, ed anche dei buoni, ma scosse il capo disse: badate a tirare diritto: — magari! se possiamo scansarlo! — Se Dio non vuole noi generiamo i figliuoli appunto perchè muoiano per la Patria. — E questi fu quel Gaffori che poi i Côrsi assassinarono? domandò malignamente il Valcroissant. — Cioè due o tre Côrsi a istigazione del diavolo, e dei Genovesi. — E ci abitano sempre i Gaffori? — No, di presente l'abita un giovane, assai cosa mia, di Aiaccio, originario di Toscana, che si chiama Carlo Buonaparte con la moglie Letizia Ramorino. Esaminato ch'ebbe il Valcroissant il castello disse: certo deve essere stato costruito quando non si conoscevano le artiglierie. — Si adoperavano, ma a stento; le memorie avvertono lo fabbricasse Vincentello d'Istria sul principio del 1500. — Di fatti, oggi con quei monti a ridosso, che lo pigliano a cavaliere non potrebbe fare resistenza contro a nemico munito di artiglierie. — Ed io non avrei mancato di fortificare coteste alture se non sapessi, che non sarà decisa qui la causa della libertà côrsa. Oh! ecco qui; questa è la cannoniera dove fu attaccato il figliuolo del Gaffori. — Perchè non ci mettete un marmo, che rammenti il fatto? — Le memorie di marmo e di bronzo sono mute quando il cuore degli uomini dimentica. I Côrsi non hanno mestieri sveglie per ricordare le prodezze dei loro padri; e poi troppo marmo ci vorrìa per indicarle tutte. — Se non vi gira il capo, colonnello, mirate un po' che precipizio! Il colonnello agguantandosi al parapetto sporse la testa per vedere il pauroso dirupo su cui sta il castello, e lo ricinge da tutti i lati, tranne il settentrionale dove pure la strada appariva sì stretta, che due persone ci si potevano erpicare a gran pena. — Sta bene; lo trovo proprio quale lo descrive il Tuano: — _arx Curiæ saxo fere undique prærupto imposita;_ — e da che nasce quel ribollimento di acque laggiù in fondo, che anche di qua mette paura a vederlo? — Colà le acque della Restonica si azzuffano con quelle del Tavignano, ma fatta subito la pace procedono poi di amore, e d'accordo fino al mare. La Restonica, forse per menare un'arena fina possiede la virtù di forbire ogni maniera di metalli, massime il ferro; onde noi altri vi lasciamo immerse canne da schioppi e ferramenti per pulirli dalla ruggine. Il balzo come voi dite fa rabbrividire a mirarlo, e nondimeno non una, ma parecchie volte i Côrsi prigionieri dei Genovesi ci si misero giù a repentaglio, e si salvarono sempre. Intanto nella chiesa di S. Marcello si faceva un gran tramestio tra i procuratori intorno al partito da vincersi per la pace o per la guerra: e colà come altrove coloro che in fondo volevano che la guerra spuntasse, più degli altri sembravano avversarla, però i difensori della pace, mentiti, o veraci, di petto ai contrarii erano pochi, e le ragioni non facevano frutto. Ormai le voci discordanti ogni momento più si accordavano nel grido: Guerra! guerra! quando il padre Mariani detto il Rosso da Corbara levandosi con impeto esclamò: — Guerra! guerra! Se a farla fosse agevole come a dirla adesso chi più di me sentireste arrangolato a gridarla? Contro cui di grazia combatteremo questa guerra? Contro il re di Francia, tra i potentati di tutta cristianità potentissimo? Avete forse Mosè, che divida le acque del mar Rosso con la verga? O forse contate fra voi Giosuè che valga a fermare il sole? Qui ci vogliono miracoli; perchè co' partiti ordinarii dove possiamo riuscire, io davvero non comprendo. E noi che siamo? Un pizzicotto di gente seminato su di uno scoglio in mezzo al mare, senza quattrini, senza fortezze, senza munizioni, senza soldati esperti nei modi della moderna disciplina. Coraggio possediamo, anzi di questo ce ne ha di avanzo; ma questo basta per morire, non basta per vincere: e qui entrando in confronti prolungati, e minuti gli riusciva facile mostrare a prova, che la guerra era partito da gente disperata; per la qual cosa consigliava si piegasse il capo alla fortuna, non rendendo pessimo con la resistenza uno stato a bastanza lacrimevole; come conforto della libertà perduta pigliassero quei beni che la coscienza estorceva di mano al non giusto dominatore. Al frate Mariani rispose un altro frate e fu padre Lionardo Grimaldi da Campoloro; le parole di costui non andarono esenti da passione, anzi ce ne entrò di molta, ma così parvero allora persuadenti, che la storia in parte e la tradizione ce le conservarono: vale il pregio riportarle, non fosse altro per conoscere come or fa quasi cento anni sapessero i frati favellare in Corsica. — Quando gli Ateniesi ammazzarono Licida persuasore di accordi col barbaro, male provvidero alla fama e agl'interessi loro. Noi permettendo, anzi lodando le libere parole ci mostriamo assai più civili degli Ateniesi, e meglio esperti nei governi dello Stato. Di fatti uditi diligentemente i difensori della pace abbiamo sommato questo, che dobbiamo astenerci dalla guerra, perchè la perderemmo di certo. Veramente non possediamo Moisè, ma ne anco gli Ateniesi lo ebbero; ed entrambi questi popoli o non conobbero fortezze, o le abbandonarono, chè il mare, i monti, e i petti degli uomini sentirono essere fortezze di bontà supreme, e pure vinsero in mare e in terra eserciti, e armate piuttosto immani che grandi, fugarono re potentissimi, nè contarono i nemici tranne per seppellirli. Ma lasciamo in disparte gli esempi antichi, veniamo ai moderni, anzi ai nostri: se Federigo re di Prussia invece di combattere i nemici si fosse giù gittato a confrontare il numero di quelli col numero dei proprii soldati, all'ora che corre se gli restava il marchesato di Brandeburgo era bazza. E sì che gli Svizzeri quando superarono i Tedeschi si avvantaggiarono dei monti, gli Olandesi per annegare i Francesi apersero le cateratte dei dicchi, ma Federigo non potè approfittarsi di monti, e nè di dicchi; forse opponete che il re di Prussia eredò dal padre copia di danari, e di omaccioni alti sei piedi e più, ed io rispondo, che i quattrini non erano tanti e poi li spese, e che gli uomini non si misurano a canne, e noi sortimmo dalla natura corpi infaticati, anima sicura, e combattiamo per la libertà, mentre quei bestioni Prussiani si battevano pel padrone. Ma, santa fede! oh! che sarebbe la prima volta questa che i Côrsi combattano contro forze tre, quattro, e sei volte superiori alle loro? Veramente prodi soldati sono i Francesi, ma le vecchie fanterie spagnuole di Carlo V non ebbero vanto fra le prime del mondo? La Francia annovera parecchi illustri capitani, ma il principe Andrea Doria passava forse per un castrato della cappella del Papa? — Non siamo più buoni a quello che seppero fare i nostri vecchi? Forse Dio ci levò il senno, la forza? Oibò; queste cose se non le buttiamo via da noi altri nessuno può levarci. Le nostre madri hanno smessa l'arte di partorire Sampieri? — Ve lo dirò quello che manca a noi, e non ebbero i padri nostri. Manca la concordia, manca l'animo deliberato in un proposito: tre fratelli, tre castelli, e questo perchè? Perchè smesse le virtù avite ci piace poltrire negli ozii lascivi, e nelle mollizie del lusso. Troppo più del ferro temo l'oro francese. Qual'ebbe dalla Francia grado nella milizia, o carico nella magistratura trova il massimo dei beni nella dependenza francese, e già di amico diventò avverso, di lodatore, detrattore, in breve aspettatelo Caino, e Giuda. Per altra parte non vi crediate che la Francia si metta coll'osso del dorso in questa impresa; io so che la piglia a malincuore aggirata dal ministro, che dà ad intendere l'acquisto di Corsica compensarla con usura del Canadà, e di altri luoghi perduti, e ciò per allontanare la disgrazia che minaccia cascarle tra capo e collo; lo stesso re non ci va di buone gambe, uggito delle miserie del popolo, e corrucciato, che altri vada a scombuiarlo nella vita che mena; io so che a dare la balta al ministro ci si è messa con le mani, e co' piedi l'amante, dico male, l'amica, peggio che mai, la donna, ma costei è sfregio delle donne di garbo, insomma quella cosa che il re tiene ai suoi piaceri, e si chiama la Dubarry, di balla col duca di Aguillon il quale da un anno a questa parte dice allo Choiseul: — levati di costà che ci voglio entrare io — e questi fa orecchi di mercante. Per ultimo io vi accerto, che lo Choiseul non chiude mai occhio pel sospetto, che la Inghilterra ci abbia a pigliar parte. Santa fede! si avrebbe a vedere anco questa, che la prima volta che si trovano d'accordo fosse in pregiudizio della povera Corsica; e poi ci va della sicurezza della Inghilterra a impedire che la Francia si allarghi nel mediterraneo, nè si deve credere che voglia attendere, che la pietra sia cascata nel pozzo per darci soccorso. Cotesti Inglesi, più sottili degli aghi che fabbricano, non hanno mestieri imparare da noi, che mentre il cane si gratta la lepre scappa. Mettiamo tutto alla peggio, e meniamo buona la sentenza del padre Corbara; perchè dubiteremo noi del miracolo se sfidati di ogni aiuto terreno porremo ogni nostra speranza nel cielo? Forse non l'operò allorquando Filippo II mosse con la grande armata contro la Inghilterra? Ecco il re spagnuolo già pensa al discorso col quale accoglierà il sindaco di Londra, che gli porta le chiavi della città e in questo mentre _Deus afflavit et dissipati sunt_; Iddio soffia e vanno tutti al diavolo. E non si obietti che gl'Inglesi essendo eretici questo soccorso non viene da Dio, perchè chi dicesse così mostrerebbe avere poco giudizio: in effetto tra eretici, che difendono la propria libertà, e cattolici, che vanno ad abbacchiarla, la giustizia di Dio non può tentennare. Tuttavolta, amici e fratelli miei, non giace qui il nodo; la questione deve proporsi in quest'altra maniera: supposto, che la Corsica non possa durare contro la potenza di Francia, dobbiamo piegare il collo spontanei alla oppressione, ovvero più che ci è dato resisterle? Patirla, o accettarla? Chi si abbandona Dio abbandona; e l'uomo libero che acconsente alla servitù, non può in seguito tentare di affrancarsene senza taccia di ribellione; sopra tutti dura, e tenace, e meritata la tirannide quando può mettersi la larva della giustizia. Cotesta lanciata nel costato del Diritto è sorella dell'altra che Longino avventò contro Gesù Cristo. — Al contrario la tirannide, la quale ebbe bisogno di far sangue per reggersi, ad ogni piè mosso sdrucciola, e non riesce a camminare; il Diritto ha accompagnato i difensori della Patria nella tomba, e non poteva fare a meno, anzi ci si è rinchiuso con loro; ma non ci sta mica morto per questo, e di tratto in tratto alza il coperchio con la testa e fa capolino per vedere se gli capita dare negli stinchi alla tirannide con un osso di morto, e traboccarla giù in terra. Cento anni di prepotenza, di tirannide e di oppressione non valgono un minuto di Diritto: non lo spengiamo dunque con le nostre mani: procuriamo che sventoli finchè possiamo glorioso sul candelabro; poi quando il temporale soverchia nascondiamolo sotto il moggio, affinchè a tempo debito il popolo trovi dove accendere la fiaccola che propagata di lume in lume _lumen de lumine_ torni a rischiarare la terra. _Ah! si muoia una volta, ma in libertà su la patria terra, ed apprendano gli oppressori della nostra Patria che i Côrsi sanno esserci qualche cosa preferibile alla vita; onde tremino anco vincendo._[36] [Illustrazione: Così votiamo ai piedi di questa croce, a Gesù Cristo che ci ascolta, che veruna di noi si congiungerà in matrimonio se non dopo finita la guerra. (_pag. 312_)] La consulta mareggiava muggiando come onda flagellata dal vento, ma vedendo che padre Bernardino Casacconi tutto aggrondato recavasi in mezzo della chiesa, nel presagio di udire cose singolari si tacque. Il cappuccino levata la mano impetrò l'attenzione degli uditori, e di leggieri l'ottenne, allora con voce sonora e lentamente disse: — Mi vennero riportate di taluni di voi altri infamie sacrileghe; mi affermarono come vi ha taluno fra voi, che scoperchiata la sepultura di sua madre grida a chi passa: entrate signori, a vedere le ossa di una meretrice: mi accertano, che taluno fra voi così si vanta: io giuro per la Immacolata, che stilla di sangue di mio padre non mi corre nelle vene. Voi fremete tutti d'ira e di rabbia; sta bene, ed io pure, se non mi tratteneva la reverenza dell'abito che porto avrei di un coltello spaccato il cuore all'empio calunniatore. Però in siffatte sventure l'ira non rimedia nulla, nè le pugnalate si ricevono per prova: voi però tanto Dio ama, che vi ha conservato uno spediente di ridurre in cenere con una parola... una parola sola cotanto vituperio. — Qui trasse fuora dalla manica un rotolo di carta il quale, dopo avere spiegato, con molta solennità, lesse: — «il nostro attaccamento, e il nostro rispetto pel Re di Francia sono sempre più umili e inalterabili, e a lui affidando le nostre speranze non avremo più luogo a dubitare in appresso della sua compassione; ma se per disgrazia tanta fiducia ci venisse a mancare, non ci rimane altro che abbandonarci nelle braccia del Dio degli eserciti, e noi ci armeremo di una disperata risoluzione di morire piuttosto gloriosamente in guerra, che ignominiosamente servire, ed essere spettatori dei mali innumerabili che si tramanderebbero alla nostra posterità: laonde termineremo col sentimento dei Maccabei: _melius est mori in bello quam videre mala gentis nostræ._» Così i padri vostri decretarono nel 1733; ora chiunque accetta questa eredità si manifesta figliuolo pietoso e degno cittadino; chi la ricusa dichiara, che intende essere tenuto e chiamato bastardo. E' fu come mettere fuoco alla mina; dallo scoppio degli urli, fu visto tentennare il Cristo dall'altare maggiore, come se volesse scendere giù dalla croce e mettersi a parte della difesa della libertà; gli stendardi appesi al cornicione presero ad agitarsi violentemente quasi drappellati da mani invisibili; le immagini dei santi, le lapidi delle sepolture si circondarono di un nuvolo di polvere, i campanelli della chiesa scossi dall'aria rotta suonarono; l'acqua santa si spinse impetuosa di contro gli orli delle pilette, e li superò; le fiammelle delle lampade accese davanti il sacramento ventilate sfavillarono; insomma cose animate e inanimate al sacro grido di libertà palpitarono. La più parte dei procuratori proruppe fuor dalla chiesa, esultanti come gli apostoli uscirono dal paracleto, e come gli apostoli si diffusero fra la moltitudine a bandire l'evangelio; imperciocchè ai montanari côrsi l'annunzio della guerra sonasse proprio _lieta novella_; taluno però staccate le bandiere dal cornicione della chiesa si fece in fretta a drappellarle su in cima al tetto; altri si attaccò alle funi delle campane tirando giù alla disperata, anzi vi fu tale che tratto fuori dalla passione, dimenticando mollarle andò a dare di picchio col capo al palco quando la campana volse la bocca impetuosamente all'insù; ventimila labbra presero a cavare suoni dai _colombi_ da cacciare i morti dalle sepolture a dieci miglia dintorno, e ventimila dita al punto stesso toccato il grilletto spararono ventimila tra schioppi e pistole a marcio dispetto del padre Casacconi che arrangolava: risparmiate la polvere; ma non lo sentivano, a giudicarne dai gesti furibondi lo pigliavano per lunatico. Non era da credersi, che il castello di Corte fra tanto fracasso eleggesse starsene zitto; in vero appena mirò sventolare le bandiere sul tetto di san Marcello prese a esprimere la sua contentezza a cannonate. Il bombardiere o fosse uomo di poca creanza, ovvero la soverchia gioia gli facesse dare la volta, sparò il cannone dietro le spalle del Paoli e del Valcroissant senza avvertirli, ond'essi spiccarono un salto come caprioli. — Che significa questa storia? domandò il Valcroissant tutto intronato. — Significa certamente, che la consulta ha deciso doversi difendere dagl'ingiusti assalti fino all'ultima goccia di sangue. — Non ci è rimedio, sono matti! — Silenzio, signore, allorchè gl'Inglesi vinto in più battaglie il vostro popolo, scorse le vostre terre, occupato Parigi, una povera villana mosse a sollevare gli spiriti abbattuti, promettendo la vittoria in nome di colui, che esalta gli umili ed abbatte i superbi, la chiamaste matta voi altri? Ciò, che su le sponde della Senna considerate divino, con qual pudore oltraggerete come follia su quelle del Tavignano? Non fate getto di tutte le virtù che onorano i popoli; poichè buttaste fuori di finestra la giustizia, non le mandate dietro il giudizio, e se ad ogni modo vi garba vituperare, pensate prima chi meriti maggiore biasimo fra questi due, o il potente che intende commettere la ingiustizia, o il debole, che mette allo sbaraglio averi, e vita per non patirla. Il Francese abbassò la coda come il cane il quale abbia assaggiato la mazza, ma per poco; e come la sua natura comportava, indi a breve comparve più baldanzoso di prima; onde nello scendere dal castello avendo veduto un capannello di gente intesa ad ascoltare un uomo che ritto sul muricciuolo delle case Gaffori favellava accompagnandosi con gesti accesissimi volle anch'egli accostarsi mescolandosi ai Côrsi. Invano ne lo dissuadeva il Paoli, e certo è da credersi che se fosse stata nei Côrsi minore o l'osservanza della ospitalità, o la reverenza pel generale, cotesto era mal giorno pel colonnello Valcroissant. Pertanto da veruno offeso e nè meno proverbiato potè mirare un giovane di sembianza gentilesca, di vestire eletto che orava alle turbe in questa sentenza: «I popoli cultori della libertà avere sofferto strane vicissitudini, le quali però valsero a renderli famosi nella storia. Per isgarare il punto tutte le virtù buone, ma la pertinacia suprema. Se a conseguire la libertà bastasse il desiderio, qual gente incontreremmo adesso serva nel mondo? Però se un tanto acquisto costasse così poca fatica non sarebbero giudicati pari alle divinità gli uomini, che la patria loro condussero, o restituirono a libertà. Sciaguratamente la esperienza dimostra come gli stati liberi movano in altrui non ammirazione sola, bensì ancora invidia, ed odio, onde se una parte di Europa affila il coltello per segarci le vene, e l'altra mostra volersi stare neghittosa a vedere la strage, voi non anderete lontani dal vero se pensate ch'elleno facciano tutte così per levarsi davanti gli occhi una nazione, che avendo il cuore più grande della fortuna sotto ruvidi panni rinfaccia al mondo la sua viltà. Prodi uomini! adesso siamo giunti alle strette davvero; ora vedremo di che qualità fossero i nostri padri, e di che noi; e se queglino sopportarono fatiche ed affanni e l'anima sdegnosa versarono solo perchè alla prova noi avessimo a comparire indegni perfino dell'acqua del battesimo, che ci fu data, perfino immeritevoli della sembianza umana che ci compartirono. Io lo confesso; mi riesce duro a pensare, che quel medesimo re il quale s'interpose una volta affinchè i Genovesi non ci opprimessero, e da cui speravamo protezione e sollievo, ora intenda abbattere la nostra libertà; tuttavia se il cielo ha decretato, che il monarca più potente della terra venga a combattere il popolo più piccolo, accettiamo con franco petto la prova, imperocchè ci si para la occasione di vivere o di morire ugualmente gloriosi. Prodi uomini! Si pretende, che gente assoldata stia sul punto di mettere a repentaglio la vita per interessi non suoi, e per vantaggio della tirannide, e a noi mancherà il cuore di esporre la nostra per interessi proprii, e per la libertà? Fate dunque di vincere con la vostra prontezza la comune aspettazione, affinchè il nemico si persuada, che altro è volere, ed altro potere ridurre in servitù un popolo libero.» Questi concetti dell'oratore ci ha conservato la storia e tanto parvero onesti allo stesso francese, che si sentì invogliato di sapere il nome del giovane oratore. Il Paoli interrogato da lui rispose: — Egli è il gentiluomo di Ajaccio assai mio familiare, che si chiama Carlo Buonaparte[37] ed è quel desso, che ora abita la casa Gaffori; i suoi maggiori avendo esulato di Toscana per causa della libertà, è naturale che da pari suo continui ad amarla. — Costui per certo non verrà mai a vivere in Francia. — Chi sa, che il destino non ce lo meni a morire. Accostandosi vie più al centro della terra occorse loro una frotta di donne stipate intorno alla croce della chiesa di san Marcello come pecore sotto la sponda dei castagni quando diluvia; solo ne appariva una ritta a canto la croce in atto di parlare. — Forse reciteranno il rosario, osservò il Valcroissant. — Penso, che non la indovinate, rispose il Paoli, affrettiamo il passo; avvegnachè le donne sieno di poco più mansuete degli uomini: spero che non correremo pericolo ad accostarci. In effetto si accostarono, e giunsero in tempo per ascoltare le ultime parole della zitella su ritta accanto alla croce, le quali furono: — E siccome non ci ha dolore al mondo, che vinca il dolore di madre nel contemplare i suoi figliuoli intisichire nella servitù, così votiamo a' piedi di questa croce, a Gesù Cristo, che ci ascolta, che veruna di noi si congiungerà in matrimonio se non dopo finita la guerra. Assentirono tutte non senza gemiti di dolore, o accenti d'ira giusta l'indole di ciascuna di loro; e il Valcroissant quinci torcendo il cammino, tentennato il capo, diceva: — ecco un voto ch'è più facile profferire, che osservare. Non lo udì il Paoli, che conosciuta la zitella si volse a salutarla: ella era Serena, figliuola dell'Albertini assassinato. Il generale, prima di entrare in casa, si fermò sopra la soglia, dove, dopo avere fatto non so quale cenno a Minuto Grosso, che salì lesto le scale prese a favellare in questa sentenza: — Signor colonnello, voi avete udito la deliberazione della Consulta, e qualora vi piaccia potete aggiungere se spontanea o provocata da me. Adesso la vostra presenza qui non gioverebbe più a noi, e nè a voi. Iddio assista la causa migliore, Altobello, pigliate una dozzina di guardie, e scortate l'oratore francese, e la sua compagnia a qualche miglio fuori di Corte; voi Ambrogio gli servirete di guida fino alla foce del Golo per la via di Accia procurando non deviare mai dalla strada battuta. — In questa scese Minuto Grosso con un foglio stampato, e una penna; il Paoli prese l'uno e l'altra, scrisse il suo nome, e poi consegnata la carta ad Ambrogio aggiunse: — questo è il passaporto: dove occorra mettetelo subito fuori, e minacciate da parte del Supremo Consiglio, a cui si attentasse toccare a questo ufficiale pure un capello, severissime pene... — Come? correrebbe forse pericolo un ambasciatore di S. M. Cristianissima? Così osservano la fede quaggiù? Di questa sorte è dunque la vantata lealtà côrsa?... — Col riprendere aspramente i vizî altrui voi siete usi di onestare i proprii, cavaliere Valcroissant. Voi foste i primi a violare la fede assaltando a tradimento Patrimonio, e Barbaggio... — Signor generale, questo è tale oltraggio che un soldato di Sua Maestà.... Ma il generale trattolo in disparte con voce turbata, quantunque sommessa, soggiunse: — Tacete, e ripigliatevi questi danari e questi arnesi co' quali voi, ospite, che invocate il diritto di ospitalità, tentaste corrompermi i miei servitori. Se voi altri conservaste in cuore uno scampolo di quelle virtù di cui tenete fondaco su le labbra, beati voi! felice il mondo! Partite, e più presto tra me e voi porrete il tratto che giace tra Corte e Bastia, tanto meglio farete. Addio. Il cavaliere Valcroissant, quantunque rotto ad ogni sfrontatezza cortigiana, sentì salirsi le vampe alla faccia; appena ebbe balia di salutare il generale, e mogio mogio tornò a casa. Colà ridotto, la mortificazione testè ricevuta non ebbe, a quanto sembra, valore di sconcertarlo in guisa da impedirgli di aprire l'involto per vedere se alcuno mancasse dei danari o degli arnesi donati. Bisogna confessarlo a malincuore: non ci erano tutti; onde il Valcroissant ebbe ragione di fregarsi le mani in atto di compiacenza; non l'ebbe ad esclamare: — siamo a cavallo! Ebbe ragione di rallegrarsi perchè non sentirsi soli dà fiato anche ai tristi; sarà se volete allegria di dannati, ma la cosa sta come la conto; ebbe torto, perchè un diavolo, ed anco due non fanno l'inferno, e prima di venire a capo della libertà della Corsica e' sarà forza mandar giù pane pentito, e di molto. Si affrettò pertanto il cavaliere a partire; Ambrogio gli camminava dinanzi ad esplorare la strada, poi veniva il cavaliere solo assai torbo in vista; dietro la sua compagnia, e con la scorta condotta da Altobello di Alando, formava parte della comitiva del colonnello Rinaldo Cassagnac, purissimo sangue guascone, che le sparava grosse come campanili, ma da questo difetto in fuori, mettici un po' di prepotente e un tantino di bue, era la miglior pasta di giovane che vivesse in Parigi; egli e Altobello a voce sommessa alternarono lungo la via discorsi pei quali si sentirono tratti a stimarsi scambievolmente: sicchè quando furono in procinto di lasciarsi, l'Alando gli disse: — Voi siete un giovane dabbene, signor Rinaldo, e al tutto degno di combattere per una causa migliore. — Potrebbe darsi; ma non importa; voi capite bene, signor Alando, che io non posso presentarmi in corte per dichiarare al Re, che sta in bilico di commettere una solenne castroneria; a noi bisogna obbedire. — Sarà... — Come? ne dubitereste? — Adesso non fa caso ragionarne; forse la non vi parrà sempre così. Intanto pregovi di accettare questo pugnale côrso in ricordo di me... — Un pugnale! un milione e mezzo di grazie; noi altri non usiamo di cotesta generazione d'armi. — Eh! via pigliate; adoperato alla scoperta il pugnale desidera più cuore della spada, e circa a maneggiarlo alla sordina, caro signor Rinaldo, o che credete, che non leggiamo libri noi? Di quale arme morì Enrico III? E con quale arme trafissero Enrico IV? Anzi il prediletto Re, che adesso vi regge, non corse pericolo di trovarsi stilettato dal Damiens? Su, su, pigliate, ve ne stuzzicherete i denti. Di un altra cosa io vo' pregarvi, se mai ci avessimo ad incontrare sul campo di battaglia promettiamoci di scansarci. — Voi mi chiedete un terribile sagrifizio; ma non importa, ad ogni modo ve lo prometto, perchè capisco che a trovarsi nella necessità di ammazzare uno dei migliori amici che abbiamo deve essere una cosa... una cosa da fendere il cuore. — Sta bene; io vi supplico per pura amicizia di non essere ucciso dalle vostre mani. — Toccate qua, disse Rinaldo, porgendo la destra ad Altobello, intanto che con la manca si lisciava le basette: — è negozio conchiuso. L'Alando licenziandosi con assai cerimonie dal colonnello lo lasciò alla condotta di Ambrogio, il quale prese a studiare con più diligenza il passo, andando su e giù e sovente internandosi nei macchioni da parte come costuma il cane inteso a levare le starne: in effetti egli ne aveva cagione perchè ad ora di sopra le siepi, o di mezzo le fronde dei cornioli si vedevano scaturire canne da schioppi e berretti appuntati da mettere il ribrezzo addosso anco ai più audaci: se non che Ambrogio accorreva pronto agitando dalla lontana sul capo il foglio sottoscritto dal generale, arragolando: — Salvacondotto! — Parlamentario! — Passo libero sotto pena di forca. E il Valcroissant, che capiva non doversi scherzare coll'orso, non risparmiava scappellate nè baciamani, salutando anche quando non vedeva nessuno: amici miei! miei figliuoli! Come Dio volle verso sera arrivarono alla Foce di Golo, e Ambrogio fermatosi in capo al ponte disse: — Signore, finchè venendo con me voi correvate pericolo vi ho accompagnato; adesso che inoltrandomi con voi il pericolo sarebbe mio permettete che vi lasci con la buona sera. — Gran mercè, signor Ambrogio, mille complimenti al signor generale e accettate questo per bere — e così parlando gli cacciò in mano un bellissimo luigi doppio nuovo di zecca. Ambrogio monete d'oro non ne aveva mai viste, sicchè guardava questa con infinita curiosità; il Valcroissant covava con gli occhi Ambrogio a mo' che fa il rospo all'usignolo; all'ultimo questi domandò; ed a che è buono questo coso signore? — A che è buono? Ti senti fame, egli ti darà da mangiare. Hai sete, ed egli ti porgerà da bere. Vuoi amore? Te ne comprerà a sporte. Desideri amici? Mettilo dicontro al sole e gli amici ti cascheranno addosso al pari delle allodole attirate dallo specchietto. Ti stucca un nemico? basta che tu consenta a perdere questo pollice di oro, tu gli farai consegnare un palmo di ferro nella pancia o nella gola a tua scelta. Secondo a te piaccia egli ti spalancherà a due imposte le porte del peccato o della grazia; i tuoi pensieri possono fargli crescere l'ali come ad un cherubino e trasportarti in paradiso, o granfie da diavolo che ti traboccheranno nello inferno: piglia la moneta di oro... ella può tutto. — Io credo che sbagliate, ed è chiaro; spesso mi trovo su i monti in mezzo ai boschi, e colà se mi chiappa la fame do una squassatina ad un castagno, ed egli mi piove di desinare; se la sete faccio con le mani scodella alla prima cascata del torrente ed ecco la bevanda; di questi miracoli non opera il vostro luigi di certo: lo amore quando era giovane me lo dava l'amore; allora e adesso l'amicizia mi genera amici: quanto a nemici me li aggiusto da me; le mie devozioni si trovano da sè la via del paradiso, Dio mi salvi da quella dello inferno. Forse nelle vostre città la moneta d'oro partorisce tutte le belle cose che voi dite: qui non ha corso; e poi perchè mi date questa d'oro? — Perchè mi avete scortato fin qui; ogni servizio merita premio. — Curiosa! Mostrare la strada lo chiamate servizio: per noi è dovere, come dare acqua, fuoco ed anco un po' di pane quando ne abbiamo; rispetto a servizio, badate bene, io non ve lo avrei reso nè anco a patto di diventare re; e lo feci per obbedire ai comandi di Sua Eccellenza, e non parliamone più. Prima di rendervela però vorrei che mi diceste che sia questo segno qui sopra. — Cotesta è la sacra immagine di S. M. Cristianissima il re di Francia — rispose il Valcroissant, levandosi il cappello. — Il re di Francia è vostro padrone, n'è vero? — Padrone, e signore. — Ma sarebbe egli forse parente della Immacolata, che voi vi levate il cappello? — Certamente, e perciò gli fu concessa la facoltà di operare miracoli, come sarebbe guarire scrofole solo a toccarle col dito grosso del piede. — Oh! guarda via, ma allora perchè non ci segnarono il piede, mentre su la moneta io non vedo altro che il capo? — Ci effigiarono la testa come quella che è la più nobile parte del corpo. — Ma sapete, signore, che io vi trovo mal fatto mostrare così ad ogni momento il capo del vostro padrone, cugino della Immacolata, separato dal busto; anche noi abbiamo per arme la testa di Moro; però qui ci sta a capello, perchè un giorno una gentaccia avara venne di fuori per impadronirsi della isola, e i nostri padri che non volevano padroni, a quanti di questa gente, che era saracina, cascavano loro nelle mani a tanti tagliavano la testa; poi la pigliarono per impresa a fine che i loro discendenti senza tanti discorsi imparassero l'arte, caso mai si rinnovasse il fastidio. — Stupenda in verità! Dai vostri discorsi potrebbe inferirsi, che la testa del re mostrata ai Francesi potesse far venire in essi il ticchio di tagliargliela. Curiosa!... Curiosa!... merita proprio che la noti al taccuino. — Oè, urlò Ambrogio al colonnello, che spronato il cavallo si allontanava, oè, e di questa moneta che ho da farne? — Quello che vuoi; un cavaliere non ripiglia mai quello che ha dato. — E nè manco un Côrso serba quello che non ha accettato — e la scaraventava dentro le acque del Golo aggiungendo: — Così potessi buttarci tutte quelle che ci portaste, insieme con coloro che ce le portarono. Poichè ebbe percorso di galoppo un buon tratto di via, il colonnello Valcroissant mettendo a passo il cavallo disse a Rinaldo: — Capitano Cassagnac, ho paura che S. M. comprando questa isola abbia fatto un negozio da figliuolo di famiglia. — Era quello che pensava ancor io; ricusano l'oro. — Non tutti però. — E regalano il ferro; guardate, mi hanno donato questo stiletto; non so perchè mi dà cattivo augurio. — Chi ha da mangiarla la lavi; quanto a me basta poter dire sempre come ogni altro buon francese: viva il re. — Viva il re, rispose il capitano, ed ambedue rilanciarono i cavalli al galoppo. La natura dei Francesi è inchinevole alla iattanza, e per questa volta, considerata la facilità con la quale avevano fatto impressione nell'isola, non sembrava fuori di luogo nella più parte di loro; se nonchè quelli che eran pratici del paese tentennando il capo dicevano: prima di vendere la pelle dell'orso aspettate ad averlo preso. Intanto al Paoli ogni dì più si rendeva necessario percuotere un gran colpo, sia per dare animo ai suoi, sia per rintuzzare la baldanza nemica; a questo fine tu vedevi un insolito affaccendarsi intorno al palazzo: chi andava, chi veniva a piedi e a cavallo; preti, frati, montanari, pianigiani, gente insomma di ogni generazione; e chi portava rapporti dai posti avanzati e chi esplorazioni proprie. Fu detto, e bene, che presso i medici la menzogna si converte sovente in virtù, e tuttavolta l'amore di Patria possiede maggiore prestanza; imperciocchè in grazia sua la spia in ogni tempo e in ogni luogo obbrobrio della natura umana, diventa sacra come quella che senza gloria corre supremi pericoli; talora senza premio di sorte, e sempre senza premio condegno dei rischi ai quali si espone. Taluni partivano con ordini, altri con inviti o preghiere o istruzioni; brevemente, contemplando cotesto brulichio, e l'altro che sotto la sferza del sole facevano allora le formiche, tu non avresti saputo se quello a questo, o questo a quello potevasi con maggiore convenienza paragonare. Altobello in compagnia degli altri ufficiali da mattina a sera attendevano ad ammaestrare giovani e vecchi nelle mosse militari: da principio incontrarono difficoltà e quasi disperarono; ma quando, cessati gli esercizii a solo, i militi si agglomerarono, si spiegarono in ordinanza e condussero sul terreno tutti gli altri movimenti che sono massima parte dell'arte soldatesca, non è da dirsi il gusto che ci pigliavano; anzi non trovavano verso di farli riposare nè manco nelle ore più calde: ritiratisi gli ufficiali, i soldati continuavano da per sè soli mettendosi a capo quelli che si palesavano meglio prestanti. Clemente Paoli, come gli altri, contemplava da prima quei giri e rigiri, e rideva a fior di labbro quasi sprezzando: anch'egli insegna, ma a spaccare una noce messa su di un ramo di larice a sessanta e più passi di lontananza: e i più vecchi stavano con lui. Altobello, guardando i tiri maravigliosi di Clemente, notò come dall'acciarino, quando egli scattava il cane, oltre la vampa e il fuoco della polvere accesa prorompesse un lampo che abbarbagliava gli occhi, e non sapendo a che cosa attribuirlo era voglioso di domandarglielo; la occasione non si fece troppo aspettare, dacchè Clemente considerata la solerzia del giovane, e preso in buon concetto gli esercizii militari, quando ebbe a confessarne la efficacia incominciò a ricercare la compagnia di lui: a vero dire Altobello da parte sua non sentì per qualche giorno minore repugnanza per Clemente; gli mettevano ribrezzo quel viso truce riarso dal sole, gli occhi chiazzati di bile e di sangue, ora socchiusi e come coperti di velo ed ora sbarrati e fulminanti; ma poi gli piacquero quel maneggiare disinvolto che Clemente faceva dello schioppo come se fosse un giunco, e il tiro infallibile; la modestia, il valore celebrato da tutti ed anco il suo ragionare, però che egli usasse armare la mente di sillogismi taglienti come il suo stile; e battagliava feroce con le argomentazioni del pari che con le ferite. La gente côrsa, che non temeva nulla, pigliava soggezione di Clemente; onde appena lo mirava comparire soleva susurrare: — bada alla burrasca, il signor Clemente è alle viste! — Per ultimo l'affetto di Clemente traboccò per così dire sopra Altobello, allorchè un giorno quegli avendolo pregato di attendere tanto che ei potesse recitare le sue orazioni, Altobello gli rispose: — e non potrei pregare con voi? — Ed egli: con tutto il cuore, figliuol mio, con tutto il cuore. Da quel momento in poi il signor Clemente si compiaceva ripetere che il Signore in sollievo della sua vecchiaia gli aveva donato un figliuolo. Allora come è da credere Altobello trovò il destro d'interrogare Clemente da che cosa nascesse il lampo che balenava dal suo acciarino: sorrise a tanto il vecchio; e soddisfacendo volentieri al desiderio dell'Alando gli disse: — mirate un po'; che cosa vi parrebbe che fosse questa pietra focaia? — Non so; mi sembrerebbe a prima vista cristallo. — Giusto; avete indovinato; è cristallo di rocca, e la natura lo foggia pentagono, che meglio non potrebbe il lapidario; lo trovano sul margine del lago Ino, ed anche talvolta nelle montagne d'Istria: ridotto a pietra di archibugio lo sperimento unico in bontà, e quando in lui si rinfrange la vampa della polvere, come avete notato, balena: ne ho in serbo parecchi pezzi e ve ne donerò uno o due; consento gli adoperiate, perchè non vuolsi trascurare nulla di quanto vale a incutere nei nemici terrore e negli amici reverenza: solo tenete in voi, perchè chi dice quello che sa e niente serba, può andare con le altre bestie a pascere erba; — così almeno m'insegnarono i vecchi. Ora accadde certa sera, che Clemente e Altobello uscendo dal generale, il primo dicesse: — la sera è proprio quale deve essere comparsa a Dio dopo che ebbe attaccato al posto loro le stelle; e che altri ne pensi, a me piace più la notte serena con le stelle sole che con la luna: in effetto questa, vestita per così dire delle spoglie del sole, non mi commove coi suoi splendori accattati, mentre il numero infinito delle stelle mi attesta la magnificenza di Dio come il mare di luce che piove giù dal sole: moviamoci dunque per queste ombre; odoriamo l'odore dei _mucchi_, rinfreschiamoci alla brezza che tira dal monte, godiamo i doni di Dio. Assentiva Altobello, e così di ragionamento in ragionamento, di passo in passo si trovarono dinanzi al camposanto in custodia dei padri capuccini; lo circondava un muro a secco, ed anco un cancello lo chiudeva, però senza serrame, impedimento alle bestie, non ai visitatori che potevano aprirlo solo che lo avessero sospinto. Clemente si soffermò e disse: — Oh! mira un po' dove ci siamo condotti, forse non senza permissione di Dio; entriamo a pregare pei nostri se vogliamo che altri preghi per noi. La natura manda la rugiada ai fiori, ma il suffragio alle anime spetta mandare ai vivi; — e la preghiera giusto è la rugiada pei defunti. — Volentieri, signor Clemente; perchè la maggiore contentezza ch'io abbia provata nel mondo, mi venne dal pregare pei morti; ciò fa bene a due; alle anime, che, sentendosi ricordate con amore, sicuramente devono esultare; a noi che ne pigliamo speranza di non essere a nostra volta obbliati, e con questa speranza ci viene l'ardire delle belle cose. La preghiera io credo che sia l'unico tesoro, che mentre arricchisce chi lo riceve non depaupera chi lo dà. Ed entrarono nel camposanto, in fondo al quale stava una capella col portico di un arco solo e due finestrelle di qua e di là dalla porta donde uscivano raggi dalla lampada che ardeva dentro dinanzi al sagramento, e si prolungavano pel campo dei morti. Serena, la figlia desolata dell'ucciso Albertini, mossa anche ella dall'ora mesta e dalla dolce stagione, sentì desiderio di visitare la tomba del padre suo; però ne la dissuadevano il trovarsi sola ed anche il timore di qualche pericolo; non pertanto come quella che animosa era molto, dopo breve dubbio si cinse sotto le faldette la carchiera paterna con le pistole e lo stile, e si avviò al camposanto. Senza che alcuno l'avvertisse andò oltre; inosservata da tutti s'inginocchiò sopra la fossa del padre, intorno alla quale aveva fatto condurre una rosta per proteggere cesti di salvia e spigo e rose piantatevi; quivi si genuflesse e pianse col cuore. Mentre che si tratteneva in cotesta opera pia, ecco sente lì presso levarsi un sospiro profondo, uno di quei sospiri, che chi per prova dolore intende sa come traggono seco grande parte dell'anima. — Qual è chi geme? interrogò Serena. — Ohimè! le fu risposto, un infelice che piange sopra il suo figliuolo defunto. — Ed io piango il padre perduto. — Certo anche questa è grande sventura, ma la Provvidenza ordinò che il nostro pellegrinaggio in questa vita avesse un termine. — Pur troppo, ma non volle la Provvidenza, anzi vietò che questo pellegrinaggio fosse abbreviato dalla mano dell'uomo; ed io mi trovo innanzi tempo orfana e sola. [Illustrazione: .... già con le mani toccano i davanzali delle finestre, quando giù dai tetti rovinano camini, lavagne e le pietre con le quali le difendono dagl'impeti del vento. (_pag. 346._)] La voce che moveva certo da persona giacente dall'altra parte della rosta si rimase alquanto di tempo, poi riprese più fioca di prima: — ma pure è scritto che i figli sopravvivano ai padri, se voi sapeste, o piuttosto possiate non sapere mai, come sia acerbo pei genitori raccogliere le eredità dei figliuoli! Voi troverete consorte quale si merita la bontà vostra, mia figliuola, e in lui avrete sostegno della vita, e poi la prole che vi consolerà e ricondurrà la gioia nell'anima contristata; ma io non ho più alcuno al mondo; l'albero tagliato giace in terra co' suoi frutti e le sue fronde. — Ma voi chi siete? Forse?.... — Io sono il padre di Giovan Brando. Così è; questo misero nelle vigili notti, fra la solitudine della casa aveva sentito rimorso per la durezza dimostrata al suo figliolo; pensò come gli avesse armato la mano non l'odio, bensì l'amore, e ciò se non poteva fruttargli scusa alcuna al cospetto del mondo, almeno il padre doveva sentirne un po' di compassione: ancora la superbia del nome intemerato, l'affetto immenso di Patria vediamo formare in parecchi una seconda natura che ad ora ora soffoca la vera natura; ma questa quando te lo attendi meno manda dal profondo un grido che il cuore dell'uomo è costretto ad ascoltare; però il padre di Brando obbedendo a questo grido nel buio della notte, prosteso sopra il monticello senza croce e senza nome che copriva le reliquie del suo figliuolo, gemeva e pregava. Dopo avere aspettato un pezzo che Serena gli rispondesse, non udendo parola, il vecchio riprese: — dunque voi non avete nulla a dire al desolato Matteo? — Che dovrei dirvi? Voi avete data la vita a colui che la levò al padre mio. — E ne siete stata vendicata pur troppo! — Che fa a me la vendetta? Forse mi rende il padre? — Pure la desideravate coll'ardore del cane che perseguita il cervo. E non sapevate, che la vendetta dà meno di quello che promette, anzi non dà nulla o male? Io lo appresi da molto tempo: voi lo apprendete adesso: fatene senno, figliuola mia, e perdonate. — Io? Al padre di chi mi ha ammazzato il padre? — Perdona il padre di cui fu impiccato l'unico figliuolo: — considera; tuo padre fu onorato e compianto, il mio figliuolo portarono al sepolcro senza lume e senza croce: veruno lo rammenta senza ribrezzo; il padre stesso lo condannò. — Io non vi odio, Matteo; ma la memoria del vostro figliuolo mi sarà sempre argomento di maledizione. — Senti, figliuola, nè io, nè questa terra che già fu mio figliuolo abbisogniamo di perdono; non io, perchè mi senta immune di colpa; se i padri confidassero ai figliuoli l'anima come lettere chiuse ai condottieri di navi, le quali aperte nei luoghi indicati impongono loro quello che si abbiano a fare, certo che il mio figliuolo continuerebbe ad essere adesso la gioia della mia vecchiezza: e di vendetta non temo, che vendetta è conservarmi non tormi la vita, la quale in breve io renderò al mio Creatore in mezzo a maggiori spasimi che i miei nemici non saprebbero immaginare ed anco credo desiderarmi. Nepoti non ho; congiunti, remoti ed ignorati o conosciuti poco; tutta la mia stirpe porto meco nel sepolcro; la mia casa mi rovina addosso; fra pochi anni andrà dimenticato perfino il nome dei Brando — nel modo che alle prime brezze di autunno cessa di farsi sentire questo singulto della notte.... questo canto di cuculo.... o in questi pochi anni lo terrà vivo nella memoria degli uomini un delitto commesso, un supplizio patito, un padre morto di dolore. Del tuo perdono molto meno ha mestieri il mio figliuolo, se, come spero, il suo pentimento gli fruttò quello di Dio; e se così non è, ed io a pensarlo inorridisco, e se così non è, che cosa può aggiungere, o figliuola, il peso della tua ira al furore dello Eterno? Io lo faceva per te.... per te che vedrai suscitata la tua stirpe nella benedizione del Signore.... per te, felice se potrai dire con onesta baldanza nel tuo cuore; non ho demeritata la bontà di Dio; per te, se misera, che potrai levare il capo al cielo senza rampogna sì, ma ed anco senza paura, e dire col santo David: e tu Signore fino a quando? — Se al tuo consorte, se ai tuoi figliuoli accadesse mai di offendere, tu moglie e madre avrai diritto di chiedere perdono, perchè tu figliuola avrai perdonato. — Cessate, signor Matteo, io non posso perdonare; il dovere mi obbliga ad avere in odio la memoria dei Brando eternamente. — La giustizia umana ha percosso in questo mondo; la giustizia divina percoterà, se crede, nell'altro; e tra queste due giustizie come fa ad entrare il tuo odio sconsigliato? Sono convenienti a dirsi queste parole sopra le fosse dei morti? Stanno bene a cristiana?... a zitella? — O signor Clemente, per poco non sono cascata; tanto la vostra improvvisa comparsa mi ha rimescolato il sangue. Dunque voi che foste amico del mio povero padre, mi confortate a buttar giù l'odio? — E nello accento di Serena traluceva l'esitanza di persona che tuttavia difendendosi desideri rimanere vinta. — Ma sicuro.... non ci ha dubbio: o con cui vorreste prendervela? Forse con le ossa del defunto? Coteste sono voglie di cani affamati, non già di cristiani battezzati. Forse con questo vecchio? Per Dio santo, o non vedete che l'odio stesso se lo incontrasse per via rintascherebbe il coltello, e passandogli da canto gli direbbe: Dio ti dia pace. Il Côrso mette vanto nel vendicarsi; egli si dà ad intendere, che ci vada del suo onore, persuaso che la storia intingerà la penna nel sangue che egli ha versato e ne tramanderà il nome alle tarde generazioni. Fosse almeno così! una scusaccia l'avrebbe, ma no, i nomi di questi uomini sanguinarii si buttano nella spazzatura, e vivono soli così nella memoria come nella reverenza delle genti coloro che perdonarono, massime donne; in effetto non dà argomento a storie e canzoni Marianna Pozzo di Borgo cui essendo stato ucciso il figliuolo vestì abito virile e trasse con la sua gente ad assediare la casa dell'omicida, la quale avendo espugnata, e lui preso, mentre legato ad un albero aspetta la morte, ispirata da Dio, salva? Non vive eterna nei ricordi Dariola di Appietto, che avendo sorpreso con molti dei suoi ad una fonte l'uccisore del proprio marito, poichè il sopraffatto non volle arrendersi ad altri fuori che a lei, ella abborrì comparirgli minore della fiducia che aveva posta in lei; onde gli disse: va, ti dono alla tua moglie, per vendicare una vedova non voglio farne due? Però se vi garba la fama, se desiderate la benevolenza altrui e la grazia di Dio, perdonate. Serena ascoltava Clemente, ma piegata la faccia nel palmo della manca mano guardava Altobello, a cui, posto ch'ebbe termine alle sue parole il Paoli, ella domandò: — e voi, signore Alando, perdonereste? — Io! Per me penso che rimettere la ingiuria al potente sia tanto vile quanto non perdonarla al battuto da Dio e dagli uomini; — e tacque, ma pur tacendo col moto dei labbri e col guardo soave pareva ripetere: perdona. Serena non fece motto; si accosta al vecchio e postegli ambedue le mani sopra le spalle, declina il capo e glielo appoggia sul petto, mormorando: — la pace sia con voi e il perdono col vostro figliuolo. Il vecchio a sua volta strinse il capo alla donzella, la baciò in fronte e disse: — Dio ve ne rimeriti, figliuola. In questa si udì stridere sinistro come l'urlo della civetta lo _scuccolo_, il quale era un suono gutturale costumato dai Côrsi per vantare la vendetta fatta o per annunziarla da farsi. Il vecchio e Serena si strinsero spaventati come colombi che sentano rombare sul capo le ale del falco, e Clemente in un attimo inarcato l'archibugio con voce alta esclamò: — quale è che vuole vendetta metta fuori la faccia. Però nessuno rispose, onde Serena avvertì: — Consoliamoci di questo, che il triste urlo non si rivolge a noi — e involontariamente conchiuse le parole con un sospiro. Il vecchio Matteo scioltosi dalle braccia di Serena, disse: — Clemente, accompagnate a casa un vecchio amico; io non mi reggerei solo, e poi ho parecchie faccende da consultare con voi. E si avviarono seguitandoli a breve distanza Altobello e Serena. — Clemente, incominciò il vecchio; poichè a questo mondo oramai non mi attacca più altro vincolo che il dolore, ho fatto proponimento di consacrare il restante de' miei giorni a Dio. — Avete pensato santamente. — Clemente, voi sapete, che alla usanza del paese io posso stimarmi ricco. — Lo so. — Ora vorrei che voi che siete tanto religioso, mi consigliaste un po' sul modo di disporre delle mie sostanze. — Per me, in verità, credo, che il miglior modo di essere accetto a Dio sta nello amare dopo lui con tutte le viscere la Patria; per la quale cosa promovendo coi vostri averi la sua libertà, penso che sarete a buon porto per ottenere la remissione dei vostri peccati e di quelli del vostro figliuolo. — E questa è proprio la vostra fede, Clemente? — Per Dio Santo da quando in qua altri può dubitare che Clemente Paoli una cosa ne dica e un'altra ne pensi? — Non vi arrabbiate, Clemente, mi aspettavo altro consiglio da voi. — In _primis_ chiedo perdono a voi dell'impazienza e a Dio di avere rammentato il suo santo nome invano; poi vi domando quale consiglio aspettavate da me. — Ma! immaginava m'aveste suggerito a lasciare il mio a qualche convento per la celebrazione di messe quotidiane in suffragio dell'anima del mio figliuolo e della mia. — Avete immaginato male, anzi malissimo; e vi confermo che adoperando il vostro patrimonio alla difesa della Patria voi provvederete meglio ai casi vostri, e a quelli del defunto, che con le messe; quantunque, intendiamoci bene, che voi non mi pigliaste per qualche eretico, anch'esse siano utilissime e santissime. Ma, badate bene, non ci ha cosa che guasti tanto gli ordini religiosi quanto di simile maniera lasciti che furono loro fatti o fanno: adesso noi proviamo preti e frati, se non perfetti buoni, della Patria e della libertà zelatori sviscerati, e ciò perchè essendo poveri si trovano costretti a stare col popolo, a vivere con quello che il povero loro largisce, ad essere carne della sua carne ed ossa delle sua ossa: affinchè si facciano amare bisogna che lo amino, con lui piangano, delle sue gioie si rallegrino, padri insomma si mantengano e fratelli, o se altro ci ha vincolo più forte e soave di questi lo cerchino e lo adoperino: allora saranno, come i nostri sono, veri medici dell'anima. Anche san Giovanni Grisostomo lo ha detto: finchè la chiesa usò calici di legno, i sacerdoti si conservarono d'oro; all'opposto se diventassero ricchi voi li fareste superbi, dacchè la superbia sia la ruggine del benefizio nè qui cadrebbe il peggio: da prima metterebbero ori, marmi fini e gemme nella casa di quel Dio che nacque nel presepio e morì in croce; e dopo averla fatta teatro, le cerimonie auguste convertirebbero in rappresentanze da scena; canterini ormai, e istrioni, non più sacerdoti. Il lusso in chiesa mena la morbidezza in convento, e i vizii in cella. Se questo avvenga, guai! Il mondo non conoscerà nemico a gran pezza più pericoloso del frate; difficile pigliarlo in fallo, perchè la ipocrisia da mattina a sera gli fabbrica una corazza delle virtù di quei santi che invoca sempre e non imita mai; con le parole rinfaccia altrui il peccato che intende esercitare solo, come se lo avesse in appalto con patente regia, e le opere palesi le adopera per coonestare le occulte a mo' del pastrano che il ladro si tira su la faccia per non essere riconosciuto, impossibile percoterlo, dacchè niente niente che tema si rifugia dietro la croce, e quivi canta salmi; onde tu non puoi vibrare il colpo per paura di mettere in pezzi la croce, e ai semplici sembra empio rompere le ossa al cane che abbaia in suono del _Tantum ergo_; celatamente corrompe; la codardia battezza per carità, saluta gli uomini fratelli, affinchè senza rimorso quelli siano tiranni, senza ribrezzo questi durino servi, ed ammannisce impunità e leva infamia al tradimento; diventato ignorante odia ogni lume di scienza, che spento un giorno egli riaccese; — e così viziato, ignorante, imbelle e schiavo diserterà il popolo per arrolarsi al soldo del re il quale metterà il frate in mazzo allo sbirro, alle manette, al giudice, al boia e agli altri arnesi di governo. Però voi, Matteo, non renderete questo cattivo servizio alla Patria; deponete il vostro disegno perchè davvero e' sarebbe come se alla Corsica voi voleste dare il male per medicina. — Matteo Brando si attenne al consiglio di Clemente Paoli, istituendo erede delle sue sostanze la patria, con l'obbligo però di fare in capo all'anno celebrare non so che messe in suffragio dell'anima del figliuolo e della sua. Indi a breve scomparve, nè s'intese più oltre favellare di lui; dicono si riducesse a menar vita romita in Olmetta di Capo Côrso: la verità è che in codesta pieve su di un poggio vediamo anco ai dì nostri una torre, mezzo rovinata, che i terrazzani chiamano la torre dell'Eremita. Alando e Serena tennero un pezzo dietro ai signori Clemente e Matteo, ma considerando come, impegnati nel discorso, a loro non ponessero mente, piegarono ad una svolta per guadagnare le proprie case. Tacevano, e nondimanco sentivano che un medesimo pensiero occupava lo spirito di ambedue; un poeta avrebbe detto che le colombe di Venere sentono a quel modo il giogo stesso che le allaccia al carro della Dea, e non l'odiano. Sempre in silenzio arrivarono a casa della Serena, e lì si dissero: buona notte, un cotal poco alla trista; e si volsero le spalle turbati, ma Serena troppo più di Altobello, e con maggiore ragione; infatti ella pensava: a lui spettava parlare; anche quando mi sentissi scoppiare il cuore, la verecondia insegna così, e sta bene lasciarci vincere, ma nessuno ci ha da pestare peggio che schiave. Altobello dal canto suo ragionava alla medesima guisa; pure ella avrebbe dovuto dargli un cenno, alla lontana se vuoi, pure tale che lo animasse, perchè, signore Dio! se avesse sbagliato ei ne sarebbe morto di vergogna e di dolore. All'incontro, Serena, presaga di codesti pensieri opponeva: oh! non ci sono quei pericoli, ed egli doveva saperlo, non glieli ho dati io questi segni per quanto è permesso a fanciulla dabbene, e vie più là che il mio stato angoscioso non consentiva? Quante volte in chiesa piegai il capo, ed una volta fingendo sedermi lo voltai del tutto per ricercarlo con gli occhi, e trovatolo, cogli occhi gli sorrisi; certo due o tre volte mi aspettò davanti la porta sperando che lo guardassi, ed io non lo guardai; ma il rossore che mi avvampò la faccia doveva pure chiarirlo ch'io lo sentii. — Quel giorno ch'egli le porse l'acqua benedetta deve essersi accorto che la sua mano tremava come foglia di castagno al vento di dicembre, e l'altro quando ella entrò in casa Filippi, e allo improvviso le apparve dinanzi Altobello, non proruppe in un grido, che s'ingegnò giustificare dando ad intendere che aveva battuto il piede sopra la soglia? Ancora non si rammentava egli, che andando ella per la via, egli la salutò levandosi il cappello, ed ella che in cotesto punto teneva l'anima tutta compresa in lui sopra pensiero rispose: — Buon giorno, Altobello — come che ripigliandosi tosto aggiunse: _sciò_ Alando? E tutto questo non basta? O da quando in qua le fanciulle hanno da palesare i dubbiosi desiri con lettere da appigionasi? Signore! per mantenersi così gabbiano valeva proprio il pregio che Altobello lasciata casa se ne fosse ito fin oltre a Venezia. Qui taluna leggitrice (me lo sento piovere dietro le spalle) obietterà: ma voi dimenticate, signor Francesco, che lasciaste il giovane in istrada, e la giovane sul pianerottolo, mentre per fare tutti questi discorsi anche col pensiero ci vorrebbe tanto tempo quanto ne occorre per iscorrere almeno quattro miglia di strada. — No, signora: il pensiero degli innamorati, vostra signoria ha da sapere, va più veloce di Maometto quando viaggiò pei sette cieli; egli non conosce tempo nè spazio; in meno che palpebra non percota palpebra, trasvola non le diecine, ma le migliaia di idee; alza venti torri più alte di quella di Babele, scava altrettanti pozzi più profondi di quello di san Patrizio; fa, disfà e rifà da capo, s'incupisce, si eclissa, sfavilla più abbagliante di prima, piange, ride; mesce in un bicchiere veleno, poi lo butta al diavolo, lo risciacqua, lo riempie di vino di Chianti e se lo beve cantando; o introduce il capo al capestro o accosta il rasoio alla gola; indi a poco attacca la corda a due rami di albero e ci fa l'angiroccolo; col rasoio si rade la barba per apparire più bello; insomma la è una strana, ma strana potenza quella dell'amore, signora mia: e quando l'avrà provato, sono sicuro che ella mi darà ragione: capisco, ella mi ha contradetto perchè si mantiene sempre ingenua; non me ne sono mica arrecato, solo la prego a ricordarsi del proverbio: chi non prova non crede; — provi e poi ci riparleremo. Pertanto affermo, che i pensieri da me ricordati con la compagnia di cento altri si affollarono allo spirito di Serena, prima che la sua mano (a vero dire lentamente) avesse fatto girare su gli arpioni la porta di casa un quarto di quadrante; onde Altobello, di subito voltatosi e chiamata Serena, fu a tempo a impedire che una imposta della porta s'incastrasse nell'altra come si stringono due labbra dopo che hanno detto: addio. Allora egli si allentò più oltre, e pose un piede su lo scalino, mentre lasciava l'altro sopra la strada; Serena rimase appoggiata con la spalla alla soglia dell'uscio. Così atteggiati non potevano durare gran pezza in silenzio, ed in vero non ci durarono, chè Altobello continuò: — Signora Serena, mi parrebbe... crederei che non istesse bene che vi rimaneste in casa a questo modo sola... voglio dire senza sufficiente difesa... — Oh! chi mi deve offendere? Non non ho nemici che io sappia. — Avete udito nel camposanto lo scuccolo? — E qual può dire che sia stato per me? — Se ho da confessarvela intera, soggiunse Altobello bassando la voce, io tengo in mano prove più manifeste che qualche occulta vendetta mi perseguita. — O Signore, anche voi? — e si strinse vieppiù ad Altobello, chè nulla vale a destare il mutuo affetto quanto la minaccia del comune pericolo. — Ieri l'altro passando di sotto casa Campana precipitò dall'alto un sasso il quale per poco non mi schiacciò la testa; e' fu proprio fortuna che mi battesse un palmo davanti ai piedi dove sbrizzandosi mi cacciò nel volto un nuvolo di schegge. Guardai subito in su; le finestre erano chiuse; presi lingua nel vicinato chi mai ci abitasse di presente e mi risposero essere vuoto, che l'unica figliuola del Campana lo aveva abbandonato e si credeva si fosse ridotta a vivere in villa, o avesse raggiunto il padre alla Bastia. — Signore Altobello, questo vi viene per me; una furia invisibile si è attaccata alla mia vita, nè sembra che voglia risparmiarmi, quantunque femmina. — Oh! di grazia, che cosa vi avvenne? — I miei castagni furono _accintolati_; parecchi olivi e molte viti recise; al mio cavallo dentro la stalla tagliarono gli orecchi: mirate qui; vedete questo buco sul sommo dell'uscio; stamane ci ho trovato confitto un coltello; ieri... — Ieri? — Oh! ieri se rimasi viva e' fu proprio miracolo; io me ne andava a dare un'occhiata alla vigna del pignone, quando arrivata al ponte di legno, a un tiro di schioppo dalla casa, il cavallo mi si ferma in quattro: io che avevo premura vado a frustarlo, ma egli duro come un masso; stizzita scendo, e avvoltemi le briglie intorno al braccio metto il piede sul ponte; e' parve che le tavole ci stessero attaccate con la pece, dacchè a quel tocco leggero rovinarono, ed io sarei andata giù a catafascio con esse se le briglie erano meno salde o il cavallo men forte non avesse puntato le gambe dinanzi tanto da tenermi su ritta. — Serena, qui non ci è caso, voi abbisognate di qualcheduno che vi difenda. — Non pensate che mi troverebbero sprovvista, Altobello, — e remossa un cotal poco la faldetta gli mostrò la carchera con le pistole e il pugnale. — Sì, ma in due ci difendiamo meglio, cara Serena. — Questo non si può negare. — E poi... e qui tacque alquanto per ripigliare lena come costuma torre campo chi intende spiccare un gran salto, — e poi che la stirpe degli Albertini si ha da spegnere? Respingerete un reverente amore che vi venisse offerto? Vi condannerete a vivere sterile nel mondo! Voi, che sapete, anche senza porci mente, ispirare amore, non vorrete sentirlo mai? E... e... Oh! che sgomento invase allora l'anima del giovane, però che Serena presa da forte pensiero forse non lo udiva, od anche udendolo lo lasciava dire senza porgergli filo: ond'ei si smarriva, e le sue parole gli cascavano dalla bocca rotte, e rade come le prime e le ultime gocciole della pioggia. Ad un tratto Serena gli pose la mano sopra la spalla e favellò pacata. — Altobello, voi mi vorreste per moglie? — Ah! — Ed io vi accetto per marito; e vi accetto perchè una voce qui dentro mi dice: Serena, fallo: tuttavolta io sono orfana e potrei errare: per la qual cosa mi bisogna sentire il signor Pasquale; egli ha detto che si mantiene scapolo per servire di padre a tutti i Côrsi. — Ed in effetto lo è; dunque pigliate il mio braccio e andiamo. — Dove? — Dal generale. — A questa ora? Così su due piedi? — Che monta l'ora? Forse il tempo governa il Paoli? Egli in un modo o in un altro è sempre occupato di noi; — per ultimo chi tempo ha, tempo non aspetti. — Ma le nozze non possono farsi se non dopo passato il lutto; ancora, io ho giurato, e meco fatto giurare le fanciulle di Corte astenersi dal matrimonio finchè dura la guerra. — Il papa dispensa dai voti. — Dispensi il papa, non io; o questo patto o niente. Caduta la Patria le nostre nozze faremo sotterra; io non intendo lasciarmi dietro figliuoli superstiti alla servitù; questo giurai alla Immacolata, e questo confermo. — E sia così; come fidanzati potremo mutuamente soccorrerci e difenderci. Il generale, comecchè la notte fosse avanzata, vegliava. Nasone cucciato fra le gambe di lui, annunziò lo appressarsi dei giovani con un lieve schiattire, senza moversi nè schiudere gli occhi. Accolti nella sua camera da letto essi parlarono sentenze così piene di generosità, di amore santo di Patria, che il generale per non piangere ebbe a levarsi e correre piuttosto che camminare su e giù per la stanza. Gli abbracciò, li benedisse a più riprese, e tanto erano tutti al dipartirsi profondamente commossi, che il generale in veste da camera con un candelliere in mano gli accompagnò fin giù in istrada senza accorgersene, e eglino pure se ne avvidero allorchè non ci era più tempo impedirlo. Solo Nasone, sempre presente a sè stesso, lo accompagnò inosservato sia all'andata che al ritorno, per cento prove oggimai era stato chiarito come nessuna commozione avesse potenza di distrarre il cane da addentare un osso e da custodire il padrone. Se mai visse popolo al mondo il quale meritasse che uomo mettesse a repentaglio anima e corpo per lui, veramente fu il côrso di un secolo fa. In effetto il maestro di campo Grandmaison, rompendo contra la religione dei patti la tregua, aveva occupati Patrimonio e Barbaggio, che sono in certo modo le porte del Capocorso; e con essi tutta questa provincia; dall'altra parte il marchese di Arcambal ridusse a devozione pressochè intera la Casinca; il marchese Chauvelin sostenuto dal conte Marbeuf partendo da S. Fiorenzo si era spinto fin sopra Murato, ed espugnatolo, pareva che volesse pigliare Corte come dentro una rete. Sopra i teatri fa maraviglia non piccola lo ingegno dei macchinisti i quali così presto sanno mutare le scene che l'occhio appena se ne avvede, e non pertanto anco più veloce operavasi il cambiamento delle fortune della guerra appena si mossero le compagnie côrse al comando del Paoli. Dappertutto i Francesi tentarono resistere, ed anche in parecchi luoghi con molta costanza, ma non valse, che si sentivano portati via a modo di foglie dal libeccio. Decio Cottoni, in compagnia del capitano Guiducci, si avventa nel Nebbio, e sgombrati davanti a sè i Francesi ripiglia Murato, impadronendosi di armi, di provvisioni e di non pochi prigionieri tra ufficiali e soldati. Di breve Giocante Grimaldi, Francesco Gafforio e il dottore Acquaviva sboccando con le loro genti, e fatta massa con quelle del Cottoni e del Guiducci, corrono contro il Grandmaison accesi nel desiderio di fargli scontare la tregua tradita. Il Grandmaison da una parte non si sentendo capace di resistere a tanta furia, e dall'altra fatto per avventura meno animoso dal sentimento del grosso debito che presto gli avrebbero fatto pagare, non istette ad aspettarli, lasciando per la precipitosa fuga in Oletta tende, bagagli e due cannoni. In Casinca, dove aveva fatta maggiore impressione il nemico, convennero Clemente Paoli, Antongiulio Serpentini, Nicodemo Pasqualini, Domenico Buttafuoco; raccolti a Tavagna deliberarono le difese estreme, e già si ammannivano a metterle in atto, quando sopraggiunse un Taddei di Pero spaventato in vista, il quale schiamazzando affermava la resistenza vana, ogni cosa perduta, doversi rifuggire tutti a Campoloro. Clemente che conosceva l'uomo capace di fare di ogni lana un peso gli voltò la faccia verso mezzogiorno, e datogli una spinta nelle spalle gridò: scappa presto a Campoloro prima che t'agguanti qualche palla di mio — e costui che era corrotto dalla pecunia francese non se lo lasciò dire due volte. Allora accadde una guerra arrabbiata, alla rinfusa, con vicenda di sconfitte e di vittorie; per ultimo la fortuna arrise ai Côrsi: il Serpentini andò a Orezza e la riprese; il capitano Colle vinse a Vignale. Clemente Paoli con gli altri di prima colta riscattò Sant'Antonio; donde scorrendo il paese gli venne fatto penetrare in Vescovato, e comecchè la terra si fosse mostrata parziale ai Francesi, in quale maniera incominciassero a conciarla non è da dire; sopratutto la rabbia dei Côrsi si avventò contro le case di Matteo Buttafuoco traditore, a sovvertire le quali adoperarono ferro e fuoco; ma i Francesi si rannodarono, cacciarono i Côrsi, e giunsero a spegnere le fiamme; i Côrsi per altra parte fermi a sgararla, ripigliata lena, tornarono: dopo lungo accapigliamento, dove i coltelli giuocarono più dei moschetti, riaccesero l'incendio, nè si ristarono finchè videro pietra su pietra. Matteo Buttafuoco, per comune consenso dei Côrsi, Napoleone Buonaparte compreso, viene reputato traditore. Ai giorni nostri il suo figliuolo Antonio Semideo, togliendo occasione dal libro dettato dall'abate Giammarchi intorno alla vita di Pasquale Paoli, si è sbracciato a purgare la memoria del padre: meritano reverenza la pietà filiale, e compassione i tempi durante i quali siffatta difesa può farsi e accettarsi. Matteo Buttafuoco tradì perchè oratore presso al duca di Choiseul per la Corsica, vinto dalla ingordigia del premio, si mutò in promotore della dominazione francese in Corsica; di ciò lo incolpano le parole, molto più le opere; nè si nega, ma il suo figliuolo sostiene come questo non si chiami tradire, bensì amare la Patria, imperciocchè i Côrsi non potessero sostenersi contro le forze della Francia; matta impresa ed esosa, piacendo ai Côrsi assoggettarsi alle leggi di quella; ed a ragione, chè per questa via essi arrivarono a tal grado di prosperità e di gloria, che in altro modo sarebbe stato follia sperare. — A ciò si risponde, che affermare i Côrsi volonterosi della dominazione francese dopo novanta anni di conquista non è onesto; d'altronde la storia lo bugiarda, perchè il Paoli non governava tiranno, bensì col voto delle Consulte liberissimo, e quando ogni altro testimonio mancasse durano i campi, le pendici e i fiumi consacrati da tanto sangue cittadino nelle disperate lotte contro la oppressione. In quanto a prosperità e gloria quello che non potrebbe un côrso diremo alla recisa noi: se la fortuna della Corsica avesse prevalso, oggi ella possederebbe meno accattoni e più lavoratori, meno cavalieri e più contadini; non avrebbe quello che si costuma chiamare _civiltà_ alla francese, la quale le casca di dosso come veste non sua, bensì propria; non presenterebbe adesso un mostro non francese nè italiano, bensì paese sano e gagliardo di sangue naturale; e per dire tutto in poco, non servirebbe di pollaio alla Francia donde cava marinai per le sue navi, soldati per i suoi eserciti, sbirri per i suoi bargelli... per rimandarli poi (quando ce gli rimanda) stroppi di corpo, o, quello ch'è peggio, nabissati nell'anima, a rosicchiare un tozzo di pane, spesso, ah! troppo spesso impastato d'infamia e di rimorso. Questo non affermiamo di tutti, che non sarebbe giusto, ma di molti, ed è vero. — Ancora si può domandare come mai Matteo Buttafuoco, se credeva la opinione sua partecipa dai più, s'industriasse a tutt'uomo di procurarle fautori per via di corruzioni inique, e di peggiori scandali? Perchè la Francia gli compartiva il titolo di Conte, e gli donava lo stagno di Chiurlino? E perchè il figliuolo imprendendo la difesa del padre ostenta questo titolo il quale sarebbe stato senno nascondere come uno sfregio sulla faccia? Questo, in buon latino, significa negare il paiuolo in capo. Ma queste parole bastano, anzi a taluno parranno anco troppe; però importa chiarire come la stirpe dei Buttafuoco, se ebbe macchia dal tradimento di Matteo, lei resero veneranda nella memoria dei posteri Giambattista che vendè massima parte del paterno retaggio per sovvenire ai bisogni della Patria, e per ultimo le diede anco la vita; Domenico, che con le proprie mani contribuì a rovinare le case del parente fellone, ed altri parecchi che sarebbe soverchio rammentare. Più grave zuffa avvenne a Loreto, dove i Francesi assaliti da quattro parti sostennero per sette ore furiosissimi assalti; ormai disperati dal vincere tentennavano tra il rendersi, ovvero aprirsi colla spada la via, quando con inestimabile maraviglia videro i Côrsi fuggire per la campagna; non sapevano a che ascrivere il caso; però decisero valersi della buona fortuna e rafforzarsi per durare con esito migliore; ma presto appassirono coteste speranze dacchè i Côrsi non fossero mica fuggiti, bensì andati a provvedersi di nuova polvere, avendo logorata la prima, in certe macchie dove l'avevano nascosta; allora dolse ai Francesi non avere colta l'occasione, e non gli sovvenendo migliore partito tornarono a volersi ritirare combattendo; dicono che sommassero a 150 quando uscirono da Loreto. I Côrsi dietro ai fianchi a mo' di canatteria sguinzagliata; certo come il cervo i Francesi, di tratto in tratto voltata la faccia, qualcheduno sventravano, ma subito dopo bisognava fuggire, e sempre in peggio arnese di prima. Stracchi e trafelati arrivarono circa mille al fiume Golo gonfio per pioggie recenti; nè questo gli annoiava, anzi se ne confortavano, imperciocchè non si sentendo perseguitati così da vicino giudicavano passare il ponte, e subito passato rovinarlo; onde le acque grosse invece d'impedimento a loro avrebbero trattenuto i nemici. Ed anco qui nel conto non entrò il lupo, perchè il signor Clemente cheto cheto, presi seco duecento uomini, aveva passato il Golo sul ponte del Lago Benedetto, e colà messo su in fretta alcune trincere faceva mostra di finire quanti si attentassero di avventurarci il piede: e poichè nei Francesi non è per certo l'ardire quello che manca, ci si provarono, e non una volta, nè due: però toccarono troppi morti per non invilirsi; al fiume non avevano avvertito molto; che sguazzarlo mentre lo cavalcava un ponte parve inonorato; adesso lo arieno fatto più che volentieri, ma lo videro terribilmente gonfio, nè minacciatore di morte meno sicura, che il ponte; e il tempo a deliberare stringeva; perchè dai parapetti côrsi fioccavano moschettate fitte come grandine. Scelsero la via del fiume o perchè la credessero meno perigliosa di quello che provarono, o perchè sperassero poterne più facilmente venire a capo. Il Golo li passò veramente, non tutti però; chè si risovvenne essere côrso, e contro lo straniero doversi industriare tutti, così uomini come cose; mille entrarono nelle sue acque e ne rese seicento; e a quelli che toccarono la sponda non parve caro il nolo. I Francesi cacciati da tutte le parti della Casinca fecero testa al borgo di Marana dove comandava il signor de Ludre, soldato vecchio di buona rinomanza: scrivono taluni che la sua gente sommasse a 550, altri la stimano a 700; ma errano entrambi, perchè se prima fu 550, sembra certo che dopo la congiunzione dei cacciati della Casinca, anco contando solo gli sfuggiti dal Golo, a meno di 1150 non montavano. Il borgo è paese costruito su di un colle di figura conica che si solleva sopra un piano inclinato, il quale a oriente confina col mare, a mezzogiorno lo chiude il Golo, a tramontana lo stagno di Chiurlino; dalla parte di ponente gli sta sopra la Serra di Stretta, che per la via di Oletta e di Olmetta comunica con la pieve del Nebbio; una volta colle e pianura ebbero fama di ferocissimi, e forse anche adesso sarebbero, ma la malaria funesta il piano; e il colle quantunque non ingiocondo pure dalla passata prosperità differisce assai. Narrano che Mario vicino al mare vi stabilisse una colonia, e sarà; ai giorni nostri non ne rimane nè anche orma; avanzano alcuni ruderi nè romani nè pagani, bensì cristiani e a quanto può giudicarsene pisani. Il luogo comparisce facile alle difese, e malgrado che trent'anni prima i Francesi ci rimanessero rotti per modo, che il conte di Boisseux, nipote del maresciallo di Villars, ne morì di dolore, eglino non trascurati o immemori statuirono tenerlo ad ogni costo. A tale effetto circondarono la sommità del Borgo con terrapieni e palizzate; e mandati a prendere a Bastia nuovi cannoni gli adattarono in varii fortini, i quali comecchè fossero fabbricati di terra e di pietra senza calcina non parevano men acconci alle offese come alle difese. [Illustrazione: Egli venne menato in gran fretta nella cittadella di Bastia, e quindi chiuso dentro il carcere della fortezza di S. Carlo... (_Cap. VIII._)] Pasquale Paoli, secondando il vento, che gli spirava favorevole, decise ferire un gran colpo, il quale, se non bastasse a dargli vinta la impresa, gli porgesse almeno l'adito agli accordi, o alla più triste respiro fino al nuovo anno, ricordevole di quello antico dettato, che cosa fa cosa e tempo la governa: convocati pertanto i capitani dell'arme su le alture della Stretta a consiglio, non discrepando nessuno, di comune accordo venne statuita la impresa del Borgo. Clemente chiudendo il parlamento aveva detto: qui i padri nostri cantarono ai Francesi i vespri _côrsi_ (che così ebbe nome la disfatta del Boisseux), adesso tocca a noi a dire _compieta_. Per quanto le memorie dei tempi ci tramandarono, questo fu l'ordine; Saliceti, Grimaldi, Raffaelli e Agostini dovevano investire il Borgo da ponente con cinquecento uomini; Gaffori e Gavini da levante con altri cinquecento; Clemente Paoli con Altobello, Canale e trecento, fiore di bersaglieri, su la strada del Nebbio: Antongiulio Serpentini doveva starsi con duecento alla Stretta; Pasqualini con altri duecento sul pendio di Luciana; se nonchè il Serpentini, che assai avventato uomo era, e la sua moglie Rosanna la quale non iscompagnandosi mai da lui metteva senza posa legna sul foco, visto arrivare il generale su le alture di Luciana accompagnato da Decio Cattoni e Giantommaso Arrighi, tanto seppe dire, che fu lasciato andare con gli altri a combattere il Borgo: corse giù di furia con la sua gente, e trovando come nulla anco fosse incominciato, Rosanna prese a tempestare urlando che si dovesse assalire subito subito, e che a lei, quantunque donna, bastava l'animo di mettere sottosopra le trincere francesi in meno che non si recitava un credo. — Perinotto Agostini, soldato vecchio d'inestimabile prodezza fece spallucce e replicò: — Se le donne non furono create per dannarci, io proprio non so vedere a che altro sieno buone. State in costà, signora Rosanna; che dei denti francesi quelli che compariscono fuori non sono i più mordaci; o non sapete che dietro alle trincere hanno messo in batteria tre cannoni? — Lo so benissimo, soggiunse la donna petulante, ed appunto per questo giudico che bisogna assalire senza indugio; se ci gingilliamo con le mani in mano usciranno i soccorsi di Bastia e ci troveremo in mezzo a due fuochi. — Per non mettere tutta la posta sur un tratto di dadi fa mestieri che noi pure attendiamo a munirci di terrapieni, e fossati; se di assedianti diventeremo assediati, vedrete che scoppierà quella nuvola rimasta là sull'altura della Stretta, la quale se non m'ingannano gli occhi, di ora in ora s'ingrossa. — Qui non si tratta di occhi, ma di cuore; mirate un po' come si fa. E l'arrabbiata donna, presa una scala in ispalla, moveva ad appoggiarla ai parapetti francesi. — Per Dio santo, gridò Perinotto, non sia mai detto che le donne prime salissero su le trincere del Borgo, e respinta Rosanna le tolse la scala, correndo poi con quella in braccio ad appoggiarla ai muri; ma non era anco giunto a mezzo cammino, che il cannone balenò, fumò, ed indi a breve una grandine di mitraglia flagellando la terra, e spingendo all'aria polvere e sassi, ricoperse il povero Perinotto. Rosanna cacciò uno strido, e accorse per sovvenire il Perinotto immemore del pericolo a cui si esponeva. Perinotto non dava segno di vita, non gli mancarono cure chè la Rosanna gliele prodigava con ismanioso affetto, lacerata dal rimorso che ciò fosse accaduto a cagione della sua protervia; e se questa dolesse anco al marito non è da dire, perchè gli pareva meritarsi il biasimo che più di una volta aveva sentito apporsi, di lasciare troppo lenta la briglia sul collo della moglie; però vista allestita la lettiera per trasportare fuori di battaglia Perinotto, con mal piglio disse: — Donna, seguiterete il ferito alla Stretta continuando a curarlo come ve ne corre il debito. — E siccome Rosanna disusata dall'obbedire faceva bocca da rispondere, Antongiulio infuriato riprese: — Per la Vergine! ed anche ricusi rammendare gli strappi che hai fatti; esci di qua in tua malora, o ti rimando legata a casa con le mani e co' piedi. E non si può negare che siffatti modi sentissero poco della prelibata urbanità che sogliamo adoperare noi verso il sesso gentile; ma che farci? I Côrsi costumavano così, e non per questo amavano meno le donne loro, o n'erano riamati; anzi solenni professori di proverbii essi solevano dire: che donne, cavalli e noci vogliono le mani atroci; ma di ciò lascio giudicare a cui se ne intende. La vasta tela che ho per mano non mi consente che io possa, come pure vorrei, esporre minutamente la storia di Perinotto. Giuseppe Mattei lo ha fatto, e se all'ottimo volere rispondeva l'ingegno, a veruno sarebbe lecito toccare questo pietoso argomento; altri se ne invoglierà perchè davvero lo merita; intanto giovi sapere come Perinotto ferito nelle tempie e per la fronte salvasse la vita, non gli occhi. Visitato dal generale al convento di Luciana, dov'egli lo aveva fatto trasportare, lo consolò con amorose parole, lo baciò più volte, e quantunque di sostanze non copioso, il Paoli gli assegnò sopra il suo patrimonio la pensione annua di trecento lire, che finchè visse e in ogni sua fortuna procurò fosse religiosamente pagata. Questo è bello, ma questo altro più tenero; egli erasi fidanzato con una zitella di Ortiporio, di nome Elisabetta, la quale, appena si fu messo in piedi, andò a visitare: arrivato davanti la casa senza mettere il piede sopra la soglia chiamò con gran voce: Elisabetta! — e quando dal rumore dei passi la riconobbe, con voce tremante aggiunse: Elisabetta, voi vi sposaste ad un illuminato ed ora sono fatto cieco, — Elisabetta, sono venuto a rendervi la vostra promessa. Ma questa santa fanciulla, rispose ingenuamente: — Perinotto mio, guardateci due volte, che ora di moglie avete bisogno troppo più di prima; tenetevi la mia promessa e sposiamoci nel nome di Dio. — E così fecero. Perinotto finchè visse, e visse molto, fu il cantore e lo storico del paese; dicono che i suoi canti avessero virtù maravigliosa di accendere gli animi, e ci credo, perchè le muse noi tutti abbiamo dentro di noi e le sortimmo da madre natura, solo che la fiamma del cuore arrivi a riverberare sul cervello, la luce del canto sgorga a rivi dalle labbra umane. I nuovi signori lo presero in sospetto e gl'imposero tacesse; ma egli si oppose allegando che dei vivi costumava non dire bene nè male, unicamente celebrare i morti; ora parergli invidia peggio che barbara impedire la lode ai defunti, ed eglino, lo ricordassero vantarsi promotori di civiltà in Corsica: si vergognarono, e lo lasciarono cantare; il giorno nel quale egli non cantò degli altri, altri cantò per lui, ma questa volta fu il _Miserere_. Il signor Ludre, vista la mala parata, mandò messi sopra messi a Bastia, affinchè si affrettassero a soccorrerlo, avvisando il marchese di Chauvelin trovarsi minacciato dai mali del blocco e da quelli dello assedio, i primi però più terribili degli altri essendo stremo di viveri e mancando di modo per provvederne, quantunque anche i secondi dessero a pensare, considerando come i Côrsi attendessero a munirsi di opere quali avrebbono potuto condurre i più esperti ingegneri. Il marchese de Chauvelin dopo gli ultimi fatti considerava la guerra e il paese diversi da quelli che a prima giunta gli era parso vedere; e come nelle nature eccessive lo sgomento corrisponde alla esaltazione e la supera, così ora scriveva in Francia lettere su lettere non bastargli i sette reggimenti, le legioni Soubise e reale, gli artiglieri e i micheletti, che prima lo avevano accompagnato in Corsica; volerci bene altre forze per resistere al clima pestilenziale e allo strazio della continua persecuzione per greppi e per bricche di un nemico che non si incontrava mai, comecchè vi molestasse sempre da ogni lato. Questo non era, dacchè il nemico egli avesse incontrato più sovente che non desiderasse, ma gli parve più bello confessarsi vinto dalle gambe che dalle braccia del nemico. Luigi XV, che teneva in delizia questo marchese, provvide gli spedissero da Tolone otto nuovi battaglioni i quali arrivarono a Calvi e a S. Fiorenzo sopra 38 navi scortate da 3 fregate e da due sciabecchi; in questa bisogna si affaticò con tutti i nervi anche il ministro Choiseul, dacchè avendo fatto strombettare sopra la _Gazzetta di Francia_ le prime vittorie francesi, ebbe a patire la umiliazione di leggere nella più parte dei diarii europei le allegrie che si menavano per le sconfitte in ultimo rilevate. Però il querulo generale non si rimase per questo e continuò a ragguagliare la corte, come quello che Seneca aveva scritto intorno alla Corsica non raggiungesse il quarto del vero: terra sterile, aria maligna, popoli salvatichi e posseduti dal diavolo della cupidità; non basterebbero 200 milioni a ridurla in termini comportabili; non avere commesso peccati tali da meritarsi lo inferno; ad ogni modo non essere anco morto per andarci. Queste ed altre cose egli mandava scrivendo a tutti, massimo al suo fratello abate, gobbo irrequieto e procacciante, il quale metteva a screditare la impresa côrsa e far sì che il fratello si richiamasse quel medesimo ardore col quale perseguitò in Francia la compagnia dei gesuiti: nondimanco il marchese di Chauvelin avrebbe dato, sto per dire, un occhio, per provare che se consigliava a smettere la conquista della Corsica non era per mancanza di virtù, bensì proprio perchè la carne non valeva il giunco: però accolse con inestimabile contento il destro di combattere i côrsi col peso di tutte le sue forze vicino a Bastia, donde potevano ricavarsi sicuramente a mano a mano rinforzi, caso mai pigliasse mala piega la faccenda: onde ristrettosi col conte di Marbeuf in breve rimasero d'accordo sul da farsi; tra le altre provvidenze spedirono ad avvisare il marchese di Grandmaison, il quale stanziava grosso ad Oletta, che per tragetti, senza che persona lo subodorasse, dal Nebbio si trasferisse in Marana, percotendo improvviso i Côrsi ai fianchi e nelle spalle. Messi in ordine i soldati e le munizioni partirono da Bastia sicuri di vincere; e menavano seimila soldati, tra i quali tutti i granatieri; quei di Ludre, come fu detto non sommavano a meno di 1500; altri 1500 tenevano per certo gli avrebbe condotti il Narbona, e così in tutto 9000, più che bastevoli, considerato il numero, la perizia e la qualità delle armi, a sgarare la puntaglia. Arrivati su i luoghi a mente tranquilla reputarono prudente, ed era, levare su alcuni ripari di terra e quindi bersagliare i Côrsi tanto, che questi difettando di cartocci cessassero i tiri, dando campo ai granatieri avanzarsi a man salva, ma i Côrsi si accorsero presto dalla malizia e si rimasero dallo sparare. Allora i granatieri francesi trascinati dall'èmpito ed anco dalla necessità proruppero fuori alla scoperta, e s'ingaggiò battaglia; la vera scarmigliata battaglia piena di urli, di minacce, di gemiti e di morti. Le case côrse avevano preso tutte sembianze della chimera favolosa, la quale vomitava fuoco da ogni spiraglio della sua faccia: piovevano le palle come grandine, nè i Francesi potevano andare capaci per qual ingegno i Côrsi mantenessero cotesto fuoco non interrotto mai, quasi gli schioppi contenessero venti o trenta cariche. Ma quello che ai Francesi appariva miracoloso era naturale pei Côrsi; imperciocchè le donne di casa così giovincelle come vecchie quasi decrepite, e i ragazzi di sette ed otto anni (quei di dieci sparavano) dietro ai parenti caricavano gli schioppi e li porgevano a chi aveva tratto. Tra la moltitudine dei gesti degni di storia non fia grave udire quello di Orso Lusi vecchio ormai giunto alla tarda età che chiamiamo decrepitezza; costui fu del pari valente agricoltore e soldato; fra gli altri pregi ricordarsi essere stato il primo che nella sua pieve di Biguglia coltivasse la saggina. Da parecchi mesi egli stava seduto sopra un seggiolone a braccioli, donde non si moveva che a stento ed aiutato; appena udì lo strepito della moschetteria quasi per miracolo si levò in piedi, e disse: lo schioppo! — Il quale avuto egli si fece a canto di una finestra per trarre; dallo altro si mise il suo minore nipote e per un pezzo attesero alle loro faccende, però il nipote considerando che il vecchio per debolezza della vista impiegava troppo tempo a pigliare la mira, e con molto pericolo rimaneva scoperto oltre il dovere gli disse: — Caccaro, per la Immacolata Vergine vi supplico ritiratevi di qua; aveva appena finite le parole, che il vecchio cacciò fuori un singhiozzo e il nipote lo vide barcollare e subito dopo spumargli la bocca di un licore sanguigno; represse l'angoscia il forte giovane, e gittategli pronto le braccia a mezza vita perchè non cascasse gridò ad alta voce: — no, Caccaro, no: bisogna assolutamente, che vi togliate di qua: e sollevatolo lo trasportava; a coloro che li dimandarono che cosa facesse rispose: qui il Caccaro è troppo esposto, vado metterlo nello abbaino dove meno osservato aggiusterà i tiri a comodo. La confusione orribile in cui si versavano tutti non permise che badassero troppo a quello ch'ei facesse o dicesse, e il giovane portato il nonno nella sua stanza lo depose sul letto, gli chiuse gli occhi, lo baciò e poi asciugandosi col rovescio delle mani il pianto susurrò: — Caccaro! dormi in pace, io vado a vendicarti. Gli altri parenti seppero cotesto loro antico congiunto morto a un tempo e vendicato e questo ne rattemprò alquanto l'angoscia. I Francesi chiusi col Ludre adesso conoscono che se si vogliono liberare, importa mettersi allo sbaraglio per congiungersi a quei di fuori; la quale cosa se venisse loro fatto di conseguire poteva senza dubbio dirsi vinta la prova; parte comandati e parte volontari, un cento irruppe fuori dei ripari per fare impeto da un lato in quelle case, le quali dall'altro in quel momento stesso assaltavano i granatieri; i Côrsi che videro cotesto tentativo lo giudicarono, se fosse riuscito, tale da saldare ogni conto; onde passandosi voce da una casa all'altra per via delle finestre o dei pertugi praticati nei muri laterali, stabilirono adoperare gli sforzi supremi per mandarlo a vuoto: in effetto quando se lo aspettavano meno, dopo una scarica universale, si apersero violentemente gli usci di parecchie case e ne rovinò fuori una torma di gente che con le pistole incarcate in ambedue le mani e lo stiletto ignudo fra i denti, si avventò balenando, e trasse così di concerto che fu inteso un colpo solo; i nemici stramazzarono in un mucchio alla rinfusa chi morto, chi ferito, chi sano, ma strascinato dagli altri; i Côrsi, gittate vie le pistole, impugnarono il coltello e giù di botto su cotesta massa di carne menando colpi disperati. I Francesi rimasti dentro i ripari presi da terrore e paurosi di sfolgorare i compagni in quella zuffa mescolata stettero inerti e i Côrsi approfittandosi dello sbigottimento saltano indietro e si rinchiudono in casa; di loro pochi ne rimase feriti: nessuno morto; dei Francesi (incredibile a dirsi se i ricordi de' tempi non lo accertassero senza screzio fra loro), soli sedici sopravvissero ed anco malconci, gli altri ottantaquattro giacquero spenti; miseranda strage, operata in un attimo, come dal fulmine di Dio. I granatieri i quali dall'altra parte del caseggiato avevano bensì inteso il grido di baldoria dei compagni, ma non vista la fine, instavano più fermi che mai per aprirsi il varco; gittarono da prima le granate a mano, le quali cagionarono strepito molto non danno; poi o muniti di scale o armati di scuri si affrettarono a salire per le muraglie e a spezzare le porte; spingendosi innanzi con la veemenza che fa quasi sempre invincibile l'assalto francese, erano giunti sotto le feritorie dei Côrsi, ai quali ormai di poca utilità riusciva lo schioppo; ma allora posero mano a nuova maniera di difese, che giù dai pertugi incominciarono a piovere acqua ed olio bollenti. Se riuscissero atroci coteste scottature, pensatelo voi, e nondimeno quei bizzarri cervelli ne celiavano: — e largo, dicevano ai compagni, largo che i Côrsi pigliano i gatti a pelare. — Subito dopo il sole rimase oscurato da un nugolo di masserizie domestiche; talune, a vero dire, incapaci a recare grave danno, altre poi lo portavano gravissimo, come conche, catini, mortai di pietra ed altri siffatti; ed anco qui la giocondità francese trovò ad incastrarci la sua, che l'uno all'altro diceva: — tè questa mestola, camerata, e' sanno che tu ti sei fatto sposo e vogliono aiutarti a drizzare su casa. — Un uffiziale ebbe il capo malamente rotto da una culla, e nel sovvenirlo il suo compagno tra serio e faceto gli diceva: — in fè di Dio, non si è mai visto peggio; anche Golia rimase vinto da un bambino e pazienza! ma da una culla senza nè manco bambino riesce dura a trangugiarla. — In questa rovinando una madia fracassa la spalla al motteggiatore e l'altro comecchè con la faccia piena di sangue ridendo rispondeva: chi avrebbe creduto che la morte stesse a pigione nel luogo dove si fa il pane? — Ma piangendo e ridendo si muore del pari, e intanto per le mirabili difese non si poteva spuntare. Il Marbeuf sputava fuoco, allo Chauvelin pareva di sognare; però ambedue ordinate nuove colonne di attacco le sguinzagliavano contro le combattute mura; già si sa, agli assalti la faccenda cammina diversa che a mensa dove si salutano beati i primi: a quell'ora dovevano avere votata la casa di arnesi e logori l'acqua e l'olio, sicchè era a sperarsi avventuroso il nuovo sforzo; pertanto si spinsero cantando e schernendo; tacevano i moschetti con augurio felice; le scale appoggiano, salgono, le braccia stendono, già le mani toccano i davanzali delle finestre, quando giù dai tetti rovinano camini, lavagne e pietre con le quali le difendono dagl'impeti del vento; nè questo solo, che seguitarono travi, travicelli e brani di muro. Sarebbe sazievole del pari che tetro narrare il vario e nondimanco sempre terribile spettacolo delle morti infinite: fuori delle macerie qua sbucava una mano sola, là un capo; di ossa e viscere schizzate, infame il terreno, la strada fatta lago di sangue; indietreggiavano i Francesi, e tuttavolta non ismentivano l'indole festosa, chè ci fu tale che disse: — eh! chi l'avrebbe creduto? mentre io vedendo i casamenti levarsi il cappello m'ingannava volessero salutarci per signori e padroni. Il conte di Narbona Fritzlar arrovellava come un mastino vinto, e non ci volle manco del comando espresso del marchese di Chauvelin perchè ristasse dallo avventurare un nuovo assalto; sicuramente i granatieri avrebbero obbedito, ma stanchi ed anco sgomenti egli era come cimentarli a morte certa; quasi per tacito consenso delle parti combattenti furono sospese le ostilità verso il mezzogiorno. Il Grandmaison ricevuto il comando ad Oletta, conobbe come senza molto accorgimento non lo avrebbe potuto mandare ad esecuzione, imperciocchè gli Olettesi meno che offenderlo con la forza (che questo per essere tenuti in rispetto dai suoi soldati non potevano), con ogni altra maniera cercavano farlo capitare male; nascosti pertanto messaggio e messaggiero, dette lingua volere andare a mantenere in devozione il Capocorso; per ultimo quando trasse i soldati dai quartieri bandì ad alta voce che voleva menarli ad esercitarsi nei dintorni; maggiore astuzia non gli avrebbe giovato, ma le troppe precauzioni gli nocquero. Ora dopo avere menato i soldati per buon tratto di via verso Barbaggio, il Grandmaison comandando si voltassero dalla parte di Rutali li pose dentro certe macchie che rasentavano il torrente, che sbocca allo stagno di Chiurlino; da principio le cose camminarono d'incanto; però via via che s'inoltravano la macchia si faceva più spessa, i sentieri più rotti: onde a fatica potevano andare innanzi: il Grandmaison sicuramente non si aspettava incontrare destri cammini; pure trovandoli adesso così scellerati non si poteva rimanere da borbottare: s'intende acqua ma non tempesta! Potevano avere trascorso una diecina di miglia, ed omai procedevano con lena affannata, tutti molli di sudore e co' piedi indolenziti, allorchè il capitano giudicò necessario si riposassero alquanto: non è a domandarsi se se lo facessero dire due volte; ridotte le armi in fasci chi qua chi là giacque sul terreno quale per riposarsi e quale per ripigliare conforto di cibo e di bevanda. Davvero non fu carità sturbare cotesto riposo, e nondimanco i Côrsi lo disturbarono, e di che tinta! Da prima s'intese uno scoppio lontano e un sibilo vicino; poi dieci, poi cento; assursero i soldati ed imbracciate le armi attesero gli ordini dei capi: non era facile darli nè eseguirli; le angustie dei luoghi; e i colli dirotti non presentavano campo a verun provvedimento di milizia; penetrare nelle macchie peggio, tirare contro le frasche inutile; il nemico sentivano da per tutto e non lo trovavano in verun luogo: in breve l'uragano imperversò nella sua furia; ogni foglia di sul capo sgocciolava una palla, disotto ogni sasso avventava una palla, palle vomitavano i cespugli da ogni lato, insomma non un cerchio bensì una sfera di fuoco e di piombo li circondava; e questo accadeva perchè i Côrsi si appollaiavano su gli arbori come scoiattoli, dietro le macchie o dietro i sassi si rannicchiavano come vipere. Clemente Paoli capitanava questa imboscata, e davvero in male branche erano capitati i Francesi: costui appiattato dietro una sughera in compagnia di Altobello non mandava colpo se prima non si accertava del fatto suo; ora accennando al compagno con la canna del moschetto un giovine uffiziale: — peccato! disse, cotesto sembra un prestante giovane; oh! quanto orgoglio ne deve avere cavato sua madre; oh! quanto dolore sta per recarle; me chi gli ha detto di cacciarsi qua dentro? _Requiem æternam dona eis Domine_ — scattò il grilletto, e il giovane stramazzò giù a capitomboli sul terreno; Clemente col medesimo suono di voce continua: — _et lux perpetua luceat ei._ Contemplando cascare il giovane, certo ufficiale più provetto proruppe in orribili bestemmie e gli si gittò addosso a speculare di che sorte fosse la ferita, ma accortosi che la povera creatura era spacciata s'inviperì più che mai urlando che cento, mille Côrsi non reputava bastanti a vindicarlo. Intanto Clemente aveva ricaricato lo schioppo — e' mi dispiace proprio, disse, che cotesta anima deve comparire davanti al suo Creatore fuori dello stato di grazia; ma ci ho colpa io, se con la morte in bocca si comportano così poco cristianamente? _Ora pro eo._ — Al fine delle parole il vecchio andò a far compagnia al giovane; di loro la storia non ricorda il nome, e non importa investigarlo, conciossiachè la maggiore carità che possiamo adoprare per coloro che sono morti a sostenere la causa degli oppressori consiste appunto a lasciarli nell'oblio nel quale s'immersero interi. Ad un tratto venne al pensiero di Clemente il salmo 143 del santo re David, il quale, a quanto sembra, in parecchie cose buone arieggiava con lui e incominciò a cantare: _Benedictus Dominus meus qui docet manus meas ad prœlia et digitos meos ad bellum_ — e al fine del versetto il suo schioppo ficcava una palla di oncia o nel capo o nel petto di un Francese. — Veramente pochi canti di guerra possiedono virtù di eccitare l'odio dello straniero fino al delirio come quel salmo meraviglioso; però appena può immaginarsi non che dirsi la veemenza con la quale Clemente urlava: «Signore abbassa i tuoi cieli e scendi: tocca i monti e fa che fumino. «Vibra il folgore e dissipa quella gente; avventa le tue saette e mettile in rotta. «Stendi le tue mani dall'alto e riscotimi, e trammi fuori, dalle grandi acque, di mano degli stranieri, la cui bocca parla menzogna e la cui destra è destra di frode. Acciocchè i nostri figliuoli sieno come piante novelle bene allevate nella loro giovanezza, e le nostre figliuole sieno come cantoni intagliati dell'edificio di un palazzo. E le nostre celle sieno piene e porgano ogni spezie di beni, e le nostre greggie moltiplichino a migliaia e a diecine di migliaia nelle nostre campagne. Ed i nostri buoi sieno grossi e possenti e non vi abbia nelle nostre piazze nè assalto, nè sortita, nè grido alcuno.» Ventura fu pei Francesi che Clemente non ricordasse il salmo 120 o non lo credesse adattato all'uopo, perchè chiudendo ogni versetto con la morte di un uomo, cotesto salmo contando versetti 176, avrebbe menato uno scempio di loro, mentre il 143 annoverandone sol 15, la sua recitazione non costò troppo caro ai Francesi. Il Grandmaison si accorse presto, che o per previdenza, o per avviso ricevuto in tempo il nemico gli aveva tese insidie; ignorava il numero degli assalitori; ma o pochi o molti era chiaro che dei Francesi non ne sarebbe scampato un solo; e fu mestieri dar volta. Mesti per tante morti e avviliti per non averle potute vendicare, forse non si riduceva persona nei quartieri di Oletta, se il vento che soffiava da levante non avesse portato agli orecchi di Clemente un suono di rombo e voci che domandavano aiuto. Lasciamoli andare, disse allora questo Aiace côrso, che hanno avuto il loro compito; io penso che quelli che arrivano al quartiere appiccheranno i voti alla Madonna, dacchè da questa parte non ci è da temere più nulla, su da bravi, figliuoli, un sorso di vino, e via difilati al borgo. Alle ventidue il marchese Chauvelin avendo riposato la sua gente ed ingrossatosi co' rinforzi che di ora in ora gli arrivavano con celeri passi da Bastia statuì tentare un altro assalto. Pasquale Paoli dalle alture di Luciana avendo avvertito il nuovo turbine che si andava formando, comandò a Decio Cottoni e a Giantommaso Arrighi pigliassero tutta la gente che gli stava dintorno e scendessero a investire di fianco i Francesi; avendogli Decio avvertito ch'egli rimaneva solo, e in caso di bisogno su che pensasse appoggiarsi, Pasquale rispose: — non fa caso; vi dirò come Abramo: Dio provvederà, qui non ci ha tempo da perdere, partite. Vi rammentate di frate Bernardino da Casacconi? Voi ve ne ricordate di sicuro; ora non vi potrete dare pace com'egli che sapeva così bene movere la lingua, non menasse meno valorosamente le mani. Sentite; non è colpa sua, bensì mia, che nè tutto nè di tutti io posso dire; però egli si era chiuso con i più valorosi de' suoi compagni nel convento dei cappuccini del Borgo e quinci dispensava in copia moschettate come in tempo di pace benedizioni: il nostro padre Bernardino durante la tregua era salito in campanile condotto dalla medesima causa, che teneva il generale ritto sopra le alture di Luciana a specolare il paese; ed egli pure aveva notato uno dopo l'altro arrivare i rinforzi da Bastia, ordinarsi e certamente allestirsi a rinfocolare la battaglia; onde messo da parte il moschetto aveva preso un martello e con quello picchiava con garbo sopra la campana più grossa procurando cavarne lo squillo maggiore; avrebbe pure desiderato imprimere a quel suono un accento di dolore, di agonia, di scongiuro, d'istanza smaniosa, di rabbia furibonda, in breve di tutte le passioni, che in quel punto scompigliavano l'anima del frate; e ci si arrovellava dintorno per ottenere al meno l'equivalente. Indi a poco gli risposero da una valle un'altra campana e un corno marino: allora il cuore del frate esultò, perchè era riuscito a far sentire ai Côrsi la voce della madre che li chiamava; e questi furono i suoni che percossero anche Clemente Paoli, troppo discosto dal Borgo per sentire il martellare del padre Bernardo. Questo fu nuovo trovato per trasmettersi le chiamate nei pericoli; in antico però, secondo che testimonia Pietro Cirneo, si partecipavano notizie di ogni maniera, in guisa che il moderno telegrafo elettrico più poco seppe aggiungere di velocità, e senza la spesa di un quattrino. In effetto taluno per ordine del Comune saliva sul più alto colle della pieve dove, dopo avere sonato il corno, gridava con quanto gliene poteva la gola: «gente del tale e tale luogo, sappiate ch'è accaduto la tale cosa nel tale e tal altro paese; fatela sapere intorno a voi.» E il popolo accompagnava il banditore coll'immenso urlo: «viva il popolo! viva la libertà!» L'agonia del frate Bernardino si calmò alquanto allorchè su le pendici dei monti di faccia e a mano destra aguzzando gli occhi vide comparire e subito sparire alcuni punti neri a mo' di muffli, che dopo aver saltato da una roccia all'altra si rinselvano. Allora lasciato il martello riprese lo schioppo ed abbassò gli occhi giù nel paese fuori delle trincere dei Côrsi; colà vide il brulichìo dei granatieri in procinto di avventarsi da capo; dai gesti argomentò i proponimenti feroci; tanto pareva ai Francesi delitto che le vittime non cantassero _alleluia_ a sentirsi sgozzare dalle armi del Cristianissimo, e non levassero le mani ai suoi gloriosi carnefici? Gli ufficiali parlavano ai soldati accese parole, massime il conte di Marbeuf, che ritto su di un rialzo di terra gli arringava tutti e col dito accennava i deboli ripari dei Côrsi; pareva gli rimproverasse, e certo gli rimproverava, di non avere saputo espugnare cotesti deboli ripari di terra, abborracciati da gente ignorante di ogni arte guerresca. — Sul più bello del suo discorso sentì chiamarsi a nome: — Ohè! signor conte Marboffe, ohè! — Il conte si guardò, meravigliando, dintorno, e non vedendo persona ripigliava la orazione, ma la voce continuò: — Signor conte, non miri di quà e di là; si volti in su al campanile; veda, son io che le parlo, frate Bernardino da Casacconi indegno servo di Dio: le pare carità questa di aizzare carne battezzata contro carne battezzata come se fossero altrettanti mastini? O che gliel'hanno rubata la Corsica perch'ella si arrovelli tanto a conquistarla? Eh! si vergogni; queste non sono opere da cristiani nè da gentiluomini... — Che gracchia quel corbaccio lassù? proruppe il conte; Luigi fagli per la sua predica l'elemosina di una palla di oncia nel capo. Luigi ch'era fante del Marbeuf non intese a sordo, e di un colpo portò via una ciocca della barba al cappuccino. — Per Cristo! esclamò il frate, e subito dopo si morse le labbra, ma ormai era ita e di un salto agguantato lo schioppo con gran voce aggiunse: — Signor conte, io le baratto il suo scudo in moneta côrsa; badi s'ella è di buona lega. — Ah! frate — disse il Marbeuf cascando — mi ha morto. I Francesi, per le vecchie e per le nuove ingiurie infelloniti tornarono ad avventarsi con furore impossibile a descriversi; i Côrsi non avevano perduto tempo ad allestire altre difese; da capo scalate, da capo olii ed acque bollenti, ma per questa volta pareva si facesse di tutto, imperciocchè dietro ai liquidi buttavano i vasi; da capo gambe infrante, uomini capitombolati e rotti su le selci, ferite di ferro e di fuoco, membra lacere sotto il continuo rovescio dei sassi e di muri; sempre più terribile l'aspetto delle moltiplici morti. Decio Cottoni arrivato su i luoghi si appostò in uno dei rialzi di terra abbandonati dai Francesi e si diede subito a trarre; Clemente pure giunse dall'altra parte e omai di ripari non voleva sapere niente, bensì fare impeto alla scoperta: più cauto Altobello ne lo dissuase confortandolo ad imitare il Cottoni; dai ripari ammazzarono a man salva, e comecchè i Côrsi non isbagliassero il colpo a volo vi avete a figurare se a fermo, onde pareva la morte vendemmiasse; chè gli uomini cascavano giù stretti insieme da parere propriamente grappoli. Nè i bersaglieri si contentavano di volgari ferite; al contrario volevano scegliere; così colpirono i colonnelli del reggimento Rovergue e del Sassone, e dopo questi la più parte degli ufficiali. Il marchese di Chauvelin non anco disperato di vincere chiamava a sè il marchese di Tilles e il visconte di Beauve, ed ordinò, che preso un distaccamento dai reggimenti Medoc e Brettagna, si recassero a sloggiare i Côrsi dai fortini: i valorosi colonnelli partirono ad eseguire il comando; non li trattennero la pioggia delle palle, non i morti che seminavano per la via; per essere i parapetti bassi saltarono i ripari e quivi incominciarono a trucidare, con le baionette in canna, i Côrsi si provarono resistere co' pugnali, ma conosciuto subito impari il gioco fuggirono e si sbandarono; i Francesi stando raccolti in manipoli, appena usciti perderono il loro vantaggio: sarebbe stato sano consiglio anco per loro tornare indietro alla guardia dei fortini; ma non seppero o non vollero; fatto sta che continuarono il Tilles a perseguitare il Paoli verso Biguglia; il Beauve, il Cottoni verso Luciana. — E adesso, che come generale non mi resta a fare più nulla, andiamo a sostenere le parti di soldato — disse Pasquale Paoli — rispetto a voi, signor Boswell, restate qui, chè non è giusta, che ne abbiate a toccare per fatti non vostri; addio; — Nasone andiamo. — Con vostra buona licenza, signor Paoli dacchè abbiamo passato tanta parte di giorno assieme, permettete ch'io lo finisca. — Ma voi non siete armato... — Di fatti io non mi presento alle palle francesi in qualità di soldato, bensì d'invaghito. — Non praticate da savio, signor Giacomo; arrosto che non tocca lascialo andare che bruci, dice il nostro proverbio — e mentre il Paoli così favellava correva, e il signor Giacomo dietro sbuffando. [Illustrazione: — Mariano, Mariano, oh! non lo vedi che ti sto accanto: la colpa è del buio: vuoi che accenda un altro lume? (_pag. 384_)] — Bene, il proverbio non manca di senno, ma ora che sono diventato mezzo Côrso mi tocca più che non credete. Intanto che andavano Nasone percorreva fiutando la terra; di repente lo videro fermarsi, poi raspare, dimenare forte la coda, poi squittì dando segni di sorpresa e di allegrezza. — Fermi: qui dietro ci ha qualche cosa di nuovo, notò il Paoli; in effetto di lì a pochi secondi ecco dai cespugli uscire a diecine, a ventine, cani meno grossi, ma della razza di Nasone, quale grigio quale rossigno, i quali si ricambiarono quei convenevoli, che il Galateo dei cani diverso da quello di monsignor della Casa predica onesti; dietro i cani naturalmente vennero i padroni, i quali mirando, ed essendo mirati dal generale, corsero ad abbracciarsi di cuore, erano montanari delle Costiere e li guidava Vinciguerra da Canavaggia. In breve spiegarono, che, quantunque non comandati, sapendo come la battaglia andasse per le lunghe erano venuti a dare una mano ai fratelli, e menavano seco certi compagnoni, dai denti dei quali si ripromettevano quanto dalle proprie mani se non di più. — Raccolti insieme sommavano a cento uomini ed a sessanta cani. Il generale ripigliando subito il cammino disse a Boswell: — Lo aveva presagito che Dio provvederebbe. Già erano venuti in parte dove le palle passando via zuffolavano, od abbattevano i ramoscelli degli alberi, allorchè un pedone tutto affannato venne loro incontro agitando da lontano un foglio; si fermarono, e quegli fattosegli più presso correndo disse: — Ah! signor generale, siete voi? Manco male che vi ho trovato subito; non ho potuto esentarmene; eccovi la lettera consegnata in proprie mani secondo il desiderio del moribondo, e adesso addio. E ratto com'era venuto andava via; al generale che gli urlava dietro: dove vai? dove vai? — Rispose: — torno a battermi. Il generale spiegò e lesse lo scritto, vergato con mano tremante, il quale diceva così: «Signor generale, raccomando mio padre a voi, la mia anima a Dio. Fra un'ora sarò con gli altri valorosi morti per la patria. Vito Savelli.» Ah! quel caro giovane pareva se la sentisse piovere addosso. — Bene, prese a dire il Boswell; benissimo; che manca a questa lettera per essere bandita sublime in tutte le scuole del mondo, se non essere scritta alle Termopili da uno dei trecento di Leonida? — Chiedo perdono, rispondeva il generale tuttavia correndo; Leonida e i suoi si consacravano morendo agli Dei infernali. Vito rende la sua anima a Dio di cui si sente parte. La differenza mi sembra enorme. — Bene; voi parlate sempre bene. Erano sul punto omai di sboccare dall'estremo lembo del bosco, allorchè videro venire incontro a loro un uomo fuggendo, il quale ne teneva un altro in collo quasi intendesse rapirlo. Il generale che se lo trovò addosso, lo abbrancò pel petto gridando: — Ah! dall'altra parte è il nemico e tu fuggi? — Non fuggo, no, rispose trangosciato il Côrso; lasciatemi andare; Cristo! o non vedete che questo che io porto è morto; mi fu ucciso accanto; no in verità, signor generale, finchè il mio povero fratello mi sta davanti, non mi riesce levargli gli occhi di dosso; e non mi posso battere... vado a seppellirlo e torno subito. Allora il generale mettendo una mano su la spalla dell'uomo: — Tu sei di Alesani parmi, e dei Tommasi: non piangere.... — Io non piango. — Va, torna indietro; chi ti comanda? — Il capitano Decio... — Bè; aspetta (e scrisse sopra un foglio col lapis: fa quello che ti dirà il Tommasi. P. P.) porta questo al capitano, ed ordinagli da parte mia, che ceda a poco a poco il terreno dilungandosi dal Borgo verso il lago Benedetto, e procuri tirarsi dietro i Francesi: in quanto a questo valoroso non darti pensiero a seppellirlo; lo riporrò io stesso con queste mie mani sotto terra; sei contento? Il Côrso non potendo parlare gli baciò le mani; gli pose fra le sue braccia il fratello, e preso il foglio in un momento disparve. In questo modo, sicuro il generale che il distaccamento francese non lo avrebbe molestato, con urli che andavano a cielo, suoni di cento corni e latrati di una torma di cani cascò improvviso alle spalle dei granatieri che operavano sforzi più che umani per rovesciare i parapetti côrsi e penetrati nel Borgo sovvenire la gente del Ludre; in parte si vedevano mucchi di cadaveri a piè della trincea senza che l'avessero potuto manomettere; in parte però compariva aperta, e lì dentro la rottura si battevano a baionetta, a coltello, nè le sassate mancavano, nè i pugni, nè i morsi; però il sudore si mescolava col sangue; per mancanza di forza le ferite sdrucivano piuttostochè trapassassero le carni; gli sosteneva la rabbia, la paura e la vergogna del perdere: ormai dall'una parte e dall'altra toccavano il punto in cui anco un grano poteva dare il tracollo alla bilancia; e veramente sessanta cani e cento montanari erano qualche cosa di più di un grano e lo provarono avventandosi con furore non più visto al mondo: terribili gli uomini, ma due cotanti più i cani; le gambe addentate e le cosce non le lasciavano più per ferite nè per colpi anzi nè anco morti, e fu mestieri con taluno aprire co' ferri i denti e liberarlo della testa mozza del cane. I Côrsi visto il generale a loro tanto diletto, raccolsero quel po' di lena che si sentivano nelle braccia per non apparirgli minori dell'aspettativa ed anco delle promesse che gli avevano fatte: ed egli in mezzo alla tempesta e senza nè pure cavare la spada sereno e tranquillo diceva: — su da bravi, anche uno sforzo e abbiamo vinto! Mentre voltatosi al signor Boswell, il quale colla scatola in mano lo aveva seguitato, intendeva domandargli: — si può egli fare di meglio? — vide sparirgli il cappello di capo, onde temendolo ferito proruppe in dolorosa esclamazione, senonchè il signor Giacomo sorridendo rispose: — Poca perdita, un cappello frusto, — e continuò a tirare su la presa di tabacco che aveva incominciato ad annasare — però indi a breve avendo scorto Nasone il quale corso dietro al cappello glielo riportava, soggiunse: — anzi guadagno, e grosso perchè il cappello intero prima costava due scudi o meno, ora forato in questa congiuntura acquisterà un valore venale di dieci sterline o più — forse anco venti. Il generale non potè astenersi di tentennare il capo pensando come in Inghilterra anco i più generosi, in grazia del costume, ogni cosa ragguaglino a lira, soldo e denaro: ond'ei teneva, per certo, che quando con microscopii perfezionati si potesse speculare la materia del sangue della stirpe anglo-normanna, si sarebbe rinvenuto di certo come nella composizione del medesimo capissero moltitudine di cifre d'abbaco invisibili ad occhio nudo; e questo teneva per articolo di fede da mettersi addirittura in fondo al simbolo degli Apostoli, volgarmente detto il _Credo_. I Francesi balenarono, e il supremo capitano non aspettando la disfatta, sonata la raccolta dava opera a provvedere che la ritirata si eseguisse col minore scompiglio possibile. Senonchè l'uomo propone e Dio dispone; dopo qualche cento passi i perseguitati perdendo animo e i persecutori acquistandolo, gli ordini scompigliaronsi, e nonostante le minacce e le preghiere degli ufficiali, i Francesi ruppero in fuga. — Sarebbe bene, diceva un ufficiale francese ad un altro ufficiale mentre levavano a più non posso le gambe verso Bastia, sarebbe bene che la Francia provasse il capitanato di qualche plebeo, perchè da un pezzo in qua voi altri signori ci conducete come montoni. — Non è così, rispose l'altro; gli uomini che combattono per la libertà valgono tre volte tanto i soldati del re, la più parte dei quali non sa quello che si fa; taluni come me lo sanno e lo detestano. Il primo di questi ufficiali si chiamava Dumouriez, il vincitore futuro di Jemmappes e di Valmy; il secondo Mirabeau di cui la lingua scalzava il trono di Francia peggio che non avrebbero fatto cento leve di ferro. Come si confusero gli ordini dei fuggenti, così e più si scompaginarono quelli dei persecutori pigliando ognuno di essi a spacciare il suo; anche i cani aizzati dalla fuga crebbero di rabbia sparpagliandosi per la campagna, e ne successero duelli che sarebbe sazievole riferire. Non tutti i Côrsi uccisero, nè tutti i cani sbranarono; qualcheduno all'opposto salvò: basti di questi rammentare Nasone, a cui mentre scorazzava per le macchie, occorse un Francese giacente, si fermò in quattro, poi innanzi di accostarsegli fiutò e rifiutò il terreno quasi per ricordarsi: quando parve essersi rammentato, andò oltre spedito, venutogli dappresso si dette ad esplorare se fosse morto o svenuto; bisogna dire lo riscontrasse soltanto svenuto, imperciocchè allora s'industriò a scoprirgli la piaga, e trovatogliela nella gamba sopra il ginocchio, dopo avere strappato il panno, si pose a lambirgliela. Non rimase senza aiuto a lungo nella opera pietosa, che un giovanetto côrso sopraggiungendo, alle sembianza e alle vesti parve ravvisare il Francese; egli pure si affrettò a soccorrerlo; piegato il ginocchio a terra esaminò la ferita; la palla non ci era rimasta dentro ma aveva lacerato le carni e forte ammaccato l'osso; il dolore e la perdita del sangue avevano ridotto a tale cotesto infelice; il giovane trasse fuori della carniera un pugno di fila le quali intinte in certo suo unguento le appose a modo di faldella su la piaga, indi la fasciò: su quel subito non ci era da fare altro nè meglio. Tutto intento alla sua carità il giovane non si accorse che gli era caduto il berretto e molto meno che un altro arrivato lo stava contemplando in tacita adorazione: ad un tratto levando la faccia si vide davanti Altobello, onde subito l'abbassò rossa come la fiamma; Altobello già da parecchio tempo aveva riconosciuto Serena. — Da quando in qua voi qui? E Serena sorridendo: — Da quando ci siete voi; voi avete sparato le armi che vi caricava io, e porgeva per di dietro. Allora nel vostro cuore pieno di odio non ci sarebbe entrato di amore nè manco quanto è grosso un granello di panico; però non avete sentito, che io vi stava vicino. Altobello le prese la mano con le sue, e premendogliela forte disse: — non mi rimproverate, Serena; se vi sapeva di faccia il nemico non avrei potuto fare altro che coprirvi col mio corpo. In questa il Francese sciolto un fievole sospiro risensava, ed acquistata a pena conoscenza di sè, vedendosi accanto quella immane testa di cane, prese a supplicare così: — Deh! ammazzatemi di una buona moschettata nel capo, non consentite che mi sbrani il cane. — Fatevi animo, signor Rinaldo, voi siete fra amici. — Ah! signor Bertovello... — Altobello, corresse sorridendo l'Alando. — Altobello sì, torna lo stesso; con voi può darsi, ma come mi trovi fra amici, con questo signore ch'io non conosco, e con questa bestiaccia che sembra voglia fare di me la sua colazione, non comprendo. — Voi siete ingrato, capitano. Nasone ch'è il cane del generale vi ha riconosciuto amico tra i nemici, e questo giovane, nel quale non ravvisate la mia sposa Serena, tenendogli dietro vi ha tolto da morte sicura. — Domando perdono, madama, e anche voi, signor Nasone; ma sapete, signor Altobello, che questo farsi accompagnare in guerra dalle donne e dai cani si rassomiglia assaissimo al costume barbaro altra volta praticato dai Cimbri e dai Teutoni! — Mio signore, i Cimbri ed i Teutoni si reputano barbari, e furono, non mica pei modi di fare la guerra, bensì pel fine della medesima: in vero disprezzando la terra nella quale gli aveva collocati la natura uscirono per chiedere ai Romani terra italiana e l'ebbero: voi sapete come. — Sta bene; ho capito; il paragone dei Cimbri con voi si attaglia come la luna co' granchi; ma che volete? Da un uomo che ricupera appena i sensi dopo quattr'ore di svenimento non si può pretendere una dose maggiore di buon senso: dicono che quand'anche il mio intelletto tocca il suo meridiano non si mostri guari più splendido: e mi calunniano: io vi posso assicurare, che quando mi ci metto, ragiono anche meglio di così. — Non istento a crederlo. — Malizioso! Ma non sarebbe opportuno esaminare un po' se ho qualche cosa in corpo che non ci dovrebbe stare, come per esempio una palla, inquilino incomodo e che per giunta non paga pigione... — State tranquillo; Serena che vi ha visitato e medicato accerta che la palla lacerò senza fermarsi, cagionando ferita dolorosa, non già mortale. — Mille grazie! madama Serena: questo è bello in verità, magnifico: con vostra licenza procurerò che venga stampato nella _Gazzetta di Francia_: di barbari che vi proclamavano m'impegno a farvi bandire fra un mese pei popoli più civili della cristianità per le quattro parti del mondo. — Rispetto al vostro nome, madama, egli sta per empire le bocche dei parigini per una eternità, la quale, come sapete, in Francia si compone di tutta una settimana e talora anche di un po' del lunedì. — Non vi pigliate questo disturbo, capitano; in quanto a me desidero che il mio nome non esca dalle pareti domestiche: mi piacerebbe però che i vostri compatrioti assumessero della mia patria migliore opinione, e sopratutto consigliassero ad operare più giustamente. — Come vi accomoda, madama, e adesso, signor Altobello, se non vi sembra troppa pretensione per un prigioniero, mi vorreste un po' ragguagliare per mio governo come intendete cucinarmi. — A me non ispetta dirvelo; voi siete prigioniero di Serena. — Oh! ma questo sta per diventare magnifico; il valore prigione della bellezza come nei tempi della cavalleria che in Francia piangono perduta, ed io ritrovo florida in Corsica: or dunque, madama nemica mia amica, fatemi trasportare nel vostro castello e tenetemi schiavo della vostra beltà. — Se veramente a me tocca decidere su di voi, io considero che in casa mia manchereste dei comodi ai quali il vivere delicato vi ha forse assuefatto: inoltre non mi sembra offendere la patria restituendovi alla libertà, dacchè i suoi destini non penso che dipenderanno da un uomo di più o da un uomo di meno; in ogni caso la vostra ferita vi toglie la facoltà per parecchio tempo di trattare le armi. Signor capitano, voi siete libero; aspettate tanto che la notte infittisca, e procureremo mandarvi un uomo e un mulo per trasportarvi sino a Bastia. — Mille milioni di grazie, mia generosa nemica; ma dite un po' quanto vi piace, voi non m'impedirete di pubblicare con la _Gazzetta di Francia_ questo atto prodigioso, unico al mondo, e scriverne a mia madre. — Voi ci disservireste, signor Rinaldo, disse Altobello, imperciocchè ci fareste cadere in sospetto dei gelosi patriotti per aver reso la libertà ad un prigioniero come voi; e co' sospetti ai tempi che corrono non si canzona. — Che poi lo scriviate alla vostra signora madre io non dissento, anzi ve ne prego, soggiunse Serena; e le direte che ho pensato alla sua angoscia, e ne rimasi impietosita, dacchè tutte le donne che soffrono sono sorelle; ditele ancora, che presentandosele occasione di sollevare qualche mio povero compatriota ella lo avrebbe fatto in virtù del suo buon cuore senz'altro eccitamento, ma se la memoria dello aiuto prestato al suo figliuolo renderà più consolante la sua voce, più benevola la sua carità, io penserò che mi abbia rimunerato oltre il merito. Il capitano Rinaldo a notte inoltrata, posto come si potè meglio su di un mulo, era condotto in Bastia: certo sofferse molto, e due volte svenne; tuttavolta la strada che mena alla libertà non sembra mai tanto dolorosa da dissuadere veruno dallo scorrerla sino in fondo. Mentre il generale Paoli stava per mandare intimazione al comandante Ludre di arrendersi senza indugio, gli fu annunziato un parlamentario per parte dei Francesi; fattolo subito mettere dentro la stanza lo accolse secondo il suo costume in piedi e passeggiando. Il cane Nasone tornato a casa aveva ripigliato il suo ufficio standosene a giacere in mezzo alla sala. L'ufficiale dopo i consueti saluti espose con parole succinte, il comandante Ludre avrebbe reso il borgo se in capo a 24 ore non fosse stato soccorso: intanto gli mandassero i Côrsi provvisioni di bocca, che verrebbero pagate a prezzo corrente; passate le ore 24, senza che alcuno uscisse ad aiutarlo, gli fosse lecito abbandonare il Borgo con gli onori di guerra, le bandiere spiegate, tamburi battenti, e tornarsene con tutta la sua gente a Bastia, portando seco cannoni, bagagli e munizioni di guerra. — Avete da aggiungere altro? — Non ci è altro. — Tornate al signor comandante, salutatelo in mio nome e ditegli: circa agli onori di guerra egli gli avrà tutti; le sue bandiere porti seco; millanterie nè iattanza garbano ai Côrsi, e chi abusa della buona fortuna dimostra non meritarla; le umiliazioni inaspriscono gli animi e piacciono ai barbari o ai vili. Rispetto alle armi e alle munizioni noi ne siamo privi; bisogna che ce le diate; non vi sarebbe nè manco onore vincere gente disarmata; gli arsenali di Francia poi ne possiedono a macca per rifornirvene fra giorni; potrei esigere il giuramento, che fino a guerra finita non ripiglierete più le armi, ma ci rinunzio perchè avendo veduto come per ordinario siffatte promesse non si osservino, voglio risparmiare a voi la vergogna di mancarci, a me il disgusto di punirvi, caso mai mi ricapitaste fra mano; tutti i Francesi con queste condizioni escano dal Borgo fra un'ora; gli altri rimangano. Andate. — Signor Generale, rispose il parlamentario con voce alterata facendo sforzi infiniti per contenersi, signor Generale, voi ci trattate come se ci aveste messo i piedi sul collo; un'ora! ma ci vuole più tempo a sellare i cavalli. Questa condizione non palesa punto la cortesia che presumete mostrarci. — Per Dio santo! urlò il Generale picchiando col pugno chiuso su la tavola, intanto che i suoi occhi balenarono — e chi siete voi per vituperare in altrui quello che voi stessi stimate potere fare con lode? Vi rammentate? Qui.... sono pochi mesi, quando contro la fede della tregua voi scorrazzavate per Capo côrso, il Nebbio e la Biguglia, mandai da Lento un messaggio al marchese Chauvelin perchè mi concedesse sei giorni di armistizio al fine di radunare i rappresentanti del popolo perchè sopra le proprie sorti deliberassero. Avete obliato quello, che mi mandò a rispondere? Noi lo ricordiamo: se vi piace sottomettervi sottomettetevi: tregua non vi si concede nè manco un'ora. E a ridurre un popolo fiero, che da quaranta anni combatte per la libertà, al giogo amarissimo del servaggio straniero, mi sembra, signore ufficiale, che ci volesse un po' più di tempo, che a poche centinaia di vinti per uscire da un ricinto di case. — Quando voi mi pagaste cotesta moneta la dicevate fatta di oro di coppella, perchè coniata da zecca francese; ed ora che io ve la restituisco tale e quale, non la riconoscerete più? Osereste sostenere ch'io ve l'abbia falsata? A cui sputa contro vento la saliva ritorna in faccia. Non una parola di più, partite. E levandosi l'orologio di tasca lo pose sopra la tavola. L'ufficiale si partì pensando forse poteva darsi, tutto il torto non fosse del Generale côrso, e per la presunzione francese non era poco. Il comandante Ludre radunò da capo il consiglio di guerra; veramente non s'intendeva a che fare: ma e nelle malattie non si manda pei medici ed anco più famosi quando l'infermo boccheggia _in articulo mortis_? L'uomo è schiavo legato alla catena dei costumi. La milizia francese indi a breve conobbe i patti della resa, e le parvero ostici: perchè la cosa che abbia virtù di percotere più forte le menti dei Francesi sia la umiliazione, e volentieri lo confesso, quella che sopportino meno, e vendichino più presto; ma la necessità gli stringeva con tanaglie di ferro. Si trovava allora per caso tra i Francesi al Borgo un Mattei di Lota traditore e spia, il quale si era condotto al Borgo per rivendere l'anima sua a minuto indicando strade, scoprendo imboscate, e commettendo anco di peggio se di peggio avessero avuto i Francesi bisogno, ed egli protestò di farlo. Avvertito dei patti della resa se gli sentì appuntare al cuore come la cima d'una spada; però non mise tempo fra mezzo di condursi ai quartieri del Ludre per dimostrargli il debito, anzi la necessità di salvarlo ad ogni costo: respinto dal piantone schiamazzò, pregò e per ultimo minacciò: e furono parole perdute; convinto finalmente ch'ei diceva le sue ragioni agli sbirri, si apprese a nuovo partito il quale fu questo: salì sul tetto della prossima casa, e quindi arrampicandosi giunse a quello del quartiere del Ludre: qui rovesciò la lavagna murata ad angolo su la cappa del camino, e bravamente si cacciò giù per la gola fuligginosa. Mentre il comandante approfittandosi del tempo brevissimo stava per mettere fuoco ad un fascio di carte portate sul camino, ecco con molta paura rotolare giù una figura mostruosa, che non avrebbe così di leggieri riconosciuta, se non si fosse dato pensiero di gridare subito: — Non dubitate di nulla, signor comandante, sono il vostro confederato Mattei: ho sentito cosa alla quale mi riesce impossibile credere, voglio dire che quel traditore del Paoli non vuole ricevere a patti che i Francesi soltanto, in quanto a lui, cotesto ribelle di S. M. cristianissima, lo conosco capace di questo e di altro, ma voi spero, signor comandante, che siete quanta lealtà e quanto onore vivono nel mondo, rigetterete di certo il vituperio di simili condizioni. — Non istà in mio potere farlo: dopo la ritirata del marchese di Chauvelin non mi avanza scelta. — Voi vi disonorate... — Io? gridò il comandante, e gli si spinse contro con mano aperta per dargli uno schiaffo; poi si ritenne aggiungendo con ineffabile disprezzo; voi non meritate nè anco uno schiaffo; che debito ha con voi S. M.? Voi vi siete venduto, egli vi ha comprato, e a parere mio più caro di quello che meritavate; la è partita saldata. Uscite. Il Mattei voleva ripetere, e dalle labbra frementi e dagli occhi che schizzavano veleno si poteva argomentare di che razza parole, ma due granatieri lo acciuffarono, e lui repugnante e sbuffante di un solenne spintone cacciarono a capitombolare giù delle scale fino a mezza strada. — Cotesto modo di palesare la propria intenzione parve anco al Mattei tale da dissuaderlo a tentare da capo col Ludre; si provò a procacciarsi miglior ventura co' soldati; aveva dimessa ogni petulanza, dalla procacia trapassando alla più abietta umiltà, supplicava lo ricevessero nelle loro fila, sopportassero fingerlo camerata; la carità non fa macchia, o fatta, ella stingerla con le proprie mani subito; deh! non impedissero che vestita l'assisa soldatesca, si mescolasse fra i granatieri. La più parte di cotesti militi repugnava non comprendendo, o ricusando capire, che se il tradimento frutta infamia, metà appartiene a cui lo commette e metà a cui se ne approfitta; ma un sergente che già fu usciere di Parlamento, e risegnò lo ufficio affermando, che gli pativa meno l'anima di vedere ammazzare la gente colla spada che con la penna, chiesta ed ottenuta a parlare licenza osservò come il punto adesso stava nel ricattarsi; però più che mai abbisognare essi di gente devota che per un po' di danaro mettesse a repentaglio per loro anima e corpo: considerassero che incominciava allora la guerra: anco le spie comporre fra loro un'arciconfraternita, e di che tinta! questo rispettabile corpo si terrebbe offeso dello abbandono di uno dei suoi membri: non per lui certo, ma per proprio interesse persuaderlo a tenerlo bene edificato, non rifiutandogli l'ultimo rifugio nel quale confidava la sua salute. Cicerone non poteva orare di meglio nè persuadere più arguto: lasciarongli pertanto vestire la militare assisa e confondersi fra loro. Dalla rottura di una trincera incominciarono a defilare i vinti; volevano passare a due e a tre, ma venne loro impedito; e fu mestieri adattarsi a uscire ad uno per volta; mala parola era questa pel Mattei, il cuore gli s'impiccolì; pure nelle sembianze si mantenne sicuro; sperava sempre non badassero tanto pel sottile. A mano a mano che si accostava però gli venne fatto di notare con terrore, che Minuto Grosso con una schiappa di pino accesa stava agguardando tra ciglio e ciglio chiunque passasse; ora per maledetta disgrazia egli aveva pratica con costui; lo avrebbe riconosciuto di certo, denunziato, tradito; e il sudore freddo gli gocciolava lungo la schiena; ma forse sotto altre vesti poteva sfuggirgli, e poi Minuto Grosso aborriva restare lungamente a gola secca e l'acqua detestava quanto la sete; non era da credersi che giusto in quel giorno ei si fosse astenuto dal bevere; e gli tornava il cuore in corpo: intanto egli si avvicinava; ora la coscienza tormentandolo da capo gli faceva toccare con mano che Minuto Grosso non era stato preposto costà per nulla, e quello specolare uomo per uomo chiariva espresso che qualcheduno cercava; e il Mattei tornava a sdilinquire; ma su coraggio, che non vorrà riconoscermi, e farà la gatta di Masino: diavolo! avevano bevuto insieme; egli era come mettergli la corda al collo; non si tradiscono così i compari, gli amici, i patriotti.... — Eccolo là; pigliatelo, costui è il traditore. Queste parole tagliavano a mezzo le consolanti speranze del Mattei; e così stavano ammaniti a mettergli le mani addosso, ch'ei si trovò preso e legato quasi prima di essersene accorto. Qualcheduno dei granatieri francesi, certo spinto da indole generosa, fece atto di proteggerlo, ma in quel punto essendosi fatte sentire queste altre parole che pronunciò il capitano Decio: — Anche questa si doveva vedere! i granatieri di Francia coprire con la propria divisa un traditore. I granatieri rimasero impietriti; e dopo breve ora si allontanarono con celeri passi e fronte abbassata. Il Mattei tratto davanti al consiglio di guerra si voltò a destra, e con istupore ravvisando un suo parente esclamò: — Queste cose si fanno a un parente, Lorenzo? E quegli gli rispose: — Non ti si fanno come a parente mio, ma come una carne con Anton Francesco Gafforio, che vendè il sangue del fratello ai Genovesi. Allora colui piegò a sinistra e riconobbe in chi lo teneva il suo fratello: — E tu mi meni alla mazza, Liborio? Non sono più tuo fratello? — Sì, come Caino lo fu di Abele. — Compatriotti, ammiccando col capo in giro gridava, rammentatevi che sono dei vostri. — Anche Giuda fu degli apostoli. Breve il giudizio; riconosciuto e condannato. Oltre la _Relazione_, il signor Giacomo Boswell lasciò scritte parecchie memorie intorno ai fatti degni di ricordo, ch'ei vide; tra queste occorre uno scritto su la tragedia del Mattei, il quale merita di venire riportato con le sue medesime parole: «Condannato ch'ei fu, narra il dabbene inglese, immaginando che lo avrebbero spedito a suono di moschettate, e forse come era piuttosto da credersi con la corda, io aveva pensato di andarmene a cena e poi mettermi al letto, chè le fatiche della giornata mi avevano reso indispensabili il cibo e il sonno; dalle otto della mattina in poi non era entrato altro nel mio corpo che una libbra di pane, forse due dozzine di albicocche, un poco di lonzo (molto celebrato dai Côrsi, ma da farci poco capitale su), un tocco di formaggio di capra (delizioso in verità!) ed un pezzo di castrato arrostito, sicchè si poteva dire ch'io m'era quasimente digiuno: ricordo che, avendo voluto vedere l'ora che faceva, cavai l'orologio di tasca e postomelo sotto gli occhi mi balenavano così che non potei distinguere i numeri: allora compressi la molla perchè sonasse, e avrà sonato perchè nè allora nè poi lo rinvenni mai guasto, ch'egli era dei buoni, avendolo comprato a Londra da Doddy figlio e compagni, dieci lire sterline: ma non sentii nulla; tanto mi aveva intronato lo strepito della lunga battaglia; nondimanco al lume dei pini accesi scorsi consegnare il traditore a sei uomini, tra i quali un prete: essi lo legarono su la groppa di un mulo a mo' di sacco e lo ricopersero di una sargia nera; subito dopo montarono a posta loro a cavallo traendo sospiri e facendo atto di disperato dolore: — povera gente! gridava dietro il popolo, non meritavano questa angoscia. — La curiosità di sapere come andava a finire cotesta faccenda mi tolse per incanto il sonno e la fame: però considerando che se al sonno non poteva rimediare, lo stesso non era a dirsi della fame; andando sul cavallo mi empii le tasche di roba buona a mangiare; e comecchè perdessi qualche tempo, non mi fu difficile raggiungere la compagnia pel chiarore che mandavano da lontano le schiappe di pino; quando venni appresso di loro essi non mi salutarono: non m'invitarono a seguitarli, non mi respinsero; fecero le viste di non accorgersi di me: viaggiammo tutta la notte; l'alba ci colse in riva al mare dalla parte meridionale dello stagno di Chiurlino presso la punta di Arco. Scesero tutti e trassero il traditore da cavallo; già pareva fatto cadavere, ma la posizione diversa, la brezza mattutina o che altro si fosse gli ravvivò la faccia, onde ei rivolse attorno gli occhi consapevoli. — Nicolò, bisogna morire — disse uno della compagnia. — Come morire? rispose con fievole voce il traditore, io non mi vedo attorno che parenti; quei del mio sangue mi hanno menato qua per ammazzarmi? — I circostanti col capo accennarono di sì. — E voi pure, sacerdote di Dio, siete venuto qui per ammazzarmi? — Il prete lo guardò truce e non rispose nulla; però voltosi agli altri disse così: — Parenti miei pei meriti vostri e per quelli dei nostri illustri maggiori avete ottenuto che costui non morisse di corda, bensì fu commesso a voi farlo sparire dal mondo nel modo che paresse più onorato per noi, credete voi dopo ciò potergli lasciare la vita? — Agitarono tutti violentemente il capo da destra a sinistra. — Parenti, figli dei miei zii, fratelli miei, lasciatemi vivere; vi dono quanti denari tengo addosso, e quanti altri tengo sotterrati a Bastia. — Un potentissimo schiaffo gl'insanguinò le labbra mentre a coro urlavano d'intorno: — Taci. Il prete riprese a parlare: — Parenti, io vi accompagnai disperato di salvargli la vita del corpo, ma con ferma fiducia di scamparlo alla morte dell'anima; fatevi un po' in là tanto che lo riconcilii con Dio. — Questo non sarà, interruppe il più vecchio dei parenti; deve morire intero; anco Giuda rovinò disperato nell'inferno. — Ah! Lucantonio che bestemmiate mai! La misericordia di Dio ha sì gran braccia, che piglia tutto ciò che con pentimento vero si rivolge a lei. — Prete Barnaba, insistè il vecchio, io non costumo troppe parole: questo è il mio pensiero; voi mi siete nipote di fratello, vi ho allevato come figliuolo e più vi voglio bene; ora bisogna che scegliate a vedere me o lui in paradiso; perchè caso mai si salvasse, ed io lo avessi ad incontrare lassù, prima gli sputerei in viso, e gli spaccherei il cuore anche sulle ginocchia del Padre Eterno, poi direi a San Pietro, aprimi l'uscio, il paradiso non fa per me; vado all'inferno per vedere se ci tira miglior vento. Il povero prete levava ambedue le mani giunte al cielo per supplicarne Dio a turargli gli orecchi per non sentire coteste immanità, o almanco condonarle alla passione di quel fiero vecchio vissuto per sè e pei suoi fino a quel punto incontaminato; non durò molto cotesta preghiera, e pure bastò perchè nello intervallo tra la prima e l'ultima parola un'anima fosse cacciata per violenza fuori del suo corpo mortale; il vecchio di un colpo in mezzo al cuore lo freddò; poi vedendo che gli altri parenti si allestivano di sparargli addosso i propri schioppi, ne rialzò la canna dicendo: — Basta; ei non valeva una carica; voi serbate le vostre pei nemici della patria. Il prete a sentire lo scoppio era caduto in ginocchioni esclamando: — Signore, perdonalo. Intanto i parenti dopo aver frugato sottilmente il cadavere, e levatogli da dosso tutto quello che si trovava di contante, lo avvilupparono dentro la sargia nera, e al collo e ai piedi gli legarono due enormi sassi; quindi cercata e trovata una delle barche che colà solevano ordinariamente dar fondo per la pesca dello stagno, in quella deposero il corpo, e dato mano ai remi andarono in alto mare dove lo precipitarono. Il vecchio ch'era rimasto sulla riva, mostrando allora accorgersi della mia presenza, mi strinse il braccio dicendo: — Signore inglese, voi racconterete ai vostri come si puniscono i traditori in Corsica. — Tuttavolta, io risposi, salvo l'onore vostro, mi pareva che un po' di sepoltura cristiana non avesse guastato nulla. [Illustrazione: .... senza pigliare nè cibo nè riposo, nella notte picchiò di casa in casa, levando i mariti dalle braccia delle mogli. (_Cap. IX._)] E l'altro con piglio severo: — No signore, sarebbe stata cosa indegna ch'egli dormisse nel seno della madre che aveva tradito: i traditori non appartengono a veruna religione — e mi voltò le spalle. Meditai profondamente su cotesto fatto; guardandolo con occhio inglese mi si aggricciavano le carni; mi provai considerarlo sotto altri aspetti e mi parve che potesse stare. Tanto è, i santi vanno veduti nelle loro nicchie; però quel danaro grancito addosso all'ammazzato mi tornava a gola; il sospetto dell'avara crudeltà guastava ogni più benevola interpretazione. Parecchi giorni dopo mi abbattei per le vie di Corte nel medesimo vecchio; vestiva a lutto, e camminava con la faccia bassa; scosso dal mio saluto la sollevò a stento; povero uomo! in pochi giorni aveva vissuto anni, e di quelli ultimi che mettono proprio capo al sepolcro: pensai di offrirgli una presa di tabacco per pigliarne occasione di scoprire marina; ma devo confessare a mia lode, che detestai subito lo spediente come ipocrito e ingeneroso, avrei voluto vincere la mia curiosità, ma non potei, che questa malattia mi ha messo il tarlo nelle ossa, onde scegliendo mostrarmi piuttosto che finto impronto, domandai: — Qualche nuovo dolore?... — E oh! quanto grande!... quanto grande mio Dio! — e pianse come un bimbo battuto. — Chi affanna sa consolare... — Ormai mi sento in fondo di angosce e di consolazioni; tra breve Lucantonio terrà dietro al meschino Barnaba... — Barnaba! Il prete è morto? — Ohimè! quell'angiolo volò al paradiso, voglio dire ce lo hanno fatto volare, perchè se dipendeva da lui sarebbe rimasto a chiudere gli occhi ai poveri genitori. — O come l'è andata? — mi scappò senza che la potessi agguantare, ma il vecchio riprese: — Vi rammentate che pigliammo la moneta che trovammo addosso al traditore? — E come! soggiunsi io, ed egli: — La consegnammo al prete, perchè egli la riportasse ai compratori di cotesta anima dannata; e il prete a giorno alto si recò a Bastia dove chiese di parlare al generale; caso volle lo menassero dal conte di Marbeuf, il quale non rimase morto, bensì ferito nella spalla: e siccome la piaga lo costringe a starsi lungamente inoperoso, si arrovella come cane arrabbiato e giura d'impiccare con le sue mani quanti religiosi gli capiteranno sotto. Intromesso da lui il prete Barnaba gli disse, che gli riportava il prezzo del tradimento, e forse avrà anco aggiunto, perchè me lo promise, che ai popoli grandi se non piace la giustizia dovrebbero almeno astenersi dalla viltà: i Francesi avere a vincere col ferro non coll'oro; massime i Côrsi, che di petto a loro erano, si poteva dire, come una mosca accanto all'elefante. Gli uomini quando mancano di scusa rispondono con le ingiurie, però il Marbeuf stizzito favellò: — I preti sogliono col prezzo del sangue comperare campi; di fatti con quello di Giuda non acquistarono il terreno del pentolaio? Prete, tenetevi cotesto denaro: il vostro cugino se lo guadagnò in buona coscienza. Prete, il danaro non manda puzzo, e questo attestò l'imperatore Vespasiano a Tito quando gli pose sotto al naso la moneta del dazio su i cessi. — Il cugino Barnaba era un agnello di mansuetudine, tutto pazienza, tutto amore di Dio: ma Graziano, che gli stava accosto, lo vide alle provocazioni del malnato conte diventare bianco come il lenzuolo, e prima che lo potesse impedire, il cugino Barnaba gli allungò uno schiaffo così potente che dal seggiolone dove stava seduto il conte stramazzò in terra. Ne nacque un tafferuglio da non si potere con parole raccontare. Graziano si approfittò della confusione per svignarsela, e come a Dio piacque gli venne fatto; prete Barnaba rimase senza muovere passo nè mostrar paura: preso, bistrattato e battuto non fiatò; accusato non si difese, condannato non maledì; solo quando venne tratto sopra la piazza di santo Nicolaio, a voce spiegata intuonò il _Te Deum_; e poichè giunto sul luogo non lo avea finito; chiese in grazia glielo lasciassero cantare fino in fondo; la quale cosa ottenne; dopo il _Gloria Patri_ piegò i ginocchi e le palle soldatesche ruppero quel petto dentro al quale l'amore di Dio e della Patria stavano come dentro al santo ciborio: ahimè! povero prete Barnaba, la tua morte mi ha rotto le ossa e l'anima: e adesso mi consumerò desolato per essere privo della tua cara faccia e più ancora per non poterti vendicare.» Qui finisce su questo fatto il giornale del signore Giacomo Boswell intorno al caso del Mattei di Lota traditore della Patria. Per la presa del Borgo vennero in mano dei Côrsi 1700 schioppi, tre cannoni, dodici barili di polvere, diciassettemila cartocci, oltre ad inestimabile quantità di attrezzi ed altre munizioni da guerra, le quali nelle angustie in cui si versavano i Côrsi, furono provvidenza di Dio. I Francesi che vittoriosi avevano ricusato concedere tanto di tregua, la quale bastasse a consultare la volontà del popolo intorno ai provvedimenti di suprema salute, adesso, vinti, mandavano i padri serviti Caracciolo e Marazzani a chiedere sicuri i quartieri da inverno: rispose il Paoli, che sicurissimi e' li potevano avere tornandosene a casa, e lasciando senza invidia ai Côrsi poveri tugurii; ma poichè questo a loro non garbava, offerse starsene quieto, a patto che essi si ritirassero nei presidii; nè anche ciò piacque; onde la guerra durò moltiplice, varia di fortune, copiosa di morti, eccitamento a offese più acerbe. CAPITOLO VIII. Gioco del Lotto Ah! se sapesse il mondo il cor che egli ebbe. Dante In una giornata d'inverno lugubre, quando tutti gli oggetti paiono tinti in colore di cenere, e dal cielo piove acqua e fastidio, il generale Paoli, solo nel suo studio, stava scrivendo una lettera; e' pare che si trattasse di faccenda seria, perchè risparmiando l'opera del segretario, ei si piegasse contro il suo costume a scrivere da sè; questo giudizio poi avrebbe raffermati due cotanti il doppio, quale avesse visto il generale rimpiattare precipitoso il foglio sotto altre carte, appena sentì girare la stanghetta della porta: quindi voltando un po' risentito la testa, domandò: — Chi è? — E stava per aggiungere qualche parola di rimprovero, ma al comparire che gli fece davanti la placida faccia del signor Giacomo Boswell sempre vestito color di piombo, sempre dondolante la sua tabacchiera nelle mani, sempre atteggiato dalla perpetua sua curiosità a punto d'interrogazione, sentì, nonostante le cure, passare nella propria anima l'aura soave che spirava dall'anima dell'inglese dabbene. — Orsù, incominciò il Boswell, io vengo a dirvi addio, e certamente sarebbe questa l'ora più trista della mia vita se vi lasciassi senza la speranza di rivedervi in breve e di operare durante la mia breve assenza in pro' della vostra patria e di voi. Il Paoli tentennato il capo, rispose: — Ah! mio caro, ormai io temo la sia spacciata per la mia patria.... — Come questo? Mi parve all'opposto che ella non provasse mai miglior fortuna, nè fama più grande di adesso.... — Può darsi in quanto a fama; rispetto a fortuna, o Dio! ella si disfà nelle sue vittorie.... — Non capisco, voi avete vinto al Borgo, a Migliaia, a Olmeta, all'isola Rossa, a Murato e in cento altri scontri; ciò reca animo a voi, sconforto ai nemici. — Ogni scontro ci apre una vena, e il sangue gronda da tutto il nostro corpo; ai Francesi poco nocciono le morti, meno le ferite: per uno che ne muoia ne surrogano quattro vivi: se vincono, pigliano baldanza, se perdono, raddoppiano la pertinacia e le forze. Tutte le nostre vittorie non impattano la presa di Barbaggio. — Bene; vorrete darmi ad intendere disperata la fortuna côrsa perchè espugnarono un villaggio e fecero forse un 250 prigioni? — Cotesto villaggio apre e serra il Capo côrso; i 250 prigionieri sono i migliori soldati ed ufficiali che possedesse la Corsica. Ogni giorno noi ci stremiamo e i Francesi su 38 vele scortate da tre fregate e due sciabecchi hanno a questi giorni spedito otto battaglioni di rinforzo; segreti avvisi mi annunziano prepararsi per la primavera una spedizione con il conte di Vaux a capo, e 40 mila uomini di accompagnatura; munizioni copiosissime, tesoro infinito; premio dell'impresa il bastone di maresciallo al capitano. E come tanto non bastasse ad assicurare la vittoria, dopo impugnate le armi dei forti non trascurano le vili, comprano il tradimento, forse anco l'omicidio; certo è che spingono a prezzo d'oro il fratello a insanguinarsi con la strage del fratello. — Benissimo. Ciò contrasta a quanto mi venne referito, che il reggimento real côrso al soldo di Francia, avendo dichiarato che non patirebbe combattere contro la patria, ne ottenne scusa. — Anzi plauso: vecchie lustre, che presero e prenderanno fino al terminare dei secoli i credenzoni; intanto i Buttafoco, il Boccheciampe arrolano compagnie côrse in Bastia, il Capitano Cannocchiale in Tavagna, i Fabiani nella Balagna. — E voi che fate? — Io? Chi posso impiccare, senza misericordia impicco; altri a cagione delle grandi aderenze e del pericolo d'inimicarsele bandisco: chi non arrivo, lascio stare — insomma mi trovo al verde; appena faceste rumore all'uscio mi prese vergogna e nascosi un foglio; ora mutato consiglio io ve lo vo' mostrare, perchè giudichiate a che termine siamo ridotti, e perchè mi sembra che ciò faccia più scorno al mondo che a me. Qui cavò il foglio e lo pose sotto agli occhi del Boswell, che si schermì un pezzo da leggerlo; vinto poi dalla curiosità propria e dall'insistenza del Paoli lesse: «la prego farmi il solito gioco alla benefiziata con la estrazione de' numeri praticata altre volte. Alla signora monaca suora Maria Domenica Rivarola a Livorno. Corte, 9 gennaio...» — Il signor Giacomo levando il capo, soggiunse: «e questo cosa vuol dire?» — Vuol dire, che mi bisogna confidare al giuoco del lotto la salute della patria. — O le prese del capitano Lazzaro Costa? — La prima volta su le spiagge di Provenza s'impadronì di una tartana con 334 barili di polvere e qualche cento schioppi; la seconda qui presso Aiaccio di un'altra tartana che portava sei ufficiali, 64 mila franchi, e non so che altre masserizie d'oro, una fava in bocca al leone. Il Boswell rimase pensoso, e dopo avere picchiato due o tre volte la tabacchiera, disse: — Io vado in Inghilterra; non vi prometto troppo, perchè dopo il mantenere poco, il promettere troppo sia ciò che massimamente detesti; ma se il governo non vi aiuta, non istarà certo nè pei miei amici, nè per me: solo vorrei che voi figurando entrare nei miei piedi mi suggeriste un po' che cosa avessi a dire. — S'io fossi in voi, parlerei così: Inglesi, voi vi date vanto di emulare i Romani; e certo lo dovete, imperciocchè non si arrivi senza il consenso di Dio alla suprema altezza, la quale impone obblighi alla stregua dei doni; dove il popolo fatto grande trascuri il debito di difendere il debole, di promuovere il bene degli uomini, di schermire la libertà, commette peccato, diventa inutile, distrugge le cause della sua vita, prendono a combatterlo di fuori l'odio, dentro lo sfinimento, e languisce maledetto come le cose maligne abbandonate dalla potenza. Volete vedere, aggiungerei, come si comportassero i Romani coi deboli minacciati da ingiusti potenti; leggetelo nel capit. VIII del libro I dei Maccabei. Il Paoli prese la Bibbia e ad alta voce lesse: «e Giuda ebbe contezza dei Romani e della loro possanza, e come concedessero quanto loro si domandava e pigliassero in protezione chiunque a loro si accostasse; — sentì delle loro guerre e delle imprese fatte nella Galazia, la quale vinta avevano sottoposta a tributo; — e le grandi cose operate nella Spagna e come si fossero insignoriti delle miniere dell'oro e dell'argento governando il paese colla pazienza e col senno — terre lontanissime soggiogassero, rompessero re mossi a danno loro dalla estremità della terra, gli stritolassero, con fiera battitura li percotessero; gli altri poi avessero accolto a patto di tributo annuale; Filippo e Perseo re dei Macedoni scopertisi nemici prostrassero in battaglia; — e con pari ventura mandassero Antioco il grande re dell'Asia sceso in campo con 120 elefanti, cavalli, carri e potentissimo esercito; e preso che l'ebbero ordinarono pagasse un grosso tributo in perpetuo e desse ostaggi secondo il convenuto; le provincie conquistate, copiose di beni, donarono a re Eumene. «Ora quei della Grecia avendo disegnato di abbatterli, essi lo seppero e andarono sotto il comando di un capitano a fare battaglia con loro, molti ne uccisero, le mogli e i figliuoli ridussero in ischiavitù, disertarono il paese, occuparono le terre, sovvertirono le mura, i superstiti fecero servi come anco adesso sono. Con quelli poi che loro amici si protestavano e alla loro fede si commettevano mantenevano lega, regni prossimi o lontani donavano, perchè dovunque giungeva il nome di loro li temevano forte. — Quelli che essi consentivano a lasciare sul trono regnavano, gli altri cacciavano, sicchè in ogni parte gli esaltavano; e non pertanto veruno tra loro portava diadema, nè porpora per pompeggiare con quelli; bensì avevano eletto un senato dove ogni dì 320 persone deliberavano le faccende del popolo per fare quanto credevano spediente; a capo di anno conferiscono il maestrato ad un uomo perchè regga lo stato: gli obbediscono tutti senza invidia nè gelosia fra loro. Allora Giuda deputò Eupolemo figliuolo di Giovanni, e Giasone figliuolo di Eleazaro per mandarlo a' Romani a stringere lega d'amicizia con essi; affinchè gli liberassero dal giogo dei Greci, considerando come questi s'industriassero a ridurre in servitù il regno d'Israele. E quelli andarono a Roma, che fu lungo cammino; dove entrati in senato favellarono così: Giuda Maccabeo, i suoi fratelli ed il popolo dei Giudei ci mandarono a voi per fermare lega e pace con voi, e perchè ci scriviate tra i confederati ed amici vostri. E la proposta piacque. Ecco il rescritto il quale inciso sopra lastre di bronzo spedirono a Gerusalemme perchè vi stesse pei Giudei monumento di questa pace e confederazione: «Felicità ai Romani ed alla gente giudea in mare e in terra eternamente: lungi da loro la spada e il nemico; che se i Romani o taluno dei loro confederati si troveranno primi in guerra, la gente giudea darà soccorso con pienezza di cuore secondo la ragione dei tempi; e ai combattenti Giudei non somministreranno armi, nè danaro, nè navi, così essendo piaciuto ai Romani, e quelli obbediranno senza pretenderne soldo. Parimente se prima la gente giudea avrà guerra, i Romani la sovverranno con animo pronto, giusta la qualità dei tempi; e agli aiuti romani non somministreranno i Giudei armi, danari o navi, così piacendo ai Romani, e gli aiuti obbediranno senza frode. Questo è il patto fra Romani e Giudei. — Oltre a ciò rispetto alle ingiurie arrecate loro dal re Demetrio gli abbiamo scritto di questo tenore: «per quale cagione hai tu reso più duro il giogo ai Giudei amici e confederati nostri? Se dunque essi ricorreranno di nuovo a noi, noi faremo loro giustizia movendoti guerra per terra e per mare.» Tali i Romani favellavano, tali erano; non basta gridare: _civis romanus sum_; bisogna sentirsi nel cuore e nelle braccia romano; queste cose dite ed altre che saprete aggiungere di vostro, e forse vi ascolteranno. — Bene; e voi sperate che in questo modo verremo a capo coll'Inghilterra perchè pigli andatura degna? — Ho detto forse; certo non mi nascondo punto che i nobili vi sono superbi, le plebi abbiette ed i borghesi intenti ai guadagni, ma non tutti così; e poi anco i pessimi colà amano il vivere libero; ora la libertà non è, come i borghesi pensano, un bel cappone da metterlo in istia e mangiarselo a Natale in famiglia. — Sì bene la libertà non è un cappone per metterlo in istia.... — E fate loro toccare con mano che la libertà, fra tutti gli astri bellissimo, per diffondere di raggi non iscema luce; la sua vita sta in questo, ricevere lume da Dio e tramandarlo ai mortali. Il giorno nel quale le impediranno il santo ministero, ella ripiglierà il cammino del cielo come l'operaio terminato il lavoro torna a casa; e la notte della tirannide calerà su tutto il mondo. — Addio dunque, signor Paoli: il tempo stringe così che far subito non mi parrebbe presto abbastanza; vi prego dei miei saluti al rispettabile vostro signor fratello Clemente e a tutti gli altri egregi uomini e dilettissimi amici, massime al signor Altobello, — e già da un pezzo teneva in mano la destra del Paoli e la squassava con forza bastante a stiantare una imposta dalle bandelle; finalmente si staccò, e il Paoli comecchè si sentisse indolenzito fino alla spalla, pure facendo bocca da ridere si ammaniva ad accompagnarlo in istrada per metterlo a cavallo, quando di botto il signor Giacomo si voltò a Nasone e gli disse: — Mi rincresce proprio, Nasone, di andarmene senza lasciarvi un pegno che valga a rammentarvi la stima in che vi ho, e lo amore che vi porto. La natura avendo pensato a farvi le spese in quanto a vestiario, qualcheduna delle mie spoglie non sarebbero al caso. — Intanto aveva stesa la mano, e il cane intendendo ottimamente che si cercava la sua zampa, gliela porse; così stretti insieme faccia appuntata a faccia, il Boswell proseguì: — Anelli non sono adattati per le vostre dita, e poi non convengono ad uomo, nè a cane libero; rispetto ad ore voi vi servite del sole, sicchè avente in tasca gli orologi di Doddy figlio e compagno di Londra con tutti i fabbricanti di orologi nel mondo. A tutte queste cose il cane rispondeva; come rispondeva? Sì signore, ei rispondeva in due maniere, e però con una più che non saprebbe fare l'uomo, con uno schiattìo e con uno agitare della coda; ora questo ultimo è fuori della potestà dell'uomo. — Ma, riprese il Boswell, affatto affatto senza ricordo non vo' che ci separiamo, prendetevi queste che ordinai apposta per voi — e rovesciatosi le tasche ne versava una pioggia di ciambelle di farina e mele; il cane non assuefatto a cotesto lusso, stette da prima in forse s'e' fossero per lui; poi rassicurato da un cenno, svincolata la zampa, ci si avventò sopra infuriato menandone strage, mentre che il signor Giacomo con voce melanconica terminava il suo discorso: — Tutto passa nel mondo, le nostre sensazioni, i nostri affetti e noi, e nondimeno desidero, Nasone, desidero e spero che serberete memoria di me anche quando avrete mangiato e digerito le vostre ciambelle che ho impastate colle mie mani, e fatte cocere sotto i miei occhi. Quantunque la parte finale della orazione fosse senza dubbio la più commovente, bisogna confessarlo a scapito della fama dei cani in generale, e di Nasone in particolare, fu la meno ascoltata; il Paoli, che pure non aveva costume di ridere, si sentì costretto a mettersi una mano su i labbri perchè non si aprissero; però nel tempo stesso ei fu obbligato a levarla fino sugli occhi, parendogli che qualche cosa, come sarebbe un bruscolo, stesse sul punto di farglieli lagrimare. * * * * * Difatti Altobello d'Alando era stato preposto col comandante Carlo Raffaelli alla custodia del Borgo; cotesto luogo come un calcio in gola molestava i Francesi, imperciocchè oltre a tenere difesa tutta la Corsica, offeriva posta unica per vigilare le mosse del nemico, sorprenderne le frazioni, apparecchiargli imboscate; insomma con ogni maniera di fastidii tribolarlo; non pareva spediente al comandante francese tentare di ricuperarlo, ma d'altra parte studiavasi il modo di rintuzzare la baldanza del presidio; su tutti preso di mira Altobello, come colui che le arti della milizia unendo agli audaci accorgimenti della guerra guerreggiata arrecava danni quotidiani e insopportabili. La madre Francesca Domenica, affermando che starsene lontana dal figliuolo le pareva rimanere senza cuore, aveva tenuto dietro al figliuolo al Borgo, e Serena considerandosi e considerata ormai sposa di Altobello ci seguitava la socera; le donne si erano accomodate in certe stanzette dove sembrava loro albergare come in paradiso, dacchè Altobello quasi ogni dì andasse a passare parecchie ore con esse loro. Bene o male che facesse, egli costumava tacere le fazioni, che era per imprendere, le raccontava compite, sicchè quelle donne cominciavano a sentirlo rabbrividendo, e diventando bianche come panni lavati; quando poi giungeva in fondo del racconto il cuore palpitava più forte, e il sangue sobbolliva loro nelle vene, nell'orgoglio di avere un tanto figlio e un tanto amante. — Buona sera, Altobello, scotendosi giù dal pilone copia di neve fioccatagli addosso, disse un uomo dalla soglia del quartiere del giovane ufficiale verso l'un'ora di notte di una rigidissima giornata di gennaio; buona sera; dove diavolo siete? O perchè non avete acceso il lume? — Chi siete, e perchè m'importunate? A me piace stare al buio. — Via, accendete la lucerna, mi ravviserete alla faccia, giacchè della mia voce non vi ricordate più. Altobello appena ebbe fatto lume esclamò: — To', Bastiano, come sei qui? — Con le mie gambe, padrone; prima di tutto ecco qui un broccio che ho fatto proprio per voi; una volta vi piaceva tanto, e spero che i viaggi non vi avranno fatto pigliare in uggia la roba di casa. — No davvero, ma donde vieni? — Adesso di poco lontano; ma fin qui stetti pei poggi a pascolare le bestie di casa, or fa due giorni mi mandò a chiamare sciò Mariano, perchè si sentiva male e credevano che morisse; stamane parve si sentisse un po' meglio, e chiamatomi mi ha consegnato una lettera perchè ve la portassi al Borgo; io per rivedervi, dopo tanto tempo, ve l'avrei portata a casa del diavolo; però ho preso un paio di brocci tanto per non venire con le mani in mano, mi son messo la via tra le gambe ed eccomi qui co' brocci e con la lettera. — Dà qui la lettera, e i brocci porterai a casa, perchè mamma Francesca Domenica è venuta a tenermi compagnia a Borgo. — Veramente sciò Mariano mi ha raccomandato di consegnarvi la lettera senza che persona se ne accorgesse, ed anco di non farmi vedere da alcuno, ma certamente egli ignorava che si trovasse con voi la Francesca Domenica. Altobello aperse la lettera, la lesse di un tratto; tornò quindi a leggerla a riprese, soffermandosi per pensare sopra ogni periodo; alla fine disse: — Bastiano, e ti è parso veramente che mio fratello si trovi a mal termine? — Io l'ho sentito lamentarsi notte e giorno. — Bastiano, ma dal viso, dalla persona, questo suo gran male apparisce? — In quella sua faccia gialla si legge come in cotesta lettera mentre era sigillata, quanto a mangiare, per quanto mi sia accorto io, non ha mangiato, ma sciò Mariano fu sempre di poco pasto, sia che voglia acquistarsi il paradiso in virtù di digiuni non comandati, o che altro; bisogna dunque starci a quello che dice; e quello ch'ei dice è che si sente vicino a comparire davanti a Dio, e che ha commesso di peccati grossi, massime contro voi, e crede fermamente che andrà dannato dove non vi abbia chiesto e voi datogli perdono; poi non so altro, e d'altro non m'intendo. — E in casa ci hai tu visto gente? — Nessuno; però date retta, mentre usciva per venirmene a voi, una maniera di scimmia, una sconciatura di zitella, o donna che fosse, grama e colore di foglie di castagno quando cascano, mi passò d'accanto montata su di un cavallo; andava via come una saetta e per poco non m'investì; intanto che mi volto per dirle; a rotta di collo, la vedo ferma dinanzi la porta di casa sciò Mariano, scende, getta le briglie sul collo al cavallo, che rimane lì come impietrito, ed in un attimo entra; altro non so. — Bè; fatti insegnare la casa di mamma, tu troverai con lei un'altra persona; salutale ambedue, e di' loro, che se per istasera non mi vedono non istieno in pensiero; tu puoi fermarti finchè non ritorno. Bastiano uscì; egli era il pastore di casa Alando; fino a pochi dì innanzi erasi trattenuto con le mandre su i poggi lasciando mano a mano i più alti per ridurle secondo il solito nel core del verno alle marine; del successo fra i fratelli Alando non sapeva molto; però estimavasi sempre uomo di tutti e due; poco si sentiva propenso verso Mariano, e dalle sue parole si è potuto argomentare; pure lo riveriva come il maggiore di casa, e la poca pratica che teneva con lui non gli dava balìa di conoscere i suoi vizii ed abborrirli. Altobello, riponendosi la lettera in tasca, disse: — quello che si vuol fare facciasi presto; i primi pensieri dell'uomo, se seguitati, lo menerebbero al Campidoglio; se aspetta, gli ultimi lo spingono alla forca; — scese e sellò il cavallo sempre ragionando tra sè: — l'anima in questo rassomiglia il suo astuccio, ch'è il corpo; l'uno va tre miglia o quattro, al quinto non arriva; l'altra basta a due colpe, basta a tre; la quarta, come troppo pesa, non può portare; ladro, e spergiuro già è molto, e tra spergiuro e traditore, tra ladro e assassino pure gran tratto ci passa: a ogni modo andando subito non si dà tempo alla insidia. Però, deciso di rendersi alla chiamata del fratello, non gli parve poi dovercisi fidare tanto da dissuaderlo di pigliare lo schioppo, e tentare se la polvere nello scodellino delle pistole andasse a dovere. Ratto si pose in via, e correndo per sentieri a lui e al cavallo conosciuti, presto fu giunto: parve non lo attendessero, perchè dopo aver domandato chi fosse, lo fecero aspettare un pezzo; alfine la cognata aprì strillando: — Siete voi! siete voi! siete voi! E in mano teneva un lume in agonia; Altobello con molta ansietà domandava: — E Mariano come si sente? — Come si sente? Adesso vado a domandargli che cosa vi devo rispondere. E lo lasciò al buio: dalla stanza accosto si sentiva un rammarichio incessante e smanioso come da persona presa da colica: ad Altobello parve ancora sentire aprirsi una finestra, e romore di cosa che si gitti via e poi richiudersi con prestezza pari; ma questo scarico dalle finestre della camera di un infermo non era cosa per un Côrso da badarci, poichè essi sani od ammalati giudichino la finestra come la via più naturale di buttare fuori di casa tutto quanto non può convenientemente farci dentro dimora. In questa tornò la cognata, e disse: — Male, male, ma ora capite non vi può ricevere — e fatto un cenno, soggiunse: — Avete capito? — Sfido a non capire: ho inteso perfettamente, aspetterò. Allora la donna, sempre in chiave di falsetto: — Avete fame? Volete pane? Volete cacio? Volete _micischia_? Volete lonzo? — E senza attendere risposta uscì portandosi il lume, tornò dopo tratto non breve con una mezzina di acqua, e postala sulla tavola disse: — Intanto rinfrescatevi; l'acqua della mia cisterna porta il vanto su tutte le cisterne di Corsica. E via da capo col lume, che dibattendosi contro l'agonia quasi per miracolo si manteneva vivo. Altobello non poteva astenersi da sorridere alla vista di tanta miseria; egli era chiaro, che da quel lume in fuori in casa non ne accendevano altri, egli già incominciava a spazientirsi, quando la cognata aperse l'uscio della camera dicendo: — Venite Altobello, fatevi pure avanti, che Mariano ha finito. Entrando si fece di posta una stincatura dentro una seggiola, da tanto che mandava luce la lanterna; un odore insopportabile gli assalse a un punto il naso e la gola; pure andò innanzi a tastoni guidato dal guaire del fratello. Vuolsi credere che con molta tenerezza non gli avrebbe favellato mai, ma ora sbalordito dalla puzza travagliato dal dolore acuto del ginocchio percosso, egli quasi latrando gli domandò: — Come vi sentite, Mariano? — Soffro come un dannato. — Vedo che venni in mal punto; non mi pare tempo di discorrere adesso; tornerò un'altra volta, intanto vi manderò un medico dal Borgo con Bastiano. — No, no, non ve ne andate, gridò vivamente Mariano levandosi a sedere sul letto; questi atroci dolori cominciano a passarmi, un po' d'acqua, Lucia... dov'è andata quella donnaccia? Dove sei, maledetta da Dio? — Mariano, Mariano, oh! non lo vedi che ti sto accanto: la colpa è del buio, vuoi che accenda un altro lume? — Sta ferma; mi vorresti acciecare, neh! la luce mi offende gli occhi come ferro rovente: e poi nel bello stato in cui ci troviamo, scialacquare l'olio, eh! sciattona... Ebbe l'acqua, bevve a centellini, tornò a guaire, tacque, si riposò tanto che Altobello incapace a tenersi più a lungo: — Orsù, disse levandosi in piedi, tornerò domani.... o domani l'altro. — No, potrei morire sta notte, fermatevi. Altobello rimase; allora Mariano incominciò, come se si confessasse, ad esporre in qual modo il peccato dell'avarizia prendesse a mettergli le barbe nel cuore, e come aumentasse, a quali deplorevoli fatti lo spingesse; aveva un bel ripetergli Altobello confiderebbe queste cose con più frutto al confessore; Mariano voleva dire, e dicendo s'infervorava così, che agli accenti mostrava non essere in termine di moribondo; poi giù giù scese a descrivere minutamente le infamie di Corte, e al fratello, invano ripetente saperlo anch'egli pur troppo, non importare nè giovare rinfrescarle adesso, se ne tacesse per sempre, o meglio ancora si obliassero; volle dirle e ridirle; chiese perdono in più modi e in tutti gli venne facilmente concesso. Da questa parte non ci era più nulla; allora si attaccò a ragionare dei lasciti, dei funerali e delle messe, ma Altobello gli troncò riciso le parole in bocca osservandogli, che di questo potria ragionare a suo bell'agio nel testamento. — Qui entrò su le difficoltà di avere il notaro, e Altobello gl'impose silenzio accertandolo in qualunque modo avesse rinvenuto scritte le sue volontà le avrebbe osservate punto per punto. — Di botto gli capitò in mente un trovato, ma prima dando di un gomito nelle costole di Lucia urlò — Va su, scimunita, a vedere se l'uscio è ben chiuso. — Ohi! Ohi! è chiuso sicuro... [Illustrazione: ... Si vedevano scaturire canne da schioppi e berretti appuntati da metter il ribrezzo addosso anche ai più audaci. (_pag. 315_)] — Va cionostante a vedere, e richiudi prima. Altobello tra irritato e avvilito disse: — Parmi che abbiate ripreso lena: il male non sarà grave come temevate; il mio perdono lo avete avuto, lasciatemi andare a vedere mamma, che per la mia prolungata assenza adesso sta in pensiero. — Fratello, non mi basta il vostro perdono; io voglio ricuperare la benevolenza dell'inclito nostro concittadino il generale; la fortuna me ne ha porto il destro, ma senza voi non posso far nulla; non importa, io mi sento davvero letificato di spartire con voi la gloria di questo fatto; voi ne accrescerete la vostra, io salderò col nuovo onore la vergogna vecchia. — Or bene via, spicciatevi, che l'ora si fa tarda, e udite... questo tuono minaccia pioggia. — E vi accorgerete, che quando ne va della salute della patria pregio il danaro meno della pula del grano. — Dunque? — Voi avete a sapere come il signor conte di Marbeuf, volendosi vendicare a ogni patto dell'archibugiata sparatagli contro da padre Bernardino, ha deliberato di tendergli una trappola quinci oltre, dacchè il frate dabbene bazzica per questi luoghi più che non dovrebbe; però mi ha fatto ricercare d'imprestargli la mia casa per rimpiattarci venti granatieri: egli stesso verrebbe a capitanare la fazione: voi capite bene, Altobello, che bisogna concedere a colui che può pigliare; nondimanco ho chiesto tempo a riflettere, e del tempo mi valgo per consultare la vostra opinione. — La mia opinione è, che se mi aiutate ad arrestare questo carnefice di conte io vi regalo di mio cinquanta luigi di oro. — Cinquanta luigi di oro! Che dite? Ma proprio in verità! Lo giurereste da cristiano battezzato? Oh farebbe il doppio.... In questo si udì strepito di arme, e lo scatto di molte molle di acciarino quando s'incarca: al punto stesso sonò lugubre tre e quattro volte lo _scuccolo_. Altobello traballando di orrore non già di paura mandò un urlo straziante: — Gesù mio, ch'è questo mai? Si spalanca l'uscio, otto o dieci moschetti sono appuntati sopra di lui; dietro a questi si attengono altri granatieri; ogni resistenza sarebbe non pure temeraria, ma stolta. Un sergente dei granatieri così gli parlò: — Su da bravo, fortuna di guerra; voi siete prigione di Sua Maestà. Altobello non rispose parola, si voltò per fulminare con lo sguardo il fratello rimasto sul letto; ma egli era scomparso senza che ei potesse indovinare il come. Lo frugarono, privaronlo dell'arme e del danaro, poi lo incatenarono per la mano destra e per la gamba sinistra; egli si lasciava fare come smemorato; così lo aveva percosso l'inaudito tradimento che non gli pareva sentirsi più uomo. Finalmente dalla camera venne tratto nella prima stanza, e quivi con nuova meraviglia, al lume di uno dei lampioni portati dai granatieri francesi, contemplò intorno alla tavola posta nel mezzo quattro strane figure; il suo fratello Mariano che contava monete di oro, un ufficiale francese che gliele contava, la cognata Lucia che batteva le mani e strillava: — Quattrini! quattrini! per ultimo il pastore Bastiano che girava il capo dalla destra alla sinistra spalla a mo' di pendolo da orologio. Altobello lanciò su Mariano gli occhi acuti quanto coltelli, ma costui co' suoi fuggiva pauroso che gli fossero feriti; non aveva membro che gli stesse fermo, e tuttavia ostentando petulanza diceva: — Bisogna pure rifarci, caro fratello; — questi luigi mi pagheranno la pigione di casa donde mi avete fatto cacciare via, e le spese dello sgombero. — Come! esclamò l'ufficiale francese restandosi dal contare con una moneta in mano, questo uomo che ci consegnate è vostro fratello? — Già; da ciò vedete che lo rubate mezzo per venticinque luigi... quanti ne avevamo contati? — Ventidue... — Mi pareva ventuno. — E non saranno nè manco se voi non ci rimettete quelli che avete rubato e che ora tenete in mano, e la vostra degna consorte non cava fuori gli altri che si è rimpiattati in tasca. — — L'aveva fatto per distrazione sapete! perchè la Dio grazia casa Alando ha onore da vendere... — Si vede; e voi signora perchè avevate grancito il luigi? — Io? distrazione... Dio grazia... casa Alando... onore da vendere... rispose singhiozzando la donna. — E tre venticinque, si affrettò a dire l'ufficiale schifato da tanta sozzurra; ma poi ravvisandosi e prendendo un'aria carezzevole, posta la mano su la spalla di Mariano, riprese: — voi mi piacete; siete uomo fabbricato a prova di bomba; la vostra casa sembra fatta a posta per tendere la tagliola; se vi garba e vi garberà di certo, continuare ad esercitarvi nel mestiere in cui avete tanto bene incominciato, io vi prometto di farvi pagare per ogni ufficiale prigioniero dieci o quindici luigi secondo il merito. — Toccate qua; è affare fatto, e se — disse pigliando tra il pollice e l'indice un luigi per l'estremo contorno — e se non sapessi quanto i Francesi procedono alla grande, e come amino piuttosto dare che ricevere, sempre splendidi... sempre generosi, io vorrei darvi questo luigi in senseria del mercato fatto... promettendo e obbligandomi pel seguito di darvene mezzo (e come l'ufficiale strabuzzava gli occhi, costui pauroso si riprese dicendo) di darvene uno per ogni affare che mi procurerete. L'ufficiale si morse le labbra; Mariano, senza avvertirlo, nella ingenua sfrontatezza della sua infamia gli aveva ribadito uno schiaffo su l'una e l'altra guancia e non ci era modo di risentirsene. Non sovvenendo partito migliore all'ufficiale, cavò dalla sua borsa due luigi e quelli dando a Mariano soggiunse: — pigliate, io sono uso a regalare, non ad accettare mancie. Mariano non se lo lasciò dire due volte, ed acciuffò a volo i due luigi; nel riporseli assieme agli altri in tasca, riprese: — ve li menerò buoni sui prossimi mercati tenendoli in conto di caparra. — Io ve li dono, urlò l'ufficiale pestando i piedi, cioè non ve li dono, vi saldo l'ingiuria che mi avete fatto pigliandomi per sensale di tradimento. — E voi costumate pagare le ingiure a luigi di oro? — Non ho trovato migliore partito in difetto di potervela pagare con un colpo di spada. — Caro mio, non lo dite ad altri che a me, perchè voi mettete troppe anime in tentazione di dirvi ingiure. — Eh? caro mio, non ci sarebbe mica il gran male che immaginate, perchè presto mi troverei in fondo co' quattrini, e allora, per vostro governo, farei da' miei soldati rompere le ossa all'insolente e lo salderei a bastonate. — Allora vi chiedo perdono, ma davvero proponendomi voi di comprare per conto altrui i prigionieri che mi capitasse mettervi in mano, credeva in coscienza potervi reputare sensale. Non ci è stata malizia per parte mia; facciamolo giudicare e vedrete che avete torto: se poi vi siete avuto a male che vi abbia offerto poco, non andate in bestia; ci accomoderemo da onesti amici; dove ci hanno uomini ci ha modo. Mariano aveva torto nel considerare l'ufficiale parte accessoria del tradimento, mentre tutti quelli che vi partecipano sono principali in faccia a Dio che tiene l'archipendolo in mano della vera ragione, gli uomini si governano con altro passetto; tanto vero questo che l'ufficiale per lo zelo messo nel servizio del re fu eletto cavaliere di San Luigi, mentre se capitava nelle mani del Paoli lo avrebbe impiccato, e il generale in coscienza si sarebbe persuaso, come se ne persuase il re, di avergli regolato il conto giusto. Uscirono i granatieri traendo Altobello, che levando il capo si vide di un tratto davanti a sè Bastiano; lo fissò dentro gli occhi con isguardi taglienti pensando costringerlo ad abbassare la faccia svergognata; ma Bastiano aggrottò a volta sua le ciglia e rispose colpo per colpo. Non dissero parola, veruna voce fu udita, e pure Bastiano capì benissimo che Altobello gli aveva domandato: Anche tu Bastiano? E Bastiano aveva risposto: — Ed osi tu pensarmi traditore? Allora la sembianza di Altobello si fece mansueta e Bastiano abbrancandosi con la destra il petto dalla parte del cuore parve volerselo staccare e metterglielo sotto gli occhi perchè si sincerasse. Rimasero Mariano, il quale non si dette pensiero di seguire nè manco con gli occhi il tradito, e la stupida consorte intorno alla tavola. Mariano disse: — Mira, Lucia, i Francesi ci hanno lasciata una lanterna; anche questo è tanto guadagnato, oltre la candela che facendo a miccino può bastare per quattro sere od otto. — Anche dodici, notò Lucia, basta non accenderla mai. — Va via, grulla; intanto ripassiamo un po' la moneta per vedere se va bene. — Per questo sarebbe tempo perduto, che la festa è fatta, ma rallegra tanto il cuore la vista dei quattrini. E quattro mani tremanti presero a maneggiare i luigi, ora sparpagliandoli su la tavola, ora ammucchiandoli in gruppetti di cinque, ora di nove; in chiunque gli avesse visti a quell'ora in cotesto atto, avrebbero richiamato in mente i due porci del Boccaccio, che presi gli stracci impestati prima col grifo e poi coi denti squassandoseli su le guancie a sè dettero morte e furono cagione che la morìa si distendesse sopra Firenze. Forse chi sa fino a quando avrieno protratto il turpe diletto, se Lucia non fosse saltata su a dire: — Ma di questa maniera, amore mio, la candela non durerà nemmeno quattro sere. — Hai ragione, Lucia, e infuriato dall'avarizia soffiò sul lume e rimasero al buio. Intanto che a tastoni cercavano il letto, Bastiano il pastore, che non si aspettava trovarsi così di posta licenziato, cercando l'uscio di casa e trovatolo, di su la soglia gridò: — Mariano, addio. — Oh! chi è? ladri! assassini! — Sono Bastiano. — Ouf! sei tu? — Sono io; e vi ho detto: addio Mariano; ho sbagliato, doveva dirvi: addio Caino. — Tu sbagli, rispose Mariano piegando il ginocchio su la sponda del letto, Caino ammazzò il fratello... — Voi l'avete tradito soltanto, dunque: addio Giuda. — E anco qui pigli un granchio, soggiunse Mariano infagottandosi nelle coperte. Giuda tradì il suo maestro e Altobello non mi ha insegnato mai nulla: altra differenza; Giuda vendè Gesù trenta sicli di argento ed io ho venduto il mio fratello venticinque luigi d'oro; per ultimo Giuda s'impiccò ad un albero di fico ed io mi stendo bello e lungo dentro al mio letto; buona notte, Bastiano. — E da questo momento intendo di non istare più con voi. — Meno galline, meno pipite. — Sta bene, adesso che non siamo più padrone nè servo, ve la dirò io una diversità tra voi e Giuda, che voi non avete saputo indovinare. — Ci avrò gusto a sentirla. — Giuda s'impiccò da sè, e voi, se altri non v'impicca, v'impiccherò io. Buona notte, Mariano. * * * * * La notizia dello arresto di Altobello arrivò presto a Corte come costuma delle disgrazie; i particolari del caso però, secondo il solito, vari; e ciò era quello che meno importava al generale il quale pensando a mille spedienti per riscattarlo, conobbe se non il più certo almeno il manco pericoloso essere questo; chiamato pertanto a sè Matteo Massesi gli disse: — Matteo, tu sei un giovane di giudizio e capisci per aria le cose; avrei pensato di mandarti a Bastia. — Di contrabbando? interrogò il giovane balenando di allegrezza negli occhi. — No davvero, che ti potrebbe cogliere qualche disgrazia, e se ciò accadesse non ne avrei mai pace; andrai col salvacondotto di parlamentario. — Oh! voi mi amate sempre? — E perchè non dovrei amarti? disse il generale fissandolo in faccia. — Non so.... mi pareva, rispose il giovane arrossendo ed evitando incontrarsi con gli occhi del generale. — Vien qua ragazzo, e sì dicendo gli vezzeggiava il volto, assèttati al tavolino e scrivi quanto ti detterò. «Eccellenza. Voi mi avete richiesto di fare a buona guerra con voi; parmi, per parte mia, avere operato secondo il vostro desiderio rimandandovi fin qui i prigionieri senza riscatto; ho atteso invano voi mi restituiste i miei. Questo a parere mio non si chiama fare a buona guerra dalla parte vostra; pure mettendo per ora questa discussione da parte, devo partecipare a V. E. come ieri notte fosse condotto non a modo di prigioniero di guerra a Bastia, bensì come persona rubata da ladroni, il signor Altobello.... — Ahi! ahi! urlò il giovane lasciando cascare la penna. — Ch'è? che ti avvenne? — Ahimè! Da parecchi giorni un dolore reumatico di tratto in tratto mi piglia il braccio da cavarmi il fiato. — Ebbene, lèvati di costà e scriverò da me. — Il generale riprese la lettera con la quale in sostanza ammoniva il marchese di Chauvelin come la cattura dello Alando fosse fuori di ogni ordine di buona milizia: la stima che faceva di lui persuaderlo a credere che ancora egli pensasse così; se mai s'ingannasse avrebbe barattato il comandante Alando con due colonnelli ritenuti già a Corte per curarli delle ferite, e adesso prossimi a guarire.» Scritta la lettera la lesse a Matteo, nè intento come era alla presente faccenda, si accorse del giovane che con alterna vicenda impallidiva, arrossiva, sudava e qualche lagrima rara ed ardente versava dagli occhi; poi chiudendo la lettera aggiungeva: — Matteo, tu te ne andrai a Bastia dove ti presenterai al marchese di Chauvelin per consegnargli questa lettera ed aspettarne la risposta. Se mai t'interrogasse, gli dirai che il signor Altobello è ufficiale degno della estimazione di ogni uomo dabbene; aggiungi che lo fanno degno di riguardo l'essere figliuolo unico adatto a soccorrere la madre vedova, parlagli della sposa novella che lascia in casa e finalmente non gli nasconderai amarlo io e stimarlo oltre ogni termine... che hai che batti i piedi? — Il dolore mi cuoce. — Una buona sudata ti guarirà, e però chiarirai il marchese che oltre il cambio, il quale mi sembra superiore a quello che si pratica ordinariamente, io gli professerò sempre obbligo infinito. Eccoti dieci luigi che ti basteranno e ce ne sarà di avanzo, rammenta che la patria è povera ed io più di lei. — Signor generale, rispose il giovane con voce alterata, io non voglio andare. — Non vuoi andare? urlò il Paoli con tale un grido da fare arricciare i peli dallo spavento. — No, più stizzito che mai, replicava il giovane. — Bè, Ambrogio!... La guardia fedele comparve sopra la soglia. — Ambrogio conducete in prigione il signor Massesi. — In prigione io? Io che prima voi amavate unicamente? — Vi amai finchè vi conobbi buono, ora... — Ora? — Non vi amo più; voi siete invidioso, e peggio ancora, se peggio può darsi, voi esultate del male del prossimo. — Signor generale, non mi mandate in prigione, non mi discacciate da voi, mia madre ne morirebbe di dolore; se non lo fate per me fatelo per mio padre. — Orsù dunque, partite; tra un quarto di ora a cavallo, e procurate farmi dimenticare ogni trista impressione col ricondurmi il signore Alando. D'ora in poi, giovane sconsigliato, porrete il vostro studio in emulare, non già ad invidiare chi vale troppo meglio di voi. Matteo Massesi, figliuolo del gran cancelliere fu bellissimo giovane: di persona tanto bene formato che meglio non avria potuto tratteggiare valoroso pittore; e nella faccia non aveva parte che non sembrasse ritratta da modello greco, lenemente squadrate le guancie e il mento, dove a ciocchette qua e là si arricciava la rada calugine; le labbra rosse ranuncolo, tumide e semiaperte, traverso le quali, per così dire, splendeva la candidezza dei denti, e gli occhi limpidi e bruni come notte di state senza luna; i capelli neri e lustri da digradarne l'asfalto; una forma divina che vista appena ti padroneggiava la mente, così ti sforzava ad amarla, e nondimanco quanto più si pigliava usanza con lui, tanto sentivi scemare l'affetto che ti aveva vinto da prima, non ad un tratto, no, e neppure con diminuzione di momento, ma a poco a poco, a piccoli frammenti come il tempo nell'orologio a polvere si consuma in atomi di sabbia; infatti a considerarlo sottilmente, la sua persona incedeva con un certo ciondolío quasi non sapesse imprimere salda orma sul terreno; ancora gli occhi pure oscillavano paurosi di fissarsi in qualche obbietto, e più di essere fissati da altri occhi; le mani sempre fredde mettevano, toccandole, ribrezzo non altrimenti che di morto si fossero; la fronte bassa, la vece varia; ciò in quanto al corpo; per lo spirito facile ad amare con trasporto, e facile del pari a disamare come povero di alimento a nutrire la divina fiamma dello amore; ma i primi trasporti tanto più furiosi quanto meno durevoli; nella invidia pertinace, perchè la virtù di amore sia operosa, mentre la invidia si distrugga inerte; però come la vipera la quale stuzzicata allunga i denti e avvelena, la invidia in lui inasprita diventava odio immortale e inevitabile. Il generale Paoli in parte aveva conosciuto, in parte indovinato l'animo del giovane; pure gli aveva diminuito, non però tolto l'affetto, e ciò a cagione delle qualità buone e non buone, consuete alle forti nature; l'uomo egregio a male in cuore s'induceva a supporre tristo altrui, e supposto triste, gli talentava crederlo incapace delle ultime scelleratezze, aggiungi che gli doleva confessare di essersi ingannato molto di faccia ai suoi famigliari, molto più di faccia a sè, perchè se lì ne pativa più la sua superbia, qui gli pareva sentirsi spezzare il cuore. Non impedito da cosa che gli si parasse per la strada molesta, il Massesi arrivò a Bastia, dove chiese parlare col marchese di Chauvelin, se non che questi, di salute infermo e su le mosse di partire per Francia, lo rimandò al conte di Marbeuf. Era disegno accogliere acerbamente il messaggiere di Paoli, fargli un rabbuffo di male parole, e senza leggere lettere, nè udire ambasciate, respingere il tapino oratore; quando poi gli fu davanti il bellissimo giovane, e in modesti atti, soffuso il volto di rossore, gli porse il foglio, gli mancò l'animo di mostrarsi scortese. Tanta virtù esercita la bellezza anco nei più duri! Onde prese la lettera, la lesse e poi incominciò a interrogare Matteo con parole oneste. Da prima è da credersi che il facesse senza cattiva intenzione, ma procedendo nel colloquio presentì poterne cavare qualche costrutto pei suoi fini; almeno gli parve, che valeva il pregio tentarlo; allora disse: trattarsi di negozio grave, non potergli rendere risposta senza avere consultato prima il consiglio di guerra; fermassesi: qui volto ad un giovane cornetta dalla fisonomia maligna da vincere una scimmia, gli disse: Signor Tilly, io lo confido a voi; adoperatevi perchè questo giovine gentiluomo non si annoi troppo. E il cornetta senza cerimonie intrecciando il proprio braccio col braccio di lui: — Vien meco, il mio caro orsacchiotto côrso, gli diceva, tu stai per bubbolarmi la ganza, ma non importa; a ciascuno tocca la sua volta; quando verrò a Corte ti ruberò la tua; — e via via con la vivacità consueta ai Francesi, massime se giovani e allegri, capaci a far tacere il più assordante passeraio che mai s'udisse sopra olmo, accanto alla fontana del villaggio. — Ei lo condusse a pranzo in compagnia di ufficiali più o meno scapestrati di lui, ma scapestratissimi tutti. Quali fossero i costumi di Francia, allora i libri francesi dissero, e ogni giorno ricordano tuttavia; a noi sarà bello tacerlo; solo tanto ne basti che il Voltaire poteva scerre ad argomento di poema lubrico la sacra magnanimità, e il martirio della vergine orleanese liberatrice della Francia, nè solo il poteva, ma erane lodato. Non pure ai tempi di cui favelliamo sapevano i Francesi decorare il vizio con l'eleganze delle grazie; bensì ora saccheggiavano le antiche e moderne scuole di filosofia per confermargli il regno, ed accrescergli dominio. Matteo, sobrio per usanza non per volontà, casto per costume, non per desiderio, si trovò di punto in bianco tra le commessazioni di un Mirabeau giovine di ventiquattro anni, del Dumouriez, figaro della monarchia francese, e di altra gente di siffatta risma; immaginate che torrenti di lava infocata dovevano sgorgare dalle labbra del Mirabeau a ventiquattro anni, pensate alla girandola de' motti arguti che scoppiettava su la bocca del Dumouriez! Ci era da fare fuggire la virtù rossa come una fravola, con le mani su gli orecchi, e, corsa a rimpiattarsi tra le pieghe della santissima Vergine, non si trovare nè manco in mezzo a quelle sicura. Si frequentavano è vero le chiese, ma non si credeva in Dio, donde nacque la generazione dei preti, che dette quel Lomenie Brienne il quale proposto a Luigi XVI per arcivescovo di Parigi fece dire quel meschino: — ahimè! bisognerebbe almeno che l'arcivescovo di Parigi credesse in Dio. — Gli antichi, conducendo i Numi sulla terra, certo avevano concesso alla materia troppa parte a scapito dello spirito, ma i Francesi mettendo la materia in cielo e in terra vennero a creare unico Dio il piacere: e parvero allora anacoreti quelli che emendarono la dottrina di Aristippo così; sia Dio il piacere a patto che non abbia per sacerdote il delitto. Vennero bocce di vino di Sciampagna, vennero donne, donne e bocce spedite di Francia; e due di codeste cortigiane si posero in mezzo Matteo, e piacque ad ambedue: ma egli che potrà vincere il rimorso, non seppe vincere il pudore, e si svincolò dalle braccia delle male femmine, con dispetto loro, ilarità di tutti, che vedendo il giovane menare calci e sergozzoni ne smascellavano dalle risa, urlando: — Due volte Giuseppe! due volte! — Per ultimo i giovani sazii di bere e della invereconda petulanza delle femmine, cacciarono fuori di finestra le bocce, e fuori della porta le femmine per dar luogo però a vizio peggiore, il giuoco. Questo veleno che senza rimorso si propinano a vicenda gli amici, tramandato a noi dalle barbarie rude, ed amaro, la civiltà seppe addolcire e ingentilire così, che a' tempi di cui parliamo nessuno poteva presumersi cavaliere compito se non avesse rovinato almeno un paio di amici, e barare non faceva caso; anzi se ne tenevano; della quale cosa ce ne porgono testimonianza le memorie del cavaliere di Grammont. Matteo stimolato a giocare, vergognando di comparire povero, mise fuori i suoi dieci luigi, e li perse in un soffio; allora si rimise, ma punto sopra la sua parsimonia, vergognando passare per avaro, accattò danaro che il cornetta gli profferse, ed anche questo andò dietro all'altro; adesso pensò mancargli assolutamente il potere di restituirlo, e vergognando partirsi da Bastia in voce di truffatore, se ne fece imprestare ancora, il quale finì come il primo, come il secondo e come due altre partite, che cieco ormai, prese da chiunque gliene volle dare. — Diavolo! costui accatta danari come se l'avesse a fare coi nostri padri, i quali si contentavano essere rimborsati dei presti nell'altro mondo. Gli occhi di Matteo non videro quale avesse proferito le amare parole, ma i suoi orecchi le intesero, e allora lo assalse la buona vergogna, la vergogna che doveva venirgli prima ed in tempo, mentre adesso era tardi e inopportuna, quella cioè d'ingolfarsi in debiti, che ormai non sapeva come avrebbe pagato; uscì che il capo gli pigliava fuoco, si ridusse a casa e si gettò vestito sul letto: aveva perduto sessanta luigi, dieci suoi o piuttosto del generale, e 50 tolti in prestito; ed ora come li pagherebbe? Di tratto in tratto sbalzava su da letto e si bagnava le tempie, che gli battevano come se volessero rompersi, con l'acqua diaccia; insomma e' fu notte cotesta quale anime dannate possono patire pari, più affannosa non credo. Quanto prima si fu messo un po' di albore, improvido di consiglio uscì di casa; i marinari e gli operai usi a levarsi prima del sole, scorgendo quel giovane pallido errare così mattutino, si fermarono a rimirarlo per maraviglia; ond'ei che se ne accorse, per sottrarsi agli sguardi altrui, trovandosi presso alla chiesa di San Rocco, vi entrò. La vasca dell'acqua benedetta era posta in prossimità della porta maggiore accanto al battisterio dove mantenevano i devoti perpetuamente accesa una lampada; quivi egli intinse le dita chinando il capo, e mentre rialza la persona per segnarsi, di rimpetto a sè gli apparisce, in atteggiamento eguale al suo, Lella Campana. Gli occhi grigi di costei mandarono un lampo: — Voi qui? susurrò a fior di labbra, e quegli: — pur troppo! — Vi accadde qualche disgrazia? Venitemi dietro, che vi menerò a casa. Matteo obbedì senza nè anco pensare a quello che facesse; giunti in casa il giovane lasciò cadersi sopra una seggiola trambasciato, allora Lella vedendolo così gramo esclamò: — O signore! vi sentite male? — Porgetemi per carità un bicchiere di acqua, ohimè! mi si sfianca il cuore — e bevve l'acqua; poi riprese — ho.... ho.... che mi abbisognano ora.... subito.... cinquanta, anzi sessanta luigi, altrimenti sono un uomo morto. — E dove volete, che trovi sessanta luigi? tra beffarda e rabbiosa rispose Lella; ma come siete qui? e disperato, e bisognoso di tanto danaro? E Matteo a pezzi e a bocconi glielo disse, dando la colpa di ogni cosa al Generale che lo aveva sforzato a venire in Bastia: aggiunse, ogni giorno più lui allungare gli ugnoli da tiranno; oggimai non gli si poteva più reggere accanto; avere reso a tutti manifesto il suo cuore ingrato e maligno: ai vecchi amici preferire qualunque nuovo avventuriere; quelli che lo amarono tanto, e tanto patirono per lui, messi in non cale; prima essersi innamorato di quella statua di cera del Boswell, adesso impazzire dietro quel fastidioso arrogante dello Alando; lui, una volta ad ogni altro preferito, adesso posposto a tutti; non adoperarlo in ufficio più degno che quello di staffiere; la sua bocca non aprirsi più per lui a confidenze di sorte alcuna, al contrario se sopraggiunga inaspettato mentre egli con altri ragiona, tacersi come davanti a sospetto; a queste querimonie ne aggiungeva altre infinite accendendosi, e per così dire inviperendosi col suono della propria voce nel modo che il cavallo inferocisce allo squillo delle trombe di guerra. Lella lo agguardava fisso dentro gli occhi mentre egli favellava: dapprima le pupille del giovane sfuggirono cotesto ardente sguardo; per ultimo ne rimase vinto e tacque come ammaliato; la fanciulla cominciò a guardarlo e a pensare; ad un tratto rompendo il silenzio disse: — I danari si potrebbero trovare.... — Ah! e come? — Sposandomi. — Ma questo sarebbe a toccare la cima dei miei pensieri. Voi sapete, Lella, quanto vi abbia amato; s'ebbi a renunziare a voi fu colpa mia, Lella? — Certo fu mia; io non volli ascoltarvi, e nè anco adesso vi ascolterò. — Dunque mi desiderate morto e infamato? — No, io intendo essere vendicata. Sul corpo di Giovan Bruno giurai che non avrei tolto a marito se non quello che avrebbe vendicato il suo sangue. — Io lo vendicherò. — Voi? — Io. — Ci avete pensato? — Ci ho pensato. — E ne sarete capace? — Vedremo. — E farete quello che vi ordinerò? — Tutto. — Allora venite. E presolo per un braccio lo spinse dietro la stanza dove dormiva il padre suo Orso, gridando: — babbo! babbo! — e al punto stesso spalancava le finestre. Il vecchio scombuiato a cagione del sonno rotto, dell'urlo, e della luce improvvisa che gli feriva gli occhi, balzò a sedere sul letto, strepitando a sua volta. — Demonio di figliuola, non si può chiudere un occhio con costei. — Li terremo tanto chiusi quando saremo morti, babbo! E poi ho furia; vi ho condotto un uomo, che mi vuol essere marito, e al quale io voglio essere moglie. Orso strofinandosi gli occhi esclama: — E l'altro? E l'altro? — Perchè vendica l'altro, e voi e me... — Ah! come si chiama costui? E donde viene? — Viene da Corte e si chiama Matteo Massesi. — Il figliuolo del gran cancelliere? Questo è un tradimento. — Babbo; fin qui avete condotto voi la trama della vendetta e avete rovinato voi e me; adesso lasciate un po' che mi ci provi io: ciò che non valse a fare granfia di leone lo potè dente di topo. Dunque acconsentite voi che io lo sposi? — Piglia il diavolo che ti porti, ma a quel patto. — Siamo d'accordo. — Ma come ti assicuri ch'ei te lo mantenga? — Questo è mio pensiero. — Ma egli ti sposerà? — È pensiero mio: scrivete il vostro consenso e sbrigatevi. Il vecchio sopra di una tavoletta, che Lella gli posò su le ginocchia, scrisse e firmò il suo consenso; il quale Lella dopo avere letto ripose in seno; allora si fece a richiudere le finestre e le imposte dicendo: buttati giù, babbo, e piglia sonno contento nel pensiero che, mentre dormi la tua vendetta cammina: quindi agguantato Matteo pel braccio riprese: — su via andiamo. Dove andassero, che cosa statuissero sarà chiarito altrove; intanto importa sapere che Matteo tornato al ridotto del gioco pagò come un banco i suoi creditori; invitato alla rivincita si scusò allegando la sua partenza avere a succedere da un momento all'altro ed usci: però in tutto quel giorno abbandonava Bastia, e fu visto aggirarsi per le strade a mo' di trasognato in compagnia sempre di uno zitello lesto e vispo come una scimmia; non lo riconoscendo persona, pensarono fosse venuto con esso lui; il dì appresso essendosi recato dal conte di Marbeuf per domandargli la conclusione del negozio pel quale era venuto, lo rinvenne focoso, lo guardò truce, gli porse un plico sigillato, ed oltre questa non gli fece altra parola: — qui dentro è tutto. — Lo zitello, che non si scompagnava mai da Matteo, allora si accostò al conte, il quale fissatolo lo riconobbe e sorrise: — O damigella, voi siete proprio una Maga! — Or bene, riprese Lella, spero che non mi dissuaderete da accompagnare il mio novello sposo... — Quantunque mi pesi vedere il nostro cielo vedovato di uno dei suoi astri più belli, tuttavia mi professo troppo buon cristiano per contrariare al precetto: quello che Dio unì l'uomo non separi. — Fin qui non ci ha unito Dio; voi lo sapete, ciò sarà più tardi, e con migliori auspici, spero; intanto provvedeteci di due passaporti. Avutili, tolsero commiato dal conte, che rasserenatosi gli accompagnò sino alla porta, colmandoli di carezze e di promesse tra le quali mesceva per via di giocondità la preghiera di essere scelto testimone alle nozze, e compare del primo figliuolo. [Illustrazione: Poichè ebbe percorso di galoppo un buon tratto di via, il colonnello Valcroissant disse a Rinaldo... (_pag. 317_)] Bene tornò ai viaggiatori la provvidenza di Lella, imperocchè ad ogni piè sospinto s'imbattessero in pattuglie che gl'interrogavano dell'essere loro, e del dove andassero, e perchè si movessero; alle quali tutte domande non avendo Lella punto voglia di rispondere, si toglieva d'impaccio cavando da tasca il passaporto. Anche Matteo ebbe a patire simile minuta inquisizione e a liberarsene gli valse l'esempio di Lella. Usciti alla fine fuori delle porte di San Giuseppe presero a trottare difilato verso il Golo per la Cansica. Arrivati che furono sotto Furiani, Lella pregò Matteo che andasse oltre pian piano intanto ch'essa si recava a salutare certa sua conoscenza, e gli teneva dietro. Tornando a Corte ella aveva fatto disegno di avvisarne Mariano, caso mai volesse commetterle qualche incumbenza; al volgere di una siepe ella pensava scorgere il tetto di casa sua: per questa volta non vide niente, onde ella incolpò la propria memoria che, distratta da tante faccende, le serviva così infedelmente da farle sbagliare la strada; affretta il passo, arriva in altra parte dove per sicuro si scopriva la casa, ma anche adesso non mira nulla: curiosa a un punto e commossa precipita il corso, e all'improvviso le percuote la vista un mucchio di sassi affumicati. Ristette come impietrita, poco dopo quasi volesse sgombrare la mente di pensieri molesti si fregò la faccia a più riprese: proponendosi di chiederne notizie al primo che le capitasse davanti, già voltava briglia quando di dietro le macerie vide sbucare un uomo che portava una croce tinta di nero dove appariva scritta in bianco qualche leggenda. Lella trattenne il fiato per non dare a sospettare la sua presenza e di dietro la siepe vide cotesto uomo, che scavò un buco fra i rottami, e piantatavi la croce la fissò dritta mercè di sassi collocati in torno a contrasto; allora potè leggere lo scritto che in caratteri più grossi diceva: — _Casa di traditore_: — e in più minuti aggiungeva: — sotto questa rovina giacciono i corpi di Mariano, indegna stirpe di Alando, e della sua moglie Lucia: le anime andarono dannate nell'Inferno. Cotesto uomo era il pastore Bastiano, che aveva mantenuto la promessa, senonchè gli era parso bene d'introdurci qualche variante, invece d'impiccare aveva appiccato fuoco alla casa, e invece di mandare Mariano solo all'inferno ce lo aveva spinto in compagnia. Lella scappò a precipizio e allorquando ebbe raggiunto Matteo, quantunque usa dissimulare ogni più fiero turbamento, tanto non potè sopra sè medesima, che non comparisse stravolta: quegli lo notò e glielo disse, ma Lella pronta rispose: — era andata a salutare un cugino da parte di madre ed ho trovato, poverino! che gli amministravano l'estrema unzione. — Poi tacque e Matteo rispettando il nuovo dolore non si attentò moverle altre domande. A molta distanza da Corte Lella si divise da Matteo, e scesa la notte, andando, per giravolte a lei conosciute si ridusse alla casa paterna, senza che persona avesse avvertito la sua partenza, o ne notasse il ritorno, costumando lasciarsi vedere di rado per Corte e facendo correre voce, che giacesse inferma nel letto. Matteo smontò al palazzo del governo e intromesso subito nella camera del Generale, contro la sua aspettativa lo rinvenne ilare; anzi egli prima incominciò: — Già me lo immagino, tu mi ritorni con le pive nel sacco: non sei riuscito neh? Già i Francesi sogliono dire, che ciò ch'è buono a pigliare, è anche meglio a tenere, e co' fatti lo dimostrano; sentiamo un po' che cosa dichiara cotesto foglio che ti ninnoli tra le mani: rompi il sigillo e leggi: Matteo aperse il plico e lesse: — Signore. Voi siete astuto ma badate: anche delle volpi se ne piglia, e ride bene chi ride all'ultimo. Vostro servitore, Conte di Marbeuf. — Ah! Ah! se l'è presa a male; ma in verità io non ci ho merito. Matteo va a riposarti, che devi sentirti stanco, domani parleremo del resto. Matteo baciò la mano al Generale ed uscì, ma quale non fu la sua maraviglia quando nella prima persona, che gli si fece incontro, riconobbe Altobello di Alando, che lo salutò molto cordialmente, e motteggiando gli disse: — caro signor Massesi, sebbene io avessi buona opinione nella vostra abilità diplomatica, voi non mi porterete il broncio se ho preferito di fare un po' da me stesso i fatti miei. Matteo rispose a strappi, e si allontanò strofinandosi gli occhi incerto se vegliasse o se dormisse. E adesso racconterò per qual guisa Altobello si liberasse dalla prigione francese. Egli venne menato in gran fretta nella cittadella di Bastia, e quivi chiuso dentro il carcere della fortezza di San Carlo, il quale fabbricarono i Francesi sopra uno scoglio altissimo, che domina l'imboccatura del porto. Il prigioniero nuovamente spinto in carcere, per primo, anzi per unico pensiero bada subito come riuscirà ad affrancarsi: tanto l'ansia del vivere libero governa i petti mortali, che questo studio si fa sentire più forte allora appunto che sembrano costretti a doverne deporre perfino la speranza. La cosa che prima agguarda il carcerato (ed io lo so per molta sperienza fattane) è la porta, parendo a lui che la via ordinaria per uscire abbia ad essere quella per la quale egli entrò, ma in breve con caratteri di chiavistelli e di bandelle viene chiarito, che all'opposto, senza la volontà di cui ti ci ha messo, la porta quasi sempre presenta la via meno facile per uscire di là; allora si volta ad esaminare le inferriate, poi le pareti, il pavimento, per ultimo il soffitto: e se l'uomo possiede forza, volere, coraggio e prudenza, sopra dieci volte nove scamperà: vero è però che queste tre ultime doti raccolte in un'anima, e la prima in un corpo, fanno l'uomo grande, e la più parte delle anime uscite di mano a Dio appaiono piccole e i corpi fiacchi, quindi quelli che rimangono a morire in carcere si contano a migliaia, gli altri che se ne affrancano, su le dita. Bisogna confessare però che Altobello men che ad altro, quando entrò in prigione, pensava a liberarsene; sentiva forte la necessità di trovarsi solo, e posare in qualche parte il capo che gli pesava indolenzito per la immanità fraterna: bocconi sul materasso, stretta con le mani la faccia, girava e rigirava questo pensiero dentro il cervello, lacerante peggio di un chiodo; non ira, non orrore lo agitavano, non ribrezzo, nè vergogna, nè paura, nè nulla insomma; queste o talune di queste cose verranno dopo; per ora soffre; e così lo travaglia il patimento che non ascolta lo stridere dei chiavistelli intorno agli anelli, nè il cigolare delle bandelle intorno agli arpioni: e fu proprio mestieri che più volte una mano lo scotesse per le spalle perchè tornasse ai sensi della vita: allora lo percosse una voce nota che in suono piacevole gli diceva: — Caro signor Altobello, non vi lasciate disfare dalla malinconia: ricordatevi che la morte ci ha da trovare vivi. L'Alando di un tratto voltandosi si mise a sedere e rispose: — Capitano Rinaldo, ben venuto. — Mi rincresce non potere dire lo stesso anche a voi. — Non importa; la sventura è la pietra di paragone dell'amicizia: senza questo accidente non avrei indovinato la eccellenza del vostro cuore di accorrere spontaneo a consolare... — Certo... non ci ha dubbio... però non affatto spontaneo, perchè... avete a sapere come io sia il comandante della fortezza. — Voi? — Io in persona; la maledetta palla, ve ne ricordate? che mi colpì sotto al ginocchio nella battaglia di Borgo mi ha rattrato un nervo, per la qual cosa zoppico, e i medici giudicano che arrancherò per qualche mese ancora: il signor conte di Marbeuf, a cui venni raccomandato dalla sorella del cocchiere del parrucchiere della marchesa du Barry, amica del re, mi ha preposto alla custodia della cittadella per non troncarmi i progressi della professione, e mantenermi nell'attualità del servizio. — Tutte le quali cose insomma significano, che voi siete il mio carceriere? — Fortuna di guerra, signor mio; certo voi potreste dirmi, che non foste preso con le armi alla mano; ma armato o no, quando capita, giova sempre pigliare il nemico; potreste anco osservarmi, che vi tesero un tranello e voi c'incappaste dentro, ma vincasi per virtù o per ingegno fu sempre lodato il vincitore: voi potreste dire... — Signore, io non dico nulla. — Manco male: ognuno a sua volta dunque, e allegramente. Non vi accomoda la stanza? ve ne darò un'altra; or ora vi manderò biancherie, legna e quanto occorre; già ebbi ordine di provvedere a tutto; pure sapete che io ho obbligo di esservi amico, mancasse l'obbligo, mi sentirei inclinato verso voi per simpatia... comandate dunque... non vi prendete della soggezione... figuratevi essere in casa vostra... — Signore, io non vi domando nulla.... — Ho capito via... e vi compatisco... per ora vi dura la rabbia in corpo, vi rivedrò più tardi; se le faccende non lo impediscono desineremo insieme. Tornato nelle sue stanze ormai tra la lettura dei giornali venuti di Francia e il motteggiare tra gli amici, aveva dimenticato Altobello, quando verso sera l'usciere gli annunziò una donna instare di essere presentata al signor comandante. — M'immagino che non sarà vecchia nè brutta, in caso diverso le avresti detto e alla occasione giurato che non era in casa. — Difatti è giovane ed anco bella. — Presto dunque falla passare, che la noia m'ammazza. Ma il giocondo capitano fece viso da funerale allorchè si vide comparire davanti la severa, malinconica sembianza di Serena: nondimeno le andò incontro con quella maggior grazia che seppe, e disse: — Già ci era da aspettarcelo: preso il tortore non può mancare la tortora: ah! perchè non si vede in voi disposizione alcuna di praticare coll'esempio il detto italiano: morto un papa se ne fa un altro. — Signor Rinaldo, dunque Altobello è veramente qui? rispose Serena senza badarlo, o fingendo di non badargli — non ha ferite addosso? — Figurate! gli è sano come una triglia pescata adesso. — Dio ve ne renda merito: permettete che io m'assetti un po'.... — Scusate, ma non mi avete nè manco dato tempo di offrirvelo: — Onorato! Onorato! presto, portate vino, aranci, zucchero. — Non ho bisogno di nulla, mi batteva il cuore dall'ansia e dalla fatica.... — E venite? — Dal Borgo, donde mi sono mossa ora fanno due ore.... — E volete vedere il vostro sposo? — No, signore.... — Come, non lo volete vedere? — No, lo voglio liberare; sono venuta per chiedervelo, persuasa che non vi parrà vero di saldare la partita dell'obbligo che avete con una vostra nemica. — Oh! signora Serena, che cosa mai dite? voi non sapete che la vostra proposta mi mena diritto in piazza San Nicolaio a ricevervi otto palle nel petto, le quali naturalmente mi troncherebbero ogni aspettativa di promozione, mentre la mia famiglia ed io nudriamo speranza di vedermi elevato al grado di maggiore, colonnello, ed a suo tempo di generale, maresciallo di campo, e poi anche, chi sa, al grado di maresciallo di Francia. Questo è impossibile, madama, ve lo dico col cuore in pezzi; chiedetemi tutto, pigliatemi la vita, le mie sostanze, non ve lo contrasto; ma che io mi esponga ad essere tratto in piazza San Nicolaio.... voleva dire mi esponga a vedere troncare il corso della mia fortuna, questo è impossibile, assolutamente impossibile. La vanità è feroce quanto il delitto e più, Serena lo guardò in viso, e conobbe che tornava lo stesso che picchiare alla porta d'una tomba: non si smarrì per questo che a molto animo accoppiava ingegno pronto; onde dissimulare il cruccio e il disprezzo, con aria ingenua riprese: — Mira un po'! ed io la faceva facile. Potrò almeno vederlo? — Circa a questo, cara madama, soggiunse il capitano, sollevato di un gran peso, chè aveva temuto rimbrotti, ingiurie e peggio per la sua ingratitudine, ed ora esultava nel vedere come ei si fosse con tanto bel garbo accomodato, — circa questo, certo ci trovo intoppi non meno gravi; ordini espressi lo vietano (e non era vero, ma lo affermava per dare ad intendere che un grave pericolo gli pendea sul capo, e che per amor di Serena sfidava); ma che non ardirei per voi? Ogni Francese per compiacere alle dame si sente addosso un po' del duca della Rochefocauld, il quale cantava in rima alla principessa di Longueville: per meritare il vostro cuore, per piacere ai vostri occhi ho fatto la guerra ai re, e l'avrei fatta anche ai numi. Voi lo vedrete, madama; quando anco dovessi attirarmi sul capo la indignazione di sua maestà cristianissima, lo giuro. — E qui stese la mano in atto poco diverso da quello di Annibale quando il padre Amilcare gli fe' giurare su le viscere palpitanti della vittima odio eterno ai Romani. — Conducetemi dunque. — Non io, madama; voi capite quanto sarebbe scortese indiscretezza cotesta; un cavaliere francese si rispetta abbastanza per astenersi da mettersi in terzo nelle conferenze — senza dubbio — tenere, fra sposo e sposa. — Fate come volete, ordinate che mi conducano al suo quartiere. Spero che uscendo vi potrò salutare. — Anzi vi dichiaro espresso che se partiste privandomi dell'onore di baciarvi la mano, ne porterei lagnanza alla cancelleria della urbanità; quella dello amore non mi ascolterebbe. Serena non porse orecchio a coteste sguaiataggini; era proprio roba buttata via; l'accompagnò Onorato, il quale confidatala al carceriere disparve; questi giusta gli ordini le aperse la prigione. Serena come le consiglia l'affetto stava per abbandonarsi nelle braccia del suo sposo, imperciocchè sia natura degli animi gagliardi frenarsi nel manifestamento delle mediocri passioni, traboccare nelle supreme; quando ad un cenno di Altobello si trattenne e girando intorno paurosa gli occhi vide il carceriere ritto sopra il limitare della porta: presa da vergogna e da dispetto gli disse acerbamente: — Che fate costà? Andate via. Il carceriere, che francese era, comprendendo più dai gesti che dalle parole le domande, rispose: che ci stava perchè ci doveva stare, essendo suo ufficio avvertire quello che dicessero i visitatori ai prigionieri, e sopratutto quello che gli portassero. Ognuno può immaginare che la presenza dell'importuno custode abbreviasse di molto il colloquio dei giovani; anzi a propriamente dire Altobello non fiatò; quella che fece le carte fu Serena, la quale presto presto nel dialetto più puro di oltremonti gli frullò non so che parole, cui egli acconsentì accennando col capo. Il carceriere, trovando contro le regole di non capire, uscì fuori ad osservare, che era cosa inaudita servirsi, per discorrere, di lingua diversa dalla francese: ciò dare indizio della ignoranza e sopratutto della barbarie dei Côrsi: parlassero in francese, ovvero tacessero, correndo loro il dovere di farsi intendere. Serena che aveva terminato di dire quanto le importava, strinse la mano allo sposo e quindi voltasi al soldato gli disse: — Voi siete un insolente; andiamo.... E fingendo una grossa collera si fece a trovare il capitano Rinaldo querelandosi della grosseria del carceriere. — Capisco, riprese il capitano ghignando, capisco la zotichezza di questo gaglioffo, e capisco quanto abbiate dovuto stridere a non potervi trovare sola col vostro marito; davvero ne soffro più di voi.... io non posso mica dare ordini contrarii ai regolamenti; certe cose bisogna che il carceriere comprenda da sè o piuttosto bisogna glielo facciano comprendere i prigionieri o quelli che vanno a visitarli.... — Insomma poichè non mi è riuscito parlargli, spero che non sarà caso di stato potere mandare al mio sposo la provvisione da casa.... — Circa a questo poi, madama, io mi sono detto: è possibile, capitano Cassagnac, che la legge ti stringa così duro da non lasciare in qualche modo che la tua profonda riconoscenza non si dimostri? No, deliberai meco stesso, il signor Alando pranzerà alla mia tavola.... cioè farò portare il mio pranzo in camera sua. Serena impazientita percoteva col piede la terra, sicchè non si potendo più reggere proruppe: — Per carità non vi dite più nulla... e rispondete a me: posso o no mandare provvisioni da casa al mio sposo? Voi comprenderete che noi gente semplice non siamo abituati alla cucina vostra; e poi, sia superbia, sia dignità, un Côrso non consentirà mai di mangiare alle vostre spalle. — Vi chiedo umilmente perdono, madama, ma questo, mentre per me sarebbe grandissimo onore, non penso che apporterebbe scapito alla dignità del gentiluomo: ma poi fate quello che volete e mandate pure ciò che vi piace. Fu portato un paniere per parte di Serena pieno di robe buone a mangiare e a bere; e parve che di stupendo appetito fosse provveduto Altobello, ovvero la rabbia glielo avesse cresciuto, perchè il giorno appresso lo rese vuoto. Serena sul mezzogiorno tornò a visitare Altobello; memore dello insegnamento del capitano lo mise in pratica, ed ebbe a lodarsene, imperciocchè il carceriere sebbene non arrivasse fino a lasciargli nella prigione inosservati, pure si mise colle spalle fermo alla soglia fischiando senza punto badare alle parole che si dicevano, e mostrando in certo modo che codesta prima concessione poteva considerarsi come uno scalino della lunga scala, che a un bisogno gli dava l'animo di scendere: però anco in quel giorno il colloquio fu breve; e Serena uscendo si recò dal capitano per questa volta assai pacata in volto; chi l'avesse avuta in pratica l'avrebbe giudicata gioconda. — Capitano Rinaldo, ella disse, voi avreste a farmi un grosso piacere. — Madama, voi sapete che il piacere lo fate a me quando mi mettete a prova di rendervi servizio... potendo. — Ma sì che lo potete; anzi me lo avete profferto ed io sconsigliata lo ricusai; mi accorgo con amarezza che Altobello si lascia pigliare dalla malinconia; procurate di tenerlo un po' lieto con la vostra amabile conversazione... — Diavolo? Oh! non mi era esibito a pranzare con lui.... — Giusto! fate così; mettete in comunella i vostri pranzi, e state allegri più che potete. — Magari! Solo mi rincresce non potere incominciare oggi; domani senza fallo daremo principio. — Bò; e siccome domani ricorre l'anniversario della mia nascita, io intendo regalarvi di una pietanza côrsa... di un bel fiadone. — Fia?.. — Fiadone; eccellente roba in verità; dopo averlo gustato vo' che me ne diciate le novelle. Però ordinate a quel brutto zotico del carceriere che non me lo guasti, come fece ieri il broccio che lo spampanò tutto per frugarlo dentro. Misericordia! O che temeva il villano, che avessi rimpiattato un cannone in corpo ad una ricotta? Che bestia! pare impossibile che di siffatti tangheri nascano in Francia. Il capitano, che aveva proprio con la sua bocca imposto cotesto ordine, diventò rosso fino alla radice dei capelli, ed impicciato più di un pulcino nella stoppa, rispose: — Certo... sicuramente... da qui innanzi voi non frugherete la sporta di madama Serena... — Se mi era fatto lecito di frugare la sporta di madama Serena ciò fu perchè... — Zitto! mezzo giro a sinistra... marciate... Il carceriere uscì bestemmiando sotto voce. La panierata all'ora solita venne, e l'onesto capitano fece in guisa di trovarsi sul pianerottolo della scala, dove preso il paniere e scopertolo come per vaghezza di vedere che cosa vi fosse di bello, ad alta voce disse: — E' non sembra che la sobrietà entri nel numero delle virtù dei Côrsi; e sommesso: anco stamani l'ho visitata: in seguito non importa, io pranzerò con lui. — Come vedete, il capitano non mangiava il pane a tradimento a S. M. il re di Francia. Il giorno appresso il paniere era più grosso; conteneva parecchie bocce di vino smagliante, triglie, che parevano ci fossero sguizzate dentro dal mare allora, una mezza dozzina di pernici e il famoso fiadone; a chi nol sapesse si fa noto come il fiadone sia una maniera di broccio manipolato con zucchero, uova ed altri ingredienti che messo a cuocere in forno rigonfia formando sopra una crosta spessa: però raffreddandosi la crosta casca: ma in questo non era andata così, che o per via di carta o di cerchio di staccio l'avevano tenuta su ritta in guisa che presentava per l'appunto la forma di un coperchio di forno di campagna. Serena sopraggiunse dopo; intromessa subito nella prigione di Altobello, per prima cosa gli domandò dove avesse posto il paniere, e rispondendole quegli che non lo aveva per anche visto, caddero ambedue in grande perplessità; ricambiatesi appena alcune parole Serena scese nelle stanze del comandante dove trovò il paniere coperto, e il capitano Rinaldo giocondo al solito. Questi le disse che si dava premura di assestare tutti i negozî per non venire disturbato ingratamente quando pranzava col caro amico Altobello; avrebbe quanto prima portato egli stesso il paniere; volere con le sue proprie mani imbandire la mensa. Di questo suo proponimento forte lodò la donna, aggiungendo che la presenza dei servitori mette sempre in soggezione, nè allora possono gl'interni pensieri prorompere fuori liberi, ed anco un po' scapestrati a giocondare la brigata. — Certo voi parlate di oro, soggiunse il comandante, però non ci terremo appresso altri che Onorato. — Onorato! e non è egli il vostro servitore? — Onorato non è un servitore, bensì un cameriere. Serena non istette a perfidiare, diede volta, entrando su diversi particolari, e quando fu sull'andarsene, si accorse di essersi dimenticata del suo _mandillo_ nella prigione; allora chiese licenza di andarselo a pigliare, la quale agevolmente ottenuta si fece ad avvertire Altobello dell'intoppo; questi levò le spalle, e disse: — State di buon animo, Serena; il bisogno fa bravo, e tempo darà consiglio. Verso le quattro dopo mezzogiorno Altobello udì la voce del comandante pel corridoio; subito dopo si spalancarono le porte e furono visti parecchi soldati portare lumi, fiori, il paniere di Serena e con esso un assortimento di vivande che il capitano ci aggiungeva di suo, bastevole ad ogni grande corredo. Dimessi i soldati, rimasero Altobello, Rinaldo e il cameriere, che proverbiandosi con urbane arguzie presero ad apprestare il convito come persone a cui torni benvenuto ogni accidente capace a far perdere il tempo. Sonavano le sei, quando si assettarono a mensa, non prima però che Rinaldo si fosse scinta la spada e spogliata la divisa militare, vestendo in vece sua la palandrana: secondo il solito da prima tacquero, ma saziato appena il più urgente desiderio di cibo, ricominciarono il giocondo favellio, a cui Onorato servendo sempre da scalco e da donzello pigliava parte; così mangiando e bevendo, ma molto più cicalando, arrivarono alle ore otto della sera, e quasi al termine del pranzo. — Ed eccoci, disse il capitano, prossimi ad assalire il famoso fiadone... — Sicuramente, ma prima di metterci le mani sopra mi parrebbe bene che Onorato se ne andasse ad ammanire il caffè... — Non ci è mestieri che ei corra troppo lontano; corri, Onorato, nella mia stanza, prendi l'occorrente sul cammino e lo faremo bollire qui... — Di grazia no; cotesto odore nella stanza mi offende i nervi... — Mi pare che lo facciate bollire tutte le mattine... — Già, per questo bisogna che non ce lo faccia bollire anco la sera, perchè, capite; la mattina si aprono le finestre e si dà aria, benefizio che non può godersi la notte, almeno senza danno; e poi giusto, voleva pregarvi ad ordinare che mi bollissero il caffè anche la mattina fuori di stanza. — E così faremo di certo, che intendo e voglio che tornato in libertà voi abbiate a desiderare la prigione francese... — Credo che già siate a mezza strada. Oh! soggiunse Altobello percotendosi della mano la fronte, lo scemo che sono; e i liquori? — Non vi buttate via, che giù in camera ci devo avere una boccia di vecchio cognac da resuscitare un morto. — Per amor di Dio non mi parlate di cognac, che al solo sentirlo rammentare casco in deliquio: poichè assolutamente bisogna terminare regalmente un convito così bene incominciato e con tanta solennità fino a questo punto condotto, io vi prego, amico carissimo, di mandare Onorato con un mio biglietto a Serena, perchè ci mandi una boccia di liquore di ginepro stillato in Corsica: voi non sapreste immaginare di che bontà, di che eccellenza sia il ginepro di Corsica; bastivi tanto, che Plinio il vecchio lo rammenta con onore nella sua storia naturale!... — E dove alberga madama Serena?... — Qui sotto al Pontetto... — E che ora fa? — Le otto come sonano... — Sono sonate, interruppe Onorato, ma se piace al signor capitano in due salti vado e torno. Allora Altobello scrisse un motto, e indicò il numero della casa; poi lo porse al capitano, il quale senza leggerlo lo consegnò ad Onorato, ordinandogli magnificamente: — Partite... Ora è da sapersi che durante il pranzo molto si erano trattenuti favellando di carceri e di cose a quelle attinenti, come morti, torture, liberazioni; Rinaldo aveva narrato la fuga maravigliosa del Latude dalla Bastiglia, ed altre dei tempi suoi; per converso Altobello parecchie, che pareano impossibili, dai Piombi e dai Pozzi di Venezia: ma più curiosa di tutte fu reputata tra noi, continuò a dire Altobello, la fuga di un Gafforio dalla cittadella di Corte: egli aveva detto, poi era stato interrotto da vari accidenti testè esposti; adesso, che le faccende ripigliavano il corso ordinario, il capitano Rinaldo vago di novità instava: — Dunque, come l'andò a finire quel caso del Gafforio? — Sentirete, che so che ci avrete gusto. Il Gafforio prigioniero invitò a pranzo il Commissario genovese, al quale parve dovere accettare; essendo egli venuto di fresco, gli prese voglia del fiadone, ed ebbelo. Lo aveva ordinato grande perchè bastasse a cibare il presidio della cittadella e per qualche altra cosa: venuto il momento d'imbandire la vivanda sopra la tavola, il Gafforio si levò come faccio io, la pose in mezzo della mensa in questa medesima maniera.... — E poi? domandava il capitano ridendo. — Poi, mutato il volto di piacevole in feroce, aggiunse Altobello, dato uno scappellotto alla crosta mise mano al ripieno, e appuntatolo al petto del castellano gli disse: — zitto! o sei morto. E queste cose aveva l'Alando non solamente detto ma fatto, onde il capitano Cassagnac quando se lo aspettava meno si vide appoggiato al cranio due bocche di pistola; egli per certo era animoso molto, e vuolsi credere che nonostante il pericolo avrebbe gridato; senonchè Altobello gli tolse il tempo di riscotersi dalla sorpresa e dal terrore, e di una spinta rovesciatolo a terra, gli mise le ginocchia sul petto, la destra su la bocca, mentre con la sinistra si cavava in fretta di tasca certi tovagliuoli ammaniti all'uopo; con questi gli cinse il capo per modo che non un gemito avriasi potuto sentire di lui; nè sicuro a tanto, lo voltò bocconi e con altre salviette gli strinse le mani. — Se vi pare bello, signor francese, tormi la libertà a tradimento, spero che non troverete brutto ch'io la recuperi con ingegno e con valore. E intanto che diceva queste parole vestì la divisa militare del capitano, si mise in capo il suo cappello, prese dal grembo del fiadone una matassa di corde di seta intrecciate a scala, ed un paro di guanti imbottiti di cotone, che ci aveva nascosto la provvida Serena; usci franco, e data volta alla chiave se la mise in tasca lasciando il carceriere incarcerato. La notte era fredda ma limpida, sicchè le sentinelle invece di starsene appiattate nei casotti correvano su e giù lungo i battuti per iscaldarsi le membra intirizzite: anche questo dava impaccio, e non poco; però non bisognava gingillarsi; infatti Altobello va difilato dalla parte orientale della fortezza, dove declinando si distende sopra l'estremità dello scoglio; colà stavano poste in batteria due colubrine in custodia di un soldato, e Altobello accostandovisi spera non gli domanderà il _santo_ scambiandolo pel comandante della cittadella, e s'ingannava, imperciocchè la guardia prima gl'intimò si fermasse, poi le desse il nome; frattanto Altobello erasi avvicinato fino a tre passi, e la guardia abbassava lo schioppo per respingerlo. La necessità in cui versava l'Alando gli ferì il cervello, ma fu breve, quasi stretta di mano, e via: teneva la pistola inarcata, gliela sparò nel petto, adoperando quasi senza accorgersene la pratica imparata dal signor Clemente di recitare una prece giaculatoria in pro' dell'anima dello ammazzato. In meno che non si dice _amen_ legò la cima della scala alla corona del cannone, che sporgeva fuori delle mura, e lasciò andarsi giù talora trovando appoggio e talora no; ad un tratto col piè tocca lo scoglio, dacchè e' facesse un po' di cornice intorno alla base dei muri della fortezza: cercare al buio la scala rimasta lì su aggrovigliata, calarla di nuovo, commettercisi poi era lo stesso che darsi al disperato; Altobello come giovane di subiti partiti spiccò un salto tuffandosi in mare quanto meglio potè lontano dallo scoglio; mentre fendeva l'aria pensò che i panni mezzi gli avrebbero arrecato non lieve impaccio al notare, quindi si provvedeva di prudenza per risparmiare le forze, di costanza per durare; con sorpresa pari al contento egli non ebbe a mettere a prova queste due virtù, dacchè tornato a galla si sentì acciuffare da una mano di rovere pei capelli, e subito dopo da un'altra nel collo, e scaraventare dentro la barca come un sacco. Ciò fatto s'intese sfrenellare due remi, che si misero in voga alla dirotta; in questo la fortezza di San Carlo sembrò aprire gli occhi, chè lungo le feritoie apparve una lista di fuoco, e insieme al fuoco piovve una grandine di palle; non avvertimento fu dato, non preghiera profferita, un gemito lieve, seppure era gemito, parve che movesse dalla parte di poppa. Bastarono poche palate per mettersi fuori del tiro del fucile, in quanto al cannone non faceva caso, chè pretendere colpire per la notte una barca con le artiglierie era lo stesso che cercare un cece in mare. Allora in un medesimo punto due voci chiamarono Altobello, e questi riconobbe la madre e Serena. Francesca Domenica animo e corpo di ciocco menava il remo meglio che mai facesse il bonavoglia, Serena teneva il timone, Bastiano era il terzo. Le donne, presaghe dei sinistri che potevano per avventura accadere, avevano portato seco vesti che servirono ad Altobello per mutarsi in fretta; poi mise la madre al timone, egli e Bastiano ripigliarono la voga, Serena mandarono a riposarsi delle fatiche sofferte e più delle agitazioni, ed ella si giacque a prua senza farsi pregare. La fortuna ora da sè discorde volle favorire questa impresa, onde sani e salvi arrivarono alla punta di Arco; trovarono muli allestiti su i quali salendo, presero, senza mettere tempo fra mezzo, la via del Borgo. Furono ricevuti a braccia aperte: qui accadde che Altobello stringendo improvviso al suo petto Serena fu cagione che questa gettasse un strido, per la qual cosa cercando premurosamente se e come le avesse fatto male, conobbe lei essere stata ferita da una palla nel braccio manco; la poveretta quantunque se lo sentisse passato fuor fuora non n'aveva mosso parola, anzi perchè curando lei non perdessero tempo si era accocollata a prua mordendo il fazzoletto, e così in silenzio si era posta una fascia intorno alla ferita. Appena le sfuggiva il grido, vergognando di avere mostrato paura, diede della mano destra su la spalla ad Altobello e con un tal suo sorriso tutto amore, lo rimproverò: — Se nei vostri garbi voi metteste un po' più di grazia, mamma Francesca non avrebbe saputo che io era stata ferita. Francesca Domenica, quando si trattava vegliare infermi, medicare feriti, in breve, consolare qualunque afflizione, pareva chiamata a nozze; nudò il braccio di Serena prima che se ne accorgesse, staccò senza farla troppa penare il panno ingommato di sangue dalla piaga, la quale diligentemente esaminata trovò che non aveva offeso l'osso nè parte alcuna d'importanza; nondimanco dopo averla medicata le impose di andare a riposarsi. Rimasti soli Bastiano e Altobello, il primo disse al secondo: — Quando venni al servizio di vostro padre, Altobello, gli promisi che egli avrebbe spellato me od io lui: difatti io gli scavai la fossa: con voi non ho patti. Ora ditemi se per tutto il tempo che vi ho servito vi mancai in parole, in opere o altrimenti. — O Bastiano; per te solo, finchè vivemmo piccoli orfanelli, quasi non ci accorgemmo ci mancasse il padre. — Bò; dunque datemi un bacio e addio. — Tieni Bastiano, pigliane anche tre; ma non capisco che cosa tu voglia significare. — Ecco io voglio tornare alle mie montagne di Niolo, e da qui innanzi non obbedire altro padrone che Dio. — Come può esser questo, Bastiano? Ti avrebbe qualcheduno offeso in casa mia? — Sì, e molto, e l'offensore siete voi. — Io? — Si, voi avete dubitato di me; voi avete sospettato un momento Bastiano traditore; non lo negate; lo so. — E tu sai male; io non ti ho mai creduto traditore. — E con quel vostro sguardo in casa Mariano che mi chiedeste voi? — Lo vedi; se ti avessi reputato traditore avrei potuto domandarti se mi avevi tradito? — E se mi credevate fedele come avreste potuto interrogarmi se ero di balla con Mariano? No, tanto è, ho deciso, Altobello, il cuore rotto non si rincolla; l'odio mio è contro colui che adoprandomi per zimbello mi fece supporre complice del suo tradimento. Addio dunque! salutate per me Francesca Domenica, perchè non mi basta l'animo di dirle addio. [Illustrazione: ... convitati il 3 maggio a festivo pranzo gli ufficiali superiori, levate le mense commise che con le artiglierie si facesse gazzara. (_pag. 445_)] Altobello si avventò al collo di Sebastiano piangendo: parole non disse che ben sapeva più facile smovere Monte Rotondo che quel feroce petto, e Bastiano con lagrime punto meno dirotte baciò e abbracciò lui. Pareva che non si potesse staccare; si sarebbe detto che non sarebbe partito, ma di repente si asciugò gli occhi, aggrondò le ciglia, schiuse le labbra e recatosi lo schioppo in ispalla si avviò fuori della porta. Quando si trovò fuori, come se vacillasse per ebbrezza, si appoggiò ad un muro e si pose la mano sul cuore: il forte Côrso sentiva come sia affanno peggiore di ogni morte sopravvivere ai propri affetti. Ma questo affanno, richiamandogli alla mente la causa che lo aveva partorito, sollevò nel cuore un'altra tempesta e più truce. Taluno affermò che i Côrsi odiano molto perchè molto amano: sembra sofisma, e pure così estimando non si va lungi dal vero. Sebastiano, poichè si fu diviso da Altobello, corse difilato a incendiare la casa di Mariano; — Dicono che non fosse sua intenzione arderne gli abitatori, ma veramente sembra non se ne possa dubitare, se pogniamo pensiero alla iscrizione che piantò sopra le rovine, e più all'avere prima di appiccarci il fuoco remosse le scale, le quali erano due; la prima pubblica dove passavano tutti, l'altra secreta che metteva capo a certa apertura praticata sotto il letto di Mariano, donde lo vedemmo sparire alla fine del colloquio che tenne con Altobello. Tali a quei tempi erano i Côrsi. * * * * * Quando i Romani stavano in procinto di profferire le sentenze assettavansi, e lo starsi seduto dicono confacesse molto alla eccellenza del giudicato come alla dignità del giudice; e può darsi; l'uomo però ha bisogno di aprire la dura mano della necessità per pigliarvi i presagi del futuro, deve starsi a modo di lottatore. I pensieri talora scoppiano in mezzo ai rumori del giorno simili a baleni di raggio ripercosso sopra lo scudo; tal altra nella pace della notte scendono spessi e luminosi al pari delle stelle cadenti, ma e nell'un caso e nell'altro, dove la facoltà intellettiva non venga mossa dal sangue agitato, impadula come acqua morta. Per questo il generale Paoli, abbandonata per tempo la mensa era sceso nel giardino per meditare su le faccende della Patria; quantunque il vento dai monti soffiasse gelato, aveva scoperta la testa e di tratto in tratto ne scompigliava i capelli, affinchè l'aria fresca vi si rinnovasse per entro. Il suo sangue bolliva, e dalla bocca gli scoppiavano parole rotte appunto a modo di sonagli che saltino su da un liquore che bolle. — Perchè tanto odio contro la libertà?... Egli diceva. Fin qui i governi della terra si modellano su quello di Polifemo, mungere e mangiare il gregge.... Però Ulisse comechè nano dirimpetto a lui gli cavò l'occhio; sta bene, ma gli Ulissi vennero sempre rari nel mondo, massime ora. Adesso la viltà del gregge supera la ferocia dei Ciclopi; se restassero gli uomini un giorno privi di padrone, urlerebbero alla fine del mondo... Dicono la forza tenere il popolo pei capelli, mentre gli introna gli orecchi col grido: io sono il diritto: non è vero, la forza non può tanto se non la aiutasse la paura... Il carro del diavolo tirano queste due bestie; forza e paura... Ah! uomo di poca fede, perchè dubitasti? Questo sconforto nasce dal desiderio ingeneroso di essere sortito tra quelli che raccoglieranno e non tra quelli che arano, tra i trionfatori e non tra i combattenti... Per mezzo alle tenebre, da schiavi ignudi, tra le feste che la prepotenza ubbriaca concedeva alla disperazione digiuna, una fiaccola sola trasmessa velocemente di mano in mano passava il Reno, passava il Danubio ad infiammare alla vendetta il sangue dei barbari, saliva per monti, scendeva per valli finchè non arrivasse; così la libertà passa di generazione in generazione nella corsa desolata che esse menano traverso i secoli, finchè non arrivi agli eletti che con questo fuoco acceso nell'ira e mantenuto dall'odio inceneriranno il rogo della tirannide: nè i tempi paiono lontani... e come? Non so, ma l'aria che respiro mi sembra pregna di tempo nuovo: certo poca cosa sono io.... e non uso a pescare nelle acque dove si cova il destino dei popoli, lontano dal mondo, in mezzo ad un'isola; che importa questo? Quando l'uomo del settentrione vuole accertarsi se il diaccio ha messo crosta sul Boristene da reggere il passo dei suoi carri e di lui, manda innanzi la volpe; il disprezzato animale origliando il minimo rumore di cretti invisibili dà all'uomo quella sicurezza che questi non può procurarsi con le sue facoltà. Tra cento anni saranno spariti dal mondo la casa di Borbone, la casa di Austria e il pontificato di Roma, i tre chiodi che tengono fitta in croce la umanità... Intanto che il Paoli molinava simili concetti, in un luogo remoto del giardino lungo il muro, si vedeva strisciare pian piano su la terra un mostro immane; però la Corsica non contiene serpi grandi nè piccoli, almeno così credono, e il nuovo mostro presentava la mole del massimo dei boa per grossezza; ancora costui sembrava allungare e ritirare branche proporzionate al corpo, e spesso sostava quasi che impaurisse dallo scroscio delle foglie secche che si sgretolavano sotto i suoi passi; sovente levava il capo e lento lo volgeva dintorno come sospettoso di vedere oggetto di che non avesse paura. Scopo dei suoi passi sembrava veramente che fosse il Generale, ma si comprendeva chiaro che ei non ardisse cimentarsi troppo; però era da credersi che il Generale, vagando come lo menavano le gambe nelle frequenti giravolte, pigliasse il verso da codesta parte: quindi il meglio era aspettarlo a piè fermo: questo parve appunto deliberare la strana figura e rannicchiata dietro un tronco di albero attese. Il cane Nasone non si scompagnava mai dal suo signore, in ispecie quando usciva fuori di casa; ma quella sera lo trattenne Matteo Massesi che pronto si mise tra il cane e la porta, e mentre ne chiudeva l'uscio, con un pezzo di zucchero tirò a sè Nasone. Nasone capiva trovarsi in buone mani, andava tranquillo che ciò non fosse punto preordinato a fin di male, ed anche lo zucchero lo tirava; egli non aveva il lusso dei sette peccati mortali come l'uomo (e taluno ne possiede anche otto), ma la gola era la sua pecca; tuttavia trangugiato ch'ebbe lo zucchero si voltò gagnolando alla porta e quivi raspava e col muso s'ingegnava ad aprirla. Matteo poneva ogni studio a quietarlo; ma era niente; gli pose altro zucchero, e' tornò invano: di un tratto il cane si ferma allungando le gambe davanti e le posteriori raggruppando, leva il capo come fa il bracco quando punta, e subito dopo tese le orecchie, aggrovigliata la coda, tutti i peli irti si avventa contro la porta con un furibondo latrato; al tempo stesso fu udito dal giardino un colpo di pistola; e' parve che ne restasse ferito Matteo, imperciocchè vacillasse, e dati indietro due o tre passi percotesse con le spalle nella opposta parete; ma si riebbe presto, e asciugandosi il sudore colla manica del vestito aperse l'uscio donde precipitò con Nasone in traccia del Generale. Lo trovarono fermo e sereno, senonchè entrambi, cane ed uomo, essendogli con furia saltati al collo, poco mancò che non cadessero giù tutti in un fascio: frattanto con lumi ed armi traeva gente da ogni luogo, per la quale cosa il Paoli si vide circondato da una frotta dei suoi; richiesto, appagò l'ansietà loro dicendo come passando presso all'albero lì vicino un uomo posto in agguato gli sparasse contro una pistola; a parere suo molto avere a costui dovuto tremare la mano perchè il colpo era stato a bruciapelo e non si poteva sbagliare, ma la Provvidenza anche per questa volta essersi degnata salvarlo. Rientrò in casa dopo queste parole accompagnato da molti; e più prossimo di tutti gli procedeva accanto il Massesi, il quale sembrava non potersi saziare di baciargli la mano e domandargli se veramente non l'avessero colpito e se si sentisse male. Molti furono i ragionari intorno all'accaduto che non importa riferire; il Paoli giudicò che il colpo partisse senza dubbio dai Francesi, e su tale proposito disse queste parole dure: — La vanità dei Francesi è più crudele della ferocia dei cannibali; se traverso la via che mena al Campidoglio incontreranno il cadavere del padre, ogni francese si sentirà il cuore di Tullia per passargli sopra e correre a coronarsi d'infamia e di alloro. Maravigliando poi di non vedere il cane fidato e parecchi dei suoi che pure gli erano comparsi nel giardino, lo chiarirono come fossero corsi dietro le traccie dell'assassino; allora il Generale osservò: — Gli è tempo perso; il male lo abbiamo in casa.... Aveva appena finito di parlare che il cane entrò tenendo un foglio in bocca, il quale si fece a depositare su le ginocchia del Paoli: — ed ora, che significa questo? interrogò; poi preso il foglio e gettatovi sopra gli occhi: curiosa! aggiunse, è una lettera indirizzata a te Matteo. — A me? Ah! forse nella confusione mi sarà cascata di tasca. — Senza dubbio, senza dubbio, e sarà, io gioco, di qualche tua dama: ecco dunque spiegata la causa per la quale ti vedo meno frequente intorno a me: quasi quasi mi piglierebbe vaghezza di conoscere la bella che mi fa concorrenza. — Oh! voi non lo farete. — Perchè no? Anzi dovrei; perchè se dritto amore, mi toccherebbe promuoverlo, se illecito reprimerlo. — Per amore di Dio rendetemi la lettera. — Io non sono geloso; spero che non sia affetto del quale tu abbia ad arrossire; ecco la lettera, e tu Nasone torna a cercare, per questa volta l'hai fatta corta; — e così dicendo porse la lettera a Matteo il quale stese la mano pronta come un baleno, ma così tremula che girava intorno al braccio del Generale senza poterlo toccare; quando fu per pigliarla, un altro braccio sporto fra mezzo, la portò via dalle dita del generale esclamando: — Questa lettera ci manda la Provvidenza per iscoprire qualche nero tradimento. — O padre Bernardino, eccovi qui sempre co' vostri eterni sospetti; rendete via la lettera allo zitello: non vedete che con quegli occhiacci da spiritato lo fate morire di paura. — Questa è sfrontatezza fratesca; come ci entrate voi? Rispettate i miei segreti o che io... la lettera... per Dio!... la lettera — e Matteo si slanciava destro come un gatto sul frate, il quale steso un braccio col pugno chiuso, respinse il giovane intanto che diceva senza punto scomporsi: Non vi confondete, figliuolo; io sono confessore, e la conoscenza di molti altri peccati sta sepolta quaggiù: dove si tratti di fragilità umane resteranno fra voi e me; nessuno ne saprà straccio, in fede di sacerdote; e senz'altro aspettare spiegò la carta: appena scorsa con rapido sguardo alzò gli occhi e vide Matteo che quatto quatto si accostava alla porta tentando nel suo folle pensiero di svignarsela inosservato. — Altobello, gridò il frate allo Alando che in quel punto si trovava più vicino al Massese impeditegli di fuggire, perchè quanto è vero Dio, il traditore è costui. — Traditore! gridò balzando in piedi il Generale, e poi ricadde a sedere facendosi in viso pavonazzo come se lo avesse colto la gocciola; con la mano accennava aprissero le finestre per lasciare libero l'ingresso alla corrente dell'aria. In quanto a Matteo non importava reggerlo! egli era cascato disfatto su le braccia all'Alando. In mezzo ad un silenzio di sepolcro venne letta la lettera funesta, la quale diceva così: Bastia, 7 febbraio 1769. «Matteo! «Il tempo stringe e tu mi giri nel manico: caso mai ti ripegliasse la solita vigliaccheria, ti avviso che ti perdi senza prò. Se lo scellerato si troverà vivo di qui a otto giorni egli leggerà la ricevuta che in doppio originale, uno per me, l'altro pel signor conte di Marbouef, scrivesti e firmasti di tua mano, la quale se per avventura avessi dimenticato, ti copio per tuo governo e dice così: — io sottoscritto ho ricevuto da S. E. il signor conte di Marbouef luigi sessanta da lire 28 l'uno che tanti mi paga a conto dei luigi cento costituiti in dote da S. M. cristianissima alla nobile donzella Caterina figliuola del nobile signor Orso Campana; la quale signora Caterina ha promesso pigliarmi per suo legittimo sposo a patto che nel corso del corrente mese di febbraio 1769 io abbia a consegnare vivo o morto, in mano dei Francesi Pasquale Paoli tiranno della Corsica, patto da me acconsentito e accettato; ed in fede io Matteo Massesi mano propria. — Tu vedi dunque che siamo in buona regola: però volendo, com'è dovere di sposa venire in aiuto del marito, ti mando questa lettera per uomo fidato che si è profferto di ammazzare il Generale, purchè gliene sia dato il comodo, e questo tu potrai molto agevolmente fare consegnandogli la chiave della porta del giardino dove il maledetto da Dio si reca a passeggiare talora dopo pranzo. Se ci capiterà solo od anche in poca compagnia il nostro uomo assicura ch'è affare finito; e ammazzato ch'ei l'abbia scapperà per la medesima porta alla campagna salvandosi sopra un buon cavallo per la via di Aleria o dalla parte che gli tornerà più destra. Tu partirai il dì dopo od anche la notte medesima. Sbrigati dunque, se è vero che il mio amore ti prema e se vuoi guadagnarti le grazie che ti sono state promesse. Tua affezionatissima sposa Caterina Campana.» Giuseppe Maria gran cancelliere di stato, padre di Matteo, uomo di partiti rigidi ed inventore di nuove maniere di supplizio conobbe vano supplicare misericordia: in cotesta medesima notte risegnò la carica, e consegnati i sigilli si ridusse in sua lontana campagna a nudrirsi di dolore e di veleno. I Francesi, più tardi, divinando il tesoro di odio contro gli uomini che si doveva essere accumulato in cotest'anima, lo chiamarono a pigliare parte al festino di sangue, ed egli accorse come dicono che costumi l'iacal, a rodere le ossa della gente sbranata dal leone. Matteo però fu giudicato con tutta la solennità dei riti forensi e comecchè nè egli nè altri sapessero addurre scusa la quale valesse se non a torre, almeno a scemare la colpa, non dimanco ebbe la difesa. Gli uomini a quei tempi chiamavano ed anco adesso chiamano coteste formalità osservanza ai sacri diritti dell'uomo, ma in effetto e' sono grullerie o ipocrisie, e bene spesso l'una cosa e l'altra, quando la colpa è manifesta, e il reo non la nega: o quando il principe vuole la tua morte, e i giudici tirano salario per servirlo del loro mestiere, che montano tante storie? Fuori il carnefice addirittura; sarà tanto tempo risparmiato; e il tempo, pensateci bene, è moneta; così predicano quotidianamente gl'inglesi principali economisti del mondo. La storia infama come crudele Sisto V, che volendo s'impiccasse subito quel giovane fiorentino che ammazzò uno sbirro, e sentendosi opporre che bisognava innanzi giudicarlo rispose: giudichisi pure a patto che s'impicchi prima di desinare, e stamane rammentatevi che ho fame; e Cosimo de' Medici, che sotto i ragguagli del fiscale scriveva asciutto: s'impicchi: se gli Spartani avessero posseduto la forca non potevano adoperare concetto più laconico; e finalmente quel Ferdinando di Napoli, delizia del Romano Pontefice Pio IX, che mandò una compagnia di moschettieri al Presidente di una Corte di giustizia facendogli sapere che si sbrigasse a giudicare gli accusati perchè i moschettieri avevano ordine di fucilarli prima di rientrare nei quartieri, la quale cosa importava accadesse prima di vespro; crudeli certamente furono e molto, ma bisogna confessare che furono eziandio molto sinceri. Matteo Massesi fu condannato a morire strangolato con lo strumento paterno. Tutto il giorno fu triste; rossi nuvoloni andavano in volta sul cielo rombando con un tuono continuo come se i demoni dell'aria se gli strascinassero dietro; verso sera si abbassarono; e squarciandosi con folgori terribili e spaventoso fracasso mandarono acquazzoni a diluvio e bufere di grandine: pareva che cascasse giù il cielo; il vento penetrò le case spazzando la polvere del pavimento, strappando i ragnateli dai palchi, sbatacchiando porte rompendo vetri e sfondando impannate, poi dagli usci socchiusi mandò fuori gemiti, urli, stridori, che suscitavano negl'inquilini giusta le più recenti avventure patite, o la ricordanza della moglie morta fra le angosce del parto, o quella del rantolo della lunga agonia del padre, o il rammarichio del pargolo che si dibattè tra gli spasimi, o il vagellamento del fratello che traboccò nell'altra vita delirando vendetta; ancora il vento indiavolato si avventa a spire su per la cappa del camino spingendo innanzi a sè faville sommovitrici di lontani incendii: allo sbocco rovina l'angolo dei tegoli murato su la cappa per riparare il fumo, schianta pietre e lavagne mulinandole attorno a mo' di foglie secche. Guai a cui in quel punto passa per la via! che contro cotesta pioggia schermo di ombrello non vale. Inoltre si infilò nei campanili, si erpicò per le scale e prese ad agitare le campane a strappate, le quali di tratto in tratto cacciarono uno squillo che pareva un singhiozzo; quinci si spinse su la cuspide arrovellandosi intorno alla banderuola, scotendola a destra, a sinistra, poi ravvolgendola velocissimamente intorno all'arpione: adoperando insomma l'estremo di sua forza per iscassinarla di costà quasi in vendetta della testimonianza ch'ella di cotesta altezza faceva agli uomini della sua incostanza e della sua cattività; scendendo entrò in chiesa, e menando remolino per le colonne, per gli altari e su per le cupole ci destò diverse voci e tutte paurose, perchè sul pavimento fischiava come se dalle sepolture i peccati mortali dei sepolti ne prorompessero in forma di serpenti, dagli altari come se i santi corrucciati rimproverassero agli uomini le sempre cresciute offese al Signore, e pel vacuo delle cupole reboando gelava il cuore per paura, che gli angioli sonassero le trombe per la chiamata dei morti al giudizio universale. Tutte le cose avevano un gemito sotto il flagello della natura presa da furore; gli alberi rovesciavansi gli uni su gli altri stridendo come soldati di esercito sconfitto, e le acque stesse dei fiumi e dei fonti schizzando percotevano a mo' dei flagelli, delle furie. Il Paoli chiuso nella sua stanza, seduto contro al suo solito stringendosi con la manca mano le tempie, la bufera infernale o non sentiva o non ci badava; così durò fino a notte avanzata; allora si levò e apparve scolorito; non si sarebbe potuto dire se avesse pianto; certo gli si vedevano gli occhi infiammati; prese un coltello, si coperse con un gabbano e uscì di casa. Aveva mutato appena due passi nel corridore dove metteva la prigione di Matteo Massesi, che si vide venire incontro la burbera faccia del padre Bernardino, il quale disse: — Il cuore me lo porgeva che sareste venuto quaggiù. — Però mi aspettavate? rispose il Generale aggrottando le sopracciglia, — No; io non aspettava voi; bensì aspetto che ei si svegli — e col dito accennava la carcere di Matteo — come per me la morte corporale lo colpisce, vorrei che anche per me la vita dell'anima gli si schiudesse. Ma e quando anco avessi aspettato voi, il merito non sarebbe stato minore. — Frate! io non amo che si guardi così al sottile nella mia vita, ve ne avverto, e la vostra vigilanza mi pesa, abbiatelo per inteso. — Pasquale, figliuolo mio, non lasciarti sopraffare dal demonio della superbia; io ti rammento che fui l'amico di tuo padre; epperò immagina che per la mia bocca ti parli cotesta anima benedetta. Soffri le mie parole; esse sono amare come la medicina, ma apportano la salute come quella. Tu sei venuto a salvare lo sciagurato. — E che fa a voi cotesto? — Che fa? quando, e Dio non voglia, a te non importasse più della tua fama, la tua fama appartiene alla Patria, ella è nostra e noi dobbiamo averne cura. — Oh! ma allora io diventai il peggiore dei servi; io sarei lo schiavo di tutti. — Non si va in alto senza portare seco molti doveri, e non ci si mantiene senza molti dolori. L'uomo rettore di popoli si rassomiglia in tutto a san Bastiano: egli è esposto a chiunque vuole scoccare la freccia contro di lui; ma come il santo in premio del martirio acquistò le glorie eterne del paradiso, tu per breve fastidio godrai rinomanza immortale, mentre noi perduti dentro il tuo raggio non lasceremo memoria della nostra comparsa nel mondo, nè manco nella famiglia da cui nascemmo. La tua gloria divorerà tutte le nostre glorie, a modo che il serpente uscito della verga di Mosè si mangiò quelli che nacquero dalle verghe dei maghi di Faraone. — Tuttavolta non vedo come da salvare un condannato me ne abbia a venire scapito di reputazione; all'opposto sempre fra gli uomini fu benedetta la clemenza. — Ci è tempo di clemenza e tempo di giustizia. La tua giustizia ha lavato la Corsica del sangue fraterno pel quale era infame; la tua giustizia ha ricondotto la osservanza delle leggi e la pace nel paese, la sicurezza nelle famiglie; perchè dunque di un tratto ciò che prima ti piacque ora t'incresce? — Non m'incresce, ma mi percuote la mente la sentenza del Montesquieu, la quale dice: la grazia compone il fiore più bello della corona dei re. — Può darsi dei re, perchè i fiori di queste corone sono spine nel capo dei popoli; fatto sta che la grazia è l'opera dell'uomo il quale si costituisce superiore alla legge; la grazia rompe l'ordine della uguaglianza sovente in prò di cui se lo merita meno, per ultimo la grazia converte la giustizia in ingiustizia tanto di faccia a coloro a cui si concede, quanto agli altri a cui si nega. I nostri statuti ti conferivano per errore simile facoltà, e tu accorgendotene non te ne prevalesti mai. Più tardi potranno mitigarsi le pene; quella di morte abolirsi; la legge meno acerba esattrice dovrà contentarsi di essere pagata in ragione di 15 soldi per lira, ma ognuno ha da pagare. — Signore! E' troppo duro che muoia cotesto sciagurato appena giunto al ventiquattresimo anno. — E quanti anni contava di più Giovanni Brando? Tu non salvasti amici nè parenti; che mai diranno se salvi questo? — Diranno — ed abbassò la voce; che chiuso ad ogni affetto di sangue e di amicizia il tuo cuore sostenne offendere la giustizia per passione sconsigliata. — Questo non diranno; amai cotesto giovane; forse lo amo ancora, non però oltre la giustizia e il debito. Nell'ora suprema, che per lui si avvicina, abbia, dacchè dargli alcun altro sollievo mi è tolto, le mie consolazioni; lasciatemi andare, io voglio vederlo per cinque minuti. — Generale, vogliatemi favorire il vostro orologio. — Che volete farvene? — Ci guarderò sopra il trapasso dei cinque minuti e ve li rammenterò; voi non ce li guardereste di certo: adesso cotesto arnese non può giovare a voi che ponendolo nelle mie mani. Il Paoli tenendo un candeliere acceso in mano si accostò al letto di Matteo: egli dormiva, e dal sembiante giocondo pareva che in quel punto lo allietassero sogni soavi: il capo egli inchinava appoggiato al destro braccio sporto penzoloni fuori del letto; i capelli copiosi inanellati gl'inquadravano la bella faccia; un madido rossore gl'imporporava le guancie; le labbra aveva socchiuse e frementi come se dessero un bacio o favellassero parole di amore. Il Paoli non ne sostenne la vista; riportò il candeliere su la tavola e prese a passeggiare incerto se dovesse svegliarlo o se partire senza avere ricambiato motto con lui: lo tolse di dubbio un sospiro, e dopo il sospiro un grido. — Ah! disse Matteo levandosi, io n'era sicuro, e il sogno me lo accertava pur dianzi. Il signor Generale non ti lascerà morire, no: egli ti ama tanto! Certo io l'ho offeso, non lo nego; non mi state a dire che merito castigo; lo so: non mi rimproverate la mia ingratitudine; io la sento: non mi avvilite con obbrobrio; voi non potreste vituperarmi come mi vitupero io. Così, signor Pasquale, non ponete in me più fede, ritiratemi il vostro affetto, fate quello che volete; ma non mi lasciate morire, non è questa l'età in cui si muore; io vi parerò il sole col mio corpo; vi farò schermo contro le palle nemiche; servitevi di me come di piumaccio per riscaldarvi i piedi, o di poggiuolo quando salite a cavallo; ma non mi lasciate morire. — I cinque minuti sono passati — si udì ammonire la voce del padre Bernardino traverso la porta. — Ah! rimescolandosi tutto, gridò Matteo, e poi con accento più spedito soggiunse — che se non vi degnate tenermi più accosto a voi, ebbene me ne andrò lontano, mi bandirò dal paese, andrò in terra straniera ad espiare la mia colpa col rimorso. — Sono passati sei minuti. — O piuttosto, sentite, compenserò con altrettanto utile il danno che stava per recare al paese: vi pagherò il tradimento tramato in tanta vendetta compita; mi condurrò a Bastia, dove dimostrerò il colpo essere andato fallito per difetto del sicario: mi farò dare altri denari e ve gli manderò: m'ingrazierò presso di loro, ne spierò i segreti e i disegni, e ve ne ragguaglierò ora per ora; m'introdurrò nella cucina del conte di Marboeuf il giorno che metterà tavola agli ufficiali dell'esercito, e gli avvelenerò tutti.... — Sciagurato! proruppe il Paoli col pugno levato come se volesse schiacciargli il capo, e chi ti ha dato il diritto di giudicare così malignamente di me? — Otto minuti sono passati. — O Dio! O Dio! non mi lasciate morire... Il Paoli si tenne a mezzo l'atto: intese a ricomporsi per alcuni momenti; alla fine con voce ferma aggiunse: — Matteo, voi dovete morire... — Grazia, per carità! E allora che cosa ci siete venuto a fare? — Ecco, rispose il Paoli, cavandosi di tasca il coltello e buttandolo sopra la tavola — capisci — altro non posso darti: addio. — Ah! è questo l'ultimo dono che Pasquale Paoli serbava per Matteo Massesi? E intanto che il Generale allontanandosi da lui s'immergeva nel buio in che stava sepolta la parte estrema della prigione, con suono via via più languido disse: — Madri tenerissime e magnanime a figliuoli illustri e amatissimi, quando non poterono sottrarli da morte, di pari doni presentarono, affinchè fuggissero la infamia del patibolo. — No... così non ha da essere... voi con una parola potete salvarmi la vita... e voi avete a dirla questa parola... o non ne direte più altre: e, gittandosi sul coltello ne butta via il fodero correndo in furia colà dove era scomparso il Generale; dopo pochi passi gli riapparve l'ombra davanti, ne muove alcun altri e gli sembra... anzi di certo gli sta davanti una persona diversa. — E voi chi siete? urla disperato. — Io sono il Confessore — rispose il padre Bernardino. Dopo un'ora padre Bernardino bussava alla porta della camera del Generale che trovò levato, col medesimo gabbano fradicio addosso col quale era stato alla prigione; lo salutò, e posto il suo coltello sopra la tavola: — Vengo a riportarvi il coltello dalla parte di cotesto sciagurato — disse; e dopo alcuna esitanza, con suono che difficilmente poteva conoscersi se fosse sincero o beffardo, aggiunse: — egli piglia la infamia del patibolo in parte di espiazione del delitto commesso, e intende farsene merito presso a Dio. — Ho capito; gli manca il cuore d'ammazzarsi. — Buttò via il gabbano e assestatosi al tavolino scrisse alcune righe che consegnò al frate. — Anche questa carità, padre, e attendete che venga adempito questo mio desiderio; in quanto occorre comando. — Ma avvertite, Pasquale... Questi levando minaccioso il dito, soggiunse: — Zitto! Importa che sia così: la vista del patibolo somministra argomento di curiosità agli stupidi, e scuola di ferocia agli scellerati. Quando fu riaperta la porta del carcere, dopo le spalle del frate entrarono due altre persone che portavano qualche cosa di peso e rimasero lì presso la porta; la candela oramai consumata mandava più fumo che luce. Matteo giaceva bocconi sul letto traendo di ora in ora focosi sospiri: appena sentì stridere il chiavistello si mise a sedere sul letto, gridando: — Padre, m'avete ottenuta la grazia? E siccome quello metteva alcuna dimora alla risposta. — Almeno una proroga? — Senti figliuolo; dopo che ti ho lasciato, sarebbe un impossibile che tu in pensieri, opere od omissioni non ti sia tornato ad imbrattare l'anima che io ti aveva resa proprio bianca di bucato: ora prima di tutto riconciliamoci con Dio. — Sì, qualche altro peccatuzzo avrò commesso, sì voglio riconciliarmi con Dio, ma la grazia me la fa? Me l'ha fatta? — E batti lì: ti aveva lasciato coll'ali all'anima, e ora mi sei ricascato giù nel pantano. Vieni qua... dimmi, figliuolo, hai bestemmiato Dio? — Sono da voi Padre; ma che vi ha detto il Generale; dove siete, chè non vi vedo? — Sono qua... da questa... porgetemi la mano, non tremate, figliuolo... su coraggio... — Coraggio! e perchè? — Sedete... voi siete per mancare... — Sì la terra mi scappa di sotto — e tastato all'intorno, trovò un seggiolone e vi si pose a sedere. — Figliuolo riconciliatevi con Dio... — Oh! — Dite: Gesù, Giuseppe e Maria, vi raccomando l'anima mia.... — Perchè? Perchè? — Perchè è arrivato l'ultimo momento della vostra vita. La fune gli cinse il collo, che stretta subito sui buchi della spalliera venne dalle mani del carnefice aggrovigliata con un nottolino; invenzione, come avvertimmo, di Giuseppe Maria Massesi. Questo trovato parve buono, e nella Spagna gli fecero buon viso, e tutta via glielo fanno: in Francia no, perchè ai Francesi parve scapitare di reputazione, se non mostravano, che anco nei supplizi possedevano immaginativa da rivendere italiani e spagnuoli: difatti il medico Guillottin trovò la _ghigliottina_, che dapprima non valse la seggiola del Massesi o la _garotta_ spagnuola, come quella che operava mediante un ferro tagliato a mezza luna; e' fu proprio Luigi XVI, il quale coll'occhio esperto, che i re sortono dalla natura per siffatte bisogne, esaminata la macchina disse, che il dottore, eccellente fisico se si voleva, era un asino calzato e vestito in fatto di meccanica; imperciochè l'arnese non sarebbe mai perfetto se prima al ferro non si mutasse forma riducendolo, invece di mezza luna, a ugnatura. I Francesi fecero _sentire_ più tardi al re Luigi che egli aveva avuto ragione. CAPITOLO IX. La battaglia di Pontenuovo Dentro il memore petto i sacri affanni Va rinnovando il tuo gorgoglio, o fiume: Però che il giorno io mi riduca a mente In cui l'onda cruenta i forti corpi Menò travolti, e le spoglie infelici. Veggo morti giacere, e vedo le armi Sparse per la campagna, e le ferite Tabe stilanti. Oh! degli eroi gli spirti Debitamente supplichiamo. Molto Poi nel cor sospirando, e molte a Dio Mettendo preci, io passo. _L'uomo del Bosco._[38] Di tratto in tratto Pasquale Paoli metteva fuori il capo dalla camera che abitava nel convento di Murato, terra grossa nel Nebbio, e con impazienza sempre crescente domandava ad Altobello ed agli altri che stavano fuori; non si è anco visto nessuno? — Nessuno, gli rispondevano sempre. Per ultimo comparve un vecchio, cui crederono parecchi raffigurare, ma così alla confusa, che postisi appena sur un sentiero ne smarrivano la traccia; infatti com'era possibile mai riconoscere padre Bernardino da Casacconi senza barba, con due baffi formidabili, una parrucca infarinata, ingessata e per di più vestito da soldato? Da soldato in verità, nè basta; da soldato nemico, da soldato traditore, in breve da soldato delle compagnie côrse composte da Matteo Buttafoco e messe sotto il comando di Ferdinando Agostini, del cavaliere Lazzaro Costa, di Orso Campana e di Angelo Luigi Matra, le quali furono il colpo di grazia alla libertà della Corsica. Egli si presentò con un certo fare insultante e beffardo che unito alla nappa bianca francese appuntata al cappello gli avrebbe fruttato disgustoso saluto se di subito non chiedeva del generale. Questi, a quanto parve, stava con le orecchie tese, imperciocchè spalancò in un attimo la porta esclamando: — Ben venga il nostro venerando in Dio, padre Bernardino; stavo sui ferri arroventati non vi vedendo arrivare. — Ed io finchè non arrivava mi sentiva molto vicino al piombo bollente; ma eccomi qua come piace al Signore, ed è faccenda finita. [Illustrazione: .... ad un tratto il cielo si ricoperse di nuvoli... (_pag. 447_)] Entrati nello studio dove era distesa per terra una carta geografica della Corsica, padre Bernardino incominciò: — voi già saprete lo sbarco a S. Fiorenzo del generale comandante conte De-Vaux; il Marboeuf fu promosso all'ufficio di capo civile: come però egli duri sempre a mestare nei negozii soldateschi non saprei: fatto sta, che ci si mescola. Voi conoscete questo De-Vaux, che altre volte militò in Corsica lasciandovi fama di poco valore e di molta ribalderia; or bene i suoi amici affermano, e dove bisogna anco con giuramento, che il tempo gli ha logorato il poco di buono e cresciuto a dismisura il cattivo. Il duca di Choiseul non ha trovato di meglio a cui appoggiarsi adesso che traballa: dicono che dove vinca presto, gli abbia promesso in fede di gentiluomo il bastone di maresciallo di Francia, ma dicono eziandio che senza pregiudizio della fede di gentiluomo, perda o vinca non gli darà nulla. Lo precede la reputazione di lunatico, di beone e di crudele per ferocia e per bizzarria: e già taluno ha provato che la fama non mentisce. Poichè, come voi sapete meglio di me, non manca mai in Francia qualche persona che a parole non ti sovvenga, massime se la parola buona per te trafigga altrui; così nell'udire la commissione del conte De-Vaux, il quale nei suoi colloquii si dimostra troppo più perito di forche e di ruote che di battaglie, corse sul conto del duca di Choiseul il motto: prima comprò le pecore, ed ora manda il macellaio a spellarle; dalla quale rampogna desiderando il duca schermirsi gli mise a canto non so quale ufficiale affinchè lo temperasse, ma gli è stato un buttare polvere negli occhi; in vero per altra parte gli raccomandò si riportasse ai consigli del Sionville... — Sionville! Quel vecchio feroce che insanguinò la Corsica sotto Teodoro, e rese odiosissimo ai Côrsi quest'uomo il quale si era presentato come liberatore? — Per l'appunto lui. Il De-Vaux afferma a chi non lo vuole e a chi lo vuole sentire, che fa caso di ridurre a partito la Corsica come di bere un uovo; anzi ha giuocato dopo pranzo con Lord Pembroke dodici dozzine di bottiglie di vino di Canarie di averla ridotta alla devozione del re prima della rinfrescata. — Jattanze francesi che si potranno verificare pur troppo se manchi ai Côrsi la consueta virtù; — ora ditemi quante forze di certo il nuovo capitano può adoperare contro noi? — La paura, e andiamo franchi, anche la prudenza che conta vi direbbero molte anzi troppe: danno per sicuro, ch'egli possa campeggiare con 50 battaglioni non comprese le artiglierie che sono un subisso, e più dei battaglioni e delle artiglierie, assai mi fa paura un'altra cosa. — Ed è? — Parecchi milioni di lire in luigi d'oro e la facoltà di conferire impieghi militari e civili; i francesi medesimi fanno le stimate non sapendo donde la corte abbia potuto cavare tanti quattrini; ma purchè il duca di Choiseul duri al governo, non rileva se per ammazzare mille Côrsi bisognerà che duemila francesi muoiano di fame. — Ah! padre mio, da questa parte la patria disarmata riceverà il colpo mortale. Dio ci assista — e il Generale, chiusi gli occhi piegò dolorosamente la testa. — _Amen!_ rispose il frate. Il generale rinfrancato l'animo nel raccoglimento interrogò di nuovo: — E non vi è venuto fatto di penetrare nulla intorno all'ordine col quale intendono condurre la guerra? — Ve lo dirò per disteso, anzi ci sono venuto a posta per questo, altrimenti mi sarei rimasto. Quando mi fui acconcio come mi vedete, talchè specchiandomi non ravvisava più me stesso, me ne andai difilato dal conte di Marboeuf, e gli dissi voler pigliare soldo per Francia; interrogato del nome io glie lo dissi: Bernardo da Casacconi; sarei volentieri entrato nel corpo delle guide, che agli altri servizi io mi sentiva inetto, o per lo manco meno atto: egli mi rimandò a Matteo Buttafoco che si dimena come il diavolo nell'acqua santa a portar fascine per bruciare la sua Patria; a me che non garbava punto questo andare da Erode a Pilato, fatto del core rocca risposi: che non mi ci entrava; volere servire la persona del conte; se così gli piaceva mi accettasse, diversamente mi lasciasse stare, perchè ogni uccello sa il suo verso, ed io intendeva fare il mio. Il Conte di rimando: la si potrebbe accomodare, ma sacco vuoto mal si giudica, ed io se non ti conosco non ti maneggio. Voi siete un signore prudente, risposi io; e in questa come a Dio piacque entrò Ferdinando Agostini; certo mi fece e per più cagioni un tuffo il sangue, ma mostrando il viso alla fortuna replicai: ecco qua qualcheduno che potrà darvi buona contezza di me, e volto all'Agostini ripresi: compare, dite senza rispetto al signor conte qual è il mio nome nè più nè meno, e se mi credete capace a insegnargli le vie che menano a Corte. L'Agostini mi guardava come uomo che riconosce la voce, ma poi non gli corrisponde alla sembianza, e tra il sì e il no si confondeva; io gli ammiccai degli occhi, ed egli rabbrividì: tenni che stesse per denunziarmi e non lo fece; forse la mia audacia lo mise sottosopra: forse la coscienza del bene che altre volte gli aveva fatto lo rimorse; può darsi che la paura dei miei vendicatori lo stringesse, o piuttosto, come ho potuto conoscere confessando, Dio ordinò che nei cuori più tristi restasse sempre una particella sana, non fosse altro, perchè sentissero la diversità che corre fra le opere buone e le ree, e trovassero per così dire sempre aperta una porta alla penitenza, fatto sta che rispose asciutto; costui si chiama Bernardo; ed è de' Casacconi senza dubbio! quando voglia, non troverete uomo più adatto di lui per condurvi a salvamento per tutti i tragetti dell'isola. — Non occorre altro, voi starete a posta mia e questi vi dono per gaggio. — Così disse il Conte e mi dette sei monete d'oro, che eccole qui — diss'egli frugandosi in tasca e mettendole sul tavolino. — E che me ne ho a fare io? — Pigliarle e spenderle in vantaggio della Patria, voi che lo sapete, io non le posso tenere, che ho fatto voto di povertà. — Dov'eravamo? Aspettate; non m'interrompete più; o che io perdo il filo. Uscito l'Agostini sopraggiunse un uomo corto e grosso, che fin dalle scale gridava; Conte! Conte! dove diavolo siete, Conte? Il signor di Marboeuf gli si fece incontro col cappello in mano, dandogli della Eccellenza, ed egli a lui; però presto mi accorsi ch'egli era il De-Vaux, imperciocchè spiegando un involto di carte continuò ad urlare; — corpo qui; sangue là; insomma bestemmie da staccare i travicelli dal muro; chi credereste voi di avere per generale? forse il Conte de Vaux? Voi v'ingannate. Il generale sta a Parigi; di là si vedono meglio le cose, e soprattutto ci si vedono più riparati; il generale è il duca: lo spirito santo gli ha versato sul capo le virtù a catinelle; in breve voi lo sentirete creato cardinale, forse anche papa, — ecco qua — aggiunse rabbiosamente gettando l'involto su la tavola — egli mi manda da Versaglia bello e fatto l'ordine della guerra; egli comanda e vuole che in due punti si abbia a campeggiare; uno nel Nebbio per mettere fuori il Capo Côrso, e l'altro nella Casinca per penetrare nell'interno dalla parte di Aleria: questo come vedete è perfettamente assurdo; tra me e il capoluogo delle operazioni metto un paese intero, mi dilungo senza sapere dove troverò il nemico, mi espongo ai disastri di una marcia arrisicata, ed offro campo di proseguire a nostro danno la guerra di avvisaglie che sperimentarono così acerba i miei antecessori: no, signore io non la intendo così; la colonna nel Nebbio sta d'incanto, ma sostenuta da corpi vicini, i quali operino di concerto con lei; una colonna manderemo anche in Casinca per tenere in rispetto il nemico, e torgli il ruzzo di raccogliersi in massa: ma la terza colonna che mi dispongo a comandare io voglio che s'inoltri per la sponda sinistra del Golo e faccia capo sotto le costiere di Lento, dove congiunta coll'altra che scenderà dal Nebbio mi concederà potere da un lato di occupare la Balagna, dove ci aspettano a braccia aperte, dall'altro, sforzato il passo del fiume, correre fino a Corte e così darmi di un tratto vinta l'impresa... — Chi è quell'uomo là? — a questo punto scorgendomi domandò il De-Vaux. — Non dubitare è dei nostri; l'ho preso ai miei stipendi per guida. — Sta bene, ma mandatelo al diavolo: e poi cotesto furfante sapete voi che aggiunse? Aggiunse: e se la sua faccia non mentisce, mi sembra che mandandolo al diavolo lo abbiate a mandare proprio a casa sua. — Andate via, Bernardo, mi disse allora il Marboeuf, buttate su di un fico cotesta pelle di orso per vestire la divisa di S. M. cristianissima. — Dopo una licenza così inchiodata e ribadita non vedeva verso di potere fermarmi: andai a vestirmi e mi trattenni finchè ieri notte, colto il destro, me ne sono venuto via con armi e bagaglio. Appena frate Bernardino ebbe chiuso la bocca, che Altobello entrò avvisando un frate domenicano che partito in fretta da Calvi chiedeva conferire col generale: — Venga il padre domenicano. Il padre comparve come uomo sgomento: disse mandarlo a furia il suo superiore ad avvertirlo che si vedeva bordeggiare tra il capo di Alga e quello di Spano un'armata francese industriandosi a pigliar terra. — Grazie in nome della Patria a voi e al vostro superiore; i Francesi lo possono fare; possiedono naviglio e soldati più che bastevoli a questo. Andate a riposare, che morite di stanchezza. Ambrogio, pigliatevi cura di questo degno sacerdote. — Generale! affacciandosi di su la porta disse Altobello, un altro frate, ma questa volta dei servi di Maria, partito da Ajaccio, fa istanza di essere accolto da voi. — E parrebbe che questi padri si fossero dati la intesa per confessare e amministrare il viatico e la estrema unzione alla Corsica: entri il servita. — Il servita ammesso alla presenza del generale espose arrivare ratto a chiarirlo come grossa mano di soldati francesi sbarcata ad Ajaccio si fosse sentita dire che rifatte appena le forze del travaglioso viaggio si sarebbe messa in cammino per pigliare i Côrsi alle spalle. Impallidì leggermente a tale annunzio il Paoli e raccomandò anco il servita alle cure di Ambrogio. Appena uscito il frate, il Paoli portando la manca mano su gli occhi esclamò con voce cupa; — Noi non possiamo più vincere... Padre Bernardino stava lì lì per fargli un rabbuffo, quando venne annunziata una femmina la quale piena di angoscia in vista recava un foglio che dichiarava non volere consegnare in altre mani eccetto quelle del signor generale: facilmente accolta, ella disse averle dato il foglio a Olmeta un soldato, ordinando portasselo a Murato, e avvertisse darlo proprio al Paoli; se nol facesse, guai; i suoi figliuoli e la sua casa pagherebbero per lei; onde la scusasse se per caso avesse fallato. Il generale confortò la povera donna, e donatole alquanto di danaro l'accommiatò; gittato l'occhio, su la carta ebbe a meravigliarsi non poco considerando com'ella fosse straccia e sgualcita; presago in cuore che contenesse cose vituperevoli, la porse al Guelfucci perchè la leggesse; e il segretario con voce che mano a mano procedeva nella lettura si mostrava alterata lesse: — «Sua eccellenza il comandante generale delle forze terrestri e marittime di S. M. cristianissima al capo dei ribelli Côrsi: che S. M. il re avendo comperato dalla serenissima repubblica di Genova l'isola di Corsica per più danari che non vale, e però appartenghiate alla Francia pel sacrosanto diritto di compra e vendita, voi già sapete e non importa che io vi dica: quello che importa che sappiate è che noi siamo cinque volte tanti in maggior numero di voi; misericordia ci consiglia a tenere tuttavia levato il pugno sul vostro capo; approfittatevi del momento per inchinarvi alla bandiera di Francia e meritarvi perdono: vi si concedono due volte ventiquattro ore, le quali trascorse senza ridurvi a consigli migliori, potranno ben cercare, chi ne ha voglia, i tritoli delle vostre ossa, ma non li troveranno.» Assai prima che la lettura cessasse, il Paoli si aggirava per la stanza a mo' di lione dentro la gabbia; le mani apriva e chiudeva quasi intendesse stringere l'elsa della spada; squassava il capo: in breve da tutta la persona spirava, non che ira, furore: di botto sta, si stringe con la destra le tempie e del piè pestando la terra comanda: — Buonfigliuolo, scrivete; no, no di quella carta, bensì dell'altra papale dove registransi le deliberazioni del regno. Il padre Guelfucci preso un foglio e adattatoselo dinanzi con molto magistero, speculata prima traverso la luce la penna di cui le punte andavano a sesto, pose la manca aperta sul foglio, con la destra intinse la penna nel calamaio, e stretti i labbri, levato il capo in su aspettò. — «Eccellenza, dettava il Paoli tremando a verga e agguantandosi al tavolino, — se veramente vi sentite cinque volte più forte de' Côrsi, voi dovreste comportarvi cinque volte più generosamente di loro. Se la Francia, la quale un giorno ci sovvenne per liberarci dai tiranni, oggi si mette nei piedi di loro, questa è sventura nostra ed anco vostra non poco, nè credo possa somministrarvi argomento a inorgoglirvi troppo. In ogni caso se a voi servitore sembra onesto obbedire i comandi del vostro padrone, non dovreste trovare reprensibile che io uomo libero obbedisca alle leggi della Patria mia. Minacce e oltraggi tra gente valorosa non usano: ho sentito dire che i gentiluomini francesi una volta se ne astenevano. Con le parole non ci possiamo dire più nulla: noi vi attendiamo su i campi dove vincendo ci aspetta gloria immortale, e perdendo non troveremo vergogna, perchè avremo combattuto con Francesi, e cinque volte, voi lo affermate, più numerosi di noi.» — Fin qui l'egregio uomo dettava, poi tolta la penna segnò il suo nome fulminando a zig zag come si dipingono le saette. — Se non sono scoppiato, egli disse piegando la lettera, posso garantire il mio petto di acciaio. Orsù, Ambrogio, mettiti il tuo meglio vestito, e voi, signore Altobello, invitate a mio nome il signore Stein a portare nella qualità di parlamentario questa lettera al generale in capo dei Francesi; lo troverà in Oletta; spedita la faccenda tornate, che ho da commettervi cose di molta premura. Quando il conte De Vaux ebbe letta la risposta del Paoli si sentì umiliato e nel profondo; ma all'incontro di accogliere cotesta mortificazione come castigo o come ammenda, se ne valse per alimentare la ingiusta ira; però sorse in piedi quasi fuori di sè urlando: — _S'impicchi! s'impicchi!_ I circostanti, qualunque fosse la buona voglia loro per obbedirgli, non sapevano che farsi, dacchè non rammentava alcun nome; onde egli mirando cotesta loro inerzia vie più si arrovellava; per buona ventura capitò il conte di Marboeuf, che vistolo con gli occhi strabuzzati, e pavonazzo in viso da fare temere imminente un colpo di apoplessia, essendosi informato della cosa licenziò tutti, e quando fu rimasto solo con lui così gli parlò: — Signore, i Côrsi meritano quello e peggio che minacciò loro con tanta giustizia vostra eccellenza; ma come sapete bisogna lasciare andare tre pani per coppia, per amore delle convenienze: e il parlamentario per di più non è punto côrso, bensì prussiano, gentiluomo e inoltre colonnello di S. M. il re di Prussia. — Diavolo! Allora è un altro paio di maniche; ma vedete un po' dove si vanno a ficcare i gentiluomini? Questo travagliarsi dei nobili in pro della plebe e farla comparire qualche cosa non può condurre a bene, assolutamente non può... — Voi parlate d'oro, signore, ma che farci? Intanto vi piacerà senz'altro di accogliere il parlamentario? Il colonnello fu inondato di convenevoli, e non sapea che per poco non lo avevano appeso: la superba arroganza del De-Vaux pensava emendare adesso con la copia degli ossequii la malcreata villania di dianzi. Anche ad Ambrogio, venuto come trombetto, toccò il benefizio del vento mutato, sicchè invece di un nodo scorsoio ebbe in regalo dieci bei luigi nuovi di zecca, che fece proposito depositare nella cassa pubblica, ma poi in onore del vero gli rimasero in tasca; tutta colpa, già s'intende, della cattiva memoria. Altobello compito il comando tornò in camera del generale scorato; così appariva nel sembiante disfatto, che il padre Bernardino non potè astenersi da domandargli se si sentisse male. — Ohimè! rispose Altobello, noi non possiamo più vincere... — Già, proruppe il frate dabbene, nei decreti della Provvidenza, per Dio Santo, dacchè me lo fate dire, non ci ha anco letto nessuno; e dei miracoli se n'è visti anche ai dì nostri; non ci è stato un David solo che abbia rotto la testa a Golia; ed un popolo, fermo davvero a non lasciarsi vincere, sovente opera miracoli da per sè senza incomodare Dominedio: ad ogni modo ci rimane morire... — Morire! morire! riprese Altobello facendo spallucce, e il frate crucciandosi più che mai gridava con quel suo fare avventato: — Certo! morire. Per la Immacolata! così disse Leonida alle Termopili ai suoi trecento, e nessuno fece spallucce; e chi era Leonida? Un pagano; e che disse ai suoi trecento? Sta sera cenerete meco, domani ceneremo tutti a casa del diavolo. — Mentre io posso assicurarvi, Altobello, che morendo per la Patria voi andrete a cena con gli Angioli diritto come un cero. E Altobello: — E non è per questo che io parlo; bensì perchè pensava che la Patria si aspettasse da noi qualche cosa meglio che morire. — E ancora io lo penso; però, figliuolo, io vo' che tu sappia non essere cosa di piccolo momento lasciare a cui viene dopo una vendetta da compire; i figliuoli non possono davanti agli uomini, e nè davanti a Dio ripudiare la eredità sanguinosa. E datagli una grande stretta di mana se ne andò pei fatti suoi. Altobello quando entrò nello studio del Paoli lo rinvenne sempre inteso sopra la carta geografica; appena ei lo avvertì rizzossi in piedi, e tale prese a parlare: — Io non comprendo niente nell'ordine di guerra del nostro nemico: affermano moversi in tre colonne, una nel Nebbio, e sta bene; l'altra per la forra del Golo; finalmente l'ultima contro la Casinca; e' pare che non sappiano, forra del Golo che sia, e non temano incontrarci ostacolo, onde scorrendo fino alla costiera pigliarci alle spalle se contrastiamo nel Nebbio, tagliarci la ritirata se indietreggiamo; meglio così. Se il tradimento non ci consegna a mano salva in potere dei Francesi, potremmo anche sgarrarla; accostatevi, Altobello; se mai venissi a mancare, perchè i casi della guerra importa prevedere tutti, e per me non sono i soli che io deva temere, giova che voi conosciate i miei disegni e procuriate mandarli a compimento. Bisogna che i patriotti sgombrando subito il borgo si affrettino a ingrossarsi al ponte in foce di Golo, e quivi alzando bastie e terrapieni adoperino ogni industria a ributtare il nemico dalla Casinca. Da ciò due sequele; o il corpo nemico si ferma in capo al ponte, o si ritira in Bastia, e tanto minori forze avremo a combattere noi: ma questo non sembra verosimile; bensì reputo certo ch'ei si unirà alla colonna la quale per la forra del Golo avvisa pigliarci alle spalle; se ciò avviene, _erat in votis_. Ora passiamo al Nebbio: qui andranno più gagliardi, perchè per primo scopo con lo stare forti in Patrimonio e in Barbaggio vorranno separarci dal Capo Côrso, e questo dubito che sia per venire loro conseguito con molta agevolezza; e poi mireranno a spazzarci via dal Nebbio cacciandoci dalla costiera di Lento e Canavaggia giù per la vallata del Pontenuovo. Le forze non ci bastano a tutto; intorno a Patrimonio e Barbaggio, dopo avere sostenuto il nemico irrompente quanto desidera l'onore della milizia, i nostri si ritirano su Rapate e Murato, e si uniscono agli altri di San Pietro per difendere le bocche di Tenda: alzino terrapieni, asserraglino strade, mettano travate alle case, i ponti rompano; ad ogni costo si sforzino sostenersi; avendo a cedere, riparino al campo trincerato di Santo Nicolaio; non si potendo reggere nè meno a San Nicolaio, scendano giù per la costiera gettando rinforzi in Lento e Canavaggia. Qui poi bisogna tenere fermo o morire; però studiate mandarci in fretta le robe e gli uomini che vi ho minutamente distinto nell'ordine di numero 9. Quanti non capiranno là dentro si riducano a valle, e passato il fiume a Pontenuovo riparino sopra la destra sponda del fiume. Per ora basta così: commetto il mio quartiere generale a Murato, dovendo lasciarlo lo trasferirò a Rostino, laddove ci possiamo mantenere nel Nebbio meglio che mai; se non possiamo, ecco la massima parte dell'oste francese stipata nell'angusta e dirotta valle del Golo: ora la Corsica la tiene nel palmo della mano: solo ch'ella stringa le dita con l'usato valore ed eccola soffocata; dalla destra le rovescio addosso i popoli di Casacconi, Ampugnani, Santo Antonio e Santo Angiolo co' circostanti paesi; a sinistra quelli di Bigano, Campitello, Scolca, Valpaiuola e Vignale; Lama, Pietralba e Ortenga di faccia; tutta la Casinca alle spalle. Padre Bernardino è già in via per tenere bene edificati i popoli di Casacconi e delle pievi convicine; ora voi pigliate tutti questi ordini e spediteli; procurate affidarli a giovanotti dalla gamba destra e dall'occhio acuto; sapete a cui potete fidare? — Quanto a ciò non dubitate — e così rispondendo Altobello pensava a tali di cui il nome dovrebbe leggersi nel calendario dei santi dei popoli liberi e che pur troppo non vi si leggono, imperciocchè i popoli di Europa fin qui libertà che sia veramente non sanno e calendario non posseggono; per ora è fuoco di paglia, forse avverrà diversamente più tardi; e si avviava; senonchè lo trattenne sopra la soglia il Generale e dolcemente richiamandolo aggiunse: — Altobello, il dovere di cittadino o la stima di amico mi persuadevano prima della spedizione di cotesti ordini a domandarvi se al vostro giudizio si fosse affacciato partito che vi paresse migliore per salvare la patria. — Risponderò leale come merita la lealtà vostra. Ho sovente udito dire dal mio zio ed anco rammento avere letto, che Sampiero, il quale fu eccellente maestro di guerra ai tempi suoi, diceva che le vere Termopili della Corsica erano alla stretta di Omessa. — Ed è così, ma Sampiero non si trovava con cinquantamila uomini su le braccia da combattere: le artiglierie si trattavano allora con poca industria, massime nei monti; nè aveva la Corsica intera a difendere; per sostenermi a Omessa contro il de Vaux mi occorrerebbero venti cannoni, munizioni in copia e artiglieri capaci; tutta la parte della isola lasciata scoperta cedendo alle corruttele francesi, perderebbe l'amore della libertà, di amica la sperimenteremmo nemica: a Sampiero non capitò mai di vedersi così com'io ricinto da tutte le parti: finalmente Omessa ci rimarrà sempre per ultimo partito, quantunque io tema forte che questa sia l'ultima battaglia che combattiamo, se la fortuna ci si mostri contraria. Il conte de Vaux con 24 Battaglioni di fanti e tutta la cavalleria, eccetto la legione di Soubise, stanziò ad Oletta, dove avendo convitato il 3 maggio a festivo pranzo gli ufficiali superiori, levate le mense commise che con le artiglierie facessero gazzarra in segno d'allegria per la vicina battaglia. Invero all'alba del giorno veniente egli mosse con parte delle milizie ad assalire Rapale, altre ne mandò verso San Pietro e altrove a scarrozzare il paese per prendere lingua delle opere di fortificazione costruite dai Côrsi, e dei difensori di quelle. Certo pertinace fu la resistenza dei capitani Colle e Pelone a Rapale, però non si deve credere che sarebbero stati bastanti a ributtare i Francesi dove questi avessero deliberato di spuntarla; al contrario deve credersi che il de Vaux, uomo rotto agli scaltrimenti guerreschi, a questo modo operasse per indurre i Côrsi nella fallace opinione ch'ei tornerebbe ad assalirli in quel punto nel giorno veniente e così divertirli da Murato dove intendeva operare ogni suo sforzo. Però non si deve tacere che il Paoli, sia che si accorgesse dello strattagemma del nemico o no, difettava di forze per fronteggiarlo in due luoghi; anzi dove quegli appariva più debole, pure era tanto da vincerlo tre volte di numero. La mossa di Murato minacciava di tagliare il Paoli fuori del centro dell'isola ricacciandolo nel Nebbio, nel Capocorso e verso Bastia in mezzo al nemico grosso e padrone delle terre fortificate; non ci era tempo da perdere; dato dunque il segnale della raccolta, si ritirò con solleciti passi al campo di San Nicolaio, dove potendo avrebbe voluto sostenersi; ma il capitano di Francia inseguendolo stretto non gliene diede abilità; e poi il campo di San Nicolaio, ottima positura per chi può campeggiare ad armi uguali al nemico, non apparisce fornito da veruno dei naturali vantaggi, onde, si reputa dai maestri di guerra un luogo atto alle difese: pertanto il Paoli ebbe anco di lì a sgombrare e tosto: per questa mossa si trovò separato dal Nebbio e dal Capocorso, dove i popoli stavano in aspettativa per sollevarsi; se non che, vista poi la mala parata, cagliarono; le milizie rimaste fuori si sciolsero sperperandosi per evitare la prigionia e forse peggio: soccorse ai capi una nave d'Inghilterra usa fino da cotesti tempi ad accorrere dove accadono naufragi per raccoglierne le reliquie; la quale imbarcati Antonlionardo di Belgodere, Achille Murati, il capitano Pelone, un Pizzoni con altri 176 compagni li trasportò a Onelia, donde tornarono, ma tardi. Un altro danno troppo maggiore per lo scoramento fu questo, che avendo spedito gente a Pietralba, affinchè si aprisse l'adito in Balagna e quivi reprimesse le scorrerie dello Arcambal, la incontrò trista e curiosa, perchè i terrazzani in parte spauriti dai progressi del nemico, in parte sobillati dalla fazione fabiana avversissima al Paoli, le avevano contrastato i passi: ond'ella per non dare al nemico gradito spettacolo di guerra cittadina, se n'era tornata. Dall'altro lato a conforto dell'animo sbattuto del Paoli soccorreva il pensiero, che sgombrato il Nebbio, di poca importanza alle fortune della guerra appariva la Balagna; e più di questo la vista delle bandiere côrse che scendendo giù dalla vasta costa conobbe sventolare prima su Lento, poi su Canavaggia: deliberato di stabilire questi due punti quasi perno delle mosse future fece alto mostrando francamente la faccia al nemico tanto che ottenne risposta ai messaggi in tutta fretta spediti agli uomini di cotesti due paesi a domandare se di soldati o di munizioni desiderassero rinforzo. Reduci e messaggi gli riferirono, che i Lentini e i Canavaggesi lo ringraziavano; avere a sufficienza di tutto, vivesse tranquillo, terrebbero fino all'ultimo fiato _per lui_. Allora scese giù in valle di Golo, in sembiante allegro, ma chi gli avesse visto il cuore avrebbe esclamato: Oh Dio che passione! In vero la risposta dei popoli della costiera lo aveva trafitto più che tutto: egli pensava amaramente come lui non più considerassero una cosa con la Patria, bensì colle parole _lui_ oggimai distinguessero dalla Patria: il quale linguaggio palesò sempre a chi intende, che altri già si decise a tradirli o prese a prestare le orecchie credule od interessate ai sobillatori, che sempre intenti alla rovina di un popolo danno ad intendere come la causa della patria sia diversa da quella del suo custode. Giunto a valle gli occorse un corriere che lo ammonì da parte del Serpentini avere il Marboeuf tentato il passo del fiume, ma respinto con perdita non pareva disposto per ora a rinnovare la prova. Questa fu buona novella e se ne rallegrò; sicchè il suo volto riapparve sereno, e' sembra che la Provvidenza pei suoi arcani fini volesse provare la tempra di cotesta anima con l'assidua vicenda del dolore e della gioia capace ad abbattere anche le divine non che le umane nature; lotte ineffabili sono coteste; qualcheduno ne scampa e il Paoli fu tra questi; ma pari a quella che Giacobbe sostenne coll'Angiolo, chi n'esce, ne rimane tocco per tutta la vita. Passò il ponte che ha nome di nuovo, lungo ben cinquanta braccia; lo trovò benissimo in ordine, munito di trincere e fortini; uno dei quali a metà del ponte: poichè tutta la sua gente lo ebbe passato ed egli ultimo, chiamò a se il conte Gentili preposto al comando dei prussiani e degli Svizzeri messi a custodia del ponte, e gli disse che l'esito della guerra dipendeva nella massima parte dalla difesa di cotesto ponte; confermasse i soldati nella ottima mente; con ogni partito più acconcio li persuadesse a tenere il fermo. Cotesta gente rude, ma fida, udì con lieto animo le parole del generale e rispose farebbe il debito: allora il Gentili su la fede di soldati e di cristiani la richiese di giurare che avrebbero senza rispetto, finchè l'anima le bastasse, sparato adosso a qualunque si fosse ardito passare. Appena passato il ponte, il Paoli scrisse lodando Saliceti, Cottoni e Serpentini, strenui mantenitori della foce del Golo, e raccomandò loro che operassero in modo che durante la notte gli spedissero di rinforzo quanta più gente potesse, senza però mostrare di sguernire il ponte. Giunto a Rostino, appena scese da cavallo, prese penna e calamaro e di suo proprio pugno vergò sopra un foglio d'ordine al comandante delle compagnie côrse stanziate al ponte alla Leccia: pigliasse sul far del giorno mille uomini fra i più gagliardi e valicato il Golo a Ponte Rotto per via di traghetti s'insinuasse nelle macchie di Canavaggia, donde ingaggiata la battaglia avesse ad irrompere improvviso percotendo il nemico di fianco o alle spalle. Dopo questi ordini parve più quieto, e proseguì a mandare comandi da ogni parte e a riavere ragguagli; i corni côrsi non cessarono mai tutta notte di rispondersi da valle a valle, e più che di uomini parvero voci delle foreste secolari, di vetusti dirupi che si dessero la posta per la prossima battaglia; però come se il cielo volesse chiarire le sue sinistre intenzioni, ad un tratto si ricoperse di nuvoli e quindi a breve il vento precursore della tempesta, scotendo gli alberi fronzuti di foglie novelle, empì la campagna di un segreto rammarichio, di un suono di piante come se le anime dei morti per la Patria da quarant'anni in poi uscissero dalle antiche sepolture per lamentare il prossimo infortunio, poi scoppiò il fulmine e il tuono lungamente ritronante di forra in forra terribile come la voce dell'Angiolo che sveglierà i morti di tutta la terra e dirà: — sorgete, o morti, e venite al giudizio! — Durò la tempesta poco più di due ore; ma la sconcia pioggia empì fossati, ingrossò i torrenti, e alle tante voci di terrore il Golo aggiunse il suo brontolìo mentre menava torvo le gonfie acque: passate due ore le stelle tornarono a scintillare più vivide come se avessero terso i raggi nei lavacri del cielo. Il Paoli ora si affaccia ad una ed ora ad un'altra finestra, impaziente di scernere su l'estremo orizzonte quella lista di luce grigia foriera del giorno; ma non vedendola comparire, scende e montato il cavallo s'inoltra solo per la via che da Rostino mena a Ponte Nuovo; il poggio sul quale si era cacciato ingombravano allora macchie di cornioli e qualche sughero, onde poco si poteva scorgere di giorno, molto meno di notte. All'improvviso il cavallo si ferma e il Paoli scorge due uomini armati ognuno da un lato tenergli il morso; veramente non si può nè manco dire che la costanza in lui fosse virtù; piuttosto qualche qualità naturale del suo temperamento; tuttavolta si tenne giunto alla sua ultima ora e non gliene increbbe; chiuso in sè, sdegnoso di profferire parola stette ad attenderla: però rimase poco in cotesta ansietà dacchè una voce amica rompendo il silenzio disse: — Ecco, per un capo di esercito questo è trascuratezza degna di biasimo. — O padre Bernardino, chi vi può riconoscere sotto le fogge che ogni giorno mutate, è bravo davvero! — Mi sembra che non vi abbia a tornare nuovo che i frati trattino le armi in Corsica, e chi crede altrove che le virtù del chiostro chiudano la porta in faccia alle virtù della Patria ha torto marcio; ma ciò non monta adesso: tornate indietro, Pasquale e spedite i vostri ordini da Rostino, procurando di non mostrarvi fra i soldati, perchè vi ha tra essi non uno ma più Giuda, che hanno venduto il vostro sangue e già riscosso il prezzo. — E come ardite affermare questo? — Perchè lo so, essendomi stato rivelato in confessione, e veniva appunto per avvisarvene. — I traditori quali? — Si palesa il peccato, non il peccatore; io lo ebbi in confessione, e basta. — Dunque il popolo pel quale ho sofferto tante fatiche e tanti dolori mi rinnega adesso? — Il popolo non vi rinnega, prese a dire l'altro personaggio, il popolo non sa tradire; se vi avesse preso in odio vi ammazzerebbe, non vi tradirebbe; chi vi tradisce sono gl'incipriati; come hanno imparato a mentire il colore dei capelli, così mentiscono adesso la qualità dell'anima. [Illustrazione: — Più su ancora, più su, gridava a tutti avanti Altobello; le vette dei monti ci allontanano dai travagli degli uomini e ci avvicinano alle consolazioni del cielo. (_Cap. IX_)] — E voi chi siete? — Io sono Orsone di Tavera, che voi non conoscete; ma egli conosce voi, e alla vostra chiamata lasciò quattro figliuoli maschi (le femmine non si contano) a casa, per fare il debito come patriotta e come cristiano. — E adesso dove andate? — Sto col popolo dei Casacconi, che di esso sono i parenti miei dal lato della moglie; e vado qui con fra Bernardo per fare il debito come patriotta e come cristiano. — Andate e rammentatevi e rammentate altrui, che per cosa che vediate o che sappiate, veruno, per quanto amore porta alla Patria, si attenti a passare il fiume della destra sponda alla sinistra se prima non ne abbia ricevuto segno, Dio sia con voi. — E con voi altresì, rispose il frate, avete le vostre pistole? — Le ho. E mentre il frate col compagno scendeva verso il Ponte Nuovo, il Paoli rifacendo i passi s'incamminò sopra la via di Rescamone; giunto forse tre miglia lontano del Ponte Nuovo non gli bastò il cuore di proseguire, e non curando il pericolo lì scese, lì si pose a sedere sopra un greppo col capo appoggiato al tronco di una sughera; l'aurora lo sorprese colà. Bella fu oltre ogni credere cotesta mattina, e i poeti l'avrebbero paragonata meritamente a Venere quando emerge dalle onde: imperciocchè come la Dea ridesse e come la Dea stillasse acqua, la natura l'aveva dapprima circumfusa di una tenue nebbia, che poi diventata più vermiglia abbandonò all'appressarsi del sole, pari alla sposa novella, che arrossendo si spoglia l'ultima zona all'appressarsi del talamo nuziale. La natura vagheggiando la sua diletta figliuola aveva di propria mano appeso copia infinita di gemme ad ogni foglia di albero, ad ogni pianta, a ogni fiore, poi commise alla brezza e alla luce di ministrare come ancelle, e quella le penetrò nelle intime fibre scotendo di un tremito di voluttà le foglie, le piante e i fiori, i quali parvero piangere per eccesso di piacere, e questa le mise su la faccia gli splendori di Dio; — stupendo tutto e divino, senonchè il lamentìo delle acque grosse che il Golo menava a rompersi per gli scogli del suo letto, a mo' dello scheletro ai festini dei re di Babilonia, ti ammoniva che la sventura è figliuola della gioia, la morte starsi accanto alla vita; dopo la libertà succedere la tirannide. Terribili trapassi e non pertanto fatali! E sopratutto empiva di affanno la vista di una quercia fulminata; la sua frasca, che fatto meriggio a venti generazioni, eccola in terra sparsa, i rami cionchi in parte inceneriti, in parte riarsi; il merlo cercando il noto nido scoteva alquanto le ale sopra il luogo dove fu l'arbore, e non rinvenendo le amate frasche vibrava nell'aere un gemito e fuggiva via: tutti avevano abbandonato il povero percosso; dal suo casolare lo guardava il boscaiuolo, e intanto che aspettava occasione di metterlo in pezzi senza disturbo, affilava l'accetta. Non vi ha dolore al mondo che uguagli a questo, avvegnadio finchè dura la tempesta o la battaglia imperversa, il tuo spirito si mescola all'uragano, brontola col tuono o si lascia in balìa del lampo, ovvero ancora aspira l'odore delle polveri fulminanti, alle fiere armonie delle zuffe trasale; ma dove si presenti a te pacato dinanzi in mezzo ai fiori il cadavere di un bambino colto anco lui fiore dalla mano della morte, e il raggio mattutino del sole di maggio gli vesta la faccia mentre tutto d'intorno rinnova la vita e ne gode persino l'importuno moscone che non rifinisce mai di zufolare ronzando intorno alle labbra e agli occhi del caro defunto, oh! allora se il tuo cuore non sanguina, va, tu sei più o meno di un uomo, ma cento volte su di una anche meno di una bestia. Passate con inestimabile ansietà le prime ore del giorno, ormai il sole era arrivato a mezzo del suo cammino; dal ponte della foce di Golo arrivato a gran fretta Giancarlo Saliceti con mille uomini occupava i posti assegnati: tutta quella gente colà raccolta, circa a 4000, anelava come una persona sola; la mano sul grilletto, l'occhio alacre, il piede impaziente. Clemente Paoli dalla sua esaltazione cavava argomento di esaltarsi; voleva parlare e non gli riusciva, le parole cozzavano urtandosi fra i denti donde prorompevano in fremiti, pure scorrendo per le fila co' gesti concitati, gli occhi leonini e le chiome irte ispirava terrore e furore. Di repente dai poggi che menano alla volta di Bigorno balena un lampo, poi due, poi cento; era la vanguardia della colonna francese che sboccava nella valle di Golo. Clemente la vide e immemore dell'ordine di battaglia e della disciplina di cui egli pure fu osservatore piuttosto rigido che scrupoloso, immemore di sè, gittato un urlo, col gesto accennò voler assalire il nemico; chi lo ama il seguisse, e tempestando si slanciò sul ponte. Difficilissima cosa era tenere con le ammonizioni e con gli esempi l'empito dei Côrsi; immaginate chi avrebbe potuto attraversarsegli adesso che gittava legna sul fuoco il meglio reputato dei loro capitani; i Prussiani e gli Svizzeri messi a guardia del ponte non lo tentarono nè manco, massime perchè la consegna portava a impedire la entrata non già l'uscita del ponte. Scoppiarono fuori i Côrsi dal ponte angusto come spirilli di acqua compressa e senza assembrarsi, senza ordinarsi si avventarono a mo' di gatti salvatichi contro i Francesi: questi erano buona e cappata gente in Francia, distinta allora meritamente col nome di granatieri; imperciocchè oltre fare uso delle armi ordinarie, come fu avvertito altrove, costumavano gettare granate nel folto della mischia. A Clemente teneva dietro frate Bernardino come il tuono al baleno. Poemi, storie e racconti vanno pieni di fatti di guerra, sempre ai medesimi colpi seguitano le molteplici forme della morte, tutte terribili, tutte cause di pianto sconosciuto o non curato; però anco in quest'arte (alcuni la dicono scienza) lo ingegno umano ogni giorno supera sè stesso: verranno tempi nei quali due popoli strapperanno il fulmine dal cielo, non al modo di Franklin, bensì per armarsene le mani ed avventarselo contro: allora potranno, se vogliono, sterminarsi in un minuto. Lo faranno essi? La speranza crede di no, ma la esperienza le tentenna il capo dopo le spalle dicendo: — povera folle! Noi non esporremo i vari casi di questa battaglia: diremo solo che i Côrsi a saltelloni e alla scoperta corsero incontro ai reggimenti francesi; parte per trovarsi più spediti gittarono gli schioppi, avventaronsi contro le baionette, con le mani agguantarono le sciabole; giocarono di stiletto. I Francesi a cagione dell'asperità del terreno non poterono ordinarsi come avrebbero voluto, dacchè possiamo supporre che se fosse loro riuscito mantenere il fuoco, i Côrsi non avrebbero retto. Frattanto arrivati sopra un po' di piano si strinsero e adoperandovi ogni sforzo rigettarono i Côrsi; i quali tornarono addietro sì, ma come uomo che per islanciarsi con maggior foga piglia campo; i Francesi riguadagnando le alture, fosse accorgimento di guerra o necessità, questa volta si divisero, ed una parte di loro si ritirò a Lento l'altra a Canavaggia; i Côrsi anch'essi si separarono ed inseguendo i nemici mettevano l'orma dov'essi la levavano; questo dicasi dei fuggenti, fra i pertinaci accadevano duelli; dove mancate le armi guerresche, il furore ne ministrava altre inusitate; si finivano a morsi, o a colpi di pietra sul capo; gli aliti fumosi dell'assalito e dello assalitore si confondevano; sentiva l'uno il palpito del petto dell'altro; spesso esalarono ad un tempo l'anima, bocca accostata a bocca. — Misericordia non si domandava nè si concedeva; preghiere non ne furono dette, o se dette, assunsero il suono delle bestemmie; pianti, urli, minaccie, singhiozzi, tutto pigliava un rumore confuso pari al bramito della fiera che dopo lungo digiuno azzanna il carcame. La gente di Francia si giudica perduta imperciocchè ritirandosi su le alture di contro alle terre di Lento e Cavanaggia, munite di arme copiosissime e di uomini decisi a menare le mani da disperati, stretta così fra due fuochi non sembra che abbia più scampo. Cotesta mossa avventata, comecchè favorita fin qui dalla fortuna, potrebbe partorire inestimabile danno, forse anco la perdita della impresa; ma la può essere sostenuta dalle compagnie côrse le quali fino dall'alba devono avere lasciato il ponte alla Leccia. Si sono elleno mosse? Non si sono mosse, e ciò per colpa del capitano, che, compro con premio presente e speranza di onori futuri, oggimai si era venduto alla Francia. Il nome di costui si conosce e potremmo rammentarlo, ma a noi giova tacerlo; imperciocchè ai traditori dalla loro stessa infamia venga pure qualche fama; e le cose buone sieno rammentate, le triste no. Costui appartenne a stirpe inclita per delitti, per tradimenti e per isventure da un lato, dall'altro per gesti magnanimi e per morte gloriosa; onde meritamente potè dirsi la famiglia degli Atridi di Corsica; però compensando il molto di cattivo col molto di buono, ragione vuole che le siamo cortesi di oblìo; e ciò tanto più che oggimai rimane di lei un vecchio solo, foglia secca di ramo morto; di breve egli cascherà, se a quest'ora non è caduto nelle tenebre eterne, e il suo nome dopo essersi propagato tuttavia per tre generazioni o quattro cesserà dalla memoria nella guisa che sopra il sasso cascato nel mare, poichè si succedono quattro ruote o sei, torna gelida e unita la faccia delle acque. Paolo Luigi Nasica ufficiale delle compagnie côrse stanziate al ponte alla Laccia, consapevole degli ordini mandati, dal generale, vedendo il sole alto senza che apparisse o desse il segnale della partenza, a ciò sospinto eziandio pei conforti dei più zelanti fra i suoi compagni salì risoluto le scale della casa dov'era albergato, e fattosi alla porta della camera chiese licenza di entrare; la quale venendogli tosto concessa egli entrato disse: — Signor comandante, voi senza dubbio vi rammentate che giorno sia questo? — Lo so. — Oggi forse si decide della libertà della Corsica... forse adesso i Côrsi stretti corpo a corpo co' Francesi combattono l'ultima battaglia. — Mi sembra molto verosimile. — Il Generale ci comandò di moversi alla punta del giorno e accorrere al Pontenuovo. — È così. — Posso domandarvi perchè dunque non siamo in cammino? — Innanzi tratto costumo secondo le regole della buona milizia dare discarico della mia condotta ai miei superiori, non già ai sottoposti. — E va bene, ma io a nome di parecchi compagni non pretendo, imploro. — Che compagni? Tre o quattro cervelli balzani come il vostro. — Domando perdono, signor comandante, saremo dugento e più. — Dugento! come può essere questo? ad ogni modo vi voglio dire che l'ordine del Generale dichiarava: partissi all'alba e dopo che fossero arrivate le vettovaglie le quali egli spediva: ora non avendo vista la vettovaglia ho dovuto argomentare che il Generale non giudica più necessaria la nostra mossa. — Vi domando perdono, signor comandante, ma il vostro argomento nè meno conclude a star fermo; perchè o ci moviamo o no, il vivere bisogna pure procurarcelo. — Cotesta è la vostra opinione; io la penso diversamente. — Inoltre osservate che l'ordine del signor Generale va distinto in due parti; una principale, l'altra accessoria; la prima sta nel trovarci sul campo di battaglia, la seconda nel procurarci la munizione. — Io non sono teologo ed obbedisco gli ordini come li leggo: obbedienza cieca e passiva è la prima virtù del soldato. — Nè qui si tratta di teologia, bensì di carità patria e di amore della libertà; partiamo, vi supplico, per via troveremo di che nutrirci, e poi per ventiquattro ore senza pane non morì mai nessuno. — Non posso: la obbedienza cieca e passiva è la prima virtù del soldato. — Facciamo una cosa; lasciamo qua un picchetto il quale arrivando la vettovaglia la scorti dietro noi. — Non voglio. Obbedienza cieca e passiva! — Accomodiamoci in quest'altra maniera: mezzi dei nostri rimangano qui con voi, e mezzi mandatene meco contro il nemico. — Peggio che mai. Obbedienza cieca e passiva! — Ma come fate a starvi così tranquillo a quest'ora? Come calmare il sangue che bolle?... — Aspettate; or ora scendo e giocheremo insieme una partita _alle piastrelle_. — Alle piastrelle! Per durare così su le brace bisogna essere san Lorenzo, e nè manco quel santo ci stava volontieri. — Forse presumeresti disobbedirmi? — Se potessi io vi fucilerei su' due piedi, signor comandante. E uscì impetuoso urlando ch'erano traditi; quanto a partirsi subito chi gli voleva bene o piuttosto chi amava la Patria lo seguisse. Circa ducento lo seguitarono; gli altri della famiglia del comandante, o cognati di lui, si rimasero; più tardi i Francesi promossero al grado di generale colui che non aveva voluto combattere. I giovani snelli e animosi corsero via, e camminando tutto di un fiato arrivarono al Ponte-rotto dove sentirono lo strepito delle moschettate che si ricambiavano i combattenti: si sentivano rifiniti, ma bevuto alquanto di acqua che col cavo delle mani attinsero dal fiume si riposero in via cacciandosi per le macchie che vestono il colle a mezzo-giorno di Canavaggia. Di botto cessa lo scoppio delle armi; che significa questo? — Abbiamo vinto, abbiamo perso? Prima che sbocchiamo allo aperto ci vuole un secolo. Vien qua Zembo, tu che ti arrimpichi come una scimmia salisci su cotesto albero, e mira un po' che cosa si veda. Il Zembo che non per una, ma per molte qualità si assomigliava alle scimmie, in meno che non si dice comparve su in vetta all'albero. — E bene che vedi? — Vedo — Presto! ti pigli un accidente — Vedo Canavaggia... sì, è lei... è Canavaggia — E poi? Ma non si scorge mica tutto, alcune case più soprane e i tetti di altre sottane. — E chi ha vinto? — Aspettate... Ecco vedo una bandiera... — Côrsa? — Non mi pare — Ha la testa di Moro? — Non ha la testa di Moro — Oh! che angoscia, o che bandiera ella è? — Bandiera bianca, per la Immacolata, bandiera francese! — Va via, traditore, morte al traditore!... E al medesimo punto lo circondò un nuvolo di sassi; da taluno si schermì, altro lo colse; per buona ventura la palla di moschetto, che gli sparò contro il suo patrigno, gli portò via il berretto. Il gobbo, lasciandosi scivolare giù a guisa del ragnatelo per un filo della sua rete, strillava: All'inferno quanti siete!... su gli alberi non mi fate salire più; che colpa ho io se la bandiera è francese? Anelanti, invasi di furore e di spavento ecco sboccano allo scoperto e innanzi ai loro occhi si palesa un molto infelice spettacolo. I Côrsi a furia di sangue avevano respinto i Francesi fino a piè delle trincere costruite per la difesa di Canavaggia, e si tenevano oggimai sicuri della vittoria, che da un punto all'altro aspettavano vedere irrompere fuori i Canavaggesi a farne strage, quando... oh! tradimento, oh! dolore... sul campanile della chiesa fu inalberata bandiera bianca e dalle aperte trincee sortirono freschi e ordinati parecchi battaglioni francesi, i quali presero a sparare con tanta maestria, che i tiri di tutti parvero uno scoppio solo. La moltitudine dei Côrsi dalla lontana parve un arbore, che per impeto di vento piega a destra e a mancina, e investito a un tratto dalla gragnuola semina il terreno di foglie; pure si riebbe e fece vista di resistere; se non che per darle il colpo di grazia, il medesimo tradimento nella medesima guisa operavasi nel punto stesso a Lento, donde il nemico prorompeva più grosso, traendo seco qualche artiglieria da montagna. I Côrsi sotto le trincere di Lento non poterono tentare nè manco le difese e furono respinti, rotti come il flutto iemale, che si avventa contro la rupe della spiaggia. I Francesi rovinando giù procellosi accennano percotere di fianco le milizie côrse, che tuttavia si ostinavano a contrastare il colle di Canavaggia, e se venga loro fatto, circuirle e prostrarle di un colpo. E' bisognò pensare a ritirarsi se non volevano rimanere tagliati a pezzi. Le ritirate, quando non sono fughe, stroppi sono sempre: sogliono celebrarsi la ritirata antica di Senofonte e la moderna di Moreau, e sta bene; ma come a cui cascando da tre piani invece da fiaccarsi il collo si rompe una gamba si dà il mi rallegro; chè in altro modo non pare ragionevole. Ora poi la ritirata dei Côrsi doveva riuscire tanto più disastrosa in quanto che si operava dall'alto al basso; sicchè agl'inseguenti ogni oggetto offeriva materia da offesa, e lo impeto della velocità cresceva la forza; nè compariva per tutta la china ostacolo o schermo, dove i respinti potessero attestarsi a rintuzzare l'ardente foga dei persecutori: per ultimo il tradimento dei paesi di Costiera aveva scorato l'universale, e anco i più arditi sentivano tremarsi l'anima dentro. Pure a Clemente venne fatto osservare due rialti quasi in fondo della salita, i quali comechè poco rilevati e di piccola mole, nondimanco potevano per un po' di tempo difendersi, e fra tanta confusione, fra un turbine di ferro e di piombo il prode uomo senza punto scomporsi, chiamò ad alta voce parecchi dei più strenui compagni; taluni risposero, tali altri no; ma questi, eccetto quella degli angioli, ormai non udiranno più altra voce nel mondo: ai rispondenti ordinò si addossassero ai poggiuoli; quanto potessero tenessero fermo; pareva a lui, ed era così, che se i Côrsi riuscissero a passare il Ponte, e a mettere tra loro e i Francesi il Golo ingrossato per la sconcia pioggia, forse le fortune della Patria non erano anco perdute. Egli poi scelse il rialzo a destra come più pericoloso, e quivi lo seguitarono venti frati col padre Bernardino in capo. Quello che cotesti frati operassero certo non troverebbe posto adatto nel _Flos sanctorum_, bensì potrebbe registrarsi nei libri che insegnano a venerare il sangue versato per la Patria; combatterono come gente che sa di compire un dovere ferendo finchè il fiato la regga, ed è convinta, che la palla nemica le varrà quanto l'eucarestia e l'olio santo per biglietto d'ingresso in paradiso. Le varie morti io non posso raccontare e nè anco ridire i nomi degli uccisi: la storia tutto non registra, ed anch'ella non si mostra troppo parziale pei vinti: la tradizione, fuoco domestico conservato sotto la cenere, anch'egli viene meno, se allo straniero padrone del paese rincresca e al compatriotta servo ammansito non garbi che tu ci soffi su: ma il supremo dispensatore del premio e della pena li vide, li notò, e adesso riposano nel suo seno, dov'è Washington, e dove non è Napoleone di certo, quantunque il primo non credesse nel papa, ed il secondo sì. Clemente e padre Bernardino, con l'anima legata negli occhi e nelle mani, non avvertivano la strage che intorno a loro menavano le scariche nemiche: morti o feriti tutti i compagni, rimanevano soli: feriti recavansi un lembo della tonaca in bocca e quella mordevano per frenare i lamenti, affinchè altri preso da compassione di soccorrerli non si distogliesse da combattere. Quando Clemente e padre Bernardino volsero intorno gli occhi consapevoli a mirare tanto eccidio, si fecero bianchi; l'uno vide l'altro, ma non dissero parola e l'anima loro si oscurò; ma e' fu nuvolo che passa, onde Clemente disse: — Padre Bernardino, avete carico lo schioppo? — Sì, l'ho. — Prestatemelo in cortesia; quel capitano sconsagrato con la spada tesa aizza come un mastino la sua gente; gli ho tirato una volta e non l'ho colto.... ma non lo sbaglierò la seconda. — Dov'è il maledetto? Lasciate fare a me... — Non di grazia, l'avrei di coscienza... — Tiratevi in là; dov'è egli? Ah! Eccolo là... è fatto, rotola nella polvere: _requiem aeternam dona ei Domine..._ — _Et lux perpetua luceat ei_, rispose Clemente. Bravo frate!.. — Se bravo, porgetemi lo schioppo che vedo là un granatiere in procinto di gittare la granata. — Lo vedo anch'io... Lo vedo anch'io. Faccio da me. — Eccoti saldato il conto; granata in questo mondo non getterai mai più, cane rinnegato. — Bel colpo! ecco la granata cadutagli di mano scoppiò... e come scappano! pare, che ne abbia feriti parecchi e morto qualcheduno. E così continuavano alternando i ragionamenti come nelle Egloghe costumano Titiro e Melibeo se non che conchiudevano la parlata con un colpo di moschetto, morte sicura di qualcheduno dei nemici, i quali potevano bene essere offesi, ma non trattenuti da cotesto ostacolo, tanto scendevano poderosi ed arditi; non per anco essi aveano circuito i poggioli, ma ormai spuntatigli a destra e a sinistra gli fulminavan di fianco; le palle fioccavano fitte come grandine. Il poggiolo a manca era deserto o piuttosto taceva non a cagione della fuga, bensì della morte dei suoi difensori. Clemente, all'improvviso sentendo padre Bernardino allontanarsi a passi precipitati, urlò: — Padre Bernardino, o che ve ne andate sul più bello? — Clemente, riprese l'altro balbuziendo, credo di sì... io me ne vado all'altro mondo... — Oh! come mai signore?... — Ma... per virtù di un'oncia di piombo qua nel petto. — Non sarà niente... vediamo... e si accostava intantochè finiva di caricare il moschetto. — Non importa vedere; lo sento; però vorrei morire da cristiano come spero essere vissuto... udite la mia confessione... — Che avete a confessare voi, povero uomo di cui la vita fu tutta un martirio per la Patria... e poi a me? — Sì a voi, perchè camminate diritto nel sentiero del Signore... e per di più siete mezzo ecclesiastico. — Vi ascolterò dunque per santa obbedienza; _in nomine Patris, Filii, et Spiritus Sancti_. Di su, — e in questa alzata la martellina inescava lo scodellino. — Clemente, io penso in questo mondo avere peccato assai di orgoglio, d'ira, di avventatezza, peccati gravissimi in tutti massime in un frate... — Padre... abbiate pazienza di aspettare un po' prima di morire... vedo un cane che ha conficcato la spada in corpo a un giacente, certo era ferito non morto... — Fate il fatto vostro, figliuolo... — È stato pagato... potete continuare, e Clemente teneva gli orecchi intesi al moribondo, gli occhi al nemico, e con le mani intanto meccanicamente caricava da capo l'archibugio. — Ma voi non mi badate... — Vi bado benissimo, ma fo un viaggio e tre servizii. — L'altro grosso peccato di cui sento dover chiedere perdono a Dio è di non avere avuto carità del prossimo odiando, i Genovesi e i Francesi come se non fossero stati carne battezzata... — Oh! questa per Dio santo non si può sopportare. — Come non la sopportate?... Ma mi pare che voi gli abbiate odiati due cotanti più di me... — Scellerati! O non hanno tagliato la testa a un côrso morto e fitta su la lancia della bandiera?... il sangue colando giù l'ha battezzata... — E non è giusta, Clemente, che riceva il battesimo del solo sangue côrso; fa, o fratello in Cristo, diceva il frate moribondo, di mescolarvici un tantino di sangue francese. — Giusto stava per domandarvene licenza... aspettatemi... è vero, che mi aspetterete finchè non ritorni? — _In quantum possum_, figliuolo, _in quantum possum_. Tre furono i colpi sparati da Clemente, e tre le anime, che spinte fuori con violenza dai loro corpi vendicarono il truce fatto: allora egli in parte placato tornò al frate, che oramai se ne andava; il velo della morte di mano in mano s'infittiva sopra i suoi occhi, le labbra pavonazze susurravano appena le parole attraverso la spuma del sangue. — Padre, avete altro da aggiungere? — No, figlio mio, assolvimi, e vattene. — Io vi assolvo a nome di Dio... e per penitenza reciterete venti rosarii alla Immacolata... ed una volta per settimana fino a tre settimane digiunerete... — Che diavolo farnetichi? O non lo vedi che mi avanzano dieci minuti a vivere. — Perdonate; io non ci ho proprio garbo a confessare: allora raccomandatevi la vostra anima da voi, che in verità è in buone mani... — Di tutto cuore... di tutto cuore... Ora vattene Clemente: mettiti in salvo; salva la Patria... io sono uomo morto... in questa estrema ora bastano l'uomo e Dio, un terzo ci è di troppo. — Ma che vi pare, che io voglia lasciarvi prima che siate spirato? — Parti ti dico... obbedisci. — Io non vi obbedirò, non ho mica fatto voto di obbedienza io. — Anzi lo hai fatto perchè sei terziario. — Ma voi non conosco per superiore: — Addio Clemente... salva la Patria... un saluto a Pasquale... Gesù, Giuseppe, Maria, vi raccomando l'anima mia... ouf! — Povero padre... è morto... beato lui, che non vedrà la ruina della patria. Lo baciò e fuggì via, perchè il caso non consentiva davvero dimora, nè querimonie più lunghe; le palle percotendo dintorno aravano, per così dire, il suolo, ed aveva ricoperti ambedue di terra; parecchie ancora schiacciandosi di contro allo scoglio e rimbalzando gli ammaccarono in più parti; fu proprio miracolo, che in quel rovescio di moschettate nessuno li cogliesse in pieno. Clemente non riportò nè manco una scalfittura; il padre Bernardino, eccetto quella ferita, fin qui non fu tocco da altre. Padre Bernardino non era anco morto; lo finse il generoso, per indurre Clemente a partirsi, sapendo, che nè per preghiera nè per minaccia lo avrebbe potuto allontanare, tanto era pertinace costui; ora parendogli che avesse a trovarsi lontano sospirò e disse: — Sia ringraziato Dio che Clemente si è posto in salvo, ed adesso se ti piace, Signore, abbrevia la mia agonia. _Nunc dimitte servum tuum in pace._ Mi guarderò da affermare che Dio lo esaudisse; fatto sta che un gruppetto di palle fin lì sviate trovarono maniera di ficcarsi tutte di un tratto in corpo al nostro frate Bernardino, il quale ne rimase come di peso portato un par di braccia più in là: egli non ebbe tempo di proferire altre parole, eccetto queste: — Ora le sono buone mosse.... _in manus tuas Patriam.... animam..._ Tali i frati novant'anni addietro in Corsica, perchè nati dal popolo, non si reputavano divisi da lui. Roma allora non gli arrolava docili arnesi da mettersi al servizio della tirannide, come la Svizzera ci manda i suoi montanari. Il frate poi, in obbedienza a Roma, divenne il tarlo della libertà; non vi ha dubbio, egli arrivò pur troppo a bucherarla alquanto: ma come il tarlo egli è vicino a morire nel buco che ha fatto. Ma il tema incalza: egli è amaro, ma pure bisogna compirlo. Le compagnie côrse, lacere non disfatte, correndo verso la testa del Ponte-nuovo, già lo toccavano con immenso anelito, come àncora di salute; arrivano a piè la porta della torre in mezzo al ponte, che speravano trovare spalancata, e invece la rinvengono chiusa, nè malgrado gli schiamazzi pare che la vogliano aprire; intanto sopraggiungono altre genti continue, impetuose come onda sopra onda; le ultime arrivate non sapendo o vedendo le cause della sosta infuriano e spingono; le prime strette dalla pressione di mille corpi urlano, bestemmiano, adoperano sforzi disperati invano; prese come dentro una morsa cascano infrante a piè della porta; in breve colà fu visto un lago di sangue, un mucchio di membra cionche e di ossa stritolate; pure alla fine la porta tentennava su i cardini minacciando stiantare. Allora le due compagnie di tedeschi messe alla custodia della torre e del ponte, senza punto avvertire se l'ordine di passare fosse dato per cacciarne nemici o amici, non sapendo o non volendo rendersi capaci della terribile necessità che premeva coteste genti, presero a bersagliare quelle masse stipate senza misericordia. Quali lo spavento, la strage e imprecazioni, è impossibile esporre, ed anco difficile immaginare; molto più, che la credenza di essere traditi adesso veniva a ribadirsi nella mente paurosa: recederono quei che furono in tempo, dal ponte lasciandolo fino alle spallette ingombro di cadaveri, e si posero a correre di su e di giù lungo le sponde del fiume, che menava a sbalzelloni grossi volumi d'acqua rompentisi fra i massi, simili alla criniera arruffata di lioni in furore; costoro parevano anime, che i poeti finsero vaganti su le rive di acheronte, le quali implorano invano di valicare la riviera infernale. Disgrazia volle, che uno dei più atterriti e manco gagliardo si attentasse passarlo; senonchè giunto appena a un terzo di cammino il flutto lo travolse, e di lui, dopo che due volte si videro le gambe e due il capo non comparve più altro; si strinse il cuore di affanno anco ai più animosi e ripresero a correre ululando lungo le sponde: non che udissero la voce dei capi, per poco non gli sbranavano; e questi taciturni circondavano Clemente Paoli, taciturno anch'egli. Intanto i Francesi si ordinavano su le Costiere, e mandando i varii corpi nei luoghi più adatti si ammannivano a investirli con una cintura di fuoco; fingete un antico anfiteatro, ponete i Côrsi in luogo degl'istrioni, e i Francesi in quello degli spettatori, e voi avrete immagine giusta del misero stato in cui si trovavano ridotti. I capi côrsi miravano la bufera addensarsi su le alture, e da un punto all'altro aspettavano il tuono; difatti non si fece aspettare; incominciò un'archibugiata, poi due, e altre e altre, rade da principio a modo delle prime stille della tempesta, poi spesse; per ultimo furiose. Ed ogni palla colpiva il suo uomo, sicchè in breve il terreno venne coperto di morti: allora Clemente levando la voce esclamò — Signore, ci hai tu destinati a morire come coniglioli? I capi lo udirono, e preso consiglio da codesta voce subitamente urlarono: — Uomini côrsi, moriremo noi come conigli? La quale voce superando lo strepito della moschetteria, ed il fragore delle acque del Golo, percosse i Côrsi, che parvero destarsi da un sogno pieno di spavento; diversi gli atti, e singolari tutti: chi guardava in alto come se la voce fosse uscita dal cielo, chi si faceva delle mani conca e se le accostava agli orecchi per raccogliere meglio le parole, chi si stropicciava gli occhi quasi per detergerne la molesta caligine, chi una cosa chi l'altra: finalmente come un uomo solo corsero a ripigliare le armi sparse sul terreno; e subito dopo, senza che veruno lo comandasse, unicamente per virtù del senso di conservazione che natura pose in ogni animale, si sparpagliarono per la campagna mostrando faccia risoluta al nemico. Questo fu il più disperato combattimento che avvenisse nel secolo passato e forse nei secoli antecedenti; il quale mostrò, o che i Côrsi non sapevano misurare o non sapevano temere il pericolo: soverchiati da numero quattro volte maggiore del loro, circuiti da ogni lato, sfolgorati da luoghi sicuri, parvero fiere ridotte in parco per le facili caccie dei baroni; e lì per la stretta valle non sorgeva argine, non pietra, non albero, non casa, non muro dove potersi riparare dalla furia della moschetteria; cadevano in copia spaventosa non altramente che le olive mature nei patrii chiusi quando il demonio del libeccio rovina scatenato giù dai monti del Niolo, e macina, non iscuote le piante. Ecco tu chiudi gli occhi sur un drappello di uomini forti che combatte nella sicurezza delle sue forze, riaprili e quel drappello non è più: la neve che si strugge al raggio del sole di giugno, la cera che si liquefà al calore del fuoco, l'arena che casca dall'orologio a polvere non davano immagine sufficiente di quella subitanea e terribile distruzione della specie umana. E non pertanto vi fu un'ora di resistenza dovuta a tale trovato, che a pur pensarlo mette ribrezzo più della stessa strage. Un padre cadde di ferita mortale; indi a poco si levò a stento appoggiato al gomito per combattere non fosse altro col guardo contro il nemico, e a figlio, che gli dolorava accanto, improvvido del come potesse sovvenirlo disse: — Di me lascia il pensiero al Signore, tu rannicchiati dietro il mio corpo e riparato così attendi a combattere: innanzi di spirare fa che veda un po' di vendetta. E il figlio addossato alle spalle del genitore caricava e traeva facendo esultare l'anima di lui nella certezza che molti lo precedevano per la via sanguinosa nel regno della morte. [Illustrazione: .... contemplò intorno alla tavola quattro strane figure: suo fratello Mariano che contava monete d'oro, un ufficiale francese che gliele contava.... (_pag. 388_)] Notarono la inventiva; e conosciutala buona la misero subito in pratica e la migliorarono; dacchè di materiali non si pativa penuria, accatastarono cadaveri umani, e in breve ebbero costruito parapetti e trincee di carne umana. Dirò cosa incredibile, se non fosse vera, e confermata dalla testimonianza degli stessi scrittori francesi: sia per ribrezzo o piuttosto, come credo, per pietà, esaminando i Côrsi diligentemente i corpi innanzi di ammucchiarli, quante volte trovavano che un filo di vita gli animasse li lasciavano stare; alcuni dei meno feriti sorsero, e da per sè stessi trassero a mettersi in cumulo, i più percossi sporte le mani imploravano per Dio e per i santi, che gli accettassero a rendere cotesto ultimo ufficio alla Patria, e poichè videro riuscire vane le loro parole, carponi, adoperandovi le mani e i piedi segnando per la terra larga striscia di sangue, o versando dai fianchi squarciati le viscere, arrivarono ad aggiungersi alla massa; dove arrivati schiusero le labbra pavonazze al sorriso quasicchè avessero conseguita cosa di contentezza suprema. Questo non occorre nelle antiche nè nelle moderne storie; tanta costanza pare che superi la natura umana, e la nostra mente ne resta sbalordita: non di manco appena ne avanza memoria. Ora voi che leggete, dite, vedeste mai più rea e più vile piaggiatrice della gloria? Anch'essa, anzi ella principalmente seguita vassalla il carro della cieca fortuna. I Francesi da prima sostarono fidenti che i Côrsi curando la raccolta dei morti ormai avessero deposto ogni proponimento di resistenza; e s'ingannarono; imperciocchè assestati alla meglio i ripari prese a scoppiare da loro un fuoco impetuoso, che spazzò via quelli i quali punti dalla curiosità si erano fatti più da presso; oltre al volgo dei morti per questa scarica uscirono di vita gli ufficiali francesi Segur, Chamisso, Bezon ed altri parecchi tenuti meritamente in pregio di valorosi; quindi riarse il furore nei petti già inacerbati per le perdite sofferte, nè lo spediente a cui ricorsero i Côrsi, bastevole a fare più sanguinosa la vendetta, era atto a lunga difesa, molto più che di minuto in minuto arrivavano sul campo le colonne nemiche ordinate lungo la via; sparve il terreno, il cerchio si strinse, e ormai i più infuriati avventandosi mandavano in pezzi a colpi di baionetta, di sciabola, e di accetta quei baluardi di carne: allora incomincia la miserabile rotta, non di tutti però, che molti prescelsero incontrare a piè fermo la morte dei forti e l'ebbero; e chi prima giacque potè estimarsi fortunato; imperciocchè quelli che furono tardi a morire ebbero a sopportare immani strazii, e forse degli strazii peggiori assai gli oltraggi, ma la massima parte si sbandò incalzata ai reni dalle punte nemiche: parecchi urlando precipitaronsi nel Golo, che, accettato quel sagrifizio di anime, dopo molto errare ne consegnò i corpi al mare Tirreno; taluno però, fortuna fosse o prestanza, attinse la riva opposta comecchè ammaccati nella persona; altri ripararono nei boschi; ma togli gli avventurati cui toccò in sorte valicare il fiume, agli altri non giovarono fuga o nascondiglio: furono scovati coll'ardore del cane da caccia e spenti senza pietà; se la resistenza inviperiva, non placava chiedere mercede; alla preghiera rispondeva lo scherno; la empietà e la strage gavazzavano pel campo di battaglia come Menadi prese dal vino: e di vero ebbre esse erano, ma di sangue. E perchè la rabbia umana lasciasse, mercè dei gesti francesi, la prova del grado infernale a cui ella può giungere, come in quel giorno i Côrsi mostrarono a quale apice possa toccare la carità di Patria, i soldati di Francia si dettero a cercare, tra i corpi che avevano formato il memorabile baluardo, chi serbasse qualche reliquia di vita; e questo facevano toccando ai trafitti le mani, le quali se trovavano tuttavia calde, tirato fuori pei capelli il moribondo, con tagli e punte dolorosissime ne inacerbivano l'agonia! A rendere più lugubre la scena, scesa la notte, i poggi d'intorno s'illuminarono con la sinistra luce di pini accatastati quasi pira funerea della Patria defunta; e si sparse dintorno un suono di pianto, un singhiozzare dirotto, sicchè pareva che ogni macchia, ogni cespuglio piangesse; intantochè il fragore delle acque del Golo rotte fra i sassi, empiva di affanno come se la Corsica intera si lamentasse sopra i suoi figli caduti, ancora, le braccia delle donne infelici tese verso il cielo e lumeggiate dai medesimi fuochi offrivano sembianza dell'isola infelice, che nuovo Briareo levasse le sue cento braccia per implorare da Dio la maledizione sopra la stirpe scellerata, che non contenta della infamia del servaggio a casa sua veniva a ministrare con violenza il tossico della tirannide. Anche il fango quando vi batte in mezzo il raggio della luna par di argento: così l'uomo, il quale per nascita o per altro caso tiene la suprema potestà di un popolo, è levato a cielo, anzi più in alto del cielo: finchè nella destra di lui sta chiusa la speranza, e nella sua sinistra la paura dei mortali, la turpe e famelica genia, che si avventa alle mammelle dello Stato come le mignatte si attaccano alla vacca scesa a pascere nel palude, si lima giorno e notte il cervello per trovare sgangherate adulazioni. Gli stessi uomini grandi non valgono a liberarsene; qualcheduno dopo esserne rimasto per tempo più o meno lungo offuscato, se ne distriga simile alla bella faccia degli astri, che sviluppa dai vapori notturni, mentre i più ne restano contaminati, imperciocchè fino dall'antichità osservassero come anche le statue degli Dei per troppo fumo d'incenso diventassero nere. Però il grande genera il grande; e questo dura: il potente solo provoca l'immane che rovina sotto il peso della folle sterminatezza. Nessun tiranno al mondo ebbe immagini più sperticate di Nerone; Zenodoro gli gittò una statua di bronzo alta 110 piedi; lui morto le mutarono il capo e dedicaronla al sole; altri gli dipinse il ritratto dell'altezza di 120 piedi e fu arso nei giardini di Mario. La modesta immagine di Bruto fu conservata alla coscienza dei popoli dai magnanimi pochi i quali non giudicano le opere dal successo, e Tiberio, che la bandiva dalle mostre pubbliche, non osò stenderci sopra la mano. E poichè con ali mentite non si vola o poco, e a voli esiziali: quando la potenza abbandona gl'Icari redivivi, questi imperatori di terra cotta, questi re di carta pesta, la pietà si maraviglia come deve compassionarli mai tanto, chè i loro stessi delitti ella conosce essere stati partoriti dalla insania, e gli sperimenta a prova così misere, così inette creature, che spogliate del mestiere di tormentatore non sanno procacciarsi tanto da sostenersi in vita, anzi incapaci perfino a guadagnarsi l'acqua da lavarsi le mani e il viso. Lo scherno umano che si accosta per beffarli, dopo averli sotto e sopra squadrati, diventa serio, e si parte pensando se più meritino riso costoro, o la stirpe degli uomini che gli ha adulati, maledetti e sofferti per tempo sì lungo. Però se l'uomo, spogliato dalla potenza, possiede tanto di suo, che molti tuttavia lo riveriscano, qualcheduno lo ami e la calunnia non si attenti ferirlo eccettochè larvata, nel cuore della notte, allo svoltare del canto, di' pure: — costui meritò migliori destini, — e non isbaglierai di certo. E tale fu il Paoli; i suoi nemici non ardirono morderlo, solo per biasimarlo si velarono la faccia con la menzogna del bene della Patria, ma non fecero frutto, che il velo era rado e sotto ci traspariva l'interesse o l'agonia di giustificare il tradimento; sicchè come da impresa disperata si posero giù. Per questa, come per altre volte mancò piuttosto la Italia al suo Washington, che il Washington all'Italia. Se mai la fortuna ti menasse nella illustre isola di Corsica, tu osserva come il ritratto dell'ottimo cittadino di rado s'incontri nelle città, ma per l'opposto lo troverai sempre nei casolari e negli alberghi, nello interno dell'isola a canto a quello del Sampiero; il popolo ha riconosciuto i suoi padri e se gli stringe al seno. Io lo notai, imperciocchè una voce soave mi bisbigliasse dentro: — la coscienza del popolo per passione propria o per inganno altrui spesso forvia, ma il tempo la riconduce su la strada. Molte cose fanno scienza; però il senno umano si compone di solo queste due: persistere ed aspettare. — Questi consigli mi educavano alla pazienza, che negli anni giovanili da me derisa, oggi m'insegna com'essa non solo sia virtù; ma che senza la sua compagnia veruna virtù si fermi dentro al petto degli uomini; però intendi bene pazienza con le mani tese; e non già rassegnazione con le mani giunte. Pazienza che si fruga in tasca per pigliare il coltello, non già pazienza che cerca in tasca per trovarci il rosario. Sopra l'uomo egregio non pertanto si posa un biasimo che affermato dalla malavoglienza e dalle sbadataggine, e non contraddetto a bastanza, piglia col tempo fondamento, e questo si versa circa al non essere comparso nel giorno della rotta sul campo di battaglia; onde in Francia misero in dubbio il suo coraggio come uomo e l'attitudine come soldato. Da quanto esposi fin qui fu chiarito come credibili avvisi di assassinio meditato lo dissuadessero da condursi sul campo di battaglia; e le insidie più volte tesegli dai Francesi, e dagli stessi storici loro confessate, basterebbero a giustificare l'assenza del generale; ma egli non era uomo da ristarsi per questo, e la passata come la successiva sua vita lo palesarono incapace non pure di terrore, bensì di esitanza. Egli non si mosse da prima, perchè aspettava gli annunzi del comparire dei Francesi, deciso allora di spingersi al ponte per sostenere le difese, dacchè per veruna cosa al mondo avrebbe consentito i Côrsi passassero dall'altra sponda e ingaggiassero battaglia col nemico all'aperto senza riparo. Troppo ci correva tra i Côrsi e i Francesi per ordini militari perchè potessero cimentarsi insieme con isperanza di buon successo pei primi; e il Paoli animoso era molto, non però temerario. Quando un messo speditogli dal comandante prussiano posto a guardia del ponte andò a ragguagliarlo che i Côrsi erano passati tutti su la sinistra sponda del Golo sentì trafiggersi da dolore e da sdegno inestimabili; non senza tremito considerò come quando l'ora della maledizione colpisce popolo od uomo torna tutto funesto, e le dimore e gli ardori; mentre quando Dio vuole, Fabio e Marcello stavano entrambi; comecchè considerasse che da questa mossa fosse per uscirne danno gravissimo, egli era ben lontano da presagire la rovina che ne venne; però si affrettava a riparare, quando per via gli sopraggiunse la notizia del tradimento di Lento e Canavaggia: poco più oltre quella del comandante della milizia del ponte alla Leccia, il quale come a suo luogo raccontai, sotto pretesto di manco di vettovaglie non aveva mosso un passo; cotesto suo avvicinarsi al Pontenuovo si rassomigliava alla via del Calvario; ad ogni piè sospinto inciampava dentro un nuovo affanno; messi su messi gli portarono Caccia avere accolto per opera di un traditore i Francesi e così essere rimaste rotte le comunicazioni con la Balagna; la Casinca anch'essa per tradimento allagata dal nemico, il quale accennava ferire di fianco; forse anco tagliare la ritirata oltre monti; che più? le pievi di Vallerustie, di Giovellina e di Orezza oggimai disperate, avere spedito uomini a posta al generale di Vaux per sottomettersi ed essere ricevute in grazie del Re. Mentre i dolori della passione contristavano cotest'anima afflitta, una mano di superstiti alla strage di Pontenuovo laceri e mezzi, perchè dopo avere salvato la vita dal fuoco avevano dovuto contrastarla all'acqua, gli si fecero incontro schiamazzando: — Dove andate? Dove andate? Perchè volete farvi ammazzare come un cane? E Orsone da Tevera, ch'era tra questi, ma non poteva così di leggieri riconoscersi a cagione di una fascia che gli bendava il capo mezzo sfracellato gli soggiunse: — Ah! generale, ve lo aveva pur detto, che i vostri _incipriati_ avrebbero venduto la Corsica e noi come Cristi. — Orsone, siete voi? E padre Bernardino?... — In paradiso, rispose Orsone levando le braccia al cielo. — E...? soggiunse esitando il Paoli qual chi a un punto trema e si strugge di sapere una cosa. — E chi? — Il mio fratello Clemente? alfine egli disse. — Io l'ho veduto combattere da per tutto e sempre: quanto al fuoco non lo può offendere, perchè gli è ciurmato; se non rimase nel Golo ve lo vedrete comparire dinanzi. Allora il Paoli raccolse quella maggiore gente che potè, e fu poca, donde ebbe campo di argomentare la gravità della rotta, e si condussero a Corte. Di uno sguardo conobbe, che non si poteva fare capitale su i pochi che lo avevano seguitato pur troppo sbigottiti e male in arnese; posti alquanti soldati in castello, passò in Vivano nel concetto di ritentare la fortuna della guerra coi terzi di oltremonti. Clemente Paoli rispettarono il fuoco e l'acqua: uscito grondante dal Golo non si rivolse nè manco a dietro a contemplare il fiume pauroso dal quale era scampato; senza pigliare cibo nè riposo, nella notte picchiò di casa in casa e strappò i mariti dalle braccia alle mogli, i figli alle madri, li garrì, li spaventò colla paura della maledizione di Dio; la quale non può mancare a cui lascia nelle angustie desolata la Patria, e la mattina si presentò pronto a combattere i Francesi, che dopo occupato Rostino moveano a Corte; e di fatto a piè fermo gli attese presso san Pietro di Morosaglia e per più ore contrastò loro il passo; quando poi seppe lo sgombro di Corte e il nemico stringerlo dentro una rete, poderoso e rinforzato con le riserve di Bastia, colto il destro disparve come un fantasma davanti agli occhi dei Francesi. I quali progredivano non pure in virtù delle armi strabbocchevolmente superiori alle côrse, quanto dell'oro che sparnazzavano come si costuma la fiorata dinanzi alle processioni: nè questo si reputi inventiva côrsa per iscemare l'onta della disfatta, però che noteremo in breve quale somma di pecunia ci spendessero attorno i Francesi: che se taluno versato nelle storie di Francia maraviglierà come potesse profondersi tanto tesoro in Corsica, mentre tanto si penuriava in Francia, che gli stessi valletti di corte chiedevano la elemosina, cesserà da stupirsi quando pensi che la impresa côrsa si combatteva per sostenere il credito vacillante del ministro Choiseul, il quale voleva dare ad intendere che con l'acquisto della Corsica la Francia sarebbe stata compensata con usura delle perdite sofferte durante il suo ministero; ora è manifesto, che quello, che carità di Patria, amore di parenti e compassione del prossimo non sanno trovare o non possono, troverà sempre l'ambizione. Che importava allo Choiseul, che a Parigi morissero di fame e i servi del suo re accattassero, purchè egli potesse mantenersi in officio? E nondimanco il Voltaire celebrò cotesto uomo, dando nuova prova, che le lettere scompagnate dal gran cuore sono pessime dispensatrici così del biasimo come della lode. Napoleone giovanetto alla scuola di Brienne, narrasi, che vedendo il ritratto di questo duca appeso in una sala, agguardatolo torvo, gli dicesse: — tu mi renderai ragione del sangue côrso e delle nostre libertà manomesse! — Beato lui se fosse morto mentre florida gli santificava a quel modo l'anima la virtù, però che egli vivendo confermasse la verità della sentenza, che Dio a cui vuol bene manda presto la morte; di vero le grinze sul cuore vengono più spesso e più brutte che sulla fronte, ed egli morendo a tempo non avrebbe nudrito la sua fama col sangue e con la libertà dei popoli. Per colpa di questo uomo, che parve un Bruto in erba, la umanità si strascica sempre come colombo che abbia rotto l'ale sul cammino della libertà. I ricordi dei tempi pertanto hanno tenuto nota, che furono largite dugento ottanta lire a testa a quei del presidio del Castello di Corte affinchè lo consegnassero senza contrasto, e al tempo stesso mandarono un bando, il quale diceva: i villaggi privi di trincere che si attentassero resistere sarebbero arsi, le terre devastate, gli abitanti spediti a mo' di misfattori in Francia, se dopo essersi sottomessi fossersi rinvenute armi presso gli abitanti, sarebbero mandati irremissibilmente in galera; anche dei non sottomessi quelli che portassero armi senza permesso dei superiori militari, in galera; chi piega il collo beato lui! Malgrado la disposizione vecchia che i Francesi avevano e la necessità presente di esagerare le cose, essi non poterono cavare materia d'iattanza da cotesta conquista: abbiamo notato, come vi adoperassero un cinquantamila uomini, della migliore gente che possedesse la Francia, e ce ne rimasero 10,721, se meritano fede i registri del ministero della guerra, di cui 5,949 morti all'ospedale e 4,334 in campo: fra questi, 539 uffiziali; ma il sangue, nota il Dumouriez, giusto in proposito della guerra presente, nei calcoli della politica non conta; però parliamo del danaro; tutta la impresa costò 80 milioni, somma per quei tempi di troppo maggiore importanza, che a' nostri, compreso il credito che la Francia teneva verso la repubblica di Genova pei soccorsi somministrati, sicchè le spese proprio per la guerra del 1767 e 1769 si trova appunto ammontare ai 180 milioni di franchi. Al De Vaux, dopo averlo scarrucolato un pezzo, negarono dare il promesso bastone di maresciallo, bisbigliandogli nelle orecchie: la smettesse e dello avuto si contentasse; bella forza! vincere con cinquantamila uomini provvisti di ogni maniera munizioni di guerra, poderosi di artiglierie, un'armata quale da molto tempo non era uscita dai porti di Provenza di rinforzo e per ultimo il terreno spazzato davanti a furia di luigi d'oro. Il De Vaux non fiatò più: ma se tacque egli, altri volle dire la sua; per l'Italia ne corsero le pasquinate ed anco qualche cosa peggio: così menò rumore un certo distico latino che pronunziava arditamente questa sentenza: Gallia vicisti! profuso turpiter auro; Armis pauca, dolo plurima, jure nihil. Dicono lo componesse un Giuseppe Cambiasio presidente del regio senato di Nizza; e questo ho voluto rammentare perchè si veda come novant'anni addietro in Italia ci vivessero uomini di toga che avevano cuore di dire verità, le quali adesso non basterebbe l'anima a palesare, anco a un democratico dei buoni; e poi negano il progresso; se questo non si chiama avvantaggiarsi nel servaggio, che cosa sia progredire io non lo so davvero. Ma più che tutto strano parrà a cui per poca pratica non è uso a meditare su i cervelli degli uomini e i ghiribizzi loro, che i Francesi tre anni dopo conquistata la Corsica non sapessero più che cosa farsene: pigliatala in fastidio proffersero restituirla a Genova pel prezzo di 28 milioni di lire, ma i Genovesi che per averla tenuta nei tempi addietro si sentivano anche piene di pruni le mani, e il tempo gli aveva condotti a consigli più giudiziosi, risposero che poichè se la erano presa la conservassero; allora la misero all'incanto, ma non trovarono chi ci volesse dire sopra; e il nostro eroe scrivendo da Londra il 30 luglio 1771 prorompeva in questo grido, tanto più straziante quanto più semplice. — Ahimè! dunque noi siamo quel povero cencio, attualmente posto all'incanto fra i potentati della Europa? Più tardi il tedio della Francia per la Corsica crebbe; forse era presentimento, e nell'Assemblea costituente l'abate Charrier propose indurre il duca di Parma di cedere il Piacentino al Papa e dargli in compenso la Corsica col titolo di Re; non ne vollero sapere nè l'uno nè l'altro. O non sono curiosi questi liberaloni di Francia, i quali non sanno smettere il vezzo di considerare la gente umana come bestie vaccine a cui si possa far mutare padrone secondo che piace? La Corsica, agguantata, agguanta; cani e uomini côrsi fanno buona presa. L'hanno voluta, se la tengano; Ercole non potè strapparsi la camicia di Nesso, se non sul rogo: ma io ho precorso gli eventi; ne domando perdono e torno a raccontare la storia per filo e per segno come conviene ad uomo che proceda con la _calma pensosa_ tanto amica ai tranquilli amatori dell'_ordine_. Le cose e le creature si amano più pei dolori e pei travagli che costano, che pei piaceri che procurano; però i padri ben vogliono ordinariamente i figli assai più che non ne siano benvoluti: onde non è da dirsi se il Paoli mettesse a tortura anima e corpo per trovare spediente capace della salute della Patria che amava e per la quale aveva patito mai tanto. Il giocatore non si alza dal tavogliere se prima non abbia avventurato il suo ultimo scudo; ora le ree passioni dovranno essere più tenaci delle buone? Il patriotta mostrerà a prova minor costanza del giocatore? Ciò a Dio non piaccia. La parte cismontana dell'isola non fu lasciata senza l'estremo contrasto. Clemente Paoli addentrandosi nel bosco di San Pietro occorse in Antongiulio Serpentini e nella moglie sua Rossana che con una mano di gente si aggiravano per quelle parti smaniosi di vendetta quanto più disperati della vittoria: poco più oltre rannodarono il capitano Pilone: insieme uniti, pei conforti massime di Clemente, si apparecchiavano a tentare un colpo ardito; si rammenta che alla opera egregia si aggiungesse anche Giancarlo Saliceti, come per miracolo rimasto illeso sotto un mucchio di cadaveri alla battaglia di Pontenuovo, donde uscì a notte alta e scampò con meno pericolo degli altri, perchè il nemico si fosse disperso nelle vicinanze, e il fiume, che molto tiene del torrente, in quelle ore avesse scemato assai dalla sua turgidezza: racimolati da 500 uomini penetrarono nel Niolo dove sorse sempre la prima aurora e si spense l'ultimo crepuscolo della libertà côrsa; sopra coteste aspre giogaie la gente semplice e forte pare che abbia agio di favellare più d'appresso con Dio che in loro ispira carità indomita di Patria. I Niolini senza tanti ragionari si dissero parati a tutto; richiesti di vettovaglie, non ne avevano: proposero andarne alla cerca a Giussani, Asco, Muttifao ed in altre terre prossimane, e andarono, ma tornarono co' sacchi vuoti; i popoli atterriti dalla vista dei Francesi stracorridori, i quali avevano incominciato a mostrarsi fin là, gli supplicarono a non gli esporre a sicurissimo eccidio: col nemico così inviperito e così grosso su gli occhi, non essere a tentare cosa che valesse; gli uni e gli altri si riserbassero a fortune migliori. Allora passarono i monti; e qui si rinfocolò la guerra. A Fritzlar conte di Narbona, uomo superbo e di natura feroce, fu commesso opprimere la parte oltramontana; reputandola impresa appena degna del suo valore uscì veramente grosso e munito ottimamente di artiglierie da Ajaccio, ma procedeva alla sbadata, sicuro di non incontrare veruno intoppo per la via; ma giunto che fu a Mezzana ecco occorrergli Clemente Paoli, ch'egli credeva rimasto morto a Pontenuovo, a contrastargli il passo: salito il buon conte in furore perchè si attentassero resistergli, raccolse le sue forze per levarsi, com'egli diceva, per sempre d'intorno quel fastidio d'insetto, ma intantochè il tafano lo pungeva or qua or là dolorosamente, ed ei menava invano le mani, ecco arrivargli notizie, che i Côrsi comparsi a Peri facevano le viste di piombargli alle spalle: di vero erano accorsi ai suoi danni con quanti avevano potuto trarre seco l'Abbatucci, l'Ornano e il padre Paolo Roccasserra buono a predicare, meglio a combattere. Il conte obbligato a riparare al nuovo pericolo smezzò le forze, ma respinto da ambe le parti si strinse nel fiuminale di Celavo dove riparò in forte positura munendola di terrapieni e di artiglierie, deposta poi ogni intempestiva baldanza, invece di assaltare attese con diligenza a difendersi assalito. I capi Côrsi esaminata bene la faccenda vennero nel parere di non arrisicare battaglia, bensì circuire tutta cotesta gente, bloccarla e ridurla a darsi prigioniera per falta di viveri. Il conte di Narbona a prezzo d'ingordo premio trovò modo di avvisare il conte di Vaux delle angustie in cui si trovava ridotto, onde questi, che ormai credeva vinta la impresa urlò, bestemmiò e poi piuttosto con ismania febbrile, che con sollecitudine soldatesca, si dette ad ammanire corpi di milizie spingendole con parole accesissime e con larghe promesse a correre e impedire lo smacco; da prima spedì il marchese della Valle, e ce n'era di avanzo; ma dopo poco gli avviò dietro con altro distaccamento il barone di Bamenil; e tuttavolta parendogli che fossero pochi ci aggiunse tre corpi di milizie côrse, comandate da tre capitani côrsi, il nome dei quali per rispetto altrove discorso non mi giova ricordare, nè altri ha da mostrarsi voglioso di apprendere. Tutte queste milizie per la Biguglia, la Casinca e le pievi del Verde e di Aleria, dovevano penetrare nel Fiumorbo e quinci per vie montane giungere in tempo per bloccare i bloccatori. E' sembra, che gl'impedimenti naturali stimassero poco, quelli degli uomini nulla, perchè più pericolosa via non era dato immaginare: di fatti piccola mano di montanari tra Poggio e Isolaccio arrestarono tutte queste milizie. Pasquale Paoli non posava giorno nè notte per rianimare, eccitare, ordinare: e in qualche parte gli veniva fatto con buon successo, più sovente no; non mica che all'aspetto di lui non si accendessero, od alle sue parole non fremessero, ma a mano a mano, ch'egli si allontanava, essi si sroventavano; il pensiero ripigliava il sopravvento alla passione, e lo schioppo testè carico ponevano da parte non senza un sospiro. Dal paese dove nacque e morì Sampiero d'Ornano, dalla terra bagnata dal sangue dell'eroe, vennero, e non poteva fare a meno, cinquecento uomini improvvidi magnanimamente del poi, non volendo nè sapendo guardare nulla oltre il dovere, e si offersero al Paoli per la vita e per la morte. Per quanto tu ci pensi sopra, tu non verrai a conoscere tutti i benefizî che una grande anima largisce alla contrada dove per grazia del cielo ella comparve, i presenti sono meno, nè i più importanti, perchè le generazioni, che la circondarono non la compresero, o se compresa, non ebbero virtù d'imitarla; ma ella partendosi lasciò quasi un modello ai futuri, affinchè i pensieri e le opere loro ci adattassero; ognuno del popolo si reputa erede di un frammento di cotesta anima, quale come un santuario riposto dentro di lui lo fa sacro, ed ogni senso di viltà, di bassezza ne allontana, quasi sozzurra che valga a inquinarlo: e non fie vana fede quella che ti fa credere, che cotesta anima indefessamente stemperandosi nell'aere mandi aliti sani al tuo corpo e affetti sani al tuo spirito; beata la terra, che vanta per genio del luogo un'anima grande! In Ornano pertanto stavasi Pasquale, e circondato così da gioventù feroce, fremente arme, che dimenticata la realtà dei casi consolandosi con la speranza del futuro o con la memoria del passato. Gli pareva potere ritentare la prova, anzi pensava vincerla e di un colpo ardito opprimere il nemico: il suo spirito pregustava la esultanza della patria consolata, i gaudii della gloria, la commozione della gratitudine: davanti a sè teneva aperta la carta geografica dell'isola e accennando col dito i sentieri per valli e per poggi, sempre più infervorandosi esclamava: — No, non può mancare; coraggio, Côrsi, la stella della Corsica non è ancora tramontata. E quasi coro Altobello, Canale, Ugo della Croce, Romano Colle e Rutilio Serpentini con altri dintorno ripetevano! — no, non è ancora tramontata. Ad un tratto si aperse la porta della stanza e fu visto entrare un soldato, il quale prima di ogni altra cosa si volse addietro a richiuderla: era Clemente Paoli mandato a chiamare e venuto in obbedienza agli ordini del suo generale: dopo la battaglia di Pontenuovo dove fu così funesto il suo ardore, o ira contro sè o coscienza lo rimordesse, non si attentò più comparire davanti al fratello: ed ora oh! quanto si mostrava diverso dal prode guerriero, che rimasto per fortuna intatto dalle palle nemiche aveva fama di essere ciurmato: la faccia sordida di colore oscuro, le labbra nere del continuo mordere le cartuccie, la congiuntiva degli occhi ingombra di sangue e di bile; di persona l'ombra appena di sè stesso, le vesti gli cascavano di dosso, non più Clemente, bensì lo scheletro di Clemente Paoli; e quasi la fortuna volesse fargli perdere tutto ad un tratto anche la sua invulnerabilità, adesso appariva fasciato alle braccia e alle gambe: anche nel capo era stato percosso e gravemente; e nondimeno si conosceva, che questa rovina gli veniva meno dalle ferite del corpo che da quelle dell'anima. Entrò, fece il saluto militare e stette davanti il suo fratello, il quale a vederlo si sentì commosso da un tumulto di affetti: voleva abbracciarlo, voleva rimproverarlo: quel suo stato così gli strinse il cuore, che per poco non iscoppiò in pianto; pure facendo forza a se stesso, e tentando con la voce del corpo vincere il grido dell'anima, con molto impeto disse: — Venite Clemente. Dio ci ha flagellati, ma non ci vuole oppressi; egli nella sua misericordia ci dà campo da vendicare mille offese in un punto, e ciò che più importa ristorare le fortune inferme della Patria. Altobello si reca (guardate su la carta) a Zicavo, e fatta raccolta di gente accorre in aiuto dei Fiumorbini i quali hanno già arrestato i corpi di milizia spediti dal de Vaux in soccorso del Narbona: tra quei gioghi, in mezzo di coteste foci può presentarsi il destro di sterminarli; ad ogni modo basta che li trattenga; questo deve farsi; se si avventurano nella foresta dei pini non ne escano più. — Io piglio il comando del campo di Mezzana e vi prometto non farmi uscire di mano questo tracotante del Narbona: a voi Clemente, il periglio e la gloria maggiori; prendete con voi Serpentini e Saliceti, attraversate il Niolo dove vi aspettano a braccia aperte, quindi scendete in terra di Comune, assalite improvviso i Francesi alle spalle nei monti del Fiumorbo, separateli da Bastia, e per fame o per ferro voi sterminate il marchese della Valle e il barone di Bomenil, io il conte di Narbona: non domando cose strane da voi; solo che mostriamo la consueta celerità, la vittoria è sicura.... Clemente, mentre il fratello infervorato favellava, fu visto tentennare a modo di albero che il boscaiolo a grandi colpi di accetta cerca di abbattere; ora non si potendo più tenere cadde di sfascio nelle braccia del fratello e proruppe in pianto; le bende scomposte per quel moto smanioso lasciarono grondare la piaga del capo, sicchè scendendo giù sul volto al desolato sangue e lagrime, parve che piangesse sangue. Pasquale anch'egli avrebbe pianto se non restava atterrito dallo stato del fratello: egli non lo aveva mai visto piangere, e le lacrime dell'uomo forte sbigottiscono appunto per questo, che l'animo nostro pensa quanto grave ha da essere il cumulo dei mali che valse a vincere coteste indomite nature. Lo stianto della passione dolorosa aveva tolto a Clemente la favella, e si temeva peggio; onde dopo averlo adagiato sopra una seggiola, Altobello corse verso la porta per uscire in traccia del medico; ma Clemente tentato di levarsi su ritto per impedirlo e non lo potendo, con le mani, con gli occhi, con tutta la persona sembrava supplicarlo a non aprire la porta; ma non lo intesero; e ad ogni modo non sapendo darsi ragione di codesta strana fantasia non l'avrebbero atteso; però Altobello venuto più presso la porta l'aperse. Dalla porta semiaperta sbucarono fuori due mani: ho detto due mani, e doveva dire granfie che pelose erano tanto e armate di ugnuoli da disgradarne quelle della jena; e subito dopo tenne dietro alle mani una maniera di ceffo orribile per enorme naso adunco e il mento sfuggevole verso la gola; gli occhi piccoli, tondi e immobili, il cranio calvo con pochi peli dietro la nuca, che parevano venuti a lite fra loro, gli davano aria dello avoltoio monaco che muta le penne; comparve al fine la persona scarna, ossuta, figura proprio da cataletto. E' sembra, che la natura nei momenti di mal umore crei siffatti animali, perchè servano di annunzio alle sciagure come i gabbiani al cattivo tempo: di vero tu li trovi dove qualche infortunio, o peggio ancora, qualche iniquità sta per consumarsi; nella stanza dell'infermo avvisano che il prete coll'olio santo è per le scale, in casa all'inquilino precorrono i famigli che vengono a gravare i mobili pel debito di pigione: nel fondaco del mercante precedono il sindaco del fallimento accorrente ad apporre i sigilli; nelle famiglie danno cenno, che quivi la carità nel partorirci l'odio vi è morta per l'operazione cesarea: però il marito sta in procinto di repudiare la moglie, il padre di diseredare il figliuolo; nelle assemblee notificano prossimo il partito, che torrà la reputazione al popolo, o spegnerà la libertà del paese. Nudriti di disprezzo trasudano malignità da tutti i pori del corpo. Tito, passate ventiquattro ore senza avere beneficato persona ebbe ad esclamare _ho perduto un giorno_! questi non lo diranno, ma sentiranno averlo perduto se nel medesimo periodo di tempo non mettono alla disperazione ventiquattro povere anime. Dopo lui si mostrarono due faccie pecorili come si trovano in maggioranza per tutti i municipii, che paiono destinati ad ospitarle a mo' dei presepii i bovi; facce stupide, facce grulle le quali, se la demenza possedesse case da affittare ai matti, metterebbe sopra le porte pei _appigionasi_. Costoro entrarono e soffermatisi al cospetto del generale attonito per simile novità, il caporione che dalla servile domestichezza e dalla paurosa petulanza dimostrò appartenere alla razza degli azzeccagarbugli, vergogna del fòro e peste delle città, squadernato un foglio leggeva: — Eccellenza! I padri del comune Delle Vie, di Sartene, Scopamene, Garbini e generalmente di tutti gli altri della provincia della Rocca, essendo venuti in cognizione come V. E. sia decisa di sostenere la guerra contro le armi di S. M. cristianissima, hanno dovuto considerare come qualmente essi non trovino in questo il tornaconto loro e nè anche nel sottosopra il diritto. Non il diritto, perchè non una, ma parecchie volte i Côrsi invocarono gli aiuti della Francia, onde non sembra ben fatto rifiutarli adesso, che ce li profferiscono; non l'interesse.... — Concludete, chè il tempo e la pazienza mi mancano di sentirvi leggere cotesta filastrocca; che volete da me? L'oratore piegò il foglio, se lo ripose in tasca e disse: — I comuni della provincia della Rocca, protestando il dovuto rispetto alle virtù di V. E., dichiarano, che innanzi tratto le raccomandano di cessare le ostilità, e di gettarsi, com'essi fanno nelle braccia di S. M. cristianissima; caso mai, che V. E. per sostenere il punto, o per qualche suo particolare interesse s'incaponisse a tirare avanti la guerra, allora la supplicano a uscire dalla provincia per non renderla immeritevole della grazia di S. M. cristianissima; di più conoscendo a prova l'amore, che l'E. V. ha portato sempre ai grami Côrsi, e porti, umilmente implorano che dove prescelga (che sarebbe il meglio) di abbandonare l'isola, si astenga imbarcarsi a Sartene, non mancando nella costa orientale golfi e cale assai più adattati, che non è il porticciuolo. [Illustrazione: PASQUALE PAOLI] Il generale fu visto impallidire: ma fu un momento; poi rilevò maestoso la persona sicchè parve ingrandito, e con voce forte rispose: — Non io venni spontaneo come il barone Teodoro di Newhoff chiedendovi per compenso di poco soccorso il regno; chiamato obbedii alla voce della Patria la quale in dieci, in venti consulte mi commise difendessi la sua libertà; e questo ho fatto con la fede di cittadino e di cristiano. Separare adesso la causa mia dalla vostra, fingere privata querela ciò che i nostri avi sostennero, è viltà. — Dite piuttosto, che renunziate alla eredità dei vostri maggiori; dite, che rinnegate quarant'anni di martirii, di sangue, di gesti gloriosi e di sciagure: dite che vi venne in fastidio la libertà, che vi piacque farne danari, come di cosa che non si usa più... questo dite, chè la menzogna aumenta la infamia e non può giovarvi in nulla. In premio dell'opera voi mi date l'esilio, e certo pensando alla inopia che mi aspetta in terra straniera, al tedio continuo e alla mancanza di ogni consolazione, dovrei affliggermi molto per me se il presagio della miseria a cui siete riservati, e al disprezzo di voi stessi, ultima sciagura! non mi togliesse al senso dei miei mali per desolarmi con ogni fibra del mio cuore per voi. Ah! avessi potuto lasciarvi miseri, non avviliti; la speranza avrebbe potuto ricondurre un'altra aurora per tutti. Se la bandiera côrsa strappata da mani repugnanti fosse caduta sul campo di battaglia, la Immacolata che vi sta dipinta sopra avrebbe raccolto il sangue sparso per la Patria e portato al trono dello Eterno implorando vendetta per lui; ma adesso di che volete ella supplichi Dio per voi? La viltà si detesta così in cielo come in terra: disertata dalla Beata Vergine, ecco la vostra bandiera diventò tutta bianca, potete usarne come _mandilo_ per asciugarvi le lacrime, potete servirvene come lenzuolo per involtarci dentro la patria, perchè la patria è morta; ella va a raggiungere dentro i sepolcri i suoi figliuoli, i suoi veri e legittimi figliuoli che hanno combattuto, e sono morti per lei; _finis_, (e qui prese con ambe le mani la carta geografica della isola che gli stava davanti, sbarrò le braccia e fecene due pezzi, aggiungendo con voce tremante) _finis Corsicae_. Poi con un gesto ineffabile di disprezzo e d'imperio comandò agli odiosi oratori gli sgombrassero davanti. Se ne andarono l'avoltoio e i pecori municipali, i quali usciti all'aperto, il primo disse agli altri: — Ringraziamo Dio, la è ita a finire meglio ch'io non pensava; ad ogni momento io temevo, che dato di piglio al bastone non ce ne avesse amministrato un carpiccio delle buone. E gli altri due, tuttochè pecori comunali, risposero: — Magari! che con un po' di tempo e qualche empiastro si poteva guarire, ma egli ci ha battuto il cuore, e a questo noi non potremo trovare rimedio mai. Sul fare della notte secretissimi messi partirono portatori di lettere ai comandanti delle milizie a Mezzana, al ponte di Peri, al fiuminale di Celavo, ai boschi del Verde in Fiumorbo, colle quali s'ingiugneva cessata ogni resistenza tornassero di quieto a casa nascondendo le armi in luogo sicuro per ripigliarle in migliore occasione: per ora impossibile tenere fronte al nemico: non clamori, non minaccie; si conservassero a fortune migliori. Giunse a tutti oltre ogni estimativa amaro cotesto ordine, come quelli a cui, ignorando la diserzione dei compagni, pareva poter resistere con vantaggio; celarono le armi per grotte montane, taluni vollero portarle seco loro, e male gliene incolse; prima però accesero i fuochi anco sopra il consueto, perchè il nemico accorto del partirsi che facevano non si fosse mosso a perseguitarli. Alla mattina le sentinelle avanzate dei Francesi non udendo i soliti rumori, nè per quanto aguzzassero la vista vedendo comparire persona, si attentarono trascorrere più oltre e conobbero i Côrsi avere abbandonato il campo: ciò riferirono subito ai superiori, che sospettosi d'insidie dettero il comando di moversi, ma adoperandovi tutte le precauzioni costumate dai cautissimi capitani quando si inoltrano in paese doloso. — Dopo due o tre miglia, ebbero a persuadersi che i Côrsi erano affatto scomparsi, e facilmente attribuirono il caso alla gran paura che avessero preso di loro; essi che stremi di viveri già avevano incominciato a parlare di resa per non rimanere morti di fame nel fiuminale di Celavo! — Allora non contenti di essere così per miracolo liberati e nè manco di vincere a man salva, parve loro non avere fatto nulla se non riuscivano a mettere le ugne addosso al generale Paoli: lui bramavano, lui spasimanti agognavano per rendere più splendido il trionfo a Parigi di cinquantamila Francesi gente cappata, sopra poche migliaia di Côrsi mal vestiti e peggio armati. Senza ostentazione e con modi semplici secondo la sua natura gli dettava, il Paoli chiamati gli ultimi compagni della sua fortuna, disse loro: — Amici miei, i Francesi cercano di me ed io non credo giusto invilupparvi nelle mie venture; fate una cosa, tornatevene in famiglia ed anco voi cedete a tempo per conservarvi a sorti migliori. Ma gli altri torvi risposero: — Che vi abbiamo fatto per meritarci questo oltraggio? Noi saremo con voi in vita e in morte: voi padre, voi madre, voi moglie, voi figliuoli, voi tutto. Il Paoli si strinse gli occhi con la mano, e ce la tenne un pezzo; poi a strappi soggiunse: — Vi domando perdono. Partiamo. Fatto gomitolo si avviarono pei gioghi di Bavella, e quando scopersero il mare sostarono per vedere se sopra il lontano orizzonte si scoprisse qualche naviglio con la prua rivolta a coteste sponde; non nube in cielo, non vela in mare, l'uno e l'altro deserto nella magnificenza dello azzurro sterminato. Allora ristrettisi a consiglio determinarono sbandarsi sì per procacciarsi alla spicciolata il vivere per cotesti luoghi montani, sì per isfuggire più facilmente alle ricerche del nemico; e convennero altresì, che quale primo scorgesse qualche bastimento ne avrebbe porto avviso ai compagni, se di giorno con tre fumate, se di notte con tre vampe, coll'intervallo di un quarto di ora di uno dall'altro, affinchè potessero esserne avvisati tutti e accorrere alla posta. E bene incolse loro il partito preso, imperciocchè indi a pochi giorni comparvero stracorridori Francesi i quali si dettero a frugare di qua e di là come bracchi alla campagna: ventura fu che le compagnie côrse agli stipendii del nemico venissero adoperate a battere i boschi di foce di Verde e di foce di Vizzavona che giudicarono più atte a' nascondigli, però che altramente non sarebbe stato lieve fuggire; pure parecchie notti il Paoli ebbe a passare dentro tane da volpi, di cui l'apertura copersero con pruni intralciati a piante selvatiche, da allontanare qualunque sospetto; ed una volta, narra la fama, che la passò a cavalcione su di una sughera nascosto dalla spessa fronda di quella; intantochè una squadra di Francesi sdraiati a piè dell'albero andavano trattenendosi fra loro del guadagno che ne sarebbe loro toccato se lo avessero preso e degli onori (giudicavano a quei tempi i Francesi degno del rimerito di onori agguantare a mo' di facinoroso un difensore della patria libertà), come pure degli strazii che avrebbero fatto a quel brigante del Paoli traendolo incatenato traverso la Francia. Il Paoli però la più parte della notte passava in compagnia di Altobello e di Nasone lungo la spiaggia a speculare se qualche legno giungesse; la notte del 12 giugno prima assai che il sole cascasse dietro ai monti si era levato uno scilocco fresco, che in breve ora aveva sommosso la superficie delle acque; per quanto l'occhio si spingeva lontano si vedevano miriadi di ondate spumanti simili a cavalli bianchi sfidati a gara di corsa verso la riva; parecchi di questi ad occhi meno esercitati avrebbero potuto parere vele, ma quelli del Paoli e dello Alando non si potevano ingannare; e poi non dirò la sfiducia, ma un senso di avversità si era per modo insignorito della loro mente, che non si avventuravano a credere le cose prospere se non si manifestavano certissime. Pure non seppero lasciare il lido finchè non sorse alta la notte; allora Altobello rompendo primo il silenzio, favellò: — Signor generale, parmi, che sarebbe bene andarcene; quest'aria non è sana, e col vento che tira, non pare verosimile che sia per approdare veruna nave alla spiaggia. — Vi ringrazio, Altobello, perchè questo fiotto di onde che si rompono sul lido mi sonava come il pianto delle migliaia degli eroi defunti venuti a lamentare la rovina della Patria. L'anima mia ne rimaneva inebbriata di amarezza, e non sapeva staccarsene. Voi avete rotto l'incanto: andiamo. Lenti, silenziosi ripresero la via lungo la costiera che ha davanti a sè gli scogli di Facina e delle Capricaglie: di un tratto parve loro squittire Nasone, ma non ci porsero troppa avvertenza perchè appunto in quel momento Altobello quasi rammaricandosi, esclamasse: — Gran che! manco una vela: gli amici si sono proprio dimenticati di noi? — Figlio mio, nel pellegrinaggio che imprende la sventura talora ho veduto accompagnarsele la pietà, di rado l'amicizia. — Voi avete calunniato una virtù come Bruto a Filippi le calunniò tutte... — Fu sentita una voce, che al Paoli parve, e veramente era quella del signor Giacomo Boswell, il quale spietatamente soggiunse: — e salvo vostro onore, con maggior biasimo di lui, perchè egli era pagano, mentre voi siete cristiano. — Signor Giacomo! E il signor Giacomo lo abbracciò con tutta la tenerezza di cui si sentiva capace; ma siccome l'ossatura, per così dire, della sua anima andava composta alla rettitudine, continuò: — E con tanto maggior biasimo, perchè oltre l'astratto voi oltraggiaste immeritamente il concreto, dacchè qui meco sono il capitano Angiolo Franceschi e Achille Murati, e il vostro parente Antonleonardo Belgodere. Il Paoli tacque, sia perchè, parlando, sentiva avrebbe aggravato i suoi torti, sia perchè la gioia l'opprimeva, tanto più intesa quanto più inaspettata. Calmati i primi affetti il signor Boswell espose in brevi accenti il governo di S. M. Britannica comecchè la impresa côrsa stimasse la più giusta del mondo, e il Paoli, che la sosteneva, mettesse in paradiso con tutte le sue simpatie (fino da quei tempi gl'Inglesi prodigavano le simpatie, specie d'indulgenze politiche imitate dalle indulgenze sacerdotali di Roma), pure non ci trovando per quel quarto di ora il suo conto, non gli mandava nè uno schioppo nè uno scudo: gli amici della libertà avere noleggiato due navi, ed empitele di munizioni, avviate nel Mediterraneo: avvertito della rovina delle cose di Corsica egli sbarcò a Livorno le munizioni, richiamò da Oneglia i Côrsi che vi stavano rifugiati dopo la occupazione del Capocorso; ad una nave prepose il capitano Angiolo, al comando dell'altra mantenne il capitano Smittoy, persona da farcisi sopra capitale: difficile l'approdo perchè l'isola perlustrata intorno intorno da un nugolo di sciabecchi corseggianti di certo per agguantare il generale. I capitani dopo avere veleggiato più giorni senza potere approdare a cagione dello avvertito ostacolo, essersi prevalsi della _buriana_ di cotesta sera per accostarsi, e averlo fatto: però il tempo non patire indugio, che le àncore adesso a mala pena tenevano, e per poco rinforzasse il vento e' gli avrebbe spinti a rompersi sul lido. Posero subito mano alle stiappe e alle frasche, e accesero la fiamma: prima che si accendesse la seconda quasi tutti convennero: non ci fu mestieri accendere la terza. La storia rammenta il nome di alcuni generosi i quali con forte petto anteposero gli affanni dello esilio alla servitù; a me parrebbe, e voglio sperare che sembri anco altrui, sacrilegio tacerne; dolendomi non avere potuto rinvenire il nome degli altri. Di qui taluno toglie argomento di proverbiare la gloria, come quella che procede a ghiribizzi peggio della fortuna, questo senza perchè levando in alto, quello senza perchè tuffando in Lete; noi caviamone all'opposto il conforto, che oltre questa via dove sono eterni i premi, e li dispensa chi tutto vede, ed è fonte di giustizia, nessuno rimarrà senza il meritato guiderdone. A noi mortali pare una gran cosa questa del sonare un tempo in venti secoli o trenta; ma che sono mai i secoli di fronte all'eternità? Sassi gettati dentro un abisso noi gli sentiamo urtare rimbalzando sopra a quattro roccie o sei, e poi silenzio. Il mio regno non è di questo mondo ha detto Gesù Cristo, così ai laici che lo intendono poco come ai preti che lo vogliono intendere anco meno. I seguaci di Pasquale Paoli furono il suo fratello Clemente, Antongiulio Serpentini, Giancarlo Saliceti, Nicodemo Pasqualini, il conte Gentili, Giovanfrancesco Giafferi, Pietro Colle, Francesco Pietri, Masseria, Giacomofilippo Gafforio, Carlo Raffaelli, Francesco Petrignani; gli altri rammentati sopra, e trecento più tra uffiziali, preti, frati e soldati. Raccolti insieme presero a deliberare come si avessero a distribuire sopra le navi condotte dal generoso inglese e assai di leggieri vennero nella sentenza che per metà si spartissero sopra ognuna delle navi; ma il signor Boswell impetrato silenzio tirò da prima una presa di tabacco, poi disse: — Bene, io aveva previsto ma per mio avviso sarebbe un partito pessimo, e lo provo. Qui presso costeggiano parecchi sciabecchi di S. M. cristianissima per darci la caccia: è molto probabile che non rispetteranno la bandiera di S. M. britannica, perchè conoscono che non si romperà la guerra per una nave visitata contro le regole; scriveranno da una parte e dall'altra due risme di carta, sciuperanno dieci libbre di cera di Spagna e faranno come la nebbia che lascia il tempo come lo trova. Benissimo: ora divisi sopra sopra due navi, veruna di questa si troverà equipaggiata in guisa da resistere ad uno sciabecco francese, caso mai volesse usare prepotenza; e lo faranno, perchè nella composizione di questi Francesi che Dio danni, ci entra carne, ossa e prepotenza. Bene; dunque una delle navi bisogna si salvi per forza, l'altra per astuzia: ora voi tutti imbarcatevi sopra la nave del nostro bravo capitano Angiolo, e se vi si para davanti qualche sciabecco francese mandatelo a picco; ai pesci piacciono molto i Francesi per cena. Benissimo; io piglierò su la mia nave il signor Paoli e vi prometto sopra la mia anima di condurvelo sano e salvo a Livorno; in qual modo non domandate; ciò è mio segreto; questo vi basti che visitata o no la nave non ci starà meno sicuro il nostro amico. Bene, molto bene, benissimo. Come il signor Giacomo consigliò, essi fecero; quantunque di malavoglia i Côrsi dettero spesa al cervello e acconsentirono: più difficile era persuadere Nasone, per la qual cosa il Paoli pregò Altobello che lo recasse in disparte, raccomandandoglielo con parole caldissime, e aggiungendo: — Addio non vi do, perchè ci rivedremo domani o domani l'altro a Livorno; affido a voi quel mio povero Nasone. — Vivrà o morirà con me: quanto allo addio, datemelo signor Pasquale, e un bacio; sono tanti i casi... voi lo sapete. E così dicendo gli si gettò nelle braccia baciandolo con immensa passione. Il Paoli agitato da molti pensieri non pose mente a cotesta smania, la quale gli sarebbe parsa soverchia per momentanea separazione, onde un po' così alla leggera gli disse: — Animo! Altobello, ci rivedremo in breve, e un giorno, spero, ci sentiremo felici. — Oh! anch'io lo spero, e per non separarci mai più — e si allontanò turandosi con ambedue le mani la bocca per non prorompere in singhiozzi. Le navi ebbero diversa fortuna. Quella guidata dal capitano Angiolo o perchè fosse più carica o per altra ragione, non potè durante la notte staccarsi molto dalla spiaggia. La mattina quando sorse il sole si videro davanti la Corsica tutta smagliante pei raggi del pianeta emerso dalle acque tirrene proprio di faccia a lei, sicchè pareva una Madonna vestita della pienezza della sua gloria. Metteva al cuore pietà infinita vedere tutta quella gente ammonticchiata a poppa con le mani tese in varii atteggiamenti verso la terra natale, mentre le lagrime si versavano dagli occhi sopra coteste faccie riarse, come acqua traboccante da un vaso troppo pieno. Invano il capitano Angiolo bociava, che mettendo a quel modo tutto il peso da un lato la nave non poteva fare cammino; non gli davano retta, e la sua voce di quando in quando gli restava chiusa nella gola. All'improvviso si udì il suono della cetera côrsa; e le anime dei circostanti tremarono. Perchè i popoli massime meridionali confidano le gioie, le glorie ed i dolori all'armonia? Certamente perchè dentro di noi fu posta l'armonia come l'anima. Questa uscendo dai petti mortali vola a Dio, quella al cielo dove ha sede perenne; sicchè gli uomini, commettendo i loro messaggi alle ale dell'armonia, sperano e non isperano invano, che fedelmente e celeremente saranno ricapitati al cospetto del Creatore. Cotesti furono suoni pieni di dolce mestizia, ma quando vi si accompagnò il canto, il capitano Angiolo non potè reggersi in piedi; si pose a sedere su la tolda, rannicchiò le ginocchia, se le strinse con le braccia e dopo averci nascosta la faccia, pianse. Il canto fu questo: avrei desiderato metterlo in rima e mi ci provai come feci pel vocero di Lella Campana, ma io ebbi sempre in uggia le rime e i giandarmi, perchè le prime menavano il pensiero ed i secondi il corpo dove nè il pensiero nè il corpo volevano andare: i miei lettori saranno contenti, che io ne riporti loro il concetto in prosa e credo ci guadagneremo tutti e due. Il canto dunque diceva così; § 1. — Mia madre talora mi ha sgridato e mio padre qualche volta mi ha percosso: ma tu, o Patria, sia che da te mi partissi, ovvero a te ritornassi, mi hai sempre riso. Mia madre mi ninnò dentro la culla cantando, ma io piangendo le recitai il _Miserere_ sopra la fossa. Mio padre mi addestrò le mani ai primi tiri, ma io quando la morte lo chiamò gli composi sul petto in croce le sue prima di chiuderlo dentro la cassa. Tu poi o Patria, appena uscito al mondo mi consolasti con la luce e col calore: vivo mi nutrisci col tuo seno e nel tuo seno sazio di giorni mi raccoglierai. Perpetua madre, tu non ti stacchi in verun tempo i tuoi figliuoli dalle braccia: tu doni sempre e non ricevi mai. — Benedetta la Patria! § 2. — Bella la patria mia! Tu in grembo al mare rassembri quasi un mazzo di fiori messo in fresco dentro un vaso di cristallo. Satana stesso passandoti allato, nel contemplarti tanto divina per forza di amore, ti ebbe a salutare come l'Arcangelo fece a Maria: Ave Italia piena di grazia! furono udite dire le labbra del diavolo; ma lo straniero è venuto, ha visto le magnificenze del tuo valore, la gloria delle tue antiche libertà, e la vipera dell'astio gli morse il cuore: allora egli adattò sopra il suo arco due strali: con uno, che gli dette Giuda, ti ferì l'ala destra; con l'altro, che gli porse Attila, sotto l'ala sinistra. O nobile falco pellegrino, ecco tu giravi in terra e del tuo sangue è rossa l'aria, intantochè un grido corse di valle in valle pei tuoi casolari; la Patria è spenta! — Lo straniero si ammanisce a strapparti ingegno, libertà, figliuoli e favella e memoria, come il cacciatore costuma con le penne dello uccello poichè lo ha morto. — Maledetto lo straniero! § 3. — Oh! nò, la Patria non è spenta ancora. Che cosa vuoi per riaverti, o Patria? Il nostro sangue? Gli è poca cosa; l'uomo sparnazza questo liquore delle sue vene peggio del liquore della vite. Vuoi la nostra vita? La è poca cosa; ella quotidianamente si disperde come spuma di cavallone rotto, sopra la costiera della morte. Vuoi la nostra fama? Ella è poca cosa; fumo d'incenso, che il fuoco abbruciando consuma. Noi ti daremo anco l'anima quando pure dandola a te la togliessimo a Dio, ma questa la è una stolta parola; Dio e la patria sono una cosa sola. — Benedetta la Patria! § 4. — Vuoi tu sapere dove sia la reggia dello straniero? Quando cominci a vedere costole e stinchi rotti, di': io sono sulla via che mena alla reggia dello straniero. Quando ti occorreranno cumuli di teschi come davanti l'apertura dell'antro di Polifemo, fermati: cotesta è la reggia dello straniero. Vuoi ammirare il tempio delle glorie dello straniero? Eccolo là; riconoscilo ai trofei di donne appese, di vecchi lacerati, d'infanti percossi alle pareti. Vuoi sapere che cosa semini tra i Côrsi lo straniero? L'odio e la morte. Quello che egli vendemmia e che miete? Maledizione e sangue. Vuoi tu leggere la storia dello straniero? Ecco, ei la stampa dove passa con caratteri di fuoco e di rapina. — Guardate le mura fumanti dei paesi del Niolo, ha detto lo straniero; noi le abbiamo guardate ed abbiamo gridato: — Maledetto lo straniero! § 5. — Ma benedetta la Patria! Benedetta nel cielo che la copre, esultanza nei giorni di gioia, consolazione in quelli della sventura Benedetta nel mare che la bagna; benedetta nelle nevi dei suoi monti e nell'erbe delle sue valli; benedetta nei suoi laghi e nei suoi rivi; benedetta nella eterna primavera, che la fa parere gemella con ogni alba che nasce; benedetta nel verde immortale dei suoi aranci, dei suoi mirti e dei suoi allori che le procaccia il titolo di sempre giovane. — Benedetta la Patria, benedetta! Fosse perchè tutti quelli che si trovavano a bordo così marinari come passeggieri, intenti al mesto addio, trascurassero il governo della nave, o fosse per altra cagione, essi piegarono a mano manca, onde non potendo più agguantare il vento si trovarono spinti fino in Sardegna; dopo parecchi giorni di navigazione travagliosa toccarono Portoferraio, e il 22 luglio approdarono a Livorno, termine del loro viaggio. La nave condotta dal capitano Smittoy al contrario bordeggiò a mano destra e le riuscì schivare il vento e il mare grossi; ma per compenso si trovò tra Capo Côrso e la Capraia, appunto dove il signor Giacomo incontrava altravolta gli sciabecchi, o poco discosto. La fortuna sovente si compiace con bizzarra insistenza rinnovare i medesimi casi; almeno in questa occasione accadde così; di punto in bianco si videro venire incontro di sopravento due sciabecchi armatori, di cui uno, vedesse o no la bandiera inglese, sparò il tiro che chiamava ad obbedienza: comecchè il capitano Smittoy ci patisse e attaccasse più _Dio mi danni_ che non occorrono santi nel calendario, pure in sequela dell'ordine del signor Boswell, calò il caicco in mare ed in compagnia di lui si recò a bordo dello sciabecco francese. Appena messo piede sul ponte, il signor Giacomo si trovò proprio davanti la faccia porporina del capitano Torpè di Rassagnac questi di porpora diventò pavonazzo come se gli balenasse sul volto un lampo di vino; l'altro rimase tranquillo, con la sua inalterabile aria di bontà, anzi schiuse le labbra ad un mezzo sorriso e sporse verso lui la scatola profferendogli tabacco; ma il capitano Rassagnac la respinse con un gesto che aveva imparato al teatro di corte, quando Ippolito rigetta Fedra, la quale gli esibì quello che gli esibì.... e l'altro non lo volle. — Ah! siete voi? finalmente balbuziendo proruppe il capitano Torpè. — Proprio io, ai vostri comandi. — A cui appartiene la nave? — A me. — A voi? E voi chi siete? — Ma, gentiluomo inglese e membro del Parlamento inglese, come potete chiarirvi esaminando queste carte. E la stava appunto come la diceva; sicchè il capitano rendendogliele soggiunse con molta amarezza: — Però non mi sembra azione da gentiluomo ingannare un ufficiale onorato ed esporlo a perdere la grazia del suo Re. — Bene: voi dite unicamente — soggiunse il Boswell pigliando tabacco con la sua aria più ingenua: onde il capitano Rassagnac stizzito esclamò: — Trono di Dio? e pare, che non si dica nè manco a voi. — Innanzi tratto, capitano, salvo vostro onore, mi permetto osservarvi, che a gentiluomo, suddito di S. M. cristianissima, a soldato, massime di mare, esposto ogni minuto a molteplici maniere di morte e tutte inopinate; non istà bene profferire bestemmie come fate voi. — Spero che vi rammenterete non correre adesso tempo di quaresima e ci risparmierete la predica. — Stava appunto per finirla, e poi intendeva aggiungere, che se la vostra memoria vi serve bene io, altro non dissi, nè di altro vi assicurai, ch'era vera del discorso del capitano côrso quella parte che spettava alla mia persona, e vera la mantengo. Tanto bastò alla mia coscienza e deve bastare alla discretezza vostra, sul rimanente avrei dovuto farvi la spia, e se voi siete uomo onorato, e la croce che vi vedo in petto mi persuade essere voi onoratissimo e valorosissimo, penso che non immaginerete manco per ombra ch'io potessi rendervi cotesto servizio. — Però quando si tratta dell'interesse del Re non si chiama fare la spia se riveliamo notizie in pro' dello stato. — Può darsi; materia ardua a districarsi, signor cavaliere, materia ardua; però pregovi considerare che io sono suddito di S. M. britannica. — È giusto, — riprese il cavaliere Rassagnac tutto addolcito, perchè quel buffo calido di lode aveva avuto possanza di far salire dieci gradi in su il mercurio nel termometro della sua buona grazia: — tuttavolta, soggiunse, mi permetterete ch'io possa visitare la vostra nave. — Sentite bene: come inglese io scerrei mille volte mandare per occhio la nave, che permettere di visitarla a voi se presumeste farlo con violenza: come amico e voglioso di compiacere vostra signoria, io vi pregherò di venire co' vostri ufficiali al mio bordo; molto più che mi corre l'obbligo di ricambiarvi le vostre finezze, e in questa occasione voi rovisterete a beneplacito ogni cosa. — È affare conchiuso. E si toccarono le mani. Andarono e misero sottosopra ogni cassa, ogni ripostiglio sul ponte e nelle stanze; nello entrare in dispensa si fermarono dinanzi due botti sopra una delle quali era scritto _rum_, sull'altra _porter_; sotto la cannella ad entrambe stava posto un boccale per impedire lo stillicidio imbrattasse il pavimento. — Adesso, incominciò il Boswell, è ragione che beviate alla salute del nostro re Giorgio, com'io bevvi a quella del vostro re Luigi: questo è liquore nazionale, e del meglio che si possa trovare; gustatelo e poi me ne direte le novità. E data volta alla chiave della cannella ne proruppe una maniera di minestra mora che levò nel bocale un flagello di schiuma rossiccia, ne superò gli orli e si precipitò di fuori allagando il tavolato: distribuito tosto il liquore nei bicchieri, lo ministrarono al capitano Rassagnac e ai suoi degni ufficiali. Non ci si poteva trovare eccezione; birra era e della perfetta, chiamata appunto _porter_ perchè a cagione della sua forza sogliono berla i facchini; i Francesi non assueti a cotesta dannata bevanda torcevano la bocca e strabuzzavano gli occhi come se avessero il diavolo in corpo pure sopportavano in pace cotesta cortese tortura, finchè il capitano Rassagnac con una specie di mugolio depose il bicchiere mezzo vuoto su la tavola, esclamando: — Ouf! Io non ne posso più; signore, non potremmo bere alla salute di S. M. britannica con altro liquore meno che con la birra, eccellentissima come inglese, ma che a noi altri che non abbiamo l'onore di essere sudditi di S. M. britannica scortica il palato? per esempio questo _rum_ farebbe il caso, ed osservo che si può considerare anch'egli inglese, perchè vi viene dalle vostre colonie. — Benissimo, come vi garba, signor cavaliere. E come dissero fecero: della birra non si tenne altramente discorso: del rum poi bevvero in tanta copia, che nè anco la metà di quella avrebbono trovato nella botte di birra, quantunque in apparenza più capace, imperciocchè il signor Boswell nella sua previdenza l'avesse fatta fabbricare col doppio fondo, e presso alla cannella contenesse circa un barile di birra della più gagliarda che avesse saputo rinvenire: ogni altra rimanenza era vuota, e aveva un coperchio che per via di congegni combaciava con le doghe, mentre uno dei cerchi di ferro ne nascondeva ai riguardanti le commettiture. Qui dentro stette celato Pasquale Paoli: il caso è sicuro, e tradizioni e ricordi manoscritti e stampati lo accertano del pari: merita non lo dimentichi la storia, affinchè per esso si comprenda come novanta anni fa avesse a scampare dalle mani dei Francesi l'uomo che sarebbe stato il Washington della Italia, se come lui avesse avuto non solo la libertà a difendere, ma un popolo altresì più numeroso sparso per terre sterminate, meno povero e tutto di un cuore. Nel primo capitolo di questa storia ho promesso far toccare con mano come circa un secolo addietro i miei concittadini Livornesi si mostrassero zelatori della libertà: adesso cade il luogo acconcio di mantenere la promessa. Riporto scritture, se non isciatte del tutto, almeno rozze; non importa; avvertesi al fatto, non al modo col quale lo raccontano. L'abate Giovacchino Cambiagi nel suo libro chiamato (Dio lo perdoni) storia, IV, pag. 209 scrive: «la nave poi che aveva a bordo il Generale era approdata a Livorno il 16. Siccome gli uomini di sommo merito sanno cattivarsi l'amore ancora di chi non li conosce, così il Paoli appena giunto a Livorno talmente trovò gli animi di quelli abitanti in favor suo prevenuti, che tanto mi sia permesso il dire non esigerebbe un nuovo sovrano dai suoi sudditi, correndo il popolo quali frenetici or qua ora là per dove doveva passare non mai saziandosi di vederlo, venendo acclamato dai più sensibili e ammirato dai più riflessivi e finalmente da altri compianto per la sua poca buona fortuna in questi ultimi incontri, avendo dato bastantemente a conoscere le di lui operazioni quanto aveva saputo adoperarsi per rendere libera e alta una nazione stata per lo addietro serva e ignorante.» Il buono abate aggiunge che lo accolse anco _benignamente_ S. A. R. Pietro Leopoldo, il quale _generosamente_ concesse agli esuli côrsi asilo nei suoi _felicissimi_ Stati, a patto però che Pasquale lasciasse loro un _assegnamento_ per mantenersi _onestamente_. Il che suona che il Granduca non gli mandò via purchè si facessero le spese co' proprii danari: la qual cosa se non arriva alla carità di Don Tubero che biasciava lo zucchero agli ammalati, ci corre poco. Ma a quei tempi i principi, quando non portavano via, parevano donare. Il Paoli fece come ordinò l'ottimo principe, lasciando il fratello Clemente ad amministrare le relique della fortuna pubblica; e questi per assottigliare le spese si ridusse a vivere nel monastero di Vallombrosa compiacendo alla sua severa natura: gli altri Côrsi per la medesima causa si sparsero nei piccoli castelli della Toscana. Come vi stessero, quali memorie vi lasciassero si ricava dal libro di un altro abate chiamato Francesco Ottavio Renuccini: egli nel libro V del tomo I della sua Storia (Dio perdoni anco lui) di Corsica, narrando come Pasquale Paoli dopo lunghi anni di esilio ritornasse in patria, ci chiarisce; «come buon numero di Toscani, che trovandosi a Bastia gli presentarno i loro omaggi appalesandogli in nome della patria la più _profonda_ venerazione, ringraziando nel tempo stesso gl'illustri esuli così per lo esempio delle virtù che avevano dato alla Toscana durante il loro soggiorno in quella. Paoli graziosamente rispose loro, e tra le altre cose disse: che la Corsica, non mai dimentica dello asilo accordato dalla Etruria ai suoi figliuoli, avrebbe riguardato sempre i Toscani come suoi concittadini ed anche con maggior predilezione». Ai giorni nostri i Toscani non lo avrebbero ringraziato di nulla, perchè delle virtù ne hanno da vendere, almeno così ci porgono i discorsi, gli scritti, i manifesti, gli avvisi, le leggi e i moniti delle pubbliche magistrature; la civiltà poi possiedono in copia maggiore che non l'Australia l'oro; onde ne fanno uno spreco che è una passione. Comunque ora ciò avvenga, mettiamo in sodo anco questa, che i Toscani novanta anni fa sentivano gratitudine a cui porgesse loro esempio imitabile di valore, e avevano la modestia di manifestarglielo. Il nostro Pasquale in compagnia del conte Gentili s'incamminò alla volta di Londra, togliendosi il carico di essere la provvidenza dei suoi compagni di esilio: passando in Germania lo vide e gli fe' vezzi Giuseppe II; dietro lo esempio del Sovrano grosso glieli fece tutta la varia gradazione dei principi alemanni, che salvo il rispetto, arieggiano assai alle canne di un organo dove la demenza prova le sue sinfonie pel di delle feste. [Illustrazione: .... e trasportatolo presso al procoio di Santa Colomba lo esponessero alla pubblica strada; perchè la gente lo stimasse il corpo di Altobello. (_Cap. IX._)] Allora correva l'andazzo fra i principi di dilettarsi della libertà come dei mostricini di bronzo che ai dì nostri usano tenere sopra le tavole per calca-lettere; certa volta parve loro si movesse e veramente si moveva; allora gl'invase una sconcia paura e corsero a pigliare le molle per agguantarla e buttarla sul fuoco come si costuma agli scorpioni: senonchè voltando le spalle essi se la trovarono addosso così ad un tratto gigante che col capo toccava il soffitto minacciando salire anche più in su: si attentarono mostrarle la porta perchè uscisse, ed ella mostrò loro la finestra perchè la saltassero; staremo a vedere come l'andrà finire, perchè per ora nè ella è salita dove voleva andare, nè i principi saltati dove li voleva scaraventare: staremo a vedere. Ora è di mestieri raccontare due fatti degni di commemorazione successi uno poco prima della partenza del Paoli, l'altro il giorno dopo. Comincierò dal primo: quando si sparse la fama del prossimo arrivo dei francesi a Corte i Côrsi che sapevano come quantunque un popolo butti in faccia ad altro popolo gli omicidi, le rapine e gli stupri, sull'entrare dentro terre vinte, pure in verità la batte tra il galeotto e il marinaio, eccetto gli Austriaci che in fatto di bestialità stanno in cima dalla scala senza dire al calcagno viemmi dietro, uomini e donne vecchi e fanciulli presero a fuggire alla rinfusa verso il Monterotondo. Lettore mio, per poco il cielo ti abbia largito immaginativa, fingi un monte altissimo perpetuamente incoronato di neve, orrido per selve e per dirupi di gioghi moltiplici, dove occorrono laghi e cascate di acqua, e in mezzo a questi orrori ti rappresenta una donna giovane di severa bellezza col grembo grave di crescente prole salire affannata di greppo in greppo sotto la sferza dei raggi solari; ella dissimula così la interna ambascia, che di tratto in tratto muove parole di conforto al suo compagno sbigottito; e qualche volta presa da pietà per la stanchezza di lui, ostentando forze che non ha, gli porge il braccio soccorrevole. Cotesta è Letizia Ramolina che porta in seno il castigo di Francia, l'uomo è Carlo Bonaparte, quell'avventato giovane che udimmo sul poggiolo di casa Gafforia favellare al popolo gagliarde parole. Ora, Lettore mio, non immaginare più nulla, bensì pensa come l'uomo per virtù propria condotto in alto, se è primo ad essere rischiarato dai raggi del sole e della gloria, per compensare si trova esposto a tutti gli strali di offesa e d'ingiuria che gl'indirizza il volgo senza nome, non però senz'astio, che vede rappresentata in lui una ingiustizia tanto più aborrita quanto meno facile a ripararsi; per la quale cosa tra molti e meritati biasimi contro Napoleone, fatto tiranno del mondo, i rigattieri delle sconcie parole ve ne mescolarono altre così turpi come bugiarde. Di vero in parecchi libri Napoleone trovasi infamato come figliuolo adulterino del conte di Marbeuf, ed è falso; la Letizia Ramolina era da sette mesi incinta di lui mentre si arrampicava sui gioghi di Monterotondo fuggendo l'ira francese. Carlo Bonaparte si mantenne fedele alla causa della libertà, anzi mordeva gli apostati, e condendo tuttavia il vezzo di aombrare gli eventi con le allegorie pastorali, ripigliò la Corsica della sua voltabilità con la canzone satirica: _Pastorella infida sei_; ma durò poco; povero e vanitoso di breve cesse ai tempi. I Francesi a cui stende la mano non rifiutano il tozzo, ed ei se l'ebbe: morì lungi della famiglia a Montepellier sempre male in arnese. Più tardi quando la destra della fortuna agguantò pei capelli Napoleone, il municipio di Montepellier propose erigergli uno sbardellato monumento composto delle statue della città di Montepellier, della religione e di altre parecchie; la città di Montepellier con una mano aveva da alzare il coperchio della tomba, e con l'altra additare la base dove si dovevano leggere le parole «esci dalla tomba; il tuo figliuolo ti leva alla immortalità». Napoleone allora console rispose: «non turbiamo la quiete ai defunti; alle ossa loro pace; anche mio nonno è morto e il mio bisnonno altresì; perchè dovrebbonsi essi trascurare? Ciò andrebbe per le lunghe. Se avessi perduto ieri mio padre, la cosa potrebbe andare che il mio dolore si manifestasse con qualche segno di onoranza: ma ora corrono venti anni dacchè è morto; il pubblico pertanto non ha parte in questo caso: non ne parliamo più.» Questo fatto dimostra tre cose almeno: che il pecorume municipale a un di presso in ogni tempo e dappertutto si rassomiglia; che Napoleone forse non volle al padre quel bene che portò sempre alla madre sua; per ultimo che l'adorazione di sè non era per anco in lui diventata tanta, che la troppa vampa dell'adulazione non gli facesse aggrinzare il naso: e in vero, non anco tolto il titolo di padrone assoluto, come Console la trinciava tuttavia di popolesco. L'altro fatto, che si congiunge dolorosamente al fine della nostra storia, merita di essere riportato proprio nel vero modo in che avvenne. — Domenico Leca, o da Leca, curato di Guagno, il giorno dopo la partenza di Pasquale Paoli, che fu il 14 giugno 1769, la mattina a mezzogiorno raccolto nella chiesa di Sovrinsù quanti erano rimasti di là dai monti fedeli fino alla morte alla causa della Libertà, celebrando la messa, quando fu sul punto di comunicarsi, lasciata l'ostia su la patena si volse agli assistenti e con piglio truce, così prese a parlare: — _Dilecti in Cristo fratres._ — «Quando i peccati degli uomini sforzano la bontà divina, Dio memore del patto non manda più il diluvio, bensì manda i tiranni. Ora a questi parrebbe quasi essere felici se Dio gli segnasse su la fronte della stimata di Caino; Caini senza segno ogni uomo può ucciderli senza incorrere nell'ira del Signore; ecco la paura e l'omicidio come due vipere mettono il nido nel cuore del tiranno; egli educa metà del genere umano negl'istinti del mastino, le dà denti, le dà collare di spunzoni e l'avventa contro l'altra metà; egli piglia il ferro, e fattene due parti, quella che tocca a lui foggia in arme da punta e da taglio per tormentare, e in ceppi per incatenare; l'altra che tocca al popolo lavora in vomeri e in badili, e gli dice: con questi arnesi apri la terra per seminarvi il grano per me ed anco per te, o seppellirvi i tuoi corpi; e non pertanto il terrore gli dura: allora chiama un sacerdote (non più sacerdote, che tale non rendono la veste e il rito, bensì l'anima conservata tempio degno della divinità) e gli sussurra dentro gli orecchi: mettimi a parte del cielo, ed io spartirò teco i beni della terra, circondami di spavento, distendi intorno a me l'inferno a modo di vallo come lo mettesti intorno a Dio; fammi terribile, sbigottisci le anime, e persuadile che sono parte di Dio, che egli mi impose con le sue sante mani sopra la terra, chi tocca me tocca lui; il medesimo fuoco immortale arderà chi ardisce levare non che altro un pensiero ostile contro la sua divinità e la mia. Il sacerdote non sapeva, o non volle rammentarsi delle parole del Redentore: Satana, è scritto che tu non mi tenterai. Strinsero insieme il patto, e quando il tiranno salì su l'altare, Dio lo disertò. — Ma la paura durava, se il tiranno vestiva la corazza la paura s'immetteva fra la sua carne e le piastre di ferro; nella notte sul letto solitario atterrito dai sogni stendeva la mano sotto il guanciale per tema di un ferro; paventò prima il ferro in mano al barbiere, e barba e capelli si fece accortare co' tizzi ardenti; gli mise ombra lo spillo della moglie, e orribile a dirsi! volle che ella si nudasse prima di entrare nella stanza del talamo: e nè anche questo bastando a quietare la febbre dell'apprensione, mandò per un dottore; voi sapete, o diletti fratelli in Cristo, come i dottori in ogni tempo abbiano sostenuto coi sofismi loro il tiranno; uno ne visse il quale richiesto dallo imperatore di giustificare in senato la strage del fratello, rispose: «è più facile commettere il fratricidio, che difenderlo[39]», e basta; dicono di tratto in tratto ve ne fosse degli altri buoni, e sarà; però tutti insieme e' si possono contare su le dita. Il tiranno dunque disse al dottore: io ti metterò a parte della mia potestà di uccidere e spogliare, a patto che tu la dimostri intangibile; il dottore scese agli accordi e scrisse: «il bene del consorzio umano volere, che si ubbidisse ai principi accettati col consenso espresso o tacito dei popoli (consenso tacito è la paura del boia); occorrendo certi casi (e li dicevano); stare nella comunanza dei sudditi il diritto di muovere rimostranze al Principe ed anco di bandirlo; ammazzarlo mai; il singolo in verun caso potere levare la voce e molto meno la mano, dacchè la volontà altrui non s'interpreta, e bisognerebbe ad uno ad uno farsi conferire il mandato. Chi opera altrimenti, il consorzio umano deve giudicarlo perturbatore dell'ordinato vivere civile, e degno così del supplizio in questa vita come d'infamia eterna nell'altra.» — Ipocriti! In qual modo potrebbero profferire siffatto consenso labbra sigillate dalla paura? Come andare in giro a raccogliere i voti l'uomo cacciato dai segugi del tiranno peggio che belva in bosco? In questo modo, come poterono, hanno creduto provedere alla propria sicurezza i tiranni; alla forza aperta contrappongo centuplice forza e ordinata; alla violenza segreta lo spavento religioso, il clamore dell'interesse, il sofisma dello intelletto pervertito o confuso; e nondimanco il pallore regna su la faccia dei re; e ciò che ormai non valgono ad ottenere giustizia o pietà, la paura vale. Nel naufragio del diritto, quando il tiranno aveva comune con l'uccello di rapina il nido su la rupe, l'istinto ladro, le voglie crudeli e gli artigli sanguinosi, la giustizia abitò le catacombe al pari dei discepoli di Cristo, e attese a difendere l'umanità. Sopra la terra di Vestfalia venne prima istituito il tribunale della santa Vema, segreto e terribile, che giudicava i delitti dei potenti e li puniva. Le medesime cause partoriscono naturalmente i medesimi effetti; la nostra forza fu infranta davanti a forza maggiore, il diritto è calpestato, i lamenti derisi, le acque dell'amarezza ci annegano. Che fare? Dileguarci nei sepolcri sarebbe il meglio; ma a i figli, alle donne, a tutti quelli insomma che per infermità o per natura si sentono pusillanimi, come provvederemo noi? Repugna l'animo nostro dal partito estremo adoperato dai Giudei quando Tito Vespasiano espugnò Gerusalemme; e non lo praticheremo noi. Costituiamoci a posta nostra Tribunale, invisibile tutela degli straziati, e vendicatori dei misfatti. Omai servire bisogna, tra noi e i Francesi Dio ha giudicato, e davanti a cui egli ci atterrava, forza è pur troppo che ci atterriamo noi, e se lo stato dei nostri non inaspriscono vivremo, e lasceremo che vivano: noi non pretenderemo, che nelle nostre piaghe infondano olio e vino come adoperò il Samaritano, ma nè anco patiremo, che ci stillino veleno. Se poi ci ridurranno alla disperazione noi cadremo improvvisi come il fulmine e terribile come lui. Ottenga allora la paura quello che non poterono procurarci la giustizia nè la misericordia: e veruno straniero commetta colpa senza tremare continuamente il vendicatore che lo colga. A me è parso che in questa guisa possiamo sempre benemeritare della Patria e della umanità; ci ho meditato sopra nella notte quando il silenzio e le tenebre schiudono la mente ai casti pensieri della tomba, ci meditai a piè degli altari: mi consigliai col mio angelo custode, implorai Dio che m'illuminasse, e non sentii niente che mi dissuadesse, anzi tutto mi confermò nel proponimento. Gli è molto facile, che la mala morte ci colga, ma io ho considerato che ogni setta, anco la più empia, ebbe martiri, la Patria, che pure si reputa nobilissima fra le religioni, non vanterà i suoi? Può darsi che il mondo ci chiami infami, ma a cui sprezza la morte, che importa il mondo? Dio che sente i nostri cuori ci darà premio o pena: ed io vi accerto, che ci aspetti il premio eterno in paradiso.» Così orava fervorosamente Domenico da Leca curato di Guagno: s'egli avesse ragione a me riesce arduo giudicare: questo ben so, che i Francesi ebbero torto, gli acerbi gastighi meritarono, e a questi più che ad altro furono debitori i Côrsi se la immane ferocia degli stranieri oppressori pigliò col tempo andatura più umana. Queste cose si rammentano non in odio dei Francesi, bensì della tirannide, che gli angioli stessi renderebbe demonii. Per fermo tu provi generosi gl'Inglesi, ed alacri soccorritori delle miserie altrui, pure coteste generosità e misericordia loro difettano di un certo tepido alito, che consolando blandisce; si sente sempre un braccio che dall'alto si stende al basso, un'anima che sa, senza menomare la copia della sua felicità, potertene far parte; insomma non è l'inglese il ricco epulone che lascia languire alla porta del suo palazzo Lazzaro affamato, bensì gli manda a ribocco i rilievi della mensa, forse anco qualche vivanda intatta; i Francesi poi ti aprono il penetrale domestico, ti mettono a parte della famiglia, ti accostano al proprio cuore e ti ravvivano, eglino, arguti nella beneficenza, arrivano a persuaderti essere la sventura, come l'ingegno, come il valore, e le altre nobili facoltà, pregio desiderabile della specie umana. La cavalleria nacque in Francia, e colà più che altrove fu educato questo fiore della barbarie, il quale propagandosi diventò la civiltà dei tempi moderni: ciò non pertanto i Francesi si comportarono in Corsica tali, che le belve più feroci non possono somministrare sufficiente paragone alla efferatezza di loro; e ciò per la ragione avvertita, che l'uomo messo su lo sdrucciolo del tiranno e del cagnotto, per quanta virtù possieda, forza è che diventi tormentatore. Quanto affermo suona grave, io lo comprendo ottimamente, e non lo avrei scritto se non fosse per rifrescare dinanzi agli occhi degli uomini una esperienza che troppo spesso li proviamo disposti a mettere in oblio, e per altra parte siccome senza buone autorità non sarebbe creduto, reputo obbligo chiarirlo con carte in mano. Incominciando dai generali, innanzi tratto pongo un frammento di lettera scritta da Napoleone Bonaparte ventiquatrenne, la quale Nicolò Tommaseo giudica per probità, per calore di eloquenza e per feroce ironia, degna di Gian Giacomo Rousseau. Questo frammento voltato in italiano, imperciocchè la lettera comparisca scritta in francese, suona così: «parte dei patrioti propugnando la libertà della patria periva, parte abbandonava proscritta la terra fatta ormai nido di tiranni, ma troppi più non erano morti, nè fuggivano e diventarono segno di ogni maniera persecuzioni. Coteste forti anime corrompere non si potevano, e dall'altro canto il dominio francese, se le non si sperdevano, non poteva attecchire. Ahimè! Questo partito fu troppo bene portato al compimento; taluni perirono vittime di accuse falsamente apposte: tali altri, traditi dalla ospitalità e dalla fiducia posta in uomini venduti, espiarono sopra i patiboli i sospiri e le lacrime sorpresi alla loro passione: molti ammonticchiati, dal Narbona Fritzlar nella torre di Tolone, avvelenati col cibo, tormentati dalle catene, oppressi dai bistrattamenti, vissero, vita affannosa, e furono distrutti da morte atrocemente lenta.» Che se si opporrà, che la età della bollente giovinezza, e la temperie della stagione (correndo in quel torno l'anno 1793) potevano partecipare colore esagerato alle scritture, e noi confermeremo la verità dello esposto con la sentenza di Giovan Carlo Gregorio, uomo maturo e grave magistrato, scritta sessanta anni dopo della lettera di Napoleone Buonaparte. Sul finire del libro per me ricordato, nella prefazione egli dichiara: «poi cominciò il governo dai servi tremanti, adulatori e ribaldi chiamato felice, ma la Consulta di Orezza del 1791 lo qualificò il più infame, il più esecrando di tutti i reggimenti! governo che durò lunga pezza, sopra del quale non hanno gli storici, come ne correva loro l'obbligo sacrosanto, disacerbato la ignominia amarissima che meritava, contenti di prorompere in vilipendii codardi contro la dominazione genovese, che dalla tomba ove giace, erano sicuri che non sarebbe più uscita a infierire contro i numerosi e sazievoli detrattori di lei» E questo si chiama scrivere bene col cervello e col cuore! Delle promesse di gravezze diminuite anzi renunziate non si parlò neppure; come suole aumentaronsi. Bene si parlò subito, che sarebbe messo a morte irremissibilmente qualunque fosse rinvenuto con le armi addosso, e poichè questo partito non approdava, poco dopo mandarono fuori ordini rigidissimi contro chi, possedendo armi, non le consegnasse al governo. Chi non piegava la cervice giurando fedeltà al re cacciavano per boschi e per pendici non altramente che belva si fosse: in vero ci adoperarono cani e cacciatori e questi la più parte côrsi: aizzando così fratello contro fratello, onde il misfatto di Caino, mercè le virtù dei Francesi cessando di comparire delitto, fu reputato quasi opera meritoria; più di 500 tra preti e frati di mala morte finirono: fu gloria non avere pietà, e vanto la frode sanguinosa. Racconta la storia, come parecchi, tra gli altri un Pace Vincenzini e varii uomini della famiglia Franchi essendosi arresi, per le persuasioni di Monsignore Guernès vescovo di Alearia, al Marbeuf che gli assicurò della vita, questi appena gli ebbe in mano, gl'incatenò e mandò in galera; e al vescovo a cui parendo incomportabile tanta enormezza se ne rammaricava, rispose: «di che guaite voi? La vita promisi e la vita hanno.» Al sacerdote Salvatore Stappanova fu promessa libera l'andata insieme col suo nepote, però che egli disperando, vecchio com'era, di mai più rivedere la Patria, fatto danaro di ogni sua sostanza s'imbarcò per a Livorno, ma appena allargatosi dalla costa un miglio, ecco abbrivarglisi addosso a voga arrancata due barche regie di cui la ciurma urlava: «ferma! ferma!» Lo imperterrito sacerdote, senza esitare nè manco un attimo, tolse a sè l'occasione della morte ignominiosa ed ai persecutori la causa scellerata del tradimento, imperciocchè legatosi il sacco dei danari al collo si precipitò nel mare gridando al nepote: «vienmi dietro!» e questi lo faceva, ma pietà insensata fosse, o piuttosto prodizione, lo tennero, ond'ei di lì a poco col laccio fu tolto di vita. Lo dico lo taccio? Lo dirò pure in conferma, che gli Urban e gli Haynau non sono mica bestie esclusivamente austriache, bensì comuni ad ogni popolo che imbestia nella oppressione di altro popolo. I Francesi messe le mani addosso ad un famoso bandito, il quale per lungo tempo aveva menato strage di loro, tanto furono acciecati dal furore, che non si tennero contenti prima che l'ebbero segato vivo. I Côrsi per non restare in debito di ferocia, preso un francese, mandarono a invitare i compagni di lui andassero a vederlo bruciare vivo: la crederono celia e non si resero alla posta: i Côrsi, che non celiavano, ci furono e vivo arsero il meschino. Certo mio maestro mi sgrida e forte per avere io in qualche parte affermato, che se le bestie avessero senso dei torti che vengono loro fatti quando si sentono paragonate con gli uomini, potrebbero sporgere querela d'ingiurie con buona speranza di ottenere ragione. Il mio maestro non sa quello che si dica, cosa che gli è come naturale; di fatti veruno nega all'uomo il volere, ed anco il potere d'inalzarsi sopra la sua creta accostandosi alle sostanze divine, ma ad un punto con questo volere e potere egli possiede facoltà di avvilirsi sotto le bestie; in lui ci è il verme, in lui ci è Dio, e troppo più spesso le nobili facoltà sue egli adopera pel secondo che pel primo intento. Così vero ciò, che non si lesse mai di un branco o vogli lupi, o vogli jene, i quali abbiano profferto le zanne e gli ugnoli loro a un lupo, o ad una jena incoronati, per istraziare altre bestie, massime della loro specie, mentre questo negli uomini tutto giorno accade; il lupo e la jena per istinto lacerano e per fame divorano, leccano non irridono il sangue, le membra strappate portansi nelle tane o quivi se ne pascono chete, di nascosto, brontolando al contrario se altri li disturbi, non ne menano vanto, non chiedono medaglie, non ne ottengono, croci nemmeno, benedizioni nè anco per ombra, non passa a loro pel capo di millantarsi sostegni del trono e dell'altare, per ultimo non hanno mai cantato il _Tedeum_. Tali e peggiori enormezze commisero gli Svizzeri a Napoli ministri della più atroce tirannide che da parecchi anni contristasse il mondo, se ne eccettui quella dell'Austria; tali e più inumani ne hanno commesso pur dianzi in servizio del prete cortese, padre dei fedeli, immagine vera di Cristo redentore venuto al mondo per sigillare col sangue il patto di fratellanza fra gli uomini. La Corsica ebbe a sostenere in quei giorni il tipo, per così dire, di perfezione ideale di uomo siffatto: costui, come altrove esposi, venne prima con Teodoro, e combattè crudelissimamente per la libertà, poi s'ingaggiò co' Francesi, ed anco più trucemente mise le mani nel sangue per la tirannide, gli fu patria la Lorena; due amori egli ebbe nel mondo: sangue e vino, nè metteva differenza o poca a versare dell'uno come dell'altro; la sua spada profferiva come il carnefice la mannaia; percoteva senza saperne la causa, nè si curava saperla; niente gli premeva conoscere chi avesse torto o ragione e nemmeno lo domandava; mascagno e maliziato partecipava della jena e della scimmia; come Margutte professore solenne di cose inique, le quali a lui sembravano, come diceva, una minestra senza sale, un'insalata senz'olio, se non le condiva con le sue facezie più strazianti delle sue medesime atrocità. Costui, avuta carta bianca dal governo di Francia, per ridurre la isola a devozione, la correva di su e di giù portando da per tutto la miseria, ma non gli bastava, che avrebbe voluto eziandio spargervi il terrore, e questo non gli riusciva; sovente qualcheduno dei suoi mancava alla chiamata, e se ne chiedeva ai paesani, nessuno lo aveva visto: finchè frugando qua e là lo trovavano sforacchiato da una palla, raramente da due, più spesso non trovavano nulla, chè la terra lo aveva coperto col suo mantello di zolla: talora qualche palla a costui portò via il cappello di capo, e una volta lo spallino: non passava sera che non sentisse fischiarsi intorno agli orecchi tre o quattro palle, che piacevolmente appellava zanzare côrse: da tutto questo comprese, che se non si levavano le armi di mano ai Côrsi non si veniva a capo di nulla, fermo in simile disegno, il quale per avventura era il più razionale di ogni altro, vi lascio figurare s'ei mettesse a tortura il cervello per pescare trovati capaci di farglielo conseguire: sopraggiungeva in un paese alla sprovvista e notturno, e inondate le case di sgherri, rovistava ogni luogo per rinvenirci armi: niente era salvo dalle sue ricerche; rompeva muri, scassinava mobili, rivoltava il terreno e maritali letti sfondati e laceri lasciava in mezzo della stanza, e per mettere fine dirò che nè le gole dei camini, nè altre più immonde andavano esenti dalle sue investigazioni: costumò ancora occupare uno o più paesi e quivi prendere stanza campando con la sua gente a spese dei paesani, finchè non gli avessero portato le armi; e bene egli potè vedere l'ultimo pane di cotesto popolo, non già uno schioppo solo: mise in pratica anche questo altro spediente; entrato sopra una pieve minacciò disertarla col fuoco se non rendevano le armi, incominciando ad ardere gli olivi, le viti e ogni albero fruttifero sopra la decima parte del contado, e promettendo che ogni giorno avrebbe operato altrettanto su l'altro decimo se non gli consegnassero le armi, e i Côrsi videro con dolore inestimabile ridotti in cenere quegli olivi, testimonianza della benevola sollecitudine dei padri verso i figli, in cenere la vite sola capace ormai di portare un raggio di gajezza sopra il loro cuore contristato, e i frutti idonei ad addolcire alquanto le loro labbra amare: li videro ma non consegnarono uno schioppo. Di un tratto egli mutò registro a modo dei sonatori degli organi: a cui facesse la spia bandì avrebbe dato di grosse mance e poi perfino rimessione di ogni pena a quale spontaneo consegnasse l'arme, e tanto di danaro che valesse quattro volte il prezzo dell'arme consegnata, ed anco questo non gli valse. Merita particolare menzione quello che fece a Castirla ch'è paese di tratto non lungo discosto da Corte: il Sionville prese tempo per entrarci dentro, allorchè il popolo era in chiesa alla messa: circuita la parrocchia dai suoi sgherri, egli inosservato quatto quatto salì la scala che metteva al pulpito e quivi rannicchiandosi rimase senza farsi vedere, finchè il Pievano finita la messa si volta al popolo che benedicendo accommiata con le parole: _ite missa est_. Allora egli sbalza su ritto come un di quei diavoli di saltaleone scappano fuori dalle scatole di finto tabacco, e voltosi al popolo favellò: — Neh! dilettissimi, neh fratelli, avete a sapere, che io sono venuto a farvi la predica. E siccome i Côrsi scandalizzati da tanta profanazione mostravano volere uscire con segni manifesti di orrore, egli continuò. — Sicuro! bella come il Pievano io non ve la posso dire, ma siccome mi preme che la sentiate in fondo, così vi avverto, che quale si attenti uscire sarà ricacciato in chiesa a calci di fucile, sicchè disponetevi ad ascoltarmi con benevolo orecchio.» E questo a fè di Dio mi sembra un bellissimo esordio a cui i maestri di rettorica non hanno pensato dalle mille miglia. Sputò e ripigliò a ragionare. — Ora dunque voi avete a sapere, che ieri notte dormendo sul manco lato io mi sono fatto un sogno: mi pareva vedere la testa di Moro, che è la vostra impresa, con una bellissima corona reale in capo e la benda cavata dagli occhi, la quale prima mi rise mostrandomi da coteste sue labbra grosse due fila di denti, che sembravano fagioli bianchi e poi disse: «maresciallo, buona sera; tu vedi che io porto corona reale e fui sempre arme di regno, figurati se mi adattava di cuore a servire d'impresa ad un villano nato e sputato com'era quel coso di Pasquale Paoli! però della mia reverente fedeltà pel Cristianissimo tu non hai a dubitare, questa benda che i Côrsi mi avevano messo su gli occhi io me la sono levata per vedere i fatti così come vanno in servizio di S. M.; avendo pertanto esaminato con diligenza le faccende ho conosciuto, che nella pieve di Talcini, e precisamente nel paese di Castirla, ci vivano mucchi di briganti, che bisognerebbe ardere di un bel fuoco di pruni secchi, fa presto a visitarla che ci troverai armi, munizioni ed altri testimoni dell'odio implacabile che cotesti ribaldi portano al prediletto loro padrone e signore: Io; che credo ai sogni, ho dato retta alla testa di Moro, ed eccomi tra voi.» A queste parole quella povera gente sbigottita, consapevole come fosse stato dichiarato il possessore dell'armi reo di morte, con voci rotte si mise a gridare: — Signore maresciallo, credete per la Immacolata Santissima, che vi hanno ingannato, la è pretta calunnia messa fuori dai nostri nemici che ci vogliono condurre al macello: vi pigli carità di noi; noi non abbiamo fatto male a nessuno e fin qui fummo fedeli e vi promettiamo conservarci per lo avvenire obbedientissimi sudditi del nostro reale signore e padrone, come dite voi. — Zitti! riprese il Sionville, zitti! non urlate tutti assieme, che non siete mica colpevoli... taluni non accuso, ma altri stanno lì lì per ribellarsi, e ne sono sicuro; i primi facciano una cosa, si separino dagli altri raccogliendosi qui sotto il pulpito, e così sceverata la zizzania dal buon grano, vi lascio in pace... — Nessuno signor maresciallo, qui nessuno è reo, tornò a gridare con una sola voce il popolo presagio di guai. — Olà, zitti! voi mi avete fradicio. A questa toppa io proverò un'altra chiave. A voi, signor podestà, sbugiardate questi saracini, e ditemi su, quali sono le persone, che qui in Castirla congiurano contro la legittima autorità del re nostro sovrano, e la quiete della isola. — Io conosco il popolo di questo paese, rispose il podestà alquanto turbato, fedele e devoto; se avessi avuto odore, che ci si nascondessero armi, io mi sarei già dato premura di scoprirle e vi avrei tolto il disturbo di salire fin qua. Vivete tranquillo, signor maresciallo, io vi assicuro, che potete proprio contare sopra i sentimenti di fedeltà di questo popolo. — O sentiamo via, signor dottore, e come hanno ad essere secondo voi i sentimenti di fedeltà al sovrano? — Parmi agevole dirlo: il dovere del suddito sta nell'obbedire con anima volonterosa alle leggi, e amare e venerare il principe... — Così asciutto asciutto senz'altra giunta? — Che abbia a fare di più io non saprei, se vostra eccellenza non me lo insegna. — Sicuro, che ve lo insegnerò io, pezzo di somaro. Si ama il proprio sovrano davvero quando ci mostriamo disposti a fare per lui quanto gli può riuscire di servizio, invigilando i suoi nemici, spiandoli, rivelando ai magistrati le trame, le insidie e le intenzioni loro, non portando rispetto ad amici, a conterranei, a parenti, anzi nè anco a mariti, a genitori, a figliuoli, ributtarli di casa, non visitarli, non nudrirli, unirsi al reggimento provinciale côrso per isterminarli; ed anche non basta: bisogna ingegnarci a scoprire e denunciare al Governo le persone con le quali i sospetti mantengono usanza, quello che in generale si pensa, in quali luoghi, in quali case sogliono adunarsi e quando, e in quanti, se hanno armi, e dove le appiattino; se riesce, le portino via essi, se no vengano a farne il rapporto. Ricordinsi i buoni sudditi, che qualunque impegno di onore viene meno all'onore di servire il proprio sovrano, i beneficî non tengono, nè promesse, nè speranze, perchè veruno può beneficare più di lui, vincolo alcuno di tanto può reggere ch'egli non valga a sciogliere; desiderio che persona possieda più facoltà di lui di soddisfare. Questi obblighi crescono pei magistrati, ed anco per loro aumentano via via, che occupano ufficio più sublime. «Ai parrochi in particolare, e ai confessori in generale corre dovere di provocare le confessioni piene e circostanziate, e rivelarle, che non ci ha segreto che tenga, quando si tratta d'impedire che i malvagi arrechino danno a colui che dopo Dio, e come Dio, merita il profondo omaggio della reverenza vostra. Di fatti, credete voi, parrochi e confessori, di essere istituiti nell'interesse di Dio? Ma' mai lo credeste, vi fareste canzonare, imperciocchè egli non abbia punto bisogno di voi, l'occhio di Dio ti è sopra anche nella tenebra e vede di notte più dei gatti; il suo orecchio ti sta sul cuore e sente venir su i pensieri appena nati, anzi anco prima che nascano, _ergo_ Dio non ha bisogno di voi; i vostri occhi e i vostri orecchi o non sono buoni a nulla, o sono buoni in quanto gli mettete al servizio del re, ed ecco per qual modo un buon suddito senza taccia di temerarietà può sostenere di nutrire sentimenti di fedeltà verso il proprio sovrano. Il parroco, offeso nella sua religione e nella sua onestà da cotesti scempi discorsi, esclamò dall'altare: — Signor maresciallo, voi operereste assai meglio dando voi stesso lo esempio del timore di Dio, levandovi da un luogo che non vi spetta, e cessando discorsi pieni di scandalo. — Come pieni di scandalo? Oh! non lo ha detto San Paolo, che le podestà furono messe da Dio, e che va dannato chi le disobbedisce? Dunque, che vi ribolle? Lo so io da che nasce questo, egli è perchè voi siete Paolista, nemico del buon governo, dell'ordine, anche voi perturbatore della dignitosa tranquillità dei popoli, un commettimale, uno avversario della concordia; insomma un repubblicano, un parricida, e vi mettete in quattro per ricoprire le colpe di questi vostri briganti. — Io sono sacerdote e voi soldato, però non potendo, nè dovendo vendicarmi, badate, i vostri oltraggi fanno come le processioni; io vi attesto pel sangue di Gesù Cristo redentore, che tutti questi miei parrocchiani sono innocenti della colpa di cui gli accusate. — Ohibò! Non istà bene a un prete dire bugiarderie: e ve lo provo... — Siamo innocenti! urlava il popolo, siamo innocenti! Intanto il Sionville aveva staccato il Cristo dalle staffe dentro le quali lo collocano a manca del pulpito, e recatoselo accanto all'orecchio diceva: — Vien qua, dolce Gesù Cristo, signor mio, e bisbigliami dentro l'orecchio il nome dei traditori del re di questa terra, mostrando così che fra me e te siamo pane e cacio assai più che questi rinnegati non credono. Ormai quello che non aveva avuto la virtù di operare la propria salute operava l'amore della religione: la rabbia vinceva la paura, e già usciva dai petti anelanti la voce cupa e minacciosa furiera delle procelle umane: ogni uomo aveva adocchiato o candegliere, o scranna, o arnese altro qualunque, che il furore converte in arme, quando il Pievano, persona prudente, considerando che il nefandissimo atto non avrebbe menato a danno di persona, come colui ch'era consapevole non trovarsi armi nel paese, supplicò a mani giunte il popolo a quietarsi tanto, ch'egli avesse potuto parlare, la quale cosa avendo a stento ottenuta, egli disse: — Or via, finitela, e diteci quali voi accusate colpevoli. — Eccomi subito, e raccostato il Cristo all'orecchio disse: i rei che mi sono stati rivelati, quei che tengono armi nascoste nelle loro case sono: Filandro Vinciguerra ed Imperio Castineta ambedue di questo paese. — E qui presenti, soggiunse il Pievano additandoli e disposti, io penso, a somministrarvi tutte le giustificazioni che stimerete più convenevoli. — Sì, signore, risposero ad un tempo cotesti due onesti cittadini, la nostra coscienza non ci rimprovera delitti di veruna specie e sopra il santo evangelo possiamo giurare... [Illustrazione: ... accatastarono cadaveri umani, e in breve ebbero costruiti parapetti e trincee di carne umana. (_pag. 464_)] — È fiato perso, perchè per non farmi credere una cosa basta giurarmela; se sarete innocenti lo vedremo tra pochi minuti, e così dicendo scese dal pulpito. Venuto in chiesa egli barattò non so quali parole col podestà, spinse il Pievano in sagrestia e ce lo chiuse dentro: guai a lui se si attentasse uscire, lo avrebbe fatto portare a Corte legato come un Cristo, ci pensasse, poi aperte le porte della chiesa andò difilato alle case Imperio e Filandro; le scombussò, mise sossopra, fece il diavolo e peggio, e non trovava nulla; si mordeva allora lo sciagurato le labbra per la rabbia, davasi dei pugni nella fronte, un po' pregava Dio, un po' lo bestemmiava: mentre la sua smania cresceva al punto da rompere in convulsioni, ecco accostarsegli un uomo, che a guisa di bracco gli strisciò da lato e fuggì via: di un tratto si placò il furore del Sionville; che trapassando a gioia smoderata, si mise a sghignazzare, spiccò salti, battè forte le mani gridando: — Le ho trovate! le ho trovate! E seguito da tutti corse a certa stalla, che appartata dalla casa del Castineta e del Vinciguerra, possedevano in comune fra loro; quivi dopo poco rivoltare di paglia rinvennero tre o quattro schioppi rugginosi e in malo arnese, che non avrieno preso fuoco nè manco a metterli in forno. Il Sionville con fronte di bronzo, fingendo una grossissima collera, riprese a tempestare peggio di prima. — Briganti! Traditori! Mi aveva detto il giusto Gesù Cristo neh? Quando s'incomoda egli dal paradiso a fare la spia, credete che ci si metta per canzonare un pari mio? Incatenateli, a Corte, alla forca, _marche!_ Gli urli, i pianti, le disperazioni, ed anco le minacce potevano sul Sionville quanto il suono del mandolino sopra un lupo affamato: quei miseri furono carichi di catene e circuiti dagli sgherri, che a furia di armi contenevano appena il popolo, erano tratti a Corte. Partirono, e forse un miglio era il paese rimasto loro dietro le spalle, quando un ufficiale di età assai provetta mise il suo cavallo accanto a quello del Sionville, che cavalcava cantando in quilio certa sua canzone da taverna, e così gli disse: — Maresciallo, già siamo d'accordo, che non eseguirete mica sul serio la pena di morte sopra cotesti due poveri grami. — Non siamo d'accordo per niente, io gl'impiccherò bene e meglio appena arrivati a Corte. La fama, come suole, precorritrice delle tristi novelle (quella delle buone arriva sempre zoppicando) empì Corte del fatto del Sionville, onde gli animi se ne sgomentavano, e un pezzo stettero in dubbio di andare a vedere se fra i tratti a vituperio al supplizio vi fosse alcuno dei loro cari; alfine vinse la pietà, e s'incamminarono a incontrarli; prima di tutti fu vista Francesca Domenica, la quale allo accostarsi del carro sentì sfinirsi dentro e le convenne con ambedue le mani coprirsi gli occhi, ripreso cuore, separò un pocolino un dito dall'altro e per quel filo di luce agguardando le parve non distinguere il contorno della sembianza del suo povero figliuolo; allora risoluta buttò giù le mani, e vide che tra gli incatenati sul carro non era il suo figliuolo: pensando alla disperazione che l'avrebbe invasa se le compariva davanti la cara faccia, se ne tornava quasi lieta, quantunque altri affanni non meno strazianti l'aspettassero a casa. Chè quivi da parecchi giorni giaceva inferma Serena. Vi ricordate la giovane baliosa, la quale si mesceva tra i combattenti e si cimentava alle prove più perigliose? Ohimè, adesso quanto apparisce mutata da quella! Il suo cuore come arco troppo duramente teso si ruppe. Noi andiamo soggetti a due maniere di malattie, la prima maniera esterna nabissa il corpo, onde l'anima è costretta a uscirne come l'inquilino dalla casa aperta alle intemperie delle stagioni; la seconda muove dall'anima, la quale a guisa di pugnale troppo affilato, taglia il fodero; quelle sovente guariscono, queste non mai. Troppo cumolo di affetti si era precipitato su di lei: la strage paterna, l'atroce vendetta che ne seguitò, l'amore per Altobello, la sua prigionia, il caso di Mariano, il quale tanto non si potè celare, che qualche odore non ne arrivasse anco a lei, le acute trepidazioni per la vita che si era condotta a menare l'uomo da lei scelto a sposo, le vicende infortunate della guerra, la fuga del Paoli da lei riverito come secondo padre, i mali presenti, il presagio dei futuri, tutte queste passioni a troppo largo palpito avevano dilatato quel povero cuore, perch'egli avesse potuto durare senza sfiancarsi. Da prima l'assalse una quiete stanca, una mestizia assidua che la chiamavano al pianto; ora le pareva mancarle sotto i piedi la terra ed ora un ronzìo molesto le zufolava dentro le orecchie; di un tratto vide più soli, o il sole spezzarsi in milioni di faville che le ferivano gli occhi; un po' più tardi ad ogni subitaneo rumore, o di porta che sbatacchiasse, o di masserizia che cadesse, ella rabbrividiva battendo a verga tutte le fibre da capo a' piedi; le lacrime che avevano preso a versarsi non piante dagli occhi suoi, e anche gli sguardi si succedevano uno più lungamente lucido dell'altro a mo' di lampada presso a morire; la vita le fuggiva per tutti i sensi incessante, minuta come l'arena d'orologio a polvere: la voce sonava a mo' di strumento scordato, e il riso appariva su le sue labbra simile alla viola tra i fiori. Durante questo periodo della sua infermità, per attutire alquanto l'arsura che le avvampava le viscere, ella prese a vagare per la campagna ma i suoi piedi si voltavano sempre al camposanto dove al fianco; del padre assassinato dormiva l'omicida; qui stava ore e ore, e per tempo lunghissimo nel medesimo atteggiamento, sicchè di leggieri chi passava poteva supporla una statua sepolcrale; sopra tutto le piaceva considerare le spoglie della natura, che il verno soprastante le rapiva pari al conquistatore entrato in paese nemico, e sembrava consolarsene; un giorno la fermò una foglia la quale sola sul tronco si dibatteva al soffio gelato di novembre; dopo averla fissata un pezzo la staccò, e pian piano la depose su la terra dicendo: — Abbi pace anco tu in compagnia delle tue sorelle già secche; che giova contrastare al destino? Per le foglie e per gli uomini cascati non si rinnova la primavera. E sempre e più sempre crescendo in lei il talento delle cose lugubri, incominciò visitare gl'infermi e ad assisterli, senonchè migliorando essi cessava ella di andarli a trovare, tuttavia sovvenendoli con robe o con denari; se si aggravavano non gli lasciava più giorno nè notte; spiava i moti dell'agonia, le guise di esalare l'anima, e se la morte fosse scienza da impararsi, certo ella non ebbe scolare più diligente di Serena alle sue fiere lezioni. Quando il morto si trovava in là con gli anni, ella nel chiudergli le palpebre diceva: — Beato te! di cui gli affanni sono finiti. E se per lo contrario giovane, rendendogli il medesimo ufficio con pari affetto, esclamava: — Beato te: di cui i dolori non incominciarono mai. Quantunque il vento della fortuna avesse portato via parecchi amici della famiglia Alando, pure la reverenza vetusta e lo amore indomabile gliene aveva conservato qualcheduno; tra questi un vecchio dabbene, medico del luogo, il quale aveva veduta nascere Serena, e non sapeva darsi pace di averle a sopravvivere. Egli la visitava mattina e sera e le ordinava posasse l'animo, non si tribolasse con pensieri funesti; dopo il tempo cattivo venire il buono; Dio misericordioso avrebbe sentito pietà di tutti, massime di lei innocente come Gesù, pura quanto la Vergine Maria; con altre più cose che le anime afflitte non possono fare e che durando sono capaci a trapanare il granito nonchè il cuore umano; e poi la dieta di latte e i sughi di lichene e le altre cose che le si possono fare e si fanno, ma non giovano a nulla. Nè egli punto s'illudeva considerando alla inferma gli occhi diventare ogni giorno più acutamente fulgidi, quasi la Provvidenza li disponesse alla dignità delle visioni spirituali, e sul sommo delle guance infoscarsi il colore vermiglio, ultimo addio dell'astro della vita che tramonta; per la quale cosa ogni volta che Francesca Domenica l'accompagnava all'uscio interrogando come l'andrebbe a finire, e se ci fosse punto di speranza, egli sempre rispondeva: — Mia signora, i rimedii per coteste infermità gli speziali non tengono nei barattoli, bensì Dio nei tesori della sua misericordia; la gliela raccomandi a Dio nelle sue orazioni, signora Francesca Domenica, chè quella povera _tinta_ in coscienza lo merita. — Oh! davvero; ella è una santa; e par che il cielo la richiami a casa; ed anco voi, signor dottore, pregate per la mia cara figliuola... — Si figuri! Ma le orazioni di un vecchio peccatore, come sono io, credo che poco possano giovare ad un'anima benedetta come la sua: ad ogni modo non mancherò, signora Francesca Domenica, non mancherò... Francesca Domenica per non destare sospetti nell'animo di Serena, tornando a casa ebbe la precauzione di salire le scale, senza scarpe, ma le tornò inutile, imperciocchè appena questa la vide le disse: — Mamma, a questa ora dove siete stata? — Io?... Io?... — Ho sentito il rumore dei vostri passi fin giù su la strada... Perchè volete negarlo? Voi fate male, mamma, a non dirmi la verità... — Io non ho negato, Serena, nè sono usa a mentire; vi dirò, ma non vi turbate; era andata a vedere se caso mai fosse venuto Altobello, ovvero persona che me ne portasse le nuove... — Se lo confidavate a me non avreste sciupato i passi, perchè ho saputo qui che non è anche giunto, ma non tarderà ad arrivare. — E chi può averlo detto, figliuola mia? — Chi me lo ha detto? Veramente tale, che lo può sapere: dopo che siete uscita voi, una voce mi ha chiamato: Serena! Serena! — Io stava in forse di rispondere perchè non riconosceva la voce, e mi sembrava non averla mai udita, ma la voce replicò da capo: Serena! Serena! Allora mi sono fatta cuore, ed ho risposto: Chi è che mi chiama dalla parte di Dio? Sono io, mi ha risposto la voce, sono il tuo babbo, che vengo ad annunziarti, che ti aspetto in luogo di salute, ma prima di morire rivedrai il tuo sposo Altobello. Dopo ciò non ho sentito più voce, bensì le ha tenuto dietro lo _scuccolo_ con istridi così assordanti, che mi pareva proprio la nottola si fosse posata sul davanzale della finestra. Francesca Domenica tacque e pensò tremando al presagio di prossima morte, che i Côrsi reputano infallibile quando la voce dei defunti chiama gl'infermi, o piuttosto quando sembra a questi esserne chiamati; nè meno atterrì lo _scuccolo_, sfida di vendette che non avea cessato mai di perseguitarla, e da un pezzo in qua si faceva sentire più frequente di prima: certo le sembrava respirare un'aria pregna di sciagura. Adesso parliamo di Altobello: talvolta unito, talvolta separato dal piovano di Guagno aveva scorso in tutte le parti dell'isola rendendo a misura di carbone il male che i Francesi commettevano; senza dubbio il disegno loro non era andato del tutto fallito, imperciocchè, come avvertimmo, sebbene le persecuzioni durassero ardenti, tuttavia nella mente dei più speculativi era caduto il pensiero correre stagione che cotesto rigore cessasse o almeno si temperasse e si provvedesse alla pace con più miti consigli. Ho detto che le persecuzioni duravano ardenti come prima, ma in verità infierivano maggiori, e ciò perchè ogni moto in fondo è più veloce, e innanzi di comparire mansueti, i Francesi studiavano opprimere pienamente i banditi, sia per non mostrare di farlo per paura, sia per impedire che cotesto tizzo lasciato acceso non rinfocolasse. Cacciati di pieve in pieve i banditi si erano ridotti nei monti della Bavella e di Cagna, e per le boscaglie dell'Aitone e del Coscione traendo giorni pieni di patimenti e di pericoli: difficile, per non dire impossibile, diventato lo scendere ai paesi per procurarsi tanto che gli sostenesse in vita; e dopo essere calati, più di una volta ebbero a tornarsene con li zaini vuoti, perchè i paesani non possedessero bene di Dio da spartire con loro o perchè la paura delle asprissime pene minacciate li trattenesse da soccorrerli. Raccolsero quanto poterono castagne, cibarono corbezzole; che più? Non abborrirono dalle stesse ghiande; ma omai questo misero frutto mancava; arrivava il dicembre e il verno si metteva rigido oltre l'usato. Da qualche giorno tacevano, timorosi di accrescersi il peso dei mali partecipandoseli; da parecchio tempo stentavano, ora poi pativano di ogni necessità, trenta ore non avevano gustato cibo, e già in alcuno cominciava a farsi sentire la stiracchiatura convulsa allo stomaco preludio degli spasimi della fame, allorchè all'improvviso un mufflo, assicurato senza dubbio dal silenzio e dalla immobilità loro si avanzò in mezzo ad essi: parve lo mandasse Dio; Altobello, Ferrante e gli altri giovani che avevano stretto fra loro sviscerata amistanza, come più destri degli altri, inarcato lo schioppo sgrillettarono e a veruno fece fuoco; essi tutti o la più parte di loro avevano viaggiato in Italia, militato ai soldi di Principi grandi, avevano ingegno ed anco coltura non ordinaria, e pure si sentirono scorrere il gelo per le ossa a causa della superstizione côrsa, che crede i morti impedire lo sparo dei moschetti perchè il rumore gli sperderebbe, nè indi a dieci anni potrebbero più riunirsi; e tutti in un moto fecero il segno della croce sul guardamacchie, rimedio indicato come solo efficace a rompere lo incanto e ripetere il colpo, ma il mufflo non si rimase ad aspettare i loro agi, che scappò via pari a saetta volante. Allora Nasone di tutta foga dietro, e così uno fuggendo l'altro perseguitando, arrivarono sopra il ciglione di un dirupo che al solo vederlo metteva i brividi addosso. Il mufflo presentendo forse il pericolo si fermò di botto puntando le zampe davanti e volgendo in un attimo il capo a destra e a manca quasi a speculare se avanzasse altra via di salute; parve che non la trovasse, e il cane intanto si accostava arrangolato; il mufflo ridotto agli estremi senza più esitare si precipitò giù col capo in avanti dalla balza; poco dopo sopraggiunse il cane, il quale o non avvertisse il pericolo, o avvertito lo disprezzasse, anch'egli si cacciava nel precipizio in un fascio col mufflo: ma con sorte diversa, però che il mufflo difeso dalle corna, se le ruppe entrambe e accosto alla radice e giacque alquanto tramortito, ma poi si rialzò e riprese la fuga come una cosa balorda, ma Nasone non si rilevò più; le sue ossa rotte in parte gli uscivano fuori della pelle, dalla testa fessa ciondolava il cervello, i denti schizzati dalle mandibole gli stavano sparsi d'intorno come le armi al guerriero caduto in battaglia. Altobello non potè dargli sepoltura; ed egli che ormai non aveva più lacrima pei patimenti dei proprii simili nè per i suoi torse gli occhi dal miserando spettacolo e pianse come un bambino. Il piovano di Guanco sul ciglione della rupe preconizzò la povera bestia con queste parole: — Noi siamo fatti simili a quelli che sgombrano la casa vecchia per tornare nella nuova; essi levano a mano a mano le masserizie dalla prima e quando l'hanno vuota, lasciano la chiave nell'uscio e si recano ad abitare nella seconda; non passa giorno che noi non depositiamo qualche affetto nella tomba: oggi toccava a te, Nasone, esempio di fedeltà, da far vergogna a molti uomini; poco più a noi rimane di qua di questa vita, Nasone, tu non ci aspetterai molto in seno della terra.... e forse... chi sa! anco nella vita eterna. E dall'alto lo benedisse, memore che tutti siamo creature di Dio e Dio stesso versa senza distinguere la sua benedizione sul creato. Ciò fatto il Pievano appoggiò alquanto il mento sopra la bocca dello schioppo come persona oppressa da pensiero molesto e che fra sè tenzona se debba o no manifestarlo, vinse il partito del sì, dacchè egli con piccola voce riprese: — L'addio è sempre una parola che viene proferita col cuore chiuso anco tra la gente felice, la quale spera rivedersi presto. Si abbracciarono e baciarono; poi si partirono facendo strada da più lati, senza parole, senza lacrime; il cuore stretto non dava adito nè anco a un sospiro; parecchi affrettarono il passo, altri lo rallentarono, taluno si coperse con le mani la faccia ed ebbe il refrigerio del pianto; ve ne furono di quelli, che mossi da un medesimo spirito voltarono nello stesso punto il viso e si videro e corsero a braccia aperte a rinnovare gli amplessi con quello intenso abbandono, con la infinita svisceratezza che due cose sole al mondo danno, l'altissimo amore e l'altissima sventura. Altobello fu, senza che gl'invitasse, seguitato da Ferrante Canale, da Romano Colle, da Ugo della Croce e da Rutilio Serpentini; e poichè ebbero scorso insieme buon tratto di cammino, si volse loro e gl'interrogò: — Non vi parrebbe bene separarci anco noi? — No, rispose Ferrante dalle rade parole, se in molti riesce difficile vivere, l'uomo solo dall'altra parte male si può aiutare. Allora Altobello da capo: — o dove andiamo noi? E Ferrante di rimando: — Tutta la Corsica è patria, ma in Corte nacqui e fui battezzato; ci serva di bussola il luogo del nostro nascimento: quando anco non ci fruttasse altro che deporre le nostre ossa nella terra dove dormono quelle dei nostri padri, ci condurrà sempre bene. — Tu di' santamente; le tue parole, Ferrante, sono rare ma preziose come le perle; e poi io per me credo, che su le montagne prossime a Corte noi ci batteremo con meno pericolo che altrove, però che i nostri persecutori non si potranno mai immaginare che abbiano posto stanza tanto vicini quelli ch'eglino stimano ormai disperati vagare per l'estremità della isola. Arrivarono a piè dei colli di Corte attriti dal digiuno e dalla fatica; i piedi avevano sanguinosi; privi da molto tempo di scarpe si erano composti certa foggia di sandali con la scorza degli alberi; ma questa non bastando sola perchè feriva le carni, se gli erano fasciati con bende, le quali avendo dovuto strappare dalle vesti; ora così mezzo ignudi intirizzivano dal freddo: nella buona stagione non pensarono al verno o se ci pensarono ebbero speranza che Dio provvederebbe; ma non provvide, e gli uomini? Taluno per le terre dove passavano vedendo comparire codesti strani aspetti credè che fossero anime dannate, e fuggì via riparando senza sangue addosso a battersi il petto ai piedi del Crocifisso; altri si accorse ottimamente di quello che gli era, ma per paura più vile gli evitò; l'abbietto interesse aveva di già insegnato ai Côrsi la lezione: che dove non si guadagna, la perdita è sicura; e lì con loro ci era da perdere moltissimo e in doppia guisa; però sarebbe ingiustizia tacere come parecchi li confortarono con parole e sovvennero co' fatti, massime fanciulli e donne, i primi perchè il tempo non gli aveva anco spruzzati con la tristezza degli anni, le seconde perchè su loro si posano meno così i forti come i tristi proponimenti; una cosa, dicono compensa l'altra; per me stimo che l'utile superi due cotanti il danno. Da prima passarono per le terre lavorate, pei vigneti e pei chiusi degli ulivi; si lasciarono addietro castagneti e macchie di cornioli e di corbezzoli; nè anco lì si fermarono; continuando a salire traversano foreste di larici di faggi e di abeti; ma la lena a taluno di loro vien meno e avvilito domanda; — Dove ci mena Altobello? Quando ci fermeremo? — Avanti, avanti, rispose Alando, chè ci bisogna ire dove non è chiamato l'uomo a lavorare, a raccogliere o ad uccidere. Noi abbiamo adesso due soli protettori, il deserto e la morte. Eccoli giunti dove massi enormi appaiono ammonticchiati alla rinfusa o sparsi pei fianchi del monte in tutti i sensi, parte su ritti, parte a giacere, screpolati o interi; pareva il campo di battaglia dove rimasero fulminati i Titani figliuoli della terra. — Più su ancora, più su, gridava a tutti avanti Altobello; le vette dei monti ci allontanano dai travagli degli uomini e ci avvicinano alle consolazioni del cielo. Oramai erano in parte, dove chi va senz'ale più in alto non può arrivare: appena ci ebbero fermo il passo, un nugolo di falchi schiamazzando fuggì via spaventato: indi a breve si mise a girare con le sue larghe ruote intorno alla pendice; qualcheduno ancora si provò calare al vecchio nido, ma fu cacciato via con le grida e co' sassi; non per questo e' rimase, chè trovarsi così sfrattato dalle antiche dimore sembrava gli avesse a parere gran cosa. Certo, torto egli non aveva, perchè l'uomo, se felice, pigli le terre feconde dei tesori della natura, e se infelice, occupi i deserti e le rupi. Dove mai adunque avranno di ora in poi a vivere le altre creature di Dio? Là su quel vertice, benchè il fiato gli uscisse affannoso dal petto e le tempie e i polsi gli battessero terribilmente, Altobello volse gli occhi dintorno per contemplare lo spettacolo che gli si parava davanti. Davvero desolazione maggiore egli non aveva visto mai; coteste vette ignude erano fatte a strappi, cosicchè meno acuti e taglienti appaiono i vetri rotti su recinti degli orti per allontanarne lo scarpatore; si conosceva espresso come la natura spasimante pel fuoco interno che la bruciava cacciasse le mani nelle proprie viscere e a brandelli le lacerasse per fare strada al vulcano; qua e là cespi di pruni e tignamiche e arbusti altri cotali che crescono in luoghi sterili, arruffati a mo' di chiome della disperazione; e quei fessi tutti erano vocali, sicchè il vento che perpetuo soffiava costà, rotto in mille punte zufolava in suoni molteplici e fastidiosi sinistramente, quasi che tutte le anime degli ammazzati a ghiado nella Corsica si fossero date la posta su cotesti scogli per querelarsi della mala morte. Da occulte scaturigini usciva e si sparpagliava in cascatelle moltitudine di acque, le quali precipitando giù si rammaricavano da prima come chi piagne basso, ma poi stringendo in meno rivi il volume diverso ed anche aggiungendone altro da sorgenti nuove, si aumentava lo strepito, sicchè pareva che il luogo echeggiasse di singhiozzi; per ultimo le acque ristrette in un fascio si avventavano giù nello abisso a mo' di chi prorompa in pianto irrefrenato. Su l'orlo della voragine l'acqua si rompeva, schizzava, rimbalzava e ora ravvolgendosi in sè stessa o ribolliva o mandava all'aria sonagli, e ora andava sbrizzata in minutissimi spruzzi, vera polvere di acqua; lì i fianchi della montagna tremavano; la Ninfa del luogo pareva essere Scilla dalla cintura dei cani, perchè un continuo latrato intronava le orecchie; gli scogli, quasi mostri animati, si minacciavano con gli urli pure aspettando il destro di potersi avventare l'uno contro l'altro e sbranarsi; in capo al giorno un raggio di sole si arrischiava di penetrare fin là dentro, e allora per un momento cotesta polvere, cotesti sonagli e coteste bolle si tingevano in colori dell'iride; ma indi a breve la paura tornava a impadronirsi del luogo, anzi pel contrasto vi dominava più terribile. Così l'angiolo del perdono si accosta fino alle porte dello inferno, pure tentando riscattare qualche anima; e quando privo di speranza ne torce l'ale, i dannati al pianto eterno sentono i loro tormenti oltre misura inaspriti dalla visione celeste. — Più lontano, nella pianura dove o entrano in qualche lago o si affrettano al mare, le acque si mostrano placide, simili al cuore dell'uomo, che logorato dalle passioni, quieta a misura che si accosta alla suprema quiete del sepolcro; egli dura in vita, ma la mano della morte si è stesa sopra di lui. — Ecco il nostro regno, esclamò Altobello dopo avere lungamente specolato dintorno: peccato! che non ci si presenta un po' di tetto per mettere a riparo la nostra testa. — Questo è ciò che vedremo; prima di biasimare, assicuriamoci se merita spregio. E i banditi si misero alla cerca, nè si dilungarono troppo ch'ebbero trovato grotte e caverne capaci di uno, di più ed anco di moltissimi uomini, dove pararonsi loro dinanzi lembi di veste fradici, armi di tempi andati, alabarde o corsesche arrugginite ed ossa umane; miserabili testimonianze che cotesta terra era antica alla sventura; ma in coscienza qual terra può vantarsi nuova ai carnefici ed alle vittime? ogni secolo sperò, e spera vedere mutato il fiero ordine delle cose invano; il demonio vie vie si aggroviglia altro pennecchio alla vita e dura a filare la corda per la tortura della umanità: dicono che Noè maladicesse il solo Cam: io avrei gusto davvero che qualcheduno mi mostrasse in che cosa approdava la sua benedizione a Sem e ad Jafet. Tutte coteste grotte funestate a quel modo non garbarono: e statuirono le avrebbero adoperate solo allorquando non trovassero meglio, ad uno di loro cadde in testa che tutto cotesto stormo di falchi doveva pure avere fatto costà i nidi, i quali non apparivano, e ci era da giocare che scoperta la caverna, l'avrebbero provata migliore di ogni altra; allora mettendoci un po' di attenzione, sentirono stridere dietro uno smisurato cespo di marruche che remosse lasciarono l'adito a capacissima grotta; e quivi dentro apparvero parecchi nidi di falchi di ogni maniera dallo implume uscito dall'uovo pure ieri, fino al piumato in procinto di affidare le penne al volo; questo apportò loro non mediocre conforto nella inopia in cui si versavano di cibo, e Ferrante osservò: — Dio manda le quaglie ad Isdraelle nel deserto. Sicchè egli e i compagni messo in un attimo mano ai coltelli si dettero a menare strage di cotesti uccelli i quali, almeno i più adulti, non si adattarono a lasciarsi sgozzare senza difesa, onde gli uccisori ne rilevarono parecchi graffi di artigli e di becco. Finchè durò la guerra, Altobello come gli altri si arrovellò nell'uccidere; compita la carnificina si battè della mano la fronte ed esclamò: — Anco questo è presagio peggiore di tutti; abbiamo sparso il sangue della creatura invano: noi non ciberemo queste carni, perchè il fuoco col quale le avremmo a cocere ci scoprirebbe col fumo il giorno, e col chiarore la notte. Ora qualunque causa muova l'uomo a far sangue, o fame, o pena, o guerra, quando la necessità cessa il peccato incomincia; gittiamo lontano dai nostri occhi questi accusatori della nostra insania e della nostra ferocia. Ed egli primo tolse una manata di cotesti uccelli e gli scaraventò fuori della grotta; imitaronlo gli altri, e giù per le roccie della rupe cadde una pioggia di falchetti sgozzati: maraviglia a vedersi, i padri le madri accorsero a tiro di ale per ripigliarsi le loro geniture e trasportarle in luogo men reo; ma conosciutele morte ruppero in istrida desolate, e andavano e venivano, si rimescolavano tra loro come chi percosso da immenso dolore non sa più quello che si faccia; di un tratto parecchi fra essi si dirizzarno alla grotta donde erano stati scacciati, e quivi librati su le piume stettero sul capo dei banditi, poi presero a scotere con inestimabile celerità le ale e prorompere in urli assordanti: certamente io penso che prima piovessero a modo loro la maledizione su gli scannatori, e poi gli sfidassero a battaglia; imperciocchè subito dopo rovinarono giù di piombo a ferirli. Non fu leggera fatica liberarsene, nè poterono venirne a capo, se, nonostante la repugnanza e il pericolo grande che correvano i banditi, non si adoperavano i moschetti. Animosi erano tutti, e lo avevano provato e lo proveranno, e nondimeno i banditi, rosi dal tedio, sovente sorprendevano in se stessi con raccapriccio il tremito della paura. Questo avviene per ordinario quando il coraggio non rinfranca l'uomo come virtù dell'anima, bensì come forza di sangue, allora si vide chi affrontò il ferro e il fuoco su i campi di battaglia, gelare nelle ombre, abbrividire alla vista di un animale, e la storia ricorda Carlo V cui un topo bastava a mettere in convulsioni; io poi rammento eziandio di tale ai miei tempi, che per paura lontana di una specie di morte da lui abborrita, si uccise dolorosissimamente straziandosi le vene; per questo i banditi avvezzi a dare la morte e a patirla a cielo aperto e mercè di una palla piantata nelle regole nel cuore o nel cervello, si peritavano calare dalle pendici; e con mentite spoglie aggirarsi pei paesi in cerca di vettovaglia, ma necessità vince natura, e da prima ebbero la sorte di abbattersi in certi casolari pei castagneti che i montanari costumano abitare la estate per condursi coi greggi al piano durante l'inverno: povere robe, anzi poverissime trovarono là dentro, le quali a cagione della penuria che gli stringeva, parvero ad essi, e in vero furono, tesoro; però non durarono molto e alla perfine e' fu mestieri risolversi o morire di fame, o recarsi a procacciare i viveri nei paesi. Posto che qualcheduno di loro si avventurasse (postergato il pericolo quasi sicuro di cascare in mano agli stracorridori del provinciale côrso che indefessi frugavano in ogni cantuccio), senza danaro non avrebbero potuto provvedere i cibi; e possedendo danaro, se la prima volta riusciva passarla liscia, per la seconda non ci era a pensarci nemmeno, essendo cosa insolita nei paesi di Corsica, massime in quelli dentro terra comperare le derrate che ognuno raccatta sul suo, o serba in casa per sè e per la propria famiglia: onde non poteva fare a meno che dessero nell'occhio se ne contassero le novelle e mettesse loro sulla traccia i mastini del vincitore. Il Canale dopo averci su ruminato un pezzo, disse: — Ci andrò io! E Altobello allora punto rispose: — Perchè non io? — Perchè tu fosti in vista più di me. Io ci sono appena conosciuto, e poi bisogna che vada io a rompere il ghiaccio, poi andrai tu.... Ferrante a così parlare era mosso dalla paura che fosse accaduta qualche disgrazia ai parenti di Altobello, e che rovinandogli addosso improvvisa la nuova non fosse tratto dalla passione a precipitarsi. — Ma dove vuoi andare? Qual'è il tuo disegno? — Che ti preme saperlo? Tu non lo puoi aiutare: rispetto a consigli noi siamo a tale che tutti paiono buoni, tutti cattivi, e forse il più tristo può riuscire migliore. Lasciami andare; se non ci avessimo a rivedere, addio, ma non mi voglio intenerire... Solo mi di', Altobello, e voi compagni miei, parvi ch'io sia molto mutato da quello che fui? — Ahimè! tutti siamo trasfigurati e come! — Io non parlo di voi, parlo di me. — Guarda noi, e fa il tuo conto per te. — Allora questo è bene e male ad un tratto, ma al male ci ho trovato il suo rimedio e subito. Altobello, cavati dal collo quel crocifissino d'oro e prestamelo... — Ah! ho indovinato... Ferrante!... ohimè! tu le dirai... — Zitto! Io sento qui ottimamente nel cuore quello che ho da dire, e non vo' perdere tempo a sentirmelo ripetere peggio con gli orecchi. Se dopo due giorni non torno, ditemi un _de profundis_; però non vi affrettate troppo, ed anco se avessi a tardare, tu non disperarti. Il giorno seguente un povero boscaiuolo fu visto entrare in Corte con un grosso fascio di legna verdi su le spalle sotto il quale ei vacillava; il suo sembiante non compariva, perchè parte glielo adombrava la frasca, e parte perchè procedeva curvo così, che ad ogni ora sembrava in procinto di cadere, nè veramente era finzione quella che faceva andare a quel modo Ferrante Canale, però che si sentisse rifinire di fatica e di fame: pure, come Dio volle, giunse al mercato dove lasciò andare giù il fascio asciugandosi con la manica del vestito il sudore che gli grondava dalla fronte, comecchè fossimo quasi a mezzo decembre, e lì rimase ad aspettare che qualcheduno andasse a comprarglielo. Ebbe ad aspettare un pezzo, dacchè fosse giunto verso il mezzodì, ora nella quale ogni buona massaia si è già provvista, nè mette più i piedi fuori di casa, in ispecie nella stagione invernale; pure venne alfine una fantesca, che viste le legna verdi levò le spalle e senza contrattarle se ne andò pei fatti suoi; e così due, e così tre. Ferrante sentì cascarsi il cuore, pure volgendo attorno gli occhi vide più oltre la bottega di un fornaio, ond'egli abbrancato con forza convulsa il fascio della legna, lo gittò ai piedi del bottegaio; e gli disse con tal voce ch'era preghiera e poteva sembrare minaccia: — Un tozzo di pane in baratto di questo fascio di legna... per carità. — Che vuoi tu che mi faccia delle tue legna verdi? Mi guasterebbero il forno; e quanto al pane, la farina è cara; — e così dicendo si staccò dai panni la mano che Ferrante gli aveva posto addosso, e lo respinse da sè. Allora un baleno passò dinanzi agli occhi del reietto di cui la destra corse sotto le vesti, e senza sangue non finiva, se per somma ventura non entravano in quel punto due micheletti regi nella bottega, di cui la vista bastò a tenere in cervello Ferrante, che mordendosi le labbra fino a lacerarle, chiotto chiotto se ne uscì, e gli parve bazza. Nello inverno presto arriva la sera, ma dal tocco alle ventiquattro tempo ci corre, ed egli poteva destare sospetto, molto più che i villani sbrigate le faccende ripigliano il cammino dei paesi: mentre ei sta perplesso sul partito da seguitare, vede una brigata di mendicanti avviarsi verso il convento dei Francescani posto in fondo al paese: gli parve ventura, e poichè le sue vesti stracciate gli servivano anco a questo uso, imbrancatosi con gli altri, arrivò al convento. Correva il dì che i frati dispensavano la minestra, e tu vedevi cento destre tese in garbi simili a quelli dei deputati dell'assemblea nazionale in Francia dipinti dal David nel famoso quadro francese del giuramento della palla a corda. Poichè ogni paltoniere aveva recato seco gli arnesi della sua professione, si misero all'opera. Ferrante, venuto senza, se ne stava lì come smemorato, non avendo motivo di fermarsi, ed a qual modo ritirarsi ei non sapeva; quando il frate laico levato in alto il ramaiuolo gridò: — Porgi la scodella o te la rovescio sul capo. Ed egli pietoso rispose: — Io me la sono dimenticata. — E tu allora rimarrai senza. Un accattone, il quale strabuzzando gli occhi e piangendo dalla pena aveva ingoiato la minestra bollente, senza curare le scottature, borbottò a Ferrante: — Se mi dai mezzo della tua parte ti presto la scodella. — Magari! soggiunse Ferrante; ma il torzone sempre col ramaiolo all'aria esclamò: — Non sia mai detto, che qui sulla porta del convento di San Francesco si abbia a commettere il brutto peccato dell'usura. [Illustrazione: E così per miracolo, la fortissima madre in mezzo alla tempesta ed ai fulmini.... fu messa in salvo dal figliuolo. (_Cap. X._)] E ributtata la broda nella caldaia, sbatacchiò la porta in faccia agli accattoni, tirò strepitosamente il chiavaccio e non si fece più sentire. Ferrante tacque, solo levò gli occhi al cielo; io voglio credere che ei lo facesse per preghiera, però la lancia di Longino deve avere balenato a quel modo o poco meno sinistramente. Costumavano, ed anco adesso non tutti, ma parecchi côrsi costumavano scendere dai paesi in città sopra certi somarelli grandi quanto i cani di San Bernardo, ai quali arrivati che sono, levano la cavezza e danno per profenda un calcio nella pancia: le grame bestiole si cacciano da per tutto per procurarsi un po' d'alimento; io ne ho visti ficcarsi fra le gambe dei soldati francesi mentre attendevano agli esercizi militari, e certa volta andando per visita da un personaggio dell'isola (già s'intende in giubba nera e in guanti paglierini), mi accadde incontrarne uno su per le scale del terzo piano. Ferrante, adocchiando uno di questi animali, gli si mise dietro nel pensiero che lo scorterebbe con più intelletto e certo poi con meno odio dell'uomo; quanto all'odio se indovinasse non so, ma quanto a giudizio prese errore, dacchè lo condusse in un campo di cavoli dove l'asino cominciò a menare scempio, il che vedendo l'ortolano proruppe fuori di casa con un cannocchio in pugno, tirando giù che pareva un maglio. Il somaro gustata la prima non aspettò la seconda; allora l'ortolano si spinse a Ferrante facendo le viste di rinnovargli la zolfa addosso, nè a questo bastava dire non appartenergli la bestia, nè affermarlo con giuramento, finchè inasprito, tratto fuori un coltello e sacramentando che gli avrebbe fesso il cuore se si attentava avvicinarsigli ancora di un passo, mise a partito il villano. La fortuna faceva addirittura al mal capitato giovane il viso dell'uomo di arme; ma egli tuttavia non si volle dare per perso: parendogli, non ostante la sua prudenza, anzi a cagione di questa, essere incappato in troppi casi per non dare nell'occhio, prese il partito di buttarsi in terra accovacciandosi dietro una massa di fieno. Scese alla fine invocata la notte, ed egli cauto e guardingo si accostò alla casa di Alando; ben gl'incolse la sua previdenza, imperciocchè vide, dal canto dove si mise rannicchiato, un'ombra passare e ripassare dinanzi alla porta di cotesta casa, accostarsi il capo per origliare, poi venuto in mezzo della strada voltarsi in su per istudiare dai moti del lume, che cosa vi si facesse dentro, così non una, nè due, bensì parecchie volte. Egli era manifesto che stavano spiando la casa; Ferrante non ci trovava rimedio, e ormai si disponeva ad allontanarsi con ineffabile angoscia, quando codesta ombra strillò come la nottola e fuggì via. Ferrante comprese trattarsi di vendetta privata e gli parve faccenda da apprensionirsene assai più della vigilanza del governo; pure reputò per codesta notte la esplorazione non si sarebbe rinnovata, e questa si appose: ciò nonostante si rimase tuttavia in agguato e quando gli parve ogni cosa d'intorno sicura, egli incominciò a moversi stendendo e ritirando a vicenda le mani e i piedi, e strisciando col ventre sulla terra al modo stesso che la volpe mascagna si accosta al pollaio, intantochè la massaia fila cantando lì accosto e non se ne avvede. Rifinito di lena Ferrante arriva a piè dell'uscio della casa Alando e chiappa un ciottolo per bussarci dentro, ma non gli fu mestiere, che il cane di dentro, avvertito dall'odorato dello appressarsi dello sconosciuto, si avventa contro la porta col pelo irto su la schiena, abbaiando disperatamente; codesto fracasso tornava in più modo dannoso, sì perchè non dava adito a sentire il picchio, e più perchè poteva destare l'attenzione del vicinato; però Francesca Domenica come donna accorta, avvisando che qualche cosa covasse là sotto, aperse la finestra, e guardato in giù scorge un viluppo scuro che si movea; e subito dopo la percosse questa voce: — Signora Francesca Domenica, portate via il cane e apritemi, ho da parlarvi per parte di Altobello; per l'amore di Dio fate presto. Esitò la donna, ma non perse tempo, e scendendo a precipizio la scala diceva tra sè: di che ho da temere? E tastatasi il petto conchiuse: va bene; forza non ne posso patire. Il cane fu chiuso in cantina, la porta aperta, e Ferrante entrò carponi; appena entrato agguantandosi al muro si drizzò in piedi a stento e con piccola voce disse: — Signora Francesca Domenica, voi non mi ravvisate neh? Mirate se riconoscete questo crocifisso? La donna, gittato appena lo sguardo sul crocifisso, con orribile pacatezza domandò: — Morto? — No, la Dio grazia vive. — Libero? — Sì.... E così rispondendo Ferrante voltava dintorno gli occhi stralunati e feroci, onde Francesca Domenica gli ebbe a domandare non senza sospetto: — Che avete? Che cercate? Chi siete voi? — Io sono Ferrante Canale... — Bugiardo... — Ah! pur troppo capisco, che devo parervi mentitore, e nondimanco io sono Canale... nè meglio ravvisereste il vostro figliuolo.... E così favellando sempre girava gli sguardi a mo' di ossesso, sicchè la donna da capo lo veniva interrogando: — Ma che avete? Che avete? Vi sentite male? — Nulla.... io muoio. E vacillando cadeva, senonchè pronta lo sostenne fra le sue braccia Francesca Domenica, la quale conobbe subito che il giovane per commozione o per istanchezza fosse svenuto; lo trasse al fuoco, lo spruzzò con acqua di laccia, gli fece odorare aceto forte; insomma compì tutti gli uffici soliti a costumarsi in questi casi; lo svenimento durò un pezzo, e quando riaperse gli occhi memori alla vita Francesca Domenica con affetto di madre gli disse: — Come vi sentite, Ferrante? — Muoio di fame. — Santa Vergine! E Altobello? — Quando trova ghiande... si ciba. La donna non profferì altre parole: tenendo sempre a cagione della inferma carni al fuoco, ristorò il giovane con alquanto di brodo e di vino, raccomandandogli, che così per un po' di tempo dimorasse, in breve si sarebbe più copiosamente cibato. Attizzò il fuoco, e salì a custodire la inferma; la quale appena la vide così le favellò: — Mamma, voi avete ricevuto notizie di Altobello. — Io? — Sì, voi; lo so, il mio sposo vive, e o Dio! qual vita! — Ma chi vi dice tutte queste cose? — Una voce qui dentro che non mentisce mai. — E sia così; che ci è egli da contristarci in questo? — Siete voi che parlate, mamma? E non sapete qual vita meni Altobello? Nè anco quella della fiera, però che a questa la natura faccia almeno trovare il cibo necessario a mantenersi viva. La madre tacque; quando sentì potere mandare fuori la voce senza tremito soggiunse: — Or bene; figliuola mia che cosa dobbiamo mandargli a dire? — Da parte della sua sposa e di sua madre... mamma perdonate se mi metto innanzi a voi... l'uomo, voi lo sapete, ama la sua moglie sopra tutte le cose. Dio lo ha detto... — È vero, ma la madre ama il figliuolo sopra il padre, e il marito, e voi Serena lo saprete un giorno. — Io? Parvi stagione questa di lunsingarmi, mamma mia? Guardatemi queste braccia — ed ella se le guardò e riprese — in che differiscono dagli scheletri che mettono a piè dei catafalchi nella messa dei morti? E dopo passato alquanto spazio di tempo senza che nè l'una nè l'altra donna potessero aprire bocca, Serena continuò: — Da parte della sua sposa e di sua madre, vorrei mandargli a dire che partisse di Corsica e si riparasse in Italia ma egli non lo farà.... — Perchè non lo farà? — Non lo farà, perchè pei cuori come Altobello non vi ha morte che eguagli l'angoscia di lasciare la Patria serva e infelice; perchè nessuna pena in lui pareggerebbe quella di starsi lontano dal mio sepolcro e dalla vostra casa; perchè non gli arride la fede di potere migliorare le sorti dell'uomo, ora che contempla la ingiustizia coprire intera la terra come un nuvolo nero: — egli è sopravvissuto a tutte le speranze, — egli non lo farà, non lo può fare. Francesca Domenica non istette a contradirle temendo affliggerla, e poi simile paura si era insinuata ancora lei nell'anima; prese i ferri ed il bacchetto, e si mise a fare le calze di lana pel suo figliuolo; calze, camiciole, berretti di lana ella tutto tutto pel suo Altobello con le proprie mani lavorava; per sè le comprava; e mentre attendeva a infilzare maglie, il suo pensiero preso a cotesto filo non si staccava mai dal figliuolo, sicchè sempre l'era presente, le sue necessità immaginava, ci provvedeva, e verun caso mai, per quanto insolito, poteva sopraggiungerle improvviso, ch'ella non ci avesse di già trovato il suo partito. Adesso le femmine sanno condurre maestrevoli ricami ed ordire trine e dipingere fiori, ornamenti di lusso per sè, e per le camerette loro; più belli sì, ma non però più cari. Passato convenevole spazio di tempo, Francesca Domenica tornò a Ferrante e con buoni cibi ed ottimo vino lo rimise da morte a vita. Quando poi conobbe che il discorrere non gli poteva recare molestia, si fece dire a parte a parte i vari casi del figliuolo e dei compagni suoi; per ultimo gli domandò a che venisse, e Ferrante le espose come costretti a lasciare i monti più scoscesi dell'isola per penuria di viveri, e per essere con sottile solerzia esplorati, si erano ridotti a finire l'inverno nei colli prossimi a Corte per le medesime cause, che gli aveva persuasi a disertare dagli altri, perciocchè pareva a loro che quivi sarebbe riuscito più destro a procacciarsi vettovaglia, e forse non pensando i Francesi che tanto si potessero avventurare i banditi, li vigilassero meno; però non avere trovato fin lì persona su la quale potersi fidare, ed egli appunto essersi messo allo sbaraglio per venire a trovarla, e concertare il modo con esso lei di non morire d'inedia come pur troppo ne correvano quotidianamente il rischio. Posto ch'ebbe fine Ferrante al suo ragionare, Francesca Domenica incominciò: — Voi per la difesa della Patria avete fatto abbastanza.... — Per la Patria veruno al mondo ha fatto tanto che basti... — Quando Pasquale e Clemente Paoli con i loro famosi compagni hanno reputato spediente conservarsi a giorni migliori, mi sarà lecito senza presunzione supporre che i Côrsi abbiano per adesso compito l'obbligo loro. — Per la difesa della terra io ne convengo, non già per la difesa e per la vendetta degli uomini.... — Anco per questa; dacchè si sente affermare dai magistrati fino alla sazietà, che il re di Francia intende consolarci, solo per farci sentire gli effetti della sua clemenza aspettare avere purgato il paese degli ultimi strascichi dei banditi.... — E voi lo sperate? — Io da molto tempo non ispero e non temo nulla; lo dicono. — Lo dicono come il lupo s'industriava persuadere al cane del pecoraio di disfarsi del collare di ferro per strangolarlo a tutto agio. — Ferrante mio, mettiamo da parte la superbia; pare in coscienza a voi potervi paragonare al collare di ferro? A voi, che i travagli resero l'ombra di voi stessi? A voi che la necessità di ogni cosa conduce a morire d'inedia due volte almanco per settimana? Ferrante, non sapendo che si avesse a rispondere, tacque mentre la donna continuò: — E al pericolo di essere ad ogni momento presi e impiccati, pensaste mai? — Ci pensammo. — E i parenti vostri avete dimenticato affatto? — No, mai, mai. — All'aria aperta, su i monti, il moto, le cure della vita, gli stessi pericoli, anche senza volerlo fanno obliare ogni cosa più caramente diletta, ma noi povere donne chiuse, circondate da oggetti che ci parlano di voi, per voi lavorando, vegliando per voi, vi rammentiamo sempre, sempre.... e se poteste immaginare come talvolta l'amore o la paura vi ritraggono alla nostra mente... se lo poteste.... io non ve lo dirò.... non mi riescirebbe dirvelo.... avreste compassione di noi tre povere donne. Dunque tornate ad Altobello, e scongiuratelo per l'amore che porta a Gesù Redentore, alla madre sua, alla sua povera Serena, che il pensiero del suo pericolo strugge come la candela, che ripari in Toscana dove gli prometto di andarlo a raggiungere con la sua sposa... (qui la buona femmina dentro di sè aggiungeva a mo' di restrizione mentale: se però mi potrà accompagnare); glielo direte, Ferrante? — Glielo dirò di sicuro. — Non basta; promettetemi che voi secondo il vostro potere lo persuaderete a partirsi. — Anco questo farò. — E voi lo accompagnerete, Ferrante? — Questo non ve lo posso promettere, signora Alando. — Chi è che vi possa impedire? — Io. — E voi perchè? — Signora Francesca Domenica, rispose Ferrante facendo atto con la mano, che parve ad un punto preghiera e comando — è mio segreto; rispettatelo. Francesca Domenica sapendo a prova, che incaponirsi a cavare di corpo ad un Côrso un segreto quando non lo vuol dire torna lo stesso che presumere di trapanare il porfido con un dito, tacque. Ferrante dopo breve ora soggiunse: — Signora Alando, vi prego allestirmi la roba, che con vostra licenza io mi riposerei qualche ora perchè ho proprio bisogno; senza fallo verso le tre ore dopo la mezzanotte io sarò sveglio; scrivete le lettere tanto voi quanto Serena, e se piace a Dio porterò tutto a salvamento. Ferrante non conosceva il cuore di madre; da molto tempo ella aveva ammannito il danaro, le vesti, polvere, piombo e cibi secchi e biscotto in parecchi fardelletti da stringersi insieme agevolmente e farne uno o parecchi maneggiabili, nè mancò di preparare fieno per fasciarli, affinchè il portatore porgesse sembianza di recare un fascio di strame a qualche stalla vicina; anche le lettere erano belle e pronte, non però sigillate, che ogni giorno ella ci andava aggiungendo un poscritto, ed oramai eravamo al quindicesimo; nonpertanto lasciò che Ferrante se ne andasse a dormire, ed ella si assettò al tavolino per iscrivere il decimosesto poscritto. Con una mano già si posava su la lingua l'ostia per bagnarla e con l'altra teneva sollevato il margine del foglio per applicarcela, quando la prese il rimorso di chiudere la lettera senza intendere anco una volta da Serena se avesse qualche cosa da far sapere al suo sposo: salì pianamente la scala e accostatasi al letto la trovò assopita; come ella grondava sudore prese il pannilino e lieve le sfiorò la fronte, pure tanto valse a svegliarla, e: — È partito il paesano? — No, rispose Francesca Domenica, quasi dispettosa che Serena mostrasse così poca passione, ma subito dopo ne sentì pietà pensando quanta parte di vita avesse ormai abbandonato quel cuore; — no, anzi era venuta per dirvi se volevate che scrivessi qualche cosa da parte vostra ad Altobello. — Sì, scrivetegli, mamma, che il penultimo mio pensiero sarà pel Signore, l'ultimo per lui. Francesca Domenica, come colei che piissima era, tossì due volte o tre quasi le fosse andata qualche cosa a traverso per la gola; poi dubitò avere frainteso, onde riprese: — Tu hai sbagliato, figlia mia; volevi dire che il tuo penultimo pensiero sarà per Altobello, l'ultimo per Dio: io tuttochè madre non potrei promettergli di più. — Non ho sbagliato; scrivete addirittura come vi ho detto io. — Dunque voi amate poco il vostro Creatore, Serena? — Al contrario io lo amo infinitamente, lo amo pel bene che mi ha fatto e per le prove che mi ha mandato; lo amo pei conforti che mi prodiga al doppio dei dolori, su questo letto, lo amo per la prossima morte, ma se Altobello non era, io a quest'ora lo avrei rinnegato: egli dopo la morte di mio padre mi salvò dalla disperazione, prima col vendicarlo, poi consolando col suo amore questa anima desolata. Io ricorderò Dio dopo Altobello perchè ho obbligo a lui di amare sempre Dio. Con persona travagliata a morte dal mal dell'etico s'imprendono intempestivamente davvero quistioni di teologia; e poichè quantunque cotesta chiosa non sonasse ortodossa a Francesca Domenica, pure nè manco del tutto le sgarbava, con la voce più dolce insistè. — Null'altro, Serena? — Se sapessi che fruttasse, Dio sa se mi rimarrei da implorare a mani giunte, che volesse abbandonare questa isola dolorosa; ma egli ne sono certa, non lo farà; pure ditegli... ditegli... che mi contento di rivederlo in paradiso... e purchè mi si conservi fedele... non dia il suo cuore ad altra donna... perchè il suo cuore è mio... e non intendo liberarlo nè anco dopo la mia morte... a questo patto renunzio, quanto a me, di abbracciarlo ancora una volta su questa terra. Poco innanzi delle tre, e mentre Francesca Domenica si disponeva a entrare nella stanza dove dormiva Canale, questi surse di botto come se l'orologio gli fosse scoccato dentro la testa, e fregatosi alquanto gli occhi si chiamò disposto a mettersi in viaggio. — Andate con Dio, pigliatevi questo bacio, che deporrete su le labbra di Altobello, disse Francesca Domenica, poi stata alquanto su di sè aggiunse, — voi tornerete con la risposta il giorno di S. Tommaso; non qui, che sarebbe tentare Dio, bensì al _procoio_ di santa Colomba, dove mi recherò sotto qualche colore; conoscete il mio _procoio_ della Colomba accanto alla Restonica? Voi lo conoscete. A rivederci; addio. — Signora Francesca Domenica, di una cosa bisogna che vi avverta ed è, che qualche nemico vi tiene di occhio: guardatevi. Mentre stava in agguato per assicurarmi di battere alla vostra porta, inavvertito ho visto uno sconosciuto spiare la casa e dintorni, e per ultimo sparire dopo aver fatto lo _scuccolo_. — Grazie; io lo sapeva, procurate guardarvi, che io dal canto mio farò lo stesso. Il giorno di san Tommaso, Francesca Domenica si recò secondo il solito a vespero alla novena del Natale; comecchè usasse andare in Chiesa per tempissimo, quella volta ci si avviò un poco tardi, e mentre la folla degli uomini si trattiene più spessa lì su la porta maggiore per vedere passare le donne. Si sa, egli è costume vecchio coloro che vanno a portare il tributo di amore dentro il tempio a Dio possono senza peccato trattenersi di amor umano fino al limitare, anzi ce ne ha di quelli, che non lo depongono nè anco su la soglia, e io immettono con esso seco dentro; si è visto ancora con l'uno alimentare l'altro, a mo' dell'olio che versato nella lucerna partecipa facoltà al lucignolo di spandere la luce, questo poi se sia peccato io non lo posso dire, a cui preme può conferirne col suo padre spirituale: quanto a me mi basti ricordare, che Gesù Cristo perdonava molto a cui aveva amato molto; e le creature umane, massime le donne, sembra che assai bene se ne rammentino, e ci facciano capitale sopra per la loro eterna salute, sicchè senz'altro torno alla storia. Francesca Domenica si mescolò assieme alle donne genuflesse imbacuccate con la faldetta, e poi bel bello si fece dappresso alla porta laterale della chiesa, donde quando il prete dà la benedizione, e tutti tengono il capo chino in atto di terrore per la presenza di quel Dio amoroso cui avrebbe ad essere suprema dolcezza della creatura contemplare faccia faccia, se la svignò movendo ratta i passi fuori della terra verso la posta dove aveva avviato il _manente_ con la cavalcatura; raggiunto che l'ebbe salì spedita sopra la sella, ed ordinando all'uomo tornasse a casa per la via maestra, ella sotto non so qual pretesto si mise pei tragetti. Arrivata al procoio senza intoppi, accese il fuoco ed apparecchiò da cena, attendendo ferma in sembianza, ma col cuore palpitante, il Canale. A notte inoltrata anch'egli venne e, dopo confortato col calore e col cibo, alla Francesca Domenica che lo interrogò dicendo: ebbene? — egli rispose: — Signora mia, è stato fiato perso; Altobello non ne vuole sapere; egli dichiara, che non gli dà il cuore di allontanarsi dalle persone unicamente dilette nel mondo, che siete voi sua madre e la sua moglie Serena, tanto più che gli parrebbe quasi tradire questa ultima, ora che la conosce inferma. — Ma egli non le può essere di verun sollievo... glielo avete detto? — Io gliel'ho detto, ma mi ha risposto che se gli toccasse a morire lontano da lei e da voi gli parrebbe morire due volte; e poi ha osservato, che vale meglio finirla con una brava palla di moschetto a casa sua, che vivere nell'altrui come cosa disutile... — E voi che gli avete contrapposto? — Gli ho contrapposto ch'egli aveva ragione da vendere. — O santissima Vergine, va, che io ho messo in buone mani i miei negozii! — Sentite signora, noi abbiamo fatto già da parecchio tempo giuramento nelle mani del curato di Guagno dinanzi all'ostia consacrata di non parlare mai d'esilio, bensì qui fermarci, e spendere l'ultima stilla di sangue per la nostra patria. — Signore! Signore! esclamò angosciosa Francesca Domenica levando le braccia al cielo: dunque non ci è verso di farlo ricredere? — Siete côrsa e madre di Altobello; voi avreste a saperlo più di me. — Avete ragione; andate a riposare, ci parleremo dopo. Rimasta sola la madre côrsa meditava: — S'egli possedesse un trono non lo vorrei partecipare con lui, ma la sua miseria non voglio partecipare con altri; sono vecchia, che importa? Amore di madre non conta gli anni. Imperversano i venti ghiacciati, nevi e grandine quasi ogni dì si rovesciano sopra la terra; speriamo che Dio vorrà intepidire il gelo e rasserenare il tempo alla povera madre: e dove il mio Creatore non credesse nella sua misericordia esaudirmi, io vorrei sapere in che consisterebbe il merito se andasse separato dal sacrifizio? Chi ha dato la vita all'uomo può solo senza paura, senza fastidio, anzi con gioia, affrontare la morte per lui; anche la sposa... sì, lo può... ma in caso supremo... due volte o tre... ed anco quattro o sei... poi se non si spenge rallenta... unico lo amore di madre si nudrisce di affanni... e più avvampa quanto più soffre... la moglie può pretendere al titolo di regina dello amore; quella di regina del dolore appartiene alla madre. E a chi mai la madre confiderebbe la cura di alimentare il figliuolo? Ai servi di casa? Poniamo, che per reverenza e per affetto ci si adattassero, ma essi hanno mogli, o figli, o padri, o madri e per portare il cibo al mio figliuolo correrebbero rischio di perdere la vita, e con essa ridurre alla disperazione tutta la loro famiglia; mentre io non corro un rischio al mondo; perchè quale nato da donna vorrà condannare a morte la madre la quale continua a esercitare il compito impostole dalla natura di nudrire la sua prole? Ed anco si trovasse questo servo fedele... chi mi assicura che durerà sempre così? Quante ansietà! Quanti sospetti! Tanto varrebbe ripormi in seno un nido di scorpioni... Ahimè! L'oro di Francia si è cacciato in mezzo ai cuori di fratello e di fratello, anzi di padre e di figliuolo e gli ha divisi, qual parte di Corsica si è conservata sana dall'influsso di questa maledetta _febbre gialla_? Maria santissima, tu fosti madre, tu conosci a prova tutti i dolori del cuore materno, nelle tua braccia si commette una madre desolata e non ti dice di più. Ferrante dopo breve riposo si mostrò sollecito a partire; la Francesca Domenica oltre alla vittovaglia, gli consegnò un involto di carte dov'ella gli disse che aveva distintamente descritto quello che era da farsi; ne raccomandasse la esecuzione al suo figliuolo punto per punto, tornasse senza far capo alla casa, e si volgesse alla tomba degli Alando; avrebbe trovato la chiave del cancello in una fessura del muro accanto all'arpione destro da basso; entrato nella tomba aprisse la cappella con la chiave, che ella deporrebbe su l'architrave della porticciola, e colà troverebbe di che provvedersi; pel caso poi ch'egli per qualsivoglia accidente non fosse potuto venire, ella fu cauta di farsi insegnare da Ferrante ogni sentiero da lui fino a quel momento esplorato che conduceva in vetta ai colli; nè si rimase contenta alle semplici parole, che volle averne un po' di disegno sopra un foglio, il quale indicasse alla distesa ogni sasso e ogni arbusto, affinchè non si smarrisse; anzi per maggiore sicurezza, sopra i tragetti noti egli avrebbe avuto pensiero di porre di tratto in tratto mucchi di quattro pietre a mo' di calvario, su l'ignoti non avrebbe trovato verun segnale. La vigilia di Natale, che fu giorno frigido e coperto, sicchè i Côrsi per lo insolito rigore della stagione se ne stavano rannicchiati intorno al focolare, poco prima che sonasse l'_Angelus_ il piovano di santa Divota si recò a visitare Francesca Domenica. In casa sua, chè piissima donna fu all'usanza di quei tempi, epperò amica della gente ecclesiastica; convenivano parecchi preti, onde non ci era da maravigliarsi se ci si facesse vedere anco il piovano di santa Divota; però bisogna dire ch'egli ci usava di rado, in ispecie a cotesta ora. Tuttavolta Francesca Domenica lo accolse con la consueta reverenza, e quegli le domandò della nuora, e come stesse e quanta speranza ci fosse di rivederla sana, dalla risposta dell'Alando, che la infermità le pareva pur troppo grave, ed ogni giorno andava di male in peggio, sicchè se Dio non ci metteva le sue benedette mani, dei rimedii terreni ormai era disperata, il piovano prese argomento di deplorare questa nostra vita caduca; e dirla, come veramente ella è; un singhiozzo convulso tra la culla e la tomba; aggiunse che anche tra i pagani ebbe fede la sentenza che il Cielo ama chi libera presto dalle tribolazioni di questa vita; e lo stesso cristianesimo averla trovata tanto vera che la confermò tra gli articoli di fede. Felice chi muore presto! I nostri occhi di carne, che non hanno virtù d'infatuarsi piangono spesso come sventura ciò che Dio nella infinita sua bontà c'invia come grazia espressa. Insomma, il buon prete girava largo dal cantone; si vedeva chiaro che ad una conchiusione egli voleva venire, ma non trovava la via, e il filo gli si allungava fra le mani: ad ora ad ora volgeva il capo alla porta di casa come persona che abbia nel pigliare una impresa fatto capitale sopra il soccorso altrui e non lo veda arrivare; finalmente venne nella persona del medico di casa: povero soccorso in verità, perchè appariva chiaro, ch'ei si era rasciutto le lacrime, alle quali altre n'erano successe pronte a sgorgare, ma la compagnia dà coraggio, e il priore forse per la millesima volta allora chiuse l'argomento aggiungendo: — veri cristiani dinanzi alle disgrazie dovere imitare le vergini della scrittura che aspettavano lo sposo celeste con la lucerna accesa, e in fondo in fondo bisogna capacitarci che quando ci capita addosso qualche malanno ci guadagniamo un tanto, e più grosso ch'egli è, meglio che mai: — però non era da dubitarsi che la signora Francesca Domenica, persona tanto pia... tanto religiosa non fosse per ricevere con rassegnazione... — Che mai? — Una... una... Il dottore proruppe in uno scoppio di pianto; la Francesca Domenica con faccia fosca compì la frase. — Una grande sciagura. Poi si mise l'indice della manca su traverso le labbra e con la destra indicando la stanza dove giaceva la inferma, disse: — Zitto! Andiamo altrove; cotesta desolata se vi sentisse rimarrebbe sul colpo. Scesero nella camera terrena dove un po' il piovano, un po' il dottore la ragguagliarono come in prossimità del _procoio_ di santa Colomba, appunto su la strada, che rasenta la Restonica, dov'è la cappella della Immacolata lì a piè del cipresso a mancina avessero trovato ucciso il suo figliuolo Altobello; la _giustizia_ recatasi su i luoghi dopo avergli rinvenuto addosso il suo passaporto, il congedo amplissimo della repubblica di Venezia, con altre più carte assai, ed una lettera scritta da lei sua madre con la quale lo confortava a lasciare la compagnia dei banditi sconveniente al suo lignaggio, si tenesse nascosto per qualche giorno al _procoio_, ch'ella con la parentela avrebbe adoperato in modo che S. M. cristianissima lo avesse pigliato in grazia; e di questo nutrire buona speranza: dove mai fosse rimasta delusa, gli avrebbe procurato modo di riparare in Toscana, ovvero tornarsene a Venezia dov'egli avrebbe condotto vita più onorata, e certo poi più tranquilla. Francesca Domenica lasciava dire, e metteva a un punto maraviglia e spavento nei suoi visitatori la terribile calma di lei; i quali affetti crebbero in loro quando di repente gl'interrogò: — E gli hanno dato molte ferite? — Eh! parecchie, a quello che ne dicono. — Mortali tutte? — Ma!... a quanto pare orribili! — E chi può averlo ammazzato sospettano? — Tengono per fermo, che i suoi compagni inaspriti per essersi veduti abbandonati da lui lo abbiano raggiunto; e' pare che sien venuti a parole, dopo a fatti; e Altobello sia rimasto soverchiato dal numero non senza difesa nè senza vendetta... — E come mai? — A giudicarne dalla pozza del sangue sparso lì intorno troppo più copioso, che se fosse di un individuo solo, e da una ciocca di capelli strappati che gli trovarono fra le dita aggranchite. — Oh! esclamò Francesca Domenica, e quasi un baleno di contentezza le illuminò il viso, poi senza aggiungere parola aperse furiosa la porta di casa, e fuggì via. Il piovano ed il dottore le trassero dietro con tardi passi, intantochè l'uno diceva all'altro: — Ahimè! Ahimè? povera signora, ho paura che la vampa dell'angoscia le abbia incenerito il cuore... — E dubito anche il cervello, piovano mio... — Oh! che sciagura, che grande sciagura! Il popolo avvisato del caso, un po' per compassione, molto per curiosità, faceva gomitolo ingrossandosi alle spalle dei due desolati; i parenti così donne come uomini dell'amplissima famiglia Alando tanto non furono trattenuti dalla speranza o dal timore della nuova dominazione, che si restassero in cotesto caso supremo dagli uffici consacrati dal costume e resi più religiosi adesso, che con la morte di Altobello veniva a spegnersi l'ultimo fiato dell'inclita casa Alando. La madre arrivò sul luogo dell'omicidio, e vi rinvenne il cappellano e parecchi dei manenti, i quali avevano messo insieme in fretta la cassa con alcune tavole sottili, e quivi dentro riposte le infelici reliquie dello ammazzato, poi chiuse col coperchio dipinto per tutta la lunghezza di una croce nera senza però conficcarlo; ciò compito, senza far caso della brezza gelata si erano messi col capo scoperto in ginocchioni intorno la cassa a pregare. Arrivò la madre, e fece volare il coperchio, chinandosi giù genuflessa sul cadavere. Signore! Egli era spettacolo da rompere ogni altro cuore non che quello della madre: almeno alla madre di Cristo resero il corpo del figliolo intero, certo forato nei piedi e nelle mani, con la lanciata nelle costole; certo con la persona livida per truce flagellazione, e le tempia e la fronte lacere dalla corona di spine; certo con le labbra nere per l'ultima bevanda di aceto e fiele, ma pure intero: ora quale Francesca Domenica rivedeva la carne sua! e' sembra gli avessero sparato un trombone a bruciapelo nella testa, imperciocchè tutta la parte superiore della faccia era sparita; nell'angolo destro al sommo della cassa si vedevano con raccapriccio ammonticchiati i frammenti di ossi, i brani delle carni e del cervello raccolti sul terreno; traverso la bocca che conservava appena tre o quattro denti si vedeva l'aria; innumerevoli gli sdruci e le ferite per tutta la persona: su le mammelle come nelle altre parti più carnose del corpo si mirava, barbarissimo strazio! la impronta delle bullette delle scarpe di chi lo aveva calpestato; però fra le dita avevano insinuato un crocifisso senza però levarci la ciocca dei capelli, quasi testimonianza che la religione e la vendetta fossero due affetti del pari sacri pei Côrsi. [Illustrazione: Lella trattenne il fiato, e vide cotesto uomo che, scavato un buco fra i rottami e piantatavi la croce, la fissò diritta. (_pag. 403_)] Il cappellano e i manenti, vedendo da lontano comparire il popolo, gli andarono incontro col Cristo grande e coi lampioni: intanto la madre si era messa a sedere in terra con la manca sulla sponda della cassa facendo l'atto di cullare, e con la destra armata di bacchio allontanava lo stormo dei corvi di già scesi all'odore del morto, i quali con istupenda insistenza secondo la natura loro improntamente ritornavano per beccare. Ben doveva essere crudele chi non piangeva contemplando così stranamente riprodotto lo spettacolo della madre, che dimena su gli arcioni il letticciuolo del suo pargolo e veglia a studio che non lo molestino le mosche. E non poteva cadere dubbio che in quel punto simile fantasia occupasse la mente della derelitta, conciossiachè con la solita cantilena idonea a conciliare il sonno, ella cantasse la _nanna_ famosa composta nel dialetto della provincia di Coscione: Nelli monti di Cuscioni V'era nata una zitedra E la sò cara mammoni[40] Li faceva l'annannaredra E quand'ella l'annannava Stu talentu[41] li pregava. Addurmentati parpena[42] Allegrezza di mammoni C'aghiu da allestì la cena E da cusce[43] li piloni Pe 'u to tintu[44] babbaredru E pe li to fratedroni Quando vo' saretti grandi Vi faremo lu vestitu La camicia, lu bannedru[45] E l'imbustu ben guarnitu Di dru pannu sfinazzatu[46] Chisistessea Carticciatu[47] Vi deremu lu maritu Ailevatu a li strazzali[48] Un bellissimu partitu Esarà lu capurali De li nostri montagnoli Pecorai, e caprachioli. Quando andretti sposata Purteretti li frenieri,[49] N'anderetti incavalciata Con tutti li mudracchieri[50] Passerettri insannicciata[51] A caramusa imbuffata[52] Lo sposu n'andrà avanti Cu li sò belli cusciali Vi saranno tutti quanti Li sò cugini carnali Alla Zonza di Tavera[53] Vi farannu la spaller.[54] Quandu arrivate a lu stazzu Dove avete poi da stani Susterà la surerani E bi tuccherà li mani: E bi arà presentatu Un tinedrudi caghiatu[55]» Le donne o congiunte o amiche, quando furono da presso si disciolsero le chiome, e con urli e pianti miserabili principiarono la _scirrata_, chiamando il morto co' nomi più soavi, rammentandone le virtù vere o supposte, e dolcemente riprendendolo perchè se ne fosse andato e si mantenesse sordo agl'inviti di tornare. Una sola, una donna sola, e questa fu Lella Campana venuta anch'essa perchè parente della Francesca Domenica, e più per refrigerare l'anima assetata di vendetta, si chinò su la cassa col pretesto di piangere sul cadavere difformato, ma in sostanza per esplorarne sottilmente le parti rimaste intatte, in ispecie le mani: allora Francesca Domenica forse nel suo delirio gelosa di cotesto affetto, o quale altra più vera causa la movesse, di un tratto si rizza in piedi, forte stringendo la fanciulla la trascina seco; poi agguanta un'altra donna, ed ordinando che a sua volta questa ne impalmasse un'altra, diede il segno del _caracolo_ intorno al morto. Guido Reni fece opera di bellezza immortale dipingendo a Roma il ballo delle ore in giro al carro del sole; Michelangelo solo avrebbe potuto ritrarre l'orribile caribo di vecchie e di fanciulle nel delirio del dolore turbinato a tondo quel misero corpo; gli occhi sfavillavano come spade percosse fra loro; urli più strazianti non lacerarono mai orecchi umani, i capelli bianchi, biondi e neri mescolavansi ventilati e sferzavano i volti; le vesti anch'esse scoppiettavano agitate dalla violenza dei moti; pallidi i volti come per morte a molte, a talune chiazzati quasi da vivido sprillo di sangue; gli atti vari e tutti paurosi: visione tremenda di spettri inebbriati di dolore. A crescere la selvaggia pietà della scena, alla mente inferma di Francesca Domenica si affacciò la voglia di mettere il ritornello ad ogni _scirrota_, pianta da talune delle donne: questo era inconsueto nei voceri, e solo costumavasi nelle allegre serenate o nei canti nuziali dove al termine di ogni strofa tutti gli astanti ripetevano in coro il ritornello da loro chiamata la succhiella, dopo la quale sparavano gli archibugi. Siffatta novità per questo appunto percoteva l'anima più tristamente, perchè una lieta usanza venisse tradotta a cosa piena di mestizia, nè il ritornello poteva essere scelto più lugubre; di vero, quando una donna finiva, Francesca Domenica con le altre tutte cantava o piuttosto ululava un versetto del salmo _De profundis clamavi ad te, Domine: Domine, exaudi vocem meam_. Quantunque non si temesser disordini, pure il governator di Corte mandò il maresciallo di campo Sionville e il capitano Orso Campana con alquanti micheletti del provinciale a dare un'occhiata. Sionville si spazientava a vedere tutte codeste diavolerie; egli non sapeva darsi pace che per un morto si dovessero tribolare tanti vivi; il Campana gli stava dintorno raumiliandolo il meglio che poteva, e lo confortava a tollerare coteste vecchie usanze del paese; in tutto ciò che non tornava a disservizio del re lasciasse andare tre pani per coppia; ma l'altro arrovellato non lo voleva intendere, e tempestava che i morti si avessero a seppellire senza tante smancierie, e chi ha avuto ha avuto. Cotesto loro alterco da cattive parole sarebbe tralignato a peggio fatti, se una nuova apparizione non fosse venuta repentinamente ad interromperlo. Fu vista spuntare dalla lontana una barella portata adagio adagio sopra le spalle di quattro uomini, come se dentro vi giacesse persona gravemente inferma, e pur troppo l'apparenza corrispondeva alla realtà, imperciocchè trasportassero la infelice Serena. Poco dopo la partenza da casa di Francesca Domenica, un accattone che soleva frequentarvi per la elemosina, approfittandosi dello scompiglio salì su in camera della inferma, e le disse alla ricisa: — Signora! Signora! La gran disgrazia ch'è successa a questa casa! La gran disgrazia? La sapete voi? — Quale mai disgrazia? ricercò Serena facendosi in volto color di cenere. — Madonna santissima, non vi spaventate.... hanno ucciso.... anzi crivellato di ferite il vostro sposo, signore Altobello. E questo fu tiro della Lella Campana, la quale si valse della scempiaggine di codesto mendicante per dare del coltello nel cuore alla desolata Serena. Serena resistè alla percossa forse per la medesima causa per cui la rovere si rompe all'avvicinarsi dell'uragano, e la canna no; rinvenuta dallo sbalordimento fece chiamare certe sue amiche, e mercè loro ottenne la trasportassero in barella sul luogo dove giaceva l'ammazzato per dargli l'ultimo addio. Contrastare a qualunque il compimento di queste voglie lugubri parrebbe peccato, molto meno si giudicava pietoso negarlo a lei, povera tinta! che oramai più pochi giorni aveva da passare sopra la terra. Le fanciulle amiche della Serena, parte circondavano e parte precedevano la barella: queste ultime, quando la gente affollandosi dintorno impediva il cammino, dicevano: «fate largo, è la sposa dell'ammazzato, che viene a dirgli addio,» e tanto bastava perchè si ritirassero e facessero spalliera cavandosi il berretto. — Certo, meritano lode i popoli presso cui la sventura offre argomento di commiserazione; i Côrsi poi in questa parte singolari, non solo compiangono i percossi dalla fortuna, ma li venerano; così gli antichi ebbero sacri i tocchi dal fulmine. Appena dall'alto della barella potè scorgersi il luogo dove giaceva il morto, fu vista mettersi a sedere con grande stento una larva di donna, e stendere due braccia scarne più paurose degli ossi da morto, sì per fermo più paurosi, dacchè vedendo lo scheletro tu conosci averlo omai abbandonato la vita, e le ossa nude ti dicono essere diventata proprietà della morte; ma le braccia del tisico ti pongono dinanzi agli occhi la morte che ha messo il piè sul petto della vita e non l'ha anco uccisa, una lunga agonia da bere a sorso a sorso, e spasimi nuovi e più dolorosi di tutti perchè ultimi, — nel punto stesso in mezzo ad una maniera di rantolo s'intese singhiozzata una voce: — Altobello! Francesca Domenica tutta fuori di sè dall'agitazione della strana cerimonia che aveva provocata, non vide, nè sentì nulla fino a quel punto: ora colta all'improvviso da cotesto lamento si sciolse furiosa dalle braccia altrui, ed abbrancato il coperchio della cassa ne coperse precipitosamente il cadavere, poi ci si assettò sopra nascondendo la faccia su i ginocchi e agguantandosi il capo con ambedue le mani. — Largo alla sposa dell'ammazzato, largo! E la barella fra le teste del popolo ora appariva, ora spariva a guisa di barca sospinta dalla tempesta contro lo scoglio dove ha da rompersi. Per ultimo la barella fu deposta accanto alla cassa, e Serena potè dire con fiochissima voce: — Mamma mia, non ci contrastate vedere anco una volta la faccia di Altobello! era mio sposo alla fine. Abbiate pietà di me, a cui da questa in fuori non avanza altra consolazione nel mondo. Francesca Domenica levò la faccia e mostrò gli occhi pieni di sangue ma senza lacrime, e rispose: — No... — Oh! perchè no? Non era egli carne della mia carne. — Portatela via... ella non ci ha più che fare... — Questa è crudeltà, prese a dire un astante, non può negarsi alla moglie di baciare per l'ultima volta il suo marito. — La pietosa era Lella Campana; la riconobbe Francesca Domenica e la guardò: spesso avrete sentito affermare come gli occhi della creatura umana possiedano la virtù di atterrire i serpenti; non credete nulla; perchè se gli occhi nostri avessero questa potenza, sotto lo sguardo di Francesca Domenica, Lella Campana sarebbe rimasta fulminata. All'opposto la feroce non se ne sentì commossa nè sgomenta, e continuò a schiamazzare: — La è divenuta matta! Menatela in casa... e la poverina abbia il suo sfogo... E fattasi più temeraria, forse con la speranza di essere sovvenuta, ella si attentò accostarsi a Francesca Domenica e metterle le mani addosso: questa balzò in piedi come arco scattato, e ghermitala per la cintura la squassò forte tre o quattro volte, poi la spinse con immensa rabbia a rotolare per terra lontano da sè: subito dopo tornò a custodire la cassa, ed imbattutasi a caso nei chiodi che il falegname aveva lasciati lì in terra, li prese e si provò conficcarli col pugno; accortosi che a quel modo si lacerava le carni e non veniva a capo di nulla, agguantò un sasso e con esso fece migliore opera. Questi casi tutti accadevano in minor spazio di tempo che non fu speso a raccontarli; però quantunque tra la gente radunata prevalesse la opinione che la ambascia avesse tolto l'intelletto alla signora Alando, pure si capì, che codesta sua ripugnanza a scoprire la cassa nasceva dalla pietosa voglia di nascondere agli occhi della inferma lo spettacolo dello straziato consorte; quindi biasimo della proterva Campana, e lode a lei e tenera premura di sollevarla nel tristo ufficio d'inchiodare la cassa del figliuolo ammazzato. Francesca Domenica compita l'opera pregò il piovano, il dottore e gli amici di casa a portare, senza mettere tempo di mezzo, il cadavere nella tomba degli Alando e a dargli sepoltura; ai servi ordinò andassero con loro, ella basterebbe sola a confortare Serena... Il maresciallo Sionville presente a tutte queste avventure metteva di tratto in tratto le mani sur una zucca piena di acquavite e se la recava alla bocca; da prima parvero gli spazi ragionevoli, ma l'ultimo si può dire ch'ei facesse una bevuta continua: quando ebbe a mettere la zucca proprio a perpendicolo nell'orizzonte e squassarla a più riprese per isgocciolarne l'ultima stilla, si sentì venire come un solletico sotto le mammelle, ch'egli battezzò per compassione a casa sua; onde afferrato il braccio del Campana: — Orsù! gli disse, capitano bando ai rancori. Andiamo via; in verità le son cose a far piangere i sassi. Di ora in poi sua eccellenza il signor governatore, quando mi commette a simili spedizioni mi ha da restituire il soprassoldo di guerra e penso che quegli che ne andrà di sotto sarò io, perchè ci vuole, per durare, triplicata la provvista di acquavite... e voi ne potrete fare al bisogno buona testimonianza. Orso si lasciò condurre; egli non pensava a niente, ma si sentiva il capo intronato; giunto a casa tardi non volle cena, e preso il candeliere, senza profferire parola si avviò alla sua camera; mentre stava sul punto di chiudere l'uscio, vedendo comparire la sua figliuola, le disse: — Lella! Adesso che ti pare, la tua vendetta è soddisfatta? — Forse — rispose costei; ed Orso stizzito traendosi dietro l'uscio con violenza imprecò: — Quando andrai all'inferno ce ne troverai dei meglio di te. Francesca Domenica adagiata ch'ebbe la povera Serena sul letto, la prese pel capo, la baciava e ribaciava, poi accostatale quanto più poteva la bocca all'orecchio di lei ci sussurrò sommessa: — Perdono, figliuola mia, io vi domando perdono; Altobello non è morto, ma vive e vi ama, e vi supplica a pigliare animo. — Come! Come! non mi hanno ammazzato Altobello mio? E quegli che era là morto...? — Calmati, figliuola mia, bevi questo... il cuore ti palpita orribilmente sempre... la carne ti brucia... te lo racconterò un'altra volta... più tardi. Se non che Serena, con la potenza della volontà dominando lo scompiglio del corpo, comparve quasi tranquilla. — Mamma, dite pure senza sospetto, io sono quieta... vedete, io rido. E rise, povera fanciulla! Francesca Domenica si fece all'uscio, speculò se alcuno stesse in ascolto, chiuse la imposta, e da capo china su l'orecchio di Serena, espose: — Altobello averle mandato a rispondere anteporre all'esilio dalla Patria morire da presso alla sposa e alla madre, dilettissime sue, mettesse giù la speranza di fargli mutare pensiero, e lo perdonasse; eccetto che in questa lo avrebbe rinvenuto in ogni altra cosa obbedientissimo; e poi ad osservare simile risoluzione stringerlo il giuramento. Ora la madre di Alando patirebbe il suo figliuolo spergiuro? E' ci era da deplorare ch'egli avesse preso questo proponimento, e come! ma credere che lo potesse mutare, sarebbe stata follia. Altobello bensì prometteva di starsi quieto, e per quanto era in lui, industriarsi in modo che dimenticassero ch'ei fosse in vita; solo domandare lo provvedessero di quanto abbisogna puramente per non morire di fame; dolergli forte non potere esimere i parenti da questo carico, imperciocchè la montagna, dopo scesi i pastori con gli armenti alla pianura, era rimasta deserta. — Messami a considerare di proposito (Francesca Domenica continuava) la faccenda, conobbi che tale incumbenza non era da commettersi a persona, comecchè fidatissima; troppo il pericolo per altrui, e poi viviamo in tempi tristi, figliuola mia; se Gesù tornasse, non un traditore sopra dodici, ma undici e' ne conterebbe, e nel rimasto chi sa quanti carati troverebbe di mondiglia. Quello che la madre e la moglie possono fare per la salvezza del marito e figliuolo loro non devono confidare altrui. A sovvenirlo pertanto con efficacia bisognava ottenere due cose, la prima di condursi ad abitare la villa senza movere sospetto, e l'altra addormentare la persecuzione vendicativa che ci fa guerra, pensa e ripensa, mi cadde in mente un partito orribile, ma necessità non ha legge; innanzi ch'ei fosse stato messo a esecuzione sperai che Dio lo volesse perdonare all'anima disperata di una madre, ma ora dubito di aver creduto temerariamente, dacchè vedo che t'ho partorito tanto dolore, e siamo sul cominciare? — Magari! che a furia di dolori si potesse salvare Altobello.... se fossero sette mi parrebbero pochi... — Benedetta tu sia! Consigliai che pigliassero lingua se qualche giovane di statura non molto dissomigliante da quella di Altobello fosse venuto a morte nei paesi dintorno; lo cavassero dalla terra con diligenza; affinchè veruno sospettasse della sottrazione, lo deformassero in volto e trasportatolo presso al procojo di Santa Colomba lo esponessero alla pubblica strada; perchè la gente lo stimasse il corpo di Altobello, provvidi a suscitare subito la voce che i suoi compagni in vendetta di essere stati abbandonati da lui lo avessero ucciso; indosso gli feci porre il suo passaporto, il congedo della Repubblica di Venezia, con parecchie altre carte comprovanti l'essere suo, e per ultimo certa mia lettera nella quale con preghiere e ragioni e promesse lo confortava al passo che doveva parere essergli costato la vita. Nella tomba degli Alando divisava seppellirlo, e ce l'ho fatto seppellire per avere occasione di visitarlo spesso, io poi doveva fingermi ammattita, e così ho cominciato, e se Dio non ordina meglio così continuerò. Tu capisci adesso la causa per cui io pertinace ricusai mostrarti il cadavere — se tu non ti addavi del soppiantamento, dubitava che alla vista dell'orribile strazio (e davvero lo hanno concio da fare pietà) tu per la stretta del cuore rendessi l'anima a Dio; oppure ti apponevi, e allora temeva che la tua improvvida allegrezza non mandasse nell'aria tutta la trama, tanto più che molti nemici così pubblici come privati stavano ad esplorare con maligna intenzione. Se te lo tacqui, Serena non mi accusare, perchè lo feci a fine di bene, riserbandomi a dirtelo poco per volta, perchè la tua salute, che merita tanti riguardi, non se ne sentisse scossa. Ai servi ordinai badassero bene di non fiatare, ma l'uomo propone e Dio dispone, e tu sei venuta a saperlo per altra via, e male; però dubito non ci entri Dio, bensì il diavolo, o Lella Campana ch'è tutt'uno... — E che le ho fatto io? — Che le abbiamo fatto noi? Io madre, tu sposa di Alando che mise le mani addosso a Giovan Brando suo fidanzato... e tu domandi che cosa le abbiam fatto? — Ahi! odio, odio, e sempre odio, esclamò Serena, cacciandosi le mani dentro i capelli; ma Francesca Domenica la venne consolando con queste parole: — Però vedi, Serena, Dio non le concede tutte vinte ai maligni, anzi opera spesso che i loro tiri resultino in vantaggio dei grami che volevano perdere; e questa grazia ha fatto adesso a noi perchè la tua venuta quaggiù ci somministrerà causa onesta di rimanerci in campagna, dicendo e facendo dire la tua salute non permettere nuovo trasporto; non istenteranno a credere che dopo il colpo di stamattina non potrebbero moverti senza esporti a subita morte. — Ed io voglio vivere... disse Serena di cui la fronte si rischiarava mano a mano che Francesca Domenica procedeva nel racconto, così alla brezza montanina si dirada il velo delle nuvole davanti la faccia del sole; ma ahimè! con fine diverso, dacchè dalle nuvole rotte prorompe il raggio che ravviva, mentre quando la fronte di Serena apparve pacata, ella prese la mano della socera; se la recò alla bocca, la baciò e cadde riversa sopra i guanciali. Francesca Domenica sentendosi umida la mano se la mirò sbigottita e ci vide il contorno dei labbri di Serena delineato col sangue: la tenne spirata, e cadendo ginocchioni, esclamò: — Ah! beatissima Vergine, accogliete questa povera martire nelle vostre sante braccia. CAPITOLO X. I Proscritti Costumavano i Côrsi, per poco essi fossero provveduti di beni di fortuna, e tuttavia molti fra loro costumano fabbricare in luoghi appartati dei propri tenèri, cappelle funerarie, e quivi di intorno recinto di muro, alquanto spazio di terra destinarlo per le sepolture della famiglia. Talora, ma raro, ne fanno parte ai clienti di casa benemeriti per diuturni uffici e chiari di fama: perchè essi hanno per cosa sacra le tombe. Vagando per la campagna, e quando te lo aspetti meno, là dove più folti intralciano i rami gli olivi per riunire le forze contro la tempesta, arte che gli alberi hanno appreso e gli uomini no; là dove i cipressi accostano fra loro mollemente le cime come innamorati che si pieghino a dire e a sentire una dolce parola, e la rosa silvestre anco lo inverno tratto tratto fiorisce quasi a esplorare se la primavera anco nasca; là dove il mandorlo non perde mai le foglie, e l'alloro mantiene sempre verdi le sue per incoronare forse la fronte del Messia della libertà, che su questa terra infelice aspettiamo da molti secoli e non viene mai; in mezzo dico a tanta pompa di natura, ti comparisce davanti un sepolcro. In questi recessi ombrosi, mentre tutto è silenzio intorno a te, sembra che la Provvidenza ti voglia mettere come in mano un libro, che nel numero del mondo tu dimentichi spesso di leggere. La vista delle cose dilettabili, che la natura in tanta copia creò, rallegra eccessivamente l'uomo, e troppo lo amica alla vita; quella poi del sepolcro ignudo di ogni conforto, lo deprime troppo col rammentargli sempre ch'è polvere; all'opposto queste tombe rallegrate dalla vegetazione dei campi temperano l'anima nostra a giusta misura: per loro meglio che per ogni altro insegnamento s'impara che lo spirito dell'uomo è crepuscolo di un giorno che muore e di un giorno che nasce; il suo intelletto, baleno che può nella breve durata segnare una parola di Dio nella faccia del firmamento; nè la stessa materia trasformandosi merita querimonia o almeno sì grande, se è destinata a crescere la massa delle cose capaci a giocondare la vita, di chi viene dopo di noi. Anche Bastia, città che più delle altre sente l'alito che le viene dallo straniero pel mare, conserva la religione delle tombe e ne mostra gremita una valle che prolungandosi per le coste di Santa Lucia e di Gardo arriva fino su l'alture dell'antica pieve di Pietra a Bugno; anche di giorno non si contempla senza venerazione, ma nelle notti divinamente serene di state quando la brezza chiusa nella forra rende vocale ogni pianta, e gli usignuoli empiono l'aere di note e le lucciole di splendori, sicchè tu pensi che il canto accenda l'aria la quale giubilando mandi faville; e la luna consola con la sua luce benedetta le tombe dei defunti e l'anima di chi affettuosamente gli rammenta, se mai ti avvenga affacciarti dall'altura che sta alle spalle della tomba degli Arena, ben sei feroce se non ti sentirai commosso da religioso terrore, ben duro se non ti parrà vedere uscire pallide larve dai sepolcri e udirle scambiarsi miti colloqui, ben selvaggio se non comprenderai come la salute di un popolo non è mai disperata finchè conservi così profonda la reverenza pei morti. Visitano le tombe i congiunti e spesso gli amici, ma in troppo maggior copia donne che uomini. Le parenti aprono le porte e chiudonsi dentro sicchè di rado si vedono; le amiche poi s'inginocchiano su la soglia col capo appoggiato alle porte di ferro e quivi pregano intensamente, così fervidamente, che passo di viandante nè di somiero vale a scoterle, anzi neppure gridi scomposti o strepito di cosa che accenni a danno avvenuto, o li minacci; e di questo io faccio fede perchè l'ho sperimentato. O come ama la donna, quando ama davvero! La famiglia Alando possedeva le sue tombe nel procoio della Restonica o di Santa Colomba; però parve plausibile la causa che trattenne la Francesca Domenica, molto più che si diceva, ed era naturale, che l'angoscia di trovarsi sola superstite di tutta la famiglia le avesse alterata la mente: per ultimo senza grave pericolo non si sarebbe potuto trasportare la Serena che ormai presso a morire tornava in chiave non si allontanasse dalla tomba; vi fu anche taluno che ripetendo queste novelle aggiungeva per via di arguzia che la signora Alando nel perdere il cervello ci aveva guadagnato un tanto, perchè era da dubitarsi se sana avrebbe saputo eleggere così savio partito. Altre sventure, che non sono queste, sprofondano nel mare morto dello interesse umano con minore scompiglio della triste superficie: così per qualche giorno la commiserazione del caso sonò universale; in capo ad una settimana le opinioni si divisero e parecchi cominciarono a dire ch'era doloroso comprare a questo prezzo la pubblica tranquillità, ma che pure la proviamo tanto necessario elemento all'ordinato vivere, che qualsivoglia prezzo non si può stimare mai troppo; altri poi si attentarono predicare addirittura ch'ella era stata grazia di Dio, e avrebbero dovuto appendere il voto, dacchè la rabbia si era manifestata fra i cani, e il paese veniva a purgarsi dai banditi senza scapito incamminandosi bel bello a quel grado di civiltà che stava in cima dei pensieri di sua maestà cristianissima, che era Luigi XV, il quale per avventura a tempo avanzato ne favellava con la madama Dubarry. Francesca Domenica si conduceva quotidianamente e spesso anche più volte al dì, non meno che la notte, a visitare la tomba del figliuolo; chiudevasi nella cappella ed attendeva a fare colletti di vettovaglie di facile trasporto: e col continuo portarvi robe, la cappella aveva preso l'aspetto di una canova, senza, per mio avviso, dispiacere dei santi colà dentro dipinti. Ella poi per ripararsi dal freddo o per altre cause si era vestita di una cappa nera col cappuccio parimente nero: sebbene non avesse dato più in ismanie come il giorno della morte del figliuolo, all'opposto assunto un fare malinconico, non per questo sembrava le fosse tornato il cervello in sesto; ed invero ella procedeva sempre col cappuccio tirato giù su la faccia, e borbottava parole senza discorso, sicchè all'ultimo i fanciulli avevano preso a impaurirsene, e le mamme per farli stare cheti non trovavano meglio che minacciarli così: «ecco che viene la donna nera!» Siccome la superstizione di sua natura è male attaccaticcio, le mamme nell'applicarla altrui la svegliarono in sè stesse, onde se qualche faccenda andava loro al rovescio, subito ne incolpavano il mal di occhio della donna nera; se incinte la incontravano per via, sputavano subito per gittare il fascino per terra, gli uomini vennero più tardi, pure vennero anch'essi non mica per affannarsi della moglie o dei figliuoli, bensì per la vacca, il vitello, il cavallo e le capre, perchè vivono rari ma rari bene i villani i quali tutte queste creature non antepongano alla moglie, ed anco un tantino ai figlioli. Crebbe il terrore per averla veduta, come affermavano, nella stessa ora in più luoghi; tali gli atti, il sembiante il borbottìo e le vesti: un paesano giurava averla incontrata a pie' dei colli di Tiventoso dond'era partito la mattina all'alba su di un cavallo che volava, ed essere rimasto di sasso quando traversando la strada che passa davanti al procoio di santa Colomba le apparve in procinto di uscire di casa quieta e composta come se fosse uscita allora dal letto. Senza incontrare molestia così durarono fino agli ultimi di gennaio. Ferrante vestito di una cappa nera col cappuccio tirato su gli occhi imitando i passi e i gesti di Francesca Domenica si recava ogni lunedì alla posta dov'essa lo aspettava e date e ricevute le salutazioni, ei metteva su le spalle e pigliava sotto le braccia i colletti delle provvisioni recandole su la cima delle rupi; a sollevarlo da tanta fatica lungo la via più erta rinveniva i compagni, e tra di loro nascevano sempre liti intorno al volerla portare fino alla grotta Ferrante, e al volergliela torre i compagni, e sempre finivano col levargliela e lasciarlo addietro stanco com'era. A quei giorni Ferrante richiesto le centinaia di volte si adattò ad appagare un desiderio di Francesca Domenica dal quale egli aveva tentato dissuaderla invano, ed era di voler ad ogni costo salire sul monte per refrigerarsi un po' il cuore con la cara vista del figliuolo suo: andò pertanto il Canale la notte del lunedì, si tenne nascosto nella cappella tutto martedì mattina, e come battè l'un'ora di notte si mise con la Alando in viaggio: avevano lungo tempo discusso fra loro se giovasse meglio mutare vesti o andarsene ambedue con la cappa ed il cappuccio neri: dopo avere ventilato bene il guadagno e lo scapito, decisero mostrarsi ambedue con la cappa e imbacuccati, imperciocchè se occorreva che qualche Côrso li vedesse insieme, avrebbe creduto incontrare i _battutoli_ e sarebbe fuggito via peggio che se lo cacciasse il Trentadiavoli. Il giorno gli sorprese a piè dei colli, giorno infermo, promettitore fino dal suo nascere di uggia e di guai; sembrava rovesciato l'ordine della natura per modo, che il cielo non mandasse più la luce sopra la terra, bensì questa illuminasse il cielo; infatti le pendici coperte di neve spiccavano di luminosa bianchezza sul fondo grigio dell'orizzonte. Nel mettersi dentro l'angusto calle Ferrante, e' sembra che gli occorresse cosa che lo inquietasse, perocchè non valse a frenare un moto di fastidio, il quale avvertendo la sua compagna gli domandò: — Ch'è ciò, che vi molesta? — Nulla. — Che serve! Vuolsi serbare segreti con me? — Mirate! Mi mettono malumore addosso queste pedate qui... — Mi sembra, che non ci sia ragione da ombrarvene; e' posseno essere scesi fin qua, e poi risaliti... — Ma allora perchè non appaiono punto orme all'ingiù? — Forse quando scesero non nevicava, o forse tanto si trattennero giù, che la neve novella ha coperto le traccie della vecchia. — Dio ci aiuti, ma camminiamo con precauzione. Il sentier di cotesto monte, o piuttosto di quello ammasso di roccie si avvolgeva per contigui giri, ed ora saliva, ora scendeva per erpicarsi da capo. [Illustrazione: E non è giusta, Clemente, che riceva il battesimo di solo sangue côrso; fa, o fratello in Cristo, diceva il frate moribondo, di mescolarvici un tantino di sangue francese (_pag. 460_)] Ferrante nell'avvicinarsi a certa vetta udì parole, che gli portava il vento, però accostandosi con maggiore studio, ficcò il capo in mezzo alla spaccatura di uno scoglio e declinati gli occhi vide quello, che pur troppo temeva di vedere, i micheletti del provinciale, i quali ad argomentarne dagli atti, andavano in su di malavoglia. Dietro tutti il capitano Orso Campana che, ormai vecchio, e di persona grave, si era fermato a discorrere, e quasi avrei a contendere con un officiale francese: difatti così alto favellava, che il Ferrante, tra altre molte, ebbe abilità di udire queste parole: — Per me, le mi paiono cose da matti, mio padrone riverito, perchè, stia qui col cervello, o e' ci sono, o e' non ci sono; se non ci sono, corriamo il rischio di morire stecchiti innanzi di arrivare lassù; e se ci sono, posto che vinciamo la prova del freddo, rimane a superare quella del fuoco: veda che i soldati non possono camminare eccetto che ad uno per volta, sicchè un uomo solo in qualche giravolta può fare testa a tutti; oltre questo ci è un altro pericolo da non disprezzarsi punto, e consiste in un nuvolo di pietroni, che già sento piovermi addosso. Ora, padron mio, è chiarito, che in Corsica capi a prova di pietre non ne sono mai nati. — Ed in Francia neppure, signor capitano. — Dunque come avremmo a comportarci? — Veda! con modi assai destri disfacendo il fatto; tornarcene a basso, mettere un picchetto in fondo alla salita, entrare in qualche casa di pastore per asciugarci e riscaldarci; mangiare un poco, bere un tantinello di più, riposarci fino a domani, che il tempo sarà senza dubbio migliore: allora esploreremo il colle, e vedremo se oltre questo offre altri sentieri; se gli ha vi ordineremo sentinelle raddoppiate: insomma convertiremo l'assedio in blocco. — Pure quel leggere il proprio nome nel rapporto al re, che il capitano Lepitre, in mezzo ai turbini della neve, e a un nuvolo di palle, acqua e fuoco come vedete, ha scalato una rupe retta a perpendicolo, dove ha reciso l'ultima testa all'idra della ribellione, bisogna convenire che sarebbe superbo, magnifico! — Il blocco però è più certo; e dubito forte se della nostra impresa vorranno farne rapporto al re; più forte dubito se riputeranno glorioso un assalto contro banditi; credo poi, che il re non leggerà nulla, e quando leggesse, è sicuro che gliene importerà anche meno. — E pure mi sembra che ad assalire queste rupi ci sia pericolo quanto a montare su la breccia di Anversa o di Bergop-Zoom. — Avete proprio trovato il tasto; il pericolo ci è anco maggiore; ma a morire qui equivale a recitare la Fedra del vostro Racine sur un teatro di fiera anzichè sul teatro di Versaglia: a tutte le cose bisogna scegliere il tempo opportuno; anco a morire. — Addietro, comandò il nostro capitano Lepitre; voi mi avete dette cose, che rasentano molto il senso comune. — Raccomandatevi a Dio di udirle una volta l'anno almeno, come la chiesa comanda la confessione, e allora può darsi che ci facciate conoscenza. Prima assai che questi officiali ponessero fine ai loro ragionamenti agro-dolci, Ferrante si era ritirato dal fesso e persuaso la Francesca Domenica a volgere le spalle. Le parole che mutarono fra essi furono rade ed amare: venuti in fondo, Ferrante si raccomandò alla donna tornasse a casa; egli avrebbe fatto prova di trovare qualche calle che lo guidasse fino su la cima; par quanto amore portava alla Madonna, porgesse ascolto ai suoi consigli. — Vi ho detto, che voglio vedere mio figlio. Queste parole furono profferite con la voce della disperazione che dopo aver pianto le sue lacrime siede sopra una pietra in mezzo della via, guardando il cielo senza pregarlo nè maledirlo. Ferrante tacque, e le prese a camminare avanti. Codesto ammasso di roccie va come la più parte dei monti dell'isola composto a strati, talora perpendicolari tal'altra pendenti a destra o a sinistra, sovente ti sembra che la natura, volendo spaccarli, dopo averci fitto dentro il cuneo ci picchiasse sopra due o tre martellate, e poi distratta smettesse il lavoro in tronco senza ripigliarlo più; così quelle aperture si presentano ad angolo, e per dirla alla povera, a modo di V: le acque piovane scolando per questi canali ci hanno scavate buche, dentro le quali puoi mettere un piede, e così andare su su inosservato anche da cui stesse dieci passi discosto, come per una scala: se non che sovente gli scavi cessano, la pietra casca giù a perpendicolo e a te non avanza far altro che dopo mirato due volte o tre quel lavoro condotto coll'archipendolo, tornartene addietro. Ferrante si cacciò dietro uno di questi fessi e sentiva dietro a sè la madre di Altobello mettere il piede nell'orma ch'ei lasciava: non profferiva parola, e gli pareva non avere mai palpitato di speranza e di terrore come adesso; però fin lì non avevano incontrato intoppo che non avessero potuto superare con mediocre fatica; anzi parve a Ferrante discernere qua e là qualche vestigia di opera di uomo, sia per allargare, sia per assicurare il cammino; già la gioia gettava su la sua anima un raggio sbiadito sì quanto il crepuscolo di autunno, pur sempre affetto diverso dall'angoscia, quando, quasi per fargli scontare codesto atomo di contentezza, lo percosse il fragore del torrente: gli corse lungo i reni il sudore freddo, presagendo che in breve si sarebbero trovati su l'orlo di una fenditura impossibile a passarsi. Raddoppiò il passo come uomo a cui l'incertezza pesi più insopportabile del danno; nè si era punto ingannato: in cotesta parte delle roccie, in mezzo ad una apertura, rovinava uno dei cento torrenti della montagna. Ferrante si sentì mancare il respiro, la vertigine un momento lo prese; un momento, perchè fu uomo d'anima e di nervi di ferro: allora esplorando meglio conobbe, comecchè la neve caduta li coprisse, che nel fianco del dirupo erano stati a forza di scalpello condotti incavi dove poteva appoggiare il piede per discendere; certo col precipizio da un lato, il monte quasi a perpendicolo dall'altro, e cotesti buchi dalla neve resi sdrucciolevoli e ciechi, non presentavano cammino gran fatto dilettabile; ci voleva occhio, piedi e cuore saldi, Ferrante e Francesca Domenica li possedevano. A mezza costa cessava il sentiero, se sentiero può dirsi, sopra uno scoglio sporgente in fuori dal fianco della rupe, e dal fianco opposto si osservava sporgere uno scoglio uguale, quasi due mensole lavorate dal terremoto quando egli si mise a fare da maestro muratore nel mondo, o piuttosto due gheroni laterali di ponte, che o non compì, o compito per ghiribizzo ruppe. Da molti secoli stavano l'uno contro all'altro senza potersi più riunire, pari a due fratelli, che l'odio abbia divisi; invano ravvisiamo in loro la origine comune, invano i segni del medesimo grembo che li portò; del medesimo seno che porse il latte ad entrambi; le loro anime mostrano le ferite insanabili, che si sono recate scambievolmente; se ambedue avessero ad essere accolte in paradiso, una delle due supplicherebbe in grazia la precipitasse Dio nell'inferno. Anche quando dello amore di tutti gli angioli potesse tessersi un laccio, non varrebbe ormai a rilegare due cuori pei quali l'odio divenne la più acuta delle gioie, il più spasimante dei tormenti, la sorgente unica della vita. Il torrente stretto fra codesti scogli urlava come lupo preso a mezza vita dalla tagliuola; le acque compresse si avventavano contro la rupe con rabbia impotente, pari alla vipera dardeggiante la lingua contro il villano, che gli spezzò i reni; quantunque di mole più angusta non era questo spettacolo meno tetro di quello notato da Altobello; così l'Averno antico traversavano parecchi fiumi nella difformità loro tutti ugualmente terribili. E pure l'uomo perseguitato dall'uomo aveva conteso quei luoghi agli uccelli rapaci, imperciocchè oltre il sentiero scalpellato su la parete della rupe apparisse un nuovo segno della presenza di lui in due tronchi di albero gittati sopra le mensole che abbiamo descritto, e stretti insieme con corde di spartea. Da quanti anni durava costà codesto ponte? Erano fradici i legni e tuttavia capaci di sostenere il peso di un corpo umano? Cotesta spartea che pure pendeva giù sfilacciata avrebbe bastato a tenerli uniti? Chi lo sapeva? Chi poteva saperlo? Una cosa era certa, che verun ponte del mondo somigliò tanto quello che Maometto immaginò attraversare l'inferno. Ben è vero, che Maometto sotto l'Al-sirat mette fuoco, e qui rovina l'acqua, ma di qualunque caschi di sotto a quello od a questo, la perdizione sarà del pari sicura. Occorrono casi nella vita, intorno ai quali se tu, sebbene animoso, pensi più di una volta, rifuggi sbigottito: il passo di questo ponte poni addirittura tra quelli, e Ferrante non avrebbe mai pensato a traversarlo se non ci si fosse trovato sopra senza sapere come: appena giunto in cima dall'altra parte, provò rimorso della sua audacia, immaginò l'affanno della povera madre rimasta su l'altra sponda senza potere a posta sua varcare, sentì quale cuore in codesto punto doveva essere il suo nel sospettarsi abbandonata; e allora si volse d'impeto per gridare alla madre stesse sicura, ch'egli lo ripassava subito per andare fino a lei; ma con meraviglia pari allo spavento egli la vide pallida e sicura venuta fin'oltre a mezzo del ponte. Egli non ardì dirgli una voce di conforto, non mormorare una preghiera per lei; le facoltà della sua vita rimasero sospese; si peritò perfino a porgerle la mano per aiutarla. Ella pose il piede dall'altra parte senza dare a conoscere paura del passato pericolo, o allegrezza di averlo vinto; solo a Ferrante, che s'inchinò dinanzi a lei per baciarle l'orlo della veste, ella sollevandolo disse: — Voglio vedere mio figlio. La via dall'altra parte, tenuto di conto delle asperità incontrate fin ora, poteva dirsi agevole, non perchè piana, ma perchè gli scalini i quali tornavano a salire erano scavati con abbastanza larghezza; mentre ascendevano notarono parecchie grotte, che avevano aspetto di più comode delle altre fin lì abitate dai proscritti, e talune apparivano difese da un po' di muro e da un assito a mo' d'imposta per ripararle dal vento, adesso logore per vetustà. Di sopra le grotte tornarono i mali passi, ma nel presagio che fossero gli ultimi, si fecero cuore; di vero questa volta la speranza non li deluse, e dopo averci adoperato un po' le mani ed i piedi, si trovarono su la spianata in cima al monte. I proscritti voltavano tutti le spalle dalla parte dove sboccava la via consueta, e là intenti miravano, sia che fosse giunto fin lassù qualche insolito rumore, sia che si struggessero nella impazienza di vedere arrivare Ferrante: erano tutti a un dipresso della stessa statura, le vesti o piuttosto gli stracci in tutti pari, e pure Francesca Domenica non isbagliò a riconoscere il figliuolo suo. Non lo chiamò perchè il tremendo anelito non concedeva l'adito alla parola, ma egli la sentì, però che ei volgesse come presago, e per ben due volte con suono di voce, che non può ridirsi, esclamò: — Mamma! mamma! Mamma, e non madre, chiamano i Côrsi, dacchè come per proverbio ripetono spesso gentilmente, che _per dì mamma s'impiccicanu e labre duie volte_, cioè _si baciano due volte le labbra_. Coteste due povere creature si abbracciarono, si strinsero, la bocca incollarono sulla bocca, un medesimo alito fatto di due fiati respirarono; pareva volessero confondersi co' corpi come con la respirazione; non parlarono, o piuttosto si parlarono coi palpiti, cuore sovrapponendo a cuore; e certo troppe più cose, e troppo meglio si dissero con un palpito solo che con la favella. Il corpo è carcere così dell'anima come della intelligenza; e il pensiero schiavo della materia non può riscattarsi dall'avaro carceriere se non gli lascia in mano massima parte del tesoro dei suoi concetti. Che cosa è mai il tempo per coloro, che lo vorrebbero spento? E questi sono di due maniere enti; o i troppo felici o i troppo miseri; ai primi qualunque durata pare meno di un baleno, ai secondi rincrescono i minuti come la eternità; Altobello e Francesca Domenica per doppia cagione potevano avere smarrito la misura, ma in quel momento si sentivano felici. Ferrante fu quegli che, osservando declinare il giorno, si attentò mettersi fra mezzo a quei santi affetti, e ricondurre le anime immemori ai tristissimi uffici della vita, e: — Signora, diceva, la luce presto vien meno sul fianco orientale della montagna, e voi correte risico di restare quassù. Francesca Domenica di tanto non potè tenersi, che non facesse spalluccie. Altobello, il quale conobbe tosto quella non essere la via per venire a conclusione con sua madre, soggiunse: — Mamma, osservate, che voi siete l'unico legame, che ci unisca al mondo; se voi aveste a restare chiusa qui con noi, voi perdereste la vita, e questo non vi importerebbe gran fatto, ma con la vostra perdereste anco quella di questi valorosi giovani... ed anco la mia. — Tu parli da quel savio figliuolo che fosti sempre, Altobello; affrettiamoci, via; accompagnami fin qua oltre che la via non è troppo dirotta, e ragioneremo scendendo. Fu allora, che Altobello pose mente al nuovo sentiero donde erano venuti la madre e Ferrante, e maravigliando interrogò perchè avessero tenuto cotesta inusitata via per salire, e perchè trascurassero la vecchia per discendere: saputane la cagione, osservò non parergli cosa da farne caso, anzi ci spese sopra un motteggio, o due; e tuttociò per non apportare giunta di angoscia alla madre, mentre in fondo dell'animo vedeva con terrore stringersi il cerchio come quello in cui viene preso lo scorpione, al quale non avanza altro scampo che uccidersi per non restare ucciso. La madre interrogata da lui intorno a Serena, e che facesse, e come si portasse, e se la infermità le dava tregua, a sua posta con pietosa menzogna lo accertava non andare di peggio, correre per le malattie di petto la stagione, oltre l'usato rigida, veramente dannosa, pure aversi a sperare che presto rimetterebbe della sua asprezza; certo la povera Serena al primo alito di primavera si sentirebbe ricreata; intanto ella pensare sempre a lui; da mattina a sera non rifinire mai raccommandarlo alla beata Vergine, a Dio e a tutti i suoi Santi; ed anco a raccomandarsi a lui affinchè non si cimentasse senza necessità; per ora stesse quieto; quando finirebbero mai cotanti affanni? E ancora io, ti supplico come sorella in Gesù Cristo, e come madre ti comando a non esporti. A questo pensa, che tu ti metterai a pericolo di vita forse una volta in capo al mese e noi ti ci tremiamo dieci volte all'ora; pensa che nell'ardore del combattimento tu non puoi e tu non devi ricordarti di noi, ma noi non cessiamo un minuto di averti dinanzi gli occhi. Così di parole in parole scesero su la parte avanzata, che faceva risega alla montagna dove stavano appoggiate le teste degli arbori. Altobello non s'immaginando nè pure per ombra che sua madre avesse quinci a passare, esplorava attorno come procedesse la via: quando seppe non presentarsene altra eccetto quella del fiero ponte si volse alla madre per impedirle con preghiera il passo, ed esperto della ferrea volontà della madre sua, disposto ad usarci anco la forza; ma non fu a tempo perchè Francesca Domenica già ci avea messo sopra il piede; allora egli si chiuse gli occhi per non vedere; quando gli riaperse avvisò la madre in salvo dall'altro lato che gli mandava saluti col cenno della mano; subito dopo disparve nelle ombre del crepuscolo che moriva. I proscritti tornavano taciturni alla grotta; tanto gustarono di cibo e bevvero vino, quanto bastava a mantenerli in vita; quasi per tacito accordo cotesta sera non alterarono ragionamenti; mesti, scorati giacquero su la massa di foglie, che serviva loro di letto, e come poterono meglio si schermirono dal freddo con le pelli di capra; fingevano dormire, ma la vigilia dell'uno si palesava all'altro col frequente crosciare delle foglie peste dallo spesso dare di volte sull'uno e l'altro fianco ch'essi facevano, con gli sbadigli convulsi, ed anco con qualche gemito comecchè soffocato. Alla dimani poi seduti sopra i loro giacigli tennero parlamento; molti e varii i pareri e concludenti poco come accade nelle estreme angustie; piacque su le altre la opinione di Ugo della Croce, la quale fu, non aversi punto a credere che la guardia della costiera dovesse durare; cotesta essere una scorriera passeggera del provinciale, se già a quell'ora non era cessata; parergli impossibile che i soldati lungamente si trattenessero costà, massime nella perversa stagione, molto meno volessero stanziarvisi, privi di asilo per ripararsi dalle intemperie; e questa opinione piacque non mica perchè fosse più giudiziosa delle altre che furono emesse, ma perchè meglio delle altre garbava, chè l'uomo comunque sagace è fatto così, e di colta crede sempre a tutto ciò, che più lo lusinga, o che l'offende meno. Così anco in mezzo alla procella un raggio di sole trova la via tra nuvolo e nuvolo per dare agli uomini speranza, che cotesto scompiglio della natura cesserà presto; ma come quel raggio in breve si dilegua così disparve da cotesti cuori la fiducia ricadendo nel buio della disperazione. Tuttavolta statuirono che Ugo sarebbe andato a specolare se il suo presagio rispondeva al vero, e Ferrante per la nuova strada a vedere se da cotesta parte fosse rimasto sgombro il passo. Ugo tornò fedele come la colomba dell'arca, ma non portava come lei fronda di olivo; contro la sua previsione i soldati del provinciale avevano preso stanza a piè della salita, e fabbricataci una capanna per dimorarci la notte. Ferrante venne più tardi, ma non recò migliori novelle; egli si era arrisicato fino alle case dei montanari, e mentre si avvisava penetrare dentro la più appariscente, averla con somma meraviglia rinvenuta aperta cioè senza traverso alla porta, perchè su i monti le case non abbisognavano a quei tempi serrame più solido di un segno qualunque, che attestasse la volontà del padrone, che nessuno s'introducesse in casa sua; non dimanco entrato egli scorse un uomo in atto di rovistare: temendo di essere scoperto, senza punto pensarci si trovò ad avere inarcato il moschetto pigliando di mira il malcapitato montanaro: quegli però non mostrando cenno alcuno di viltà avergli detto: — giovane, non fa caso, alzate su lo schioppo che io non fui mai traditore, nè incomincierò adesso. Alla voce sicura, alla sembianza onesta essersi arreso, e quegli, cavato di seno l'_abitino_ della Madonna, averlo scucito e trattone fuori una cartuccia gliela porse dicendo «Sapete leggere?» ed egli lesse così: «Noi Pasquale Paoli, generale del regno di Corsica, facciamo fede come Asone di Tavera meriti la riconoscenza della Patria e la riverenza di tutti i buoni patriotti; nelle condizioni in cui ci versiamo non ci è dato, oltre questa, largirgli altra ricompensa: ella basterà al suo cuore generoso, non basta all'obbligo mio e alla gratitudine dei suoi concittadini. Vivario, 10 giugno 1769. Pasquale Paoli.» Dopo ciò, deposto ogni ritegno Ferrante avergli aperto lo stato suo e dei compagni, e quegli così averlo ammonito: — figliuolo mio, la è una matassa arruffata; credete, il meglio sarebbe seguitare il consiglio della signora Alando, recarvi a San Bonifazio cogliendo il tempo opportuno, e ripararvi in Sardegna; ma, poichè mi dite questo esservi tolto dalla religione del giuramento, io vo' che sappiate aspettarvi sicurissima prigionia e morte, se mai vi attentaste avventurarvi verso Corte: piena dei soldati del provinciale la campagna; veruna capanna, verun casolare senza micheletti o spie: ogni viandante sottoposto a sottili indagini; a lui pastore, tornato a casa a pigliare certo danaro sepolto per comperare bestiame, che, stante la rea stagione, molti del piano gli offerivano a grato prezzo, non essere stato concesso arrivare fin là senza passaporto e mallevaria di due notabili bastiesi, senza andare soggetto a quattro visite lungo il cammino. Ferrante allora, interrogato Asone se, tornando in Casinca, piglierebbe per Corte, e quegli rispostogli di sì, averlo pregato di porgere avviso di tutto l'accaduto alla signora Alando, e quegli avergli promesso; di più sarebbe andato in cerca per quei luoghi di castagne, e, se gli venisse fatto raccoglierne, le avria portate in casa, dove Ferrante a bello agio poteva andarle a trovare. Asone mantenne la promessa, portò circa un sacco di castagne in casa sua, e passando da Corte, tentò fare l'ambasciata alla signora Alando; visitarla non gli pareva ben fatto, e poi non gli sarebbe ad ogni modo riuscito; allora prese lingua del confessore della Francesca Domenica, e, conducendosi da quello, sotto pretesto di confessione lo supplicò ragguagliasse la signora Alando di quanto concerneva il suo figliuolo: poi l'uomo dabbene andò pei fatti suoi, ed il Pievano adempì anch'egli il carico preso. La ragione, per la quale il pastore da Tavera non si era attentato visitare la madre di Altobello, fu questa, che il governo ormai deciso di sterminare il seme dei banditi, ordinò si sostenessero i parenti più prossimi di quelli, e ai più lontani, come pure gli amici, si minacciassero asprissime pene, caso mai ardissero provvederli di vettovaglia; sperando in questa maniera gli avrebbe spenti la fame. Francesca Domenica, compassionando altrui, sè confidava immune da cotesto bando, ma non accadde così, imperciocchè, o cominciasse a sospettarsi la verità della morte del suo figliuolo, o quale altra ne fosse la causa, comecchè ritenerla prigioniera non si attentassero, pure le misero sentinella alla porta, con ordine di vigilarla dovunque avesse indirizzato il passo, e pigliare nota di quanti la visitassero; onde, se togli il pievano e il dottore, gli altri tutti, per paura di perdere, o di non acquistare, si rimasero da frequentarla. Dopo la partenza di Francesca Domenica, una maniera di smania febbrile invase i nostri proscritti, e li condusse a rifrugare tutte le latebre della costiera per vedere se, oltre le due conosciute, offerisse qualche altra via di scampo; ci si affaticarono attorno per più di un dì, aggrappandosi ai rocchi con le mani, ovvero calandosi agguantati a qualche fune, e sempre invano, perchè di botto si parava loro davanti uno scoscio formidabile tagliato a perpendicolo, dove le corde non bastavano, ovvero una seguenza di scogli appuntati e taglienti, dove avrebbero lasciato a frusto a frusto la carne e le ossa senza venirne in fondo. Allora, cadendo la febbre, prese a impossessarsi di quei meschini una tristezza grave, infinita, che in breve doveva condurli ad amare la morte come l'amica più fedele della loro vita. Primo a cascare sotto il peso del tedio fu Rutilio Serpentini, che ricercato il giorno appresso a levarsi dal suo giaciglio di foglie di castagno, rispose: — Non mi annoiate, mi sento le membra e l'anima stanche. Coteste parole erano profferite con voce pacata, e pure contenevano in sè tanta preghiera e sconforto e minaccia, che i compagni ne rimasero scossi; e lasciaronlo stare; ciò poi accadeva perchè con echi simili tutto il loro ente ripeteva cotesto grido. Uscirono i quattro più perseveranti e spesero il giorno come gli altri; la notte passarono vigili e non pertanto silenziosi: quando un poco di raggio si fu messo, non senza sforzo, sorto in piedi Altobello, disse agli altri: — Andiamo. Ferrante, appuntellandosi sul gomito ed aiutandosi con le mani, giunse a mettersi diritto, non così gli altri tre, e Ugo della Croce ponendosi ambedue le mani sotto il capo, e le gambe tenendo rannicchiate una soprammessa all'altra, sbarrata la bocca a lungo sbadiglio, disse: — Io vo' dormire. Romano da Colle, scosso più volte, non rispose nè meno. Come il vento trasporta i semi da una pianta all'altra, così la inerzia del Serpentini durante la notte si era appiccata ad Ugo della Croce ed a Romano, nei quali avendo rinvenuto il terreno disposto vi aveva prodotto germogli e frutti. I due rimasti si strinsero le spalle e uscirono soli; perchè? Ritentare le cose disperate è supplizio che si legge imposto nello inferno ai perduti; si consigliarono pertanto scendere il monte per la via ultima scoperta e spiare se ci fosse modo alcuno allo scampo. Il ponte, che prima mise spavento ad Altobello, ormai per frequenza ei non curava; quando non fosse stato così, ei si sentiva tale da non reputare sventura precipitarsi di sotto. Pervenuti al lembo del bosco si divisero, pigliando questi da un lato e quegli dall'altro, dopo molto errare si riunivano, e ricalcando la sera avviliti la strada, quasi sempre si ripetevano le medesime novelle: avere scorto la campagna gremita di picchetti, parte fermi in case o capanne, e parte in giro; ora si erano potuti sottrarre alle costoro esplorazioni celati dietro il fusto di un larice girando via via che i micheletti procedevano, ed ora rannicchiandosi dietro un sasso: tale altra dovevano lo scampo all'essersi ficcati sotto la neve: impossibile pertanto pareva loro scivolare da cotesta catena; si sentivano presi non come uccelli in gabbia, bensì come belve nei parchi, e destinati a cadere inevitabilmente sotto i colpi del carnefice: di fatti, con quale speranza, sfuggiti dal primo picchetto, avrebbero evitato il terzo ed il quarto? Come traversare inavvertiti tanto spazio di via? Come senza sospetto entrare e stare nelle terre? Almeno possedessero qualche panno da travestirsi, ci era da correre il rischio! ma non avevano altra veste eccetto i cenci che portavano addosso, e la cappa nera, uguale a quella che usò per lo addietro Francesca Domenica, ormai nota e presa appunto di mira: non ci pensiamo più: abbiamo lottato quanto a forza umana era concesso: contro il destino non vale dare il cozzo; e nè noi sortimmo dalla natura nervi di ferro, nè Dio ci dotò della sua potenza per poterlo vincere. Ultimi giacquero disfatti dalla empia virtù del tedio, epperò il tracollo di loro fu più duro di quello degli altri. Sentirono farsi pese le membra, a fatica sollevarono le mani non altramente che se fossero di piombo, appena le stendevano a pigliare cibo o bevanda molestati dalla fame; e bisognava che gli stringesse suprema qualche altra necessità perchè si movessero da giacere; l'aria stessa provavano greve e sul petto una sbarra di ferro come anticamente ponevano in Inghilterra su quello dei traditori. Da prima gli stimolò continuo il bisogno di stirare le braccia, sbadigliare, allungarsi con la persona, poi parve loro più giovevole lo starsi rannicchiati senza muoversi; spesso gli pigliava un languore di stomaco, cui tenevano dietro due o tre boccate di acqua; di breve i languori si mutarono in granchio, e il vomito dell'acqua in sete; ad ora uno zufolìo increscioso fischiava dentro le loro orecchie, e davanti agli occhi turbinavano nuvoli di faville. Tale il corpo; la facoltà intellettiva non sonnecchiava, bensì si struggeva in opera inane, imperciocchè la tenesse assorta la contemplazione di un punto fosco dal quale, invece di spicciare luce, o idea o immagine, usciva, spandendosi ed infoscandosi vie più sempre, il buio; gli era un tormento di sepolto vivo, o di anima condannata alla custodia del suo corpo morto: per ultimo cotesto punto diventava doloroso quanto una capoccia di chiodo ardente ma non infocato, e allora un gemere vario empiva cotesto luogo già miserabile per tanta sciagura. Se il cuore in loro vivesse non si accorgevano, nè ci badavano; forse se quelli che li cercavano a morte fossero saliti a scovarli fin lassù, mossi dall'istinto che domina ogni animale per la propria conservazione, si sarebbero difesi, ma per andare ad assaltarli eglino stessi anche con la certezza di vincerli, per certo non avrebbono fatto un passo; il più mortale nemico loro poteva passargli da canto senza paura, perchè lo avrebbero bene agguardato alle spalle finchè non fosse scomparso, ma veruno avrebbe posto il dito sul grilletto per isparargli dietro lo schioppo. Foglie secche, rimaste a mezzo dicembre su l'albero della vita. Pure Altobello un giorno con supremo sforzo si levò su le ginocchia, e camminando carponi fino alla bocca della caverna, si rinfrescò la fronte inaridita con un pugno di neve; scosse potentemente le fibre del corpo gli dettero forza a rizzarsi, appoggiandosi ai sassi, ed a muovere due o tre passi fuori, l'aria vivida gli cagionò le solite vertigini, sicchè per poco non ricadde a terra, pure si resse; di breve acquistò vigore da sgranchiarsi le membra, si agitò, rifluì vivido il sangue nelle vene, la memoria e il pensiero tornarono nella consueta loro sede. Qual sede e dove? Racconto storie, non detto trattati di metafisica: però basti al lettore sapere che la memoria e il pensiero tornarono nella sede dove, senza dubbio, stanno il pensiero e la memoria. E con la memoria tornarono gli affetti eziandio, però che appena Altobello ebbe, per così dire, riscattato la sua anima, si fece indietro ed affacciandosi alla caverna esclamò: — Chi vuol vedere il cielo? Chi lo vuol vedere? Nessuna risposta, ed egli da capo: — Chi vuol vedere il cielo? — Io lo vorrei, ma non posso; rispose una voce, la quale quantunque roca, Altobello ravvisò per quella di Ferrante; allora quegli, come pauroso dell'influsso dell'aere maligno, entrò di corsa e preso Ferrante sotto le ascelle lo trascinò fuori della grotta: quivi gli stropicciò la neve in faccia, gli stirò gambe e braccia; lo sovvenne a rizzarsi in piedi, lo sostenne ritto; però parve che Ferrante non ne restasse gran cosa soddisfatto, dacchè guardava Altobello a squarcia sacco, e continuava a mostrare la sembianza stravolta come uomo a forza desto. — Orsù, disse allora Altobello, andiamo a vedere, se gli antecessori nostri abitassero stanze più agiate delle nostre, perchè da questa caverna dobbiamo uscire per sempre; dal soffitto come dalle pareti sembra che stilli malinconia. Ferrante gli tenne dietro senza rispondere; entrarono nelle grotte, e le rinvennero meno spaziose della loro, ma più asciutte e provviste di qualche comodità; ne avevano visitate tre e ne avanzava due altre: una di queste era chiusa da un assito; lo remosse Ferrante, ed allungando il piede per penetrarci inciampò in qualche cosa che gli dette molestia; abbassando lo sguardo vide essere un teschio umano, con altro ossame sparso la dentro; preso da subita stizza, sferrato un calcio lo colse in pieno scaraventandolo a capitombolare per le roccie; il teschio rimbalzando percosse su tre o quattro punte, e con un suono fesso parve brontolare; poi caso volle che al quarto sguizzo la scheggia di uno scoglio gli entrasse nel pertugio sotto la mascella, onde vi rimase ritto, e dondolando a destra e a sinistra per ultimo si rigirò, tenendo i fori degli occhi in su quasi per mirare chi gli avesse usato villania. Altobello non si potea tanto reprimere, che non gli uscisse questo rimprovero di bocca: — Voi non avete fatto opera buona, Ferrante? — Che pretendereste voi? Forse che ad ogni teschio di bandito io mi cavassi la berretta e gli dicessi: eccellenza? — I morti sono sacri. — Non i banditi. — E noi non siamo banditi? — Tra bandito e bandito ci corre; costui quando visse, mise le mani nella roba altrui per cupidità, e nel sangue per vendetta privata, mentre noi se c'insanguinammo le nostre, e' fu per vendicare i torti della Patria. — E chi vi ha detto che costui fosse bandito di questa ragione; o non piuttosto uno dei padri, forse un compagno di Sampiero, condotto quassù per la medesima causa per la quale ci riparammo noi altri? L'ossa di rado chiariscono se appartennero al carnefice o alla vittima, ma il luogo giustifica, e la storia, che c'insegna che la tirannide, vecchia inquilina del mondo, in Corsica poi ci avesse le sue proprietà. E posto anco che la cosa stesse come supponete, Ferrante, dove fossimo presi pensate voi che proponendo cotesta distinzione ai nostri giudici, ce la menassero buona, o piuttosto varrebbe a mandarci alla mazza più presto? — Non so se mi varrebbe, perchè non la proporrei. — Nè io meglio di voi, ma si figura per amore di ragionamento. Il giudice apre il libro e legge: non ammazzare! — ma tu, ripiglia, hai ammazzato: dunque, conchiude, hai da morire. Le scuse non contano, o poco, perchè non mancano mai a cui non ne ha, e chi ne ha, sbigottito le tace. — Può darsi, che così sia coll'uomo, ma con Dio non ci ha mestiere allegare scuse; egli conosce da sè le intenzioni. — Voi dite saviamente, ma poichè non può conoscerle altri eccetto Dio, lasciamone a lui la conoscenza e il giudizio. Se costui fu ladro, chi sa quale stretta lo condusse alla colpa? La rabbia della fame, l'avarizia altrui, la pietà forse o di padre, o di figliuolo, tutte queste cause o distinte o congiunte insieme possono disarmare la giustizia divina; e così pure l'omicida che, o per veemenza di passione, o per irresistibile istigazione di parenti, o per necessità di vendicare il sangue paterno, troverà se non perdono intero, almeno benigno riguardo. La giustizia umana procede spietata perchè cieca. — Voi avete più parole di un leggìo; a sentirvi dovrei vestirmi di sacco e percotermi il petto con una pietra per aver dato un calcio al teschio di un bandito. — Non dico questo, bensì affermo, che nei casi dubbi è prudente astenerci dal giudizio, e nei crudeli la carità vuole che veruno offenda senza bisogno. — Ed io, che da ventun'anno in poi licenziati i tutori, una volta faccio come mi piace, ed un'altra come mi pare, e a cui non garba mi rincari il fitto. Altobello, nato e nudrito in Corsica, sapeva che l'anima del côrso agitata dalla passione devia dalla rettitudine nel modo stesso che urtata la bussola, l'ago si scosta dal polo, ma come questo a mano a mano che la vibrazione va cessando ritorna dove la natura lo tira, così l'anima côrsa nella quiete ritrova la via della giustizia. Per la quale cosa tu vincerai co' Côrsi, se avendo ragione, ti lascerai pel momento vincere; la contraddizione gli aizza, e quando il sangue bolle, la superbia partorisce sofismi sopra sofismi, e villanie, e non sopportabili ingiurie. Anche gli antichi loro legislatori ebbero a considerare la triste conseguenza dei mali generati, da questo perfidiare, epperò lo puniscono con gravi pene. Gli uomini educati per ordinario appaiono guariti da tale difetto; i meccanici un po' meno, le donne punto, e credo ormai che si giudichi infermità disperata. [Illustrazione: ... e le direte che ho pensato alla sua angoscia, e ne rimasi impietosita... (_pag. 361_)] Pertanto l'Alando, messe da parte ogni altro rimbecco, lasciò solo Ferrante con la sua coscienza, la quale non andò guari a bisbigliargli dentro: tu hai torto. Ed egli, a lode del vero, non lasciò dirselo due volte, ma subito dopo si levò in piedi, scese, si erpicò, e tanto mise in opera le mani e i piedi che, ricuperato il teschio, se lo recò sul braccio coll'atto amoroso di madre che porta il suo figliolo: depostolo poi sur un masso gli si genuflesse davanti, e favellò agitato: — E tu prima di me, come me e forse più di me, conoscesti le ore nere del bandito, però perdona com'io ti avrei perdonato. — Quindi giunte le mani, declinato il capo e chiusi gli occhi, recitò molto devotamente un _de profundis_ per l'anima del bandito. Altobello, scosso l'amico suo per una spalla, gli disse: — Ferrante, io non istarò a cercare adesso quale delle due misericordie meriti il primato, se quella dei morti ovvero quella dei vivi; certo è però che l'una senza l'altra non regge: andiamo pertanto a riscattare dallo abbattimento i nostri amici, affinchè se abbiamo a morire, moriamo come uomini non come lumache. E come dissero fecero, traendo per forza all'aria aperta Ugo, Romano e Rutilio; sopra i quali come già su loro, operò il refrigerio del moto, del vivido aere e del freddo lavacro. Essendosi intanto fatto sentire il bisogno del cibo, Altobello si offerse andarlo a cercare nella grotta abbandonata, però che avessero di comune accordo statuito abbandonarla come stanza maluriosa: colà si accorse di cosa a cui non aveva posto mente egli nè i compagni suoi, avanzare tanto di cibo quanto appena bastava a un solo. Lo prese, e messolo davanti agli amici, non tacque che era l'ultimo, se Dio non provvedeva. — E Dio provvederà, risposero, o col mandarcene, o col togliercene il bisogno. Un'agitazione insolita adesso s'impadroniva di cotesti mal capitati, la quale doveva attribuirsi meno alla inquietudine della mancata vettovaglia, che al mutamento del tempo. Infatti la stagione acerba, e tirata dalla rigida tramontana, cedeva davanti allo scirocco, che si avanzava baldanzoso come insegna di esercito sicuro di vincere, e nuvole dietro nuvole affrettavansi appunto pari a legioni accorrenti sul campo di battaglia; ancora il rombo incessante del tuono in lontananza pareva lo strepito delle artiglierie: sul declinare del giorno il cielo si oscurò affatto; allora ogni oggetto prese secondo la sua natura a manifestare lo sgomento per la vicina tempesta; tutte le cose mandavano suono, e tutto suono era rammarichìo. Altobello uscì con Ferrante dalla nuova grotta benedicendo Dio nelle glorie della procella, però che anch'essa, anzi ella principalmente, valesse a sollevare la sua anima e a indurla alla dimenticanza delle miserie presenti; rannicchiati nel breve resedio, di faccia al luogo dove cascò il teschio, stavano ammirando lo scompiglio degli elementi: l'emisfero era buio come il folto della mischia, e al pari di quello terribile d'infiniti strepiti: però di tratto in tratto quasi lo spirito del male battesse le palpebre, scoppiava il baleno a illuminare il cielo e la terra; nè di colore sempre uguale; all'opposto era vermiglio quasi volesse mettere fuoco al creato o lo avesse spruzzato, di tal altro livido quanto la faccia della viltà abbattuta ed ora per ultimo glauco di quell'azzurro grigio che ritiene la congiuntiva dei trapassati prima che una mano pietosa ne abbia chiuso le palpebre al sonno che non ha risveglio. Bastava questo spettacolo per atterrire ogni più saldo cuore, e pure si sentiva che qualche cosa di più tremendo stava per sopraggiungere; e sopraggiunse, in tutta la sua maestà si mostrò il Signore del bene e del male, sotto il soffio del quale le quercie piegano quasi giunchi palustri, i monti traballano come menadi ebbre, gli oceani spariscono via al pari delle lacrime dagli occhi dell'erede, e i cieli si ripiegano a guisa di tenda del pellegrino del deserto, che passata l'ora del meriggio ripiglia il cammino; il firmamento non sostenne la sua presenza senza lacerarsi da un capo all'altro, e dal fesso si rovesciarono giù acqua, neve e grandine mescolate insieme; la faccia di Dio si rivelò paurosa nei fulmini, il suo potente braccio picchiò sopra la terra come il guerriero il suo scudo di battaglia. Orrendo a udirsi e a vedersi; ululavano i monti pari a larve dei primi abitatori del mondo fuggite fuori delle antiche sepolture; e i grappi della neve strappati dalla violenza del vento sembravano chiome canute, che le dolorose svellessersi nell'impeto della disperazione, intantochè i mille rivi ingrossati di acque erano immagine delle lacrime prorotte da occhi che da secoli e secoli non avevano pianto. — Lì!... lì!... gridò spaventato Altobello, abbracciando strettamente pel collo Ferrante... l'avete visto? l'avete visto? — Chi mai, Altobello? La fantasia vi atterisce... — No... vi dico di no... io l'ho visto... — Ma chi? Che mai aveva veduto Altobello? La cara immagine materna circondata dalle vampe del fulmine, tra le schegge della rupe percossa, che si spandevano all'aria come falde di neve infiammata; e l'aveva vista prima cadere in ginocchio poi rovesciarsi col capo in dietro e le braccia aperte ad implorare dal cielo un soccorso, che non poteva ormai più sperare dagli uomini. Il suo pensiero più veloce del baleno avvertì, che forse l'apparizione non era di persona viva, sibbene l'anima della madre, che, passata all'altra vita per subito infortunio, veniva a visitarlo; poteva anche supporre che fosse errore della sua fantasia, come poco prima aveva notato a Ferrante; ma quanto l'uomo è corrivo ad accogliere difetto in altrui, tanto è restio a confessarlo per sè: quindi o quella che gli compariva davanti fosse sua madre viva, o l'anima di lei defunta, si sentì rimescolato dalle ugna dei piedi fino alla punta dei capelli. — Mamma! Mamma!... siete qui! — Sono qui... — Viva...? — Sì, per la grazia di Dio; ma dammi aiuto... che non so se intera... — Dove? — Qua... per di qua... vieni diritto alla voce... — Oh! vi ho vista... allungate la mano... — Non ci arrivo... — Guardate di alzarvi un po' voi... io non posso di più staccarmi dalla roccia... l'agguanto con due dita... — Mi proverò... ecco... — Un altro po'... stringetemi forte con una mano... l'altra... agguantatemi coll'altra... vi sentite bene assicurata? — Sì... — Dunque su? — Su pure... E così, come per miracolo, la fortissima madre, in mezzo alla tempesta e ai fulmini, quasi precipitata tra i laceri di una rupe, fu messa in salvo dal figliuolo, il quale appena fermo sul ripiano della grotta, bagnato più di sudore, che di pioggia, cadde sfinito, non così la madre, che a tastoni gli cercò la bocca, e accostata alle sue labbra una fiaschetta di liquore: — To', disse, figliuolo, ristorati, che devi averne bisogno. Rientrati nella grotta per comune avviso deliberarono accendere il fuoco, nella fiducia che, mentre durava la bufera, nessuno ci avrebbe atteso; e se ci avessero atteso, se si sentivano cuore, salissero a spegnerlo. Costà di foglie e di rami secchi non si pativa penuria. Francesca Domenica sana e salva, eccetto qualche contusione, fe' voto recarsi in pellegrinaggio alla Madonna della Vasina per la grazia ricevuta, andò ad asciugarsi in una grotta, i proscritti rimasero nell'altra, dove tanto piacere presero a vedere il fuoco e a confortarsi le membra al benefico calore di quello, che quasi dimenticarono lo stato in cui si trovavano ridotti. Intanto che quei meschini si ricreano, ragguagliamo il lettore del come la Francesca Domenica si trovasse lassù. Abbiamo detto il Governo avere ordinato, che le sentinelle vigilassero giorno e notte intorno alla casa Alando, non per impedire la gente a entrarci, od uscirne, bensì per tenere di occhio alla Francesca Domenica, e spiarla sempre in qualunque luogo ella s'incamminasse: non era per tanto difficile accorgersi com'ella fosse segno di continua attenzione, nè per dire il vero il Governo si curava troppo che ella ed altri se ne avvedessero, reputandosi assodato abbastanza per dispensarsi dal dissimulare; nè ella, come prudente, pretermise abbigliarsi con la consueta veste, e recarsi a visitare quotidianamente la tomba: nè anco trascurava ogni dì portarci le consuete provviste di biscotto, vino, acquavite, ed altre cose al vivere necessarie, ma ogni dì con terrore crescente si chiariva come tutto rimanesse intatto; segno certo, che o a Ferrante erano chiuse le vie per passare, o qualche malanno era capitato lassù. Simile dubbio diventò ansia, subito dopo, angoscia, indi a un'ora agonia, ed ella capì che sotto cotesta doglia smaniosa non avrebbe potuto nè manco durare due volte in ventiquattro ore. Il giorno successivo, quando vespero declinava a sera, Francesca Domenica insieme col Pievano di santa Devota stavano accanto al letto di Serena. Misera lei! La sua vita, la quale aveva combattuto mirabili lotte contro la distruzione, adesso davasi per vinta, in guisa che il suo lento avviarsi si mutò ad un tratto in un correre verso il sepolcro. Conforme è indole di cotesta infermità, di grado in grado che le persone assistenti deponevano la fiducia di vederla sanata, la speranza recingeva lei coll'iride dei suoi lieti colori; però le parole di Serena non si versarono mai come ora gioconde circa la dolce stagione di primavera: nè mai come ora la punse vaghezza dei lieti raggi del sole, e dello incanto delle notti stellate: ora le tornava a mente la famiglia dei fiori, ed ella salutavali peculiarmente a nome quasi amici lontani; e ricordava il colle erboso, e il bosco degli ulivi, dietro al tronco dei quali, dopo aver tirato al padre un melo granato, si nascondeva; nè qui si restava, che crescendo la esultanza dei presagi le fioccavano nella mente i pensieri di Altobello, della messa nuziale, e il suono dell'organo, e la parola sacra davanti a Dio, che unisce i due enti come un ente solo, e giorni placidi, e figliuoli diletti, e l'addormentarsi pieni di anni nelle braccia del Signore. Le ultime forze della vita svaporano per così dire in cotesti delirii; infatti dopo aver vagellato un pezzo cadde rifinita in un torpore foriero della morte. — Sogliono taluni maledire siffatto fenomeno quasi perfida lusinga della natura, mentre altri più dirittamente crede, che ciò non avvenga senza consiglio pietoso della Provvidenza; ed invero nelle altre infermità, la creatura prima di morire cade per ordinario in uno stato di stupidezza, onde senza accorgersene penetra nel regno della morte; non così l'etico, se non fosse la tenace speranza che gli benda l'intelletto, egli sentirebbe entrare i suoi piedi uno dopo l'altro nella fossa, il diaccio di quella corrergli su pei reni mentr'ei vi si adagia supino; vedrebbe cascare fino l'ultimo atomo di arena della sua esistenza: a goccia beverebbe il calice della distruzione. Ora questo pare troppo crudele supplizio perchè possa patirlo Dio. — Ella dorme, andiamo di là nell'altra stanza, Pievano, che io vi ho da parlare, — disse Francesca Domenica, rizzatasi in piedi, dopo che curva con la persona ebbe mirato in faccia Serena. Quando vi furono, ella proseguiva sommesso: — Di queste due cose una accadde di certo: o me gli hanno tutti ammazzati, o, se vivi, poco più devono penare per morire di fame, dacchè vedete da parecchi giorni i viveri non sono tocchi. — Signore! Quanto mi angoscia.... Io darei una libbra di sangue per chiarirmene, non fosse altro per metterli a modo e a verso dentro sepoltura cristiana. — Qui bisogna uscire d'incertezza, e voi mi dovete aiutare. — Gesù! E come vi entro io povero prete? — Oh! non avete detto poco anzi che avreste dato una libbra di sangue? — L'ho detto, e lo mantengo. — Ebbene io non vi chiedo tanto; per un giorno o due imprestatemi le vostre vesti. — E a qual fine, signora Francesca Domenica? — Per travestirmi, e tentare se possa giungere in questo arnese fin lassù; guardando tra i vetri mi sono accorta che a voi non tengono dietro; però, quante volte io riesca senza sospetto a uscire allo aperto, collo aiuto di Dio spero arrivare a salvamento. — Ma che vi pare? Gli abiti di un sacerdote addosso ad una donna! — Per avventura, signor Pievano, temereste voi, che vi venissero contaminati da me? — Ohibò! Una donna pia e timorata di Dio come siete voi non può che edificare così gli uomini come le cose... e nondimanco vorrei mi capiste, gli abiti sacerdotali se non si hanno a considerare sacri, religiosi per lo meno sono. — E fossero sacri, che monta? Era pur sacra la veste di Cristo, nè egli si scandalizzò quando i soldati se la divisero, e la giocarono a dadi; immaginate se volesse corrucciarsi con voi per averla prestata ad una povera madre, affinchè ella possa sovvenire il suo figliuolo prossimo a perire di fame; e, posto ancora che un po' di peccatuzzo ci cadesse, reputate voi, che non sia capace a farvelo rimettere Maria Santissima, madre anch'essa piena di dolori? Il Pievano mosse due volte o tre le labbra come per replicare, ma poi non trovò argomento migliore di quello di levarsi la callotta, e grattarsi la testa, sicchè la Francesca Domenica ripigliò: — Capisco, che pericolo voi lo correte... — Francesca Domenica, avvertite che io non vi ho parlato di pericolo... — Ma forse ci avete pensato. — No, sul carattere di sacerdote. — Allora io ci ho pensato per voi; io mi taglierò i capelli come voi a zazzera, canuti gli abbiamo ambedue, per istatura siamo pari o la batte lì, nè credo vorranno badare tanto al minuto, e poi fo conto uscirmene a buio fitto, me ne andrò alla Canonica per avvisare il Cappellano, affinchè, se qualcuno andasse, o mandasse per voi, gli dica, che vi trovate impedito: io m'industrierò scivolare tra le ascolte; caso mai m'imbattessi in qualcheduno, e m'interrogasse, dirò, che vado per soccorrere infermi ridotti _in extremis_; voi vi rimarrete qui, finchè io non torni, a custodire la inferma. Per tacito consenso Francesco Domenica non toccò, e il buon Pievano non la interrogò sul tasto ugualmente probabile di rimanere arrestata: però il Pievano vide un altro ostacolo sul quale non potè dispensarsi di parlare: — E... signora Francesca Domenica, se vi pigliate le mie vesti, almeno le più necessarie... da quella donna previdente che siete, avete pensato come resto... questo discorso, capite, ve l'ho dovuto fare _honestatis causa_... — Dite santamente; non ci aveva pensato, ma ci si rimedia presto... vi metterete gli abiti di Altobello. — Ma signora... che vi pare alla mia età, e col mio carattere, vestirmi da soldato! Se (e Dio non lo voglia) se accadesse di dovere amministrare i sacramenti alla signora Serena... come potrei comparirle dinanzi vestito da capitano di fanteria con Gesù Cristo in mano? — Dite santamente: venite meco, che vi darò la veste da camera del mio defunto marito, che di colore oscuro vi si adatta benissimo. A questo modo usciva, non già inosservata, ma non curata la valorosa donna; ella compì per appuntino quanto aveva detto: lungo la strada sovente ebbe a rifare i passi o per iscansare scorrerie, o perchè non vollero lasciarla ire innanzi; cento volte stette ad un pelo di essere scoperta, e cento fu per iscoprirsi ella stessa. — Per ultimo, ella disse, arrivai sul fare della notte su l'orlo estremo del bosco, dove mi introdussi in casa di Orsone dopo essermi bene chiarita che l'era vuota; qui deposi le vesti del Pievano, e il carico; grama cosa in verità, pure tanta, che a voi parchissimi basterà finchè non verranno a levarvi di quassù: poi con quel poco di biscotto e con la fiasca dell'acquavite ho ripreso subito la via fra le roccie. — Ma che? sul far della notte la tempesta non era anche scoppiata chinamonte?[56] domandò Altobello. — E come! — E perchè siete partita prima che smettesse; o almanco rallentasse? — E perchè sarei rimasta? Ogni passo che mi accosto è un dolore abbreviato al mio figliuolo e ai suoi compagni, diceva io, ed anco mi parve, che non avrei mai potuto desiderare migliore occasione per giungere fin qua senza intoppo come la procella. — E il ponte come passaste voi? — Al chiarore dei lampi. — Dio santo! a pensarci mi piglia il ribrezzo... — Io non mi sono mai sentita tanto sicura, perchè mi affidavano la fiducia in Dio, e l'amore di madre... — O mamma! esclamò Altobello gittandoselo nelle braccia, intantochè gli altri presi da uguale meraviglia dicevano: — Qual donna! Francesca Domenica, a cui non garbava lasciarsi troppo in balìa delle commozioni, di un tratto con certa sua festività soggiunse: — E come vedete mi condussero a salvamento, tranne quel po' di fulmine, che veramente mi ha intronata tutta; ma salvo qualche ammaccatura non ci ha nulla di guasto. — Ora, figliuoli miei, ascoltatemi bene, che mi sento stanca e intendo andarmi a riposare per essere in piedi prima del dì, onde potrebbe darsi, ch'io partissi senza rivedervi. Ferrante, voi andrete, quando vi parrà il destro, a prendere le vettovaglie al solito ripostiglio; voi altri aspettate un mio avviso; qui non vi ci potete più fermare, perchè tra giorni si squaglierà la neve, e si spingeranno a cercarvi fin quassù; io ho mandato per Orsone e con lui concerteremo la maniera della fuga o ad uno per volta, o tutti assieme. Il modo non mi è chiaro ancora; pensateci anco voi altri; se non potessi venire io, manderò persona fidata. Su, figliuoli, state di buon animo; rammentatevi, che il diavolo non è brutto come si dipinge, e sperate nello aiuto di Dio, ed anco un po' in quello degli uomini, perchè qualche cuore veramente côrso non ha cessato di palpitare, e già qualcheduno mi si è profferto, non curando il pericolo, di ospitarvi. Altobello, accompagnando la madre nella grotta dov'ella aveva da passare la notte, la venìa interrogando sopra la salute di Serena, e la madre, per non isconfortarlo troppo come per non dargli troppa speranza, gli diceva: non esserci di peggio, di questo stesse sicuro, non avrebbe omesso cura, affinchè la povera figliuola si rimettesse in sesto; poi per tagliar corto ripetè sentirsi stracca morta, ed in vero era così, per la qual cosa Altobello la lasciò quieta. Alla dimane, prima che spuntasse l'alba, Francesca Domenica sorse dal suo letto di foglie di castagno, e messo appena il piede fuori della grotta, incontrò Altobello e Ferrante: con esso loro senz'altre parole prese a calarsi giù di greppo in greppo. Mentre andavano, spuntò l'aurora vermiglia e lieta, comecchè stillante umidità; così forse, avrebbe immaginato un poeta. Diana sorpresa da Atteone, sorse dipinta in volto coi colori della vergogna dai lavacri di Gargazia. Al ponte periglioso si separarono così ordinando Francesca Domenica, la quale, ripreso il suo travestimento, dopo miracoli di sagacia, potè ridursi alle sue case del procoio di Santa Colomba. Tre giorni erano passati dopo l'ultima partenza di Francesca Domenica, e già la ruggine del tedio ripigliava a esercitare la sua virtù su le anime dei nostri proscritti, i quali di rado si cambiavano parole, e comecchè l'uno potesse appartarsi dall'altro, pure si sfuggivano: al quarto verso mezzogiorno, Ferrante e Altobello, tenendo entrambi gli occhi rivolti al medesimo punto, videro moversi qualche cosa pel dirotto calle, che menava alle caverne, ed agguardando meglio conobbero essere un fanciullo, che con lena affannata si affaticava di pervenire in cima alla rupe, Ferrante si levò ritto inarcando il moschetto contro il mal capitato, e da lontano gridò: si fermasse, dicesse chi fosse, ed a che venisse. Il garzone come impedito dall'ansia mostrava, agitandola, una carta, e a posta sua urlava: Altobello! Altobello! Fu convenuto lasciarlo accostare, e il giovanetto venendo oltre domandò: — Qual è di voi Altobello Alando? — Io, rispose subito Ferrante, che volete da me? — Ecco ho da consegnarvi questa lettera per parte della vostra signora madre: intantochè la leggete io mi riposerò. Aperta la lettera, Altobello e Ferrante lessero: «Caro figliuolo. «Se dubitassi del tuo coraggio ti farei torto, ma non t'ingiurio se ti raccomando raccogliere tutto il tuo coraggio intorno al cuore. Ora bisogna, che tu sappia come Serena la tua sposa della quale a fine di bene io ti dissimulava il vero stato, si trovi in procinto di morte. I medici appena le danno due giorni di vita. Quale sia la nostra desolazione non istò a dirti, massime, che la meschina non trova pace, e smania, e dice, che morirà disperata se prima non ti vede per darti l'ultimo addio, molto più che le si è fitto in mente una fisima da inferma per cui pensa, che i suoi sponsali teco senza prete nè benedizione della Chiesa, non sieno senza peccato; epperò vorrebbe sposarti co' riti della nostra santa religione, magari in _articulo mortis_ Io le ho promesso scriverti, e mantengo la parola, però nel medesimo punto non ti conforto a venire, nè te lo dissuado; come madre io avrei caro tu ti restassi, pure mi rimetto in te. Lo zitello, che ti porta questa lettera è nipote del Pievano di Santa Divota, mi sembra svelto, ed anco lo zio me lo afferma maliziato più di una squadra di sbirri; però servizievole: se ti parrà giovartene, fallo senza rispetti, che ciò a lui piacerà, ed altresì allo zio. Addio; ti lascio con la mia benedizione.» Finita la lettura, Ferrante aggrondato interrogò il garzone. — Chi ti ha dato la lettera? — La signora Francesca Domenica. — Chi l'ha scritta? — Lo zio. — Quale zio? — Tè! Lo zio Venanzio Pievano di santa Divota a requisizione della signora Francesca Domenica. Allora entrò su a dire Altobello: — E da quando in qua state col Pievano? — Faranno due mesi come saremo a san Biagio. — E vi ha preso pei servizii di casa? Soggiunse dandogli una sbirciata alle mani. — Giusto! M'insegna il latino, servo le messe, e mi tira su a prete. — Ma io non aveva mai sentito dire che il Pievano avesse fratelli. — Difatti, lo zio non ne ha; io sono figliuolo della sua sorella maritata a Vivario. Tutte queste domande erano consigliate ad Altobello ed a Ferrante dal sospetto in cui vivevano d'insidie perpetue: nè qui finirono, che molto si allargarono a domandargli quale e quanto avesse provato la vigilanza dei micheletti, e come fosse riuscito a evitarla, e se pensava di correre rischio al ritorno. Il garzone vispo rispondeva a tutto con arguzia maravigliosa: cotesta sua non pareva mente di fanciullo, bensì, piuttosto, che diventatogli adulto lo spirito, il suo corpo fosse rimasto nell'adolescenza. All'ultimo, come uggito, egli disse: — Voi mi avete fradicio, lasciatemi un po' mangiare un boccone, e dormire un paio di ore e me ne torno pei fatti miei, chè non vorrei lo zio stesse lungamente in pensiero. E con la beata trasandatura del fanciullo, mangiò e bevve, poi entrò nella prossima grotta, dove indi a breve fu preso da tal sonno, che il russare si sentiva fino dal posto in cui erano rimasti Altobello e Ferrante. Poichè l'amico suo non rompeva il silenzio, a Ferrante parve bene domandargli: — E quando fate conto di partire Altobello? — Io? Giusto adesso stava ventilando meco le ragioni così dello stare come dell'andare, e mi è parso dovere concludere di rimanermi. — Voi avete ad andare, ciò vi persuadono il bene vostro ed il nostro. — Che vi dirò? L'animo mi porge che, andando, qualche infortunio mi aspetta; e poi la paura di avervi ad abbandonare per sempre, mi percote; finalmente la faccia di cotesto fanciullo, non so il perchè, mi riesce sinistra. — Questo nostro sospettare di tutto e di tutti deriva dallo stato in cui noi siamo ridotti; ogni novità pel misero è argomento di miseria. Voi avete andare; se non per voi, almeno per noi. Arrivato sano e salvo al procoio, come non dubito, potrete attendere al modo di levarci di qui, e, quello che mi sembra ed è, per l'ora che corre, troppo più difficile, a rinvenire quattro cuori fidati e valorosi, che ci vogliono ricoverare; e ciò sia detto col debito ossequio della signora vostra madre. — Tanto è, io non andrò. — Amico, non ci mettiamo sul perfidiare, altrimenti presa una deliberazione non ci moveranno quattro pari di bovi: noi componiamo insieme una repubblica, chiamiamo Ugo Romano e Rutilio a parlamento, e quello che i più vorranno voi eseguirete. Altobello avendo trovato giusto il partito, convennero insieme tutti i compagni e, ventilate lungamente tra loro le ragioni della partita e della permanenza, conchiusero, che Altobello avesse ad ogni modo a recarsi al procoio; ed egli si lasciò svolgere, e promise sarebbe andato: però a fine di non omettere precauzioni statuirono fra loro di accommiatare lo zitello con la notizia, che Altobello non partirebbe, perchè, s'egli fosse o spia o indiscreto, con lo svesciare, non solo non attraverserebbe, ma si agevolerebbe l'andata di Altobello, mentre se all'opposto (come non era a dubitarsi) e' fosse messaggero fidato, poco male saria uscito dalla falsa ambasciata, dacchè Altobello giungerebbe subito dietro a smentirla. E come dissero fecero, onde il garzone si partì tenendo il broncio e brontolando, che se lo avesse potuto indovinare sarebbe rimasto con molta sua maggiore soddisfazione a giocare alle piastrelle su la piazzuola della chiesa. Circa un'ora dopo la partenza del garzone, Altobello fece animo risoluto, strinse la mano agli amici, li baciò in volto, e si staccò col cuore chiuso da loro come presago di non averli a rivedere mai più. Scese lento, arrivato al ponte vi mise sopra il piede, lo ritrasse, si voltò addietro, credendo che una voce lo chiamasse, o sperando di vedere cosa, che a sè lo traesse. Fantasticherie maluriose di cervello infermo! Altobello si fece il segno della croce e passò spedito dall'altra parte. Appena il suo capo scomparve sotto le punte degli scogli, ecco uscire dalla crepa di una roccia lo zitello messaggero, e ratto ratto avviarsi al ponte. Troppo alto avevano parlato Altobello e i compagni, ond'ei, tuttochè dormisse, o fingesse dormire, aveva sentito il partito preso di andare senza dirglielo, anzi dandogli ad intendere il contrario; ed egli aveva avuto la pazienza di starsi nascosto là dentro per esplorare se dicessero da vero, oppure lo dileggiassero: allorchè poi si fu schiarito, che Altobello mandava a compimento la deliberazione vinta, proruppe in segni manifesti di allegrezza, taluni strani però, come sarebbe quello di cacciarsi le mani dentro i capelli e scombuiarseli tutti: amara gioia in vero quella che usurpa i gesti della disperazione! Il passo del garzone è spedito e leggiero, come conviene alla sua età, ma perchè tiene egli la testa alta, e gli occhi tesi verso la parte donde disparve Altobello? Badi dove mette i piedi, o male gl'incoglierà.... e male veramente gl'incolse, imperciocchè mentre correva lesto su pei tronchi di arbore, il piede destro gli entrò sotto la legatura rilasciata della corda di spartea, e subito dette di uno stramazzone per terra: come gli persuadevano lo istinto di conservazione e il pericolo supremo nel quale ei si versava, si aiutò con le mani agguantandosi, ma non gli valse perchè la furia del tracollo non meno che il peso del corpo vinsero la forza della mano manca che sola scivolò intorno al tronco senza poterlo afferrare. Il piede rimase dentro la corda, che aggrovigliata a mo' di laccio lo tenne a contrasto coll'arbore, impedendo al fanciullo di ruinare giù in fondo al torrente. L'infelice si sentì sbalordito; indi a breve, contorcendosi tutto, si sforzò ripiegarsi sopra sè stesso per arrivare ai tronchi; moti faticosi e disperati erano quelli: quietò un momento per noi... una eternità per lui, perocchè in cotesto atomo di tempo egli vedesse lacci, forche e impiccati; e sentì i terrori della morte ed anche lo spaventarono i tormenti della vita futura; intanto la respirazione si attenuava penosa, il peso dei visceri gli gravitava sul cuore, e per le orecchie gli andava un ronzìo vie più sempre molesto, le tempie battevano tremendamente come se gli si volessero rompere; da prima gli oggetti reali, e le fantasme della sua immaginazione gli trescavano davanti sanguinosi di sangue di arteria, poco dopo tinte nell'altro sangue di vena, per ultimo diventarono azzurre; le goccie del sangue sentiva stillarsi nel cervello gravi e ardenti come se fossero di piombo strutto: dapprima dalla bocca colava spuma, ora però la lingua gli si fece arida e gli si attaccava al palato: innanzi che questo organo gli rifiutasse il suo ufficio volle gridare e' cacciò fuori un suono roco, come di uccello di rapina; e per tale lo appresero gli uccelli di rapina nella prossima pendice che risposero alla chiamata, allora si avventò lo stormo dei falchi stridendo in molte guise come se volessero congratularsi seco del largo pasto che la Provvidenza gli metteva d'avanti. Il garzone ne sentì l'arrivo con lo schiaffo delle ale nelle guancie, e collo incarnarsi degli artigli nella cute del cranio, sicchè agitate le mani per l'aere come costuma il naufrago in procinto di annegare, egli giunse a scacciarli un istante: pochi secondi dopo tornarono, ma questi pochi secondi erano bastati perchè la mancanza dell'aria, e lo stravaso del sangue nel cervello cagionassero la morte del fanciullo per apoplessia e per asfissia. Almeno i periti dell'arte medica affermano morte la completa inconsapevolezza dei nostri sensi, ma se tuttavia nell'intimo l'anima continui a rispondere in virtù di qualche altro segreto legame col corpo, davvero io non saprei, nè credo che altri possa sapere: fatto sta, che anche quando i falchi si furono adagiati, a mensa intorno a codesto cadavere, di tratto in tratto egli dette in iscossoni, che gli fece allontanare un momento stizziti; così osserviamo gli uccelli strangolati, dopo assai tempo che gli hai appesi per le gambe al chiodo, battere di repente l'ala, e scontorcersi da cima a fondo. Pur troppo era vero; fino dalla mattina di codesto mal giorno il dottore con le lagrime agli occhi aveva chiarito Francesca Domenica, che la Serena, se fosse arrivata alla sera, non avrebbe scorsa la notte, onde, sebbene delle cose dell'anima la povera figliuola stesse sempre acconcia, pure desiderò rinnovare la confessione e la comunione: sul far della notte, osservando i noti segni della morte imminente, le amministrarono anco l'olio santo, allora le deposero la stola sui piedi, a lato sul guanciale le misero il Crocifisso, che con la mostra dei suoi ineffabili dolori consola gli altrui, e Francesca Domenica genuflessa da un canto del letto, il pievano di santa Divota dall'altro, stavano a recitare preghiera. Serena dondolava lievemente il capo nella sonnoveglia della morte; quasi foglia che, sul punto di spiccarsi dal ramo, trema. Di repente, con lena maggiore di quella, che le si fosse potuto supporre, ella disse: — Eccolo! — Chi ecco? domandò Francesca Domenica, ed ella: — Il mio sposo. Il Pievano, immaginando che intendesse parlare nel linguaggio simbolico della Chiesa, pel quale Gesù Cristo è lo sposo di tutte quelle che si rendono monache, o che muoiono in stato di verginità, esclamava infervorito: — Accettatelo, figliuola mia, col cuore contrito ed umiliato. — Col cuore esultante volete dire... ei viene... Di fatti in quel punto, tirato il paletto, si aperse l'uscio della camera e comparve Altobello. [Illustrazione: .... lo racconta il Boccaccio nelle sue Novelle... (_pag. 79_)] Se ad Altobello si fosse mostrato un capo mozzo come quando il carnefice lo acciuffa per i capelli grondante sangue e lo fa vedere al popolo crudelmente imbecille; o se la faccia dello strangolato con la chioma irta, gli occhi sconvolti, la pelle nera, la bocca violetta, e la lingua morsa fra i denti; egli avrebbe potuto sostenerne la vista senza ribrezzo, come senza paura avrebbe contemplato il volto mansueto dell'ucciso dal piombo, e il feroce del trafitto dal ferro: la sembianza pallida del disfatto dalla pestilenza, e la pagonazza del colto dalla gocciola, perchè in tutti questi, ed in altri ancora si palesa la morte nella sua potenza solenne; onde a ragione gli antichi l'adorarono Dea, l'eressero altari, e le sacrificarono vittime. Se nell'universo ella si fece sentire eterna come Dio, non può dirsi; certo è, che appena nata, a lei egli ebbe a concedere facoltà pari alle sue, quantunque egli se la serbasse per creare, ed ella la prendesse per distruggere; anzi queste facoltà diventarono subito così intricate tra loro, che l'occhio dell'intelletto non le sa più distinguere, ravvisando il principio di nuove vite nell'atto che il comune dei uomini appella morte, e mille morti nel principio, che suole chiamare vita. Sotto la forza di cotesto ente, che non ha forma, e trasforma tutti gli enti, lo spirito più saldo può confessare senza viltà, che prova spavento, perchè si mescola col senso della religione che arcano e profondo vive eternamente. Ma la morte cessa comparire Dea quando adopra l'etisia a disfare la forma umana; allora ella si deturpa, diventa condennenda e schifa, perocchè anco il male non va assoluto dalla onestà; sozza come un immane ragnatelo, ella avviluppa dentro le sue branche sterminate la creatura e ne risucchia gli umori, ne macera le carni, nervi e muscoli cincischia, contamina le ossa... — Chi può descrivere quale Serena apparisse allo atterrito Altobello? Non io. Troppo spesso ho veduto la faccia del tisico, troppo ella mi sta fitta nella mente perchè io la descriva senza dolore: però me ne passo. Altobello atterrito vide davanti a sè il volto della sua diletta Serena ridotto all'estremo della etisia; e con isforzo più che umano comprimendo l'orrore e il dolore disse: — Mi avete chiamato... sono... venuto... — O santa Vergine, chi ti ha chiamato? Esclamò Francesca Domenica, levando al cielo in atto di desolazione le mani. — Non voi? Non voi? Con la lettera che mi portò il nepote del Pievano? — Io non ho nepoti, disse il Pievano. In questa furono udite nella prossima stanza le pedate di parecchi uomini, che camminino con precauzione, e al tempo stesso lo scricchiolare dello scatto di acciarini quando si armano i moschetti. Tanto bastò per fare ad Altobello palese il tranello in cui era incappato. Non si commosse per questo, o se si commosse, non lo diede a divedere, ma con un gesto, accennò alla madre tacesse, e subito si fece verso la porta. — O mamma, sospirò dolorosamente Serena; dove va egli? Appena venuto mi fugge? Ditegli che si trattenga tanto, ch'io muoia: io farò presto a morire. — Sta quieta, figliuola, egli è andato a dare alcuni ordini alla sua scorta, adesso adesso ritorna. Altobello aperto l'uscio, vide la stanza piena e stivata di soldati che non avrebbe dato, per così dire, luogo a un chicco di panico e comandante di quelli gli comparve dinanzi il capitano Rinaldo. — Oh! capitano Rinaldo, siete voi? Rinaldo stentava a ravvisare, nell'uomo che gli appariva dinanzi, quell'Altobello Alando tanto fiorente un dì, pure sovvenuto dal luogo e dalla voce: rispose un cotal po' tremante: — Oh! signor Alando, siete voi? — Sono io soggiunse Altobello, e so perchè venite. — Vedete laggiù si muore — e aperto un po' l'uscio gli mostrò la giacente circondata dai segni dell'agonia — ella è Serena che muore, la sposa mia; pochi momenti le avanzano di vita, deh! non funestiamo questi ultimi suoi sospiri con la maggiore angoscia ch'ella abbia provata fin qui; non vedano gli occhi suoi, vicini a spegnersi, il suo sposo prigione.... e tratto a morte.... — Signore, voi che militaste, sapete il dovere del soldato. — Ho saputo sempre che la veste del soldato non trasforma l'uomo in lupo. Signor capitano, io ho armi addosso, e non mi menerete come agnello al beccaio: certo mi ammazzerete, ma prima ammazzerò quanti più possa di voi: veniamo a patti: questo costumano eziandio i soldati valorosi, io vi consegnerò tutte le armi, e voi in compenso, mi concederete mezz'ora. — Signore Alando, un'altra volta mi scappaste di mano, e per voi mancai di essere promosso maggiore; adesso mi fucilerebbero addirittura.... e ancora io.... voi lo sapete.... ho una madre.... — Ebbene vi giuro in onore, che non vi fuggirò, e poi... — E poi? interrogò il capitano Rinaldo osservando che l'altro esitava. — E poi, continuò l'Altobello placidamente, pure facendosi rosso in viso, potete circondare di un cordone di sentinelle la casa... se non vi fidate. — Non fa caso, aspetterò mezz'ora. Però le sentinelle erano già state messe. Altobello rientrò nella stanza col sorriso sui labbri, e disse: — Eccomi tutto a te, sposa mia; prima di lasciarci, sono venuto, perchè il nodo che ci congiunse in vita riceva la benedizione della chiesa: abbiamo mantenuto il giuramento di non procreare figliuoli in servitù, ma non per questo devono essere meno le nostre nozze sante al cospetto di Dio. — Se vuoi darmi questa infinita consolazione, sposo mio, fa presto, che io mi sento morire. — Ecco, signor Pievano, mi raccomando a voi. Il Pievano singhiozzando pronunciò le parole sacramentali, congiunse le destre mentre sentiva mancargli sotto le dita, il polso di Serena, impose loro sul capo le mani, e supplicò il Signore, non già che ci versasse grazie, bensì misericordie; non compartisse gioie, che ormai non era tempo da questo, ma termine a tanti patimenti. Altobello prese la mano di Serena quasi fredda, e la inanellò con l'anello che le porse la madre; poi, superato il ribrezzo, baciatala in fronte, disse: — Vita mia! E la morente con un filo di voce: — Non dirmi vita, perchè allora temerò che il tuo amore sia caduco e affannoso, come la vita che mi manca; chiamami anima, e allora lo crederò immortale come lei — e lo continueremo lassù... — Oh! sì, anima pura, anima degna di miglior sorte quaggiù — e si coperse con le mani il volto, perchè sentiva scoppiarsi il pianto; ma l'agonizzante, con suono appena distinto, lo supplicò: — Deh! non celarmi la tua bella faccia, Altobello mio, stringimi la mano, sorridimi; il sorriso è fiore dell'anima, ed io me ne vo andare in paradiso in mezzo ai profumi dell'amore. E, piegato il capo, diè in un gemito, che non fu di angoscia; versò una lacrima, che non espresse il suo dolore; bensì fu gocciola di rugiada celeste, che l'Angiolo custode scosse dall'ale in refrigerio di cotesta desolata creatura. — Mamma, è spirata? — È spirata... figliuolo... In questa si vide pienamente schiuso l'uscio della stanza, e da quello sporgere con tutta gentilezza il capo del capitano Rinaldo, che chiamò: — Signor Alando? E Altobello gli mosse subito incontro, e gli domandava: — che ci è? — Come si sente madama Serena? — È morta... — Tanto me... allora _ho l'onore_ di rammentarvi che io e la mia gente da tre notti non pigliamo sonno, e il Governatore ci aspetta levato. — È giusto; anco cinque minuti, capitano Rinaldo, e sono da voi. Il capitano ritirò il capo curvando le spalle come persona che portare altro sopraccarico nè vuole, nè può. Altobello rientrato nella stanza, disse al Pievano: prendete il lume, e andate là in fondo alla stanza a pregare davanti la immagine di cotesto Crocifisso, perchè io ho da trattenermi in segreto con mia madre sopra alcune faccende di casa prima di andare. Il prete, docile, prese il lume, e fece quanto gli veniva comandato. Altobello tornò ad assettarsi al lato destro del letto, mentre la madre sua erasi rimasta con la faccia appoggiata sul materasso dal lato sinistro; e, dopo alcuni istanti, favellò sommesso. — Mamma? — Figliuolo. — Avete inteso? — Ho inteso. — Sapete voi, che cosa mi aspetta? — La forca. — Forse anco la ruota. — Forse. E tacquero; quindi appresso Altobello chiamò: — Mamma? — Altobello. — Di casa Alando morì mai alcuno giustiziato, che sappiate voi? — Nessuno: tu saresti il primo. Da capo silenzio, e Altobello con voce più tenue disse: — Mamma? — Figliuolo... figliuolo... — Ho da chiedervi prova suprema di affetto. — Chiedila. — Avete il coltello, che vi lasciò babbo nel suo testamento? — L'ho. — Lo manteneste tagliente? — Come un rasoio. — Vorrei... mamma... — Che vuoi? — Che me lo imprestaste. — Porgimi la mano qui, di sopra il capo della povera defunta. — Ecco la mano. — Ecco il coltello. E ci fu nuova pausa: al fine della quale, non più con tremula, bensì con ferma, comecchè sempre bassa voce, Altobello invocò per la quarta volta il nome di sua madre. — Mamma? — Figlio mio. — Datemi la vostra mano, qui, per di sotto al capo di Serena. — Ecco la mano. — Stringetemi la mia... stringetemela forte. Ciò fatto, prese quanto potè del lenzuolo co' denti, perchè non sentissero nè manco un sospiro. Dalla tremenda stretta della mano, dal gelido sudore, che stillarono le dita, da un gemito profondo sebbene soffocato, Francesca Domenica si accorse, misera! che il suo figliuolo si era ucciso: di fatto egli si aveva ficcato sino al manico lo stiletto nel cuore. Successe un molto terribile silenzio, durante il quale si udiva il lievissimo rumore, che movevano le labbra del Pievano incontrandosi nel recitare le preghiere. Stanco del lungo aspettare il capitano Rinaldo, dacchè non cinque minuti, bensì un quarto di ora avvantaggiato fosse già corso, aperse la porta, e con qualche risentimento disse: — Signore Alando... voi vi fate aspettare... E più non disse: che pallida come panno lavato, con sembianze per dolore impietrite, gli si fece incontro Francesca Domenica, tenendo con la destra la lucerna, e con la manca tirandosi dietro il capitano Rinaldo, che sgomento nel presagio, si lasciò condurre: giunta presso al figliuolo, gli mise il lume su la faccia, e, lì accennando col dito, disse: — Mira, straniero; — quando torni al tuo paese racconta come muoiono i Côrsi, innanzi che patire servitù. Il capitano non sostenne la vista della truce guardatura del morto Altobello; e, abbassando il volto, rimase sbigottito. Il Pievano anch'egli si accostava; e, quasi macchinalmente, alzò la destra; poi, come pentito, stette a mezzo l'atto; lo notò la madre, lo guardò... ond'egli, vinta ogni esitazione, sollevata la faccia e le mani al cielo, in suono solenne pronunciò queste parole: — Dio ti giudicherà nell'altro mondo, frattanto in questo io ti benedico nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo. Il giorno successivo al fiero caso un dispaccio fu spedito dal Governatore al capitano Orso Campana, nel quale, dopo avergli rimproverata con parole agre la sua oscitanza, gli si ordinava scorrazzasse a qualunque costo le roccie, purgasse il paese dai pochi banditi, che lo tenevano in subbuglio: spento il capo, più poco erano a temersi gli altri senza reputazione, e con manco seguito: dove a lui non bastasse la vista, commetterebbe ad altri il carico di levargli cotesto pruno dagli occhi. Se la commissione e più il modo col quale veniva trasmessa, garbassero al Campana non importa dire; tuttavolta, celando il malcontento o solo manifestandolo col raddoppiare di durezza contro i suoi sottoposti, ordinò apparecchiassersi quanti erano, pigliassero viveri per due giorni, fra un'ora si partirebbe pei monti. Cotesta era sentenza di morte per parecchi di loro; e lo credevano, però non ci avrebbero pensato, se, come una volta, si fossero mossi contro il nemico; ma adesso per comandamento altrui, incamminarsi ad ammazzare o essere ammazzati, e con gente di un medesimo sangue che non ti aveva mai offeso, pareva cosa acerba, e pure ella non è il meno tristo frutto, che si raccoglie dall'arbore della servitù. Camminavano in silenzio, un dopo l'altro, pensosi qual sarebbe il primo cui, colpito dalla palla funesta, toccherebbe rotolare giù pei dirupi a servire di pasto agli uccelli di rapina; andarono un pezzo, e niente incontrarono di molesto; forse, essi dissero, ci aspettano in cima per farci una scarica a brucia pelo. Per certo era meglio se cominciava il fuoco: allora la vista del sangue infiamma il sangue, e le ferite eccitano alla vendetta; ma così sempre sotto la impressione della paura che fioccava loro addosso come neve senza vento, non poterono tutti di un fiato proseguire; cinque volte si riposarono rifiniti; e strano accidente! uomini che facevano professione di sgozzare, per parecchi baiocchi al dì, uomini che nulla nulla inveleniti si sarieno fatti mettere in brani prima di cedere, adesso avrebbero renunziato ad un mese di soldo, pure di potersene tornare addietro: ma e' si erano venduti, e bisognava andare avanti, e andarono come gente, che una volta stipulato il contratto lo sa osservare: — e nondimanco, se togli le asperità del cammino e la trepidazione, non ebbero ad incontrare altra molestia, onde sani e salvi attinsero il vertice delle costiere. Colà maravigliando, rinvennero, vestigia di recente dimora, ma i banditi erano scomparsi: per ordinaria contradizione dello spirito nostro, mentre poco prima non sembrava lor vero di non averli incontrati e ne ringraziavano Dio, ora si arrovellano perchè fossero così fuggiti loro di mano; sopra tutti se ne doleva Orso Campana, al quale si cacciava addosso la paura, che i Francesi, reputandolo complice della fuga dei banditi, od anco fingendolo, (imperciocchè per natura propria voltabili gli sperimentava molto, e quanto facili ad accettare soccorsi qualunque e' si fossero nell'ora del pericolo; e larghi a promettere, altrettanto portavano molestamente il carico della riconoscenza, e comparivano scarsi nell'osservare), non gli togliessero il grado della milizia, e col grado la pensione. Gli andavano per la mente torbidi pensieri, che dopo avere mandata fuori la coscienza, tradito la Patria, perseguitato i suoi, e vendutone il sangue a oncia a oncia un po' per vendetta, e molto per quattrini, ora la viltà col rimorso gli tornassero a casa ignudi; mentre con le mani congiunte dietro il dorso, e la testa bassa passeggia agitato, gli occorrono davanti gli occhi più frequenti le orme verso una parte dell'orlo della rupe, osservando meglio i sassi colà più che altrove screpolati gli parve che accennassero potersi scendere da quel lato il monte vi calarono uno di loro più svelto della persona, al quale andando giù giù venne fatto di leggieri incontrare il sentiero che menava alle grotte: appena ei l'ebbe scoperte, tornò a darne avviso ai compagni, i quali l'un l'altro aiutando, a posta loro scesero, e con essi Orso Campana. Rinnovaronsi le apprensioni, ma questa volta erano superate dalla smania di combattere e di vincere. Irruppero dentro una grotta furiando, la rinvennero vuota; la seconda del pari; per ultimo... miserando spettacolo! entrando nella più spaziosa delle grotte si pararono dinanzi ai loro occhi quattro cadaveri dentro un lago di sangue. Tutti tenevano la faccia rivolta al cielo in sembiante piuttosto di cui minaccia, che di cui prega; ognuno stringeva con mano rigida il manico del coltello, e questo coltello non appariva già fitto nel proprio seno, bensì in quello del compagno: breve; si erano uccisi l'un l'altro. Sopra la pietra, che serviva loro di mensa, stavano come esposti in mostra di più maniera viveri, e zucche piene di vino e acquavite, mentre una tazza ricavata dalla corteccia di una zucca conteneva in fondo alcun poco di acqua pura. Nella faccia anteriore della pietra; di color vermiglio scritta a stento, si leggeva questa iscrizione: _Dio._ _Ferrante Canale, Ugo della Croce, Romano Colle, e Rutilio Serpentini, non potendo sopravvivere alla libertà della Patria si sono dati la morte._ _Ora pro nobis._ _25 Gennaio 1770._ Perchè poi mettessero in mostra il cibo e la bevanda non parmi arduo indovinare; senza fallo il fecero per chiarire, che studio di libertà e fastidio della tirannide gli aveva condotti a morte, non già la disperazione: più difficile è rinvenire la causa onde invece di ammazzarsi da per loro si trucidassero; forse li dissuase da portare le mani violente contro sè stessi il pensiero, che così facendo commettevano un peccato gravissimo, mentre ammazzandosi tra loro continuavano la sequela degli atti, che compiti per necessità della Patria difesa, secondo la loro opinione, non potevano imputarsegli a colpa; ad ogni modo spengersi da sè reputarono peccato nuovo, e furono dubbi di sperimentare anco per questo del pari indulgente la misericordia di Dio. Se non fosse così, io mi confesso povero di consiglio per ispiegarlo. Orso, col capo basso, e le mani sempre conserte dopo le spalle guardò fisso quei miseri, e si accorse dal dito rimastogli insanguinato, come lo scrittore della leggenda fosse stato Ferrante: rimasti tutti lungamente in silenzio, per ultimo Orso favellò dicendo: — Erano quattro bravi cuori in verità... poi subito pauroso, che cotesta lode riferita gli partorisse pregiudizio si affrettò di soggiungere — comecchè cotesta sorte se la siano meritata, ed anco peggio, perseverando da ribelli al leggittimo dominio di S. M. cristianissima nostro signore. — E padrone, disse il sergente con tale un suono, che non lasciava distinguere se parlava da senno, o per istrazio; non ci attese Orso o non ci volle attendere, bensì continuò: — Ora noi altri non ci abbiamo a vedere più nulla, e avvertiremo i preti che vengano a pigliarli per metterli in sepoltura cristiana; — e qui sempre pauroso di essersi sbilanciato, accorse a palliare con le parole: poichè dobbiamo credere, che ciò torni a grato di S. M. cristianissima il re nostro signore. — Ma sicuro! continuò il dicace sergente — non si ha da chiamare cristianissima mica per nulla. Allora vedendo come scavata nel masso una strada, della quale non avevano avuto conoscenza fino a quel punto, deliberarono fra loro di seguitarla per debito di ufficio, e per facilitare le future esplorazioni; così andarono finchè giunsero al ripiano dove metteva capo il fiero ponte. Quei che prima arrivarono stettero atterriti dal pericolo, non meno che dalla vista di quel corpo penzoloni. — Tè! mira... chi sarà cotesto che ci pende attaccato per un piede come il rospo che i villani appiccano ai fichi. — Tu, che sei avanti, va a vedere di levamelo. — Passi, eccellenza, come disse la volpe al lupo: per me non ci anderei nè manco per un luigi. — Va tu dunque, Pierantò... — Io? mica: non vedi i falchi che gli hanno fatto grappolo intorno come le api... In questa arriva Orso Campana, il quale visto il caso disse: — Qui non ci è verso, bisogna che qualcheduno vada a staccare cotesto cadavere penzoloni: di certo sarà qualche bandito tracollato di sotto mentre passava, e rimasto preso col piede dentro la serratura. Vedendo che la sua gente nicchiava, Orso riprese: — Vieni qua Pierantò; tu se' svelto, e non hai paura: va tu e fa quanto ti dico, che non correrai un pericolo al mondo; mettiti giù a cavalcione su i tronchi degli alberi, poi, aiutandoti con le mani, tirati oltre bocconi; quando sarai proprio sopra al morto, con una mano agguantati sempre all'arbore, coll'altra passagli il nodo scorsoio di questa corda, che noi terremo dall'altra cima, al piè rimasto attaccato, poi taglia la spartea; e quegli verrà così a svincolarsi; certo prevedo, che darà una sconcia battitura nelle roccie della rupe, ma ormai il compare mi sembra ridotto a tale che per un picchio più o un picchio meno non vorrà dire: ohi! E si tacque, parendogli avere discorso come Cicerone, e conchiuso la parlata con un'arguzia da rimettere un po' di allegria in corpo alla sua gente: e di vero i soldati risero, e ne rise anco il sergente, il quale per quello che appariva o si era preso o gli avevano dato in cotesta compagnia l'ufficio, che nelle tragedie greche vediamo esercitare al coro; se nonchè aggiunse: — Con buona licenza, signor Capitano, io credo che Pierantò adopererebbe da savio non farne niente, ma se ad ogni mo' egli vuole andare, ditegli che porti seco un altra corda, e con essa stringa di una nuova legatura i tronchi prima di tagliare la sparteria, altrimenti e' corre rischio che gli arbori slegati si sfascino e rovinino portando giù un vivo per compenso di un morto, e questo non sarebbe buon baratto, almeno se consideriamo la faccenda con gli occhi di Pierantò. Il consiglio fu trovato ottimo, e Pierantò, senza danno alcuno mandò a compimento quanto gli veniva commesso: il cadavere liberato dal laccio piombò giù; ma, trattenuto dal cadere in fondo dall'altra fune, dette uno strettone andando a percotere duramente nelle roccie come aveva avvertito Orso. Non si sarieno potuto annoverare i falchi, che ci stavano aggroppati sopra, i quali, stridendo di rabbia, piegavano altrove le ale per tornare; ve ne fu uno, che, non volendosi a patto alcuno staccare, rimase schiacciato tra lo scoglio e il capo del cadavere. Orso, che con ambedue le mani tenne fermo il capo della fune mentre il corpo cadde, ora chiamò per aiuto a tirarlo su, la qual cosa in breve fu fatta, ma chi poteva mai ravvisarlo? le carni, non che del viso, delle mani, erano tutte stracciate, pochi brindelli di vene e di muscoli pendevano dalle tempie, e poi la fiera battitura gli aveva spaccato il cranio; dagli occhi diventati due buchi scaturivano lembi della sostanza cerebrale; insomma e' metteva raccapriccio e spavento. Nel frugargli addosso si accorsero come non fosse già uomo come mostravano le vesti, bensì femmina e giovane, a giudicarne dalla freschezza del petto; allora, pensando che ella fosse forse sorella, o moglie, o innamorata di qualche bandito, colta da cotesta mala morte, mentre la poverina si era messa al cimento per sovvenirli di vivere, anche quei petti venduti sentirono qualche cosa dentro, che si sarebbe potuto chiamare pietà. Intanto un soldato, avendo rinvenuto alcuni fogli nelle tasche del corpetto, esclamò: — Fogli! fogli! — A me quei fogli, ordinò Orso, e gli furono dati; il quale, gittativi sopra gli occhi, rimase colpito da un piego che sembrava recente, sigillato con le armi di Francia. Sopra rinvolto si leggeva scritto: «Al signore Luciano Micheli — Corte.» Lo aperse, e dentro diceva così: «Madamigella. State tranquilla, che se ci capita il capo brigante, secondo lo avviso che mi porgete, i posti saranno rinforzati, la casa circuita da sentinelle, sicchè se non ha ale, tenetelo preso. Mentre io vi prometto di porre ai piedi di S. M. cristianissima nostro Signore e padrone questo nuovo tratto della vostra devozione alla legittima causa, concedetemi, che io vi significhi il mio gradimento per le continue premure vostre in servizio del Re, e pregando Dio che vi tenga nella santa guardia, mi confermo. «Di voi madamigella «Corte, 22 Gennaio 1770. «Devotissimo Obbligatissimo servitore IL MARCHESE TUILLIER DE LORDURE Commendatore dell'ordine di S. Luigi, e Governatore di Corte. «A Madamigella CATERINA CAMPANA.» Tutto questo Orso lesse in un battere di palpebre, gli cadde il foglio di mano; traballò, e se men pronti erano a sostenerlo sarebbe tracollato giù nel precipizio. Il sergente non lo sostenne, ma tanto non potè dissimulare lo interno affetto, che non gli scappassero di bocca queste parole: — Dio non paga il sabato, ma paga. FINE. INDICE CAPITOLO I Il vetturino livornese Pag. 5 » II Il mercante côrso » 13 » III La partenza » 31 » IV Il frate » 40 » V Lo zio » 46 » VI Perchè i côrsi non amino i forestieri » 57 » VII Il cattivo incontro » 96 » VIII Gioco del lotto » 374 » IX La Battaglia di Pontenuovo » 432 » X I proscritti » 556 NOTE: [1] Da ciò codesto cavaliere Niccolino fu appellato sir del Gatto, che i suoi nipoti mutarono in Sirigatti, e di questo cognome si valgono tuttavia. [2] Bando di Luigi XV da Compiègne 15 agosto 1768. Si nota che la cronologia dei fatti nel racconto, per amore dell'arte, è stata alquanto alterata. [3] Addison's Remarks on several parts of Italy. Hague, 1718, p. 42. [4] _Camallo_ significa facchino, e viene dall'arabo: l'adoperano i Côrsi e i Genovesi. [5] Dall'opera di fortificazione, detta _corona_, murata un giorno in codesto luogo. [6] E sebben Ciccio di Andrea Con amabile fierezza, Con terribile dolcezza. REDI, _Bacco in Toscana_. [7] Babbito tuttavia i Côrsi dicono per babbo tuo. [8] Così chiamavasi dai Côrsi il generale Maillebois. [9] La lettera, eccetto pochissime varianti per adattarla al racconto, ho levato di peso da certo manoscritto di storia côrsa conservato dal signor Antonfelice Santelli di Bastia. [10] Lo racconta proprio il Boswell che un frate gli disse così. [11] Pigliare con la bocca. Manca al Vocabolario, e lo ha il Sassetti. [12] Tra gioie e contanti questo papa, modello della povertà evangelica, lasciò 25 milioni di fiorini d'oro; circa un miliardo e mezzo di lire fiorentine. [13] Nel linguaggio côrso equivale oltremontano, e mi pare da adottarsi. [14] Scarpatore chiamasi il ladro di campagna. [15] Rammentiamo che il frate parla dei tempi di Luigi XV. [16] Questo libro veramente non fu scritto da frate Bernardino Casacconi bensì da frate Lionardo da Campoloro, e porta il seguente titolo: _Discorso sacro civile, col quale s'insegna che i morti per la patria sono martiri._ [17] Questa lettera, in parte che non rileva, alquanto varia, è stampata nella Raccolta delle Lettere del Paoli a p. 164. [18] A intendere questo bisogna sapere che la Corsica è divisa da monti; e a torto o a ragione i Côrsi orientali tengono i Côrsi occidentali un po' _guasconi_. [19] Boswell, _Relazione della Corsica_. Londra 1769. [20] Io scrittore ho veduto questa casa rimasta intatta e per lo appunto così. [21] Notiamo bene ve'; è pura storia. [22] Colombo o conca marina; dicono la chiamassero così a cagione della sua bianchezza. Ai tempi del Paoli era considerato come il palladio della libertà. [23] _Giustificazione della Rivoluzione di Corsica, con la ferma risoluzione presa dai Côrsi di non sottomettersi mai più al dominio di Genova._ Oletta, 1758. Nella stamperia della Unità. Con l'approvazione di tutti i savi. — _Disinganno intorno alla guerra di Corsica, scoperto da Curzio Tulliano côrso ad un suo amico dimorante nell'Isola._ Colonia, 20 novembre 1736. [24] Grandissimo conto faceva il Paoli dell'Alfieri, e l'Alfieri del Paoli. Il Valery nel suo viaggio in Corsica afferma, che delle cose saccheggiate al Paoli talune poterono recuperarsi, e tra queste la copia delle opere di Alfieri stampate dal Diderot nel 1788 mancante di un tomo. Su la prima pagina del Timoleone scritta dalla mano dell'Alfieri leggevansi queste parole: All'egregio Côrso dei nuovi francesi fattosi compagno e maestro. — Tu invan col brando, ed io con penna invano, Paoli, destar la Italia un dì tentammo; Vedi or se accenna i sensi tuoi mia mano. V. A. Parigi, 11 aprile 1790. Se poi taluno volesse notare, che nel 1768 non ci erano tragedie dell'Alfieri stampate, dirò che ha ragione, essendosene fatta la prima stampa in Roma nel 1783, e non di tutte; mi si scriva a debito di _anacronismo_. [25] _Poliorcete_ significa _espugnatore di città_. [26] Precise parole del Paoli. [27] Sotto la lingua i Côrsi col miele e il latte ci hanno il pungiglione, epperò paiono nati per essere forensi. [28] Nelle nozze un uomo a cavallo va a porgere un fiore alla sposa mentre sta per uscire di casa onde e' si chiama il _cavaliere del fiore_. [29] Poverina, ed anco _tinto_, significa misero, gramo, infelice e simili. [30] Lo stesso che una volta a noi il _serraglio_; ovvero catena di giovani tenentesi per le mani che non aprivano il varco alla sposa se non si riscattava con qualche moneta. [31] Infioccata — ed è segno di padronanza della casa ove entra la sposa. [32] Tuo padre. [33] Le idee, e parecchie espressioni furono cavate da varii vocèri; massime da uno terribilissimo, che ebbe la empia virtù di costare la vita a trenta persone. [34] Dionomachia. [35] Il poemetto del Savelli ha il titolo di _Vir Nemoris_, l'Uomo del Bosco, e si versa appunto su le vicende di Domenico Leca vicario di Guagno, e della sua nepote. [36] Parole storiche. [37] Padre di Napoleone, morto a Mompellier. [38] .... tua murmura flumen Exagitat memori sacros in corde dolores: Tempus enim relego, quo fortia corpora volvens Exuviasque virum, suffusa cruore, repressit Unda pedem refluens panditque cadavera coelo Arma fusa vadis et adhuc removentia tabem Vulnera — Tunc animas heroum rite vocamus Multaque cum gemitu memorantes, multa precantes Digredimur... _Vir nemoris._ POEMA CÔRSO. [39] Caracalla a Papiniano dopo il fratricidio di Geta. [40] Nonna. [41] Fortuna. [42] Un poco. [43] Cucire. [44] Povero. [45] Gonnella. [46] Sopraffino. [47] Villaggio d'oltramonti. [48] Procoi-poderi. [49] Freno o rocca infioccata. Vedi il vocero di Lella Campana. [50] Scorta di cavalieri che conduce la sposa a casa lo sposo. [51] Con sussiego. [52] A suono di cornamusa gonfiata. [53] Villaggio su quel di Sartene. [54] Travata: serraglio. [55] Un secchio di latte rappreso. Questa canzone è ricavata dalla raccolta dell'egregio vecchio consigliere S. Vitale, testè morto, che qui rammento per onoranza e per affetto. [56] _Chine_, _line_, _quine_ sono rimaste parole vive nel dialetto Côrso per l'odio, che ha la nostra lingua contro le stroncature; e _chinamonte_ si usa in Toscana dai contadini: i cittadini parlano, e gli scrittori dei diari per ordinario parlano e scrivono una lingua senz'altro tersa, ma non però italiana. Nota del Trascrittore Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, così come le grafie alternative (molteplici/moltiplici, desideri/desiderî, brulichio/brulichìo e simili), correggendo senza annotazione minimi errori tipografici. End of Project Gutenberg's Pasquale Paoli, by Francesco Domenico Guerrazzi *** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK PASQUALE PAOLI; OSSIA, LA ROTTA DI PONTE NUOVO *** Updated editions will replace the previous one—the old editions will be renamed. Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright law means that no one owns a United States copyright in these works, so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the United States without permission and without paying copyright royalties. Special rules, set forth in the General Terms of Use part of this license, apply to copying and distributing Project Gutenberg™ electronic works to protect the PROJECT GUTENBERG™ concept and trademark. Project Gutenberg is a registered trademark, and may not be used if you charge for an eBook, except by following the terms of the trademark license, including paying royalties for use of the Project Gutenberg trademark. 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It exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations from people in all walks of life. Volunteers and financial support to provide volunteers with the assistance they need are critical to reaching Project Gutenberg™’s goals and ensuring that the Project Gutenberg™ collection will remain freely available for generations to come. In 2001, the Project Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure and permanent future for Project Gutenberg™ and future generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see Sections 3 and 4 and the Foundation information page at www.gutenberg.org. Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non-profit 501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal Revenue Service. The Foundation’s EIN or federal tax identification number is 64-6221541. Contributions to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by U.S. federal laws and your state’s laws. The Foundation’s business office is located at 809 North 1500 West, Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up to date contact information can be found at the Foundation’s website and official page at www.gutenberg.org/contact Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation Project Gutenberg™ depends upon and cannot survive without widespread public support and donations to carry out its mission of increasing the number of public domain and licensed works that can be freely distributed in machine-readable form accessible by the widest array of equipment including outdated equipment. Many small donations ($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt status with the IRS. The Foundation is committed to complying with the laws regulating charities and charitable donations in all 50 states of the United States. Compliance requirements are not uniform and it takes a considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up with these requirements. We do not solicit donations in locations where we have not received written confirmation of compliance. To SEND DONATIONS or determine the status of compliance for any particular state visit www.gutenberg.org/donate. While we cannot and do not solicit contributions from states where we have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition against accepting unsolicited donations from donors in such states who approach us with offers to donate. International donations are gratefully accepted, but we cannot make any statements concerning tax treatment of donations received from outside the United States. U.S. laws alone swamp our small staff. Please check the Project Gutenberg web pages for current donation methods and addresses. Donations are accepted in a number of other ways including checks, online payments and credit card donations. To donate, please visit: www.gutenberg.org/donate. Section 5. General Information About Project Gutenberg™ electronic works Professor Michael S. Hart was the originator of the Project Gutenberg™ concept of a library of electronic works that could be freely shared with anyone. For forty years, he produced and distributed Project Gutenberg™ eBooks with only a loose network of volunteer support. Project Gutenberg™ eBooks are often created from several printed editions, all of which are confirmed as not protected by copyright in the U.S. unless a copyright notice is included. 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