Title: Illustrazione delle medaglie dei dogi di Venezia denominate Oselle
Author: Leonardo Manin
Release date: September 25, 2008 [eBook #26701]
Language: Italian
Credits: Produced by Piero Vianelli
Produced by Piero Vianelli
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[T0] = Titolo di livello 0 = Level 0 Title.
[T1] = Titolo di livello 1 = Level 1 Title.
[I[ = Inizio corsivo = Beginning of italic.
]I] = Fine corsivo = End of italic.
[SC[ = Inizio maiuscoletto = Beginning of small caps.
]SC] = Fine maiuscoletto = End of small caps.
[Gr[ = Inizio alfabeto greco. = Beginning of Greek alphabet.
]Gr] = Fine alfabeto greco. = End of Greek alphabet.
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Errata…Corrige
Paolo Renier, ultima riga del paragrafo. Paolo Renier, last line of
the paragraph.
errata
… dell'anno mille settecento e sessanta …
corrige
… dell'anno mille settecento e settanta …
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Uniformità nel trattamento degli spazi dopo gli apostrofi: legamento
con la parola successiva in caso di elisione, spazio nel caso di
troncamento.
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Sono stati attribuiti i corretti accenti gravi ed acuti, nel testo
originale tutti acuti.
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[Copertina]
Edizione seconda con correzioni ed aggiunte.
Venezia, co' tipi di Pietro Naratovich.
1847.
[Dedica]
Al Nobile Signore Andrea Giovanelli, Patrizio veneto, Conte dell'impero, membro onorario del Veneto Ateneo e presidente della IX Riunione degli Scienziati in Venezia.
[Prefazione]
Carissimo Cognato!
Se nell'anno 1834, nell'occasione per me di letizia del collocamento di una mia Figlia, la vostra gentilezza ha voluto pubblicare colla stampa una mia memoria, non vi dispiaccia che per dimostrarvi la viva mia compiacenza nella circostanza per voi onorevolissima, qual è quella di vedervi meritatamente destinato a presedere al Nono Congresso degli Scienziati Italiani, io ne pubblichi una seconda edizione fregiandola del nome vostro.
Il mio lavoro richiama antiche cose patrie, e so quanto vi sta a cuore tutto ciò che riguarda l'amatissima nostra patria. Mi lusingo quindi, che se altra volta accoglieste graziosamente quel lavoro, non vi riesca discaro, nell'esaurimento dei primi esemplari, di vederlo pubblicato di nuovo. Aggradite la mia intenzione, e ritenetela come un piccolo contrassegno dell'affetto, della stima e della sincera gratitudine che vi si professa.
Venezia, il 10 settembre 1847.
Il vostro amorosissimo cognato Leonardo Manin.
[Testo]
La Storia dell'antico Governo de' Veneziani, con solerte cura ne' passati anni dettata da ragguardevoli stranieri, abbenché col suo cadere la importanza ne scemasse, non venne accompagnata giammai, che io mi sappia, dallo esame delle medaglie relative ai fatti Storici della Veneziana Repubblica. Lo studio e la ricerca delle medaglie in generale sempre piacevole riuscì e vantaggioso, e perché in pochi segni i più importanti avvenimenti delle nazioni raccolgonsi, e perché alcune volte i costumi de' popoli quasi in compendio ci rappresentano. Le medaglie, nel mentre che il tempo, il ferro ed il fuoco logorano, rovinano e distruggono la magnificenza dei templi, la bellezza degli archi e delle colonne, l'altezza delle piramidi e de' monumenti, le medaglie, io diceva, ci conservano perenni le memorie delle nazioni rimote, e sulla celebrità de' loro fasti con franco piede passeggiano. Di questo studio a' giorni nostri si onorano i principi, si fregiano i ricchi, e gli stessi dotti e letterati uomini ad esso in gran parte delle proprie cognizioni si confessano debitori. Siccome sugli accaduti avvenimenti l'origine loro è fondata, così le molte volte sono la base principale ai racconti degli storici. Simili considerazioni me invogliarono a tessere la storia delle veneziane medaglie, la quale con le epoche successive dei tempi e dei Dogi fino al termine di quell'aristocratico Governo ci conduca; né mi aggirerò perciò fra le tenebre de' prischi tempi a mendicare tavole o monete che dilucidino troppo vetusti avvenimenti: altri il tentarono, e tornò ad essi vergogna e disdegno. La serie delle medaglie, delle quali io sono per esporre le illustrazioni, conta la sua origine da pubblico decreto del Consiglio Maggiore. La importanza di questa illustrazione fu pur anche riconosciuta dal celeberrimo Bibliotecario che fu della Marciana, Cavaliere Giacopo Morelli, nell'appendice al catalogo della libreria raccolta dal sig. Maffio Pinelli, nella quale ragionando della pregevole serie delle monete veneziane dallo stesso raccolte e possedute, vi annovera pur anche quella delle Oselle, la quale, per l'uso che eravi annualmente di mettervi nei rovesci le memorie di qualche fatto della Repubblica in quell'anno accaduto, presenta una idea storica delle cose più memorabili di quel Governo. E di fatti, dai più dotti scrittori ci viene commendata la utilità di queste parziali illustrazioni, e su di esse si occuparono le penne di Bizot per la storia metallica della Olandese Repubblica, di De-Bie per la sua Francia metallica, del Bonanni per le medaglie dei Romani Pontefici, senza enumerare tanti altri, che i secoli dei particolari monarchi illustrarono, o che di singole medaglie o monete trattarono. La stessa serie di queste nostre fu in parte fino a' suoi giorni dall'ab. Palazzi illustrata ne' suoi Fasti Ducali, accompagnando le Vite dei Dogi da esso lui dettate con la impronta delle loro medaglie. Dietro a lui ne' posteriori tempi succedettero ed il padre Cassinense don Silvestro Rovere nello estendere la vita del Doge Silvestro Valier, e Domenico Pasqualigo nella sua Notizia giornale storica per la morte di Luigi Sebastiano Mocenigo. Trovansi pure impresse le Oselle dall'anno 1700 fino all'anno 1787 nell'opera di M. Michele Benaven che porta per titolo: [I[Le Caissier Italien]I], vol. 2, Lione 1787. Ma niuno dalla epoca della loro istituzione fino alla caduta dell'aristocratica dominazione di tutte fece parola; benché di simili raccolte di veneziane medaglie molti de' nostri musei forniti fossero, e di alcuni di essi il catalogo si pubblicasse, fra i quali il Pisano, il Naniano ed altri, nonché quello dell'abate Bottari di Chioggia, dal Rubbi inserito ne' diversi tomi de' suoi elogi.
La serie delle veneziane medaglie distinte col nome di Oselle, non ancora per intiero pubblicata, col cessare dell'antico Veneziano Governo ebbe il suo compimento. Né di altre medaglie di famigerati uomini ragionare intendo, né delle famigliari degli stessi Dogi, le quali tutte ci condurrebbero a troppo lunga diceria. Queste generalmente le particolari circostanze de' cittadini riguardano, o illustri per reggimenti e governi, o celeberrimi per imprese guerresche, o famosi per coltura di lettere, e la serie di esse forse interminabile si riconosce. Le illustrazioni dunque delle Oselle, cioè di quelle medaglie che per decreto del Supremo Maggior Consiglio dai Dogi per ciaschedun anno a' nobili in dono distribuivansi, alla pubblica luce presento, affine di riconoscere a quale avvenimento più ragionevolmente nel corso degli anni l'impronta di cadauna attribuire si debba; e sperar voglio, che non disaggradevole ed inutile impresa questa debba riuscire, che le gloriose geste dei nostri maggiori con verità rammenta. Prima di entrare in materia, a questo luogo osservare mi piace, che anche la vicina Città di Murano per antico privilegio ogni anno nella Zecca di Venezia coniare una moneta d'oro o d'argento faceva, al peso della veneta Osella, con la epigrafe [I[Munus Comunitatis Muriani]I], delle quali ogni anno dispensa facevasi al Doge, al Podestà del luogo, al proprio Consiglio dei XXV, ed alle primarie cariche interne. Sovra questa incise sul diritto vedevansi le armi del Comune, del Doge, del Podestà e del Camerlengo proprio, e nel rovescio i nomi di quattro deputati del Comune; senza che vi si faccia memoria di fatti particolari.
Dalla prima istituzione di queste medaglie fino al termine della Veneziana Signoria, duecento e settantacinque ne furono coniate. Siccome però molte di esse pel corso di alcuni anni l'impronta medesima conservano, o almeno il diritto loro non cangia, così, imaginando di accompagnarne la interpretazione con le tavole relative, ho creduto più opportuno, anche dietro il parere di dotti e scienziati uomini, di farvi collocare quelle sole di cadaun Doge, che importanti variazioni mostrassero, talché eziandio ai non fortunati posseditori di ricchi musei, più agevole riesca di questa serie godere, e si avveri il detto dell'Allighieri nel quindicesimo canto del Purgatorio:
"Com'esser puote, che un ben distributo
"I più posseditor faccia più ricchi
"Di sé, che se da pochi è posseduto?"
Vi sono però alcuni amatori di archeologia, che fanno caso di certe lautezze, e gridano a lor talento, che molte e molte varietà si omisero nella prima edizione, da loro possedute: a questi io dirò che le variazioni accadute per falli di conio, per pulimenti avvenuti dopo le prime impressioni o per mutazione dei massari, non alterando la storica narrazione, non furono da me calcolate, non trascurandone però alcune che potrebbero dare un vario senso alle epigrafi espresse.
Una parte delle rendite dal Governo assegnata alla dignità ducale dalla cacciagione e dalla pesca nelle circonvicine valli ritraevasi, quindi fino dall'anno 1275 il Consiglio Maggiore decretato aveva, che a cadauno de' suoi membri il dono di cinque uccelli di valle nel mese di dicembre dal Doge si facesse. Di quale specie questi uccellami fossero, non bene gli ornitologi nelle opinioni loro convennero, e sembra solo che dai cronisti si spiegasse, che il valsente di questa regalia di mezza redonda di oro fosse. Il decreto però non fa parola che del valore di un quarto di ducato d'oro, e dalle memorie della Zecca si sa che questa moneta fino dalla sua istituzione avea di peggio 60, pesava grani 480, avea di fino grani 470 5/8 ed era valutata soldi trentuno, ch'era appunto il valore appropriato al quarto di ducato d'oro, che s'incominciò a coniare nel 1517 sotto l'antecessore Doge Leonardo Loredano. Benché il decreto del Veneziano Governo la natura di questi uccelli non istabilisca, alcuni fra' cronisti soggiungono, che femmine esser dovessero coi calzari rossi, e quindi a buon diritto presupponendo che il dono del capo della repubblica dovesse essere composto dal migliore selvaggiume che nelle lagune nostre si pigliasse, e questo calzato di rosso, si dee conchiudere che i soli mazzorini, dal Linneo nel suo Sistema della natura chiamati [I[anas-boschas]I], il presente costituissero. Nel codice antico [I[Publicorum]I] sono ricordati come i migliori uccelli da valle i mazzorini femmine dai piedi rossi: [I[De bonis aucellis majoribus russis pedibus]I] ([I[Sententiae n.° LXX]I]), e nella promissione ducale del Doge Pietro Loredano all'anno 1567 si nominano [I[bonarum aucellarum magnarum]I]. Riconosciutosi però, nella serie successiva degli anni, che nell'autunnale stagione, le burrasche e l'aggiramento variato de' venti imperversando, il più delle volte impedivano, che la cacciagione così fortunata riuscisse da poter raccogliere tanto numero di uccelli, quanto era d'uopo per l'annuo regalo del Doge, a' ventotto di giugno dell'anno 1521 nella sede vacante lasciata da Leonardo Loredano dal Consiglio Maggiore si prese il partito e la deliberazione, [I[che in luogo degli uccelli, che cadaun gentiluomo nostro aver suole dal Principe, per l'avvenire aver debba una moneta della forma che parerà alla Signoria nostra, che sia di valuta di un quarto di ducato, e li Camerlenghi del Comune siano obbligati delli denari deputati al Principe di dare agli Officiali nostri delle ragioni vecchie quella somma fissata per detta regalia, da essere distribuita alli nobili nostri nel tempo, modo e forma, come osservare solevasi nella dispensazione degli uccelli]I]. Ecco la derivazione del nome di questa moneta, ed ecco la epoca certa della sua origine.
Il Prevosto Lodovico Antonio Muratori, nella sua dissertazione ventesimasettima, dà il nome di Osella ad una moneta di Andrea Vendramin del 1476 al n.° XVIII, che non è che una moneta comune, del valore di soldi venti, con la inscrizione [I[Jesus Christus Tibi soli gloria]I], e crede pure che sia un'Osella la lira nuova di Cristoforo Moro al n.° XXIII, la quale altro non era se non una novità introdotta nel conio delle lire, novità che fu susseguitata anche dal Doge Nicolò Tron, ma che fu poi tolta da un decreto del Maggior Consiglio vacante ducatu all'anno 1473, 11 agosto, con queste parole: [I[Ad Capitulum XI de moneta auri et argenti tenenda in culmine addatur, quod in omni sorte monetae, quae fiant in Zecca Nostra, imago Ducis fiat flexis genibus ante imaginem Sancti Marci in illa forma, quae imago ipsius Ducis est posita super ducatum, nec imago Ducis in moneta nostra fieri possit per istud M. C. declaretur. Soldini autem et ceterae monetae stampetur cum consuetis figuris. (Promissio ducalis)]I].
Potrebbe forse taluno desiderare, che alcune parole si impiegassero nel render conto nell'arte dai nostri incisori adoperata nella fabbricazione di queste medaglie. Tali però essi fino dal suo principio si dimostrarono da non farne alcun calcolo per la storia dell'arte dell'incisione, ed anzi sembra che molti quella trascuranza vi ponessero, che nel conio delle monete in corso adoperavano. Quindi le imagini vi sono piuttosto schiacciate, che incise; nessuna varietà nei lavori, ed in conseguenza nissuno effetto; i tratti della fisionomia e le fattezze del volto sono senza verità e senza grazia; la bocca è segnata per mezzo di una linea retta, e tutto insieme il disegno alcun poco grecizzando, non dimostra che la decadenza dell'arte, la quale tanto si era dagli antichi modelli discostata. È bensì vero che al tempo di Andrea Gritti certo Vettor Gambello o Camello intagliatore fioriva, del quale si fa parola dal fu Bibliotecario Cav. Giacopo Morelli nella notizia di opere di disegno del secolo XVI esistenti in Cremona, in Padova ecc., e nel Museo Gradenigo si conservava una piccola medaglia bellissima, nella quale era la di lui effigie colla leggenda [I[Victor Camelius sui ipsius effigiator MDVIII]I], siccome pure dal Zanetti nella sua memoria sulla origine di alcune arti principali appresso i Veneziani è detto d'una medaglia di Marco Sesto, che mostra di essere coniata nell'anno 1393. Quelle medaglie però che più a' tempi nostri si avvicinano, deposta l'antica rozzezza, offrono maggiore interesse dal lato della composizione e minore goffezza de' tempi bassi nella esecuzione. Devesi pur anco riconoscere, che le lettere, conservando quasi l'antica purezza del romano carattere, sono espresse chiare ed intelligibili, e non quali s'incontrano negli altri stati d'Italia, nei quali le stesse forme degli alfabeti sempre più trascurate si veggono nelle inscrizioni e leggende, o quali furono imaginate dall'autore delle antiche memorie delle monete veneziane, nelle quali niun segno alfabetico si riconosce.
Prima però di entrare nella illustrazione delle Oselle sembrami utile di fare una dichiarazione generale di que' segni che in esse impressi negli eserghi si veggono. Abbiamo dal Conte Carli nella sua opera delle Zecche, che ne' diversi stati d'Italia, allorché i principi si prevalevano del diritto della moneta, davano ad impresa la fabbrica del loro argento da monetarsi. Gl'impresarii, mastri di zecca appellavansi; questi duravano nel ministero uno o due anni, e più o meno a norma delle contrattazioni, e nelle monete le loro iniziali ponevano a guarentigia della buona qualità loro. Non cosi nella Repubblica di Venezia facevasi, ove l'azienda della Zecca per amministrazione maneggiavasi, e di essa un magistrato cura e governo teneva. Si legge infatti, che fino dall'anno 1269 erano già instituiti gli uffiziali all'argento, che in appresso massari s'intitolavano, i quali de' fatti tutti, che la monetazione dell'argento risguardavano, occupavansi. La nomina di questo magistrato dall'autorità del Consiglio Maggiore proveniva. Ne' tempi posteriori la materia della monetazione affidata venne al Senato il quale una nuova magistratura creò col titolo di Provveditori di Zecca. Gli antichi massari continuarono tuttavia quasi senz'alcuna autorità, perciocché subordinati a questa senatoria magistratura. Siccome però eglino erano dal Maggior Consiglio prescelti, così ad essi la prerogativa di firmare le monete d'argento con le iniziali del più anziano fra loro venne conservata, prerogativa la quale alcune volte si omise, senza però che da alcun decreto sia stato in contrario stabilito. Vedrassi quindi successivamente, che quasi ad ogni Osella nelle incise sigle si riconoscono i nomi dei massari di Zecca dell'argento, sotto i quali esse furono coniate. I massari percepivano ad ogni marca di argento bollato quattro piccoli per ciascuno oltre al mensuale assegno di ducati settanta. Questa magistratura era coperta da due nobili, che s'intitolavano massari all'argento, ed altra ve n'era di massari all'oro, e due anni nella magistratura duravano; alcune volte però accadeva, che all'epoca della fabbricazione delle Oselle si cangiasse l'individuo nel magistrato, ed ecco perché in alcune si trovano le sigle variate da quelle che si riportano nelle presenti illustrazioni.
Vogliono alcuni, che debbasi la serie delle Oselle incominciare da un getto di bronzo, senza indicazione di nome alcuno di Doge, quasi alle altre modello; su di che non conviene il succitato Co. Carli, il quale lo giudica piuttosto una delle monete, che dai Dogi nel giorno della incoronazione distribuivansi, il che non sembra probabile, mancando il nome dell'eletto. Ciò non ostante, a soddisfazione di alcuni, ho fatto da prima incidere questo getto senza nome alcuno di Doge (Tav. I). Rappresenta esso nel diritto la Vergine seduta coronata dal divin Figliuolo, che, seduto egli pure, ed egualmente coronato, tiene nella sinistra mano lo scettro, e sulla soglia de' troni siedono due Angioletti, e dall'alto si vede la colomba, e sei teste di Cherubini, ed intorno il motto [SC[REDENTORI]SC] ([I[sic]I]) [SC[MUNDI]SC], [SC[REGINA]SC] ([I[sic]I]) [SC[CELI]SC] ([I[sic]I]); e sul rovescio nel mezzo una figura coronata in piedi con la spada nella dritta, e la bilancia in bilico nella sinistra, al cui lato destro avvi la Pace col ramo d'ulivo, ed al sinistro l'Abbondanza che tiene la mano destra stesa sulla spalla della coronata figura, e nella sinistra il cornucopia con la inscrizione intorno [SC[MUNUS. DATUR. NOBILIBUS. VENETIS.]SC]: la quale rappresentanza rammenta il giuramento che prestavano i Dogi nell'assumere la suprema dignità. A corroborare maggiormente questa opinione concorre la medaglia di Andrea Gritti, rarissima medaglia, annoverata fra quelle del museo Pinelli, nella quale evvi il diritto con la testa di lui (il che prova essere essa una medaglia privata di questo Doge, giacché le effigie dei Dogi erano nelle monete fino dall'anno 1473 vietate) e con la inscrizione [I[Andreas Griti Dux Venet]I]. Nel rovescio poi san Marco sedente, che scrive il Vangelo sopra un leggio, ed all'intorno: [I[Munus datur nobilibus Venet. S. M. V.]I] di quarta grandezza. Che si facessero questi donativi alla nobiltà nel giorno della incoronazione, nel mentre che largizioni al popolo distribuivansi, dalle storie il sappiamo, né queste con gli annui regali confondere si dovevano. Le largizioni popolari, che dicesi aver avuto tra noi principio alla epoca del Doge Sebastiano Ziani all'anno 1173, il quale ricchissimo uomo qual era, volle che la moltitudine della pubblica gioia ed allegrezza godesse, e non già, come asserisce il sig. Daru nella sua romantica istoria di Venezia, per affezionarsi la plebe, la quale aveasi dal governo alienata perché resa priva del diritto di elezione; queste popolari largizioni, ripeto, anticamente sotto i romani e i greci imperatori costumavansi, e quelle sono che più propriamente sotto il nome di [I[congiarie]I] chiamavansi, ed erano ordinate per accrescere la gioia popolare. Il citato Co. Carli, in opposizione al surriferito abate Palazzi, vuole con lo stesso nome distinguere l'annuo donativo del Doge, adducendone in prova, che, sotto tal nome, tutti gli antichi donativi pubblici negli altri stati si ritenevano.
Il primo Doge, eletto dopo la decretata sostituzione, fu Antonio Grimani, dello stipite che noi chiamiamo di santa Maria Formosa, famiglia insigne e per l'antica sua origine, e per molte ecclesiastiche dignità dalla chiesa conferitele, e per pubblici impieghi cittadineschi e stranieri, e pel cospicuo favore da' suoi maggiori alle scienze ed alle arti accordato, per cui la fama per ogni dove ha i suoi pregi divulgato. Questi sedette sul ducal trono dai 7 di luglio dell'anno 1521 fino al maggio del 1523; e, quantunque un anno e dieci mesi corressero della sua ducea, e quindi due epoche dell'annuo dono, pure nella serie delle Oselle una sola con la indicazione del nome di lui si conserva; né vedendosi in essa espressi gli anni, potrebbe fors'anco congetturarsi, che, non cangiandosi impronta, quella sola del primo anno si ritenesse. Essa sul diritto rappresenta il Salvatore del mondo sul trono seduto col suo monogramma XC fra i pedali della seggiola, il quale benedice il Doge ginocchioni, a cui san Marco giù dei gradini del trono, e con le iniziali sul capo S. M. che lo caratterizzano, lo stendardo della Repubblica consegna. Nella banderuola dello stendardo vedesi il leone alato, simbolo dell'Evangelista, e vi si legge all'intorno la inscrizione [SC[BENEDIC. POPULUM. TUUM. DNE.]SC], e nell'esergo [SC[ANT. GRIM. DUX.]SC], e nel rovescio sono due figure di donne togate, che le destre si stringono, con la epigrafe in giro [SC[IUSTITIA. ET. PAX. OSCULATAE. SUNT]SC]. Antonio Grimani prima della sua esaltazione da più di venti anni era stato dal Veneziano Senato nell'isola di Cherso confinato, imperciocché nella guerra contro Bajazet, Signore de' Turchi, all'anno 1499, essendo comandante della flotta veneziana, trascurato aveva la occasione di combattere l'inimico. Si sottrasse egli dal suo esilio, e presso un figliuolo, che in Roma era cardinale di santa Chiesa, ritirato viveva. Successa nell'anno 1508 la fatal lega di Cambrai, in cui i vari potentati di Europa a' danni della Veneziana Repubblica si collegarono, il Grimani, che verso la patria l'antica affezione conservata aveva, più volte di tranquillare l'animo alienato del pontefice procurava, e col mezzo del figliuolo, e con l'opera propria dopo due anni riuscì a disgiungere il pontefice dalla lega, e conchiuder la pace con la Repubblica. Questo merito del Grimani fu cagione che, dall'esilio alla patria richiamato, nel 1509 la perduta dignità di procuratore di san Marco abbia ricuperato, e, successa la morte del Loredano nel 1521, fra l'aspiro dei più esimii cittadini, alla sede ducale sia stato promosso. Il diritto di questa sua medaglia ci ricorda la carità verso la patria, sulla quale non cessò mai, ancorché esule ed assente, d'invocare la benedizione del Signore, mentre nel rovescio con la Giustizia e la Pace, che le destre si stringono, allude nel tempo medesimo ed alla pace successa dopo lo scioglimento della lega, ed alla giustizia a lui stesso resa dalla patria, che i di lui meriti riconobbe. Questa Osella, siccome la prima della serie, è divenuta assai rara, e nella sua verità ad alcuni musei è finora mancata. Dalle memorie di Zecca si riconosce che il titolo di questa Osella era del peso di grani 180, di sessanta di peggio, di cento settanta e cinque ottavi a fino, e del valore di lire una, soldi dodici e sei piccoli, valore che pochi anni appresso fu portato a lire una e soldi sedici.
Avvenuta nel maggio del 1523 la morte di questo Doge, nella sede vacante un nuovo decreto del Consiglio Maggiore fu preso, pel quale accordato venne, che al nuovo Doge fossero fatti buoni que' danari che gli occorressero pel donativo oltre i ducati trecento e cinquanta, che per questa ragione riscuoteva, considerata la grave spesa che ogni Doge era per ciò tenuto di fare.
Al Grimani nel maggio dell'anno 1523 Andrea Gritti subentrò, i talenti e le geste famose del quale furono e da Bernardo Navagero in una orazione latina lodate, e da Nicolò Barbarico nella vita di lui, per cura impressa del sopra lodato cavaliere ab. Morelli, pulitamente encomiate. Le Oselle annualmente coniate sotto il suo principato non ricordano alcuna delle sue imprese, né offrono nelle loro impronte memoria alcuna de' patrii avvenimenti. Quindici anni e tre mesi rimase questo doge sulla ducale sede, e nelle sedici medaglie da lui alla nobiltà regalate contrassegnò nel diritto san Marco in piedi che dà lo stendardo al Doge ginocchioni col motto intorno [SC[S. M. VENET. AND. GRITI. DUX]SC]. Il titolo della dignità [SC[DUX]SC] non trovasi nell'esergo, siccome sta nella precedente del Grimani, ma leggesi disposto vicino all'asta dello stendardo per lungo. Tate disposizione continuò sino all'anno 1574, quinto della ducea di Alvise Mocenigo. Nel rovescio per la prima volta collocar fece la leggenda: [SC[AND. GRITI. PRINCIPIS. MUNUS. ANNO. I.]SC], leggenda che, generalmente parlando, fu fino all'ultimo termine del Governo continuata. Qualche variazione però nel tipo del diritto accadde in quella dell'anno sesto e dei susseguenti fino al sedicesimo, nelle quali il san Marco non più in piedi ma seduto si vede sur una cattedra con lo schienale, e la disposizione delle lettere è in senso inverso della prima, volgendosi tutte alla stessa parte: variazione che si è creduto necessario d'indicare anche nelle tavole, aggiungendo alla prima del Gritti segnata ([I[lett]I]. a), l'altra (b) per norma dei curiosi osservatori e raccoglitori, i quali deggiono essere pur anco avvertiti, che siccome in alcuni musei le Oselle vere di questo Doge mancano, così, ad oggetto di continuarne la serie, furono alle mancanti sostituiti de' getti di argento. Evvi pure la circostanza che nell'Osella del quinto anno l'iniziale V. indicante il [I[Venetus]I] dopo [I[S. M.]I] esiste nell'esergo, come eziandio in quella dell'anno sesto la lettera [I[S.]I] indicante il [I[Sanctus]I] vedesi nell'esergo, mentre nelle altre è posta dietro la sedia dell'Evangelista. Il valore di queste Oselle fu nell'anno 1528 portato a lire una e sedici soldi, il che continuò fino all'anno 1570.
Pietro Lando fu il successore del Gritti nell'anno 1538, cittadino che passò con grande applauso per tutti i principali magistrati, e del quale a tutti gli ordini della città era notissima la integrità e la fortezza sì ne' militari, che ne' politici impieghi. Sette sono le Oselle di questo doge a' nobili distribuite, siccome sette furono gli anni del suo principato, morto essendo agli otto di novembre dell'anno 1545. Queste egualmente nulla offrono allo studio ed alla diligenza de' commentatori ed interpreti, ripetuto essendo in tutti gli anni del suo ducato il conio medesimo, che rappresenta san Marco sur una cattedra seduto, il quale lo stendardo pubblico al doge genuflesso consegna con la inscrizione nel diritto intorno: [SC[S. M. VENETI. PETRUS. LANDO. DUX.]SC], e nel rovescio: [SC[PET. LANDO. PRINCIPIS. MUNUS. ANNO. I.]SC], e così successivamente con la sola variazione degli anni. Nell'esergo del diritto sono le iniziali V. S. che, come abbiamo fin dal principio osservato, indicano il nome del massaro all'argento in Zecca, che in quell'anno era Vettor Salomon, e questa è la prima Osella che lo riporta. Sotto questo Doge, nell'anno 1541 agli 11 gennaio, uscì decreto che la moneta da darsi ai gentiluomini non dovesse essere in maggior numero di quelli, ed avesse a corrispondere alla valuta di tre Marcelli, cioè peggio 60 di peso di grani 189 accresciuto di nove grani dalle prime, e valutata a L. 1:16 a fino grani 179.5/32; ed in tal guisa si continuò sotto tutti i successivi dogi, e si accrebbe di prezzo finché, giunta al valore di L. 3.18, il loro stampo era di danno alla Zecca.
Francesco Donato, il quale era stato competitore del Lando, ed aveagli ceduto affine di non recar danno alla patria per la guerra che allora e in terra e in mare ardeva, troppo a lungo la creazione protraendo, aveva coperto i reggimenti di Rovigo, Vicenza, Padova ed Udine, e sostenuti i gradi di Senatore, Savio, Capo dei Dieci, Consigliere e Procuratore. Fu a Doge creato a' ventidue di novembre dell'anno 1545, e morì in maggio del 1553, e quindi sette furono le Oselle col di lui nome segnate. La profonda pace sotto gli auspicii del suo ducato goduta, nella quale le arti belle a nuova vita risorsero, niuna circostanza particolare somministrò ai tipi delle sue medaglie, le quali conservano la consueta impronta nel diritto di san Marco seduto, ed il Doge in ginocchio, che da lui riceve lo stendardo col motto: [SC[S. M. VENETUS. FRANCISCUS. DONATO. DUX.]SC], adoperandosi per la prima volta tutta intiera la parola [I[Venetus]I] mentre da prima scrivevasi [I[Venet]I]., abbreviatura di [I[Venetiarum]I], e nel rovescio [SC[FRANCISCUS. DONATO. PRINCIPIS. MUNUS. ANNO. I]SC]. Nell'anno quinto s'incominciò ad aggiungere nell'Osella una donna togata, con regia corona in capo, il cornucopia appoggiato e tenuto dal braccio sinistro, e con la destra mano tesa sulla spalla del doge, la quale può rappresentare l'abbondanza e la pace che in quegli anni la Repubblica godeva (fig. 6). Negli anni successivi continuossi lo stesso tipo, e non ebbe luogo alterazione veruna nelle inscrizioni e leggende, e solo la indicazione degli anni variossi ([I[lett]I]. a).
Un solo anno sedette sul trono ducale Marco Antonio Trivigiano, eletto a successore del Donato nel 1553, cittadino ragguardevole per costumi e per innocenza di vita, liberale in sommo grado verso i poveri e religiosissimo. Niuno avvenimento avendo la pace interrotta, che per molti anni nella Italia godevasi, la sola medaglia per lui coniata non offre nel diritto che il consueto tipo di san Marco seduto, che dà al doge ginocchioni lo stendardo della Repubblica col motto [SC[S. M. VENETVS. ANTON. TRIVISANO. DVX.]SC], e nel rovescio [SC[MARCI. ANTONII. TRIVISANO. PRINCIPIS. MVNVS. ANNO. I]SC].
Fu pure assai breve il reggimento del Doge Francesco Veniero, il quale la sede ducale occupando dagli undici di giugno dell'anno 1554 fino ai quattro giugno del 1556, non ebbe che due sole epoche del donativo ai nobili, ed in entrambe le sue Oselle conservò l'antico tipo e le consuete inscrizioni, del suo nome e nel dritto e nel rovescio fregiandole: [SC[S. M. VENETVS. FRANCISCVS. VENERIO. DVX. FRANC. VENERIO. PRINCIPIS. MVNVS. ANNO. I.]SC] e [SC[II]SC].
Al Doge Veniero sottentrò nel giugno del 1556 Lorenzo Priuli, eletto quando tre procuratori di S. Marco ambivano la suprema dignità, ed egli visse tre anni Doge, e tre le Oselle furono col nome di lui coniate, senza alterazione veruna né nel tipo, né nella leggenda, se non se la sostituzione del suo nome a quello dell'antecessore, ed il segno degli anni del suo ducato, leggendo visi nel dritto [SC[S. M. VENETVS. LAVRENTIVS. PRIOLVX. DVX.]SC], e nel rovescio [SC[LAVRENTI. PRIOLVS]SC]. ([I[sic]I]) [SC[PRINCIPIS. MVNVS. ANNO. I. ]SC]ecc. È noto che questo doge fu grande raccoglitore di medaglie antiche, delle quali in gran copia somministrò al Vico ed al Golzio, allorché questi per ogni dove ne raccoglievano ad oggetto di pubblicarle; e fu lodato in morte dal preclaro uomo Lorenzo Giustiniano.
Girolamo Priuli, fratello maggiore del defunto, fu alla ducale dignità sostituito. Creato nel settembre dell'anno 1559, conservò la sede per otto anni e due mesi, e quindi a' nobili nove medaglie distribuì, le quali, abbenché niuno avvenimento ricordino all'osservatore diligente, ritenendo nel diritto la consueta impronta di san Marco su la cattedra seduto col Doge a' suoi piedi, che lo stendardo riceve, la solita inscrizione [SC[S. M. VENETVS. HIERONIMVS. PRIOLVX. DVX.]SC], e nel rovescio [SC[HIERON. PRIOLI. PRINCIPIS. MVNVS. ANNO. I.]SC], ciò non ostante leggonsi da questa parte nel contorno aggiunti agli anni della salute del mondo quelli della edificazione della città di Venezia [SC[SALVTIS. ANNO. 1559. AB. VRBE. CONDITA. 1139]SC], e così successivamente fino all'anno 1567. Questa forma di enumerare gli anni dalla epoca della edificazione della città, derivata dall'antico romano costume, che in simil guisa ai proprii fasti la data poneva, il pensiero fa nascere che eziandio nelle medaglie la eleganza del bello scrivere classico avesse luogo, unitamente alla vivacità e maestria de' pennelli dei Tiziani, dei Tintoretti, dei Giorgioni, alla eccellenza degli scalpelli dei Lombardo e dei Sansovino, e alla nobiltà delle seste e delle squadre degli Scamozzi, dei San Micheli e dei Palladio con cui la propria città abbellivasi.
Alla morte di Girolamo Priuli fu eletto, contro l'aspettazione della città e di lui medesimo, Pietro Loredano nell'ottantesimo quinto anno della sua età per merito d'integrità e di bontà. Se dalle illustrazioni dell'abate Palazzi inferir si dovesse il numero delle veneziane medaglie, una sola indicare si dovrebbe al Doge Pietro Loredano spettante, mentre egli solo la prima di questo Doge segnata con gli anni 1568 registra; siccome però eletto rimase nell'ottobre di quell'anno, e morì nel maggio del 1570, così due le Oselle furono da lui fatte coniare, ritenendo l'antica impronta ed inscrizione nel diritto, e conservando nel rovescio, oltre il consueto motto, registrati gli anni della redenzione e della edificazione della città, per cui nel diritto si legge [SC[S. M. VENETVS. PET. LAVREDANO. DVX.]SC], nel rovescio [SC[PETRI. LAVREDANI. PRINCIPIS. MVNVS. ANNO. I.]SC], e nel contorno [SC[SALVT. AN. 1568. ET. AB. VRBE. CONDITA. 1148.]SC], e nel rovescio dell'altra con l'[SC[ANNO. II.]SC], vedesi paranco [SC[SALVT. AN. 1569. ET. AB. VRBE. CONDITA. 1149]SC].
Il Doge Alvise Mocenigo, Cavaliere e Procuratore di san Marco, fu dopo la morte del Loredano a' cinque di maggio dell'anno 1570 eletto, il quale in quel tempo per esperienza di affari esterni ed interni, per riputazione di soda virtù, e per certa elevatezza d'ingegno e gravità, che furono in lui singolari, tenevasi atto a tanto incarico in quelle torbidissime circostanze. La prima Osella di lui mantenne nel diritto il consueto tipo ed il motto, il che fece pure nel rovescio, conservando gli anni dell'era cristiana e quelli della fondazione della città, leggendosi su di essa da un lato: [SC[S. M. VENETVS. ALOYSIVS. MOCENIGO. DVX.]SC], e dall'altro [SC[ALOYSI. MOCENIGO. PRINCIPIS. MVNVS. ANNO. I.]SC], e nella periferia di questo lato [SC[SALVT. ANN. 1570. ET. AB. VRBE. CONDITA. 1150]SC]. ([I[linea]I] 4, [I[lett.]I] a). Variano però tanto nel diritto, che nel rovescio i tipi e le inscrizioni della seconda Osella di questo Doge. Importanti avvenimenti essa alla mente ricorda, ed alla posterità li tramanda. Già sotto il di lui antecessore Loredano, Selimo, imperatore de' Turchi, aveva rotta la guerra ai Viniziani, i quali, perduto nel primo anno di questo Doge il regno di Cipro, eransi in alleanza stretti con Filippo II re delle Spagne, col sommo pontefice Pio V, e con l'ordine militare di Malta. Riunitesi adunque le flotte degli alleati, forti di più di duecento galere e galeazze, poco lungi dalla imboccatura del golfo di Lepanto fra le isole Curzolari, la flotta ottomana incontrarono a un modo eguale di forze, e nella mattina dei 7 ottobre del 1574 con estremo accanimento battagliarono; dal che la totale sconfitta dell'inimico successe, che alcun poco abbassò l'alterezza di lui. Allusiva a sì segnalata vittoria fu la Osella del secondo anno di questo Doge, nel cui diritto si vede S. Marco tenere con la sinistra mano il vessillo della Repubblica, e con la diritta in atto di benedire il Doge genuflesso stendente allo stendardo la sinistra mano, mentre tiene la destra quasi in atto di segnarsi, ed intorno ha le parole: [SC[S. M. VENETVS. ALOY. MOCEN. ANNO. II. DVX.]SC], e nel rovescio [SC[M.D.LXXI. ANNO. MAGNAE. NAVALIS. VICTORIAE. DEI. GRA. CONTRA. TVRCAS.]SC] ([I[lett.]I] b). Né solamente nelle Oselle quella vittoria dal Doge con pubblica testimonianza si rammemorava, ché nel giorno 7 ottobre una solenne funzione sacra si decretava, e di più davasi allora principio ad una nuova moneta, che la effigie della Santa riporta, e che il nome assumeva di Giustina, del peso di venti carati, e che fu accresciuta fino al quadruplo negli anni posteriori. Nel terzo, quarto, quinto e sesto anno si ripresero gli antichi tipi e le consuete inscrizioni con la segnatura degli anni, e solo nell'anno sesto si vede alcun poco variata la cattedra del Santo, su la quale la spalliera con elegante forma s'innalza, spalliera ommessa sotto il Doge Loredano, e ne' primi anni del Mocenigo. Inoltre il titolo [SC[DVX]SC] non più leggesi lunghesso l'asta dello stendardo, ma nell'esergo del diritto ([I[linea]I] 5, [I[lett. ]I]c). Nell'anno 1576, l'ultimo in cui il Mocenigo sul ducal trono sedette, dappoiché i Veneziani avevano riparato alcun poco i mali della passata guerra, e con la straordinaria venuta di Enrico III re di Francia gli animi loro alla gioia ricomposti, una spaventevole pestilenza in tutte le parti della città la desolazione e la strage menava sì, che nello spazio di pochi mesi più di quarantamila persone sotto l'atroce flagello la morte miseramente incontrarono. Né solo umili supplicazioni e molte pubbliche processioni dalle divote persone a Dio furono fatte; ma dalla pietà del Veneziano Senato la erezione di un tempio, per voto al Redentore del mondo dedicato, si decretò, il quale riuscì il capo d'opera della eleganza e della sublime semplicità Palladiana, e tale, che, se non in splendore, almeno in bellezza, ecclissa ogni altro fra i più decantati e meravigliosi. A rendere perenne la memoria della pubblica pietà, fu nell'anno settimo dai Mocenigo fatta coniare una Osella ([I[lett.]I] d), nel diritto della quale il santissimo Salvatore seduto, stendendo la sinistra mano al vessillo, tiene la dritta in atto di benedire il Doge ginocchione, il quale porta la destra mano al petto in segno di compunzione, e la sinistra aperta distende in aria supplichevole, e dietro a lui mezzo nascoso giace prosteso al suolo il Leone con la epigrafe: [SC[ALOY. MOCENIGO. P. MVN.]SC] e nell'esergo [SC[ANNO. VII]SC]. Nel rovescio poi vedesi un magnifico tempio, di statue e colonne ornato e ricco, e su l'abside esterna il Leone alato con le parole intorno: [SC[REDEMPTORI. VOTVM. ANNO. M.D.LXXVI]SC]. Fu da taluno osservato esistere alcune Oselle dell'ultimo anno di questo Doge con variazioni nelle lettere delle leggende; ma queste non possono essere che falli dell'incisore, e non già varianti. Le memorie di Zecca danno alle prime due Oselle di questo Doge il valore di lire due ed un soldo, ed alle successive quello di lire due e soldi tre.
Nel giugno dell'anno 1576 Sebastiano Veniero, Procuratore di S. Marco, succedette al defunto Mocenigo, ma un solo anno sulla sede ducale rimase. Questo Doge, che era stato capitano generale sulla flotta, e il quale col suo valore contribuito aveva all'esito fortunato della battaglia di Lepanto in cui il centro comandava, la ricompensa più grande dalla patria ottenne pe' suoi sparsi sudori. Distribuendo a' nobili il consueto dono, volle, che nel diritto inciso fosse il protettore S. Marco in atto di benedire, con la sinistra allo stendardo appoggiata, mentre il Doge genuflesso gli presenta un ramo di palma in omaggio per la ottenuta vittoria, ed un Angelo a volo discende dal cielo col ducale berretto apparecchiato a collocarglielo sul capo col motto: [SC[SEB. VENERIO. P. MVNVS]SC]., e sotto [SC[ANNO. I.]SC], e tutto ciò in memoria di essere stato dal suo Angelo tutelare nella famosa giornata salvato. Nel rovescio poi ricorda la protezione del cielo accordata alla città nella pestifera mortalità passata, dall'alto mostrandosi il Signore che la sottoposta città benedice, ed alla quale varie galere approdano con la epigrafe: [SC[1577. MAGNA. DEI. MISERICORDIA. SVP. NOS]SC]. Parve al Palazzi di vedere in questo rovescio nuovamente rammentata la battaglia dei Curzolari, sognando esservi le flotte che s'incontrano; ma chiaramente risulta essere al di sotto del Signore raffigurata una città, ed anzi da' suoi edifizii puossi Venezia riconoscere, alla piazzetta della quale, non già nemiche flotte s'incontrano, ma tranquille navi onerarie approdano, e danno fondo; oltre a che lo stesso motto che vi si legge appalesa piuttosto la liberazione di un flagello, che non una vittoria per la Dio grazia ottenuta.
Alla morte del Doge Veniero aspirarono con eguale fervore e non diseguale benemerenza Jacopo Soranzo e Paolo Tiepolo, costituiti ambo nella medesima età e riputazione appresso di tutti; ma nel mentre, gareggiando essi di virtù e di applausi, vi anelano, vi si vide sollevato Nicolò da Ponte, Procuratore di S. Marco, il quale siccome artefice della propria fortuna, posti alla futura sua grandezza i fondamenti sulla cultura delle arti e della filosofia, della quale avea tenuta per alquanti anni pubblica lezione, agli affari pubblici dedicandosi, e superando ciascuno nella prudenza e nella forza del parlare, tutti i gradi più onorevoli avea già scorsi. Era egli a quel tempo luogotenente in Udine quando fu al Veniero in successore eletto, quasi da celeste inspirazione a ciò gli elettori condotti. Infatti nelle Oselle, che ne' sette anni della sua ducea a' nobili distribuì, null'altro fece imprimere, che sul diritto san Marco sur una cattedra, di spalliera ornata, seduto, poggiando la destra mano sopra uno de' bracciuoli della sedia, nel mentre che con la sinistra al Doge lo stendardo consegna, il quale con le ginocchia piegate pure con la sinistra il riceve, tenendo al petto la destra, e dietro a lui un Angelo già in terra disceso, che il berretto ducale gli appresta, quasi ad indicare la sua inaspettata elezione, con le parole: [SC[S. M. VENETVS. NIC. DE. PONTE. D. ]SC]e sotto l578 e seguenti. Il Palazzi asserisce che su la banderuola dello stendardo impresso sia il monogramma del Santo [SC[S. M.]SC], ma nella serie delle Oselle, che mi sono sotto l'occhio, tanto di questo che degli anni successivi, non seppi rilevare che il consueto simbolo dell'Evangelista, cioè il Leone alato. Anche nel rovescio delle stesse Oselle la pietà di questo Doge riluce, poiché, elevato sulla sede ducale nel giorno a san Giuseppe dedicato, volle, che in ciascuno dei sette anni, qualunque avvenimento posponendo, la figura di detto Santo si mostrasse con verga in mano fiorita ed il motto: [SC[VIRGA. FLORVIT. PRINC. MVNVS. AN. I.]SC], e nel basamento della figura di santo Giuseppe [SC[S. IOS.]SC], e così di seguito fino all'anno settimo.
In questo anno 1585 entro il mese di luglio il Principe Nicolò da Ponte, avendo governata la Repubblica per sette anni, in età di anni novanta finì di vivere. A lui succedette Pasquale Cicogna, Procuratore di S. Marco, ragguardevole per innocenza e per integrità di vita, il quale esercitando nell'antipassata guerra l'impiego di Provveditore della Canea nell'isola di Candia, avea dato saggi di prudenza e di fortezza singolare. Lo stesso spirito di religione e di pietà animava l'eletto Doge, che fino all'aprile del 1595 sedette sul ducal trono, e quindi dieci furono le Oselle che ai nobili offeriva. Nella prima di queste evvi conservato il diritto del suo antecessore, variato il nome, mentre nelle altre nove il tipo del Doge Veniero adoperavasi con l'Angelo, che dall'alto discende, piuttosto che sia disceso, tipo che fu creduto inutile di ripetere nelle tavole, dappoiché la sola differenza nella posizione dell'Angelo consisteva. Le parole sono: [SC[S. M. VENETUS. PASC. CICONIA. D.]SC] e sotto 1585. Nel rovescio poi è la santissima Croce in mezzo a due altre Croci con la leggenda: [SC[HINC. SALVS. ET. RESVRRECTIO. ANNO. I]SC]. La impronta adoperata da questo Doge nelle sue Oselle, ricordando la religione e la pietà di lui, mostra quale predilezione egli avesse verso l'ordine dei Padri Crociferi. La insegna di questo ordine, ch'era appunto tre Croci, oggigiorno si vede sopra una delle porte del fabbricato esistente qui in Venezia nella piazza detta dei Gesuiti, ove quella religiosa comunità chiesa teneva ed ospizio. Quel Doge infatti frequentava con divozione particolare l'oratorio annesso all'ospizio, ed ivi pure trovossi nell'atto che gli fu annunziata la sua esaltazione alla sede ducale. Quest'oratorio, che fu nell'anno 1845 illustrato da monsignor Gio. Bellomo, Canonico della Basilica Patriarcale di S. Marco, e Professore emerito dell'i. R. Liceo Convitto, è posto di fronte alla chiesa de' RR. PP. Gesuiti, nella quale evvi il deposito di questo Doge, ed è annesso al già ospizio de' Crociferi, che fu poi ridotto ad ospizio di donne inferme e vecchie. Ed in esso trovasi un quadro che ricorda appunto che, stando il Cicogna colà ad orare, gli venne recata la notizia della sua elezione a Doge.
Il Doge Pasquale Cicogna avendo alle pubbliche cose per nove anni atteso, mancò di vita con massima riputazione di religiosità, di prudenza, di umanità, onde si distinse singolarmente. Richiedevano quel supremo posto della patria tre ragguardevoli senatori, Jacopo Foscarini, Marino Grimani e Leonardo Donato, tutti tre Cavalieri e Procuratori di san Marco, i quali erano passati per tutti i gradi di onore con distinta lode di virtù e di benemerenza. Il Grimani per fama di innocentissima vita era commendabile, non che per certa naturale affabilità atta a cattivarsi gli animi di ogni genere di persone, e per una ingenua libertà di spiegare la propria opinione eloquentemente. Tra il contrasto dei partiti alla fine fu pubblicato nel giorno 23 aprile Doge Marino Grimani. Undici sono le Oselle fatte da lui imprimere dall'anno 1595, in cui al Cicogna succedette, fino al 26 di dicembre del 1605. Questo Doge, della cospicua famiglia dei Grimani, uscito dal ramo di quelli di san Luca, illustri progenitori contava, che per la religione e per la patria le loro sostanze ed il sangue sparso avevano, e nell'insegna, o nell'arma che vogliam dire, della sua famiglia la croce inserivano, a chiara dimostrazione della parte presa nelle guerre di religione, ossia nelle crociate. Piena la mente ed il petto di queste sublimi idee da' suoi avi ereditate, il Doge ordinò, che nel diritto delle sue medaglie impresso fosse il santissimo Salvatore, il quale lo stendardo consegnandogli, la cui banderuola dall'aria agitata si mostra, con la destra lo benedice, nel mentre che egli genuflesso con ambe mani lo riceve, avendo intorno le parole: [SC[BENED. AIA. MEA. DNO. MARIN. GRIM. DUX.]SC], e nell'esergo [SC[ANNO. I]SC]. Nel rovescio poi vi pose il simbolo dell'Evangelista, cioè un Leone rampante, del nimbo ornato il capo, che con la zampa diritta tiene una croce elevata col motto intorno: [SC[SYDERA. CORDIS.]SC], e sotto [SC[1595. S. M.]SC] cioè Sebastiano Marcello massaro dell'argento. Questo è il primo caso in cui mi è occorso di parlare delle cifre indicate nell'esergo, come quelle che denotano i nomi dei massari. In questo frattempo ho esaminate altre collezioni di Oselle, e mi venne fatto di riconoscere, che queste cifre in altre variano, il che non puossi esplicare in altra forma se non che erano due i massari, che aveano egualmente il diritto di apporvi il proprio nome, e che terminato fosse il periodo della loro carica. Niun'altra differenza le susseguenti tutte distingue, se non che le variate cifre degli anni e le iniziali dei massari di Zecca successivi. Buona ragione hassi per conghietturare che la croce, la quale, come si è detto, era innestata nell'armi della famiglia Grimani, perciocché da Goffredo Buglione, come accennano le antiche memorie, ad un suo antenato accordata, si volesse dal Doge in unione alle insegne della patria mostrare, affine di spiegare che la pietà e la religione non deggiono giammai dalla carità della patria esser divise. La mogliera di lui Morosina Morosini fece col proprio nome una medaglia gettare, ch' è una delle due impresse nella tavola settima delle Dogaresse. Rappresenta da un lato il busto di lei col velo ed il berretto ducale sul capo, e la croce dal collo pendente, ed ha intorno le parole: [SC[MAVROCENA. MAVROCENÆ]SC]. e dall'altro lato [SC[MVNVS. MAVROCENÆ. GRIMANÆ. DVCISSÆ. VENET.]SC] 1597. ([SC[TAV]SC]. VII). Fu però impropriamente a questa medaglia il nome di Osella attribuito, giacché, al dire dello Stringa nelle aggiunte alla [I[Venezia]I] del Sansovino, non fu questa coniata che nel mese di maggio dell'anno 1597 all'atto della incoronazione di lei, due anni già scorsi dalla elezione del marito, e fu a' nobili distribuita dappoiché la promissione ducale all'altare del santo Evangelista giurato aveva. Molte altre erano le onorificenze che alle mogliere dei Dogi praticavansi, ed oltre il manto di panno d'oro o d'argento, ed il velo di seta finissimo che sul capo col berretto ducale portavano, visite ed uffiziosità dagli ambasciatori de' principi e da' magistrati della città ricevevano, e da un numero di gentildonne e di parenti di casa, uscendo, accompagnate venivano, fino a che alla metà del secolo diciassettesimo, per togliere gli eccessivi dispendii che alle arti ed al popolo la incoronazione della Dogaressa specialmente accagionava, fu con decreto del Consiglio Maggiore giudicata questa azione non necessaria e poco aggiustata alla moderazione del Governo, conservandole però le stesse prerogative e gli usi praticati in altre occasioni e dalle leggi permessi. Ciò però, che alcun poco può recare di meraviglia, si è che la Dogaressa Grimani sia stata la prima a far coniare medaglie con la propria effigie, quando dalle cronache si sa che all'atto della incoronazione, per antico instituto, una borsa di oro riccio a ciascuno de' Consiglieri ed una al Cancellier Grande dalla consorte del Doge donavasi: dono elegante e gentile, di cui fa cenno il Sansovino nella descrizione delle feste fatte all'anno 1557 per la incoronazione di Zilia Dandolo, consorte al Doge Lorenzo de' Priuli. Quantunque però sia riconosciuta impropria la denominazione di Osella a questa medaglia affibbiata, pure, siccome in alcuni musei con tal nome si ritiene e conserva, ho creduto di aggiungerla alla settima tavola, come sopra è indicato, insieme a quella della Valiera, moglie al Doge Silvestro Valiero, affine di non interrompere la sincera continuata serie delle Oselle.
Nel mese di gennaio dell'anno 1605 Leonardo Donato, Cavaliere e Procuratore di san Marco, a Marin Grimani Doge succedette con applauso del Senato e di tutto l'ordine patrizio, e con le acclamazioni di tutta la città, il quale era puranche concorso, come si è veduto, nella precedente vacanza. Questi, terminando la sua carriera mortale nel mese di luglio dell'anno 1612, sei Oselle del suo nome fregiate di coniare ordinò. Tutta la sua vita civile, della quale gli storici ci assicurano, fa un tessuto di azioni sagge e prudenti. Insorte nel 1605 le controversie fra Paolo V sommo pontefice, e la Repubblica di Venezia, era stato dal Senato eletto il Donato per ambasciatore alla santa Sede ad oggetto di por termine ad ogni questione ed ottenere la desiderata riconciliazione. La morte però del Grimani e la elezione di lui in Doge rese di niun effetto la sua nomina all'ambasciata. Fermo quindi nelle sue massime di moderazione, e condotto da rettitudine di cuore, sui principii di quel Governo basando, del quale era il capo divenuto, volle che nell'annuo suo dono un pubblico e perenne monumento della sua felice disposizione rimanesse. Conservata la consuetudine nei tipi delle annuali medaglie, vedesi sul diritto di tutte sei san Marco seduto in atto di consegnare lo stendardo al Doge, il quale inginocchiato nella sinistra mano il riceve, coperto il capo con la ducale berretta, tenendo al petto la destra, e con la epigrafe all'intorno [SC[S. M. VEN. LEONARDVS. DONAT. DVX]SC]., e nell'esergo le sigle [SC[Z. P. S.]SC], che si spiegano Zuan-Pietro Sagredo massaro all'argento, e che nelle altre susseguenti diversificano. Nel rovescio di tutte sei l'Evangelista san Marco, seduto col Leone ai piedi, porge con la destra mano la spada sguainata a Venezia, simboleggiata in una donna che con la corona radiata in capo e genuflessa, nella sinistra la riceve, tenendo nella destra la bilancia in bilico col motto all'intorno [SC[RECTVM. IVDICIVM. DILIGAM.]SC], e nell'esergo [SC[ANNO. I.]SC] e così successivamente. Questo doge dopo la sua morte molti scritti lasciò relativi ai maneggi e alle negoziazioni da lui tenute per la riconciliazione con la santa sede, e in questi preziosissimi scritti tutta la delicatezza e la pietà di lui si riconosce.
Alla impensata morte del Doge Donato fra molti concorrenti, tutti ricolmi delle principali onorificenze della Repubblica, fu proclamato Doge Marc'Antonio Memmo, cittadino di assai avanzata età, ma di tale sublime e maestosa forma, che sopravanzando gli altri, attirava sopra di sé gli sguardi tutti, di tale soavità e facilità di costumi, che ogni animo si cattivava, e che avea la vita sua logorata nei pubblici uffizii, specialmente in qualità di rettore delle città dello Stato.
Dai ventuno di luglio dell'anno 1612 fino a' trentuno di gennaio del 1615 scorsero due anni e sei mesi nei quali il Doge Marc'Antonio Memmo sul trono sedette, e perciò il donativo delle sue Oselle a' patrizii a tre solamente limitossi. Tutte tre le dette medaglie lo stesso tipo conservano con la sola variazione degli anni e de' nomi de' massari. Portano esse nel diritto il santo Evangelista che, benedicendo con la destra il doge ginocchioni, lo stendardo della Repubblica gli consegna con la inscrizione: [SC[S. M. VENET. M. ANT. MEMO. DVX.]SC], e nell'esergo 1612. [SC[A. C.]SC], cioè Antonio Contarini massaro, in alcune altre variando. Nel rovescio il Salvatore in piedi, che invita, quasi in atto di predicare, con le parole intorno [SC[DOCE. ME. FACERE. VOLUNTATEM. TVAM. ANNO. I]SC]. Nulla nelle pubbliche storie essendo a cui in qualche forma abbiasi a credere allusivo il motto medesimo, che rinchiude la idea di una rassegnazione ai divini voleri, non sarei lontano dall'opinare, che esso si riferisca alla vocazione dell'unico di lui figliuolo chiamato alla ecclesiastica carriera col mezzo del santo cardinale Carlo Borromeo, per la quale rinunciando egli ai comodi privati ed ai pubblici onori, vestite le insegne della chiesa, fu eletto canonico della cattedrale di Padova, ove, in segno di venerazione ed ossequio pel santo suo maestro, un ricco altare eresse tuttora esistente.
Ne' primi giorni del novello anno 1615 diede gli auspicii alla Repubblica per quello Giovanni Bembo assunto dalla procuratia di san Marco alla suprema dignità, dopo avere sostenuto ragguardevoli cariche e l'imperio del mare. Tre egualmente furono le Oselle da questo Doge fatte coniare dal dicembre 1615 fino al 1618. Sono queste fra loro tutte somiglianti, avendo nel diritto san Marco seduto su la cattedra, che il Doge a' piedi suoi benedice, dandogli il pubblico vessillo. Dietro il Doge vedesi un santo vescovo in piedi, il quale gli tiene la destra mano sopra la spalla con la epigrafe: [SC[S. M. VENET. IO. BEMBO. DUX.]SC], e nell'esergo 1615. [SC[C. G.]SC], Claudio Gherardini massaro, sigle che variano in qualche altro esemplare di questa Osella, come pure negli anni successivi. Nei rovesci di queste medaglie vedesi il Doge ginocchioni con l'abito militare e col manto ducale, il quale alza al cielo gli occhi e contempla fra le nuvole l'apparizione di un Santo, tenente nella destra una banderuola, ed un ramo di palma nella sinistra, ed evvi con seco una colomba che, dall'alto il volo spiccando, in cima al rostro porta il berretto ducale al Doge, in faccia a cui mostrasi una galera, che batte i remi nelle acque. Il santo vescovo che qui apparisce, e nel diritto della medaglia sulla spalla del Doge poggia la destra mano, è santo Leone Bembo, vescovo di Modone nella Morea, uno de' suoi antenati (la vita del quale non ha guari per cura di gentil dama in occasione di nobili nozze fu pubblicata), e sotto la sua protezione il doge raccomandato tenevasi. Il tipo del rovescio allude certamente alla carriera militare da questo doge intrapresa; e siccome nella famosa giornata di Lepanto nell'anno 1571 ad una galera comandava e diede prove di sommo valore, così a sé medesimo applicò quel pensiero, che, in altra forma espresso, nelle medaglie del doge Sebastiano Veniero si riscontra, riconoscendo egli pure dalla protezione celeste l'essere stato da tanto pericolo salvato, ed all'onore della sede ducale riservato. Che tale fosse espressamente la sua intenzione, maggiormente si comprova dal modello di una galera in argento da lui offerta in voto alla madre di Dio nella santa Casa di Loreto, siccome alcune patrie memorie attestano.
Il successore a Giovanni Bembo fu Nicolò Donato, il cui regime di soli quaranta giorni, lasciò luogo ad Antonio Priuli nel maggio 1618. Questi era per la Repubblica commissario ad eseguire l'accordo succeduto fra le potenze di Francia, di Spagna, d'Austria e di Venezia. Egli rimase sulla ducale sede fino all'agosto del 1623, e cinque Oselle col suo nome fregiate ai nobili dispensò. Il diritto di tutte queste medaglie porta il santo Evangelista, il quale al doge genuflesso il vessillo pubblico consegnando, la sua benedizione impartisce col solito motto [SC[S. M. VENET. ANT. PRIOL. DUX.]SC], e nell'esergo [SC[T. B.]SC] 1618., cioè Tommaso Bragadin massaro. Nel rovescio della prima havvi il doge pur ginocchioni che, alzando gli occhi al cielo, vede nell'alto la Vergine annunziata dall'Angelo, ed in faccia a questo Venezia seduta col leone ai piedi, che il berretto ducale gli porge, e le parole intorno [SC[AVE. SEMPER. VIRGO. ECCE. ANCILA. ]SC]([I[sic]I]) [SC[TUA.]SC], e nell'esergo [SC[ANNO. I.]SC] ([I[linea]I] 2, [I[lett.]I] a). Nel rovescio dell'anno secondo si vede la Religione in piedi, che tiene la croce con la sinistra, ed è dall'alto illuminata col motto: [SC[MELIORA. SUPERSUNT.]SC], e sotto [SC[ANNO. II.]SC] ([I[lett.]I] b). Il rovescio dell'anno terzo rappresenta Cristo risorto con lo stendardo, ed il Leone veneto col libro aperto sopra un firmamento stellato, e la epigrafe intorno [SC[OMNIA. DEO. ET. PATRIAE.]SC], e nell'esergo [SC[ANNO. III.]SC] ([I[lett.]I] c). La Osella del quarto anno l'impronta e la inscrizione del primo ripete; non così quella dell'anno quinto, nel rovescio della quale replicandosi la impronta dell'anno terzo, diversifica però nella epigrafe, leggendovisi in sua vece: [SC[SI. DEUS. P. NOB. Q. CONT. NOS.]SC], e nell'esergo [SC[ANNO. V.]SC] ([I[lett.]I] d). Il Palazzi, nella spiegazione della prima Osella di questo Doge, non avvertendo, che la elezione di lui, siccome egli stesso indicato aveva, era accaduta nel mese di maggio, la suppone invece agli otto di settembre, giorno natalizio della Vergine santissima, avvenuta, in tal guisa contraddicendosi. Avrebbe forse con più ragionevolezza potuto ricordare piuttosto la ristaurazione dal Priuli, quand'era procuratore di san Marco, ordinata dei due altari nella Basilica, l'uno della Vergine santissima, l'altro della santissima Croce, ora del Ss. Sacramento, vedendosi in queste Oselle rappresentati simboli che possono rammentarli. Egli sempre però lontano dalla verità sarebbe stato, imperciocché, conciliando la rappresentanza delle impronte con la storia di quei tempi, ben presto ci si richiama alla memoria il fatto storico della congiura degli Spagnuoli sotto il duca di Ossuna. È inutile, che io mi trattenga nel sostenere l'autenticità di un fatto da pochi storici contraddetto, e da molti e nazionali e stranieri confermato e sostenuto. Che se il celebre signor Daru, la cui morte giustamente si piange e come politico e come letterato, avesse meglio studiati i documenti della veneziana istoria, e con vera critica confrontate le epoche, non avrebbe in ciò la occasione offerta al co. Domenico Almorò Tiepolo, benemerito e probo veneziano patrizio, di rilevarne gli errori. Con pari verità, benché non animati dalla carità della patria, e il sig. Carlo Botta nella sua continuazione alla storia d'Italia del Guicciardini, ed il sig. Leopoldo Ranke di Berlino pienamente confutarono le fallacie dell'autore francese, i documenti traendone dall'archivio politico generale di Venezia. Il rovescio adunque della prima Osella del Priuli, eletto appunto nell'epoca in cui appena erasi la trama scoperta, rappresenta Maria Vergine annunziata dall'Angelo, nella celebrazione del qual mistero Venezia con pubbliche preci la sua origine ricordava. Salvata quindi per così dire la propria verginità in quell'epoca, volle il doge perpetuarne la memoria, e conservare un religioso monumento della comune venerazione con la prima medaglia che doveva dispensare ai membri tutti del Governo. Nella Vergine Annunziata la primiera proteggitrice rappresentò, attribuendo al valido suo patrocinio la salvezza della patria. Con la epigrafe poi riconfermò il fatto, manifestando il sentimento del cuore nelle parole [I[Ave, gratia plena]I], e mettendo in bocca a Venezia il sincero voto della sua devozione, per cui riconosce dalla Vergine la propria salute, e dichiara di esserle sempre serva, dicendole: [I[Ecce, Ancilla tua]I]. E qual è pur anche la spiegazione della seconda medaglia? se non se che quella religione, che nell'estremo pericolo il governo salvava, quella medesima lo assicurava di un più felice avvenire, e quindi su di essa la propria fiducia ponendo, preci ed elemosine ordinava per ripetere al Signore i suoi più fervidi ringraziamenti. La stessa cosa rammentano e le impronte e le inscrizioni del terzo e quinto anno, e più particolarmente quella di questo ultimo, nella quale, senza che la Repubblica fosse con alcuna potenza in guerra, s'indica un nemico che occultamente ai danni di essa tramava. [I[Si Deus pro nobis, quis contra nos?]I] Questo Doge, prima di salire alla suprema dignità, ed essendo procuratore di san Marco, si pose a tessere certe cronichette, siccome egli stesso le intitola, e le condusse per diecisette anni, cioè fino all'anno 1616. Da lui si avrebbero potuto avere le più esatte notizie sulla congiura degli Spagnuoli accaduta nel primo anno del suo ducato, se a questa alludere volle con le sue Oselle.
A confermar maggiormente la interpretazione data alla mala intelligerza della Repubblica colla corte di Spagna, mi soccorre la storia metallica dell'olanda del sig. Bizot, che all'anno 1620 riporta una medaglia allusiva all'alleanza dei Veneziani, ponendo incise le insegne delle due Repubbliche con la leggenda [I[Foedus initum a.]I] 1620.
Ad Antonio Priuli defunto, carico di anni e di meriti, fu Francesco Contarini Cavaliere e Procuratore sostituito, insigne per i pubblici impieghi e per le sostenute legazioni in quasi tutte le corti di Europa, con tale integrità ed innocenza, che niente potevasi condannare nelle azioni od accusare ne' costumi. Due sole furono le Oselle coniate sotto questo Doge, il quale dal settembre 1623 fino al dicembre 1624 sulla sede ducale sedette, e due donativi ai nobili sotto il suo regime succedettero. Siccome però al di lui tempo niuno importante avvenimento accadde, così le sue medaglie non ricordano fatto alcuno di storia, ed in esse non vedesi impresso che il consueto tipo nel diritto col san Marco, che al Doge genuflesso porge lo stendardo della Repubblica con le parole [SC[S. M. VENETUS. FRANC. CONTARENO.]SC] Il titolo [SC[DUX]SC] è in questa posto lunghesso l'asta, la quale, più delle altre lunga, porta la banderuola nel circolo delle parole, in ciò dalle altre tutte distinguendosi, che entro il primo punteggiato circolo la ristringono. Il rovescio pure di questa non offre nel campo che la solita leggenda: [SC[FRANC. CONTARENO. PRINCIPIS. MUNUS. ANNO. I.]SC], e nel contorno [SC[SALUT. AN. 1623. ET. AB. URBE. CONDITA. 1203]SC]. Questo doge viene dal Foscarini nella sua Letteratura veneziana considerato come autore di un lungo trattato di storia in latina lingua dettato, che narra le tre guerre che a' suoi giorni ridotto avevano a mal partito l'imperio turchesco, il quale resistere dovette alle armi dell'imperatore Rodolfo nell'Ungheria, a quelle de' Persiani in Oriente, ed insieme alle civili rivoluzioni insorte nel cuore dello stato. Di questa storia si conservano le copie manoscritte in alcune librerie; leggendola però attentamente, conviene attribuirla con più ragione ad Ottaviano Bon, che fu, com'egli medesimo accenna, al Contarini successore nell'ambasciata di Costantinopoli, e che dallo stesso Foscarini è additato come scrittore di storia.
Alla morte di Francesco Contarini Doge, il quale con molta virtù per brevissimo tempo il principato sostenuto aveva, Giovanni Cornaro Procuratore di S. Marco fu eletto nel maggio dell'anno 1625, giunto al colmo delle dignità della patria, senza averne ambito alcuna, e ragguardevole non tanto per le ricchezze e per lo splendore di cospicua famiglia, quanto per la propria bontà, sotto la cui scorta, con immutabile tenore, non intermettendo gli esercizii di pietà nelle cure civili, aveva condotta la vita tra le virtù degne del cielo, e tra le funzioni dovute alla patria. Sulla ducale sede fino a' ventitre di dicembre dell'anno 1629 rimase. La lega in questi anni dai Veneziani a favore de' Grigioni, insieme al re di Francia ed al duca di Savoia, stabilita, essere poteva ferace d'importanti avvenimenti da tramandarsi alla posterità col mezzo delle medaglie; ma la guerra fu allora di corta durata, obbligato essendo il re di Francia, per le sommosse interne del regno, a conchiudere la pace col re di Spagna, nella quale gli alleati tutti compresi furono. Niun pubblico fatto adunque somministrò argomento alle Oselle di questo Doge; essendo però egli pio e religioso uomo quant'altri mai, la scoperta fatta di ragguardevolissime sacre reliquie ricordar volle, mentre la dignità copriva di Procuratore di san Marco ai tempi del Doge Giovanni Bembo, sotto il Primicerato di Giovanni Tiepolo, il quale anzi su di esse un trattatello distese, e la fabbrica descrisse di un nuovo altare eretto nella prima stanza del tesoro della Basilica di S. Marco, nel quale furono collocate, come dalle appostevi inscrizioni agevolmente si può vedere. Il diritto adunque di queste Oselle presenta S. Marco, che seduto benedice il Doge a' suoi piedi, e lo presenta del vessillo della Repubblica col consueto motto intorno: [SC[S. M. VER. IOAN. CORNELIO. D.]SC], e nell'esergo Domenico Molin massaro con le sigle [SC[D. M.]SC], essendovi anche di questa qualche variante. Nel rovescio poi si vede il Doge ginocchiato col berretto ducale a terra in faccia all'altare, il quale le sante reliquie adora del preziosissimo sangue, del legno della santissima Croce e di altri oggetti con la epigrafe [SC[FLORES. APPARVER. IN. TERRA. NOS.]SC], e sotto [SC[ANNO. I.]SC] fino all'anno quinto, solo variando successivamente le iniziali de' nomi de' massari e le cifre degli anni. Il Liruti, nel secondo volume de' Letterati del Friuli alla pag. 196, riportando un [I[Carmen]I] di L. Cornelio Frangipane intitolato [I[Stilographia in Principatum Venetiarum]I] ecc., dice che tale medaglia fu battuta il quinto anno di questo Doge in occasione ch'egli aveva fatto rinnovare il reliquiere che inchiude la santissima Croce; ma oltre che nel reliquiere stesso non ha alcuna memoria di questo Doge, la Osella rappresenta sull'altare effigiate non una ma varie reliquie, e non è solo nel quinto anno del suo ducato che fu battuta, ma fin dal primo.
Se la pietà e la religione del Doge Cornaro in particolar modo si distinsero nel rendere pubblica e solenne testimonianza della divozione sua verso le sacrosante reliquie da lui rinvenute; niente meno il successore di lui Nicolò Contarini volle, nella sola Osella sotto il suo principato coniata, rendere perenne e pubblica la memoria della divozione del Governo verso la santissima Vergine dimostrata. Introdottasi negli Stati Italiani la pestilenza nell'anno 1630, per la discesa di truppe straniere, che la guerra ruppero al duca di Mantova, dai Francesi e dai Veneziani sostenuto e soccorso, inferociva essa estremamente nel Milanese e nello stato di Venezia, e già più di sessantamila persone in questa capitale miseramente perite erano e più di cinquecentomila nelle Venete Provincie. Nessuno umano rimedio potendo la maligna influenza superare, il Senato decretò che un magnifico tempio sotto il patrocinio di nostra Signora della Salute edificato fosse; che una ricca lampada d'oro alla santissima Casa di Loreto si trasmettesse; e che la canonizzazione del primo Patriarca di Venezia, il beato Lorenzo Giustiniano, appresso il Pontefice si sollecitasse. Verificatosi appena il voto del tempio verso la fine dell'anno stesso, placata l'ira celeste con pubbliche e private preghiere, con elemosine e con digiuni, ed alquanto il flagello rimesso, fu con grande solennità pubblicata libera la città dal contagioso morbo. Sì fausto avvenimento si vede rammentato nella Osella di questo Doge, la quale conservando nel diritto l'antico tipo di san Marco, che benedicendo il Doge in ginocchio gli consegna il pubblico stendardo con le parole: [SC[S. M. VEN. NICOL. CONT. DVX.]SC], e sotto [SC[V. M.]SC], cioè Urbano Malipiero, il massaro all'argento, nel rovescio mostra il Doge genuflesso col berretto ducale deposto innanzi ad un magnifico tempio, su la fronte esterna del quale posa la santissima Vergine col divino Figliuolo in grembo, e nella periferia leggonsi le parole del salmo quarto: [SC[IN. TRIBVLATIONE. DILATASTI. MIHI.]SC], e sotto [SC[ANNO. I]SC]. Questo voto solenne del Veneto Governo, reso a tutta la città comune, ogni anno tuttavia commemorasi nella stessa chiesa della Madonna della Salute nel dì della Purificazione di Maria Vergine col divoto concorso di tutti gli ordini. Alla celebrità e dottrina di questo Doge fan plauso ed elogio tutti i nostri scrittori, fra i quali il Doge Marco Foscarini nella sua Storia della letteratura veneziana, il quale lo ricorda come autore d'una Veneta Istoria, in dieci libri compilata; ed abbiamo prove ben sicure della estimazione ed amicizia ad esso lui dimostra da' letterati uomini de' suoi giorni, fra i quali si annovera il celebre fra Paolo Sarpi.
Nel duolo della capitale per la perdita del suo capo fu di sommo conforto la elezione del Doge Francesco Erizzo, che il generalato di terra gloriosamente sosteneva, allorché nella Italia la guerra di Mantova tuttora infieriva. Nell'annuo regalo ai nobili offerto cangiò intieramente i consueti tipi, sostituendo ad essi, nel diritto, un Leone alato rampante, che fra le zampe d'innanzi uno scudo rinserra; sul quale sta scritto [SC[FRANCIS. ERICIO. V. D. MVNVS. ANNO. I]SC]., e sotto [SC[L. F.]SC], cioè il nome del massaro Luca Falier, nome che in alcun'altra collezione è variato. Nel rovescio un'alta palma si vede, sulla cima della quale la Vergine col divin Bambino in grembo riposa, ed a' lati due venti soffiano fra le nuvole dissipandole, ed ha intorno il motto [SC[DEDI. SVAVITATEM. ODORIS]SC]. In tutte le quindici Oselle che abbiamo di questo Doge la stessa impronta ed inscrizione conservasi. Non meno religioso e devoto verso la protettrice del Veneto Governo, la serenità nell'aria e la salute a que' giorni restituita rammentando, alla gloriosa Vergine tutto il merito ne assegna, prendendo dall'ecclesiastico al cap. 24 la immagine della palma, la quale con la soavità della sua fragranza, in mezzo alle tribolazioni, la umana debolezza conforta e rinfranca. Il valore di queste Oselle conservando la stessa lega, il peso e il fino delle altre antecedenti, fu portato a lire due e soldi quindici.
La serenità e la tranquillità del principato di Francesco Erizzo negli ultimi anni da Ibrahim signore de' Turchi disturbata venne, il quale, sotto l'apparenza di vendicare l'insulto fatto ai galeoni turcheschi dalle galere della Religione di Malta, i quali con l'annua carovana da Costantinopoli al Cairo passavano, mise insieme un potentissimo esercito ed una numerosa flotta, incerto mostrandosi a danno di quali cristiane provincie rivolgere le prore dovesse. La isola di Candia era stata sempre dai Turchi con avidità desiderata, e vêr essa di fatto le armi turchesche si diressero, l'assedio alla Canea ponendo. Occupata questa città, e giuntone a Venezia l'infausto annunzio, ondeggiava il Senato sulla scelta del capitano generale da spedirsi con l'armata nell'isola. Lo stesso Principe Erizzo si offrì di esporre se medesimo nella ottuagenaria sua età a nuovi pericoli per la patria; ma nel mentre che alla partenza allestivasi, oppresso dagli anni e dall'agitazione della impresa, morì nel cadere dell'anno 1645.
Ai 20 di gennaro del 1646 nella ducea Francesco Molino fu sostituito. La guerra sotto il principato di questo Doge con esito incerto e dubbioso infierendo, e piena la mente di lui della triste condizione de' tempi, non lasciò di manifestarlo nelle nove Oselle da lui distribuite. Figurar volle la Repubblica ad una nave agitata dalle onde, ma illuminata da un celeste lume. Ne' sei primi anni riprese nei diritti delle sue Oselle l'antico solito conio con le parole intorno: [SC[S. M. VEN. FRANC. MOLINO. DVX.]SC], e nell'esergo [SC[I. A. B]SC]. cioè Giovanni Alvise Battaja. Nel rovescio poi dell'anno primo fece coniare una galera in mezzo alle acque, e sulla cima dell'albero di maistra una fiammella di felice augurio col motto intorno: [SC[FVLGET. INTER. FLVCTVS.]SC], e sotto [SC[ANNO. I.]SC] ([I[lett.]I] a). La guerra maggiormente inferocendo nell'anno secondo del suo ducato a grave danno de' Veneziani, i quali però non si smarrirono, ma presso i principi cristiani con lettere dirette al Pontefice, all'imperatore, ai re di Francia e di Spagna la situazione delle cose rappresentando, di ottenere tentarono qualche soccorso per la difesa di quel regno, il quale, caduto che fosse nelle mani degli Ottomani, potea aprire a questi barbari la porta per entrare negli altrui Stati più esposti al nemico furore, nel mentre ch'eglino stessi con nuovi apparecchi militari di rimettere il perduto procurarono. Egli è perciò che nel rovescio delle Oselle di questo secondo anno rappresentò la galera dalle acque burrascose quasi sommersa, rilucendo però sempre più viva la fiamma sull'albero, quasi indicando, che, nei maggiori pericoli, maggiore era il coraggio da cui il pubblico spirito animato veniva, ripetendo lo stesso motto con l'[SC[ANNO. II]SC]. ([I[lett.]I] b). Le variazioni portate nelle inscrizioni delle Oselle negli anni terzo, quarto, quinto fanno successivamente conoscere, che le cose della guerra ad essere meno sinistre incominciavano, e per i fatti nella Dalmazia avvenuti, e per essere stato risolutamente respinto l'assedio posto alla città di Candia, e perché chiusa alla flotta ottomana l'uscita dallo stretto dei Dardanelli: cose tutte che le speranze della Repubblica risvegliarono. Quindi nella inscrizione dell'anno terzo si ricorda la fiducia del Governo nei lumi che dall'alto venivano [SC[DNS. ILLVMINATIO. IN. HOC. SPERABO. ANNO. III]SC]. ([I[lett.]I] c), come altresì in quella dell'anno quarto, in cui si dice che la presenza della luce l'assistenza del Nume assicura: [SC[PERSTAT. LVMEN. QVIA. NVMEN. ANNO. IIII.]SC] ([SC[TAV]SC]. III, [I[lett.]I] d). Lo stesso palesando quella dell'anno quinto col motto: [SC[DVX. DVM. LVX. ANNO. V.]SC] ([I[lett.]I] e) nella quale continuasi a mostrare la galera pressoché sommersa dalle onde, ma la fiamma rendersi sempre più viva e radiante. La Osella dell'anno sesto varia intieramente dalle altre nel suo rovescio. Non v' è più la galea naufraga e periclitante, ma evvi nell'alto un Sole, i raggi del quale, nel centro di uno specchio raccolti, con la forza del loro fuoco abbruciano l'oste nemica, della quale si veggono le insegne prossime a sommergersi, leggendovisi intorno le parole: [SC[SVPERO. FERVENTE. FOVENTE. ANNO. VI.]SC] ([I[lett.]I] f). Bella allegoria, tolta dal fatto di Archimede, che cogli specchi ustorii abbruciò le navi romane nel porto di Siracusa, e che, sotto il velame del raggio ripercosso, la vittoria de' Veneziani ricorda riportata nelle acque di Paros ai dieci di luglio dell'anno 1651 contro i Turchi, che furono intieramente sconfitti, con la perdita di undici navi ed una maona, rimaste in preda de' vincitori, oltre cinque navi abbruciate, mille e cinquecento prigionieri, ed un immenso bottino; vittoria, che ogni anno in tal giorno nella soppressa chiesa di san Paterniano rammemoravasi. La medaglia dell'anno settimo offre nel suo diritto una nuova testimonianza della pietà del Veneziano Governo, impressa essendovi la immagine di sant'Antonio di Padova, posta dietro la cattedra del santo Evangelista, il quale presenta al Doge ginocchioni il pubblico vessillo col motto: [SC[S. M. V. GERMINAVIT. LILIVM. FLOREBIT. ÆTERNO. FR. MOL. D.]SC], e nell'esergo [SC[Z. A. S]SC]. Zan Alvise Salomon ([I[lett]I]. g). Nell'anno appunto 1652, che corrisponde all'anno settimo del principato di Francesco Molino, il Senato, per consolidare la pietà con le cure politiche, fra i santi protettori di Venezia santo Antonio di Padova annoverò, ergendo per voto un altare, nella chiesa di Santa Maria della Salute, al glorioso santo Taumaturgo dedicato. Di Padova alle inchieste del Senato fu accordata una porzione delle sue reliquie, e queste, portate con molta onorificenza a Venezia, furono accolte e ricevute dal Doge, e processionalmente trasferite nella suddetta chiesa, e riposte nel nuovo altare, essendo rettore della Casa della Salute Gio. Francesco Priuli. Il Conte Sartorio Orsato patrizio patavino lasciò stampata la memoria di questo trasporto. I miracoli espressi nel rovescio di questa Osella fatti da Mosè illuminato dal Signore a favor d'israele allorché col percuotere della verga le acque dell'eritreo si aprirono al passaggio dell'ebraico popolo, e la fiamma di fuoco che pel deserto il condusse, con la leggenda intorno: [SC[HINC. SPERANS. NIL. ERRANS]SC]., e nell'esergo [SC[ANNO. VII.]SC], sono una immagine della celebrità del Taumaturgo Patavino, e quindi la confortante speranza, che non erra colui che nel cielo confida. La vera pietà e religione che il Veneziano Senato animava in mezzo alle calamità di una guerra dispendiosissima, lo condusse a decretare anche la erezione di un monastero di monache cappuccine con piccolo oratorio annessovi sotto la invocazione di santa Maria del Pianto, da cinque cappellani mansionarii uffiziato, i quali ogni giorno celebrassero le sante messe per quelle anime del purgatorio, che de' suffragi mancassero, secondo la pubblica intenzione; e per la chiesa a quei giorni eretta, fu fatta dal Doge coniare l'Osella dell'anno ottavo, che nel suo rovescio mostra il fuoco celeste che reprimeva il terreno; il che può alludere alla grazia celeste implorata coi sacrifizii per estinguere le fiamme del purgatorio che quelle anime soffrivano; e presso ad essa una chiesa con le parole intorno: [SC[COHIBENTE. TERREVM. ÆTHEREO.]SC], e sotto [SC[ANNO. VIII]SC]. ([I[lett]I]. h). Il fuoco divino dei sacrifizii, o, vogliamo dire, i raggi del sole divino impetrati con que' sacrifizii, doveano estinguere o diminuire le fiamme, in cui per cagione delle macchie terrene giacevano le anime purganti. La morte di tanti valorosi per la patria incontrata dee avere svegliata sempre più la pietà del Governo, che questa instituzione formar volle a pro' delle anime loro. La suddetta chiesa nella concentrazione e nel disfacimento de' monasteri chiusa rimase, e ora raccoglie un pio istituto femminile. La fiamma isolata nel campo del rovescio della nona ed ultima Osella di questo Doge alzandosi dal suolo vivissima e dritta senza ondeggiare col motto: [SC[NON. FVLTA. NON. FLVXA. ANNO. VIIII.]SC], ricorda l'imperturbabile coraggio della Repubblica, la quale ridotta sola sosteneva il gravissimo peso di una sì disastrosa guerra ([I[lett]I]. i). I simboli tutti che abbiamo veduto dal Doge Molino nelle Oselle adoperati, e relativi alle peculiari circostanze del Governo, odorano molto del gusto del secolo, nel quale ampollose maniere e nella dettatura e nelle rappresentate cose apparivano. Il prezzo di queste Oselle fu portato alle tre lire venete.
Verso la fine del mese di aprile dell'anno 1655 terminò i suoi giorni il Doge Francesco Molino, il quale con la moderazione de' costumi e con la integrità dell'animo minorava l'asprezza del suo aspetto e delle sue maniere indurite dalla vita militare e guerriera. Fu scelto a Doge Carlo Contarini, ornato egli pure di tutte le egregie virtù praticate nei reggimenti dello stato e nelle interne magistrature. Di questo Doge una sola medaglia esiste, siccome quegli che un anno solo nel principato rimase, morto essendo nel mese di maggio dell'anno 1656. Offre dessa sul diritto il solito tipo di san Marco, che benedice il Doge a' suoi piedi, lo stendardo della patria consegnandogli con le parole: [SC[S. M. VEN. CAROL. CONT. DVX.]SC], e nell'esergo [SC[F. C.]SC], Francesco Corner massaro. Nel rovescio un fiore di elianto o girasole aperto con la epigrafe intorno: [SC[OCVLI. MEI. SEMPER. AD. DOMINVM. ANNO. I]SC]. Un tale emblema appieno convenire poteva alla vita ed ai costumi del Doge, il quale dopo essersi prestato al servizio interno del proprio Governo, dalla solitudine della casa fu in mezzo ai molti concorrenti all'onore del soglio chiamato, mentre meditava di condurre una vita beata nella contemplazione delle celesti cose, in compagnia di una illustre consorte, che, piena di rara pietà, sdegnando di coprirsi col fulgore del diadema, amava di risplendere con la religione e con la modestia.
Alla morte del Contarini fu successore eletto Francesco Cornaro, al fu Doge Giovanni figliuolo, nel quale la pietà non meno che la dignità del padre trasmessa si vedeva; ma pochi giorni dopo la sua elezione fu dalla morte rapito, ed in suo luogo, con uniforme consenso, nel giugno dell'anno 1656 Bertucci Valiero eletto venne, uomo chiaro per gl'impieghi sostenuti, e che per la naturale facondia meritato avevasi l'approvazione del Senato, e lungamente versato nelle cariche interne ed esterne, il quale per ben due volte nelle antecedenti elezioni riscosso aveva a suo favore un buon numero di suffragi. Due anni visse questi nel principato, e quantunque per propria opinione coltivasse pensieri di pace, e le molte volte per essa con grande facondia nel Senato perorasse, pure sempre mostrossi pronto ad incontrare il pubblico volere, e con l'esborso di più migliaia di ducati del proprio peculio ai bisogni della patria nella continuazione della guerra sovvenne. Nel rovescio delle due Oselle che da esso lui a' nobili si regalarono, egli volle che espressa fosse la pugna d'un'Aquila col Dragone, e, prendendo argomento dalla insegna della sua famiglia, ch' è l'Aquila, raffigurar in essa gli piacque la fortezza della Repubblica, e sotto l'emblema del Dragone alato, animale chimerico, la Porta Ottomana indicava, risovvenendosi della pugna descritta da Plinio nel decimo libro della sua naturale istoria al capitolo quarto; col motto intorno [I[Resistit impavide]I], e sotto [SC[ANNO. I.]SC] e [SC[II]SC]. Nel diritto di ciascuna di queste Oselle, variato solo il nome del massaro di Zecca, pose la immagine del protettore san Marco, che, in atto di benedire il Doge ginocchioni, il vessillo pubblico gli porge con le parole: [SC[S. M. VEN. BERTVCCIVS. VALERIO. D.]SC], e sotto [SC[F. C]SC]., cioè Francesco Corner, ch'era pure massaro nel passato anno; in alcune Oselle di questo Doge veggonsi le sigle del massaro all'argento cangiate, avendovi in altre le lettere [SC[M. Z.]SC], cioè Maria Zeno subentrato al Corner. Ecco un nuovo esempio delle variazioni dei massari all'epoca del conio delle medaglie.
Se il Doge Valiero, nelle due Oselle sotto il suo principato coniate, l'Aquila ed il Dragone raffigurar volle per rammemorare l'ostinata guerra della Repubblica contro il Turco, il successore di lui, che fu Giovanni Pesaro, alla suprema dignità eletto nel maggio del 1658, nelle medaglie sue ritenne nel diritto la consueta impronta del santo Evangelista seduto, il quale al Doge a' suoi piedi lo stendardo della patria consegna, con la epigrafe intorno: [SC[S. M. VEN. IOANNES. PISAVRO. D.]SC], e nell'esergo [SC[N. C]SC]., Nicolò Contarini massaro, e nel rovescio presentò la figura della Religione con l'incensiere nella sinistra, e la croce nella diritta in faccia alla Costanza galeata con l'asta a terra, ed il motto intorno: [SC[RELIGIONE. ET. CONSTANTIA. ANNO. I]SC]. Questo principe, dopo aver coperto più volte le principali cariche civili e militari, sostenuto aveva nel Senato il partito di continuare la guerra contro il Turco, per cui prestò al pubblico erario la somma di seimila ducati, opponendosi alla proposizione di pace, ch'era stata fatta con la cessione dell'isola di Candia. Favoriva pur anche la parte di rimettere nella pubblica grazia i PP. Gesuiti, ch'erano stati dai pubblici Stati licenziati, con la speranza che il Pontefice sovvenimenti e soccorsi per sì dura guerra accordasse. Quindi dimostrar volle che nella religione e nella costanza la Repubblica ogni sua fiducia appoggiare doveva. Un anno solo su la sede ducale questo principe rimase, il quale morto nel primo dì d'ottobre del 1659, ebbe da' suoi nepoti nella chiesa de' Frati Minori nel magnifico mausoleo una onorevole sepoltura.
Succedette a questo nel giorno sedici d'ottobre di quell'anno Domenico Contarini di san Benedetto, il quale, ornato di tutte le virtù civili e morali, tanto più parve degno del grado, quanto che in ricusarlo impiegò tutte le arti che dagli altri soleansi praticare per ottenerlo, onde, tratto a forza dalla quiete domestica e dall'ozio modesto in cui fuori della città si trovava, fu portato al trono con l'applauso che giustamente accompagna coloro che meritano più ed ambiscono meno le porpore ed i diademi. Nei sedici anni del suo principato tre volte cangiò il conio dei rovesci nelle sue Oselle, conservando sempre nel diritto il santo Marco seduto che dà al Doge in ginocchio con la benedizione lo stendardo della Repubblica con le parole: [SC[S. M. VEN. DOMIN. CONTAR. D.]SC], e nell'esergo [SC[M. A. S.]SC], cioè Marco Aurelio Soranzo massaro. Negli anni primo, secondo, quarto, quinto, sesto, settimo ed ottavo, il rovescio rappresenta la Giustizia con la spada e la bilancia nelle mani, seduta in mezzo a due leoni. Sorge alla destra di lei un ramo di ulivo con le parole: [SC[OPVS. JVSTITIÆ. PAX.]SC], e sotto [SC[ANNO. I.]SC] ([I[lin.]I] 2, [I[lett.]I] a). Nell'anno terzo una Vittoria alata, che, tenendo con la sinistra la palma, riceve un ramo di giglio dalla Pace, la quale ne ha essa stessa uno nella sinistra. Si legge nel contorno: [SC[VOLVNT. HOC. PIGNORE. IVNGI.]SC], e sotto [SC[A. III.]SC] ([I[lin]I]. 3, [I[lett]I]. b). Negli anni nono e decimo, nel centro di una stella radiante, evvi la Vergine col Bambino in braccio, e la epigrafe intorno: [SC[SIT. TVTA. HOC. SIDERE. CRETA.]SC], e sotto [SC[ANNO. VIIII.]SC] ([I[lett]I]. c). Ripigliasi poi nell'undecimo anno fino al sedicesimo il conio della Giustizia, come nell'anno primo. Tutte tre queste impronte sono relative alla feroce guerra di Candia dalla costanza della Repubblica per ventiquattro anni sostenuta, nella quale epoca i Veneziani apertamente dichiararono di non voler entrare in alcuna negoziazione di pace col Turco, se le condizioni di questa basate non fossero sulla giustizia e sulla equità. Ne' primi anni adunque il Doge a questo principio della pubblica politica alludere volle. Nel terzo anno poi del suo principato, avendo la Repubblica stretta l'alleanza con Luigi XIV re di Francia, il quale aveva un soccorso promesso, nella Osella di quell'anno coniar fece una Vittoria che con la Pace stringe un ramo di giglio, ch' è la divisa di Francia, affine di far conoscere che la Repubblica su questa alleanza fondavasi per ottenere una pace durevole ed onorata. Negli anni poi nono e decimo, vedendo che le armi francesi abbandonata aveano la difesa di Candia, e nulla più sperando nell'umano soccorso, all'assistenza divina ed alla Vergine e madre si rivolge, quell'isola raccomandando, che più non poteva da forza umana essere sostenuta. Succedette finalmente nel 1669 la pace con la Porta Ottomana, ed ottenute per quanto si poterono onorevoli condizioni, chiuse il Doge gli ultimi anni del suo ducato con la prima impronta delle sue Oselle. Il valore delle Oselle di questo Doge fu portato alle lire tre e due soldi.
Il successore di lui fu Nicolò Sagredo, eletto nel gennaro dell'anno 1675, il quale nelle più distinte interne magistrature e nelle ambascerie più cospicue dimostrata aveva tale eguaglianza di carattere da rendersi bene affetti i popoli che governava, ed i principi presso i quali la pubblica rappresentanza sosteneva. Giunse egli all'apice del Governo coi lunghissimi passi del merito, e non coi voti favorevoli della fortuna e dell'ambito, e fra le altre sue prerogative aveva conservata l'antica frugalità, abborrendo il delicato costume delle nuove invenzioni fatalmente introdotte a snervare gli animi, ed a far vacillare la costanza degli antichi consigli. Restituita la pace della Repubblica, usar seppe della propria moderazione per rattemperare i mali dei popoli, a cagione della guerra sofferti, e ricondurre giorni tranquilli e sereni. A ciò precipuamente alluder volle conservando nel diritto il tipo di san Marco seduto, che al Doge genuflesso lo stendardo della Repubblica consegna, dandogli la sua benedizione con le parole: [SC[S. M. V. NICOLA. SAGREDO. D.]SC], e nell'esergo [SC[G. D.]SC], cioè Giulio Donà massaro; nel rovescio poi collocar fece la fascia zodiacale con li tre segni della Vergine, della Libbra e dello Scorpione, ed un Cielo stellato sopra una parte del globo terracqueo, e la epigrafe intorno: [SC[ÆQVA. TEMPERAT. ARTE.]SC], e sotto [SC[ANNO. I.]SC] Un solo anno visse questo Doge sulla ducale sede, e nell'agosto dell'anno 1676 chiuse in pace i suoi giorni.
Alla morte di questo fra quattro concorrenti la fortuna piegato aveva a favore di Giovanni Sagredo, al precedente Doge figliuolo, autore della storia de' Monarchi Ottomani, e quegli che nel Consiglio Maggiore aveva la difesa assunta del generalissimo Francesco Morosini contro le accuse dategli da Antonio Corraro. Udito però improvviso tumulto nel popolo, che esclamava di non voler Doge il Sagredo, temendolo forse della rigidezza dei costumi paterni, e non già per la ridicola cagione riportata dal signor Daru, il Maggior Consiglio, non approvando i quarantuno elettori già nominati, tolse l'occasione al pubblico scandalo, ed in suo luogo fu eletto Alvise Contarini da san Francesco della Vigna, del quale poteasi dire con egual ragione ciò che aveasi detto del suo antecessore. Egli rimase otto anni principe, e nelle sue Oselle non volle che cosa alcuna si esprimesse relativa ai passati o presenti avvenimenti; ed ordinando la consueta impronta nel diritto col santo Marco seduto che consegna al Doge genuflesso il patrio vessillo, con le parole: [SC[S. M. V. ALOYSIVS. CON. D.]SC], e nell'esergo [SC[A. Z.]SC], Agostino Zolio, che in ciascun anno varia, volle nel rovescio la sola epigrafe: [SC[ALOYSII. CONTARENO. PRINCIPIS. MVNVS. ANNO. I.]SC] e susseguenti, e nel contorno: [SC[SALVT. AN. 1676. ET. AB. VRBE. CONDITA. 1256]SC].
Mancato di vita il Doge Luigi Contarini, erano per la maggior parte i quarantuno elettori a favore di Francesco Morosini inclinati e disposti, ma, sorpassando i privati riguardi ai pubblici vantaggi, che poteano promuoversi da cittadino così chiaro nella militare professione, fu la dignità conferita a Marco Antonio Giustiniano Cavaliere, altrettanto meritevole di possederla, quanto moderato nel ricusarla. Egli però non pensolla come il suo antecessore, e nel diritto delle Oselle fatte a' nobili distribuire la solita impronta conservando col santo Evangelista che al Doge in ginocchio lo stendardo della Repubblica affida ed il consueto motto [SC[S. M. V. M. ANT. IVSTINIANVS.]SC], e sotto [SC[ANNO. I.]SC], ordinò che in tutti i quattro anni del suo principato si variassero le impronte dei rovesci. Nell'anno primo quindi coniar fece un Angelo che a volo dal pubblico palagio vêr le case Giustiniane il berretto ducale trasferisce, e al di sotto la piazzetta con buon numero di navi e di galee poste al molo pronte alla vela, con le parole [SC[DEO. DVCTA. DVCE.]SC] ([I[lin]I]. 3, [I[lett]I]. a), alla inattesa sua elezione alludendo, mentre più concorrenti nobilissimi la suprema dignità ambivano e disputavansi. Le galere e le navi in sul molo disposte la incominciata guerra col Turco accennano, per cui fu Francesco Morosini a generalissimo destinato. La occupazione di Corone nella Morea nell'anno 1685 succeduta sotto la condotta di quel generale diede motivo al rovescio della Osella nel secondo anno. In essa infatti, messa in fuga la cavalleria ottomana, si vede il Leone rampante, il quale con la spada vibrata minaccia la città ed il castello di Corone, ed ha la epigrafe intorno: [SC[FORTITVDO. MEA. ET. LAVS. MEA. DNS.]SC], e nell'esergo [SC[[Gr[KORONE]GR]]SC]. ([I[lin]I]. 4, [I[lett]I]. b). Tre sanguinose battaglie date nell'anno 1686 dai Veneziani ai Turchi con la totale perdita di questi, e l'acquisto delle principali città della Morea, e particolarmente di Navarino, Modone, Argo e Napoli di Romania, ponevano i Veneziani in istato di riconoscersi padroni di tutta quell'isola. Ciò diede argomento al conio del rovescio nella terza Osella, nella quale si vede dall'alto fra le nuvole il Dio degli eserciti apparire, che scaglia tre fulmini contro l'odrisia Luna, ed al disotto l'isola della Morea topograficamente delineata, ed intorno le parole: [SC[DONEC. ORBATA. ORBE.]SC], e nell'esergo [SC[VICIT. LEO.]SC] ([I[lett]I]. c). Dopo l'occupazione di Napoli di Romania, e del forte di Chielefà nel Cantone di Maina, i due fratelli comandanti di questi due luoghi richiesero al generalissimo Morosini di potersi portare a Venezia, il che fu loro conceduto, ed ebbero assegnata per abitazione la isola della Giudecca. Al loro arrivo si presentarono al Doge per baciargli il manto, e furono ricevuti in camera d'udienza. Dopo alcuni mesi furono lasciati partire, e ritornare alle loro case. Molti del loro seguito vennero alla fede, e si trattennero in Venezia. Evvi un medaglione di bronzo che rappresenta questo fatto, che mi fu regalato dal sig. ingegnere Casoni membro effettivo dell'i. R. Istituto delle Scienze, Lettere ed Arti. Nel quarto anno continuando le vittorie de' Veneziani contro la Porta, essendo state occupate le piazze di Patrasso e di Castel Nuovo, senza che essi fossero dalle armi de' collegati assistiti, alludendo nel rovescio di questa Osella alla prospera fortuna delle armi venete tanto insieme con quelli, che disgiunte, si rappresentò su di essa un Leone rampante, che con la zampa diritta un fascio di palme ghermisce, nella sinistra una sola ne afferra con la inscrizione [SC[ET. SOLVS. ET. SIMVL.]SC], allusivo appunto alla circostanza delle armi vittoriose e sole e con quelle degli alleati, e nell'esergo [SC[L. P.]SC], cioè Leonardo Pisani massaro ([I[lett]I]. d).
A. 1688 ([SC[TAV]SC]. III e IV).
Defunto il Doge Giustiniano nell'anno 1688 in mezzo alle glorie delle armi, la elezione del successore cadde sul generalissimo Francesco Morosini, amando la patria di coronare i meriti di lui alla più eccelsa dignità innalzandolo, non essendovi tra molti cittadini ornati di virtù chi tentasse di contendergli l'onore della palma. Continuò però egli nelle incominciate guerresche imprese avendo l'assedio posto a Negroponte; ma non riuscendogli favorevole, e sopraggiunta all'armata una contagiosa malattia da cui egli stesso fu attaccato, desiderò e richiese di ritornare alla patria. Quivi fu accolto con l'applauso che accompagna sempre il valore, ed in suo luogo il Senato decretò, che fosse a supremo comandante spedito Girolamo Cornaro, il quale proseguì a condurre le armi veneziane alla vittoria. Il nuovo Doge ritenne sempre nel diritto di tutte le sue Oselle la impronta di S. Marco, che al Doge in ginocchio il pubblico stendardo consegna, col motto intorno [SC[S. M. V. FRAN. MAVROC. DVX.]SC], e sotto [SC[ANNO. I.]SC], e successivi. Variano però i rovesci di esse. In quello dell'anno primo evvi una Donna genuflessa, a cui sono i lacci spezzati, e dietro ad essa una palma s'innalza con la inscrizione intorno: [SC[PELOPONNESVS. RESTITVTA.]SC], e nell'esergo il nome del massaro Alvise Gritti [SC[A. G.]SC] ([I[linea]I] 4, [I[lett]I]. a). In questo si allude alla liberazione della Morea ottenuta dalle armi veneziane sotto la condotta del Morosini, alla quale la stessa greca popolazione in gran parte contribuì. Nell'anno secondo in cui il Doge tuttavia l'armata comandava, fece nel rovescio di quella Osella una spada sguainata coniare con la epigrafe [SC[ICTV. NON. ABSTINET.]SC] ([I[lett]I]. b), a dinotare, che egli non lasciava ogni mezzo intentato per colpire la forza nemica, battendone le flotte, ed espugnando le piazze di Atene e di Malvasia. Il sommo pontefice Alessandro Ottavo dimostrare volendo al Doge Morosini quanto per le militari sue geste benemerito della santa Sede lo riconoscesse, le armi a favore della Cristianità impugnando contro agl'infedeli, nel mese di maggio del 1690 un nunzio apostolico straordinario nella persona di monsignor Archinto Arcivescovo di Tessalonica gl'inviò col dono di una spada e d'una berretta da lui benedette, dono, che i pontefici far solevano a que' principi che le armi per la fede trattavano. Che ne sia avvenuto del berretto, non saprei dire: egli è certo che tuttora nel tesoro di san Marco la spada col suo centurone conservasi, e fra gli ornati di quella è ripetuto lo stemma gentilizio del principe, e nella lama sta inciso e dorato da una parte il nome del papa [I[Alexander VIII Pontifex Maximus]I], e dall'altra parte [I[Pontificatus sui anno I]I]. A perpetuare la memoria di questo dono, nell'anno terzo del suo Principato fece nel rovescio della Osella incidere la spada ed il pileo con le parole: [SC[NON. ALIA. FRVITVR. VICTORIA. LAVDE.]SC], e sotto [SC[ANNO. III.]SC] ([I[lett]I]. c). Non è però questa la sola spada che dai sommi pontefici ai Veneziani Dogi regalossi. Le cronache nostre fanno parola di quella che da Alessandro III fu al Doge Sebastiano Ziani consegnata prima di partire per l'istria ad incontrare l'armata imperiale, e d'una spedita alla Repubblica nell'anno 1450 essendo Doge Francesco Foscari dal pontefice Nicolò Quinto con l'elsa di cristallo intarsiato d'oro e d'argento e nella lama scrittevi alcune lettere dorate, che nella sala delle armi dell'eccelso Consiglio dei Dieci fino alla caduta dell'aristocratico governo conservavasi, e che andò in appresso smarrita. Altra pure avvene dal pontefice Sisto IV donata nell'anno 1473 al Doge Nicolò Marcello, e qui recata dall'ambasciatore Federico Corner reduce da Roma. Questa ordinariamente portavasi nelle pubbliche solenni funzioni del Doge a mano di un nobile che era ad un pubblico reggimento destinato. Da uno dei lati della lama evvi in caratteri dorati scritto [I[Sixtus IIII. Pont. Maximus]I], 1473, e dall'altro [I[Accinge gladio tuo super femur tuum potentiss]I]., e si conserva in una privata famiglia. Al Doge Morosini, conquistata la Morea, l'anno innanzi che alla suprema dignità giungesse, il Senato Veneziano decretato aveva, che sopra un'ara di bronzo, di trofei militari fornita, il busto di lui pure in bronzo innalzato fosse nella sala dell'armi del Consiglio dei Dieci con la epigrafe in caratteri di bronzo dorati: [I[Francisco Mauroceno Peloponnesiaco adhuc viventi Senatus posuit, anno]I] 1687. Onore sommo, che Roma antica nel fiorire degli anni agli Scipioni ed ai Marii accordava, e che nella nostra città non ebbe altro esempio. Questo monumento della patria verso sì benemerito cittadino dal malaugurato genio di un secolo illuminato fu gettato a terra e disperso, e senza la pietà di una illustre pronipote di lui, la quale con somma cura nel proprio palagio fra l'armeria la erma ne raccolse, se ne sarebbe ogni traccia smarrita. Il Doge quindi ritornato in patria prese a soggetto del rovescio nella quarta Osella il solenne inauguramento di questo insigne monumento, e coniare lo fece col proprio busto in paludamento da generale con le parole: [SC[MAVROC. PELOPONESIACO. VIVENTI. S. C.]SC] ([I[lett]I]. d). Sempre in mezzo ai pensieri di guerra, benché niun avvenimento particolare materia somministrasse al rovescio della quinta Osella, vi fece porre un braccio alla guerresca, coperto di ferro, col quale impugna un fascio d'armi col motto intorno: [SC[QVEM. NON. EXERCVIT. ARCVM.]SC], e sotto [SC[ANNO. V.]SC] (Tav. IV, [I[lin]I]. 1, [I[lett]I]. e), ripetendo, benché sotto altro emblema, la imagine espressa nell'anno secondo. Richiamato dalle voci unanimi e concordi del Senato nel 1693 il Doge al comando delle armate, benché carico d'anni e di forze infievolito, non resistette, e nuovamente ai disagi del mare ed ai pericoli della guerra si espose. Perciò volle nel rovescio della Osella di questo sesto anno i quattro comandi sostenuti rammemorare, facendovi porre quattro berretti generalizii, e quattro bastoni da comando, e sopra ponendovi il corno ducale con la inscrizione intorno: [SC[VIRTVTEM. VESTIGAT. ET. VLTRO. AMBIT. HONOS.]SC], e sotto [SC[Z. R.]SC] il massaro Zuanne Riva ([I[lett]I]. f). Ma non ebbe occasione alcuna propizia a segnalare il suo valore, perciocché l'oste dallo scontro di lui sempre partivasi, ed egli da grave infermità aggravato, su la propria nave morì in Napoli di Romania nel gennaro del 1694. Giunto l'avviso al Senato della morte del Doge, gli furono solennemente gli onori funebri decretati; ed a perpetuare la memoria di lui, nella sala dello Scrutinio, nella quale raccoglievasi il Senato per proporre le nomine al Consiglio Maggiore, sotto il ritratto di lui, che nelle serie dei Dogi in sul fregio di quella alla porta d'ingresso corrisponde, un arco trionfale eretto gli venne, da quattro marmoree colonne sostenuto, nel frontone del quale la inscrizione fu posta: [SC[FRANCISCO. MAVROCENO. PELOPONNESIACO. ANNO. 1695.]SC], e negli intercolunnii da sei quadri allegorici del rinomato pittore e poeta Gregorio Lazzarini lo fece intramezzare, che le principali geste del Doge rammentano.
Alla morte di un Doge guerriero la patria bilanciare con equa lance volendo i meriti de' suoi cittadini, nella persona del successore di lui Silvestro Valiero, al Doge Bertucci figliuolo, premiare volle le virtù di un esimio magistrato e di un suo illustre rappresentante e ministro presso le corti straniere. Fautore e proteggitore delle lettere e degli studii, coprendo il magistrato di riformatore degli studii, la Università di Padova sostenne e favorì, e quell'antica Accademia Delia, nella quale varii esercizii cavallereschi a que' tempi tenevansi, in ogni forma protesse. Eletto nel febbraio dell'anno 1694, sotto gli auspizii del nuovo Doge nella Dalmazia la fortezza ed il paese di Narenta conquistavasi, mentre nell'arcipelago una delle più belle e deliziose isole, Scio, in potere de' Veneziani assoggettossi. Il Doge nella prima Osella da lui a' nobili distribuita ambedue questi fatti rammenta. Nei diritti di questa e delle altre successive conservò la effigie del santo Evangelista, che seduto benedice il Doge genuflesso, e del pubblico stendardo lo presenta con le parole: [SC[S. M. V. SILVESTER. VALERIO. D.]SC], e nell'esergo [SC[ANNO. I]SC]. Nel rovescio della prima vedesi, nell'alto, la insegna gentilizia del Doge, ch' è l'Aquila del berretto ducale coronata, la quale tiene nel rostro la leggenda [SC[BONI. EVENTVS.]SC], con al di sotto due isolotti, dai quali due palme sorgono col motto intorno [SC[TERRA. MARIQ.]SC], a dinotare le imprese nella Dalmazia e nell'arcipelago, e nell'esergo i nomi di [SC[CHIOS. NAR.]SC] ([I[lin]I]. 1, [I[lett]I]. a) ad oggetto di sempre più particolareggiare i conquistati paesi. Nel secondo anno di questo Doge niun pubblico avvenimento offerendosi, la pietà verso il padre nel rovescio dimostrò. Due Aquile cinte del ducale diadema, l'una dietro all'altra il volo drizzando al sole, indicano che il padre avealo nella civile carriera guidato, e dietro gl'illustri suoi esempi alla suprema dignità era arrivato, il che pure spiega la epigrafe: [SC[EXEMPLO. MONSTRANTE. VIAM.]SC] ([I[lett]I]. b). Nell'anno 1696 la Repubblica sosteneva ancora con grave dispendio e con immenso coraggio la famosa guerra della Morea; quindi, a denotare la pubblica fiducia nel ciclo riposta, espresse nella terza Osella la costellazione del Leone, di spada armato, e tutto per le stelle risplendente, ed intorno la inscrizione: [SC[NEC. NUMINA. DESVNT.]SC] che spiega la confidenza nel Nume ([I[lett]I]. c). Quasi eguale imagine, benché variamente simboleggiata, si può riconoscere nel rovescio della quarta Osella, nel quale un braccio coperto da una armatura di ferro inalza una croce col motto: [SC[EX. PIETATE. FORTITVDO.]SC], e nell'esergo [SC[A. B.]SC], Andrea Baffo massaro all'argento ([I[lett]I]. d). Quanto la pietà e la religione di questo Doge in massimo grado risplendessero, e quanto la di lui vigilanza e lo zelo pel migliore andamento delle ecclesiastiche cose nella ducale chiesa alle sue cure affidate, volle nel rovescio della quinta Osella dimostrarlo, ponendo un Leone rampante alla custodia di una chiesa con le parole [SC[EXCVBAT. ARIS.]SC] ([I[lett]I]. e). La scelta ed elezione del gerarca del clero ducale dovette più volte occupare le sue cure, imperciocché que' primicerii che egli nominava dalla santa Sede erano poi a' vescovadi promossi ed innalzati, quindi indicar volle la propria diligenza ed attenzione per la maggior gloria di Dio e della sua chiesa. Nelle acque di Metelino le armate de' Veneziani battuto avevano la flotta nemica, mentre nelle pianure dell'Ungheria le armate di Cesare e degli alleati riuscivano ovunque vittoriose in modo, che, dichiaratesi mediatrici e l'Inghilterra e la Olanda, e risvegliata l'attenzione dell'Austria per la incerta successione al trono delle Spagne, nel Congresso di Carlowitz della pace comune si convenne. Per essa alla Repubblica conservossi il possedimento della Morea dall'istmo di Corinto fino all'isola di Egina da un lato e quella di santa Maura dall'altro, con Castel Nuovo all'ingresso del canale di Cattaro e di Rizzano, e nella Dalmazia le fortezze di Sing, Knin e di Narenta. Ad una pace sì vantaggiosa conchiusa nell'anno 1699 alludesi nel rovescio della sesta Osella, nella quale una colomba si mostra coi rami di ulivo fra i rostri. che svolazza col motto: [SC[VICTRIX. CAVSA. DEO. PLACVIT.]SC] ([I[lin]I]. 2, [I[lett]I]. f). Chiuse il Doge i suoi giorni lasciando alla patria il bel dono della pace e della tranquillità. A questo luogo mi viene in acconcio di osservare che, non ostante il decreto del Maggior Consiglio dell'anno 1645, col quale la incoronazione delle mogliere de' Principi si proibiva, come non necessaria, pure la consorte di Silvestro Valiero della ducale berretta era stata decorata. Nel dì della sua incoronazione a' nobili distribuì una medaglia propria, nel diritto della quale vedesi il busto di lei, del velo e del berretto ducale fregiato, mentre nel rovescio leggesi: [SC[MVNVS. ELISABETH. QVIRINÆ. VALERIÆ. DVCISSÆ. VENETIAR.]SC] 1694. (Tav. VII). Quantunque impropriamente si desse il nome di Osella a questa medaglia della Dogaressa Elisabetta Querini Valier, egli è difatto che il peso di essa è di grani duecento e otto; e quindi assai maggiore delle altre Oselle dei Dogi, che conservavano il peso di cento ottantanove grani. La Valiera fu l'ultima consorte del Principe, che questo onore ricevette, mentre nella vacanza di lui fu da' Correttori proposto, e nel Consiglio Maggiore dei 13 luglio 1700 il partito preso, col quale il suespresso riconfermandosi, solennemente alle Dogaresse la incoronazione vietavasi, non che l'uso della ducale berretta, l'accettazione delle visite degli ambasciatori, Consigli e Collegi, ritenuto il costume di farsi accompagnare dalle più vicine parenti, oltre le persone del proprio servizio, come pure l'uso del velo e delle vestimenta d'oro e d'argento, che alle altre donne dalle leggi suntuarie erano proibite. A giusta e conveniente lode del Doge Valiero deggio conchiudere com'egli era a' buoni studii inclinato con la sua ultima testamentaria disposizione ordinando, oltre ad altri ragguardevoli legati a favore della patria, che dal suo peculio fossero mille ducati alla pubblica Biblioteca consegnati per l'acquisto di una opera straniera che le mancasse.
Il Doge Alvise Mocenigo, della famiglia che abitava nella parrocchia di sant'eustachio, volgarmente detta [I[S. Stae]I], dovette il proprio inalzamento, succeduto ai 16 di luglio dell'anno 1700, a' suoi meriti singolari ed all'esimie sue virtù. Tre Procuratori di san Marco, Giovanni Donà, Angelo Diedo e Marc'Antonio Barbarigo, tra loro disputavano dell'onore del principato, ed uniti i quarantuno elettori, ciascuno a gara cercava di abbattere l'avversario, e rimanere eletto. Ma invano, ché niuno oltrepassare poteva il numero di venticinque voti favorevoli dalle leggi fissato per le elezioni. Il Procuratore Donà, uno de' concorrenti, il quale trovavasi pur anche nel numero degli elettori, spinto da interno volontario moto, siccome alcuna manoscritta memoria il riporta, propose di rinunziare i proprii favorevoli voti a pro' di Alvise Mocenigo, Senatore prestantissimo. Questa sua proposizione fu dagli elettori accolta, e trovossi con sorprendente unanimità il Mocenigo prescelto. A sì improvvisa elezione alluder volle il nuovo Doge nella Osella, che nel primo anno del suo principato ai nobili distribuì. Nel diritto di essa, come in tutte le altre successive del suo ducato, ritenne l'antica consueta impronta di S. Marco che seduto benedice il Doge ginocchioni mentre il pubblico stendardo gli consegna con le parole [SC[S. M. V. ALOY. MOCENI. D.]SC], e sotto [SC[AN. I.]SC] Nel rovescio poi vedesi la Fortuna, a cui infranta da uno scagliato fulmine celeste la volubile ruota, precipita, ed ha intorno il motto: [SC[DOMINI. EST. ASSVMPTIO. NOSTRA.]SC] ([I[lin]I]. 2, [I[lett]I]. a), relativa appunto alla straordinaria elezione avvenuta. La guerra nell'Italia ardeva nel 1701 rotta per la successione al trono delle Spagne dall'imperatore al re di Francia, che il testamento sosteneva del defunto re delle Spagne, ed il Senato Veneziano dichiarato aveva la neutralità de' proprii stati, per garantire i quali con un'armata di ventiquattromila uomini si pose in istato di farsi dalle belligeranti potenze nelle proprie provincie rispettare, benché a vero dire le armate gallo-ispane ed austriache occuparono a loro piacere, e secondo che per le circostanze loro conveniva, le piazze de' Veneziani. Il Doge adunque nella seconda sua Osella indicò nel rovescio il partito dal Senato preso nelle attuali combinazioni di guerra, e fece rappresentare un Leone che giace sul suolo, ma ad occhi aperti, con la leggenda [SC[OCVLIS. CVBAT. APERTIS.]SC], e nell'esergo [SC[ANN. II.]SC] ([I[lett]I]. b). Avevasi tentato nell'anno terzo di questo Doge d'infrangere la neutralità del mare Adriatico, entrandovi una squadra francese per intercettare i convogli imperiali che da Trieste a provvedere le armate del principe Eugenio di Savoia uscivano. Il Veneto Senato fece presso le due corti le più forti proteste, dichiarando che, qualora alcun riguardo non si avesse avuto alla sua neutralità, vedrebbesi obbligato ad impiegare la forza. Queste dichiarazioni presso le due potenze il bramato effetto produssero. Il Doge allora nel rovescio della terza Osella coniar facendo un Leone alato che poggia con le zampe di dietro sul mare, e tiene nella destra zampa d'innanzi una spada, su la quale una serpe si avvolge e si attortiglia, alluder volle alla prudenza ed alla forza usata dal Senato nel sostenere i suoi diritti. Il motto intorno [SC[PRVDENTIA. ET. FORTITVDO.]SC] lo conferma espressamente ([I[lett]I]. c). La naturale conseguenza dello stato di guerra, in cui trovavansi le potenze confinanti, era quello sciame di pirati, che, usciti dal porto di Segna, con l'antico nome di Uscocchi, il commercio de' Veneziani infestavano. Relativo appunto a ciò il rovescio della quarta Osella si mostra, nel quale il Leone armato di sguainata spada col libro aperto fra le zampe è dalle parole circoscritto [SC[SVORVM. IVRA. TVETVR.]SC] e sotto [SC[ANN. IIII.]SC] 1703. ([I[lett]I]. d). Succeduta nell'anno 1704 una sollevazione a Costantinopoli per la quale deposto Mustafà Gran Signore de' Turchi, fu pel mezzo del Gran Visir proclamato imperatore Achmet fratello minore di Mustafà, questi mostrò con somma premura il desiderio di conservare la pace con l'imperatore di Germania e con la Repubblica di Venezia. Spedì a questa Mustafà Agà dei Giannizzeri, per parteciparle la sua esaltazione, ed egli, condotto alla pubblica udienza del Doge e della Signoria, nel pien Collegio due lettere presentò, l'una del Sultano e l'altra del primo Visir, nelle quali erano espressi sentimenti di amicizia e d'inclinazione e propensione per la pace. Il Senato Veneziano aveva già spedito a Costantinopoli il Cavaliere Carlo Ruzzini, che fuvvi accolto con onori distinti. A questi lieti avvenimenti è relativo il rovescio della quinta Osella, nella quale vedesi una Rosa aperta sul suo stelo, divisa questa della famiglia Mocenigo, in faccia ad una mezza Luna, insegna della Porta Ottomana, contornata di stelle con la leggenda: [SC[MAGIS. REDOLET. LVNA. SERENA.]SC], e sotto [SC[ANN. V.]SC] ([I[lett]I]. e). Continuando nell'anno sesto del Doge Mocenigo la guerra in Italia, e riconoscendo sempre più necessario il tenere difese le città e le terre murate dalle incursioni e dalle scorrerie delle estere truppe, il Senato aumentato aveva le proprie forze anche nel rigore del verno dell'anno 1705, stabilendo un'alleanza difensiva con due Cantoni Svizzeri, che tenessero alle armi apparecchiati quattromila uomini di agguerrite truppe, non che con la lega dei Grisoni. Ciò diede motivo al rovescio della sesta Osella, nel quale evvi una Rosa fiorita in mezzo ad altri arbusti, spogli questi delle loro foglie, col motto intorno [SC[ETIAM. RIGENTE. HYEME. VIRESCIT.]SC], e sotto [SC[ANN. VI.]SC] Abbenché il diritto della Osella dell'anno sesto del Doge Mocenigo non abbia dagli altri variazione alcuna, pure ho creduto utile di riprodurlo a comodo de' lettori nella nuova tavola. Esso offre il Doge ginocchioni che riceve dal santo Evangelista in un con la benedizione il pubblico stendardo, ed ha intorno le solite parole: [SC[S. M. V. ALOYSIVS. MOCENIGO. D.]SC], e nell'esergo [SC[B. C.]SC] 2.°, che è Benedetto Civran secondo massaro all'argento: anche su questo nome v' è qualche variante ([I[lin]I]. 3, [I[lett]I]. f). La vigilanza del Veneto Senato nell'anno 1706 verso tutti i propri dominii, in particolar modo si estese a quella parte che più esposta alle belligeranti potenze si trovava; quindi fu ordinato a Giorgio Pasqualigo, Provveditore straordinario in Peschiera, di tener pronte ed equipaggiate tre galeotte nel Lago di Garda, per ritenerne e conservarne il possesso. Da questo fatto il Doge prese argomento per far coniare il settimo rovescio della sua Osella, ed imprimere vi fece una nave sul cui cassero pose il Leone rampante, che con la zampa diritta d'innanzi la spada brandisce, e con la sinistra il pubblico vessillo, e la inscrizione: [SC[EMERGIT. VIGILANTE. LEONE.]SC], e sotto [SC[ANNO. VII]SC]. ([I[lett]I]. g). Perduti gli stati dei duchi di Mantova e della Mirandola, non che del Principe di Castiglione delle Stiviere, in Venezia si rifuggirono, ove tranquilla pace godevasi, e vennero accolti come quelli che della patrizia nobiltà fregiati erano, ed anzi a questi due ultimi, sotto specie di condotte militari, dalla pietà pubblica furono assegnati stipendii pel loro sostentamento. A questa circostanza volle alludere il Doge col rovescio della ottava sua Osella, sul quale vedesi la Pace in una donna effigiata con ramo di ulivo in mano, seduta all'ombra di altra regal donna, che nella diritta mano la spada, e nella sinistra in bilico la bilancia tiene con la leggenda intorno: [SC[QVIESCIT. IN. SINV. MEO.]SC], e nell'esergo [SC[ANNO. VIII. 1707.]SC] ([I[lett]I]. h). Le vicende della guerra portando le armate ed alcuni corpi staccati ad invadere le provincie, e commettere atti crudeli verso i tranquilli e pacifici cittadini del Veneziano Governo, obbligarono il Senato ad ordinare al generale conte di Stenau, che le armi venete col titolo di generale supremo dirigeva, di uscire in campagna con le sue forze, invigilando che nelle provincie difese dalle pubbliche armi non entrassero milizie straniere. Tale nuova politica misura condusse il Doge a fare imprimere nel rovescio della nona sua Osella una Rosa fiorita, insegna della famiglia Mocenigo, armata in tutte parti di spine con la inscrizione: [SC[SOLVM. PROVOCATA. FERIT.]SC], e sotto [SC[ANNO. VIIII.]SC] 1708. ([I[lett]I]. i). Qualche differenza osservasi nella numerazione di queste Oselle fatta dall'Abate Palazzi nelle annotazioni poste alla orazione funebre di questo Doge, nelle quali viene preso in iscambio l'anno sesto pel settimo. Nell'ultimo anno di questo Doge Federico IV re di Danimarca e di Norvegia, sotto il titolo di conte di Oldemburgo, a Venezia arrivò, e lungamente vi si trattenne, ovunque festeggiato ed accolto con la onorificenza dovuta a sì gran principe; ma il Doge Mocenigo pochi mesi appresso cessò di vivere, né ebbe agio a ricordare nella Osella di quell'anno sì celebre accoglimento.
Nella elezione del successore di lui lo stesso avvenimento accadde, che in quella del Mocenigo avvenuto era. Disputavansi tra di loro della ducale corona i due Procuratori di san Marco, Alvise Pisani ed Angelo Diedo; quest'ultimo avea ambita la dignità ducale anche nella elezione del Mocenigo, e tale era la forza e la parità de' meriti ne' concorrenti, che unire non poté alcuno di loro in favor proprio il numero de' voti necessario per la elezione. In tanta ambiguità di cose, i due partiti di eleggere convennero Giovanni Corner Senatore distinto per le doti dell'animo e per gl'impieghi sostenuti in patria e fuori. Non volle però egli ricordare alcun fatto nelle Oselle a' nobili distribuite nei tredici anni del suo principato. Tre sole di queste si riportano dei primi tre anni, non già perché queste ad alcun fatto alluder possano, ma perciocché l'impronta nel diritto di esse è in qualche parte variata, e le altre poi si tralasciano che il conio del secondo anno ripetono, cangiando solo le cifre degli anni ed i nomi dei massari di Zecca, ed omettendo la data della edificazione di Venezia. La prima adunque nel suo diritto rappresenta san Marco che, benedicendo il Doge, dello stendardo il presenta, e dietro la cattedra del Santo evvi il Leone alato che riposa, e nel contorno: [SC[S. M. V. IOAN. CORNELIO. D.]SC], e nell'esergo [SC[L. M.]SC], il nome cioè di Lorenzo Marcello massaro di Zecca all'argento. Nel rovescio poi la sola inscrizione si legge: [SC[IOANNIS. CORNELII. PRINCIPIS. MVNVS. AN. I.]SC], e intorno: [SC[SALVTIS. ANNO. MDCCIX. ET. AB. VRBE. CONDITA. MCCXIC.]SC] ([I[lett]I]. a). Nella seconda evvi nel diritto il simbolo di san Marco, cioè il Leone veduto di prospetto, alato e coronato col nimbo, ed avente tra le zampe il libro ed intorno le parole: [SC[S. MARCVS. VENETVS.]SC], e nell'esergo il nome del massaro [SC[M. A. B.]SC] Marc'Antonio Bon ([I[lin]I]. 4, [I[lett]I]. b), conservandosi nel rovescio la stessa inscrizione della prima con le variate cifre degli anni. La terza Osella presenta nel suo diritto il Leone alato e coronato col nimbo, ma posto di profilo, con guardatura feroce, col libro aperto fra le zampe, e quasi a custodia di un forte, ed intorno ha [SC[S. MARCVS. VEN.]SC], e nell'esergo [SC[Z. B. V.]SC], cioè Zuan- Bartolomeo Vitturi, e l'anno 1711. Nel rovescio poi le parole della prima inscrizione in carattere maiuscolo, e senza data della edificazione della città ([I[lett]I]. c). Dopo il terzo anno si riprese il conio del secondo, con la sola variazione, che nel quarto e nel quinto anno il libro sopra cui poggiano le zampe del Leone vedesi aperto, mentre negli anni successivi si tenne chiuso. Una breve osservazione richiama la Osella di questo Doge, nella quale per la prima volta, dietro la cattedra del Santo, il di lui simbolo si osserva, mentre in tutte le altre Oselle il solo nome inscritto intorno alla figura era sufficiente a dinotarlo. Che poi dopo il quinto anno il libro de' Vangeli chiuso si tenesse, ne fu cagione l'essere stata la Repubblica improvvisamente attaccata nell'anno 1714 dalle armi ottomane, le quali ripresero il Regno della Morea in gran parte per i tradimenti di que' Greci medesimi i quali avevano poco innanzi al suo acquisto contribuito, ed ora, per desiderio di novità, amavano di vivere piuttosto sotto il dominio dei Turchi, che sotto quello dei Veneziani. Seguì però la pace col Turco nell'anno 1720, non lieta per i Veneziani, avendo per lei perduto la Morea, nobile conquista di Francesco Morosini, e quanto era loro rimasto nell'isola di Candia; ma il Doge continuò tuttavia fino nell'ultimo suo donativo a conservare l'antica impronta, morto essendo nell'agosto dell'anno 1722. Le memorie di Zecca non fanno parola del prezzo delle Oselle dopo il Doge Nicolò Sagredo all'anno 1675, e solo nell'anno 1718 le veggo portate al prezzo di tre lire e soldi tredici.
A. 1722 (Tav. IV e V).
La patria, alternando i premii verso que' cittadini che di lei benemeriti erano per i prestati servigi, non dimenticò di premiare eziandio Alvise Sebastiano Mocenigo [I[da san Samuele]I], il quale per quattro volte sostenne il carico di provveditore generale, e diede prove di zelo e di amore verso la patria nelle spinose emergenze del Levante e della Dalmazia. Questi al primo scrutinio fu eletto Doge. In tutte le Oselle da lui a' nobili regalate riprese nel diritto la solita impronta del santo Evangelista che dà al Doge in ginocchio con lo stendardo la benedizione, ed ha intorno il motto: [SC[S. M. V. ALOYSIVS. MOCENIGO. D. ANN. I.]SC] e successivi. Nei rovesci però variò in tutti gli anni il conio. Nel primo vedesi il Doge seduto con la destra distesa ad un arbusto di rose, ed il bastone del comando nella sinistra, col Leone alato che dietro lui riposa, e al disopra una nube con le parole: [SC[FVLCITE. ME. FLORIBVS.]SC], e sotto 1722. Questo rovescio è tutto allusivo alla persona del Doge, il quale, stendendo la destra ad un arbusto di rose, divisa della famiglia Mocenigo, ricorda quanti ne uscirono fregiati della stessa corona. Nel bastone rammenta i molti comandi da lui sostenuti, nel Leone che riposa, la pace di cui la Repubblica allora godeva, e infine nella nuvoletta, l'aiuto celeste ([I[lett]I]. a). La pietà e la religione del Doge fulgida risplende nel rovescio della seconda Osella, nel quale imprimere fece la Vergine fra le nuvole contornata di stelle, che apparisce al Doge ginocchioni, il quale ha la corona in capo ed il bastone generalizio nella sinistra con ai suoi piedi il Leone che riposa, ed il berretto ducale sul suolo e la inscrizione: [SC[DOMIN. REGIT. ME. ET. NIH. MIHI. DEERIT.]SC], e sotto 1723 ([I[lett]I]. b). Niun pubblico avvenimento essendo in questo anno accaduto, a cui possa il rovescio applicarsi, conghietturare si deve ch'esso immaginato siasi per ricordare la protezione della Vergine a questo Doge accordata, tanto in mezzo ai pericoli della guerra, che nella sua elevazione alla ducal dignità; e siccome nell'anno primo gli onori alla sua famiglia accordati rammenta, così nel secondo anno con sentimento di pietà e di religione la particolare sua divozione verso la Vergine santa dimostra. Altre volte si è veduto nel corso di queste illustrazioni, e lo vedremo ancora in appresso, e la particolare protezione della Vergine, e la religiosa divozione dei Dogi verso di lei. Alla memoria de' pubblici eventi ed alla felicità degli Stati sono rivolti i pensieri del Doge nelle seguenti Oselle, nelle quali i provvedimenti del Veneziano Senato si offrono. La prudenza e la saviezza di questo si riscontra, all'anno 1724, nel sostenere i propri diritti, resistendo alle pretensioni de' ministri stranieri, i quali non volevano alle leggi doganali assoggettarsi, e fece loro deporre ogni ridicola pretesa. A questa condotta ferma e prudente, ch'era giunta fino a risvegliare il mal umore nelle corti di Francia e di Spagna, allude il rovescio della terza Osella, nella quale sur un trono di alcuni gradini elevato siede la Giustizia con la spada sguainata nella destra, e con la bilancia in bilico nella sinistra, vedendosi alla sua destra la piazzetta di S. Marco, che in quell'anno fu anche con magnifica instaurazione di nuovo lastricata, ed ha intorno il motto: [SC[MELIOR. EST. SAPIENTIA. QVAM. VIRES.]SC], e sotto 1724 ([I[lett]I]. c). Decretato dal Veneto Senato nell'anno 1724 un taglio da farsi in volta di san Pietro alla Tor Nuova su l'Adige, nella fissata regolazione di quel fiume, dietro le opinioni e gli studii del celeberrimo matematico della Repubblica il professore Bernardino Zendrini (le cui opere furono non ha guari per cura di un nipote suo rese di pubblico diritto), a questa importante idraulica operazione, che fu ferace di prodigiosi effetti a salvezza delle Provincie di Padova e di Rovigo, ed a molte altre provvidenze prese in materia di acque nelle lagune e nei fiumi, alluder volle il Doge col rovescio della quarta Osella, nella quale si vede una donna regale seduta sul trono a più gradini elevato in mezzo alle acque, col Leone alla sinistra, sparse veggendosi alcune barche veleggianti con la epigrafe intorno: [SC[FLVMINIS. IMPETUS. LAETIFICAT. CIVITATEM.]SC], e sotto 1725 ([I[lett]I]. d). La politica del Veneziano Senato temendo, dopo la morte del Czar Pietro il Grande di Moscovia, che della Repubblica alleato era, che i Turchi, male verso di essa intenzionati, nuovamente la guerra rompessero, giudicò necessario di tenere in pronto un determinato numero di navi per proteggere i proprii sudditi nel commercio loro e nella navigazione, e porre un qualche freno alla ottomana potenza. A tale oggetto, dietro alle operazioni nelle lagune nell'anno innanzi verificate, nel canale della Giudecca tali escavazioni si fecero, affinché le pubbliche navi ivi all'àncora custodire si potessero ed a più gloriose operazioni sempre atte e pronte si tenessero; ed ecco che nel rovescio della quinta Osella una nave si vede armata in corso, che alcuni mercantili bastimenti protegge, colle parole: [SC[IN. CVSTOD. ILLIS. RETRIB. MVLTA.]SC], e sotto 1726. ([I[lett]I]. e). II rovescio dell'anno sesto mostra impresso il Bucintoro accompagnato da più barchette, ed illuminato dal bel sole di maggio, diretto alla consueta annuale funzione delle sponsalizie del mare, avendo le ducali insegne sulla prora e nello intorno le parole: [SC[NON. EST. INVEN. SIMILIS. ILLI.]SC], e sotto 1727. ([I[lett]I]. f). In quell'anno appunto fu rinovato il Bucintoro con le antiche forme, ma reso vago da scolture e dorature bellissime, d'invenzione di Antonio Corradini, scultore celeberrimo di quei giorni; di questo legno evvi una descrizione particolareggiata nell'opuscolo di Anton Maria Lucchini intitolato: [I[La Nuova Reggia sulle acque]I], e desso nell'anno 1797 dalla rabbia distruggitrice di allora fu solennemente abbruciato. Vegliando il Governo con attenta cura e validissima sollecitudine alla preservazione della pace nelle proprie provincie, nel tempo medesimo che allestire faceva le milizie, anche le navi riordinava per proteggere con efficacia i suoi sudditi. Per tale pubblica vigilanza fu coniato il rovescio della settima Osella, il quale presenta la Pace con l'ulivo nella destra ed il cornucopia nella sinistra, accompagnata da una schiera di soldati e da una squadra di navi armate con la epigrafe: [SC[IN. VIRTVTE. ET. ABVNDANTIA. PAX.]SC] e nell'esergo 1728 ([I[lett]I]. g). Il rovescio della ottava Osella rappresenta l'agricoltura con la spica di grano nella destra ed il cornucopia nella sinistra innanzi ad una Donna regale, che seduta tiene nella diritta lo scettro, ed un ramo di rose nella sinistra, ed ha a' suoi piedi il Leone. Questo è il simbolo della fertilità di quell'anno, che, secondo antichi registri, fu ferace di granaglie di ogni genere. Anche l'abate Toaldo, pubblico professore di astronomia nella Università di Padova, riportando un suo ciclo lunare relativo a quell'anno, asserisce che anche la vendemmia riuscì la più abbondante che fosse mai a memoria di uomini. A ciò allude pure la inscrizione: [SC[PLENO. TIBI. COPIA. CORNU.]SC] e nello esergo 1729. ([I[lett]I]. h). Un ragguardevole cittadino, che per la Repubblica ambasciatore presso l'imperatore trovavasi, e che sul finire di quell'ambasciata alla Porta Ottomana nello stesso posto era stato prescelto, aveva con la sua condotta esposto il proprio credito a disonorevoli emergenze. Ritornato da quella prima ambasceria, i mobili ed effetti di lui sulla pubblica nave caricavansi per la nuova destinazione, quando per commissione dell'ambasciatore cesareo residente in Venezia, da un pubblico commendadore od usciere, suggellaronsi e si sequestrarono. L'occhio vigile ed attento del Governo consigliò l'eletto Bailo d'implorare la sua dispensa, che fu accolta, ed altro in suo luogo sostituito. Questa misura d'interna governativa politica, che dimostra la diligenza del Governo nel ritenere i proprii cittadini nella moderazione appoggiata alle antiche discipline, diede argomento al rovescio della nona Osella di questo Doge. Figura infatti in essa la Giustizia in piedi con la spada vibrata e la bilancia in bilico, avendo ai suoi piedi il Leone, ed al destro lato un ramo di rose che dalla terra spunta, con le parole: [SC[DISCIPLINA. MAIORUM. REMPUBLICAM. TENET.]SC], e sotto 1730 ([I[lett]I]. i). Cadendo nell'anno 1731 il centesimo anno da che la città di Venezia fu dalla pestilenza per intercessione della Vergine liberata, un solenne triduo di pubbliche rogazioni decretato si aveva, nel quale il Doge con l'accompagnamento del Senato a piedi si portasse alla visita del sacro tempio della Salute per voto innalzato. A commemorare questa festività secolare, il Doge coniar fece nel rovescio della decima Osella la immagine stessa della Vergine, che con somma venerazione nella cattedrale di Candia custodita un tempo tenevasi, e che, trasferita dopo la perdita di quell'isola in Venezia, fu per ordine pubblico al maggior altare di quel tempio collocata. Il motto intorno: [SC[AB. IPSA. SALVS.]SC], e sotto 1731 ([I[lett]I]. l) ne assicura l'oggetto. Questa secolare festività con mirabile concorso di popolo nell'anno 1830 celebrossi, ricordando il giorno del voto, piuttosto che quello della liberazione del flagello, come aveasi nella prima centuria accostumato.
Fu desso l'ultimo donativo del Doge Alvise Sebastiano Mocenigo, il quale morì a' 21 di maggio 1732, dopo aver seduto sul trono ducale nove anni e nove mesi, ed alla patria per legato lasciò le sue armi e i trofei di guerra, nonché due bellissimi Leoni di marmo rosso greco, che adornano attualmente la picciola piazzetta ai fianchi della Patriarcale Basilica, chiamata appunto la piazza dei Leoni. Anche il fu Domenico Pasqualigo, patrizio veneto, e raccoglitore di medaglie e monete, nella sua Notizia generale-storica della sedia ducale vacante per la morte di Luigi Sebastiano Mocenigo, ne illustra le Oselle, e non v'ho rinvenuto che alcune trasportazioni dall'uno all'altro anno, che possono essere equivoci presi nel momento di dettarle.
Carlo Ruzzini, Cavaliere e Procuratore di san Marco, già due volte ricordato nel corso di queste illustrazioni, spiegò il suo concorso alla ducal dignità in parità di meriti col Cavaliere e Procuratore Alvise Pisani. Quantunque generalmente al popolo fosse più grato il nome del Pisani, pure la scelta cadde sulla persona del Cavalier Ruzzini il quale aveva coperte le primarie ambascerie presso le corti de' principi stranieri. Tre anni egli sedette sul trono ducale, e di tre Oselle fe' ai nobili regalo. Nella prima evvi sul rovescio il Leone di fronte, alato, coronato e cinto del nimbo, tenendo fra le zampe il libro degli Evangeli aperto, in cui sta scritto: [SC[PAX. T. M. E. M.]SC] e nel contorno: [SC[IN. DIEBVS. EIVS. ABVNDANTIA. PACIS.]SC], e sotto 1732. Nel diritto la inscrizione sormontata dal corno ducale: [SC[CAROLI. RVZINI. PRINCIPIS. MVNVS. AN. I.]SC] ([I[lett]I]. a) è chiusa da tre caducei, insegna di Mercurio il messaggiere di Giove, e da due palme di ulivo, simboli della pace. Nei tre caducei si allude ai tre congressi di Carlowitz, di Utrecht e di Passarowitz, nei quali egli intervenne come plenipotenziario della Repubblica, ed alle paci ivi firmate. L'impronta pure del rovescio rammenta egualmente i giorni di pace goduti sotto questo doge dalla Repubblica. La seconda Osella presenta nel diritto il Leone di profilo, alato, coronato e col nimbo tenendo fra le zampe il libro aperto, ed ha intorno le parole: [SC[CAROLI. RVZINI. PRINCIPIS. MVNVS.]SC], e sotto [SC[ANNO. II.]SC], e più sotto ancora, [SC[B. Z.]SC] cioè Bartolomeo Zen massaro all'argento ([I[lett]I]. b). Nel rovescio poi evvi una urna di argento, che contiene le ossa del santo Doge Pietro Orseolo, che fu uno de' primi discepoli di san Romualdo Abate; furono queste reliquie in Venezia mandate per donativo di Luigi XV di Francia dall'antica provincia della Guascogna, e si conservano nel santuario della Patriarcale Basilica. La inscrizione intorno a questo rovescio ci rende certi della sua rappresentanza: [SC[OSSIBUVS. RECEPTIS. DIV. PETR. VRSEOLI.]SC], e nell'esergo 1733. Abbiamo, intorno a questo doge, notizia, che in occasione di queste reliquie il desiderio in lui svegliossi di conoscere se nella sottoconfessione di san Marco il di lui corpo depositato fosse. A questo oggetto si aprì, presso l'altare della Madonna, e precisamente sotto que' gradini che dal presbiterio conducono al piano della chiesa, un foro nel pavimento, e col mezzo di una scala a mano discesero nella sottoconfessione, ma trovatavi l'acqua a tale altezza, che convenne girare solamente sopra le panchine di viva pietra, che contornano quel santuario, non riuscì al Doge né agli altri che seco erano di nulla riconoscere. Ben più fortunati di questo Doge siamo stati noi in questi anni, ne' quali, superando la difficoltà dell'acqua, che si fece anche tutta uscire, ed altri ostacoli, che vi si frapponevano, siamo giunti al felice ritrovamento del corpo santissimo del protettore principale della città san Marco, collocato appunto sotto la mensa del maggiore altare, ed ora trasportato più alto nel corpo stesso dell'altar maggiore, come si può riconoscere dalle memorie sul corpo di san Marco in allora pubblicate. Nel terzo anno del doge Ruzzini fu riprodotto nel diritto il conio dell'anno secondo con la variazione nelle parole, che sono [SC[SANCTVS. MARCVS. VENETVS.]SC] e sotto [SC[Z. F.]SC], Zorzi Foscolo massaro, e nel rovescio la sola inscrizione [SC[CAROLI. RVZINI. PRINCIPIS. MVNVS. ANNO. III. MDCCXXXIV.]SC] rinchiusa da due rami di ulivo, che sorreggono il berretto ducale ([I[lett]I]. c). Il doge Ruzzini morì nel gennaio susseguente, dopo quattro soli giorni di malattia, nell'età di anni ottantadue, avendo regnato due anni e sette mesi, e fino agli ultimi momenti della sua vita diede continui saggi di quella scienza ed erudizione, che possedeva, per cui fu considerato il più dotto uomo della Repubblica, ed il più scienziato principe che allora vivesse. Sotto questo Doge Ruzzini le Oselle incominciarono ad avere il prezzo di lire tre e dieciotto soldi, prezzo legale, che fu sempre continuato, quelle eccettuate che per particolari circostanze si riconobbero rare, e furono stimate a prezzo di affetto.
Quell'Alvise Pisani, Cavaliere e Procuratore di san Marco, sì benemerito per molte legazioni ordinarie ed estraordinarie, che abbiamo veduto qui sopra posto in competenza col defunto doge Ruzzini per la ducale sede, con grande applauso e gioia del popolo vennegli sostituito. Negli anni del suo principato volle che nelle Oselle a' nobili distribuite altro conio non fossevi che, nel diritto, il simbolo del santo Evangelista, cioè il Leone alato, coronato, e col nimbo intorno al capo con la figura rivolta alla diritta, e con la faccia di fronte avente nelle zampe il libro aperto ed il motto: [SC[SANCT. MARCVS. VENETVS.]SC] e al di sotto [SC[Z. F.]SC], cioè il sunnominato Zorzi Foscolo, e l'anno 1735. Nel rovescio poi la sola inscrizione [SC[ALOYSII. PISANI. PRINCIPIS. MVNVS. ANNO. I.]SC], e susseguenti, inscrizione rinchiusa fra due rami di ulivo. Abbenché la politica del Veneziano Senato una seconda neutralità armasse, occasionata dalle guerre insorte fra gl'imperiali ed i Francesi, ed il Cavaliere Antonio Loredano in Provveditore generale destinato fosse in unione al Maresciallo Conte di Schollemburg per invigilare alla pubblica sicurezza col munire le piazze murate, accrescere i presidii, e dal Levante e dalla Dalmazia i veterani reggimenti richiamare; ciò non per tanto il Doge Pisani continuò sempre la prima impronta, che unica nelle tavole si rappresenta, non alterandola fino alla morte, improvvisamente accaduta a' diecisette di giugno dell'anno 1741.
Fra il concorso di tre illustri personaggi, il Cavaliere e Procuratore Barbon Morosini, il Procuratore Nicolò Veniero ed il Cavaliere e Procuratore Pietro Grimani, questo ultimo nel primo scrutinio alla dignità ducale inalzato venne, ed egli, per molti servigi alla patria prestati e nelle ambascerie alle straniere potenze, e nei più gravi consessi del Governo la pubblica estimazione meritato aveasi, e pel suo gusto delicato di elegante scrittore italiano era giunto ad alto grado di riputazione presso i Gozzi, i Farsetti ed altri contemporanei famigerati scrittori, essendo egli pure della famosa Accademia de' Granelleschi. A questo Doge scrisse già l'Algarotti una epistola in versi, nella quale si ricordano le sue poesie, e fra le altre un sonetto che incomincia
[I[ Sedeami un dì sopra una verde riva,]I]
e finisce con questi versi:
[I[ E sui miei casi e fortunati e rei]I]
[I[ Vidi, o Lilla gentil, che di mia vita]I]
[I[ Tutta la storia mia tu sola sei,]I]
ed è stampato nella parte quarta della raccolta del Gobbi, e nel tomo VII delle Rime degli Arcadi, come quello che era appunto nel numero degli Arcadi col nome di Armiro Cretreo. Undici furono le Oselle da questo Doge a' nobili regalate, delle quali le prime sei conservano lo stesso tipo tanto nel diritto, che nel rovescio. Nei diritti evvi l'antica impronta di san Marco, che .offre al Doge ginocchioni il patrio vessillo benedicendolo, col motto [SC[S. M. V. PETRVS. GRIMANVS. D.]SC], e sotto 1741 ed [SC[F. P.]SC], Francesco Pasqualigo il massaro, e seguenti. I rovesci altresì sono quelli stessi che si videro da molti Dogi suoi antecessori adoperati, e che poscia furono da tutti universalmente usati, cioè le parole: [SC[PETRI. GRIMANI. PRINCIPIS. MVNVS. ANNO. I.]SC] ([I[lin]I]. 3, [I[lett]I]. a). Nel settimo anno però il conio del diritto cangiossi, ponendosi in opera il simbolo del santo Evangelista, cioè il leone alato e coperto del berretto ducale, di fronte, e col libro fra le zampe aperto, su cui sta scritto [SC[P. T. M. E.]SC] cioè [I[Pax tibi Marce Evangelista]I], e nel contorno [SC[SANCTVS. MARCVS. VENETVS.]SC], e sotto il nome del massaro, che in quell'anno figurava Zuan Andrea Pasqualigo [SC[Z. A. P.]SC] ([I[lett]I]. b). Questa variazione non puossi ad alcun particolare avvenimento attribuire, ma solo ad un genio dimostrato dal Doge di imitare in questa parte il suo antecessore, non essendovi nelle pubbliche storie, o nelle private memorie alcuna di esse che a ragione di ciò addurre si possa. Non è però così della variazione che si osserva nel diritto dell'ottavo anno di questo Doge, nel quale invece del consueto tipo del santo Evangelista, che il pubblico stendardo consegna, vedesi il Doge ginocchioni in atto di orare innanzi al Santo, il quale seduto, tenendo la penna sull'aperto libro in atto di scrivere, si rivolge col capo indietro, quasi chiamato da un oggetto esteriore, ed ha il leone presso di sé col solito motto [SC[S. M. V. PETRVS. GRIMANVS. DVX.]SC], e nell'esergo [SC[L. M. II.]SC] Lodovico Morosini II, questo pure in altre variando ([I[lett]I]. c). Di questa variazione puossi il motivo attribuire ad alcune vertenze insorte col pontefice Benedetto XIV. Il patriarcato di Aquileia, che con la sua giurisdizione estendevasi nella contea di Gorizia appartenente alla casa d'Austria, svegliato aveva le cure e l'attenzione di S. M. I. e R. Maria Teresa, la quale un proprio Vicario al Pontefice richiedeva per i suoi stati. Il Senato Veneziano, per sostenere i diritti patriarcali, incaricava presso la santa Sede con apposita missione Francesco Foscari, il quale partì di Venezia nell'agosto del 1748. Evvi l'antica tradizione, avvalorata anche da' Padri, che san Marco predicato abbia ai popoli di Aquileia il vangelo, quindi sembra bene adatta la idea che si rappresenti il Doge a' piedi del Santo in atto di supplicarlo a sostenere il diritto dei successori di lui nel Patriarcato stesso, diritto che allora cogli Imperiali dividere volevasi. Le vertenze e le discussioni di Roma continuando, né ancora bene stabiliti i confini de' rispettivi diritti delle due metropolitane arcivescovili diocesi di Gorizia e di Udine, che dalla divisione della Patriarcale Basilica di Aquileia sorgere dovevano, nell'anno nono del suo reggimento il Doge ordinava, che nel diritto di quella Osella il santo Evangelista coniato fosse in atto di allontanarsi dalla terra e fra le nubi soffermarsi, con la sinistra mano distesa sulla testa del Doge a' suoi piedi genuflesso, di sua protezione assicurandolo, mentre tiene nella destra il libro degli Evangeli aperto, ed il Leone mezzo accosciato mostrasi in atto di minacciare alcuno dietro alle sue spalle. La inscrizione non varia dalle altre: [SC[S. M. V. PETRVS. GRIMANVS. DVX.]SC], e nell'esergo [SC[G. G. L.]SC] da interpretarsi per Gian Girolamo Longo, che era il massaro all'argento. Si riporta pure in questa quinta tavola a comodo degli osservatori la leggenda del rovescio, ch' è la consueta [SC[PETRI. GRIMANI. PRINCIPIS. MVNYS. AN. IX.]SC], 1749, inchiusa fra due rami di fiori che la corona ducale sorreggono ([I[lett]I]. d). Non ancora del tutto composta la questione sulla giurisdizione delle nuove sedi arcivescovili dal Patriarcato di Aquileia provenienti, il Doge credette opportuno di continuare a prendere lo stesso argomento per soggetto della sua decima Osella: quindi nel rovescio di essa si fece rappresentare ginocchioni illuminato dai raggi superiori, che dal cielo sul di lui capo discendono, in faccia ad un altare, dietro il quale evvi il Santo che sull'ara il libro de' suoi Evangeli aperto gli mostra, indicando con la destra mano la volontà del Signore, ed il Leone che dietro il Santo respiciente di faccia riposa, col solito motto intorno [SC[S. M. V. PETRVS. GRIMANI. D.]SC], e al di sotto il nome del massaro [SC[Z. B.]SC] Zuanne Balbi ([I[lett]I]. e). Questa però è l'ultima Osella che il Patriarcato di Aquileia risguarda, essendosi nel luglio dell'anno 1751 col mezzo di pontificio breve decretato, che l'attuale Patriarcato fosse in due metropolitane arcivescoli sedi diviso, ritenendosi tuttavia nel vivente Patriarca e Cardinale Delfino il primitivo titolo, e conservando al Senato la nomina dell'Arcivescovo di Udine. Così decise la saggia mente del sommo Pontefice Benedetto XIV. L'undecima ed ultima Osella del Doge Pietro Grimani porta nel diritto il Doge ginocchioni innanzi all'altare dell'Annunziata Vergine, che in un quadro fra due colonne rinchiuso, e da due angioletti fregiato, rappresentata si vede, e nel lato opposto pur genuflesso san Marco ed il Leone che giace in riposo fra loro. Il motto intorno è [SC[S. M. V. P. GRIMA. D.]SC], e nell'esergo il nome del massaro all'argento, che in quell'anno era Alvise Barbaro [SC[A. B.]SC] ([I[lett]I]. f). Questo conio non può essere relativo, che al giubileo pubblicato nell'anno 1751, il quale per Venezia il suo principio ebbe nel giorno appunto dell'Annunziazione della Vergine, principale proteggitrice della Repubblica. Di là a pochi giorni il Doge Pietro Grimani, da grave malattia sopraffatto, fu al sepolcro condotto.
A. 1752 ([SC[TAV]SC]. V e VI).
Il successore di lui Francesco Loredano al primo scrutinio de' quarantuno elettori dalla maggiorità de' voti eletto riusciva, quantunque a competitore mostrato si avesse il Procuratore Giovanni Emo. Quegli più volte la carica di Provveditore generale dell'armata nelle provincie coperto aveva, e spezialmente nell'importante occasione dell'armata neutralità della Repubblica per la guerra di successione. Molte delle Oselle di questo Doge, siccome coniate negli anni in cui la Veneziana Dominazione i proprii diritti civili in faccia alla santa sede sosteneva, così in pari tempo la religione e la pietà della Repubblica dimostrano. Di fatti il nuovo Doge dal suo cognome l'argomento prendendo, ché quasi dall'etimologia della parola poteasi il di lui casato supporre dalla città di Loreto derivare, imprimere si fece nel rovescio della prima Osella in ginocchio col berretto ducale deposto innanzi ad un altare sul quale evvi la Vergine col bambino Gesù in braccio, e presso ad essa S. Marco, che tiene il libro degli Evangeli aperto sull'ara appoggiato, e con la destra distesa verso un calamaio con la penna, come scrittore di quelli, ed in mezzo il Leone che riposa respiciente di faccia sopra un suolo di marmi intrecciato. Le parole intorno suonano [SC[S. M. V. FRANC. LAVRED. D.]SC], e nell'esergo [SC[G. A. C.]SC], che indicano il nome del massaro all'argento Giacopo Antonio Contarini. Nel diritto poi la solita leggenda: [SC[FRANCIS. LAVREDANI. PRINCIPIS. MVNVS. AN. I. 1752.]SC] ([I[lin]I]. 4, [I[lett]I]. a), da un fregio rinchiusa, rovescio che si conserva nell'anno seguente. Nel rovescio della seconda dando un nuovo saggio della pietà e della religione del Doge, lo si mostra caldamente raccomandarsi alla Vergine santissima, ed al principal Protettore nelle vertenze insorte con la santa sede, e si presenta genuflesso con berretta deposta ai piedi della beata Vergine col Bambino in grembo, che è in un quadro da quattro angioletti sostenuto in forma di cariatidi con fregi di vasi e di fiori, mentre dall'altro lato trovasi l'Evangelista che lo benedice, con ai piedi il calamaio, e nel mezzo, sul terreno intrecciato di marmi, il Leone che riposa. Il solito motto intorno [SC[S. M. V. FRANC. LAVRED. D.]SC], e sotto [SC[S. B.]SC] Stefano Barbaro massaro ([I[lett]I]. b). Niuna particolare circostanza volendo il Doge ricordare nella Osella dell'anno terzo, riprese nel diritto l'ordinario antico conio col santo Evangelista seduto in atto di benedire il Doge genuflesso, che dalle mani di lui il vessillo della Repubblica riceve con le usitate parole: [SC[S. M. V. FRANC. LAVREDANO. DVX.]SC], e nell'esergo [SC[V. A. C.]SC] cioè il nome del massaro all'argento di quell'anno, Ulisse Antonio Corner. Quantunque nel rovescio si conservi la consueta leggenda, pure alcune alterazioni vedendovisi e nella forma delle parole, che più maiuscole si mostrano, e nella ducale corona di niun fregio ornata, utile si credette di riprodurlo, abbenché nessuna causa di questa alterazione addurre si possa; [SC[FRANCIS. LAVREDANI. PRINCIPIS. MVNVS. AN. III. MDCCLIV.]SC] ([I[lett]I]. c). Ad un quadro, nel quale la nascita del bambino Gesù fra gli animali nel presepio si raffigura, con l'adorazione degli angeli, sostenuto e fregiato da colonne in luogo di cariatidi, ed altri ornamenti, dirigonsi le preci del Doge ginocchioni, deposto il berretto sul suolo, mentre dal lato opposto il santo Evangelista si vede in atto pure di adorazione, ed in mezzo il leone in piedi col libro fra le zampe aperto, e col capo al Santo rivolto. Il diritto della quarta Osella conservando il solito motto [SC[S. M. VENET. FRANC. LAVREDAN.]SC], e sotto [SC[A. D.]SC] il nome del massaro Antonio Diedo, mostra in un quadro la nascita del Bambino adorato dagli Angeli e al di sotto di questo il santo Protettore che inginocchioni dà la benedizione al Doge il quale è pure in ginocchio col berretto deposto e fra loro il leone col libro aperto. L'essere sul rovescio di questa Osella una Pace alata che nella sinistra mano un ramo di ulivo porta e nella destra il ducal corno, è il motivo per cui si è creduto di riportare di essa pure l'impronta [SC[FRANCIS. LAVREDANI. PRINCIPIS. MVNVS. AN. IV. MDCCLV.]SC] ([I[lett]I]. d). Nessuna trattativa di pace a vero dire in quell'anno le storie nostre alla Repubblica assegnano, quindi non si potrebbe con certa conoscenza asserire, quale oggetto fosse preso di mira; e solo si può alludere o allo stato di pace in cui trovavasi allora la Repubblica, o all'armonia interna del governo, dappoiché era stato conchiuso un trattato di confinazione nel Bergamasco e Milanese, tra la Repubblica di Venezia e Sua Maestà l'imperatrice e regina Maria Teresa d'Austria. Il conio del quinto anno offre una delle allegorie che la Chiesa adopera verso la Vergine santa, qual è quella del vaso, e questo la Vergine sostiene, contornata da Angeli, due dei quali danno fiato alle trombe, e nel corpo del vaso è scritto [SC[VAS. ONORABILE.]SC], ([I[sic]I]), e al disotto del vaso, nel lato destro, san Marco che riposa sul terreno seduto a cui dietro il Leone di fronte, e nel lato sinistro il Doge in ginocchio con la ducale berretta sul suolo deposta, e nell'esergo [SC[F. T.]SC] Francesco Trevisano massaro, conservando nel contorno [SC[S. M. V. FRANC. LAVRED. DVX.]SC], il che pure non è che un semplice saggio della divozione del Doge verso la santa Vergine ([I[lett]I]. e). Altra prova pure della stessa pietà dimostrata vedesi dal Doge nel diritto della sesta Osella, nella quale non si volle allontanare dagli emblemi e dalle allegorie dalla Chiesa usate nel rappresentare la Vergine, indicandocela sotto la invocazione di [SC[FOEDERIS. ARCA]SC]. Infatti vi si osserva un Angelo che sostiene l'arca della salute in cui evvi quella leggenda, e sulla quale poggia la Vergine che tiene le braccia aperte, ed intorno sonovi colonne ed archi che la racchiudono, mentre nel lato destro sul suolo il santo Evangelista, con un ginocchio piegato, il Doge benedice, che nel lato opposto ginocchioni si mostra col berretto sul terreno, e la faccia del leone a tergo del Santo. Il lavoro del suolo sembra di opera vermicolata. Le parole intorno sono: [SC[S. M. V. FRANC. LAVRED. D. V.]SC], e sotto [SC[G. B.]SC] che sono le sigle iniziali di Girolamo Bonlini massaro ([I[T]I]. VI, [I[lin]I]. 1, [I[lett]I]. f). Niun avvenimento chiamando l'attenzione delle storie in questi anni, gli archeologi non hanno motivo di conghietturare qual cosa dirigesse il Doge nella scelta della impronta da fissarsi nell'anno settimo, e solo una perenne dimostrazione della sua religiosa devozione verso i principali proteggitori della patria, che ei volle indicati anche in questa Osella. Quindi in essa effigiata vedesi la immacolata Concezione della Vergine in un quadro con due Angioletti che lo sorreggono, ed il san Marco nel lato destro in piedi in atto di mostrare ai riguardanti la Vergine, mentre il Doge, col berretto ducale deposto, è in atto di adorarla, ed il Leone fra loro riposa. Anche in questa Osella sembra il suolo vermicolato. L'usitata inscrizione si legge d'intorno: [SC[S. M. V. FRANC. LAVRED. DVX.]SC], e nell'esergo [SC[F. A. B.]SC], che intender si deve per Francesco Antonio Bonlini massaro ([I[lett]I]. g). Ai tre di maggio dell'anno 1788 cessò di vivere il grande pontefice Benedetto XIV, che portò il lutto in tutta la Cristianità. A minorare però il rammarico che ne provavano anche i Veneziani, dopo una sede vacante di due mesi e tre giorni fu al soglio pontificio inalzato il Cardinale Carlo Rezzonico veneto patrizio e Vescovo di Padova, che assunse il nome di Clemente XIII. Grandissime furono le dimostrazioni di gioia e di allegrezza per sì avventuroso innalzamento ordinate. Otto ambasciatori al nuovo pontefice fra i più illustri cittadini si nominarono; dal Senato lettere gratulatorie sopra la creazione sua si scrissero; il Consiglio Maggiore a Procuratore di san Marco soprannumerario, che era la seconda dignità della Repubblica, il fratello di lui elesse; ed affine di dare un nuovo attestato della pubblica letizia, il Senato, dietro le rimostranze avanzate dal nuovo pontefice nei primi giorni della' sua esaltazione, s'indusse a ridurre il decreto 7 settembre 1754, il quale avea dato motivo di discussioni e di rammarico all'antecessore di lui. Grato il pontefice a simili contrassegni di devozione religiosa verso di lui, nell'anno appresso della sua elezione spedì in dono alla Repubblica una Rosa d'oro da lui benedetta. Il Doge prese argomento dall'innalzamento del Pontefice e dalla Rosa ricevuta per coniare la Osella dell'ottavo suo anno. Nel diritto infatti vedesi la figura della Religione sopra un'ara seduta in trono col calice nella destra e l'albero salutifero della Croce nella sinistra, mentre nel destro lato l'Evangelista col ginocchio piegato e col libro aperto sull'ara poggiato si mostra, avendo ai suoi fianchi il Leone ed in faccia a lui il Doge ginocchioni con la berretta ducale sul suolo, ed intorno le parole: [SC[S. M. V. FRANC. LAURED. PRINC. MVNVS. AN. VIIII.]SC], e nell'esergo [SC[P. P.]SC] Pietro Pasta massaro. Nel rovescio l'impronta della Rosa d'oro col motto intorno: [SC[ROSA. SVPER. RIVOS. AQVARVM.]SC], e sotto l'anno [SC[MDCCLIX.]SC] ([I[linea]I] 1, [I[lett]I]. h). Cinque Rose d'oro si conservavano nel Tesoro della ducale Basilica di san Marco dai sommi pontefici in varie epoche alla Veneziana Repubblica spedite in dono, e tutte ne' giorni solenni sull'altar maggiore esponevansi, e tutte dopo la cessazione della Veneziana Signoria con altri preziosissimi oggetti da quel Tesoro sparirono; se non che il sommo pontefice Gregorio XVI con sovrana munificenza conceder volle nell'anno 1834 una nuova Rosa da lui benedetta, come un testimonio della sua benevolenza verso questa patriarcale e metropolitana Basilica, e verso tutta questa devota popolazione. Detta Rosa sorpassa tutte le altre per ricchezza e per leggiadria di lavoro, ed essa pure attualmente è riposta fra i resti preziosi di quel Tesoro. Nella Osella dell'anno nono il Doge Loredano ricordar volle il rifacimento da più anni incominciato della torre dell'orologio nella gran piazza di san Marco sotto la direzione dell'architetto Audrea Camerata, terminato solamente nella stagione dell'Ascensione del Signore nell'anno 1760. Il meccanismo dell'orologio fu in pari tempo riformato dal valente meccanico ed ingegnere Bartolomeo Ferracina di Bassano, del quale più altre opere esistono, che gli meritarono l'onore della statua alla sua memoria inalzata. Nel diritto di questa Osella vedesi la Repubblica, rappresentata da una donna sur un trono seduta, poggiando la sinistra mano sopra la testa di un Leone che a' suoi piedi riposa, mentre dal lato stesso evvi la mezza figura di un uomo con riga e compasso fra le mani, e nell'altro lato evvi il cavalletto e la tavolozza dei pittori, ed ai piedi la squadra e lo scalpello degli scultori, col motto intorno: [SC[MATER. ET. ALTRIX. ARTIVM. STVDIORVMQ.]SC], e nell'esergo [SC[G. A. S.]SC] essendo massaro Girolamo Antonio Soranzo, che varia in alcune. Nel rovescio poi evvi la facciata della torre dell'orologio con le annesse fabbriche e le parole intorno: [SC[FRANC. LAVREDANI. PRINC. MVNVS. A. IX. 1760.]SC] ([I[lett]I]. i). Che l'autore di questa rifabbrica fosse Andrea Camerata, e non già Tommaso Temanza, chiaramente si riconosce dalle determinazioni de' Procuratori della chiesa di san Marco, ai quali era pure affidata la cura delle pubbliche costruzioni nella periferia della piazza. Si conservano queste negli archivii della Fabbricieria di S. Marco ed in esse evvi l'ordine scritto che al Camerata questo rifacimento affidavasi; il che pure confermavano ed il Galliciolli ed il Selva, mentre l'altro erudito nostro sig. Francesco Negri nella sua vita del Temanza a questo celeberrimo architetto una tal opera attribuiva, opera che, quantunque incontrato abbia satire e critiche da alcuni begli ingegni di que' giorni, ebbe però altresì encomiatori e difensori prestantissimi. A questo luogo sarà opportuno il considerare che questa Osella, la quale rappresenta e le insegne delle belle arti, ed il rifacimento della torre dell'orologio, fu pure la prima che coniossi nella Veneta Zecca col mezzo del torchio accolto in Venezia con decreto del Senato 15 marzo 1755, mentre in quell'anno appunto erasi incominciato a coniare il tallero col torchio destinato specialmente per le Provincie Oltremarine. Ottenuta ai 16 di luglio 1761 la beatificazione e canonizzazione del Cardinale Gregorio Barbarigo patrizio Veneto e vescovo di Padova, per pubblico comando ai quattro di settembre del detto anno dal corpo del Beato, nella cattedrale di Padova deposto, la sua terza costa legittima si estrasse, la quale collocata venne sur una mensa quadrilatera di finissimo oro contesta, da due angioletti sostenuta, tra specchi rinchiusa, ed ornata delle vescovili insegne e del Leone di san Marco, e in dono fu spedita al pontefice Clemente. A tale oggetto portossi in Roma monsignor Paolo Foscari, allora Canonico della cattedrale di Padova, e di là ritornò col titolo di Cameriere Secreto di sua Santità, e pochi anni appresso inalzato venne a Primicerio della ducale Basilica di san Marco, chiudendosi anzi con la sua morte la serie de' Primicerii. Un tal dono dal Governo inviato al Pontefice diede argomento al Doge di farlo riprodurre nell'Osella dell'anno decimo, nella forma stessa più sopra indicata, e con la epigrafe: [SC[BEATI. GREG. BARBADICI. CARD. COSTA.]SC], e nell'esergo [SC[Z. D.]SC] cioè Zuanne Dolfin massaro ([I[lett]I]. k). Questo fu l'ultimo donativo del Doge Loredano, il quale, già da quattro anni per infermità al letto ridotto, morì nel maggio del 1762.
Il successore di lui fu Marco Foscarini Cavaliere e Procuratore di san Marco. Niuno incontro a lui per emulo e competitore mostrossi nell'aspiro alla più eminente dignità della patria, ché ben numerosi erano, e conosciuti i meriti di questo gentiluomo e nelle importanti ambascerie di Vienna e di Roma, e nel conciliare le discussioni con la corte di Savoia insorte sulle preminenze, e nel tranquillare le interne civili discordie dallo smodato spirito di novità di alcuni nobili promosse, i quali si mostravano mal sofferenti del freno sì salutare delle pubbliche costituzioni. Né queste sole furono le benemerenze di lui verso la patria, ché ne fece onorevole elogio colla pubblicazione del primo volume della Storia della viniziana letteratura, già pronti i materiali per le successive materie, che si conservano nella imperiale Biblioteca di Vienna, e si rese chiaro fra i più letterati uomini d'Italia con varie operette che dopo la morte di lui in particolari occasioni si resero di pubblico diritto, e ne confermarono ed accrebbero la fama, chiamandosi pur anche la gratitudine de' posteri. Dietro l'assennato parere di questo gentiluomo, allorché la dignità copriva di savio del Consiglio, che corrispondeva ad uno de' ministri di Stato, il Veneto Senato ordinava la restaurazione delle antiche geografiche carte, le quali nella Sala del Ducale Palazzo, detta dello Scudo, tuttora si veggono, e nel dicembre di quell'anno alla pubblica luce ristaurate comparvero. Questa operazione sì vantaggiosa alla conservazione della gloria degli antichi veneziani navigatori, che primi con lontane peregrinazioni il nome della patria illustrarono, forma un'epoca al Principato glorioso di un inclito protettore delle arti e delle scienze, e nel tempo medesimo ammirabile coltivatore delle stesse. Essa diede argomento all'Osella distribuita a' nobili dal Foscarini. Vedesi in questa una donna seduta con regio manto, tenendo lo scettro e le seste nella sinistra mano, e nella destra la squadra, poggiando la schiena sopra un mappamondo, e i piedi sur un suppedaneo sull'orlo del quale è scritto l'anno [SC[MDCCLXII.]SC] La epigrafe intorno porta: [SC[PICTIS. VENETORUM. ITINERIBUS. AVLA. EXORNATA.]SC], e nell'esergo [SC[VET. M.]SC], Vettore Morosini, massaro. Nel rovescio evvi la solita inscrizione: [SC[MARCI. FOSCARENI. PRINCIPIS. MVNVS. ANNO. I.]SC], chiusa tra un fregio di arabeschi, che la ducale berretta sorregge. Sembra non esser fuori di proposito a questo luogo l'osservare, che tanto Francesco Griselini nella prefazione al Genio di Fra Paolo ([I[Venezia]I] 1785, [I[vol]I]. 1.°), quanto il reverendissimo prelato abate Placido Zurla, ora defunto, meritissimo cardinale di santa Chiesa, nelle dissertazioni che egli dettate aveva sui viaggi di Marco Polo e di altri illustri Veneziani viaggiatori nell'[I[Appendice al vol]I]. 2.°, parlando delle mappe antiche, che adornano la Sala dello Scudo, riportano la detta Osella con variata leggenda. Forse che l'errore ebbe luogo, da che essendo stato il Griselini stesso incaricato dal Senato Veneto del necessario rifacimento delle mappe, avrà egli prima d'ogni altro suggerita al Doge la idea di eternare nella sua Osella un tale avvenimento, additandogli pur anche la leggenda che diceva: [I[Venetarum peregrinationum tabulae restitutae]I]. Se non che il Doge con l'Abate Lastesio consigliatosi, che era suo famigliare ed intrinseco, come ce ne assicura il chiarissimo Abate Cav. Morelli fu regio Bibliotecario della Marciana, s'indusse a cangiarla, e vieppiù assumendo lo stile archeologico, ridurla più adatta al ristretto spazio del contorno, che assegnato le era. Convien però immaginare, che altro seggio fatto si avesse per questa Osella, poiché nella Minerva, ossia Nuovo Giornale dei Letterati d'Italia, al n.° X dicembre 1762, un tal fatto riferendosi, vi si dice: che nella moneta dal Principe a' veneziani patrizi regalata sono incise queste parole: [I[Pictis Venetarum Peregrinationum Tabulis Aula Exornata]I]. E nel catalogo delle medaglie italiane presso l'abate Angelo Bottari di Chioggia, ristampato al volume [SC[XI]SC] degli Elogi Italiani dell'Abate Rubbi, si riporta la moneta del Doge Foscarini con questa inscrizione: [I[Priscis Venetorum Itineribus Aula Exornata [SC[MDCCLXII. VET. M]SC]]I]. Forse fu letto erroneamente [I[priscis]I] per [I[pictis]I] come deve stare. Ma fra tante varie lezioni ho creduto di appigliarmi a quella che ho illustrata, giacché essa fa effettivamente parte della raccolta delle Oselle. Volendo però assicurarmi della identità dell'Osella del Foscarini, non mi sono già prefisso di criticare menomamente e prendere di mira l'asserito dagli altri e specialmente dal benemerito eminentissimo Cardinale Zurla, il quale co' suoi studii acquistossi dalla patria nostra la più giusta benevoglienza e la più sincera gratitudine che gli è dovuta per la ricordanza da lui fatta della gloria de' nostri più insigni viaggiatori, dei quali si compiacque di ripetere:
[I[ . . . Gens nulla valentior ista]I]
[I[ Æquoreis bellis, ratiumque per aequora ductu.]I]
Una improvvisa malattia sopraggiunta al Foscarini verso la metà del mese di marzo dell'anno 1763, la quale fu da' medici sul principio tenuta di poca importanza, fra le varie discordi opinioni degli stessi fattasi rapidamente mortifera, lo condusse al sepolcro nel giorno trentuno di marzo di quell'anno.
Alla mancanza di sì illustre e famigerato Principe fu a' diciannove aprile Alvise Mocenigo prescelto, di quella famiglia che abitava nella parrocchia di santo Eustachio (vulgo [I[san Stae]I]) e che avea dato altre volte Dogi alla patria. Questo cavaliere e procuratore di san Marco quattro ambascerie e le più gravi ed importanti magistrature interne ricoperto aveva, le quali lo condussero al grado più eminente e lo resero meritevole del premio maggiore che la patria riconoscente conferir potesse. Simile al Doge Loredano, volle nel primo anno del suo Ducato la propria devozione verso la Vergine dimostrare nelle Oselle che per lui a' nobili si distribuirono. Infatti nel diritto della prima offre la santa Vergine in piedi sostenuta e circondata dalle nubi, coronata il capo, col Bambino in braccio ed in atto di stendere la dritta mano ad accogliere le preci de' devoti, che d'essere suoi fedeli si dichiarano: [SC[GENS. MARIANA. SVMVS]SC]. Quantunque queste parole non abbiansi a riferire ad alcun fatto particolare, ma solo indichino la divozione generale degli abitanti di questa città che alla gran Donna ricorrono, pure si può dire, che il Doge ha voluto ne' primordii del suo reggimento pubblicamente confermarla. Più volte già nel corso di queste illustrazioni ebbesi occasione di riconoscere esternata nelle Oselle la memoria di questa principale proteggitrice della Repubblica, come in molte altre guise il Governo la propria divozione aveva dimostrata verso la stessa, e con l'inalzare augusti templi al suo nome, e col festeggiare i giorni a lei sacri, e con lo stabilire l'epoca della propria costituzione in quel giorno in cui la chiesa il mistero dell'Annunziazione solennizza; e n'avea ben d'onde, ché da sì misericordiosa Madre i Veneziani avevano le più importanti grazie ottenuto. Nel rovescio evvi la consueta leggenda fra due rami di ulivo che il ducale berretto sorreggono, la quale dice: [SC[ALOYSII. MOCENICO. PRINC. VENE. MVNVS. AN. I. MDCCLXIII.]SC], e nell'esergo [SC[A. B.]SC], cioè Andrea Bon massaro; leggenda che con la sola variazione degli anni e delle sigle dei massari sino alla fine del suo principato conservossi ([I[lin]I]. 2, [I[lett]I]. a). Variate interpretazioni offrire si possono al tipo della seconda Osella di questo Doge o, a meglio dire, non fu un solo l'oggetto preso di mira da lui nell'impronta del secondo anno. In essa nel diritto un quadro vedesi soprapposto ad un altare con gradini nella predella e contornato da figure di Angeli, di Santi e sormontato dal divin Padre in cui effigiata trovasi la Vergine col Bambino in braccio, ed intorno le parole: [SC[SANTA MARIA DELLA PACE]SC], e nell'esergo [SC[M. F.]SC] il nome del massaro all'argento Marchiò Foscarini ([I[lett]I]. b). Ridotto il veneto commercio per le piraterie de' corsari africani in grave decadimento, con le trattative e i maneggi d'intrattenere procuravasi la loro rapacità, giacché le militari misure per la difesa de' mercantili vascelli efficaci non erano ad impedire il troppo veloce scorrazzare de' pirati. Di ciò era stato il Console Veneziano in Genova dal Veneto Senato incaricato, il quale infatti riuscì presso i Beì di Tunisi e di Algeri di por termine ad un convegno, cui quello di Tripoli rifiutava e n'erano insoffribili le condizioni. Né per tanto di meno il Senato ordinava, che col mezzo del Magistrato dei Cinque Savii alla mercanzia, Magistrato che al commercio marittimo presedeva, l'Inviato straordinario Tripolino che qui trovavasi, si maneggiasse, e per vero dir riuscì ad un membro di quel Magistrato di pattuire un accomodamento. Puossi dunque a queste negoziazioni di pace quell'Osella attribuire, e dai meriti della Vergine riconoscerla. Altri però, da minori cause condotti, vogliono che quella Osella ricordi un rifacimento a quell'epoca ordinato di un quadro alla Madonna della Pace dedicato in un piccolo oratorio che nel convento de' santi Giovanni e Paolo si custodiva, e che ora nella chiesa conservasi, in una cappella da cancelli serrata. Questa immagine fu recata a Venezia da Costantinopoli da Paolo Morosini nobile veneto nell'anno 1349, ed eravi una pia Confraternita che il giorno della Natività della Vergine solennizzava; di essa parla Flaminio Cornaro nella sua operetta che porta il titolo: [I[Venezia favorita da Maria]I]. Il Senato Veneto, commosso dalla inosservanza della pace, che le barbaresche reggenze tratto tratto violavano, ed alle quali per le negoziazioni segnate l'ingresso nel Golfo Adriatico vietato era, il Senato ordinava una squadra marittima che sulle coste di Barbaria si portasse, al capitano Giacomo Nani, che fu poi Cavaliere, il comando affidandone. Questa risoluta volontà del Senato dal Doge espressa venne nel diritto della sua terza Osella, il quale presenta una nave di primo rango su due ancore assicurata alla imboccatura del golfo in atto d'impedirne l'ingresso. Il motto intorno ne spiega l'oggetto: [SC[BINIS. IMMOTA. MANEBO.]SC], e al disotto il nome del massaro all'argento [SC[M. S.]SC] che in quell'anno era Mario Soranzo ([I[lett]I]. c). Non è nuovo che la fermezza di una liberazione venga in tal guisa dimostrata, facendosi uso anche presso gli antichi di una simile allegoria: [I[Venetorum temnunt rabiem fluctusque sonantes]I]. Le savie e prudenti direzioni del Cav. Nani tenute nell'anno 1766 non solo il dovuto risarcimento procurarono, ma il compenso eziandio dei danni da' negozianti sofferti, non che il castigo de' pirati, che la pace disturbarono. A tutto ciò allusiva mostrasi la quarta Osella nel cui diritto la Tigre su due piedi stante si mostra in faccia al Leone accosciato, col motto intorno: [SC[AFRICA. TIGRIS. AGIT. PACEM. CUM REGE. FERARVM.]SC] ([I[lett]I]. d). Nel tempo stesso che il Veneziano Senato ogni mezzo procurava per sostenere il marittimo commercio, l'altro ramo della pubblica facoltà, che è l'agricoltura, non trascurava, ed a regolare il corso de' fiumi nella vicina Provincia di Padova ed a frenare l'impeto delle correnti ogni diligenza poneva. Dietro agli studi de' più insigni matematici ed ingegneri della Repubblica nell'anno 1767 il Senato al famigerato architetto Tomaso Temanza, che era stato discepolo dell'illustre ingegnere Bernardino Zendrini, il quale aveva già dato di sé pubblici saggi e con la illustrazione di patrie antiche memorie, e con l'innalzamento di famosi templi, ordinava che un ponte sul fiume Brenta erigesse, che le due sponde al Taglio nuovissimo riunisse, e nella terra del Dolo le cateratte per la più sicura navigazione fermasse. Questa opera importante, regolatrice del corso di quel fiume, quantunque abbia dato ai begli spiriti di que' tempi argomento di motteggiare, pure molti vantaggi pel momento recando, meritò di essere ricordata nel diritto della quinta Osella. In questa vedesi fra alcune piante acquatiche un Vecchio sdraiato sulla sponda dritta del fiume, che, poggiando il sinistro gomito sopra un vaso, dal quale una corrente di acqua si getta, tiene nella destra mano il ramo di un rosaio fiorito, insegna della famiglia Mocenigo. Di fianco si mostra il ponte coperto, come allora fu eseguito, e al di sopra il Leone alato, mentre sulla sponda si vede l'alzaia da un uomo a cavallo tirata, con la epigrafe [SC[MEDOACO. NOVIS. OPERIBUS. COERCITO.]SC] ([I[lett]I]. e). Anche la religione e la pietà somministrarono nel susseguente anno il tema della sesta Osella. Girolamo Miani veneziano patrizio, institutore della Congregazione dei Padri Somaschi, era già stato posto nel novero de' Beati fino dall'anno 1748, nella cui occasione il Veneziano Senato aveva alla Congregazione assegnati tre mila ducati per solennizzarne la festività. Nell'anno poi 1767 con solenne canonizzare fu innalzato al grado dei Santi, e perciò dal Governo decretati alla Congregazione Somasca, che in santa Maria della Salute risiedeva, furono ducati quattromila ad oggetto di festeggiarne il giorno, e, come dice il decreto, per pegno del pubblico aggradimento verso la detta Congregazione sempre esemplare nella vita ed attaccata al pubblico nome. A questo atto adunque solenne e religioso è relativa questa Osella, nel diritto della quale trovasi impresso il santo Girolamo da un raggio celeste illuminato, nell'atto al suo cuore più aggradevole qual è quello di seco condurre un giovinetto, mentre altro fanciullo gli s'inginocchia dinanzi per essere da lui accolto ed ammesso. Le parole che contornano il Santo sono: [SC[S. HIER. EMILIANUS. PATRITIUS. VEN.]SC], e sotto [SC[R. B.]SC], Rizzardo Balbi massaro ([I[lin]I]. 3, [I[lett]I]. f). Alcuni commovimenti di guerra ai confini dei Turchi, suscitati per le sommosse de' Montenegrini nell'Albania, ai quali si fece capo, sotto il finto nome di Pietro Terzo Czar di Moscovia, certo Stefano Piccolo, essendo che essi assai co' Russi gli effetti di simpatia sentivano in religione conformi, condussero i Veneziani ad ordinare un accrescimento di marittime forze atte a tenersi sulle difese; e siccome quasi contemporaneamente dal Beì d'Algeri con importuna e rapace forma la pace disturbata veniva, facendo sua preda alcuni veneziani bastimenti, così fu ordinato al capitano delle navi Angelo Emo, che sulle spiagge di Barbaria con alcune fregate si portasse. Appena giunto questo prode capitano alla vista dell'inimico, col solo comparire delle pubbliche forze ottenne, che le predate cose restituite venissero e compensati i danni con quattordici mila zecchini d'oro, non che gli schiavi liberati che nelle mani de' barbari caduti trovavansi. E all'una e all'altra di queste due circostanze il Mocenigo alluder volle nel diritto della Osella dell'anno 1769, nel quale evvi Venezia in regal manto seduta, che la diritta mano posa sopra uno scudo ai suoi piedi innalzato, ed il gomito sinistro sopra un basamento di marmo appoggiato, tiene la sinistra mano sulla spalla, ed il Leone ai piedi in atto di sorgere minaccioso. Le parole d'intorno suonano: [SC[HINC. ROBVR. ET. SECVRITAS.]SC], e nell'esergo [SC[V. A. B.]SC] Vincenzo Antonio Bragadino massaro ([I[lett]I]. g). Fino dall'anno 1769, con parte presa dal Senato e poscia dal Consiglio Maggiore confermata, si decretava, che tre sindaci inquisitori in terraferma si spedissero per rivendicare alla pubblica cassa tutto ciò che risguardava a' dazii, alle estorsioni, a' disordini ed abusi a defraudo dell'erario, con autorità di punire i rei qualunque essi fossero. Questo scabroso argomento, dal quale la tranquillità e la felicità de' soggetti popoli dipendeva, chiamò anche l'attenzione del Doge, il quale ordinò che nel diritto della ottava Osella da incidersi nel dicembre dell'anno 1770, quasi a modello della nuova Magistratura, poste fossero due donne togate presesi per la mano, l'una con la bilancia in bilico, e l'altra con due facce, e la mano sinistra distesa ed amendue all'ombra di due rami di ulivo e di quercia col motto: [SC[IVSTITIA. PRVDENTIA.]SC], e nell'esergo [SC[SOCIETATVM. MVNIMEN.]SC], a dimostrare, che il fondamento delle società massimamente poggia sulla giustizia e la prudenza de' reggitori ([I[lett]I]. h). Simile forma di esprimere queste due virtù abbiamo nel corso di queste osservazioni più volte veduta, ed anche presso gli antichi adoperavasi, come ne fanno certi e il Pierio ed il Ripa nelle loro Iconologie, ed il Winkelmann nella sua dissertazione sull'allegoria. Continuando tuttavia nel susseguente anno questo straordinario Magistrato a percorrere le veneziane provincie per riformare gli abusi e per togliere i disordini che eransi introdotti, il Doge credette opportuno di adottare anche per questo anno nel diritto della nona sua Osella un'allegoria tolta dagli antichi, che servire dovesse ad indicare la imparzialità delle operazioni che in ogni ramo quella magistratura seguire ed accompagnare doveva. Quindi coniar vi fece una donna togata, con gli occhi bendati, e con le mani mozzate ed intorno le parole: [SC[NEC. PERSONAS. NEC. MUNERA.]SC], e sotto [SC[SVVM. CVIQVE]SC]. Infatti a Tebe e nell'Egitto i giudici rappresentati venivano senza mani, per dinotare, che non si lasciassero co' doni subornare, e nell'Areopago di Atene si copriva la testa del reo, affinché da' suoi sguardi gli affetti de' giudici non fossero commossi; e nei geroglifici di Pierio vedesi la Giustizia effigiata in una donna senza testa, ma figurata nella eclittica quasi fosse fra le stelle; che qui invece potrebbe passare per rappresentante la Stoltezza ([I[lett]I]. i). Le Oselle coniate negli anni 1772, 1773, 1774, che corrispondono agli anni decimo, undecimo e dodicesimo di questo Doge, nulla offrono di relativo agli avvenimenti di que' giorni, né di allusivo agl'interni commovimenti per cui ebbe luogo la creazione di una straordinaria magistratura dei Correttori alle leggi, ed ai capitolari dei Consigli e Collegi eletta nell'anno 1774. L'impronta di queste tre Oselle, che nel diritto portano un Leone veduto di faccia col nimbo intorno al capo ed avente il libro chiuso fra le zampe, sembra alluder possa ai movimenti di guerra in cui la Repubblica trovavasi allora con le reggenze di Barbaria, per rintuzzare la baldanza delle quali le marittime forze di nuovo affidate furono al capitano Angelo Emo. La inscrizione intorno non è che il semplice nome del Santo, come l'abbiamo osservato nel settimo anno del Doge Pietro Grimani: [SC[S. MARCVS. VENETVS]SC]. Questa interpretazione è pure avvalorata dal vedervi, secondo indicammo altre volte, il libro di S. Marco fra le zampe tenuto chiuso, il che era segno di guerra, giacché il libro aperto suol mostrare le parole [I[Pax tibi Marce Evangelista meus]I] ([I[lett]I]. k). Nell'anno 1775, che è il tredicesimo di questo Doge, era stato al Senato fatto proporre dal conte Bonomo Algarotti un nuovo piano di commercio con la Russia per la via del Mar Nero, ed una società di azionisti formata aveasi, ad esempio delle altre nazioni commerciali, che quel traffico con molte somme di soldo imprendesse. Alludendo adunque alle idee a quell'epoca spezialmente svegliate e promosse di dilatare il commercio, migliorarne e facilitarne i mezzi, il Doge volle, che nel diritto della sua Osella di quell'anno impresso fosse un Genio alato, che, illuminato da un raggio celeste, tenesse una face accesa rovesciata sopra un ammasso di colli e casse, ed il movimento ne animasse, e le nuove forme del viniziano commercio indicasse. Il motto intorno dice: [SC[IN. OPERE. FVLGET.]SC], e nell'esergo v. v. Valerio Valier massaro ([I[lett]I]. l). La pietà e la religione del Doge Mocenigo ebbero un nuovo campo di mostrarsi nell'anno 1776, nel quale la pubblicazione di uno straordinario giubileo dalla santa memoria del pontefice Pio VI si fece, che poi fu nel susseguente anno dal Veneziano Governo per la città e per le provincie accolto e diffuso. Nel diritto della decimaquarta Osella è rappresentato il Doge ginocchioni con la berretta ducale deposta in faccia ad una imagine della Vergine col Bambino in grembo dalle nubi sostenuta, e disotto il Leone che giace di fronte alato, e col nimbo, tenente fra le zampe aperto il suo libro. Le parole sono [SC[DOMINA. MATERQ. NOSTRA]SC]. Oltre alla indicata pubblicazione di questo giubileo siamo fatti certi da altri che spesso il Doge devoto le povere comunità religiose, e spezialmente quella di san Bonaventura, visitava, nei chiostri della quale un Oratorio conservavasi alla Beata Vergine dedicato ([I[lett]I]. m). Ad oggetto di animare il commercio, immaginato aveasi un nuovo apparecchio per la fiera dell'Ascensione, che ogni anno nella piazza di S. Marco infino al termine della veneziana dominazione si tenne; e fra i molti progetti e disegni che presentati furono alla sapienza del Governo, quello dell'architetto Bernardino Macaruzzi fu con decreto del Senato prescelto ed eseguito. A quel tempo pure aveva il Senato ordinato che un Codice di Marina si formasse, nel quale raccolte fossero tutte le leggi e gli ordini ad essa relativi. In esecuzione di siffatti decreti nel giugno di quest'anno fu alla sanzione del Senato dalla Magistratura de' Cinque Savii il Codice presentato. Il Doge prescelse allora di rappresentar questo fatto con un'allegoria, offrendo nel suo quindicesimo anno una regal Donna in regio ammanto, scettrata, seduta e coperta del berretto ducale; ai piedi di lei posano le insegne delle belle arti, uno specchio, la bilancia ed il caduceo di Mercurio, emblemi del commercio, ed intorno leggesi: [SC[VIRTVTIS. ET. IVSTITIAE. FAMA.]SC], quasi a significare il concorso di tutte le nazioni in questa occasione di fiera ([I[lett]I]. n). Infatti la donna rappresentata è in atto di legislatrice, che ordina e dispone tutto ciò che alla pace ed alla guerra appartiene, e non vi si dimentica lo specchio e la bilancia, insegne della prudenza e della giustizia. Anche nell'ultimo donativo fatto dal Doge Mocenigo nell'anno 1778 nell'allegoria dello specchio e dell'àncora si raffigurano le due distinte virtù sì necessarie ad ogni Governo quali sono la prudenza e la costanza. Qual fosse il motivo dato al conio di questa medaglia, apertamente si conosce dal sapersi che particolari movimenti interni romoreggiavano allora, e che il Doge amò di prescegliere quest'allegoria per dimostrare quanto la prudenza e la costanza fossero necessarie alla tranquillità ed alla felicità della nazione. Nella Osella è lo specchio intrecciato con l'àncora, e le parole sono [SC[PRVDENTIA. ET. CONSTANTIA.]SC], e nell'esergo [SC[L. A. F.]SC] il nome del massaro all'argento Leonardo Alvise Foscarini ([I[lett]I]. o). Al Doge Mocenigo però non toccò in sorte di essere spettatore di nuove interne convulsioni politiche e discussioni, ché egli morì ai sei di gennaio dell'anno mille settecento e settanta nove.
Il Doge Paolo Renier al defunto Mocenigo succedette. Questo gentiluomo coperto aveva le più importanti ed esterne magistrature, essendo più volte stato Savio del Consiglio, Riformatore dello Studio di Padova, Ambasciatore di ubbidienza al pontefice Clemente XIII, e nello stesso carattere all'imp. regia Corte di Vienna, e finalmente Bailo alla Porta Ottomana. Negli interni commovimenti accaduti nell'anno 1761, pei quali una straordinaria Magistratura creossi de' Correttori alle leggi e a' capitolari de' Magistrati, questo Senatore di rari talenti, di spiriti pronti, ne' pubblici affari versatissimo, molta parte preso aveva, e con insinuanti e scaltre parole, e con forte eloquenza immaginato aveasi di abbattere il partito più sano, e abbandonare nella maggior confusione le promosse discussioni, aprendo con ciò la occasione a più fastidiose vertenze; nel che non riuscì in guisa alcuna, ed anzi in appresso mostrossi alla patria ubbidiente. La elezione di lui succedette ai 14 gennaio 1779 non senza qualche competitore, che, non mostrandosi voglioso di essere a sì sublime dignità elevato, di buon grado però tentato avrebbe di rendergliene più difficile l'accesso. Incominciò egli il suo donativo ai nobili prendendone il disegno dalla straordinaria ubertosità di quell'anno; prescelse adunque di far coniare, nel diritto della prima Osella, una donna togata, rappresentante l'Abbondanza con due Cornucopie, l'una a terra rivolta in atto di spargere le frutta e i fiori, l'altra tenuta diritta piena di fiori e di spiche, con a' piedi il Leone in riposo, e le parole intorno: [SC[BONORVM. AVCTRIX.]SC], e nell'esergo il nome di Benedetto Capello ch'era in quell'anno il massaro all'argento: [SC[B. C.]SC] il rovescio poi ha la usitata leggenda [SC[PAVLVS.]SC] ([I[sic]I]) [SC[REINERIVS. PRINCIPIS. MVNVS. AN. I. 1779.]SC] ([I[lin]I]. 4, [I[lett]I]. a), leggenda com'era di metodo sempre ripetuta in appresso con la sola mutazione degli anni. Devesi però a questo luogo ricordare, che nelle prime impressioni di questa Osella, qual è appunto quella che qui si rappresenta, la sconcordanza leggevasi di avere adoperato il primo caso in luogo del secondo, sconcordanza in altre poscia corretta; ciò però diede motivo a' begli spiriti di far all'orecchio susurrare, che malizioso l'errore esser potesse, e come un tentativo per ispiare l'effetto che produr potrebbe negli altrui animi l'uso di quelle forme da' principi sovrani nella monetazione loro adoperate. Deducevasi allora tutto ciò dall'attribuirsi al Doge una natura autorevole e qualificata, per tale da lui stesso fatta conoscere negl'interni commovimenti dell'anno 1761, come abbiamo sopra riferito; ma lungi dal Renier divenuto Doge un sì odioso sentire verso la patria, ché anzi ne' rinovati sconvolgimenti sostenne e perorò con molto calore più volte a favore della parte sana del Governo, e col concorso quasi generale di tutti i suffragi, la più luminosa vittoria sul partito contrario ottenne. Perciò volle che nella seconda Osella la Costanza si rappresentasse in una donna togata, che si tiene con la mano sinistra ad un tronco di colonna, mentre pone la diritta di spada armata sopra un vaso di fiamma accesa, ed il motto intorno [SC[PRO. DEO. ET. PATRIA.]SC], e sotto il nome di Raimondo Bembo [SC[R. B.]SC] massaro all'argento ([I[lett]I]. b). Se la Osella del secondo anno fu relativa all'azione generosa del Doge, nell'anno appresso come a corollario di quella significar volle, che il Governo sempre pronto mostravasi ad adoperare la spada in punizione de' rei, e la corona nel premiare il valore de' benemeriti cittadini. Francesco Pesaro in quell'anno per li servigi alla patria prestati elevato venne alla dignità di Procuratore di san Marco con un numero straordinario di favorevoli voti, mentre poco prima erano stati alcuni torbidi cittadini puniti; quindi il Doge prescelse di far incidere nel diritto della terza Osella la Repubblica in piedi che con la diritta mano la spada brandisce, e nella sinistra una corona presenta con la epigrafe: [SC[IN. VTROQVE. PROMPTA.]SC], e nell'esergo il nome di Zumine Moro massaro [SC[Z. M.]SC] ([I[lett]I]. c). Nell'anno 1782 ritornando il sommo pontefice Pio VI dalla sua peregrinazione di Vienna d'Austria, aderito aveva al desiderio dal Veneto Senato dimostratogli, il quale anelava che nel ritorno ai suoi stati alcuni giorni in Venezia s'intrattenesse per offrirgli le testimonianze della sua pietà, del suo ossequio e della sua divozione. Infatti ai quindici di maggio di quell'anno, il Pontefice fece il suo ingresso solenne in Venezia, incontrato pel viaggio da due Procuratori di san Marco, ed accompagnato col consueto corteggio del Doge dall'isola di san Giorgio Maggiore fino al convento de' Ss. Gio. e Paolo. A rendere perpetua la memoria di sì splendida ed onorevole venuta, della quale con lunga narrazione le storie di quei giorni parlarono, il Doge ordinò nel diritto della quarta Osella la impronta di due scanni con guanciali, sovra l'uno de' quali il triregno e le chiavi vi fossero, e sull'altro il ducale berretto col motto al di sopra [SC[POSTERITATI.]SC], e sotto le iniziali di Domenico Trevisan massaro, [SC[D. T.]SC] ([I[lett]I]. d). L'ospitale degli Esposti di Venezia, che era di particolare giuspatronato del Doge, ottenuto aveva dalla pubblica munificenza il provvedimento di ventimila ducati d'argento per ristaurare la minacciante fabbrica di quel pio luogo. Il Doge, alludendo a questo generoso sovvenimento, fece nella Osella incidere una donna seduta e togata, che stende la mano destra verso un altare ed ha intorno le parole [SC[PIETAS. OPTIMI. PRINCIPIS.]SC], e sotto [SC[F. D.]SC], cioè Francesco Dandolo il massaro ([I[lett]I]. e). Il Beì di Tunisi con la violenza e le rapine il veneziano commercio infestava, per cui la maturità del Senato decretato aveva, che una squadra nel Mediterraneo si portasse contro quell'Africana Reggenza, il comando affidandone ad uno straordinario capitano delle navi. La esecuzione di questo decreto appoggiata venne al conosciuto valore del cav. Angelo Emo, il quale immaginò una nuova forma di galleggianti con mortari, che potessero sopra i bassi fondi di quelle coste avvicinarsi, e fu chiamato di Padova il conte Marco Carburi, pubblico professore di chimica in quella Università, per soprantendere alla facitura ed al fondere di quei mortari, che doveano decidere del destino della spedizione. Il Doge fu da ciò condotto a scegliere per la impronta del sesto donativo ai nobili una donna togata, appoggiante il sinistro braccio sopra un timone e tenente con la destra mano un'asta, mentre a' suoi piedi alla diritta evvi un mortaro con bombe, ed alla sinistra un'ancora col motto [SC[SALVS. IMPERII.]SC] ([I[lett]I]. f). Non dissimile è il pensiero che diede origine al conio della settima Osella. Era per legge assegnato al Doge l'incarico di visitare ogni anno il regio Arsenale, e siccome in quest'anno più dell'usato per li preparativi di guerra necessaria era la vigilanza, il Doge nell'ordinaria sua visita fece al Senato conoscere gli abusi introdottivi, e ne fu fatta la voluta riparazione. Allusivo a ciò mostrasi il diritto di questa medaglia, nella quale si vede una nave collocata fra le due Torri dell'arsenale in atto di uscire dall'antica porta, con la iscrizione intorno: [SC[DISCIPLINA. RESTITVTA.]SC], e sotto [SC[A. O.]SC] il nome di Angelo Orio massaro all'argento (Tav. 7, [I[lin]I]. 1, [I[lett]I]. g). La spedizione del cav. Emo, la rimessa disciplina nel regio Arsenale portarono il bramato effetto di far rispettare la veneziana bandiera, e torre ogni impaccio alle pubbliche bisogne. Bene se n'avvide il Doge Renier, il quale ordinò che nella ottava sua Osella posta fosse una donna togata, che nella destra mano la spada impugna, e imbraccia nella sinistra lo scudo con la epigrafe [SC[RERVM. TVTELA. SALVSQVE.]SC], e nell'esergo le sigle [SC[F. M. R.]SC] che denotano il massaro all'argento Francesco Maria Rizzi ([I[lett]I]. h). Aveva la Veneziana Repubblica alla Reggenza di Tunisi la tregua di tre mesi accordata, ed in frattanto la squadra dell'Emo il Mediterraneo scorreva per tenere in freno i pirati e sorvegliare le mosse del Bassà di Negroponte, il quale con una squadra ottomana a debellare il ribelle Rascià di Scutari dirigevasi. Il Doge fece nella Osella dell'anno nono incidere un Leone, che con una zampa alzata rivolge indietro lo sguardo in atto minaccioso, ed ha intorno le parole [SC[CAVTVS. SIMVLQVE. PROMPTVS. VLTIONI.]SC], e sotto [SC[G. F.]SC], cioè Girolamo Foscarini ([I[lett]I]. i). Nella guerra rotta fra le potenze europee nel 1788 la Repubblica aveva abbracciato la marittima neutralità, ed ordinato perciò a' suoi comandanti di scorrere le acque del Mediterraneo e del Golfo, affine di proteggere il veneziano commercio, ed impedire le rapine degli armatori. Il Doge Renier in quello, che fu l'ultimo anno del suo principato, fece nel diritto della decima sua Osella imprimere la figura della Repubblica seduta, con la sinistra mano distesa, e nella destra lo scettro, ai piedi il Leone in riposo col libro aperto, ed alcune insegne ed armi militari pure a' suoi piedi disposte, portando intorno la leggenda: [SC[CAVTE. SEDIT. PROMPTE. SVRGIT.]SC], e nell'esergo [SC[G. F.]SC], cioè il nome di Giacopo Foscarini massaro, che fu pure quello dell'anno innanzi ([I[lett]I]. k). Qui pure sarebbe luogo a riconoscere che nella impressione di alcune Oselle di questo Doge si mise il nome di un massaro all'argento diverso, e ciò per la somma ragione, come si è altre volte notato, che, essendovi due membri di quel Magistrato, indifferentemente ora l'uno, ora l'altro nome imprimevasi. La vita laboriosa di questo Doge pel corso di tanti anni in servigio della patria impiegata, ebbe la sua fine nel giorno tredici febbraro dell'anno 1789, avendo già compiti settantanove anni di età; ma la morte di lui non fu pubblicata che il due di marzo, per non interrompere il corso dei carnascialeschi spettacoli, e solo nel giorno cinque di questo mese i metodi antichi per la nuova elezione incominciarono.
Un distinto personaggio dichiarato avevasi di concorrere alla presente vacanza del principato, ed i parenti ed amici di lui incominciato avevano quello che i Veneziani modernamente chiamavano [I[broglio]I] ed i Romani [I[ambito]I]: quando dallo spontaneo concorso e dal libero voto degli elettori fu alla suprema dignità contro sua voglia innalzato ai nove di marzo del 1789 Lodovico Manin, cavaliere e procuratore di san Marco, e la sua elezione agli ordini de' cittadini gratissima riusciva. Aveva egli più volte le suddite provincie governato, molte importanti magistrature coperto, e varie straordinarie deputazioni con sua lode sostenuto. Nel primo donativo che a' nobili distribuire doveva, immaginossi di raffigurare il voto libero de' cittadini, e nel diritto della prima Osella rappresentar fece la Libertà che nella destra mano tiene il berretto ducale e nella sinistra il codice delle leggi, e d'intorno le parole: [SC[EFFVLSIT. ERGO. EFFVLGEAT.]SC], e nell'esergo [SC[LIBERTAS]SC]. Nel rovescio leggesi la solita inscrizione: [SC[LUDOVICI. MANIN. PRINC. MVNVS. ANNO. I. 1789.]SC] ([I[lett]I]. a), inscrizione che ne' successivi anni è come di consueto ripetuta, con quel solo cangiamento che nasce dalle cifre degli anni. Il motto nel diritto di questa Osella, benché dal Doge senza alcuna altra vista politica sia stato applicato se non se quella di ricordare la sua elezione da ogni ambito libera, pure da alcuni malevoli sinistramente interpretato venne, come se a quella epoca di esterne politiche sommosse, il disordine e l'anarchia proclamar si volesse; ma troppo conosciuto era il sentimento del Doge verso la patria, e nota la propria virtù per potergli ragionevolmente alcuna maliziosa interpretazione imputare. Nell'anno 1790 la veneziana squadra i mari dell'oriente e del Mediterraneo scorreva per proteggere il nazionale commercio, e tener chiusi i porti ai corsari della Reggenza di Tunisi. Accadde più volte in quell'anno, che i legni Barbareschi con quelli de' Veneziani s'incontrassero, ed in tali occasioni i nostri sempre superiori rimanessero. A siffatti avvenimenti alluder volle il Doge nella Osella del secondo anno, nella quale una veneziana nave combatte un africano vascello con le parole: [SC[AFRICIS. LEO. SAEVVS. IN. VNDIS.]SC], e sotto il nome del massaro [SC[M. B.]SC], cioè Matteo Badoer ([I[lett]I]. b). Nel mentre che il reame di Francia nell'anno 1791 in uno stato di confusione e anarchia ritrovavasi, nella Veneziana Dominazione la tranquillità si godeva che seco porta la concordia de' cittadini e la obbedienza alle leggi. A questa interna pace ed al buon ordine, che il più grave contrapposto formava di quello, è relativa la terza Osella di questo Doge. Rappresenta essa la Repubblica seduta, coperta del ducale berretto, tenendo nella destra mano lo scettro e distendendo la sinistra in atto di favellare ai popoli, con ai piedi le insegne militari frammiste ai rami d'ulivo, ed il libro dei Vangeli aperto col motto intorno: [SC[CONCORDIA. CIVIVM. FELICITAS. REIPVBL.]SC], e nell'esergo il nome del massaro, che era nell'anno antecedente Matteo Badoer [SC[M. B.]SC] ([I[linea]I] 2, [I[lett]I]. c). Lo spirito di propagare le sfrenate dottrine del giorno condusse tutte le potenze ad invigilare, che massime sì perniciose negli stati loro non s'introducessero. Il Governo di Venezia non meno degli altri si mostrava intento alla preservazione delle patrie leggi, ed a mantenere quella beata pace che esso godeva. Egli è perciò che nella Osella del quarto anno il Doge incider fece una donna sopra una rupe seduta su cui tiene con la destra mano il libro delle leggi aperto e la penna, e nella sinistra una lucerna accesa ed ai piedi una gru colla zampa destra elevata che un sasso serra con le parole intorno: [SC[NOSTRA. IN. HAC. FELICITAS.]SC], e sotto [SC[P. A. B.]SC], il nome del massaro Pietro Antonio Bembo ([I[lett]I]. d). Nel giugno dell'anno 1795 in una tartanella con bandiera ottomana, che nel porto di Venezia entrata era, la pestilenza scoperta si aveva, per cui dal provido Magistrato della sanità una doppia quarantena e per l'equipaggio e pel carico si ordinava, e ciò nell'isola di Poveglia, posta nelle lagune di Venezia, da questa cinque miglia discosta. Tale fu la diligenza e le difese da quel Magistrato impiegate, che la città da ogni pericolo preservata rimase. Se ne resero allora le più solenni grazie all'Altissimo, e si riconobbe la costante protezione della Vergine santissima a salvezza di questa devota popolazione. Il Doge volle la memoria eternare di sì segnalato benefizio, e fece imprimere nel donativo dell'anno quinto la Vergine coronata di stelle sopra una nube discesa, che si frammette tra ?l vascello e la città in atto di comandare al vascello di fermarsi, ed ha intorno le parole: [SC[NEC. NVPER. DEFECI.]SC], e al disotto il nome del massaro [SC[Z. A. B.]SC], Zuan Andrea Bonlini ([I[lett]I]. e). Sempre costante il Veneto Governo nel mantenere ne' propri Stati la religione, unico e sicuro fondamento d'ogni ben regolata società, il Doge volle che, quasi in conseguenza della divozione verso la santissima Vergine nell'anno innanzi dimostrata, nella sesta Osella la Repubblica si presentasse, che sopra un basamento di colonna tiene colla destra mano la Croce e nella sinistra lo specchio, sorgendo di terra il serpe, altro emblema della prudenza, e in altra medaglia adoperato, il quale si avvolge al piedestallo, e si avvicina alla mano che lo specchio ritiene, quasi facendo una sola unione con tutto il soggetto. Le parole intorno assicurano esser sempre la religione e la prudenza ne' suoi emblemi effigiate quelle che il governo sorreggono: [SC[IN. VTRAQVE. SALVS.]SC] ([I[lett]I]. f). Fu nell'anno 1795, che il Senato Veneto sulle proprie forze misurandosi e dell'antica politica servendosi, si determinò di riconoscere il nuovo sistema del Governo Francese, inviando un ministro a Parigi, e l'inviato di quella nazione accogliendo, e sperò con questo atto di pubblico riconoscimento di aversi assicurata la propria tranquillità, e tolto ogni pretesto ad odii e rancori. Con questa speranza il Doge prescelse a suggetto della settima Osella una nave in mezzo a mare burrascoso, avendo sull'albero d'innanzi una colomba con ramo di ulivo, ad un porto diretta: [SC[PAX. IN. VIRTVTE. TVA.]SC] ([I[lett]I]. g). L'ultima Osella del Doge Manin, ch'è pur l'ultima della serie, ricorda l'affetto e la benivoglienza de' popoli verso il proprio Governo in mezzo alla desolazione ed ai mali estremi sotto i quali gemevano. Ottocento mila ducati d'argento, che corrispondono a tre milioni e duecento mila franchi, il pubblico erario suffragarono, oltre agl'imprestiti nuovamente aperti, ed ai balzelli e alle gravezze che sui soli abitanti della capitale imposte furono. Queste spontanee offerte nel diritto della Osella dell'anno ottavo si raffigurano in un uomo genuflesso innanzi alla Repubblica, che in piedi accoglie molte borse e sacca di denaro ai suoi piedi deposte, con la inscrizione intorno: [SC[MATRI. AMANTI. AMANTES. FILII.]SC] e nell'esergo [SC[F. B.]SC], che è Francesco Barbaro il massaro all'argento ([I[lett]I]. h). Monumento eterno e glorioso alla memoria di quella Repubblica, che dopo quattordici secoli a' 12 maggio 1797 all'urto cedette degl'interni raggiratori da esterna forza sostenuti, confermando sempre più il detto:
[I[ Cosa bella mortal passa e non dura.]I]
Chiudesi per tal modo la serie delle pubbliche medaglie dei Dogi col nome distinte di [I[Oselle]I], nominate in tal guisa dalla loro derivazione, e che per sentimento di patria affezione io mi aveva proposto d'illustrare.
[Indice sommario]
[I[Antonio Grimani. ]I][SC[ANNO ]SC]1521
[I[Andrea Gritti. ]I]1523
[I[Pietro Lando. ]I]1538
[I[Francesco Donato. ]I]1545
[I[Marc'Antonio Trivigiano. ]I]1553
[I[Francesco Veniero. ]I]1554
[I[Lorenzo Priuli. ]I]1556
[I[Girolamo Priuli. ]I]1559
[I[Pietro Loredano. ]I]1568
[I[Alvise Mocenigo. ]I]1570
[I[Sebastiano Veniero. ]I]1576
[I[Nicolò da Ponte. ]I]1578
[I[Pasquale Cicogna. ]I]1585
[I[Marino Grimani. ]I]1595
[I[Leonardo Donato. ]I]1605
[I[Marc'Antonio Memmo. ]I]1612
[I[Giovanni Bembo. ]I]1615
[I[Nicolò Donato. ]I]1618
[I[Antonio Priuli. ]I]1618
[I[Francesco Contarini. ]I]1623
[I[Giovanni Cornaro. ]I]1625
[I[Nicolò Contarini. ]I]1630
[I[Francesco Erizzo. ]I]1631
[I[Francesco Molino. ]I]1646
[I[Carlo Contarini. ]I]1655
[I[Francesco Cornaro. ]I]1656
[I[Bertucci Valiero. ]I]1656
[I[Giovanni Pesaro. ]I]1658
[I[Domenico Contarini. ]I]1659
[I[Nicolò Sagredo. ]I]1675
[I[Alvise Contarini. ]I]1676
[I[Marc'Antonio Giustiniano. ]I]1684
[I[Francesco Morosini. ]I]1688
[I[Silvestro Valiero. ]I]1694
[I[Alvise Mocenigo. ]I]1700
[I[Giovanni Corner. ]I]1709
[I[Alvise Sebastiano Mocenigo. ]I]1722
[I[Carlo Ruzzini. ]I]1732
[I[Alvise Pisani. ]I]1735
[I[Pietro Grimani. ]I]1741
[I[Francesco Loredano. ]I]1751
[I[Marco Foscarini. ]I]1762
[I[Alvise Mocenigo. ]I]1763
[I[Paolo Renier. ]I]1779
[I[Lodovico Manin. ]I]1789
[I[Morosina Morosini Grimani.]I]
[I[Elisabetta Quirini Valiero.]I]