The Project Gutenberg eBook of Il lampionaio This ebook is for the use of anyone anywhere in the United States and most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included with this ebook or online at www.gutenberg.org. If you are not located in the United States, you will have to check the laws of the country where you are located before using this eBook. Title: Il lampionaio Author: Maria S. Cummins Release date: May 26, 2017 [eBook #54787] Most recently updated: October 23, 2024 Language: Italian Credits: Produced by Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net *** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK IL LAMPIONAIO *** _Cummins_ _Il Lampionaio_ _Firenze_ _Adriano Salani, Editore_ _Viale dei Mille._ _PROPRIETÀ LETTERARIA._ ** _RISERVATI TUTTI I DIRITTI_ Tip. Adriano Salani, 1920. IL LAMPIONAIO I. Oh pensare ad un povero Bimbo che giorni infantili non ha, Che non ruzza e folleggia allegro, indomito, Che Dio pregare e lodare non sa! LANDON. In città era già quasi buio. Fuori, nell'aperta campagna, la luce doveva indugiare forse un'altra mezz'ora; ma nelle strette vie dove mi conduce la mia storia, l'ombra s'addensava. Davanti all'uscio d'una casa bassa, nerastra, dall'aria malsana, una ragazzetta sedeva sullo scalino di legno della soglia, guardando lontano nella strada, con occhi intenti. L'uscio s'apriva accosto al marciapiede e la soglia era poco elevata, sicchè i suoi piedini scalzi posavano sul gelido ammattonato. In quella fredda sera di novembre, una lieve nevicata che faceva tutte candide, tutte nitide le piazze ampie ed allegre, circondate da case signorili, rendeva ancor più triste e più lurido l'aspetto delle stradette anguste, dei vicoli tetri, dove la bella neve, mescolandosi alla mota e alle immondizie sempre abbondanti nei luoghi in cui vive agglomerata la povera gente, aveva presto perduto la sua purezza. Non uno fra i numerosi passanti diretti alle varie mète dei loro affari o dei loro piaceri, notava la ragazzetta lì seduta, perchè non c'era anima al mondo che si curasse di lei. Ell'era scarsamente vestita, e di cenci dei più miseri. Aveva i capelli lunghi ed assai folti, ma così scarmigliati che non le donavano punto. Invero pareva che nulla potesse donare a quel visetto di bimba esile e malaticcia, i cui lineamenti, affilato com'era, e d'un colorito scialbo, non offrivano la minima attrattiva a chi per caso l'osservasse. Belli erano certo i suoi occhioni neri; ma a contrasto con una faccia tanto minuta e sparuta sembravano smisuratamente grandi, e ne facevano risaltare la singolarità senza conferirle bellezza. Se qualcuno le avesse voluto bene (non gliene voleva nessuno), se avesse avuto la mamma (ahimè, non l'aveva), un'affettuosa parzialità avrebbe forse trovato in lei qualche cosa da lodare. Così invece la povera piccina si sentiva ripetere dieci volte il giorno ch'ella era la più brutta creatura dell'universo; e, purtroppo, era la più maltrattata. Nessuno l'amava ed ella non amava nessuno, nessuno le diceva mai una buona parola, nessuno si dava pensiero di farla contenta e nemmeno di sapere se non fosse infelice. Toccava appena gli otto anni ed era sola sulla terra. Non aveva che un divertimento, uno unico: le piaceva spiare l'arrivo del vecchio che accendeva il lampione davanti alla casa, veder la fiaccola lucente apparire in fondo alla strada, oscillando al vento, e poi l'uomo salire di corsa su per la sua scala portatile e con gesto rapido e sicuro far sgorgare dall'oscurità la vivida fiamma che diffondeva tutt'intorno la gaiezza del suo chiarore. Un barlume di gioia scendeva allora nel piccolo cuore desolato che ignorava la giocondità. Il vecchio lampionaio non le parlava, non mostrava neanche d'accorgersi della sua presenza, eppure spiando la sua venuta ella provava quasi il sentimento con cui avrebbe atteso un amico. — Gertrude, — gridò dall'interno una voce aspra — sei andata per il latte? — La bambina non rispose. Lesta lesta, scivolò dallo scalino, sgattaiolò correndo rasente il muro, e, svoltato il canto della casa, si mise fuor di veduta. La donna che l'aveva chiamata s'affacciò all'uscio. — O dove sia quella figliolaccia? — Passava un ragazzo che aveva visto la fuga di Gertrude, un ragazzo che sull'esempio dell'intero vicinato ostentava di considerare la piccina come una specie di folletto o spirito maligno. Rise forte, additò il canto dietro a cui ella si nascondeva, e, curioso di ciò che sarebbe seguito, continuò il suo cammino con la testa voltata sulla spalla, esclamando: — Ora sì che ne busca!... Annetta Grant la concia per il dì delle feste! — In meno che non si dica, Gertrude fu tratta dal suo nascondiglio, gratificata con un ceffone per la sua bruttezza e un altro per la sua impertinenza, poichè prodigava ad Annetta Grant sberleffi a tutta possa, e spedita in un viale vicino col bricco del latte. Ella correva a perdifiato, temendo che il lampionaio potesse venire e andarsene durante la sua assenza. Con grande allegrezza, al ritorno lo scòrse davanti alla casa, appunto nell'atto che saliva sulla sua scala. Si piantò appiè di questa, e rimase così assorta nella contemplazione della fiamma risplendente, che quando l'uomo cominciò a scendere non se n'avvide. Ne seguì che trovandosi ella in dirittura del suo slancio, egli, nel balzare a terra venne ad urtarla e la mandò ruzzoloni. — Ohe, bimba! — esclamò, chinandosi a rialzarla. — Com'è successo? — Gertrude si rizzò in un baleno. Era avvezza alle picchiate sode, e non si sgomentava per qualche ammaccatura. Ma il latte?... Ah, il latte s'era versato fino all'ultima gocciola! — Uhm! Cotesto è un guaio! — riprese egli. — Che dirà la mamma? — La guardò in viso per la prima volta, e s'interruppe. — Affemmia, strano tipo, questa figliuola! Sembra una piccola strega!... — Poi, vedendola mirare con apprensione il latte sparso e volgere uno sguardo ansioso verso la casa, soggiunse amorevolmente: — Via, non vorrà mica infuriarsi contro uno scricciolo come te! Su, coraggio, mimmina! Se ti sgrida un po', abbi pazienza... Domani ti porterò qualche cosa che ti piacerà, credo.... M'hai l'aria d'esser tanto sola, poverina.... E se la tua vecchia strepita, dille pure che sono stato io.... Ma non t'ho mica fatto male, eh?... O che ci stavi a fare sotto la mia scala, tu? — Vi guardavo accendere il lampione, — rispose Gertrude. — No, male non me ne sono fatta punto, ma vorrei non aver versato il latte.... — In quella, Annetta Grant apparve sulla soglia, vide ciò ch'era accaduto, e principiò dal cacciare in casa la bambina, a spintoni, con accompagnamento di bòtte, minacce ed imprecazioni brutali e sacrileghe. Il lampionaio tentò di placarla, ma ella gli sbattè l'uscio in faccia. Gertrude, caricata di rimproveri e di busse, privata del tozzo di pane che soleva esser la sua cena, fu rinchiusa per la notte nella buia soffitta ove dormiva. Povera creatura! Sua madre era morta in quella casa, cinque anni addietro, e da allora essa era quivi tollerata, non tanto perchè Ben Grant imbarcandosi aveva ordinato alla moglie di custodirla fino al suo ritorno (egli era partito da sì lungo tempo che nessuno l'aspettava più), quanto per certe ragioni particolari della stessa Annetta, la quale, sebbene la considerasse come un peso rimastole sulle braccia, non desiderava provocare inchieste cercando di collocarla altrove. Gertrude aveva orrore e terrore delle tenebre. Quando si trovò sola, senza lume, chiusa sotto chiave in quel nero stambugio, stette un momento immobile e muta: poi, d'un tratto, cominciò a strillare, a pestare i piedi, a menar colpi furiosi contro l'uscio sforzandosi d'aprirlo. — Vi odio, Annetta Grant! — urlava. — Vecchia Annetta, vi odio! — Ma non venne nessuno. Dopo un poco la sua ira sbollì. Ella andò a buttarsi sul suo misero lettuccio, si coprì il viso con le scarne manine, e pianse e singhiozzò che pareva le si dovesse spezzare il cuore. Alfine, esausta, dopo alcuni singhiozzi ancora, sempre più sommessi e interrotti da profondi sospiri, a grado a grado si chetò. Rimosse le mani dal viso, e, torcendole convulsamente, alzò gli occhi alla finestrella, a lato del letto, solo adito che la luce avesse nella stanza: una finestrella con una vetrata di tre piccoli vetri disuguali, connessi rozzamente da un contorno di stucco. Non c'era la luna, però guardando in alto Gertrude vedeva, attraverso la vetrata, splendere incontro a lei un'_unica_ fulgidissima stella, che, ella pensava, vinceva in bellezza ogni cosa al mondo. Spesso ell'era stata fuori la sera sotto un cielo tutto stellato senza riceverne alcuna particolare impressione; ma quella stella solitaria, così grande e sfolgorante, e pur d'aspetto così mite, così soave, sembrava sorriderle, sembrava dirle: «Gertrude, Gertrude, _povera_ Gertrudina!» Non forse somigliava un volto benigno da lei veduto o sognato in un tempo lontano? D'improvviso le balenò un'idea. — Chi l'accese?... Qualcuno di certo.... qualcuno che dev'essere molto buono, m'immagino.... O come avrà fatto per salire fin lassù? — E Gertrude s'addormentò volgendo in mente questo problema: «Chi aveva acceso la stella?» Povera animetta oscurata dall'ignoranza! Chi t'illuminerà? Tu sei una creatura di Dio, bambina! Cristo morì per te. Non manderà Egli qualcuno, uomo od angelo, a dissipare le tenebre che t'avvolgono, ad accendere in te la luce che mai non s'estingue, la luce che risplende in eterno? II. Chi lenirà i tuoi dolori o «scossa dalla tempesta»? Parole chi avrà di conforto, o «sconsolata» per te? EMILIA TAYLOR. La mattina seguente Gertrude non fu svegliata da un gaio cinguettìo di fratellini e sorelline, o dal bacio della mamma, come i bimbi felici, i bimbi che mani amorose aiutano a vestirsi e che sanno che una buona colazione li aspetta. Ma un suono di voci rudi, giungendole dal piano di sotto, l'avvertì che gli uomini d'Annetta Grant, cioè suo figlio e due o tre dozzinanti, si mettevano a tavola per il pasto mattutino, del quale ella non poteva sperare una qualche parte se non trovandosi presente quando essi avevano finito, per prendere quella porzione d'avanzi che alla padrona piacesse di gettarle o spingerle davanti. Scese furtivamente, e si tenne nascosta, finchè non sentì l'odore delle pipe ed i passi degli uomini nel corridoio. Tosto che tutti se ne furono andati, schiamazzando, ella entrò quatta quatta nella stanza, volgendo in giro uno sguardo pieno di paura e di sospetto. Annetta Grant l'accolse male: — Ah, sei qui?... Faresti meglio a non mostrarla, quella brutta faccia agra.... Se hai fame, mangia un boccone, e poi levati di tra i piedi. Bada bene di non venir a gironzare intorno al fuoco e a seccarmi mentre lavoro, se non vuoi toccarne di nuovo, e peggio di iersera.... — Gertrude non s'aspettava un'accoglienza migliore, sicchè non ebbe a soffrire un disinganno. Contenta di trovare il meschino cibo lasciato sulla tavola per lei, lo trangugiò avidamente, e senza provocar una seconda intimazione di tenersi al largo, prese il suo vecchio cappuccetto, s'avvolse in uno scialle sbrindellato, già di sua madre, il quale da anni era l'unico indumento che servisse a ripararla dal freddo, e quantunque l'aria frizzante del mattino le gelasse le manine e i piedini nudi, scappò di corsa per la strada. Dietro la casa dove abitava Annetta Grant c'era un cantiere di legname e carbone, e di là da questo uno scalo, e l'acqua densa e melmosa d'un bacino. In quei paraggi la piccola Gertrude avrebbe potuto trovare numerosi compagni per fare il chiasso. Qualche volta infatti si mescolava ai branchi di monelli dei due sessi, cenciosi come lei, che si trastullavano nel cantiere; ma di rado, perchè fra i ragazzi del vicinato c'era una lega contro la disgraziata creatura. Poveri essi pure, e, la maggior parte, tenuti male, la sapevano però più negletta ancora, e assai più maltrattata che qualunque di loro. Spesso avevano veduto menarle bòtte spietate, spesso avevano udito chiamarla brutta e maligna, e dirle ch'ella non apparteneva a nessuno, che nessuna casa era la sua. Bambini com'erano, sentivano nondimeno il proprio vantaggio, e disprezzavano la reietta. Forse non sarebbe stato così se Gertrude si fosse messa fra loro francamente e avesse cercato di farseli amici. Ma sua madre nel breve tempo ch'era vissuta in casa d'Annetta Grant aveva avuto cura di tenerla lontana da quella marmaglia; e, morta lei, la bimba resa schiava, forse un po' dall'abitudine ma più dalla sua stessa natura, continuava ad astenersi dal partecipare ai rozzi loro spassi, benchè nulla glielo impedisse. Non aveva dunque dimestichezza co' suoi coetanei. Nè essi s'arrischiavano a dimostrarle la loro ostilità se non a parole, perchè non uno avrebbe osato affrontare da solo la piccola Gertrude che, animosa, impulsiva, violenta, si faceva temere quanto odiare. Una volta, tutta una banda di maschi e femmine s'era accordata per darle noia e soverchiarla; ma appunto nell'atto che una delle ragazzette lanciava nel bacino le scarpe tratte a forza dai piedi della vittima, era sopraggiunta Annetta Grant, la quale aveva picchiato di santa ragione la monella e posto in fuga i suoi compagni. Da quel giorno Gertrude andava scalza; però, caso unico, doveva alla megera un benefizio: la ragazzaglia la lasciava in pace. Era freddo ma splendeva il sole, quando la bambina, cacciata, corse a cercare un ricovero nel cantiere. In un angolo che dalle case vicine rimaneva quasi fuori della visuale, s'inalzava un'enorme catasta di legname da costruzione. Le assi, di lunghezze diverse ed irregolarmente collocate, offrivano da una parte una serie di scalini grazie ai quali riusciva agevole arrampicarsi fino su in cima, dove alcune delle più lunghe sporgevano in guisa da formare una specie di nicchia ben riparata, che dal lato aperto dominava il bacino. Quel recesso era per Gertrude il porto di sicurezza, l'asilo di pace, il solo luogo donde non venisse mai espulsa. Là, durante le giornate estive la povera creatura solitaria sedeva meditando sulle sue afflizioni, le sue malefatte, la sua bruttezza, e talvolta piangendo ore ed ore. Quando, di tanto in tanto, accadeva che per alcuni giorni consecutivi avesse avuto la fortuna di non irritare nessuno, di non attirarsi gravi castighi come l'essere picchiata o rinchiusa al buio, l'animo suo in quella tregua si rasserenava alquanto, ed ella si divertiva a guardare gli uomini d'una goletta ancorata lì presso, mentre lavoravano a bordo, o vogavano di qua e di là, in una barchetta. La calda luce del sole infondeva nelle vene un tale benessere, le voci dei marinari erano tanto allegre, che la piccola derelitta obliava per un poco i suoi dolori. Ma l'estate se n'era ita; la goletta col suo equipaggio che serviva a Gertrude di così piacevole compagnia, se n'era ita anch'essa. Era venuta la cattiva stagione, e ultimamente il tempo burrascoso aveva costretto la bimba a rimanersene tappata in casa. Non le pareva dunque vero quella mattina di poter tornare al suo caro nascondiglio. Con viva gioia trovò che il sole c'era arrivato prima di lei e aveva asciugato le travi per modo ch'ella se le sentiva tutte calde sotto i piedini nudi, il sole che splendeva sempre fulgido e gaio anche nel cielo di novembre e le faceva dimenticare Annetta Grant, e il freddo sofferto, e il terrore del lungo inverno! I suoi pensieri vagarono un po' senza mèta, poi si raccolsero sullo sguardo benevolo e sulla voce del vecchio lampionaio; infine le si affacciò, per la prima volta, alla mente la promessa da lui fatta di portarle qualche cosa quando sarebbe venuto la sera prossima. Se ne ricorderebbe? Ella non credeva.... Eppure, forse sì, perchè quell'uomo aveva l'aria d'esser tanto buono, e tanto s'era rammaricato della sua caduta.... Che mai le porterebbe allora? Qualche cosa da mangiare? Oh, fosse piuttosto un paio di scarpe! Ma no, egli non poteva aver pensato a questo.... Forse non s'era nemmeno accorto che ella non ne aveva.... Gertrude risolse d'andare in ogni caso per il latte prima dell'ora d'accendere il lampione, al fine d'esser di ritorno in tempo, senza che nulla dovesse impedirle di vederlo. La giornata le sembrò lunghissima; ma, quando Dio volle, la notte venne, e con la notte, True, o meglio, Trueman Flint: così si chiamava il lampionaio. Ella si trovava sul posto ad aspettarlo, badando però di non dar nell'occhio ad Annetta Grant. True era in ritardo quella sera, e aveva gran fretta. Potè appena dire alla bambina poche parole, nel suo linguaggio semplice e rozzo, ma erano parole che venivano dall'intimo del cuore più generoso ed onesto che mai palpitasse nel petto d'un uomo. Le ripetè, posandole sul capo con atto benevolo la mano grande e tutta nera di fumo, che gli dispiaceva assai ch'ella si fosse fatta male, poi soggiunse: — E per soprassalto ne buscasti, poverina.... Vergognaccia! Gran danno, un po' di latte versato! Era una disgrazia, mica un delitto.... — Levò la mano dal capo di Gertrude, per isprofondarla in una delle vastissime sue tasche. — Ma eccoti — proseguì — la creaturina che ti promisi ieri. Abbine cura e non tormentarlo.... Scommetto che se è come la sua mamma che ho io a casa, ti piacerà, e presto presto gli vorrai bene. Addio, mimma! — E presa in ispalla la sua scala portatile, se n'andò lasciando nelle mani della ragazzina un gattino bianco e grigio. Ella fu così sbalordita nel trovarsi tra le braccia quella cosa viva, tanto diversa da tutte le cose da lei immaginate, che per un minuto rimase irresoluta, non sapendo che avesse a farne. C'erano molti gatti, d'ogni grandezza e d'ogni colore, là nel vicinato, sia appartenenti ad inquilini delle case, sia rifugiati nel cantiere: povere bestie spaurite le quali, come Gertrude, solevano andare attorno a passi furtivi o scappando, a gambe levate, e spesso si nascondevano tra il legname e il carbone, quasi si sentissero al pari di lei malsicuri del diritto di stare in un qualche luogo. Ed ella aveva anche provato più volte una certa simpatia per loro, ma non le era mai venuta la voglia di pigliarne uno, portarselo a casa e addomesticarlo, perchè essendo il nutrimento e il ricovero tanto avaramente concessi a lei stessa, ben sapeva di non poterli ottenere per un suo beniamino a quattro zampe. La sua prima idea fu pertanto di deporre il gattino a terra, e lasciarlo andare. Ma la bestiola si raccomandò in maniera tale, che ella non fu capace di resistere. Dalle braccia le salì fino al collo, vi si aggrappò, e spaventato com'era dall'imprigionamento e dal lungo viaggio nella tasca del lampionaio, prese a miagolare con una voce sommessa e flebile che sembrava implorare la compassione. L'eloquenza di quella vocina vinse la paura della collera d'Annetta Grant. E Gertrude; stringendosi al seno il micio, risolse, nel suo cuore di bimba, d'amarlo, di nutrirlo, e di tenerlo ben lontano dagli occhi della vecchia. A qual punto giungesse in breve il suo amore per quell'animaletto le parole non potrebbero dire. La sua natura fiera, indomita, impetuosa, non aveva fino allora avuto occasione di manifestarsi che in accessi di risentimento appassionato, di torva ostinazione, d'odio perfino. Ma v'erano in quella piccola anima sorgenti di caldi affetti ancor chiuse, una profondità di tenerezza mai evocata, un ardore di devozione al quale non mancava che un oggetto su cui espandersi. Ella prodigò quindi alla creaturina che dipendeva da lei per il suo sostentamento tutta la dovizia d'amore accumulata nel suo povero coricino desolato. E tanto più l'amava quanto più era obbligata a darsene pensiero, quanto più grandi, erano i disturbi e le ansie che le cagionava. Teneva la bestiola quasi sempre fuori, fra il legname del cantiere, nel suo rifugio favorito. Trovò un vecchio cappello nel quale mise il proprio cappuccetto, e fece così una cuccettina per il micio. Gli portava una parte, degli scarsi suoi pasti, osava per lui ciò che non avrebbe osato per sè medesima, procacciandogli la cena col sottrarre tutti i giorni dal bricco un po' del latte che Annetta Grant la mandava a prendere, ed esponendosi al rischio d'essere scoperta e punita: solo rischio, solo danno, di cui il furto e la frode potessero destare il timore nell'animo della misera bambina ignorante, perchè nessuno s'occupava di sviluppare le sue idee del bene e del male in senso astratto. Ella si divertiva ore intere a trastullarsi col suo gattino fra le cataste di legname, a parlargli, a dirgli quanto le fosse caro. Ma nelle giornate più rigide, non avendo modo di ripararsi dal freddo all'aperto, ed essendo assai pericoloso portare il suo protetto in casa, si trovava in un serio impiccio. Nondimeno, coraggiosamente nascondeva il micino in seno, e correva a rifugiarsi con lui nella soffittuccia ch'era la sua camera. Là, badando di tener l'uscio chiuso, riesciva a far sì che la presenza del suo compagno sfuggisse agli occhi ed agli orecchi della terribile Annetta. Due o tre volte invero, per sua momentanea distrazione, accadde che la vispa bestiola scappasse al piano di sotto, nel corridoio e nella cucina, anzi una volta la donna lo vide e lo cacciò con la granata; ma in quel popoloso quartiere dove i gatti vagabondi erano tutt'altro che rari, il caso non poteva parere così straordinario da provocare un'inchiesta. Sembrerà strano che Gertrude fosse libera di star fuori a baloccarsi dalla mattina alla sera. I fanciulli delle classi povere sogliono imparare per tempo a rendersi utili. Sono numerose le creature di tenera età che, per le strade, davanti alle porte e nelle corti delle case, vediamo andar curve sotto il peso d'una voluminosa fascina, o d'un paniere di trucioli, o, più spesso, d'un grosso marmocchio al quale si deve badare e prestare ogni sorta di cure. E noi compiangiamo un'infanzia soggetta a cotali fatiche, e giudichiamo troppo dura la sua sorte. Eppure non è quella, alla perfine, la maggiore delle disgrazie: stava per tutti i conti assai peggio la piccola Gertrude, che non era costretta a far nulla, e ignorava la sodisfazione d'_aiutare_ qualcuno. Annetta Grant non aveva marmocchi, e stimava poco i servigi dei ragazzi. Donna attivissima, non sentiva punto il bisogno d'impiegare l'orfanella in qualche faccenda domestica; al contrario, desiderava di levarsela d'attorno. Sicchè, tolta la corsa quotidiana per il latte, Gertrude era sempre in ozio: causa feconda d'infelicità e di scontento, se anche non avesse avuto a soffrire per alcun'altra. Annetta, una scozzese non più giovane, aveva sortito da natura un cattivo temperamento, che, con gli anni, era divenuto pessimo. Conosceva la vita dal suo lato più rude, era gran lavoratora, e godeva la reputazione di femmina sveglia, ardita, e dominatrice. Ell'aveva reso al marito così disamena la casa coniugale, che egli, lasciando il suo mestiere di falegname, era andato piuttosto per mare. Faceva la lavandaia e teneva alcuni dozzinanti. I suoi proventi sarebbero bastati a sbarcare comodamente il lunario, se non fosse stata la sregolatezza del suo figliuolo, giovinastro turbolento, guastato da lei stessa nella prima età con le intemperanze e le ineguaglianze del suo carattere. Era un valente operaio quando aveva voglia di lavorare, ma scialacquava tutti i propri guadagni e buona parte di quelli della madre. Per certe sue ragioni particolari ella seguitava a tenersi seco la bambina: non erano però tanto gravi che non pensasse talvolta a liberarsi da quel peso. III. Misericordia e amor sul tuo cammino T'hanno incontrata, o misera reietta. WORDSWORTH. Gertrude aveva il suo gattino da circa un mese, quando in conseguenza del rimanere esposta alle intemperie si buscò una fortissima infreddatura. Allora Annetta, per tema delle noie che una seria malattia della bambina avrebbe cagionato a lei, le ingiunse di non uscire all'aperto, e perfino di starsene nella stanza riscaldata dov'essa lavorava. Certo, con quella tosse terribile, sarebbe stato buono sedere tutto il giorno accanto alla stufa, e tenersi calduccina, se non l'avesse tormentata il pensiero del micio, che innanzi ch'ella fosse in grado di ritornare nel cantiere a custodirlo poteva sperdersi, o perire d'inedia, o, pericolo non meno grave, dare una corsa nella casa in cerca della sua padrona. Passò la giornata, senza che la bestiola si facesse vedere. Ma verso sera, proprio nel momento che gli uomini venivano a cena, capitò tra i piedi d'uno di essi, là, sulla soglia della stanza dove Gertrude si trovava con la vecchia Grant ed era preparato il grossolano loro pasto. — Accidenti! — esclamò l'uomo che tutti chiamavano Iacopino. — È un gatto! O Annetta! Credevo che li odiaste i gatti, voi. — Non è mica mio, — disse ella. — Cacciatelo fuori. — Iacopino s'accinse a farlo. Il micio balzò indietro e, girando largo, andò a precipitarsi tra le braccia di Gertrude, la quale trepidante per il suo fato spiava con ansia gli eventi. Annetta gli domandò: — O cotesto gatto, di chi è? — Mio, — rispose coraggiosamente la bambina. — Tuo? E da quando tieni gatti? Come l'hai avuto? Parla! — Gli uomini le guardavano. Gertrude aveva paura degli uomini. Essi qualche volta le facevano dispetti e sempre erano per lei una sorgente d'apprensioni. Ella non osava dire a chi dovesse quel regalo, ben sapendo di peggiorare le cose, perchè Annetta Grant non aveva mai perdonato al lampionaio le sue dure rimostranze contro la crudeltà di picchiare una bimba per aver avuto la disgrazia di versare un bricco di latte; nè la soccorreva in quel momento tanta prontezza d'animo da inventare qualche fandonia che spiegasse altrimenti la presenza del gattino. Del resto non avrebbe esitato punto a mentire. La sua deficiente educazione non le aveva inculcato l'amore e l'abitudine della verità a segno ch'ella potesse preferirla quando la menzogna le faceva più comodo o la salvava da un castigo. Tacque e ruppe in lacrime. — Via, Annetta, — disse Iacopino — dateci la cena e lasciate stare cotesta mocciosa fino a poi. — La donna accondiscese, non però senza brontolare minacciosamente. La cena fu presto finita. In quella un sonatore d'organetto venne a fermarsi davanti alla casa e intonò un'aria popolare. I pigionali scendevano e gli si affollavano intorno, attratti dalla scimmietta che ballava in cadenza con la musica. Gli uomini andarono a raggiungerli. Gertrude impedita di uscire corse alla finestra. I grotteschi sgambetti dell'animale la divertivano un mondo; finchè sonatore e scimmia non si furono allontanati, ella stette a guardare intensamente assorta nello spettacolo, così intensamente da non accorgersi che non teneva più il micio, il quale, sfuggitole dalle braccia, era saltato sulla tavola e cominciava a divorare gli avanzi del pasto. Ella seguiva ancora con gli occhi l'uomo dall'organetto, quando vide apparire in fondo alla strada il vecchio lampionaio. Mentre si proponeva di trattenersi finch'egli avesse acceso il lampione, un urlo di rabbia la fece sobbalzare. Spaventata si volse giusto in tempo per vedere Annetta abbrancare il suo caro gattino. Si slanciò alla riscossa, balzò sopra una seggiola, afferrò un braccio della donna; ma costei la respinse vigorosamente con una mano e con l'altra scaraventò la bestiola attraverso la stanza. Gertrude udì un tonfo in un liquido, e un grido straziante. Annetta aveva gettato il povero micio in un gran catino pieno d'acqua calda a bollore pronta per qualche uso domestico. La piccola vittima si contorse un momento e morì in uno spasimo. Tutto il furore di cui l'impetuosa natura della bambina era capace, divampò. Senza titubare, ella raccolse un pezzo di legno che giaceva lì presso, e lo scagliò contro la megera. Aveva mirato bene. La vecchia Grant era stata colpita alla testa e il sangue grondava dalla ferita; ma ella quasi non sentiva il colpo tanto era eccitata dall'ira dinanzi all'audacia di Gertrude. Fremente, s'avventò su lei, la pigliò per le spalle, aperse l'uscio di strada e la spinse sul marciapiede dicendo: — Fuori, spirito maligno, e guai a te s'io veggo la tua ombra sulla soglia della mia casa! — Poi rientrò a precipizio abbandonando l'orfanella sola in mezzo alla notte fredda e buia. Quando Gertrude era adirata o afflitta piangeva forte, ma di rado singhiozzava come gli altri bambini; invece emetteva a brevi intervalli strilli acutissimi fino a rimanere qualche volta esausta di forze. Ella prese a strillare così, tosto che Annetta Grant l'ebbe lasciata là sulla strada; ma non già per la paura d'essere irremissibilmente espulsa dal suo unico ricovero e di doversene andare, sola sola e di notte, errando per la città, a rischio di cadere assiderata, innanzi l'alba, con quel gran freddo: no, non pensava affatto a sè stessa. L'orrore e il dolore della tragica morte inflitta all'unico essere ch'ella amasse al mondo empivano tutta la sua piccola anima. Ella s'accosciò contro il muro della casa, e si coperse la faccia con le mani, inconsapevole del chiasso che faceva, e del trionfo di quella monellaccia che le aveva un giorno tratto le scarpe dai piedi, e che ora stava spiandola dall'uscio dirimpetto. D'improvviso si sentì sollevare da terra, e si trovò seduta su una delle traverse della scala di True appoggiata ancora sotto il lampione. Il buon uomo che, reggendola saldamente, l'aveva collocata giusto tant'alto da trovarsi con lei a viso a viso, riconobbe la sua piccola amica, e con la stessa benevolenza dell'altra volta le domandò che le fosse successo. Ma Gertrude, tutt'ansimante, potè rispondere soltanto: — Oh, il mio gattino! Il mio gattino! — Come? Il gattino ch'io ti diedi? L'hai smarrito?... Non piangere, via, non piangere. — Oh no, non l'ho smarrito!... Ah, povero micino mio! — E la bimba ruppe in un pianto più clamoroso che mai, tossendo nel medesimo tempo con tale violenza che il lampionaio ne fu spaventato. Egli si sforzò di calmarla, e riuscitovi in parte le disse: — A star qui fuori tu t'infreddi a morte.... Bisogna rientrare in casa.... — Oh, non mi lascerà rientrare! — ella rispose. — E se anche volesse lei, non vorrei io.... — Chi non ti lascerà rientrare?... Tua madre? — No.... Annetta Grant.... — Chi è Annetta Grant? — Un'orrida, una perfida donna, che ha affogato il mio gattino nell'acqua bollente! — Ma la tua mamma dov'è? — Io non ce l'ho, la mamma. — A chi appartieni tu, povera creatura? — A nessuno, e nessuna casa è la mia. — Con chi vivi dunque? Chi ha cura di te? — Vivevo finora con Annetta Grant, ma è troppo cattiva, e io l'odio.... Le ho scagliato dianzi un pezzo di legno nella testa.... Magari l'avessi accoppata, l'avessi.... — Zitta, zitta! Non devi dire di coteste cose.... Ora vo a parlarle io.... — True mosse verso l'uscio della casa cercando di tirarsi dietro Gertrude; ma questa resisteva così energicamente ch'egli la lasciò fuori. Andò difilato nella stanza dove Annetta stava fasciandosi la testa con un vecchio fazzoletto, e senza preamboli le disse che doveva richiamar dentro la bambina perchè lasciandola in istrada rischiava di farla morire assiderata. — Non è mia, — rispose la donna — e qui c'è rimasta abbastanza. Non esiste al mondo una creatura malvagia come quella: mi maraviglio io stessa d'aver trovato la pazienza di tenerla tanto tempo. Spero che non mi venga mai più sotto gli occhi, o per meglio dire non voglio. M'ha rotto la testa.... meriterebbe d'essere impiccata, meriterebbe! Se mai qualcuno ha avuto in corpo uno spirito maligno è di certo lei! — Ma che sarà della povera piccina? — insistette il buon True. — La notte è fredda, terribilmente.... Che vi sentireste in cuore se domattina la trovassero morta gelata sulla soglia della vostra casa? — Che mi sentirei? È forse cosa che vi riguardi? Incaricatevi piuttosto di lei voi stesso. Tanto scalpore menate per quell'insettucciaccio? Portatevela a casa e provatela un po'.... È la seconda volta che venite a parlarmene, e basta.... non voglio ascoltare una parola di più. Ci pensi qualcun altro, oramai; io per me n'ho avuto più che la mia parte.... Quanto al rischiare che muoia gelata o non gelata, lo rischierò.... Eh, i bambini ch'entrano nel mondo di soppiatto sono i meno pronti ad uscirne! Quella lì appartiene al comune. Se ne occupi chi deve. E voi andatevene per i fatti vostri e non v'immischiate in quello che non vi concerne. — True non se lo fece ripetere. Egli non era uso a trattare con donne, e nulla gli pareva più formidabile d'una femmina irata. Ora gli occhi fiammeggianti e il minaccioso atteggiamento d'Annetta erano forieri d'una tale tempesta che il buon uomo s'affrettò saviamente a ritirarsi prima che scoppiasse sul suo capo. Gertrude, la quale aveva intanto cessato di piangere, gli alzò gli occhi in faccia con curiosità ansiosa. — Ebbene, — egli disse — non vuol riprenderti. — Oh, che piacere! — ella esclamò ingenuamente. — Sì, ma dove andrai? — Non so.... Forse con voi, a veder accendere i lampioni. — E dove dormirai stanotte? — Non so.... Io, non ho casa. Bisognerà che dorma fuori, ma così avrò il lume delle stelle. Non posso soffrire l'oscurità, io.... Sarà freddò però, non è vero? — Corbezzoli! Freddo da morirne, bambina.... — E allora che succederà di me? — Dio soltanto potrebbe dirlo! — Il lampionaio guardò Gertrude, tutto perplesso ed angustiato. Egli, punto pratico di bambini, stupiva della sua semplicità. Lasciarla lì, esposta, al rigore di quella gelida notte, non poteva; e dall'altro canto non sapeva come se la sarebbe cavata se l'avesse portata a casa sua, perchè viveva solo ed era povero. Ma un altro violento insulto di tosse da cui fu còlta lo fece risolvere a un tratto di dividere con lei il suo ricovero, il suo fuoco e il suo pane, per una notte almeno. La prese per mano e disse: — Vieni con me. — Gertrude si mise a correre al suo fianco, fiduciosa, senza domandare dove la conducesse. True doveva accendere ancora una dozzina di lampioni prima di giungere all'estremità della strada dove il suo giro finiva. La bambina stette a contemplare l'accensione di ciascuna fiammella con un piacere altrettanto vivo e schietto che se si fosse trovata in compagnia del lampionaio unicamente per questo. Appena quando, svoltato il canto, ebbero camminato un pezzo senza fermarsi, domandò: — E ora dove si va? — A casa, — rispose True. — A casa vostra? Anch'io? — Sicuro. Eccoci arrivati. — Egli aperse una porticina che metteva in una stretta corticella estesa per tutta la lunghezza d'una decente casa di due piani, dove abitava nella parte posteriore. Attraversarono la corte, passarono davanti a parecchie finestre e all'ingresso principale, ed entrarono da un piccolo uscio sul di dietro. Gertrude tremava dal freddo. Aveva i piedini tutti azzurrognoli a forza di camminare scalza sul lastrico diaccio. V'era una stufa, nella camera in cui erano entrati, ma senza fuoco. La camera era spaziosa e abbastanza ben fornita, ma tenuta male. Il lampionaio s'affrettò a deporre in uno sgabuzzino adiacente la scala portatile, l'accenditoio e il resto, poi tornò con un fastelletto di legna ed accese la stufa. In pochi minuti un'allegra fiammata brillando e scoppiettando diffuse intorno un gradevole tepore. Egli trasse accanto al fuoco un antico seggiolone di legno, vi stese sopra il suo grosso e peloso gabbano che lo trasformò in una comoda poltrona, e sollevata delicatamente la bimba ve la pose a sedere. Dopo di che, allestì la cena. True era un vecchio scapolo uso a farsi ogni cosa da solo. Preparò il tè, poi mesciutolo per Gertrude in una gran ciotola, con zucchero a profusione e tutti i suoi venticinque centesimi di latte, prese da una credenzina una pagnotta, ne tagliò una bella fetta, e invitò la sua piccola ospite a mangiare e bere quanto più potesse, giudicando dal suo aspetto ch'ella non doveva essere stata sempre ben nutrita. E nel vederla assaporare con sì evidente godimento la miglior cenetta che mai le fosse toccata, la sua sodisfazione fu tale, da farlo rimanere a contemplarla intenerito dimenticandosi di prendere la propria parte. L'infallibile istinto dell'infanzia aveva guidato Gertrude quand'ella, osservando l'uomo che accendeva il lampione, s'era sentita indotta, già assai prima ch'egli le parlasse, a considerarlo come un buon amico di tutti, perfino della più derelitta bambina di questo mondo! Trueman Flint, nato e cresciuto nel Nuovo Hampshire, essendo rimasto orfano quindicenne appena, era venuto a Boston dove per molti anni s'era guadagnato la vita esercitando qualsiasi mestiere in cui potesse trovar lavoro; così aveva fatto a vicenda il giornalaio, il facchino, il fiaccheraio, lo spaccalegna, insomma di tutto un po'! In alcuni de' suoi impieghi era anche durato a lungo perchè s'acquistava sempre stima e benevolenza tanto si mostrava onesto, capace e di buona indole. Prima di diventare lampionaio aveva servito qualche tempo come facchino nei vasti magazzini d'un negoziante ricco e generoso. Un giorno, mentre rimoveva certi pesanti barili, uno di questi, per disgrazia, venne a cadergli sul petto lasciandolo gravemente malconcio. Il suo stato dapprima quasi escludeva ogni speranza di salvezza; e quando alfine egli cominciò a migliorare, la guarigione fu lenta a segno, che dovette starsene disoccupato un anno intero. La malattia esaurì tutti i suoi risparmi, ma il negoziante al cui servizio gli era accaduto quell'infortunio, volle che nessun comodo gli mancasse, lo fece curare da un medico valentissimo, e gli assicurò una buona assistenza. Nondimeno da allora True non fu più quello. Quando si levò dal letto la sua costituzione fisica era invecchiata di dieci anni, sicchè l'indebolimento delle forze lo rendeva inabile oramai a lavori faticosi. Il suo antico padrone e benefico amico s'adoperò quindi a trovargliene uno relativamente leggero, ed ottenne per lui l'impiego di lampionaio, al quale egli di frequente aggiungeva altri discreti proventi segando legna o spalando la neve. Era adesso tra i cinquanta e i sessanta. Alto e membruto, aveva fattezze delle più rozzamente modellate da madre natura, ma esprimenti una grande bontà d'animo. Viveva molto appartato, essendo per temperamento taciturno e ritroso; pochissime persone lo conoscevano, e l'unica ch'egli frequentasse era un suo vecchio compare, sagrestano d'una chiesa vicina: uomo d'età assai avanzata e in voce d'essere oltremodo bisbetico e salvatico. Ritorniamo a Gertrude. Ella ha terminato la sua cenetta, e ora dorme profondamente, adagiata nell'ampio seggiolone, tutta ravvolta in una calda coperta di lana, con la testa sorretta da un guanciale. True siede accanto a lei, e una delle scarne manine posa sulla sua larga palma. Ogni poco, quand'ella si muove, le riaccomoda intorno la coperta. Ma ecco che il respiro della bambina diviene affannoso: ella dà un sobbalzo, poi parla con rapidità. Che mai turba i suoi sogni? Egli ascolta, attento. Prima, è una supplicazione ardente: — Oh, no, no! Non lo affogate il mio micino! — Poi un grido di terrore: — Ah, la viene a ripigliarmi!... Ohimè, mi ripiglia! — Infine, con accento commovente di flebile e tenera preghiera, ella si raccomanda: — O buon vecchio, caro, caro, lasciatemi rimanere con voi! Per pietà, lasciatemi rimanere! — Grosse lacrime luccicano negli occhi di Trueman Flint, e scorrono nei solchi delle sue ruvide gote. Egli posa il capo sul guanciale, accosta la faccina di Gertrude alla sua faccia e, lisciandole i lunghi capelli scarmigliati, pensa anch'egli ad alta voce.... E che dice? — Ripigliarti?... No, mai, sta' pur tranquilla.... Vuoi rimanere con me? Ci rimani, sì, te lo prometto, povera mimmina mia!... Sola in questo immenso mondo, come son io! Se piace al Signore, noi due si starà bene insieme.... — IV. Per il vegliardo e per il bimbo l'unica Speranza è nell'altrui tenera cura. Con questa all'uom prima lezione ed ultima Insegnar la pietà volle Natura. YOUNG. La piccola Gertrude aveva trovato un amico e un protettore; ed era tempo, perchè le privazioni che soffriva e l'abbandono in cui veniva lasciata stavano per troncare la triste sua vita, ponendo fine così alle sue pene. La mattina dopo che True Flint l'ebbe raccolta, ella si destò con febbre alta, dolori al capo e alle membra, insomma tutti i sintomi d'una malattia grave. Guardò intorno e si vide sola; ma nella stufa ardeva un bel fuoco, e la tavola era apparecchiata per la colazione. Rimase un momento stupita ed incerta, domandando a sè stessa dove si trovasse, e che le fosse accaduto; non riconosceva su quel subito la camera, vedendola per la prima volta alla luce del giorno. Ma il suo visino sparuto brillò di gioia quando gli avvenimenti della sera innanzi le si riaffacciarono alla memoria, ed ella pensò al vecchio lampionaio, tanto buono, ed alla nuova casa che sarebbe stata la sua, dove sarebbe vissuta con lui. Si levò e andò alla finestra per guardare fuori, sebbene le girasse stranamente la testa e le vacillassero le gambe a segno che appena poteva camminare! Il suolo era tutto bianco di neve, e il tempo ancora burrascoso. Sembrò a Gertrude che il candore di quella neve l'abbarbagliasse. D'improvviso la vista le mancò, una vertigine la travolse. Barcollò e cadde. Trueman, rientrato di lì a due minuti, fu spaventatissimo trovandola lunga distesa sul pavimento; ma tosto comprese che doveva essere svenuta nel tentare di dar qualche passo per la camera, e non se ne maravigliò punto, poichè durante la notte s'era avveduto che la bambina stava assai male. Portatala sul suo letto, riuscì presto a farle ricuperare i sensi; passarono però tre settimane prima ch'ella potesse levarsi, salvo quando True la prendeva in collo. True si mostrava ruvido e goffo nel maggior numero dei casi, ma non già quando assisteva la sua piccola protetta. Egli sapeva molte cose nel fatto di malattie: era un po' infermiere, un po' medico, alla sua semplice maniera, e quantunque di bambini avesse poca esperienza, il suo cuore affettuoso gli suggeriva tutte le cure necessarie a Gertrude, e lo rendeva prodigo d'una bontà, d'una tenerezza, di cui nessuno aveva mai dato alla poveretta neppure una pallida idea. Ella, dal canto suo, era molto paziente. Spesso le sofferenze e l'estrema stanchezza del giacere da tanto tempo allettata, la tenevano sveglia la notte intera senza ch'ella mandasse un gemito o facesse il minimo rumore, perchè temeva di destare il buon vecchio il quale dormiva per terra, accanto al suo letto, quando la grande ansietà per lei non gl'impediva di pigliar sonno. A volte, essendo la bimba più fieramente travagliata dal male, egli la reggeva sulle braccia ore ed ore, ed anche allora ella si sforzava d'apparir sollevata, benchè in realtà non fosse, o fingeva perfino d'addormentarsi per indurlo a ricoricarla e prendere anch'egli un po' di riposo. Il suo coricino riboccava d'amore e di gratitudine. Un pensiero l'occupava quasi unicamente: che avrebbe ella potuto fare per il suo caro benefattore quando sarebbe guarita? ma era poi capace d'imparar a fare qualche cosa di utile? True era tuttavia costretto a lasciarla per attendere al suo lavoro. Durante la prima settimana della malattia Gertrude restò dunque parecchio sola. Egli nell'andarsene le raccomandava con calore di stare ben tranquilla sotto le coperte fino al suo ritorno; e intanto ogni oggetto di cui ella potesse mai aver bisogno si trovava preparato a portata della sua mano. Ma venne il momento che, aumentando la febbre, fu presa da delirio, e per alcuni giorni non seppe più come nè da chi fosse assistita. Alfine un pomeriggio si destò da un sonno lungo e calmo, in pieno possesso del senso e della coscienza, e vide seduta al suo capezzale una donna che cuciva. Ella si rizzò nel letto per guardare la sconosciuta, la quale non l'aveva vista aprire gli occhi. Ma, sentitala muoversi, questa dette un sobbalzo, e subito esclamò: — O bambina mia, rimettiti a giacere! — Così dicendo le pose dolcemente una mano sulla spalla per corroborare la sua ingiunzione. — Non vi conosco, — fece Gertrude. — Dov'è lo zio True? — Con questo nome il lampionaio le aveva detto di chiamarlo. — È uscito, cara, ma tornerà presto. Come ti senti? Meglio? — Oh sì! Molto meglio! Ho dormito un pezzo? — A sufficienza. Suvvia, sta' giù. Ora ti porto una scodella di semolino. Ti farà bene. — Sa lo zio True che siete qui? — Sicuro. Sono venuta a tenerti compagnia mentre lui è fuori. — O di dove siete venuta? — Dalla mia camera. Io abito nell'altra parte di questa casa. — Mi pare che siate buona, voi. Davvero, mi piacete. Ma mi fa maraviglia di non avervi veduta entrare.... — Non ci hai badato perchè stavi troppo male, poverina.... Basta, adesso spero che non tarderai a guarire. — La donna preparò il semolino, e quando Gertrude l'ebbe preso, si rimise al suo lavoro. Coricata con la faccia rivolta verso la sua nuova amica, la bambina fissava su lei i suoi occhioni. Stette così a guardarla cucire finchè quella a sua volta la guardò, e disse: — Che pensi tu ch'io stia facendo? — Non so, io.... — ella rispose. — Che cos'è? — L'altra alzò la roba che cuciva, di maniera che Gertrude potè vedere ch'era una vestina di cotone scuro, per una ragazzetta. — O che bella veste! — esclamò. — Per chi la fate? Per la vostra figliuola? — No, io non ho figliuole. Ho un figliuolo invece, uno unico: il mio Guglielmo. — Guglielmo? Che bel nome! E lui è un buon ragazzo? — Buono? Il migliore che ci sia al mondo, ed il più bello! — Nel proferir queste parole la donna ergeva il capo, e il suo pallido viso estenuato raggiava tutto d'orgoglio materno. Gertrude torse lo sguardo con un'espressione triste, così strana in una creatura di quell'età, ch'ella temette che la stanchezza cominciasse ad opprimerla, e stimò necessario farla stare in assoluta quiete. Glielo disse e le impose di chiudere gli occhi e dormire. La bambina li chiuse. Mentre giaceva tranquilla come se avesse obbedito anche alla seconda ingiunzione, l'uscio s'aperse e qualcuno entrò pian piano. Era True. — Oh signora Sullivan, — egli fece — siete ancora qui! Vi ringrazio tanto d'esservi trattenuta.... Avevo contato di tornare più presto.... E della bimba che vi sembra? — Sta meglio, signor Flint, molto meglio. È in sè, ragiona.... Io credo che, pur d'avere certi riguardi, oramai tutto andrà bene.... To', è desta! — True s'accostò alla piccola malata, le posò una mano sulla fronte mandando indietro i capelli, che erano adesso tagliati corti e accuratamente pettinati, poi le toccò il polso, e manifestò con un cenno del capo la sua sodisfazione. Gertrude gli afferrò la mano e la tenne stretta tra le sue. Egli sedette accanto al letto, gettando un'occhiata sul lavoro della signora Sullivan: — Non mi maraviglierei, signora mia, se ci fosse bisogno de' suoi vestiti nuovi prima che non si credesse.... Tra alcuni giorni, secondo me, sarà in piedi.... — Lo credo anch'io, ma non siate troppo impaziente. La sua malattia è stata grave, e la non può guarire d'un tratto. Avete veduto oggi la signorina Graham? — Sì, l'ho veduta, pover'anima. Che il Signore benedica la sua cara faccia! M'ha fatto un visibilio di domande su Gertrudina, e m'ha dato questo pacchetto d'_ararutte_.... mi pare almeno che lo chiamasse così. Dice ch'è una minestrina eccellente per ammalati. Se voi la conoscete, signora Sullivan, siate tanto buona, mostratemi come si fa, perch'io confesso non me lo rammento, quantunque la signorina si sia data la briga di spiegarmelo.... — Sì, volentieri. È facilissimo. Ve ne preparerò una porzione quando ritorno, tra poco. Per ora Gertrude non ne ha bisogno, ha preso dianzi un semolino. Ma il babbo è già in casa, e devo apparecchiare il nostro tè. Arrivederci a stasera, signor Flint. — Grazie, signora.... avete un cuore d'oro voi! — Durante alcuni giorni la signora Sullivan venne ancora ripetute volte a prestar le sue cure alla piccola convalescente ed a tenerle compagnia. Ell'era una donna dimessa per indole, gentile d'animo e di modi, il cui placido viso riconfortava la povera creatura ch'era vissuta nel terrore e aveva sofferto ogni sorta di maltrattamenti. Sempre portava con sè il suo lavoro di cucito: solitamente qualche indumento da ragazzina. Una sera Gertrude, già quasi guarita della sua ostinata febbre, sedeva in grembo a Trueman Flint, vicino alla stufa, ben bene ravvolta in una coperta di lana, e parlava della sua nuova amica. A un tratto alzò gli occhi in faccia al buon uomo e uscì a dire: — Zio True, conoscete voi la bambina per la quale fa un vestitino? — È una bambina che ha bisogno di vestitini e di molte altre cose, perchè ch'io sappia, non ha panni da indossare, tranne pochi cenci.... E tu, Gertrude, non ne conosci nessuna che sia in questo caso? — Direi di sì, — rispose ella piegando un po' la testa da un lato, e strizzando un occhio. — Bene, chi è? — Non vi sta seduta in grembo? — Che? Tu stessa? Eh via, credi forse che la signora Sullivan voglia impiegare il suo tempo a cucire vestiti per te? — Gertrude chinò il capo. — Veramente, _io non l'avrei creduto_.... ma _voi diceste_.... — Sentiamo, che cosa dissi io? — Qualche cosa di vestiti nuovi.... per me.... — Sì, cara, _per te_! — esclamò egli stringendola in un abbraccio rustico ma cordiale. — E sono due mute complete, con calze e scarpe per soprammercato! — Ella spalancò i suoi occhioni, in atto di stupore, rise, battè le mani. True rise anche lui. Parevano tutti e due molto felici. — E l'ha comperata lei cotesta roba? È dunque ricca? — domandò ella. — La signora Sullivan?... Ahimè, punto!... La roba la comperò la signorina Graham, e pagherà alla signora Sullivan la fattura. — Chi è la signorina Graham? — È una signorina troppo buona per questo mondo.... si può affermarlo! Ti parlerò di lei un'altra volta,... Oggi no, perch'è tardi. Dovresti già essere a letto e dormire. — Un sabato Gertrude, che oramai stava benino, era rimasta alzata tutto il giorno. Verso sera però si sentì stanca, e si coricò avanti buio. Destatasi dopo aver dormito profondamente due o tre ore, vide che True aveva compagnia. Accanto alla stufa, un altro vecchio, d'età molto più inoltrata della sua, sedeva di faccia a lui, fumando la pipa. Egli indossava un abito di foggia antiquata e di tessuto ordinario, ma assai lindo; le due sole ciocche di lunghi e candidissimi capelli che ancora gli crescevano, proprio dietro le orecchie, erano pettinate con cura all'insù, e annodate sul vertice del cranio calvo e lucido. Le sue fattezze avevano linee dure e taglienti, e Gertrude pensava che tali dovevano essere tutte le parole uscite dalla sua bocca, tanto le pareva inverosimile ch'egli potesse mai dire qualche cosa di gentile o di piacevole. Il sarcasmo ch'esprimevano gli angoli delle labbra, l'amaro scontento che traspariva da tutta la faccia, colpivano la bambina senza ch'ella sapesse definirli, e le facevano trarre le sue conclusioni sul carattere di quell'uomo. Ben s'apponeva figurandosi ch'egli fosse il signor Cooper, padre della signora Sullivan; e nell'opinione fattasi di lui alla prima occhiata non si scostava notevolmente dalla maggior parte di coloro che lo conoscevano. Ma l'opinione pubblica e la sua propria faccia calunniavano un poco il vecchio sagrestano. Certo egli non era di un naturale allegro nè amabile. Sventure domestiche e lo sfavore della volubile fortuna lo avevano reso pessimista e portato a non considerare che i dolori della vita, a mostrarsi arcigno dinanzi alla gaiezza e alle baldanzose speranze dei giovani, i quali, soleva egli sentenziare scrollando il capo con un'aria misteriosa, ignorano che sia il mondo. Egli non l'ignorava, e diveniva tanto più severo per le sue follie ed inesorabile per le sue colpe, quanto più la vecchiezza lo allontanava da esso. Anche l'ufficio ch'esercitava da anni in qua, era dei meno atti a combattere una disposizione alla malinconia, tenendolo il suo servizio in chiesa quasi sempre solitario. Eppure in fondo al cuore quel misantropo nascondeva riserve di bontà e di benevolenza, e True Flint, che lo sapeva, si divertiva a trarle alla luce. Egli amava il vecchio per la sua onestà scrupolosa e il suo animo sincero. Da lungo tempo i due amici usavano sedere insieme il sabato sera, nel canto del fuoco, discutendo di politica, di istituzioni nazionali, di diritti individuali; questioni che ogni buon Americano si sente chiamato a sottoporre ai propri speciali criteri. Discorrevano inoltre dei loro sentimenti ed interessi privati. Ma qual si fosse il soggetto del discorso e per quanto la discussione s'accalorasse, mai la loro amicizia non ne aveva sofferto danni o pericoli: caso singolarmente notevole, essendo Trueman Flint, nel temperamento e nel carattere, la vera antitesi di Paolo Cooper. Animoso, fidente, egli era sempre disposto a pigliar le cose dal lato buono, e anche nelle peggiori avversità non si scoraggiava, non disperava, si teneva sicuro che alla fine tutto s'accomoderebbe. Quella sera avevano conversato su parecchi dei soliti argomenti, ma nel momento che Gertrude si destò parlavano di lei, e s'intende che il loro dialogo attrasse vivamente la sua attenzione. — Dove mi diceste d'averla raccattata? — domandava appunto il sagrestano. — Da Annetta Grant, — rispose True. — Ve la rammentate? È quella donna contro il cui figliuolo foste citato come testimonio d'accusa, quando furono rotte le vetrate della chiesa la sera innanzi il quattro giugno. Eh, no, non potete averla scordata, Cooper.... sembrava una furia, al dibattimento, si vendicava non risparmiando nemmeno Suo Onore, il giudice! Bene, era inviperita a quel modo e maltrattava la povera creatura la prima volta ch'io la vidi: la _seconda_ l'aveva cacciata di casa.... — Ah sì, me la rammento!... Un'orca!... Quella lì, m'immagino, non è mai stata amorosa neppure coi figliuoli propri, figuriamoci poi con gli altrui! Ma voi che ne farete della trovatella? — Che ne farò?... La terrò meco, caspiteretta, e ne avrò cura. — Cooper fece una risatina piuttosto sarcastica. — Sì, capisco, caro vicino, voi giudicate avventata questa risoluzione d'adottare una bimba, all'età mia: e forse è. Ma ora vi spiego com'è stato. La notte di cui vi raccontai, la piccina sarebbe morta se io non l'avessi raccolta; e anche dopo ricoverata qui, fu sul punto di morire, più volte; soltanto la grande assistenza che le prestai con l'aiuto di vostra figlia, potè salvarla. Ebbene, quella prima notte, parlando nel sonno, gridò a me tutto il suo dolore, si raccomandò a me come all'unico amico che mai avesse avuto (e credo infatti che sia così), supplicandomi di lasciarla rimanere.... Allora deliberai in cuor mio di far che rimanesse, ad ogni costo di tenermela come una figliuola e dividere con lei il mio ultimo tozzo, avvenga che può.... Il Signore è stato misericordioso meco, signor Cooper, molto misericordioso.... Mi mandò buoni amici nella mia profonda infelicità. Seppi anch'io da ragazzo quanto sia triste l'essere solo al mondo, senza babbo nè mamma; e quando vidi i patimenti di quella disgraziata creaturina, sentii che appunto perchè non era di nessuno apparteneva più particolarmente al Signore, e ch'io non potevo fare di più per servirlo nè dovevo far meno, che spartire con la poveretta il bene ch'Egli m'ha dato.... Ah, voi guardate intorno come per dirmi che qui c'è poco da spartire con chicchessia, e, davvero, molto non c'è.... ma, una cosa sì.... e una gran cosa per chi non l'ha mai avuta: _una casa_. Io ho ancora le mie brave braccia, e cuore gagliardo, e buona volontà. Con l'aiuto di Dio sarò un padre per quell'orfanella, e forse verrà il tempo ch'ella sarà per me una benedizione incarnata.... — Il signor Cooper scrollò il capo con aria di dubbio, e borbottò che i figliuoli, anche i veri, sogliono essere tutt'altro che benedizioni. Ma non ebbe il potere di scuotere la ferma fede di True nella saviezza e nella bontà della propria risoluzione. Questi, trasportato dall'ardore con cui parlava, era sorto in piedi e camminava su e giù per la stanza, a passi rapidi, eccitatissimo. Ritornò a sedere, e riprese: — D'altronde, caro Cooper, se anche non mi fossi determinato a tenere qui Gertrude la notte stessa che ce la portai, non l'avrei mandata via il giorno dopo perchè, io credo, il Signore mi parlò per bocca d'uno de' suoi santi angeli, e m'impose di perseverare nel mio proposito. «Voi conoscete la signorina Graham: frequenta regolarmente la vostra chiesa con suo padre, un vecchio signore di bell'aspetto.... Tre settimane fa, dopo quel tempaccio, io mi trovavo da loro, a spalare la neve nel cortile, ed essa mi fece chiamare in cucina.... Ah, sia benedetta la sua angelica faccia! Povera creatura! Il mondo è buio per lei, ma essa lo rischiara per gli altri.... Non vede lo splendore del cielo con gli occhi, come noi, ma lo vede meglio, perchè lo ha dentro l'anima sua, e quando sorride le raggia tutto dal viso, e sembra l'arco celeste del buon Dio che appare tra le nubi... Quante cortesie m'ha usate da che, or saranno cinque anni, mi toccò quella disgrazia nel magazzino del padrone! Anche il giorno della neve, dunque, mi mandò a chiamare per domandar notizie della mia salute e sentire se avessi bisogno di qualche cosa che potesse chiedere al suo babbo per me. Io allora le raccontai il caso di Gertrude, e ve l'assicuro, non avevo ancora finito di dire, che si piangeva tutt'e due. Mi pose in mano una certa somma di denaro, e m'incaricò di far fare dalla signora Sullivan il necessario per vestire la bambina; ma fece ben più: promise di venirmi in aiuto se mai mi trovassi in qualche difficoltà a cagione dell'impegno assunto; poi quando la salutai mi disse: «Non c'è dubbio, True, avete fatto bene: il Signore vi benedirà e vi ricompenserà della vostra buona azione.» — Egli era così commosso, così infervorato nel suo discorso, da non essersi avveduto di ciò che il sagrestano, per non interromperlo, aveva osservato in silenzio. Gertrude, uscita pian piano dal letto, gli stava accanto, e lo ascoltava con gli occhi fissi nel suo volto, e il respiro mozzo dall'intensa attenzione. Ella gli toccò una spalla; egli si volse, la vide, e le aperse le braccia. Con la faccetta nascosta nel suo seno, la piccina mormorò ansando, in uno scoppio di lacrime che eran lacrime di gioia: — Starò dunque con voi.... sempre? — Sì, finchè Dio mi dà vita, — egli rispose — tu sarai la mia figliuola! — V. Sollecita movea con piè leggero Per la piccola casa la massaia, Nè mai nell'alveare ape fu tanto Alacre e lieta all'opra.... MITFORD. Era una serata di vento. Gertrude, vestita decentemente, coi capelli lisci, con la faccia e le mani pulite, aspettava alla finestra il ritorno del lampionaio che finiva il suo giro. Stava benissimo adesso, meglio che non fosse stata, da anni, prima della sua malattia. Le cure e l'affetto avevano operato prodigi per lei. Ell'era sempre la bambina esile e palliduccia, dagli occhi e dalla bocca troppo grandi nel visetto minuto; ma la dolorosa espressione di sofferenza che le era consueta, aveva dato luogo a quella, piuttosto grave tuttavia, di un'intima felicità. Di fronte a Gertrude sedeva sull'ampio davanzale una grossa e veneranda gatta, madre del suo perduto tesoro e quindi a lei molto cara. Amorosamente ella le andava passando la mano sul dorso, carezza gradita alla matrona, che dimostrava la sua sodisfazione facendo le fusa. D'improvviso s'udirono rimbombare nel muro suoni tumultuosi. La casa era vecchia ed offriva un comodo soggiorno ai topi, i quali a giudicarne dalla strepitosa allegria cui s'abbandonavano ne avevano approfittato quella sera per dare un ballo. Pareva quasi che un camino rovinasse mattone per mattone. Gertrude non si spaventò punto. S'era tanto assuefatta ai muri abitati da quel genere d'inquilini quando dormiva nella soffitta d'Annetta Grant, che non faceva più caso di tali rumori. Non così però la veterana felina che subito rizzò le orecchie e manifestò con chiari segni la sua brama di correre a battaglia. Mai cavallo guerriero fu eccitato dagli squilli delle trombe come la brava micia dalle galoppate dell'orda nemica attraverso il solaio. — Ferma, micina, — ammonì Gertrude — ferma, intendi! Non è tempo di dare la caccia ai topi, ora.... Devi sedere qui e star buona finchè tu non vegga arrivare lo zio True, per sentire che dirà della camera e di _me_! — Ella si volse e girò gli occhi intorno con immenso compiacimento; poi, arrampicatasi sul davanzale ch'era larghissimo, all'uso antico, e di dove, rispondendo la finestra nella corte, poteva veder entrare il lampionaio, prese la gatta in collo, si spianò le pieghe del vestitino, gettò uno sguardo d'ammirazione e d'orgoglio sulla sua calzatura, ed assunse un atteggiamento composto col deliberato proposito d'esser paziente. Ma era inutile, non ci riesciva; le sembrava ch'egli non avesse mai tardato tanto; cominciava anzi a credere che non sarebbe venuto più, quando alfine lo vide svoltare entro il cancello. Benchè fosse già quasi buio ella notò che qualcuno lo accompagnava. Non le pareva il signor Cooper nè alla statura, meno alta, nè al passo; pure finì col concludere che doveva esser lui, perchè proseguì fino all'uscio suo ed entrò. Per quanto avesse atteso Trueman con viva impazienza, Gertrude non gli corse incontro come di consueto. Stette in ascolto, e non appena lo sentì venire dallo stambugio dove soleva fermarsi per appendervi al muro la scala e l'accenditoio, e deporre il camiciotto macchiato e i larghi calzoni che portava sopra i vestiti durante il lavoro, lesta lesta si nascose dietro l'uscio donde egli doveva passare nella camera. Senza dubbio ella gli aveva preparato una grande improvvisata e intendeva di goderne pienamente l'effetto. Ma la gatta, che non era tanto compresa dell'importanza della cosa, non dimenticò le buone creanze; e andò secondo il suo costume a dargli il benvenuto strofinando il capo alle sue gambe. — Ohe, mustacchiona! — fece True. — Dov'è la mia mimma? — Così dicendo chiuse l'uscio dietro a sè, e scoperse Gertrude. Ella d'un balzo venne a piantarglisi di fronte, rise; guardò i propri vestiti, poi guardò lui, bene in faccia, per vedere che impressione gli facesse il suo aspetto. — Corbezzoli, fa mai una figurona spanta la signorina! — esclamò egli sollevandola tra le braccia e portandola più presso al lume. — Tutta vestita di nuovo: abito, grembiule, scarpe! E chi t'ha pettinata? In verità, non dico che tu sia una bellezza, no, ma per carina sei carina! — La signora Sullivan m'ha vestita da capo a piedi, e m'ha spazzolato i capelli.... Ma ha fatto _anche più_.... o non vedete che _altro_ ha fatto? — True seguì gli occhi di Gertrude, in giro per la camera. Lo stupore che il buon uomo andava manifestando era tale da corrispondere all'aspettazione della bimba quantunque grandissima: e si capiva. Uscito la mattina, trovava la sera la sua casa trasformata. Evidentemente mani di donna ci avevano lavorato, facendovi pulizia e mettendo ogni cosa in ordine. Prima che Gertrude venisse ad abitare con lui egli s'era dispensato da qualsiasi ingerenza femminile nelle sue faccende domestiche. Viveva solo, visite non ne riceveva quasi punte; sicchè gli bastava fare il proprio comodo senza riguardo alle apparenze. Nel suo modesto quartierino la granata veniva adoperata di rado, l'acqua mai. Le due ampie finestre guardanti la corte erano trattate con grande ingiustizia, avendo i cristalli così appannati dalla polvere e dal fumo, che la gaia luce a cui davano adito nella stanza n'era mezzo offuscata. Festoni di ragnatele pendevano agli angoli del soffitto; intorno all'alta e vasta cappa del camino s'accumulava un curioso miscuglio d'oggetti utili e inutili; un visibilio di ciarpame stava raccolto sotto la stufa. I mobili, alcuni dei quali assai buoni, erano collocati a casaccio, in modo da ingombrare lo spazio invece di trarne partito. Durante la malattia della bambina poi, un letto preparato sul pavimento per uso di True, e tutte le diverse cose, necessarie all'assistenza della malata, avevano accresciuto la confusione a segno tale, che quasi ci sarebbe voluto un pilota per condurre i visitatori a salvamento attraverso la camera. Ora, la signora Sullivan era la nettezza in persona. La sua casa poteva gareggiare con una casa olandese. I suoi vestiti, di un'estrema semplicità ma esenti da ogni più lieve frittella, da ogni più piccola macchia, la facevano sembrare una quacchera; in quelli, anche da lavoro, del suo vecchio padre e del suo figliuolo giovanetto si scorgeva alla prima occhiata la cura d'una figlia, d'una madre, attenta e diligente. A fine d'assistere Gertrude ell'aveva per la prima volta posto piede in una stanza che era a quel punto il contrario della sua: e non sarebbe agevole comprendere quanto meritoria fosse la sua opera di carità, senza considerare che il contrasto era per lei sommamente penoso, e che ella ci pativa a passare qualche volta l'intero pomeriggio in una casa dove, come soleva poi dire quando rientrava nella sua, avrebbe con piacere fatto un po' di pulizia e messo un po' d'ordine solo per vedere che figura farebbe e se qualcuno saprebbe riconoscerla. Ell'era un minuzzolo di donna mingherlina, piccolina, ma aveva più capacità ed energia che non si sarebbe potuto trovarne in una qualsiasi tra venti altre grandi e grosse il doppio di lei. Ella sentiva una sincera compassione della gente che vive in un caos domestico; era sicura che non può esser gente felice. E però non appena Gertrude fu ristabilita risolse in cuor suo d'adoperarsi con tutte le sue forze per la causa dell'ordine e della nettezza che a' suoi occhi era la causa della virtù e della felicità, perchè ella immedesimava la purità e la lindura con la pace dell'anima. Se non che, sensibilissima com'era su questo punto, s'immaginava che True dovesse provare qualche cosa di simile, ed essendo la piccola donnina altrettanto tenera di cuore quanto linda e accurata, non avrebbe voluto per nulla al mondo mortificarlo; perciò andava studiando come entrargli in materia e persuaderlo a una riforma del suo metodo di tenere la casa, quando Gertrude stessa le suggerì il modo d'attuare il suo disegno. Il giorno innanzi quello del gran ripulimento, la signora Sullivan vide nel corridoio la bambina che stava timidamente presso l'uscio del suo quartierino guardando dentro con viva curiosità. — Vieni, vieni Gertrude, — disse la donnina benevola — fammi una visita! — E notando ch'ella si peritava d'intrudersi così in casa d'altri, la incoraggiò: — Mettiti a sedere qui accanto alla tavola e guarda che cosa stiro. Gli è proprio il tuo vestitino! Stirato questo, i tuoi panni sono bell'e pronti. Sei contenta di rivestirti un po', non è vero? — Oh, tanto contenta, signora! — rispose Gertrude. — Potrò portarmeli via, e tenerli tutti da me? — Sicuro. — Non so veramente dove riporli.... non c'è posto nella nostra camera.... almeno non un posticino a modo.... — E così dicendo la bambina gettava un'occhiata ammirativa alla cassetta aperta del cassettone dove la signora Sullivan riponeva il vestitino che aveva finito di stirare, sopra una pila d'altri indumenti accuratamente piegati. — Ma una parte, s'intende, ne indosserai, e per il resto bisognerà trovare un luogo adatto. — Voi, sì, avete dove metterla la vostra roba, — riprese Gertrude girando gli occhi intorno. — Che bella stanza, questa! — Non c'è mica molta differenza da quella del signor Flint. È circa della stessa grandezza e ha due finestre come la sua. Soltanto la mia dispensa è più comoda. La vostra non ha che tre angoli; ma quest'è tutto il vantaggio. — Oh, non c'è paragone, per altro! Voi qui non avete letti, e le seggiole sono tutte in fila e la tavola è lustra che sembra uno specchio, e il pavimento è ben pulito, e la stufa è nuova, e dalle finestre c'entra un sole splendido che consola! Ah, magari fosse così la nostra camera! Avrei proprio scommesso che è anche più piccola della metà.... Figuratevi, lo zio True stamani ha inciampato nelle molle, e diceva che non c'è tanto spazio da far dondolare un gatto! — Dov'erano le molle? — domandò la signora Sullivan. — Per terra, signora, proprio nel mezzo.... — Vedi, io non tengo la roba per terra. E credo che se la vostra stanza fosse ripulita e ogni cosa ci avesse il suo posto, farebbe quasi la stessa figura della mia. — Vorrei pure vederla messa tutta bene in ordine! — disse Gertrude. — Ma come fare coi letti? — Appunto ci pensavo. C'è quella dispensina che doveva essere uno stanzino da bagno quando la casa era nuova e abitata da signori; è grande abbastanza da collocarvi un lettino e due seggiole; potrebb'essere una comoda cameretta per te. Ora non c'è dentro che ciarpame da buttar via: se mai ci si trovasse qualche cosa di servibile, si riporrebbe nello stambugio. — Che bella idea! — esclamò la bambina. — Così lo zio True riavrebbe il suo letto.... Io dormirei là, sul pavimento. — Ma no, non è punto necessario che tu dorma sul pavimento. Io ho una buona piccola branda dove dormiva il mio Guglielmo quando abitava con noi. Te la presterò se mi prometti d'averne cura, e non di quella soltanto, ma di tutto ciò che sarà messo nella tua camera.: — Oh sì! — rispose Gertrude. — Ma — soggiunse esitando — credete che ne sarò capace? Non so far nulla io.... — Perchè nessuno t'ha mai insegnato nulla, povera figliuola: una ragazzetta d'otto anni può fare molte cose se ha pazienza e volontà d'imparare. Io te ne potrei insegnare parecchie che sarebbero utili e ti farebbero essere di grande aiuto allo zio True. — Dite, dite, che cosa posso fare? — Spazzar la camera tutti giorni, rifare i letti, dandoti qualcuno una mano per voltare le materasse, apparecchiare la tavola, tostare il pane, rigovernare. Forse da principio non ci riesciresti proprio bene bene, ma con la pratica t'andresti perfezionando, e a poco a poco finiresti col diventare una brava piccola massaia. — Desidero tanto di poter fare qualche cosa per lo zio True! Ma di dove incominciare? — Prima di tutto bisogna che la casa sia ripulita e messa in ordine da qualcuno. Se sapessi che il signor Flint ne sarebbe contento, chiamerei un giorno la Caterina McCarty ad aiutarci, e non dubito che egli poi si troverebbe assai meglio nella sua abitazione. — Io sono sicura che sarebbe contentissimo! Si farebbe una cosa grande! Posso aiutare anch'io? — Sì, farai quello che potrai; ma ci vuole Caterina. Quella è robusta e bravissima per la pulizia. — E chi è Caterina? — È la figliuola della signora McCarty che abita nella casa qui accanto. Il signor Flint rende loro vari servigi, come segar le legna e altri. Loro gli lavano la biancheria, ma non sono certo in grado di ripagarlo di tutto il bene che egli fece a quella famiglia. Caterina è una ragazza assai capace, e attiva. Verrà con molto piacere a lavorare per lui, quando che sia. Glielo chiederò. — Verrà domani? — Forse sì. — Domani lo zio True starà fuori tutta la giornata. Va a portare il carbone dal signor Eustachio. Non vi pare che sarebbe il momento buono? — A maraviglia! Procurerò che Caterina venga domani. — Caterina venne. La stanza fu ripulita in ogni sua parte, vi fu messo ogni cosa in perfetto ordine. Gertrude ricevette in consegna i suoi vestiti nuovi. Una muta ne indossò, l'altra fu riposta in un armadino trovato nella dispensa che pareva proprio fatto per il suo piccolo corredo. Quando Trueman ritornò dal lavoro rimase attonito dinanzi al risultato ottenuto col triplice concorso della Signora Sullivan, di Caterina e di Gertrude, per la quale il vivo piacere manifestato dal buon uomo rese memorabile quel giorno: un giorno ch'ella doveva ricordare per tutta la vita come il primo in cui aveva gustato la suprema forse tra le felicità terrene, quella d'essere datori di gioia ad altrui. Non già che la bambina avesse prestato un valido aiuto: le due vicine avrebbero sbrigato la faccenda altrettanto bene, e anzi meglio, s'ella fosse andata dove la mandava sempre Annetta Grant.... fuori dei piedi. Ma lei questo non lo vedeva; era una delle collaboratrici; aveva partecipato al lavoro con tutto il cuore, con tutta l'anima; dovunque le era stato permesso di metter mano s'era adoperata con tutte le sue forze. Poteva dire a buon dritto: «Lo abbiamo fatto _noi_: la signora Sullivan, Caterina ed _io_.» Una donna che non fosse stata di cuor gentile ed affettuoso come la signora Sullivan non avrebbe compreso nè considerato con simpatia il sentimento che rendeva Gertrude così bramosa d'_aiutarla_. Ma ella sì: perciò le aveva assegnato parecchi piccoli servizi, e la bimba s'era applicata a disimpegnarsene, con un giubilo che nessun favore, nessun dono largitole avrebbe potuto farle provare. Ella condusse True in giro per la camera, mostrandogli come la brava signora avesse giudiziosamente e ingegnosamente approfittato dello spazio nella disposizione dei mobili. Il letto, posto entro una nicchia del muro abbastanza larga e fonda da contenerlo, lasciava libera l'intera area quadrata della quale, dichiarò egli, era stato fatto un vero salotto. Stentava a credere che metà delle sue masserizie non fosse svanita in aria, così incomprensibile era per lui che si potesse avvantaggiarsi di tanto posto e tante comodità con un po' di sistema e d'ordine. Ma il suo stupore e il gaudio di Gertrude salirono all'apice quando ella lo fece entrare nell'antico stanzino del ciarpame trasformato in una buona e bella cameretta. — Affemmia! Affemmia!... — Il vecchio True non trovava altre parole. Andò a sedere accanto alla stufa, lustra che pareva nuova come quella della signora Sullivan, affermava Gertrude, si stropicciò le mani, ghiacce dall'essere state lungamente esposte al gelo di quella sera invernale, le tese verso il fuoco, e abbracciò in un solo sguardo la sua casa rinnovellata e la sua piccola massaia, la quale, seguendo le accurate indicazioni datele dall'amorevole vicina, si preparava ad apparecchiare la tavola e arrostire il pane per la cena. Ritta sopra una seggiola prendeva le tazze e i piattini di fra le file regolari dei piatti rilucenti nella credenza a tre angoli, dopo aver deposto sul palchetto inferiore, a cui poteva arrivare dal suolo, il vassoio contenente le fette di pane fini e lisce che la signora Sullivan aveva avuto la previdenza di tagliare per lei. Egli seguì con gli occhi le sue mosse, per due o tre minuti, poi s'abbandonò a un breve soliloquio: — La signora Sullivan è una gran brava donna, quest'è certo, e la mia casa è adesso una vera casa, e Gertrude va diventando la pupilla de' miei occhi, e io sono felice come.... — VI. Sogna talun che quando la tempesta Della passione irrompa, egli a sua voglia Sedarla possa, e dir: _Pace! T'acqueta!_ COWPER. Ma a questo punto Trueman fu interrotto. D'improvviso qualcuno, annunziato da un suono di passi rapidi e rumorosi, aveva aperto l'uscio, senza cerimonie. — Zio True, — disse il nuovo venuto — eccovi il vostro pacco. Voi ve n'eravate dimenticato, ci scommetto, e non me ne sono rammentato neppur io se non quando la mamma l'ha veduto sulla tavola dove l'avevo posato. Che volete, ero tutto preso dal mio ritorno a casa.... — Sicuro, sicuro!... — rispose il lampionaio. — Ti ringrazio, Guglielmo, d'esserti dato la briga di portarlo tu.... È roba fragile, e probabilmente io l'avrei fatto andare in frantumi prima d'arrivar in porto. — O che cos'è? Non ho potuto indovinare. — È un gingillo che voglio regalare alla Gertrudina, qui.... — Guglielmo, Guglielmo! — chiamò la signora Sullivan dall'uscio dirimpetto. — Hai avuto il tè, caro? — Veramente no, mamma. E voi? — Noi, sì. Ma te ne preparo subito dell'altro. — No, no! — fece Trueman. — Resta, e prendi il tè con noi.... resta, ragazzo mio, prendilo con noi, stasera! La mia piccola Gertrude sta appunto arrostendo il pane.... Sentirai che famosi crostini! Io intanto metto il tè.... — Resto, e con grande piacere! — disse Guglielmo. — Mamma, non occorre che mi prepariate nulla da cena: prendo il tè con lo zio True.... Bene, vediamo che c'è di bello nell'involto.... Ma no, prima voglio vedere cotesta Gertrudina. La mamma mi ha tanto parlato di lei. Dov'è? Sta bene, ora? È stata molto malata, non è vero? — Sì, sta proprio benone. Gertrude, vieni qui! Gertrude!... O dove s'è cacciata? — Là, sotto la panca! — rispose il ragazzo ridendo. — Possibile che abbia paura di me? — Non mi figuravo che fosse salvatica a questo segno! — esclamò True. — Suvvia, scioccherella, — soggiunse andando verso di lei — esci di lì e guarda Guglielmo. Questo è Guglielmo Sullivan. — Io non ho nessuna voglia di vederlo, — mormorò Gertrude. — Non hai voglia di vedere Guglielmo? — replicò il buon uomo. — Tu non sai quel che tu ti dica! Guglielmo è il più bravo figliuolo che mai ci fu al mondo, e m'immagino che tra poco sarete amiconi. — Io non gli piacerò, — disse la bambina. — So che non posso piacergli. — O perchè non dovresti piacermi? — domandò il ragazzo avvicinandosi all'angolo dov'ella se ne stava nascosta con la faccia tra le palme, com'era suo costume quando qualche cosa l'angosciava. — Scommetto invece che mi piacerai moltissimo appena t'avrò veduta! — Così dicendo si chinò, le scoperse la faccia prendendole le mani e tenendole strette tra le sue, le piantò gli occhi addosso, e salutando con uno scherzoso cenno del capo disse piacevolmente: — Come va, cuginetta Gertrude, come va? — Io non sono tua cugina, — ella rispose. — Ma sì, sei.... — affermò egli. — Lo zio True è zio tuo e mio, sicchè siamo cugini.... non è chiaro? E desidero che facciamo conoscenza.... — Gertrude non seppe resistere alla cordialità di Guglielmo. Si lasciò tirar fuori dal suo nascondiglio e condurre verso la parte meglio rischiarata della stanza. Ma quando fu presso al lume tentò di liberar le mani per coprirsi di nuovo il viso. Egli non glielo permise; e attraendo la sua attenzione sul pacchetto non ancora aperto, eccitando la sua curiosità circa l'oggetto che poteva contenere, riuscì a distrarre il suo pensiero da lei stessa, di guisa ch'ella non tardò a rinfrancarsi. — Lo zio True dice ch'è per te.... Io non ho idea di ciò che possa essere.... e tu? Tasta, gli è qualche cosa molto duro.... — Gertrude tastò, e guardò il lampionaio maravigliata e curiosa. — Guglielmo, aprilo, — disse questi. Guglielmo cavò di tasca un coltellino, tagliò lo spago, tolse il foglio di carta, e scoperse una di quelle figurine di gesso, tanto comuni, rappresentanti il piccolo Samuele in orazione. — Oh, che bellezza! — esclamò Gertrude brillando di gioia. — O come non ho indovinato? — disse il ragazzo. — Avrei pur dovuto riconoscerlo al tasto! — Ah, tu l'avevi già veduto? — domandò ella. — Non questo medesimo, ma tanti altri simili. — Davvero? Io non ne vidi mai. Non c'è al mondo, credo, una più bella cosa. Zio True, dite, è proprio per me? Dove l'avete trovato? — L'ho avuto grazie a un caso singolare. Minuti prima d'incontrarti, Guglielmo, ero fermo all'angolo della strada per accendere il mio lampione, quand'ecco vedo venire uno di quei ragazzi forestieri che vendono le figurine. Ne aveva dimolte come questa, e anche qualcuna nera, tutte messe in bella mostra sopra una tavola, e camminava con quella roba in capo. Mentre io lo guardavo pensando come mai facesse a reggerle ritte, gli succede d'urtar la tavola nella colonna del lampione, e, patatrac, le figurine precipitano di sotto. Fortunatamente per lui c'era accosto al marciapiede un bel monte di neve morbida, dove sono andate a cascare, la maggior parte senza danno. Solo alcune scappate sui mattoni si sono ridotte in briciole. Mi faceva compassione, poveretto; era tardi, e sicuro doveva averne vendute pochine se gliene restavano tante sulle braccia.... — Sulla testa, volete dire, — osservò Guglielmo. — Bene, sulla testa, o sulla neve, o dove più vi garba, signorino, — fece il lampionaio. — Ed io so che cosa avete fatto voi, zio True, come se fossi stato presente. Avete posato la scala e l'accenditoio, e vi siete messo all'opera aiutandolo a raccattarle.... Conosco il vostro costume. Spero che se mai aveste a trovarvi in qualche difficoltà voi stesso, qualcuno di coloro che aiutaste sarà pronto a contraccambiarvi. — Quello lì, Guglielmo, non ha aspettato ch'io mi trovassi in qualche difficoltà: m'ha contraccambiato subito. Ha strisciato una riverenza, toccandosi il cappello, come se io fossi il primo signore del paese, e con un discorso nel suo gergo, del quale non capivo una saetta, ha insistito perchè accettassi una delle sue figurine. Io stavo per dirgli che non la volevo, ma poi ho pensato che forse piacerebbe alla mia piccola Gertrude.... — Oh sì, mi piace! — disse la bambina. — L'avrò più caro.... no, non _più_, ma quasi altrettanto caro che il mio gattino; non proprio altrettanto, perchè quello era vivo.... insomma, _quasi_. Non ha un'aria di ragazzino bravo, dite? — True vedendo Gertrude tutta rapita dalla sua figurina, andò a preparare il tè lasciando che i due ragazzi s'intrattenessero tra loro. — Devi aver cura di non romperla, — disse Guglielmo. — Avevamo una volta in bottega un Samuele proprio eguale a questo; io sbadatamente lo lasciai cadere sul banco e lo ruppi in mille pezzi. — Come lo chiami? — Un Samuele: sono tutti Samueli. — E che è un _Samuele_? — È il nome del fanciullo che la figura rappresenta. — O chi sa perchè sta così sulle ginocchia? — Guglielmo rise. — Che? Tu non lo sai? — No. Perchè? — Prega. — E ha per questo anche gli occhi vòlti in alto? — S'intende: pregando volge gli occhi al cielo. — Dove? — Al cielo. — Gertrude guardò il soffitto seguendo la direzione degli occhi di Samuele,, e poi di nuovo la figura. Pareva stupita e insodisfatta. — Via, non credo che tu non sappia che cosa sia la preghiera, — disse Guglielmo. — Io no. Spiegamelo. — Tu dunque non preghi mai? Non preghi Dio? — No. Che cos'è Dio? Dov'è Dio? — L'ignoranza della bambina scandalizzò Guglielmo profondamente. Egli rispose con reverenza: — Dio è in cielo, Gertrude. — Ma io non so che luogo sia, cotesto.... Non so nulla delle cose che tu dici. — Infatti, mi pare.... Io _credo_ che Dio sia lassù di là dal cielo che noi vediamo, ma il mio maestro della scuola domenicale dice che «Dio è dappertutto dov'è la bontà».... o alcun che di simile.... — Le stelle sono in cielo anch'esse, dunque? — Così sembra. Sono nel firmamento oltre il quale io mi figuro che sia il paradiso, il cielo vero. — Mi piacerebbe andarci, in paradiso. — Forse, se tu sarai buona, un giorno ci andrai. — E quelli che non sono buoni non ci possono andare? — No. — Sicchè io non ci vo di certo, — disse Gertrude, accorata. — Perchè mai? Non sei buona tu? — Oh no! Sono molto cattiva. — Che strana creatura! — esclamò Guglielmo. — O per qual ragione t'immagini d'essere tanto cattiva? — Per la ragione che una cattiva come me non c'è mai stata, — ella rispose con accento d'amara tristezza. — Io sono la peggiore bambina del mondo, lo so. — Ma chi lo dice? — Tutti. Annetta Grant me lo ripeteva sempre e giurava che tutti lo dicono. E poi lo so io stessa. — Annetta Grant è quella vecchia perversa con la quale tu vivevi? — Sì. Come sai ch'è perversa? — La mamma mi ha raccontato tutto. Ebbene, dimmi un po', non ti mandava a scuola, non t'insegnava almeno qualche cosa? — Gertrude scrollò il capo. — Ah, quanto ti rimane da imparare! Che facevi quando stavi con lei? — Niente. — Non facevi niente, e non imparavi niente? Misericordia! — Ma adesso una cosa l'ho imparata: so arrostire il pane. Me l'ha insegnato la tua mamma. Ne ho arrostito una fetta, sul suo fuoco.... — Così dicendo si rammentò a un tratto che trascurava di arrostire quello per il tè. Subito mosse verso la stufa, ma era troppo tardi; i crostini erano bell'e pronti, e Trueman aveva già messo in tavola. — Oh zio True! — ella fece. — Volevo prepararlo io, il tè, sapete.... — Lo so, lo so; — diss'egli — ma non importa, lo preparerai domani. — Gli occhi della bambina s'empirono di lacrime. Pareva molto mortificata, ma non disse nulla. Sedettero a cena. Guglielmo collocò il Samuele nel centro della tavola, come ornamento, e raccontò tante lepide storielle, disse tante piacevoli facezie, che Gertrude finì col ridere di cuore e dimenticò di non aver arrostito lei il pane, dimenticò la sua tristezza, la sua ritrosia, e perfino la sua disgrazia d'esser brutta e cattiva. Per la prima volta fu una bimba allegra. Dopo il tè sedette accanto a Guglielmo nel gran seggiolone, e alla sua maniera tutta speciale, con molte espressioni e osservazioni bizzarre, prese a descrivere la sua vita in casa d'Annetta Grant, e concluse narrando in termini commoventi la tragica morte del gattino. I due ragazzi sembravano bene incamminati a diventare amiconi secondo il desiderio dello zio True. Questi sedeva di faccia a loro, dall'altro lato della stufa, con la pipa tra le labbra e i gomiti sulle ginocchia, guardandoli amorosamente, bevendosi le loro parole. La sua presenza non li metteva punto in soggezione. Il buon uomo così semplice e tenero di cuore, così facile a contentarsi, a divertirsi, e lento a biasimare, a disapprovare, non era certo fatto per reprimere la gaiezza e la libertà dei giovanetti baldi, dei fanciulli spensierati. Egli rideva quando Gertrude e Guglielmo ridevano; pipava a gran boccate, con aria di tranquilla sodisfazione, quando parlavano posatamente; smetteva di fumare e deponeva la pipa in grembo per asciugarsi di nascosto una lacrima quando la bambina narrava le sue dure sofferenze. Aveva pianto nell'udire la prima volta quella storia, e per quanto spesso la riudisse, non era mai _senza piangere_. Gertrude, finito ch'ebbe il suo doloroso racconto, interrotto da Guglielmo con frequenti esclamazioni di pietà e di sdegno, stette un poco in silenzio; poi, avendo il ricordo dei torti patiti eccitato la sua natura indomita e impulsiva, proruppe nelle più acerbe invettive contro Annetta Grant, parlando adesso in un tono tutt'altro che patetico, servendosi di parecchi termini rozzi e triviali usati dalla gente priva d'educazione fra cui era vissuta. Il linguaggio della piccina palesava un odio implacato e perfino una speranza di futura vendetta. True pareva urtato e turbato nel sentirla parlare così irosamente. Mai da che l'aveva presa seco non gli era accaduto d'assistere a un simile sfogo del suo temperamento; e però, nella propria tenerezza per lei, s'era creduto sicuro ch'ella sarebbe sempre docile e gentile come durante la sua malattia e le poche settimane seguenti. Placido, affettuoso, indulgente com'egli era, non poteva immaginarsi che una creatura umana, specie a quell'età, fosse capace d'alimentare sentimenti d'ira e di rancore. Gertrude aveva mostrato tanta dolcezza, tanta pazienza da quando stava con lui, era stata sempre tanto sottomessa a' suoi voleri, ansiosa anzi di prevenirli, che mai il timore d'incontrare qualche difficoltà nel governo della bambina non aveva attraversato il suo spirito. Ma osservando quegli occhi fiammeggianti, notando il piccolo pugno chiuso nell'atto ch'ella minacciava da lontano la vecchia Grant del suo inestinguibile furore, egli vagamente presentì che sarebbe stata un'ardua impresa disciplinare la sua figliuola adottiva, e un senso quasi di sgomento l'assalse all'idea d'aver forse assunto un obbligo al quale non era in grado di sodisfare. Ella d'un tratto cessava d'essere per lui il cucco, il trastullo in cui s'era compiaciuto fino allora. Vedeva in lei qualche cosa che necessitava un freno, ed egli si sentiva inetto ad applicarlo. Nulla di più naturale: True _era_ veramente inetto a tener fronte a un carattere come quello di Gertrude. Certo, il grande affetto ch'ella gli portava gli conferiva un potente influsso su lei. La sua docilità, la sua pazienza durante la malattia, l'ardore della sua gratitudine per le cure amorevoli da lui prodigatele, l'ansioso desiderio di contraccambiarlo in qualche modo, derivavano unicamente da quell'amore per il suo primo amico: amore profondo che, sempre saldo, sempre più forte, doveva con gli anni divenire una nobile sorgente d'attività, un prezioso incentivo di virtù. Illuminato e invigorito da una luce superiore venuta a tempo a santificarlo, esso le diede, mentre non era ancora che una tenera giovanetta, il coraggio, la fortezza d'animo, l'abnegazione d'una vera donna; e confortò gli ultimi anni del vecchio, circonfuse di serena letizia il suo letto di morte. Ma per il presente non bastava. La riconoscenza aveva addolcito il cuore di Gertrude per i suoi benefattori; nondimeno gli effetti d'otto anni di mal governo, di cattivi trattamenti, di mancanza d'ogni giudiziosa disciplina, non potevano esser distrutti tanto presto. Era impossibile domare di colpo quella natura selvaggia, nè sviluppare le sue facoltà migliori se non educandole. La pianta che crescendo in un terreno sterile, priva di sole e di buon nutrimento, vien su torta, stenta, infeconda, non può riaversi a un tratto da sì crudele strapazzo. Trapiantata in un suolo diverso, bisogna raddrizzarla e nutrirla con cura, bisogna ravvivarla alla calda luce del cielo innanzi che ripari i danni della negligenza di cui sofferse nella prima età, e giunga ad espandere i suoi fiori, a maturare i suoi frutti. Così con la piccola Gertrude: era necessario dare una nuova direzione alle sue idee, un nuovo alimento alla sua mente, una nuova luce alla sua anima, perchè i più alti fini per cui ell'era creata fossero conseguiti. True lo sentiva, in confuso, e n'era turbato. Non cercò tuttavia di reprimere l'irruenza della bambina. Non sapeva che fare, e però non fece nulla. Guglielmo tentò, due o tre volte, d'arrestare quella fiumana di parole oltraggiose, ma visto ch'ella non gli dava retta, finì col lasciarla dire. Egli non poteva rattenersi dal sorridere del suo puerile furore, nè dal parteciparvi in una certa misura: quasi quasi avrebbe voluto trovarsi un momento di fronte ad Annetta Grant per manifestarle la propria opinione sul suo carattere con quattro solenni pugni. Ma egli era un ragazzo bene educato da una madre d'animo mite e gentile, e l'escandescenza di Gertrude cominciava a fargli comprendere perchè tutti la credessero tanto cattiva. Dopo aver durato un pezzo a vuotare il sacco, ella si chetò da sè, quantunque le rimanesse sul volto un'espressione spiacevole: espressione consueta un tempo e che purtroppo la collera faceva ricomparire. Svanì presto, però, e quando, più tardi nella serata, apparve sull'uscio la signora Sullivan, ella le mosse incontro tutta lieta e ridente e ascoltò col più vivo compiacimento i caldi ringraziamenti di True per la prodigiosa trasformazione della sua casa. E nel dare la buona notte a Guglielmo quand'egli se n'andò con la sua mamma, lo pregò di ritornare a farle così gradevole compagnia. I suoi occhioni brillavano mentre ritta sulla soglia con la mano nella mano del lampionaio salutava i visitatori. — Curiosa quella bimba! — disse Guglielmo alla madre appena si furono allontanati abbastanza da non essere uditi. — Ma a me piace. — VII. La preghiera è sospir che allevia il cuore, È lacrima cadente Dagli occhi vòlti al ciel quando il Signore Solo è presente. MONTGOMERY. Sarebbe stato difficile trovare due fanciulli appartenenti entrambi alla classe povera le cui condizioni nella vita presentassero un maggior contrasto che, fino allora, quelle di Gertrude e di Guglielmo. Alla negletta orfanella erano mancate le cure e più ancora l'affetto di cui l'altro aveva sempre goduto. Il marito della signora Sullivan, un intelligente pastore di villaggio, venuto a morire mentre il loro figlioletto era ancora in tenerissima età, non aveva lasciato sostanze che bastassero al mantenimento della piccola famiglia: perciò la vedova era ritornata alla casa paterna col bambino. Il vecchio Cooper dal canto suo aveva bisogno della figliuola, perchè, da quando ell'era andata sposa, la morte aveva fatto strage sotto il suo tetto ed egli era restato solo. Da quel momento i tre vivevano insieme, in un'umile agiatezza assicurata dal lavoro e dalla frugalità anche ai poveri. Guglielmo era l'orgoglio della madre, la sua speranza, il suo costante pensiero. Ella non risparmiava a sè stessa nè fatiche nè pene per procurargli il benessere fisico e la felicità morale, per fare che egli progredisse nel sapere e nella virtù. E come non doveva ella essere superba di quel ragazzo che con la bellezza non comune, i modi attraenti, le precoci manifestazioni d'una nobile e virile natura si faceva amare perfino dagli estranei? Egli era stato un bel bambino; ma ora che toccava i tredici anni, ciò che colpiva nel suo aspetto non era già l'ordinaria bellezza degli adolescenti consistente solo in una chioma ricciuta, occhi vivaci, gote rosate; era qualche cosa d'assai più notevole: l'ampiezza della fronte che denotava un'aperta intelligenza, la calma e la serenità dei larghi occhi grigi, l'espressione risoluta eppur tanto dolce della bocca, lo sviluppo della ben formata persona, il vigore del colorito indizio d'una perfetta salute che prometteva forza e gagliardia nell'uomo futuro. Nessuno poteva passare mezz'ora in compagnia di Guglielmo senza esser tratto ad amarlo e ammirarlo. Era per indole cordialissimo e affettuoso, e la tenerezza materna, la benignità del mondo per lui tutto sorriso, favorivano questa sua naturale inclinazione; aveva una somma esuberanza di spiriti vitali, ma la temperava il deferente rispetto verso i maggiori d'età e i superiori; partecipava con sincera simpatia alle gioie e ai dolori altrui; insomma era una di quelle creature geniali che si cattivano tutti i cuori senza saper come. Amava lo studio, e fino ai dodici anni aveva regolarmente frequentato la scuola. Nelle nostre grandi città i figli dei poveri godono in materia d'istruzione quasi tutti i vantaggi che può dare la ricchezza. E poichè il fanciullo era capacissimo e la madre costantemente lo esortava a trarre il maggior profitto possibile dalle opportunità offertegli, i suoi progressi furono straordinari. Dodicenne appena, gli si presentò la buona occasione d'entrare al servizio d'un farmacista nella cui bottega c'era molto spaccio e occorreva un ragazzo per aiuto. Il signor Bray gli assegnava un salario piuttosto modico, ma lasciava sperare un aumento; in ogni caso la sua proposta non era disprezzabile date le condizioni di Guglielmo. Quantunque fosse attaccato a' suoi libri, egli desiderava ardentemente d'impiegarsi al fine di contribuire a sostenere il peso della famiglia. E pertanto, ottenuto il consenso della madre e del nonno, accettò. I giorni di lavoro dormiva nella farmacia, e non aveva quasi mai agio di fare una scappatina a casa dove la sua assenza era dolorosamente sentita. Soltanto il sabato sera ci veniva per trattenersi a passare co' suoi la domenica. Quella era la serata di festa della signora Sullivan, e il giorno del Signore le pareva doppiamente benedetto. Quando, il sabato che fece la conoscenza di Gertrude, Guglielmo ritornò nella camera di sua madre, sedette a discorrere con lei e col signor Cooper. La conversazione si prolungò per un'ora buona. Egli riferiva gli avvenimenti della settimana, raccontava molti piccoli aneddoti; aveva sempre da dire tante cose intorno alla farmacia, agli avventori, al farmacista suo padrone, alla famiglia di lui, con la quale prendeva i suoi pasti. Per la signora Sullivan tutto ciò che interessava Guglielmo era attraente, ed un osservatore avrebbe notato che anche il vecchio nonno si divertiva a udire il ragazzo più che non volesse lasciar scorgere. Infatti, benchè se ne stesse lì zitto, con gli occhi a terra, come se non ascoltasse, gli accadeva poi d'alludere al soggetto di questo o quel discorso, in modo da provare che lo aveva seguìto attentamente. Di rado rivolgeva al nipotino qualche domanda: ma invero non ce n'era bisogno, perchè la mamma lo interrogava per due. Più di rado ancora faceva commenti; usciva però talvolta in espressioni sdegnose e sprezzanti sia contro singole persone sia contro il mondo in generale, manifestanti quella disistima della natura umana, quella mancanza di fiducia nell'onestà e nella virtù degli uomini, ch'erano un tratto rilevante del suo carattere. Guglielmo, lì per lì, ne rimaneva un po' avvilito: _egli_ amava _tutti_, aveva fede in _tutti_, e le parole del vecchio, il tono con cui le proferiva, erano come un gelido soffio sull'ardore della sua anima giovanile; ma con l'elasticità e il cuor gaio di quell'età felice, si riaveva subito, ritornava qual'era per sua natura. Egli non temeva il nonno, il quale non aveva mai usato severità con lui, essendosi astenuto da ogni ingerenza nell'educazione che gli dava la madre, ma a volte si sentiva agghiacciare, senza comprenderne il perchè, dal disaccordo tra la propria calda cordialità e la sua misantropia. Quella sera, venuti a ragionare di Trueman Flint e della sua figlioletta adottiva, Cooper s'era mostrato più amaramente satirico che mai, e, prendendo il suo lume per andare a coricarsi, aveva concluso che, secondo lui, Gertrude non poteva essere per il buon uomo se non una cagione d'impicci e dispiaceri, e ch'era stata una vera pazzia non mandarla addirittura all'ospizio. Uscito il vecchio, madre e figlio rimasero un poco in silenzio. Poi Guglielmo domandò: — Mamma, perchè il nonno odia così la gente? — Ma no, caro, non odia nessuno. — Non intendevo dir proprio _odiare_ in senso assoluto; questo non lo penso neppure io. Ma infine parla come se non ci fosse persona al mondo di cui abbia stima. O non vi pare? — Sì.... almeno non ne dimostra. Ma di te, ne ha moltissima, e farebbe qualunque sacrifizio per risparmiarmi un dolore, e ha molta amicizia per il signor Flint, e.... — Sicuro, sicuro.... lo so. Tuttavia non crede che il cuore umano sia capace di gran bontà, e gli sembra impossibile che qualcuno si volga al bene.... — Capisco, ti fa specie quello che ha detto circa la piccola Gertrude. — Oh, non è la sola di cui voglio parlare! Quello che ha detto di lei m'ha dato occasione d'entrarvi su questa cosa; ma io l'avevo già notata parecchie volte, segnatamente da che non sono più a casa che un giorno della settimana. Per esempio, voi sapete che uomo sia il signor Bray, e in qual considerazione io lo tenga; ebbene, mentre raccontavo dianzi quanto buono e benefico è stato verso la povera signora Morris che ha la figliuola malata, il nonno aveva l'aria di non crederlo, o di non farne alcun conto. — Ti dirò, Guglielmo, non devi troppo maravigliarti ch'egli sia così: ha sofferto tanti disinganni! Riponeva, come sai, molte speranze nello zio Riccardo, e invece ebbe per cagion sua affanni e guai senza fine; poi, ci fu il marito della zia Sara.... Ah, sembrava un uomo tanto ammodo quando Sarina lo sposò, e finì col truffare il babbo terribilmente, sicchè fu costretto a ipotecare la sua casa di Via Alta, e da ultimo a cederla!... Basta, lo sciagurato è morto, e non voglio inveire contro di lui; ma egli deluse la nostra aspettazione, e Sarina, credo, ne morì di crepacuore. Fu una prova oltremodo dolorosa per il povero babbo, perchè ell'era la minore, e la sua prediletta. E subito dopo, la mamma fu colpita dalla malattia a cui soccombette, secondo lui non senza colpa d'un ciarlatano di medico il quale le prescrisse una cura più dannosa che altro. Una tal somma di disgrazie spiega com'egli veda tutto nero adesso nella vita.... Ma tu non devi badarci, Guglielmo, devi pensare piuttosto a mantenere le buone promesse che dài di te, e vedrai ch'egli ne sarà consolato e superbo. Nulla gli fa tanto piacere quanto il sentirti lodare, e aspetta grandi cose dal suo nipote! — Qui la conversazione ebbe termine; ma non senza che il ragazzo aggiungesse un nuovo proponimento ai molti già fatti: quello di provare al nonno, se Dio gli conservava la salute e il vigore, che le speranze non sono sempre ingannevoli nè i timori sempre fondati. Beato il giovanetto che ha ognora dinanzi a sè l'alta mèta d'un sentimento nobile e generoso! Quale stimolo all'attività, alla perseveranza, all'abnegazione! Quale impulso a sforzi di più in più strenui! Timori che spegnerebbero ogni ardore, scoraggiamenti che farebbero perdere ogni baldanza, fatiche che opprimerebbero, ostacoli di fronte a cui cadrebbe l'animo, opposizioni che stremerebbero le forze, tentazioni che sarebbero irresistibili, tutto tutto è superato, abbattuto, domato da colui che con un fine sincero e degno combatte per la vittoria! Perciò gli uomini venuti al mondo in mezzo agli onori e alle ricchezze, allevati nel lusso, di rado compiono grandi cose. Non sono _nati_ per la fatica, e senza fatica nulla che abbia un reale valore può essere ottenuto. Oh, perchè non si propongono essi, come movente supremo delle loro azioni, come unica mèta della loro vita, di trionfare d'una condizione così svantaggiosa, d'acquistare dottrina, saviezza, virtù, nonostante quelle ricchezze perniciose, quei vani onori, quel lusso snervante che agli occhi chiaroveggenti dei savi e degli angeli sono la più mortale delle insidie? Guglielmo aveva un incitamento al bene fin dai suoi teneri anni. Il suo nonno era di grave età, la sua mamma di debole complessione. Egli doveva divenire il sostegno della loro vecchiaia, doveva lavorare per mettersi in grado di provvedere al loro sostentamento e al loro benessere; doveva fare ancor _più_: essi speravano da lui cose egregie, e _bisognava_ che le loro speranze non fossero deluse. Non dimenticava però il presente, mentre s'armava per il futuro conflitto col mondo. Si mise a tavolino e imparò le sue lezioni per la scuola domenicale. Poi, secondo il costume, lesse ad alta voce qualche passo della Bibbia. Infine la signora Sullivan, ponendo la mano sul capo del suo figliuolo, offerse per lui al Signore una semplice e fervida preghiera: una di quelle preghiere materne che il fanciullo ascolta con reverenza ed amore, e l'uomo maturo ricorda; preghiere che ci tengono lontani dalle tentazioni e ci liberano dal male. Quella sera la piccola Gertrude, quando, partito Guglielmo, restò sola con True, sedette su un panchettino basso, accanto a lui, e rimase un pezzo senza parlare, fissando tutta intenta la bianca figurina di gesso che si teneva in grembo. Ma certo, la sua mente infantile lavorava, perchè l'espressione del pensiero le appariva manifesta nel viso. True, il quale di rado era il primo a rompere il silenzio, vedendola così insolitamente cheta, le alzò il mento e la guardò con aria interrogativa. — Ebbene, — disse poi — non ti pare che Guglielmo Sullivan sia un gran bravo ragazzo? — Sì, — rispose Gertrude, ma come se, assorta in un'altra idea, non sapesse bene che diceva. — Ti piace, dunque? — domandò egli. — Moltissimo, — fece lei, sempre distratta. Egli aspettava ch'ella cominciasse a discorrere della sua nuova conoscenza; ma per un minuto o due la bambina seguitò a tacere, poi, alzando gli occhi, uscì a dire: — Zio True? — Che vuoi, cara? — Perchè prega Dio, Samuele? — True inarcò le ciglia. — Samuele?... Prega?... In verità, non so di che tu voglia parlare.... — Ecco, — riprese Gertrude sollevando la figurina — Guglielmo dice che questo ragazzino si chiama Samuele, e che sta in ginocchio, e tiene le mani giunte, _così_, e guarda in alto, perchè prega Dio che abita lassù, in cielo. Io non capisco che cosa sia quel cielo che intende lui.... E voi? — Il buon uomo presa la statuina la osservò attentamente, si dimenò sulla seggiola, si grattò il capo: alfine disse: — Eh sì, credo ch'egli abbia ragione.... Questo bambino prega, non c'è dubbio; io non ci avevo badato. Ma non so proprio perchè lo chiami un Samuele. Glielo domanderemo uno di questi giorni. — Bene. E perchè Samuele preghi Dio, lo sapete? — Lo prega perchè lo faccia buono. Le persone che pregano Dio diventano buone. — Può Dio far buona la gente? — Sicuro. Dio è grande. Egli può tutto. — E come arriva a _udire_ chi prega? — Dio ode e vede ogni cosa, nel mondo. — E vive su in cielo? Dove sono le stelle? — Sì, nell'alto del cielo. — Gertrude fece molte altre domande: domande strane alle quali il povero True non sapeva rispondere, domande ch'egli si maravigliava di non aver mai rivolte a nessuno. Egli aveva un cuore umile e amoroso ed una fede infantile; se non era fornito che d'una scarsa istruzione religiosa, si sforzava però di mettere a buon profitto i lumi che possedeva. E forse nella sua pratica fedele delle virtù cristiane, specie nell'obbedienza alla gran legge della carità, egli s'avvicinava allo spirito del Divino Maestro, più di molti che grazie a lunghi studi e quotidiane letture si sono resi familiari con le sacre dottrine. Ma non aveva mai scrutato le sorgenti profonde di quelle credenze sulle quali non cadeva dubbio nell'animo suo, e non si trovava affatto preparato a risolvere le questioni che la piccola Gertrude gli andava proponendo in quel subito svegliarsi della sua mente acuta e indagatrice. Le rispondeva tuttavia come poteva meglio, e quando non ci arrivava, non esitava punto a rimandarla a Guglielmo, che, diceva egli, frequentando la scuola domenicale doveva sapere un visibilio di cose in tale materia. Tutto ciò ch'ella giunse a ricavarne si ridusse alla cognizione di questi tre fatti: Dio è in cielo, il suo potere è grande, la preghiera rende gli uomini migliori. Il suo cervellino in effervescenza era così pieno delle nuove idee, che, venuta l'ora di coricarsi, neppure il piacere d'andar a dormire per la prima volta nella sua cameretta potè distrarnela. E quando fu nel suo lettino, e True ebbe portato via il lume, non s'addormentò. Aveva giusto di faccia la finestra, come nella soffitta d'Annetta Grant; però una finestra molto più grande, che offriva a' suoi occhi una più ampia veduta. Il cielo era tutto sfavillante di stelle, e quello spettacolo ravvivò in lei la maraviglia e la curiosità che un'altra volta le aveva destato. «Chi accendeva quei lumi così fulgidi e così lontani?» Ma adesso, contemplandoli, un subito pensiero le attraversò la mente come un baleno di luce: — Li accende _Dio_! Oh, Egli dev'esser pur grande e potente! Ma anche un bambino può pregarlo! — Balzò dal letto, andò davanti alla finestra, e s'inginocchiò giungendo le mani e alzando lo sguardo al cielo, nell'atteggiamento stesso del piccolo Samuele. Le sue labbra non proferivano parole, ma gli occhi le splendevano irrorati dalla rugiada di due lacrime. Non era forse ciascuna lacrima una preghiera? Ella non chiedeva alcuna grazia, ma ardeva tutta del desiderio di Dio e della virtù. Non era forse quel desiderio una preghiera? Il suo piccolo cuore levato in alto palpitava con veemenza. Non era forse ogni palpito una preghiera? E Dio, senza il cui volere non cade foglia dal ramo, non udiva, non gradiva forse, quel primo omaggio d'una povera creaturina ignorante, non scendeva forse su quel capo innocente la Sua benedizione? Molte grazie chiese a Dio Gertrude negli anni che seguirono; spesso ella ricorse a Lui per aiuto; in più di un'ora d'amaro dolore attinse conforto alla medesima inesauribile sorgente: quando la forza le falliva quando il cuore le mancava, Egli diveniva la forza del suo cuore. Ma ella non s'appressò mai al Suo trono con un'offerta più pura, con un sacrifizio più degno, che la notte in cui nella prima sua profonda penitenza, nel primo suo atto di ferma fede, nel primo ardore della sua speranza, s'inginocchiò con le mani giunte e gli occhi al cielo, come il piccolo Samuele, e il suo cuore espresse, benchè le sue labbra non le proferissero, le parole del profeta fanciullo: «Eccomi, o Signore!» VIII. Dolce nel primo gusto è la vendetta Ma in breve amara torna.... MILTON. Il giorno seguente era una domenica. True aveva per costume di trattenersi buona parte della domenica in chiesa con la famiglia del sagrestano; ma Gertrude non avendo cappello non poteva andarci, ed egli non volle lasciarla sola. Ella dunque s'appuntò in capo il suo vecchio scialletto, e passarono la mattinata insieme passeggiando lungo le banchine e guardando i bastimenti. Nel pomeriggio True dormì accanto alla stufa, e la bambina si trastullò con la gatta. Guglielmo venne la sera, però soltanto per accomiatarsi prima di ritornare dal signor Bray. Aveva gran fretta, non poteva nemmeno sedere un momentino: in casa del suo principale si faceva vita assai morigerata, e la porta era chiusa di buon'ora, specie le domeniche. Il vecchio Cooper fece la consueta sua visita. Quand'egli se n'andò, il lampionaio trovò Gertrude immersa in un sonno beato, e pensando ch'era peccato destarla, la mise a letto così come stava. Ed ella non si destò, infatti, fino al mattino. Grande fu allora la sua maraviglia vedendosi bell'e vestita. Esilarata da questo caso bizzarro saltò su e corse a domandare a Trueman come fosse successo. Egli stava accendendo il fuoco, e Gertrude, avute sodisfacenti risposte alle sue numerose interrogazioni, s'applicò ad aiutarlo del suo meglio preparando la colazione e assettando la stanza. Ella seguiva appuntino gl'insegnamenti della signora Sullivan, rammentandoli tutti, e dimostrava notevole capacità in ogni cosa che intraprendeva. Nel corso di poche settimane, a forza di perseveranza era giunta a rendersi utile in mille maniere. Prometteva davvero di far onore alla profezia della sua maestra, diventando un'ottima piccola massaia. Certo i suoi servizi erano lievi; ma quei piedini agili e pronti risparmiavano molti passi al vecchio True, e segnatamente ella prestava un aiuto essenziale nella pulizia delle camere, sua particolare ambizione. Adesso che la polvere e i ragnateli non c'erano più, la signora Sullivan s'aspettava da lei che non s'accumulassero daccapo. Ella lo sentiva. E bisognava vederla quando, la mattina, mentre il lampionaio era fuori a nettare e riempire i suoi lampioni, accudiva alle faccende munita d'una vecchia granata il cui manico era stato accorciato a fine d'agevolargliene l'uso! Con che zelo, con che diligenza l'adoprava! Spesso la buona vicina dava una capata nel quartierino per lodarla ed assisterla. Nulla rendeva più felice la piccola Gertrude che l'imparare qualche cosa di nuovo. Beninteso, dovette anche lei pagare il noviziato. Vi furono due o tre casi di completa carbonizzazione dei crostini; e, peggio ancora, ell'ebbe a versare copiose lacrime sui frantumi di una tazza da tè dipinta, sgusciatale di mano. Ma lo zio True non la rimproverava mai; sicchè ella scordava presto queste disgrazie che d'altronde l'esperienza le insegnava ad evitare. Caterina Mc Carty, la quale l'aveva in concetto della più svegliata e destra bambina del mondo, veniva di tanto in tanto a lavare i pavimenti e far altri lavori troppo gravi o difficili per lei. Animata dal desiderio di rispondere all'aspettazione della signora Sullivan, e soprattutto di essere utile al suo benefattore, di manifestare nel miglior modo il grande affetto che gli portava, Gertrude era di solito buona, paziente, compiacente, quanto solerte. Invero l'indulgenza di True verso la piccina era tale, che di rado egli le imponeva la sua volontà. Ella rimaneva dunque libera di seguire il proprio talento; ma per indisciplinata che fosse, obbediva volentieri ad uno che mai la contrariava, e però non le accadeva di mostrare dinanzi a lui la violenza della sua natura che una volta eccitata non conosceva più freno. Tuttavia, se nella vita tranquilla di cui godeva adesso tra le pareti domestiche, mancava ogni causa d'irritazione, si diedero talora occasioni nelle quali fu palese che covava sempre il fuoco sotto la cenere. Una domenica Gertrude, che ora possedeva un bel cappuccetto comperatole dallo zio True, aveva assistito con questi al servizio divino della sera, e ritornavano a casa accompagnati dal signor Cooper e da Guglielmo. I due vecchi erano ingolfati in una delle loro consuete discussioni, e i fanciulli, rimasti un po' indietro, discorrevano vivamente della chiesa, del ministro, dell'uditorio, della musica, che per la bambina erano tutte cose nuove ed avevano destato in lei gran maraviglia. Cominciava a farsi buio nelle strade. Guglielmo l'osservò, e chinando lo sguardo verso la sua piccola compagna che teneva per mano, soggiunse: — Di', Gertrude, vai qualche volta con lo zio True a vederlo accendere i lampioni? — Non ci sono andata mai, dopo la notte che mi portò a casa sua, — ella rispose. — Io ne avevo una voglia matta, ma era sempre tanto freddo che lui non me lo permise: diceva che mi sarei buscata di nuovo la febbre. — Oggi non è punto freddo; sarà una bellissima notte: se lo zio True è contento, si va tutt'e due con lui. Io ci andai più volte.... Ci si diverte un mondo a guardare dentro dalle finestre nei salotti dove i signori stanno a prendere il tè o a conversare in circolo, davanti al fuoco.... — E io godo di veder accendere quei grandi lumi che fanno tutt'intorno una luce così bella, così allegra! Spero che dirà di sì.... Lo pregheremo.... Vieni, — proseguì tirandosi dietro Guglielmo — raggiungiamolo, diciamoglielo subito.... — No, aspetta, ora sta ragionando col nonno.... Glielo diremo poi, quando saremo a casa. Già poco ci manca. — A stento però il ragazzo poteva contenere l'impazienza di Gertrude. Non appena furono giunti al cancello della corte ella si strappò da lui, si precipitò verso Trueman, fece la sua richiesta che fu benevolmente accolta. E i tre partirono per il loro giro. Da principio l'attenzione della piccina si concentrò tutta nelle fiammelle che via via s'accendevano. Non aveva occhi per altro. Ma svoltato il canto della strada si trovò di faccia alla vetrina d'una grande farmacia che la fece rimanere incantata. I vivi colori dei liquidi brillanti nei vasi di cristallo che per la prima volta vedeva di sera, così illuminati, cattivarono la sua fantasia. Ed avendole Guglielmo detto che la bottega del suo principale era simile a quella, pensò che doveva essere una delizia passar la vita in un luogo tanto bello. Si maravigliò poi che fosse aperta la domenica mentre tutti gli altri negozi erano chiusi. Egli si fermò per spiegargliene la ragione e appagare la sua curiosità su varie coserelle; sicchè quando si mossero s'avvide che True li precedeva d'un buon tratto. Sollecitò allora Gertrude dicendole che si trovavano adesso nella più signorile delle vie per cui dovevano passare, e che bisognava far presto se volevano vedere a loro agio la casa che più gli premeva di mostrarle. Infatti il lampionaio nel momento che lo raggiunsero già appoggiava le sua scala a un lampione di fronte a un'isola di bei fabbricati. Molte delle finestre avevano le tende chiuse, dimodochè i fanciulli non potevano guardar dentro; ma in alcune le tende non c'erano, o non erano ancora tirate. In un salotto si vedeva un bel fuoco di ceppi e davanti al caminetto signori e signore che conversavano: Gertrude non si sarebbe più staccata di là. In un altro era accesa una splendida lumiera, e sebbene non ci fosse nessuno, la sontuosità del mobilio, l'appariscenza di tutto l'insieme la rapirono. Ella battè le mani dall'allegrezza, e non s'indusse a seguire Guglielmo se non dopo ch'egli l'ebbe assicurata che un po' più oltre c'era una casa non meno stupenda, dove forse avrebbe anche veduto certi bellissimi bambini. — O come sai che ci saranno? — domandò ella mentre s'incamminavano. — Io non lo so positivamente, ma credo. C'erano sempre alla finestra quando andavo con lo zio True, l'inverno passato. — Quanti? — Tre, mi pare. Ricordo una bellezza di bimba coi ricci biondi e un visino dolce eppure furbetto. Sembrava una bambola di cera, ma molto molto più carina. — Oh, spero che la vedremo! — esclamò Gertrude ballando sulle punte de' piedi, tanto era eccitata dal piacere. — Eccoli! — disse Guglielmo. — Ci sono tutti e tre, come allora! — Dove? dove? — Là, dirimpetto, in quella grande casa di pietra. Su, attraversiamo la strada.... Ma c'è una mota!... Aspetta, ti porto. — Prese la ragazzetta in collo e la portò fino al marciapiede opposto. True doveva ancora arrivare. I bambini aspettavano lui, alla finestra. Gertrude non era la sola che si divertisse a veder accendere i lampioni. Oramai faceva notte, e le persone che si trovavano nelle stanze illuminate non potevano distinguere quelle ch'erano fuori; ma così Guglielmo e la sua compagna avevano maggior opportunità di guardare nell'interno della casa. Una bella casa davvero: senza dubbio v'abitava gente assai ricca. Il salotto era gaiamente rischiarato dalla viva luce d'un gran lume sospeso e dal riverbero del fulgido fuoco di carbone che ardeva nel caminetto. I sontuosi tappeti, le tende di stoffe smaglianti, i quadri in cornice dorata, i grandi specchi che riflettevano l'insieme da ogni lato, diedero a Gertrude la sua prima idea del lusso. E le comodità che si combinavano con quell'eleganza conferendole un'aria di piacevole intimità la rendevano ancor più affascinante per la povera creatura cresciuta nella miseria. Una tavola era squisitamente apparecchiata per il tè; la tovaglia damascata, candidissima, la lucida argenteria, e soprattutto la teiera di famiglia col suo placido ronzio, avevano un aspetto seducentissimo. Un signore in pantofole ricamate stava adagiato in un'ampia poltrona accanto al fuoco; una signora con una cuffietta riccamente guarnita invigilava la cameriera che finiva d'apparecchiare; i bambini, tutti sorridenti come sono i bambini felici, s'erano radunati davanti alla finestra e, ritti sopra un panchetto, guardavano in istrada. Guglielmo li aveva descritti bene. Erano tre belle e graziose creature, specie una ragazzina, la maggiore, che toccava circa l'età di Gertrude. I capelli biondi scendenti in folti ricci lungo il collo d'una bianchezza nivea, gli occhi azzurri, le guance pienotte e rosee, i lineamenti gentili, la facevano somigliare a un cherubino. Gertrude non trovava modo d'esprimere la sua ardente ammirazione che con grida di gioia, e risa, e salti, o indicando a Guglielmo or questa cosa or quella, in confuso. — Di', non è un amore di bimba?... Guarda che splendido fuoco!... E la signora com'è bella!... O le scarpe del signore, le hai vedute?... Che sarà quella roba sulla tavola? Qualche cosa di buono, sicuro.... C'è uno specchio sterminato.... Ah Guglielmo, che cari bambini! Vere bellezze!... — E sempre cominciava e finiva con le lodi dei bambini. Guglielmo era sodisfatto. La sua piccola amica si divertiva quanto egli s'era ripromesso. Ma True arrivava, e il lume della sua torcia scorreva lungo il marciapiede. Allora essi furono alla lor volta osservati e divennero il soggetto di un'animata conversazione. La ricciutella li vide e li additò agli altri due. Sebbene Gertrude non potesse indovinare che dicessero, l'idea d'essere sottoposta all'esame e ai commenti di qualcuno le dispiaceva forte. Lesta lesta si nascose dietro la colonna del lampione, e non volle più muoversi nè alzar gli occhi alla finestra, per quanto Guglielmo la canzonasse e le dicesse che ora _toccava a lei_ d'essere guardata. Quando il lampionaio ripigliò la sua scala e proseguì il cammino, ella si slanciò dietro a lui di corsa per isfuggire agli sguardi curiosi; ma tosto che il ragazzo la richiamò dicendole che i bambini s'erano ritirati, non seppe resistere alla tentazione di gettare ancora un'occhiata nel bel salotto e fece giusto a tempo per vederli prender posto alla tavola del tè. Un momento dopo la cameriera venne a tirar giù le tende, Gertrude prese la mano di Guglielmo e affrettarono il passo per raggiungere True. — Non ti piacerebbe vivere in una casa come quella? — domandò egli. — Oh sì! — rispose lei. — Non è una magnificenza? — Io ne vorrei una così. E l'avrò un giorno o l'altro. — Questa presunzione sbalordì Gertrude. — L'avrai? E in che maniera? — Lavorerò, diverrò ricco, e me la comprerò. — Impossibile. Ci vuole un monte di quattrini. — Lo so. Ma io ne guadagnerò dimolti. Il signore che abita in quel magnifico appartamento era un ragazzo povero quando arrivò a Boston: o perchè non ho da potere anch'io arricchire al pari di lui? E ne ho la ferma intenzione. — Come avrà fatto a guadagnare tanto? — Come abbia fatto _lui_ non so. Ci sono parecchi modi. Certuni dicono che tutto dipende dalla fortuna.... ma secondo me la bravura non è meno necessaria. — Sei bravo, tu? — Egli rise. — Non ti pare? Bene, se non verrà il giorno che mi vedrai ricco potrai dire di no. — Io lo so che farei se fossi ricca. — Che faresti? — Prima di tutto comprerei una bella poltrona grande per lo zio True, con dentro cuscini e sopra splendidi fiori, come quella dove sedeva quel signore; e poi per me una gran lumiera, con tanti tanti lumi tutti in un mazzo, da far nella stanza una luce.... la luce più chiara che ci possa essere. — Mi sembra che tu vada pazza per la luce, Gertrudina. — Io sì! Odio le case vecchie, nere, buie.... A me piacciono le stelle, il sole, e i fuochi, e la torcia dello zio True.... — E a me gli occhi fulgenti. I tuoi appunto brillano come due stelle, stasera. Non ci divertiamo, di'? — Oh, molto! — Gertrude non faceva che saltare e ballare lungo il marciapiede, e Guglielmo partecipava al suo giubilo, tutto lieto e superbo d'aver a proteggere la strana e fiera bambina nel tempo stesso che le procurava un tale godimento. Cammin facendo seguitarono a intrattenersi sull'uso delle ricchezze che con balda speranza l'uno e l'altra contavano di possedere prima o poi: giacchè la fidente audacia del giovanetto s'era comunicata alla sua piccola compagna, e anch'ella si proponeva di lavorare e diventare facoltosa. Egli le descriveva gli agi ed il lusso di cui avrebbe circondato la sua mamma, il suo nonno, e perfino lo zio True e lei. Era quanto di più sontuoso egli avesse mai veduto o sognato. Tra altro, la mamma doveva portare una cuffietta guarnita come quella della signora che avevano veduta dalla finestra. Gertrude ruppe in una franca risata. Il buon gusto è innato, ed ella, che ne aveva, sentiva che la modesta vedovetta dall'aspetto placido e grave sarebbe stata ridicola con in capo un'acconciatura di fiori gai. Qualunque eleganza meno sobria della semplice lindezza non poteva che snaturare la signora Sullivan. Quanto a sè medesimo, il generoso figliuolo non ci pensava affatto. Nessuna sodisfazione di desiderî egoistici entrava ne' suoi disegni. Egli intendeva di lavorare per i suoi cari, e in loro e da loro aspettava la sua ricompensa. Beati i fanciulli! Beati come essi soli possono essere! Che bisogno hanno della ricchezza? Che bisogno di qualsiasi bene più materiale e tangibile dei beni che posseggono? Questi valgono assai più dell'oro o della fama. Sono la candida fede, la speranza ingenua dell'infanzia. Con tutta la potenza immaginativa d'una fantasia non frenata da disinganni e delusioni, ogni fanciullo fabbrica gli stessi castelli in aria che milioni e milioni d'altri hanno fabbricato o fabbricheranno fino alla fine dei secoli. Veggono splendere in lontananza vaghe figure, e non sanno che sono fantasmi. Le veggono adergersi e rifulgere, e i loro occhi affascinati si fissano in quelle, sorvolando sugli spazi tenebrosi che si frappongono, senza scorgere i perigli dell'aspra via, senza sospetto dei precipizi e delle insidie in cui molti dovranno cadere. Fiduciosi di guadagnare la gloriosa mèta, imprendono l'arduo cammino esultando. Sia benedetta l'illusione infantile, se pure è illusione! Non togliete d'inganno quei credenti, o uomini savi! Non soffocate quella buona speranza che è un dono di Dio, e che forse nel suo aereo volo li porterà a salvamento sopra qualche passo scabroso, qualche abisso della vita. Ahimè, già dura poco, e una volta spenta, la via si fa più dura! Certo la gioia che faceva brillare il cuore a Guglielmo e Gertrude derivava in gran parte dalla generosità del sentimento che li commoveva. Nei loro sogni ambiziosi essi vagheggiavano solo la consolazione d'allietare i vecchi giorni di coloro che amavano. Era un nobile spirito di carità filiale, di tenera gratitudine quello che li animava: naturale in entrambi, ma in lui tanto alimentato dalla pia educazione ricevuta da aver assunto il carattere d'un principio, in lei mèro impulso. E guai alla misera natura umana quando è governata unicamente dalle sue passioni! La povera bambina aveva altri impulsi meno felici (chi non ne ha?), e se il primo meritava d'essere incoraggiato e fortificato, era necessario sradicare e distruggere i secondi. True, acceso l'ultimo lampione di quella strada, svoltò in un'altra seguito dai due fanciulli. Ma dopo una dozzina di passi Gertrude si fermò di botto, risoluta a non proseguire, e tirando Guglielmo per la mano, tentò di farlo tornare indietro. — Che hai, Gertrudina? — domandò egli. — Sei stanca? — Oh no! Ma non posso andar più oltre. — Perchè mai? — Perchè.... perchè.... — e abbassando la voce la piccina accostò le labbra all'orecchio del suo compagno — qui ci sta Annetta Grant. Vedo la casa.... M'ero dimenticata che lo zio True deve andarci.... E io ho paura. — Oho! — fece Guglielmo rizzandosi con aria dignitosa. — Vorrei un po' sapere di che hai paura quando io sono con te! Si provi, mo', a toccarti, se n'ha il coraggio. Te, o lo zio True! Riderei. — E con parole affettuose e piacevoli prese a persuaderla, dicendole che secondo ogni probabilità Annetta Grant non li avrebbe veduti, ma che forse _loro_ avrebbero veduto _lei_; il che appunto egli vivamente desiderava. I timori di Gertrude furono presto vinti. Ella non era timida, per natura. L'improvvisa scossa provata rivedendo l'antica sua casa, aveva ridestato in lei il suo orrore, il suo terrore della vecchia Annetta; ma non ci vollero gran ragionamenti per dissipare quello sgomento dimostrandole che oramai ella era al sicuro; e bentosto vi succedette il desiderio di far conoscere a Guglielmo la sua persecutrice d'un tempo. Sicchè quando giunsero davanti alla casa aborrita ella sperava anzichè temere di vederla. E per vederla l'occasione non poteva essere migliore. Annetta era affacciata alla finestra e leticava furiosamente con una vicina. Il suo volto esprimeva tutta la violenza della collera che le bolliva dentro, e, brutto com'era sempre, offriva in quel momento una così chiara impronta del suo carattere, che nessuno le avrebbe potuto contrastare il diritto al titolo di megera, virago, dragone, o altro di simile significato. — Quale delle due? — domandò Guglielmo. — Quella alta che gesticola con una caffettiera in mano? Scommetto che or ora, se non ci bada, rompe il manico.... — Sì, quella. — O che fa? — Letica con la signorina Birch. Sempre ce l'ha con qualcuno. Non ci vede mica, noi, non è vero? — No, è troppo occupata. Vieni, non ci fermiamo qui. È brutta quanto me la figuravo. Io per me l'ho veduta abbastanza, e tu pure, credo. Tira via. — Ma Gertrude indugiava. Resa coraggiosa dalla certezza che la nemica non s'accorgeva della sua presenza, la fissava intentamente, e i suoi occhi scintillavano animati non più dall'eccitazione d'una sana e innocente allegrezza come poco prima, ma dal fuoco dell'ira e dell'odio, un fuoco che Annetta Grant le aveva acceso nel cuore da anni e che non ancora estinto ridivampava in tutta la sua forza alla vista di lei. Guglielmo, pensando ch'era tardi e vedendo la torcia del lampionaio già in fondo alla strada, usò, per indurre la bambina a seguirlo, l'espediente di lasciarla e andarsene dicendole: — Se tu non vieni, Gertrude, io non posso aspettare. — Ella si volse, attese ch'egli s'allontanasse alquanto, poi, ratta come il baleno, si chinò, raccattò un ciottolo sul marciapiede, e lo scagliò contro la finestra. S'udì un fracasso di vetri rotti e un'esclamazione della nota voce d'Annetta Grant; ma Gertrude non stette ad osservare il risultato della sua prodezza. Quel fracasso, quella voce, ridestarono i suoi terrori; perdutamente, se la dette a gambe, oltrepassò Guglielmo, nè si fermò finchè non si sentì sicura a fianco di Trueman. Guglielmo non li raggiunse che vicino a casa. — Gertrude, — egli gridò correndo verso di lei tutto ansante — sai che cos'hai fatto? Hai rotto la vetrata della finestra! — La bambina lo evitò voltando le spalle, fece il grugno, e dichiarò che questa era stata appunto la sua intenzione. Il lampionaio domandò di che finestra parlassero. Ella confessò tutto, senz'ambagi, e soggiunse che l'aveva fatto apposta. True e Guglielmo tacquero, scandalizzati. Gertrude anch'essa non aperse bocca durante il resto del percorso. Aveva il visetto rannuvolato e un senso d'infelicità nel piccolo cuore. Ella non comprendeva sè stessa nè le proprie sensazioni. Ma l'espressione di quel visetto palesava che quando il male prevaleva violentemente sull'anima sua, la pace e la giocondità ne fuggivano. Povera creatura! Hai pur bisogno che ti sia insegnata la verità! Piaccia a Dio che la luce interiore ti divenga un giorno cara come t'è oggi la luce esteriore. Guglielmo s'accomiatò da True e da lei sulla soglia della casa, e, secondo il solito, non lo rividero per tutta la settimana. IX. Ma silenzio. Contendere di un'alta Legge non debbo col voler che forse Ha reconditi fini a cui non giunge Il mio intelletto.... MILTON. — Babbo, — disse la signora Sullivan al vecchio Cooper, il quale, pronto per uscire, raccoglieva i vari oggetti che gli occorrevano in chiesa il sabato sera — perchè non fate venire con voi Gertrude? Vi porterebbe una parte di quella roba che non potete pigliare tutta in una volta, e le farebbe tanto piacere. — Non mi sarebbe che d'impaccio, — rispose egli. — Io posso benissimo portare ogni cosa da me. — Ma quando ebbe una lanterna e un secchietto da carbone in una mano, una piccola accetta e un paniere di trucioli nell'altra, e una scaletta a piuoli in ispalla, dovette riconoscere che non trovava modo di prendere anche il martello e l'involto dei chiodi. La signora Sullivan dunque chiamò Gertrude e le domandò se voleva andare in chiesa col signor Cooper e aiutarlo a portare i suoi arnesi. La bambina fu lietissima della proposta, e presi i chiodi e il martello s'incamminò allegramente. Giunti alla chiesa, il vecchio sagrestano la lasciò libera dicendole che poteva baloccarsi a suo talento purchè non facesse chiasso e non sciupasse nulla; e passò nella sagrestia dove principiò il suo lavoro di spazzatura e spolveratura e preparò i fuochi. Gertrude intanto, rimasta sola, si divertì qualche tempo a girellare per le navate deserte e tra le panche, osservando da vicino tutto quello che fino allora non aveva veduto che da un angolo della galleria; poi salì nel pulpito e s'immaginò di tenere un bel sermone a un numeroso uditorio. Tuttavia cominciava ad annoiarsi, quando l'organista, entrato senza che ella se n'avvedesse, si mise a sonare una musica sommessa e dolce; allora scese, sedette sugli scalini, e ascoltò con attenzione e piacere vivissimo. Ma di lì a poco la porta in fondo alla navata maggiore si aperse, e una coppia di visitatori venne a distrarre Gertrude attirando tutta la sua curiosità. L'uno era un uomo anziano vestito come un ecclesiastico, piccolo, smilzo, con capelli grigi e radi, fronte alta, lineamenti piuttosto aguzzi, ma quantunque di poca appariscenza, notevole per l'espressione serena e benigna della sua fisonomia; l'altra una giovane signora sui venticinque anni, la quale s'appoggiava al suo braccio. Ella indossava un abito semplicissimo, di colore bruno scuro come il cappellino chiuso nel quale spiccava soltanto, intorno al viso, una guarnizione di nastro celeste. L'unica parte del suo vestiario che fosse ricca ed elegante era un boa di zibellino fermato sotto la gola da un prezioso anello d'oro smaltato. Di statura alquanto inferiore alla media, aveva però un personalino grazioso e ben tornito; i lineamenti erano fini e regolari, la carnagione fresca sebbene un poco pallida, i capelli d'un castagno chiaro e acconciati con gusto. Ella non alzava mai gli occhi mentre veniva lentamente avanzandosi nella navata, e le lunghe ciglia quasi le toccavano le gote. I due passarono davanti al pulpito senza notar la bambina seduta sugli scalini. — Sono lieto che l'organo vi piaccia, — disse il signore. — Io non posso chiamarmi giudice competente in fatto di musica; ma dicono che lo strumento è di rara eccellenza e che Hermann lo suona con somma perizia. — Neppure l'opinione mia è di molto valore, — rispose la signora. — La musica è per me un gran diletto senza ch'io ne abbia cognizioni profonde. Ma questa sinfonia è davvero deliziosa: da lungo tempo non avevo sentito melodie che mi commovessero così il cuore. Forse è anche perchè le voci dell'organo risuonano tanto dolcemente nella quiete solenne della chiesa. Io amo la solitudine delle grandi chiese nei giorni feriali. Vi ringrazio d'esser venuto a prendermi stasera. Come mai ci avete pensato? — M'immaginavo che vi farebbe piacere. Sapevo che Hermann sonerebbe a quest'ora; e poi, vedendovi così pallidina, m'è parso che un po' di moto vi dovesse giovare. — Infatti. Non mi sentivo bene, e l'aria aperta e frizzante era proprio quello che mi ci voleva. Desideravo perciò fare una passeggiata, ma la signora Ellis era occupatissima, e io non posso uscire sola. — Credevo di trovar qui il sagrestano.... Ho da parlargli circa la luce; i giorni sono corti ora, e fa buio presto; bisogna che lo preghi d'aprire un po' più le gelosie, altrimenti domani non ci veggo a leggere il mio sermone. Forse è nella sagrestia.... C'è sempre in qualche parte della chiesa, il sabato. Sarà meglio ch'io vada a cercarlo.... — In quella entrò appunto il signor Cooper, il quale, visto il pastore, venne a lui, e dopo ricevuti i suoi ordini, gli parlò piano chiedendogli senza dubbio d'accompagnarlo in un luogo, perchè questi esitò, guardò la signora e disse: — Già, sarebbe opportuno ch'io ci andassi oggi, tanto più che ci siete anche voi. Peccato perder l'occasione.... Ma.... non so.... — Poi, rivolgendosi alla giovane, soggiunse: — Emilia, il signor Cooper vorrebbe ch'io mi recassi con lui dalla signora Glass, e, certo, dovrei rimaner fuori qualche tempo. Vi dispiacerebbe aspettarmi qui fino al mio ritorno? È vero che abita nella via attigua, ma può darsi ch'io debba trattenermi un poco, perchè si tratta di quei volumi della biblioteca così maliziosamente sfregiati; io ho gran paura che il suo figliuolo maggiore c'entri per molto in questa birbonata. Sarebbe necessario chiarire la cosa prima di domani; e difficilmente io potrei stasera ritornare così lontano. Altrimenti non avrei pensato a lasciarvi. — Andate, signor Arnold, — rispose Emilia — e quanto a me siate pur tranquillo. Starmene seduta qui in chiesa e ascoltare la musica dell'organo non sarà che un piacere. Il signor Hermann suona ch'è un incanto; il tempo non mi parrà lungo, ve l'assicuro. Dunque non abbiate fretta per causa mia, ve ne prego. — Il signor Arnold, acquetati i suoi scrupoli, risolse d'andare. Condusse la signora a sedere accanto al pulpito, e uscì col vecchio sagrestano. Durante tutto questo tempo Gertrude, ritiratasi quatta quatta sull'ultimo scalino in alto, e mezzo nascosta dalla cattedra, era rimasta inosservata. Ma non appena udì la porta chiudersi con un colpo fragoroso dietro i due uomini, si rizzò e cominciò a scendere. Al primo suo passo la giovane diede un sobbalzo ed esclamò piuttosto bruscamente: — Chi c'è? — Gertrude si fermò e non rispose. Cosa strana, la signora non aveva guardato in su quantunque dovesse pur avere percepito che il rumore veniva di sopra il suo capo. Seguì un momento di silenzio. Poi la bambina continuò a scendere, correndo. Questa volta l'altra balzò in piedi, e stendendo un braccio dinanzi a sè, ripetette vivamente la domanda: — Chi c'è? — Sono io, — disse Gertrude guardandola in viso — io sola. — Volete fermarvi un poco e parlare con me? — Gertrude attratta dalla voce più soave che mai avesse udita, venne a fermarsi proprio accosto ad Emilia, la quale le pose una mano sul capo e la trasse a sè chiedendole: — Chi sei tu, bambina? — Gertrude. — E poi? — Niente. — O l'altro tuo nome l'hai dimenticato? — Io non ho nessun altro nome. — Con chi sei venuta in chiesa? — Ci sono venuta col signor Cooper. L'ho aiutato a portare i suoi arnesi. — E t'ha lasciata qui ad aspettarlo come sono stata lasciata io. Dunque dobbiamo tenerci compagnia, non ti pare? — La bambina rise. — Dov'eri? Sulla scaletta del pulpito? — Sì. — Bene, siedi su questo scalino basso, vicino alla mia seggiola, e discorriamo un poco. Voglio vedere se mi riesce di trovare il tuo secondo nome. Con chi abiti? — Con lo zio True. — True? — Sì: il signor True Flint. Adesso abito con lui perchè mi portò a casa sua la notte che Annetta Grant mi cacciò fuori, sul marciapiede. — Che? Sei tu quella? Ho dunque già inteso parlare di te! Il signor Flint mi raccontò tutta la tua storia. — Voi conoscete mio zio True? — Sì, moltissimo. — E come vi chiamate, voi? — Emilia Graham. — Oh, — esclamò la bambina rizzandosi con un salto e battendo le mani — so, so chi siete! Voi gli avete raccomandato di tenermi seco, lo disse lui, ed io lo sentii.... Voi m'avete dato i miei vestiti.... E siete buona, e siete bella, ed io vi voglio bene.... tanto, tanto bene! — Mentre Gertrude proferiva queste parole con voce commossa, un'espressione strana, di viva ed inquieta curiosità appariva nel volto della signorina Graham come se i toni di quella voce facessero vibrare una corda della sua memoria. Ella non parlò, ma passando un braccio intorno alla vita della piccina se la trasse ancor più accosto. Il suo aspetto riprese la serena compostezza abituale. Gertrude la guardava con l'aria di maraviglia che aveva da quando era incominciato il loro colloquio; e ad un tratto uscì a dire: — Avete sonno? — Punto. Perchè? — Perchè tenete gli occhi chiusi. — Sono chiusi sempre, bimba mia. — Sempre! O per qual ragione? — Io sono cieca. Non posso veder nulla. — Non potete vedere! Proprio nulla nulla? Sicchè, me non mi vedete? — No. — Ah! — proruppe Gertrude facendo un respirone. — Quanto ne sono _contenta_! — _Contenta!_ — esclamò la cieca con l'accento più doloroso che mai fosse udito. — Oh sì, sono contenta che non mi vediate, perchè così forse mi amerete! — disse la bambina. — E non t'amerei se ti vedessi? — domandò Emilia strisciandole lievemente la mano sul viso. — No di certo! — ella rispose. — Sono tanto brutta! E però mi fa piacere che non possiate saper come io sia. — Ma pensa, Gertrude, — riprese la signorina Graham con immensa tristezza — che proveresti se tu non potessi vedere la luce, nè le cose, nè le persone? — Ma voi dunque non vedete neppure il sole, le stelle, il cielo?... Siete nel buio? — Nel buio, sempre, notte e giorno. — Gertrude dette in un violento scoppio di pianto. — Oh! — fece quando potè ritrovare un fil di voce tra i singhiozzi. — L'è troppo dura! Troppo, troppo, troppo! — La sua disperazione fu contagiosa. Per la prima volta la giovane cieca versò amare lacrime sulla propria sventura. Ma fu un breve momento. Si dominò subito e cercò di calmare la piccina. — Chetati! Non piangere! Non dire ch'è troppo dura la mia sorte.... Io, sai, la sopporto benissimo.... Essendo avvezza così, sono felice lo stesso. — Io invece nel buio sarei infelicissima. Lo _odio_. Non sono _contenta_, no, che siate cieca.... _Me ne dispiace_ anzi _assai_.... Vorrei che vedeste ogni cosa, e me pure.... O non ci sarebbe un qualche modo d'aprirveli, gli occhi? — No, non c'è. Ma non parliamo più di questo; parliamo di te, piuttosto. Dimmi perchè ti figuri d'essere tanto brutta. — Perchè la gente lo dice. E i bambini brutti nessuno li ama. — Sì, anche i bambini brutti sono amati, purchè siano buoni. — Ma io non sono buona. Al contrario. Cattivissima. — _Puoi diventar buona_, però, e allora t'ameranno tutti. — Credete ch'io _possa_? — Se ti ci sforzi, sì. — Mi ci sforzerò. — Lo spero. Il signor Flint aspetta grandi consolazioni dalla sua bimba, e tu devi fare tutto il possibile per dargliele. — Emilia le rivolse poi molte domande sulla sua vita in casa d'Annetta Grant. E il racconto che l'orfanella le fece de' suoi molteplici patimenti, le prese l'animo a segno ch'ella non avvertì la fuga del tempo nè la partenza dell'organista il quale, cessato di sonare, aveva chiuso il suo strumento e se n'era andato. Gertrude era molto comunicativa. Benchè di primo acchito si mostrasse ritrosa con gli estranei, bastava qualche buona parola per guadagnarne la confidenza; e nel caso presente la voce dolcissima d'Emilia, il suo tono di simpatia, le andavano diritto al cuore. Cosa singolare, ella, vissuta sempre fra gente d'umile condizione, anzi, fino a poco addietro, dell'infima plebe, non sentiva punto quel timore, quell'impaccio, che sarebbero parsi naturali in lei nel parlare per la prima volta a una vera signora, nata in mezzo all'opulenza, educata con tutte le raffinatezze del lusso, cólta, di modi eletti. Ella invece si stringeva affettuosamente alla giovane e accarezzava il suo boa con altrettanta libertà che se fosse anch'essa venuta al mondo in un palazzo e le pellicce di zibellino l'avessero avvolta fin nella culla. Non si peritò neppure di prendere ripetutamente la fine mano inguantata della signorina Graham e tenerla tra le sue, premendola forte: sua maniera favorita d'esprimere una calda gratitudine, un'ammirazione entusiastica. Ma non meno profondi erano i sentimenti destati dall'eccitabile e strana creatura nel cuore d'Emilia. Questa ben vedeva a qual segno la povera bambina fosse stata negletta, comprendeva quanto dovessero essere perniciosi gli effetti dei mali trattamenti sofferti nell'infanzia su quella natura capace di virtù ma impetuosa, e quanto importasse combatterli con un'accurata educazione affinchè non ne distruggessero in germe le felici disposizioni. Le due novelle amiche s'intrattenevano così, senza pensare all'ora già tarda, quando il signor Arnold entrò a passi accelerati, un po' trafelato, chiamando Emilia fin dal fondo della navata. — Cara, temo che abbiate pensato ch'io vi dimenticassi.... Mi son dovuto indugiare assai più che non credevo. Non vi ritrovo stanca e scoraggiata? — Proprio tanto, siete stato? A me non sembra! — ella rispose. — Gli è che, come vedete, ho una compagnia. — Una bimba? O di dove è sbucato cotesto topolino? — fece il pastore, gioviale e bonario. — È venuta in chiesa col signor Cooper. Non è ritornato ancora a prenderla? — Cooper? No, è andato direttamente a casa, dopo che ci siamo lasciati. Sicuro, non se ne ricordava per nulla.... E ora che si fa? — Non possiamo ricondurla a casa noi? È lontano? — Ci sono da qui due o tre lunghe vie, tutte fuori della nostra direzione. Voi non dovete camminar tanto. — Oh, sono già rimessa in forze! Non mi stancherò. E dovessi anche stancarmi un poco, sarebbe meno male per me che non sapere questa piccina a casa sua sana e salva. — Se Emilia avesse potuto vedere in quel momento il viso di Gertrude, la viva gratitudine che ne spirava l'avrebbe compensata di qualsiasi fatica. Il signor Arnold e la signorina Graham accompagnarono dunque Gertrude a casa, e sulla soglia la signorina la baciò, ed ella fu quella notte una bimba felice. X. Col voler che lo spirito governa Con ogni fiero torto perdonato Con quanto svelle il cuore del peccato La donna acquista la salute eterna. N. P. WILLIS. La fanciulla cieca non dimenticò la piccola Gertrude. Nè mai Emilia Graham dimenticava le pene e i bisogni altrui. Ella non poteva vedere il mondo esteriore, ma aveva in sè un mondo d'amore e di compassione che si manifestava in sentimenti e in atti di generosa benevolenza e di carità. Ella viveva una vita d'amore. Amava Dio con tutta l'anima e il prossimo come sè stessa. La sventura sua propria, la sua propria miseria, non avevano rimedio, ed ella le sopportava senza lamenti; ma le sventure e le miserie degli altri erano divenute la sua cura, e l'alleviarle la sua gioia. Nel fare il bene era instancabile. Numerose benedizioni venivano implorate sul suo capo da giovani e vecchi, per benefizi ottenuti; numerose preghiere le venivano rivolte per ottenerne. A tutti ella era pietosa. Ma nessuna storia di dolore l'aveva mai così profondamente commossa come quella di Gertrude. Pronta sempre ad ascoltare chi le narrava i propri guai, ella sapeva che molte creature nascono in povertà, crescono nell'indigenza; sapeva che non pochi sono i fanciulli maltrattati, negletti, abbandonati. Fin qui non era una storia nuova per lei. Ma qualche cosa nella bambina stessa l'attirava, l'appassionava in modo straordinario. I toni della sua voce, l'accento patetico e il calore con cui parlava, il suo tenero e confidente abbandono quand'ella l'aveva tratta a sè, quell'afferrarle e stringerle la mano con atto così spontaneo, e soprattutto la veemenza del suo cordoglio nel comprendere alfine tutta l'immensità della sciagura onde ella era colpita, non le uscivano più di mente. Sognò Gertrude la notte, pensò a lei durante il giorno. Ella non si rendeva ragione del sentimento che la spingeva verso quella piccola estranea, ma era un impulso irresistibile; tanto che mandò a chiamare True Flint struggendosi d'essere più minutamente ragguagliata sul conto suo. Egli venne, e parlarono a lungo dell'orfanella. Il buon uomo giubilava ascoltando la signorina Graham. Era una grande consolazione per lui che la sua figlioletta adottiva si fosse cattivata la benevolenza d'una persona ch'egli rispettava ed ammirava in sommo grado. Anche Gertrude gli aveva raccontato il loro incontro in chiesa, e parlato con ardore della cara signora ch'era stata così amorosa con lei, e che l'aveva accompagnata a casa, mentre il vecchio Cooper s'era addirittura dimenticato d'averla lasciata lì: ma egli non s'immaginava che quel subito attaccamento fosse reciproco. Emilia gli domandò se non intendesse di mandare la ragazzina a scuola. — Veramente, non so.... — rispose True. — È piccina ancora, e poco avvezza a stare con altri bambini. E poi mi dispiacerebbe privarmi della sua compagnia: io godo di vedermela dattorno. — Ella osservò ch'era tempo che Gertrude imparasse a leggere e a scrivere, e che quanto più presto avrebbe cominciato a stare co' suoi coetanei, tanto più agevolmente ci si sarebbe avvezzata. — Sicuro, sicuro, — fece egli — è giustissimo. Se dunque credete per il suo meglio che vada a scuola, gliene parlerò. Sentiremo che dice. — Ma sì. Io credo che ci piglierebbe gusto e farebbe grandi progressi. Circa i vestiti, se qualche cosa le manca, io... — Oh no, no, signorina Emilia, non occorre nulla! È ben rimpannucciata per ora, grazie alla bontà vostra.... — Basta, ricordatevi che in caso di bisogno dovete ricorrere a me. L'abbiamo adottata insieme quella figliuola, e io mi sono assunta l'impegno di fare per lei tutto ciò che posso. Quindi, se mai, non esitate. Sarò lieta di potervi esser utile, credetelo. Mio padre si sente sempre obbligatissimo verso di voi, signor Flint, per i vostri fedeli servigi che hanno finito col costarvi tanto caro. — Oh, signorina Emilia, il signor Graham è stato per me il migliore degli amici, e quanto all'infortunio che mi toccò lavorando ne' suoi magazzini nessuno n'ebbe colpa fuori di me; la sbadataggine mia fu la sola causa di tutto il male!... — So, so che voi lo dite, ma il nostro rincrescimento non è minore per questo. Ve lo ripeto, non dimenticate ch'io mi stimerò felice di poter venire in aiuto alla piccola Gertrude. Mi piacerebbe d'averla qui un giorno, se voi permettete, e se essa è contenta di venire.... — Figuratevi se sarà contenta! Grazie, grazie di cuore.... — Alcuni giorni dopo Gertrude andò con True a casa Graham per visitare la signorina; ma la governante che incontrarono nell'atrio disse loro ch'ella era malata e non riceveva nessuno; sicchè tornarono indietro pieni di rammarico. Seppero poi che Emilia si era buscata una forte infreddatura la sera che troppo a lungo era rimasta a sedere in chiesa, e che appunto quel giorno si trovava molto incomodata; nondimeno avrebbe di buon grado fatto passare in camera sua Gertrude di cui desiderava la visita, e assai si dolse con la signora Ellis per averli ella di proprio arbitrio rimandati così bruscamente. True aspettò il sabato a fine di comunicare alla piccina, in presenza di Guglielmo, il divisamento di mandarla a scuola. Gertrude su quel subito recalcitrò; ma Guglielmo approvava l'idea calorosamente, e quando lo zio True ebbe soggiunto che gliel'aveva suggerita la signorina Graham, ella acconsentì, sebbene non senza riluttanza, a cominciare la settimana ventura, per prova. Quindi il lunedì seguente egli la condusse a una scuola elementare. Vi fu ammessa, e la sua educazione incominciò. Il sabato dopo, il ragazzo, non appena venuto a casa, secondo il solito, entrò come una folata di vento nella camera del vicino, tanto lo pungeva la curiosità di sapere che impressione avesse fatto la scuola a Gertrudina. La trovò seduta alla tavola con davanti il suo abbecedario aperto. — O Guglielmo, o Guglielmo! — gridò ella vedendolo apparire. — Vieni a sentirmi leggere! — «Leggere» era forse dir troppo. Le sue cognizioni non s'estendevano oltre l'alfabeto e qualche sillaba compitata. Ma Guglielmo non le fu parco d'elogi, ben meritati del resto, perchè era stata veramente diligentissima. Egli rimase stupito udendola dichiarare che le piaceva la scuola, le piaceva la maestra, le piacevano le condiscepole. S'aspettava invece che tutta la baracca le dispiacesse tanto da farla «andar nei nuvoli»; espressione da lui usata per indicare i suoi accessi di collera. S'era ingannato. Finora almeno, le cose procedevano a maraviglia. Gertrude non gli era mai sembrata così allegra, così felice come quella sera. Egli le promise d'assisterla ne' suoi studi; e i programmi letterari dei due fanciulli salirono tanto alto, che pareva di sentir discorrere un poeta laureato e un filosofo. Durante alcune settimane tutto infatti andò per la piana. Gertrude frequentava la scuola regolarmente e seguitava a fare rapidi progressi. Guglielmo veniva tutti i sabati a sentirla leggere, e l'aiutava, l'incoraggiava con le sue lodi. Il perspicace ragazzo però ebbe presto il sospetto che ella avesse già avuto qualche attrito con certune delle scolare più grandi contro le quali cominciava a manifestare sintomi d'avversione. Insomma, qual si fosse l'origine dell'ostilità latente, la crisi non tardò a scoppiare. Un giorno, mentre le bambine erano radunate nel cortile della scuola per la ricreazione, venne a passare di là, lungo il marciapiede, Trueman in abito da lavoro, con la scala portatile e il vaso dell'olio. Gertrude lo vide, e saltando, ridendo, chiamandolo forte, corse in istrada, lo raggiunse. Trattenutasi due o tre minuti, rientrò di galoppo, trafelata ed allegra, eccitatissima dalla gioia di quell'incontro insperato. La truppa delle «grandi» che da un pezzo le si mostravano poco benevole, l'aveva osservata, e tosto ch'ella fu di ritorno una di loro le domandò: — O chi è quell'uomo? — È mio zio True. — Tuo.... che cosa? — Mio zio, il signor Flint. Io sto con lui. — Sicchè tu appartieni al lampionaio? — fece la ragazza con tono insolente. — Ah, ah, ah! — Che c'è da ridere? — disse fieramente Gertrude. — Uh! Io con lui non ci starei davvero, sudicio affumicato com'è.... Vecchio Negrone! — L'epiteto ebbe fortuna, e in un baleno circolò da un angolo all'altro del cortile, fra matte risa. Gertrude era furibonda. Con gli occhi scintillanti e i pugni stretti, si slanciò senza esitare contro la folla, sfidandola a battaglia. Ma sopraffatta dal numero delle avversarie, ed accecata dalla propria collera, ebbe naturalmente la peggio e fu cacciata fuori. Ella si diresse a tutta corsa verso casa, piangendo e urlando con quanto n'aveva in canna. Nella sua fuga precipitosa dette di cozzo, sul marciapiede, in una signora alta e massiccia, dal portamento piuttosto rigido, la quale camminava lentamente nella direzione medesima, con un'altra d'assai minore statura, appoggiata al suo braccio. — Misericordia! — esclamò il donnone che tra la violenza dell'urto improvviso e il suo spavento aveva quasi perduto l'equilibrio. — Orrida monella! — E così dicendo scoteva Gertrude ch'ella era giunta ad afferrare per una spalla. Quest'incidente non servì che a raddoppiare il furore della piccina, e insieme la sua velocità. In pochi minuti ella fu nella camera di Trueman, acquattata in un cantuccio dietro il letto, con la faccia contro il muro e coperta dalle mani, secondo il suo costume nei momenti critici. Là si trovò libera di strillare quanto voleva, perchè la signora Sullivan era uscita e nessun altro l'udiva; favorevole circostanza di cui approfittò largamente. Non a lungo però. A un tratto sentì chiudere il cancello della corte con un colpo secco, e passi che al suono le parvero d'estranei attirarono la sua attenzione, avvicinandosi all'entrata del quartierino. Ella fece uno sforzo per dominarsi, e dopo due ultimi singhiozzi spasmodici riescì a tacere. Fu picchiato all'uscio. Non rispose nè si mosse dal suo nascondiglio. Senza ripicchiare, qualcuno alzò il saliscendi, ed entrò. — Non dev'esserci nessuno, — disse una voce femminile. — Peccato! — No? Me ne dispiace, — disse un'altra i cui dolci toni musicali rivelarono subito a Gertrude la presenza d'Emilia Graham. — Lo sapevo io che avreste fatto meglio a non venire qui voi stessa! — riprese la prima, ch'era quella della signora Ellis: il donnone a cui Gertrude aveva fatto pigliare quel grosso spavento. — Oh, non mi dolgo d'esser venuta! — rispose la signorina. — Potete benissimo lasciarmi qui e andare da vostra sorella. Intanto, o il signor Flint o la bimba, probabilmente ritornerà a casa. — Non è convenienza, signorina Emilia, che voi siate portata in giro come un pacco che si depone qua o là e si viene a riprendere. L'altro giorno aspettando il pastore in chiesa vi buscaste una terribile infreddatura di cui siete a mala pena guarita.... Il signor Graham finirà con l'inquietarsi.... — Oh, non vi mettete in pensiero, signora Ellis! Qui si sta veramente bene. La chiesa è un po' umida io credo. Via, mettetemi nel seggiolone del signor Flint; io son contenta così. — E sia, allora. Ma per ogni conto, farò un buon fuoco in quella stufa prima d'andarmene. — L'energica governante afferrò l'attizzatoio, accozzò i carboni, usò senza risparmio le fascine di True, e dopo aver aspettato di veder alzarsi la fiamma e sentirla scoppiettare, mise da parte il boa ed il cappellino d'Emilia, e uscì col suo passo grave e sonoro, il quale, quando erano venute, aveva reso così impercettibile quello leggerissimo della giovane, da far credere a Gertrude che una sola persona attraversasse la corte. Tosto che il rumore del cancello avvertì che la signora Ellis era davvero partita, la bambina cessò il suo sforzo, trasse un profondo sospiro, e si sfogò, ansimando: — Ohimè! Ohimè! — Come! — esclamò Emilia. — Tu sei qui, Gertrude? — Sì, — rispose ella tra i singhiozzi. — Vieni accanto a me, figliuola. — Gertrude non se lo fece dire due volte. Balzò in piedi, corse a lei, e gettatasi per terra nascose il capo nel suo grembo, ricominciando a pianger forte con tal violenza, che tutto il suo corpicino ne tremava. — Ebbene, che t'è successo? — le domandò la cieca. Ma ella non era in istato di rispondere. Quella lo comprese, e senza più interrogarla se la pigliò sulle ginocchia, le fece posar la testa sulla sua spalla, e asciugò con la propria pezzuola le lacrime che le inondavano la faccia. Le sue tenere parole, le sue carezze, calmarono la piccina; e quando si fu chetata, invece d'insistere subito per conoscere la causa di quella disperazione, ella molto giudiziosamente le diresse altre domande; infine però le chiese se andasse a scuola. — _Ci sono andata,_ — rispose Gertrude sollevando la testa. — Ma non ci vo mai più, _mai_! — Che dici? E perchè no? — Perchè _odio_ quelle ragazzacce, — proruppe la bimba, irosamente. — Sì le odio! Brutte! Maligne! — Gertrude, Gertrude, — ammonì Emilia — non parlare così. Tu non devi odiare nessuno. — Perchè non devo? — Perchè è un gran peccato. — No che non è un _peccato_! Io vi dico di no! E le odio quelle maligne, e odio Annetta Grant, e l'odierò sempre!... Voi non odiate dunque nessuno? — Io _no_. — Ma nessuno mai affogò il vostro gattino? Nessuno mai chiamò vostro padre Vecchio Negrone sudicio affumicato? Se ve n'avessero fatte di questa posta, odiereste voi pure come me! — Gertrude, — disse la giovane cieca, solennemente — tu mi dicesti l'altro giorno che sei una bimba cattiva, ma che desideri diventar buona e ti sforzerai di riescirvi. Vero? Ebbene, se vuoi diventar buona e farti perdonare, bisogna che tu perdoni agli altri. — Gertrude tacque. — Non brami che Dio ti conceda il suo perdono ed il suo amore? — Dio che sta lassù in cielo e ha fatto le stelle? — Sì. — Credete che mi amerà e permetterà che vada in cielo anch'io una volta o l'altra? — Sì, se tu sarai buona e amerai tutti quanti. — Dopo avere riflettuto un poco la bambina concluse: — Signorina Emilia, proprio non posso. Sicchè non ci andrò mai, lo veggo. — In quella sentì cadere una lacrima sulla sua fronte. Alzò gli occhi, e fissò nel volto della cieca uno sguardo pensoso. — Cara signorina Emilia, voi ci andrete? — Procuro di meritarlo. — Mi piacerebbe andarci con voi, — disse Gertrude scotendo la testa. E s'immerse in una profonda meditazione. Emilia stimò di non doverla interrompere. — Sentite, — riprese alfine la bambina con voce così sommessa ch'era appena un mormorio — vorrei _provarmici_ ma temo di _non potere_. — Dio ti benedica e t'aiuti, figliuola mia, — disse la cieca ponendole la destra sul capo. Nessuna delle due parlò più. Passò così un buon quarto d'ora. Emilia, la quale teneva sempre Gertrude in grembo, s'era accorta, notando la regolarità del suo respiro, che, esausta dalla febbrile agitazione a cui era stata in preda, aveva finito col cadere in un placido sonno. Quando la governante fu di ritorno, ella, mostrandole la piccina addormentata, la pregò di portarla sul letto. La signora Ellis la compiacque, con un'aria di stupore, poi si volse a lei esclamando: — Affemmia, signorina Emilia, quest'è la medesima spiritata creatura urlante che per poco non è stata dianzi causa della nostra morte! — La giovane sorrise all'idea d'una bambinetta di otto anni che atterrava e annientava una donna delle dimensioni della signora Ellis, ma non disse nulla. Perchè pianse Emilia quella notte, ricordando la scena della mattinata? Perchè, china, in ginocchio, lottò aspramente contro un fiero dolore? Perchè con sì fervida istanza chiese a Dio di darle nuova forza e nuovo coraggio, e implorò la Sua benedizione sul capo della fanciulletta? Perchè in lunghi anni di tenebre desolate, in molte ore di lotta terribile, di disperata angoscia, ella aveva sentito che un carattere come quello manifestato da Gertrude poteva, in un momento di suo tremendo predominio, funestare tutta una vita, bandirne per sempre ogni felicità terrena. E però quella notte ella inalzò al Cielo un'ardente preghiera per impetrare la grazia di rimaner ferma nel suo proposito, di poter con l'aiuto divino conseguire il suo fine immortale curando quella piccola anima della cecità che l'affliggeva. XI. Un influsso da lei spira che il cuore Dell'afflitto, alla vita, alla speranza, Richiama dagli abissi del dolore. HEMANS. Il pomeriggio della domenica seguente trovò Gertrude seduta su un panchetto davanti a un piacevole focherello di legna, nella camera d'Emilia. I suoi grandi occhi erano fissi nel volto della fanciulla cieca che sembrava esercitare su lei un vero fascino, tale era l'attenzione con cui ella seguiva tutte le più fugaci espressioni di quei lineamenti. — Molte altre persone maggiori d'anni e di senno ne avevano, come Gertrude, sentito il dolce incanto senza poterlo definire. Non era la bellezza: almeno non una bellezza appariscente, perchè Emilia non l'aveva mai posseduta, neppure al tempo che due begli occhi color nocciuola illuminavano il suo viso; nè era quella potente attrattiva che danno ad alcune donne la voce e le maniere; la voce sua, benchè armoniosa, era così piana, e le sue maniere così semplici, che non conquistavano la fantasia d'assalto. Non era, infine, la compassione per la sua cecità. Quest'immensa sventura, certo, destava intorno a lei sentimenti di calda simpatia; ma i suoi amici dimenticavano spesso ch'ella _non vedeva_. Prima di tutto non erano costretti a rammentarsene, posto che Emilia non si lamentava mai, mai non intratteneva egoisticamente gli altri sulla propria infermità; e poi non c'era nulla di penoso nell'aspetto delle sue palpebre chiuse, ombreggiate da lunghissime ciglia. Accadeva quindi che, conversando con lei, qualcuno le parlasse di cose evidenti soltanto per il senso della vista, o perfino richiamasse la sua attenzione su questo o quell'oggetto: ed ella non rimproverava lo smemorato nemmeno con un sospiro, nè mostrava di non curarsi del mondo visibile da cui era esclusa; ma, paga in apparenza delle descrizioni che le venivano fatte e delle immagini che si formava nella mente, discorreva con piacevolezza su qualsiasi argomento preferito da' suoi interlocutori. Alcuni dicevano che Emilia Graham aveva una bocca graziosissima, e ne amavano le variabili espressioni; secondo altri nulla era più seducente in lei che la pozzetta nella sua guancia destra; parecchie ragazze desiderose di piacere confessavano che se avessero sperato di riescir a ondulare i loro capelli come quelli d'Emilia, li avrebbero intrecciati ogni sera: donava tanto! Ma i pochi eletti che grazie alla propria spiritualità erano capaci di comprendere e apprezzare il carattere della giovane cieca, i pochissimi suoi intimi che avevano saputo le sue lotte e veduto i suoi trionfi, se si fossero studiati di spiegarsi donde ella derivasse il potere di rapire i cuori e guadagnar l'amore e l'ammirazione di tutti, giovani e vecchi, avrebbero detto come Gertrude quella domenica che sedeva ai suoi piedi, fissandola intensamente: «Signorina Emilia, voi siete stata con Dio!» Gertrude, certo, era una strana bambina. Per quanto ignorante, sentiva la superiorità d'Emilia Graham su ogni persona da lei finora conosciuta; e nella sua fede ch'ella appartenesse a un ordine di creature sovrumane, credeva implicitamente alla verità delle sue parole, si lasciava di buon grado guidare ove ella voleva, sicura che non cercava se non di giovarle perchè l'amava. Con la sua voce soave Emilia impartiva alla piccola uditrice seduta dinanzi a lei sul panchettino, la prima lezione per insegnarle a distinguere il bene dal male. Ella non vedeva il visetto pensoso levato verso il suo viso; ma la profonda attenzione di Gertrude, che non fiatava, non si moveva, e più la stretta delle manine che avevano preso una sua mano e la tenevano, le provavano che di già un gran punto era vinto. Gertrude non era più ritornata a scuola dopo il suo conflitto con le «grandi». A tutte le esortazioni di True ella aveva opposto un'ostinazione invincibile. Ma la signorina Graham, la quale comprendeva meglio di lui la natura della bambina, fece valere ragioni ben più forti di quelle che aveva potuto adoperare egli, e riuscì nell'intento che a lui era fallito. Ciò che eccitava così fieramente l'indignazione di Gertrude era l'insulto recato al suo vecchio amico; ma ella le presentò la cosa sotto un diverso aspetto, e la persuase che se amava davvero lo zio True, glielo avrebbe dimostrato in assai miglior modo obbedendo a' suoi desiderî che non ostinandosi in una pazza collera. Ottenuta così da lei la promessa che la mattina seguente sarebbe andata a scuola, le diede savi consigli circa il contegno da osservare verso le condiscepole che avevano provocato la sua avversione contro di loro, e la tranquillò dicendole che il signor Flint l'avrebbe certo accompagnata e fatto alla maestra le debite scuse per la sua assenza, nel qual caso ella non aveva più da temere difficoltà nè dispiaceri. True, infatti, lietissimo della sua resipiscenza, andò alla scuola con lei, chiese della maestra, e nella sua maniera un po' rozza, ma schietta, le espose il caso e le affidò la bambina. La signorina Browne era una giovane di buon senso e buoni sentimenti. Vide le cose nella vera luce. E chiamate in disparte le ragazze che con la loro malevola petulanza avevano eccitato la collera della piccola, parlò in guisa che si vergognarono della loro condotta e s'astennero in seguito dal molestare Gertrude. Questa poi strinse amicizia con due scolarette dell'età sua, ch'erano tra le più tranquille; nelle ore di ricreazione si divertiva con loro, e non ci furono altri guai. Passò l'inverno. Ritornarono le tiepide giornate di primavera, liete di sole, in cui Gertrude poteva sedere davanti alla finestra aperta o sulla soglia dell'uscio, quando gli uccelli cantavano, la mattina, tra i rami d'una vecchia acacia piantata nella stretta corte, o il tramonto raggiava la sua luce d'oro nella vasta camera di True e ci si vedeva a leggere fin quasi all'ora di coricarsi. Ella aveva frequentato la scuola durante tutto l'inverno scorso, e fatto rapidi progressi, come sogliono i fanciulli intelligenti cui non s'è offerta l'opportunità d'istruirsi che ad un'età nella quale la mente già stimolata dall'ambizione è più pronta ad apprendere e più capace di buon profitto. Era fiorente di salute, e sempre linda, perchè Emilia la provvedeva generosamente di vestiti e biancheria, e la signora Sullivan prendeva cura della sua guardaroba. Ed era felice ed allegra, e saltellava per la casa, così vispa, così leggera, che True diceva che il suo uccellino non toccava mai la terra col tallone ma svolazzava attorno sulle punte dei piedini. Il vecchio non avrebbe potuto amare con maggior tenerezza la sua figlioletta adottiva, se ne fosse stato il vero padre. Quando egli sedeva al suo fianco sulla grande panca che venuta la bella stagione era stata portata fuori, nella corte, e ascoltava, paziente ed attento le storie ch'ella gli leggeva ad alta voce, storie di bambine che non dicevano mai bugie, di ragazzini che obbedivano sempre i genitori, e specie di fanciulli che sapevano dominare il loro temperamento focoso, sembravano proprio fatti l'uno per l'altra, com'erano realmente. Il piacere che il buon uomo trovava in quei libri, donati da Emilia e letti e riletti da Gertrude, era così vivo e costante come se fosse stato un ragazzo anch'egli. Coi gomiti sulle ginocchia e il mento sulle palme, True stava a sentire gl'ingenui raccontini ridendo quando ella rideva, commovendosi non meno cordialmente di lei alle peripezie delle piccole eroine, e godendo del finale trionfo della verità, dell'obbedienza, della pazienza. Emilia sapeva quale profonda impressione spesso facciano queste prime letture sull'animo dei bambini, e sceglieva i libri per la sua protetta con molta cura e molto criterio. La vita di Gertrude era adesso prospera e tranquilla quanto in passato misera e tormentata. Sei mesi innanzi si sentiva sola al mondo, negletta, non amata da nessuno. Adesso aveva parecchi amici e sapeva che vuol dire essere oggetto di cure affettuose, provveduta del necessario, accarezzata. Tutti i giorni della settimana avevano le loro gioie, ma il sabato e la domenica erano, come per la signora Sullivan, giorni beati, perchè Guglielmo veniva a udirla recitare le sue lezioni, a condurla a spasso, a ridere, a fare il chiasso con lei. Egli aveva sempre tante cose amene da raccontarle, era tanto pieno di vita, di brio, tanto pronto a partecipare a tutti i suoi disegni, a divertirla in mille maniere, ch'ella già dal lunedì mattina cominciava a contare i giorni fino al sabato venturo. E poi, allora, se c'era qualche piccolo guaio, se per esempio il vecchio orologio a pendolo s'era fermato, o s'era rotto un balocco, o peggio ancora le lezioni erano troppo difficili, Guglielmo rimediava a tutto, la traeva da ogni difficoltà, la consolava d'ogni suo puerile dispiacere. La madre stessa non lo attendeva con più ansiosa impazienza di Gertrude. Ma il pomeriggio della domenica ella lo passava sempre con Emilia, nella camera di lei, ascoltando la sua voce soave, imbevendosi del dolce suo spirito. Emilia non le faceva prediche, non la stancava con esortazioni e precetti. La bambina neppur si sognava d'esser là per _imparare_ qualche cosa. E intanto la giovane cieca diffondeva a grado a grado la luce in quell'anima oscura. Gl'insegnamenti divini, le verità generatrici di virtù, vi s'impiantavano per opera sua, con forza, ma in modo così naturale che Gertrude non s'accorgeva dell'azione esercitata su di lei. In progresso di tempo, però, quando la bontà fu appieno fortificata nell'intimo del suo essere, e le prime sue deboli resistenze al male, le prime sue infantili risoluzioni di perseveranza nel bene si furono maturate in principî saldamente radicati, e confermate nella pratica, ella riandando il passato comprese che là, in quelle domeniche benedette, mentre ascoltava Emilia sedendo su un panchetto a' suoi ginocchi, aveva ricevuto nel cuore i primi raggi della luce immortale che mai non s'estingue. Così la sua tacita preghiera a Dio era stata esaudita. Egli aveva mandato alla fanciulletta ignara un suo messaggero terrestre, perchè la guidasse verso la pace sempiterna; un messaggero a' cui occhi suggellati erano invisibili i sentieri del mondo, ma che per lunga esperienza conosceva la via del cielo. E chi poteva guidarla meglio di colei che aveva così pazientemente appreso il cammino? Chi poteva esser atto a dissipare le tenebre di un'altra anima, più di colei alla quale Dio aveva dato una fiaccola divina per rischiarare la notte ond'era avvolta la sua vita? Fu per Gertrude un gran dolore l'apprendere che la sua protettrice sarebbe tra poco andata in campagna per passarvi l'estate. Il signor Graham possedeva una villa amenissima a circa sei miglia da Boston, dove tutti gli anni si recava immancabilmente appena giunto il tempo delle piantagioni. Attivissimo uomo d'affari durante l'inverno, quando cominciava la stagione calda evadeva dal suo scrittoio, abbandonava il libro maestro e la corrispondenza commerciale, per dedicarsi tutto alle salubri fatiche e alle delizie del giardinaggio. Emilia promise alla bambina che un giorno di bel tempo l'avrebbe fatta venire alla villa, e sarebbero state insieme dalla mattina alla sera. Di questa visita Gertrude godette tre mesi avanti, nell'immaginazione, e più di tre mesi dopo, nella memoria. La compensò alquanto dell'assenza d'Emilia il piacere di veder più spesso Guglielmo, il quale grazie alla lunghezza delle giornate trovava ora modo di fare qualche scappatina a casa, la sera. E Guglielmo sapeva confortarla qualunque fosse la causa del suo dolore. XII. Ogni minuto scoccando T'apporti di saper nova ricchezza, Ogni minuto volando Canti la tua bontà, la tua saggezza. COTTON. Una bella sera, sul finir dell'aprile, Gertrude, che era stata a salutare la signorina Graham prima della sua partenza per la campagna, sedeva in fondo alla corte, piangendo amaramente. Ella teneva in mano un libro e una lavagna nuova; i doni che Emilia le aveva fatto nell'accomiatarsi. Ma il libro era sempre involtato in un foglio, e la lavagna cosparsa di lacrime. Assorta nel dolore di quel distacco (il primo per lei dei tanti da cui la vita è contristata) non udì i passi che s'avvicinavano, nè s'avvide che qualcuno le stava dappresso, finchè non sentì due mani posarsi sulle sue spalle. Si voltò e si trovò tra le braccia di Guglielmo, con la faccia lacrimosa contro la sua faccia ridente. — Olà, Gertrude! — esclamò egli. — Cotesta accoglienza tu mi fai quand'io vengo a casa una sera entro la settimana per passarla con voialtri? La mamma e il nonno sono fuori, cerco di te, e ti trovo immersa in un mare di lacrime che non mi lascia nemmeno vederti in viso. Via, via, smetti di piangere! Se tu ti figurassi come sei orribile così! — O Guglielmo! — ella balbettò tra i singhiozzi. — Non sai che la signorina Emilia se n'è ita? — Ita, dove? — Lontano, a sei miglia da Boston, per rimanerci tutta l'estate. — Ma Guglielmo dette in una risata. — Sei miglia! Una distanza enorme, affemmia! — Io però non posso più vederla. — La vedrai l'inverno venturo. — Ohimè, l'è lunga! — Perchè le vuoi tanto bene? — Perchè lei ne vuole tanto a me. Non mi vede, poverina, eppure mi ama, quanto, eccettuato lo zio True, nessuno al mondo. — Io non lo credo.... no, non credo che t'ami quanto t'amo io. Anzi ne sono _certo_. E come potrebbe amarti del pari, lei che non t'ha mai veduta, mentre io ti vedo, e tu sei la persona che ho più cara dopo la mamma? — _Davvero_, Guglielmo? — Sì, davvero. Quando m'incammino verso casa, penso sempre: «Or ora vedrò la Gertrudina.» Quando durante la settimana succede qualche cosa di nuovo dico in cuor mio; «Questo lo racconterò alla Gertrudina.» — Io invece m'ero immaginata che non potevo piacerti. — O perchè no? — Perchè tu sei molto bello, e io punto. Sentii l'altro giorno Elena Chase dire a Lucrezia Davis, che Gertrude Flint è la più brutta della classe. — Si vergogni! Scommetto ch'è brutta lei, piuttosto. A me sarebbe sicuro antipatica; non potrei soffrire nessuna ragazza che avesse detto questo. — Oh, ma è la verità, Guglielmo, la pura verità! — esclamò Gertrude vivamente. — No, che non è! — protestò egli. — Certo, tu non hai lunghi ricci biondi, e un visino tondo, e occhi celesti, come Bella Clinton, e nessuno pretenderebbe che tu sia una bellezza. Ma quando corri un po' e le tue guance diventano color di rosa, e i tuoi occhioni neri brillano, quando ridi così di cuore per qualche cosa di buffo, tu mi sembri piacente più di tutte le ragazzine che ho mai vedute in vita mia: e posto che piaci a me, l'opinione degli altri non ha peso. Se tu piangi, se tu soffri, io me ne affliggo come d'una pena mia e peggio. Ieri Giorgio Bray picchiò sua sorella Maria perchè aveva strappato il suo cervo volante: avrei voluto rendergliele di santa ragione.... Oh, Gertrudina, io non ti picchierei neanche se tu facessi a pezzi tutti i miei balocchi! — Guglielmo faceva spesso di queste affettuose dichiarazioni, e Gertrude vi rispondeva con egual calore. Nè erano mère parole. I due fanciulli s'amavano teneramente. I loro caratteri differivano assai: egli era serio, perseverante, paziente e calmo, di temperamento equilibrato; ella eccitabilissima, impetuosa, irrequieta, era pronta alla collera, d'umore variabile, oltremodo sensitiva in tutta la sua natura. Per lui, amato sempre, amato da tutti, farsi amare era un'abitudine. Gertrude, priva d'affetti nella sua infanzia derelitta, non cercava l'altrui simpatia, nè invero la destava se non nei pochi che avevano occasione di conoscerla a fondo, e in circostanze favorevoli. Eppure si volevano un gran bene; su ciò non poteva esserci dubbio. E il legame che li univa, si stringeva ogni giorno più: già forte nella primavera, nell'autunno era divenuto fortissimo, perchè Guglielmo durante l'assenza d'Emilia aveva fatto anche la parte di questa, oltre che la propria, e sebbene Gertrude non dimenticasse la sua amica lontana, l'estate trascorse per lei molto piacevolmente. A scuola continuava a progredire in modo tale che la signorina Graham ne rimase maravigliata quando, in ottobre, ritornò dalla campagna. L'inverno seguente non fu meno felice. Il tenero sentimento della giovane cieca verso la sua piccola protetta, anzichè diminuito, sembrava aumentato dal tempo e dalla lontananza. Le visite di Gertrude si fecero più frequenti che mai, e più che mai profittevoli; ma non a lei sola. Emilia, la quale l'inverno passato soleva farla leggere di tanto in tanto per giudicare de' suoi progressi, trovò, alla prima prova, che la scolaretta era giunta, nell'arte della lettura, a un grado d'eccellenza non comune tra le persone adulte. Ella non solo leggeva con molta intelligenza, ma aveva intonazioni ed accenti ammirabili. La cieca gustava nell'udirla un sì raro piacere, che ella, conciliando la propria sodisfazione con un benefizio per la bambina, le propose di venire a prestarle ufficio di lettrice un'ora ogni giorno. Gertrude non capiva in sè dalla gioia all'idea di esser utile alla sua cara signorina; giacchè ella le aveva presentato la sua proposta come la richiesta d'un favore, dicendole che così i suoi occhi servirebbero a tutt'e due. Fu dunque convenuto che Trueman, quando usciva per il suo giro di lampionaio, l'avrebbe condotta in casa Graham, e sarebbe venuto a riprenderla al suo ritorno; accomodamento che permetteva alla piccola lettrice d'essere puntualissima. Soltanto chi ne ha fatto l'esperienza può sapere quanta roba s'arrivi a leggere nel corso di sei mesi dedicando costantemente a quest'occupazione un'ora quotidiana. Emilia non restringeva la scelta dei libri a quelli che non oltrepassano le ordinarie capacità dei fanciulli, stimando non a torto che una ragazzetta dotata di così vivace intelligenza, non avrebbe sofferto per lo sforzo d'intuire cose superiori alla sua comprensione, in cui le poteva accadere d'imbattersi, ma che al contrario il suo ingegno ne sarebbe acuito e accresciuto il suo desiderio di sapere. Opere di storia, biografie, descrizioni di viaggi, furono scorse da Gertrude a un'età in cui generalmente i lettori non si compiacciono che nelle fiabe e nelle figure. E la bambina pareva anzi preferire queste letture serie. Con l'aiuto delle pazienti spiegazioni d'Emilia, ella andava accumulando nel suo piccolo cervello molti fatti importanti, molte nozioni utili. In quegli anni la memoria è forte, e grazie alla potenza della ritenitiva le cose impresse allora nella mente si ricordano quasi sempre meglio di quelle apprese più tardi quando i pensieri sono più disturbati e divisi. Il suo libro favorito era un trattatello d'astronomia che la confondeva co' suoi enigmi, ma tanto maggiormente l'attraeva, perchè chiarendole alcuni punti, lasciava per lei tutto il resto in un mistero affascinante: mistero ch'ella si riprometteva d'esplorare un giorno, in tutta la sua profondità. Quest'ambizione d'imparare sempre più, di comprendere sempre meglio, era in fin dei fini il preziosissimo tra i benefizi derivatile da' suoi studi. Destate una tale ambizione in un fanciullo, ispirategli l'amore della lettura, e otterrete risultati migliori che da anni di sgobbo sulle panche della scuola dove il cuore non lavora insieme con la testa. Gertrude frequentò la scuola pubblica fino ai dodici anni compiuti, passando rapidamente di promozione in promozione; ma ciò che aveva imparato con la signorina Graham e con Guglielmo rappresentava una parte considerevole delle sue cognizioni. Guglielmo, amantissimo dello studio, era lieto dell'ardore con cui la sua piccola amica lo secondava. E realmente la loro collaborazione, il mutuo incoraggiamento che trovavano nella comunanza dei loro gusti intellettuali, erano di grande vantaggio ad entrambi. Due anni dopo che avevano stretto amicizia egli già non poteva più esser detto un fanciullo: passava i quindici, e cominciava ad avere un aspetto virile. Ma la diligenza e il fervore di Gertrude esercitavano su di lui un influsso ancor più vivo: perchè se la bambina di dieci anni, nel suo desiderio d'istruirsi, stava volonterosamente a tavolino fin oltre le nove di sera, il giovanetto quindicenne non doveva stropicciarsi gli occhi e addurre la scusa della stanchezza. Fu appunto in su quel tempo che principiarono a studiare il francese. L'antico maestro di Guglielmo conservava una gran benevolenza verso l'alunno che era stato sempre il migliore della classe, e che avrebbe certo riportato i primi premi se un dovere imperioso non lo avesse costretto ad interrompere il corso degli studi avanti gli esami finali, per darsi a più umili occupazioni. Ogni qualvolta lo imbatteva, sia in istrada, sia altrove, gli domandava che facesse, e se continuasse a coltivare il suo bell'ingegno. Saputo ch'egli aveva parecchie ore di libertà, caldamente lo consigliò d'imparare la lingua francese la cui cognizione gli sarebbe senza dubbio tornata utilissima, qualunque fosse la carriera che avesse intrapresa; e s'offerse di prestargli tutti i libri necessari. Guglielmo non mancò d'approfittare del consiglio e dell'offerta, e ci si mise di buzzo buono. Quando era a casa la sera, veniva a studiare nella camera di True, parte per amore della quiete che vi godeva (True era il più quieto uomo del mondo e rispettava troppo la scienza perchè osasse disturbare gli studenti con domande oziose), parte per amore di Gertrude, la quale a quell'ora faceva di solito i suoi compiti. Come era da aspettarsi, inteso che Guglielmo imparava il francese, questa s'invogliò forte d'impararlo anche lei. Egli acconsentì a farla provare, però senza gran fiducia ch'ella avrebbe perseverato nell'intento. Con sua maraviglia, Gertrude invece manifestò non solo una perseveranza mirabile, ma una grande disposizione allo studio delle lingue; e avendola Emilia fornita degli stessi libri che aveva egli, ella progredì di pari passo con lui. E spesso, in capo alla settimana, era riuscita a tradurre più esercizi che non avesse trovato tempo di fare Guglielmo. Il sabato era la loro gran serata; True sedeva nel suo vecchio seggiolone accanto al fuoco, e contemplava i due ragazzi seduti fianco a fianco davanti alla tavola, intenti e chini su una pagina che a lui faceva l'effetto d'un labirinto oltremodo complicato. Gertrude cercava le parole: aveva un'abilità particolare a questo lavoro; i suoi occhi sfavillanti colpivano sempre giusto nel cuore del dizionario, infilzando i vocaboli voluti. A Guglielmo toccava «fare il senso». La prima volta che True colse a volo quest'espressione fu la sola che si fece lecito d'interromperli con un'ingenua facezia. — Fai «il senso» Guglielmo?... Il «buon senso» mi raccomando.... Ce n'è tanto bisogno in questo mondo! — Era ben naturale che nelle condizioni propizie di cui fruiva Gertrude, guidata e consigliata da Emilia, assistita e incoraggiata da Guglielmo, il suo intelletto dovesse rapidamente svilupparsi e irrobustirsi. Ma che n'era del piccolo suo cuore che ad un tempo teneramente affettuoso ed impulsivo, sensitivo ed appassionato, ora palpitava d'amore e di gratitudine, ora bruciava nel fuoco divorante che il sentimento d'un torto ricevuto, la coscienza di un'offesa, recata a lei o ad uno dei suoi amici, v'accendeva d'improvviso? Nei suoi due anni d'infanzia felice, aveva ella imparato a padroneggiarsi? Era giunta a distinguere chiaramente il bene dal male, il vero dal falso? In una parola, era Emilia stata fedele alla missione impostasi di sua spontanea volontà, al suo nobile proposito d'addolcire il cuore, d'illuminare l'anima della creatura ignorante? Aveva Gertrude appreso la religione, trovato Dio, cominciato a seguire pazientemente il sentiero ch'è rischiarato da una luce santa e conduce alla pace eterna? Sì, aveva _cominciato_, e sebbene spesso le fallisse il piede, sebbene talvolta la pazienza le venisse meno nell'angusta via, ed ella ne uscisse per rallentare il freno al suo irascibile temperamento, bambina qual'era ancora, si poteva fondare una ragionevole speranza sulla sincerità delle sue buone intenzioni, sulla profondità della sua contrizione quando accadeva che il male riprendesse l'antico predominio. Emilia non si risparmiava alcuna pena per insegnarle dove ella dovesse riporre la sua intera fiducia, e già la piccola Gertrude aveva imparato a invocare un soccorso più alto del suo, ad appoggiarsi a un braccio più forte. La signorina Graham s'era messa a un'ardua impresa assumendosi d'educare il cuore e la mente di una fanciulletta lasciata crescere nell'assoluta ignoranza d'ogni virtù. Su alcuni punti, tuttavia, e dei più importanti, ella non trovò le difficoltà che s'aspettava. Per esempio, dopo avere spiegato una volta la differenza tra l'onestà e la disonestà, la verità e la menzogna, non ebbe occasione alcuna di far rimostranze a Gertrude che, leale per sua natura, non aveva mai commesso la bassezza di mentire se non indottavi da un estremo terrore. Infatti i caratteri fieri ed impetuosi come quello, ch'era in lei il maggior difetto, appunto perchè tali, sono generalmente altrettanto franchi e sinceri. Anche innanzi d'esser divenuta virtuosa, l'orgoglio quasi sempre la ratteneva dal dissimulare la verità. Pochi mesi dopo averla conosciuta, Emilia era ben sicura di poter fidare nella sua parola. E questa certezza che la verità, radice d'ogni cosa santa, aveva così presto preso dimora in quell'anima infantile, era stata il maggiore incoraggiamento a perdurare nei suoi sforzi. Ma l'alterezza e la sensitività di Gertrude sembravano innate; la tirannia, i cattivi trattamenti non avevano potuto soffocarle, anzi s'erano vigorosamente sviluppate in mezzo alle circostanze più sfavorevoli. La bontà, la benevolenza ottenevano tutto da lei, la persuadevano, la soggiogavano; ma ella non sarebbe stata capace di tollerare un freno imposto severamente, per opportuno, per necessario che fosse. Emilia sapeva che spesso l'autorità stessa dei genitori non basta a governare questi spiriti indocili. Ella non conosceva che un potere tanto forte da vincere l'orgoglio umano, da spegnere le passioni terrene: quello dell'umiltà cristiana, innestata nel cuore: umiltà di _principio_, umiltà di _coscienza_. L'unico potere a cui l'orgoglio ingenito presti omaggio, e la passione ceda. Invero ella sapeva pure che un ordine, di qualsiasi natura, dato a Gertrude da lei o dallo zio True sarebbe prontamente obbedito, perchè la bambina, conscia che l'amore lo dettava, per amore vi si sarebbe sottomessa; ma a fine di provvedere ad ogni contingenza, di fare che il cuore fosse retto come la vita, occorreva ch'ella mirasse a un fine più sublime che quello di compiacere le persone a lei care; e insegnandole la dottrina del suo Divino Maestro, Emilia le infondeva la forza di fare e di patire, di sopportare e di perdonare, per quando, indipendente, non avrebbe più avuto altra guida che sè medesima. Qual profitto Gertrude avesse tratto dalle cure e dall'istruzione ricevute in questi due anni, mostrò il seguito della sua storia. Passò per molte prove, sostenne molte lotte, ebbe sconfitte e vittorie. La signorina Graham era sodisfatta e piena di speranza, True superbo ed esultante, la signora Sullivan e perfino il vecchio Cooper dicevano che il suo contegno e il suo aspetto s'erano maravigliosamente mutati in meglio, e ch'ella aveva maniere assai garbate per una bambina della sua condizione. XIII. Non fantasia capricciosa Nè d'ora oziosa influsso passeggero, Nè clamore di folla, nè aura popolare Potrà mai farlo errare fuor del retto sentiero. W. G. SIMMS. Era il terzo inverno da che Gertrude stava con True. Un sabato sera Guglielmo entrò, al solito, con la grammatica francese e il dizionario sotto il braccio, ed esclamò, gettando i libri sulla tavola: — Oh, Gertrude, prima di metterci a studiare bisogna ch'io racconti a te e allo zio True la comica avventura che m'è capitata quest'oggi! Ne ho tanto riso dianzi con la mamma! — Sì, vi sentivo ridere, — disse Gertrude. — Se non avessi avuto troppo da fare sarei anzi venuta a vedere che c'era di così straordinariamente buffo. Suvvia, racconta. — Non pensate che sia uno scherzo.... Non sarei esilarato a questo segno se la non fosse stata la più bizzarra vecchietta ch'io abbia mai visto in vita mia. — Che vecchietta?... Non ci hai detto nulla di vecchie nè di giovani, finora! — Bene, incomincio.... ecco!... Avete visto come ogni cosa era coperta di ghiaccio stamani? Che splendore! Quando il sole è arrivato al grande olmo di fronte all'ingresso della farmacia, e lo ha fatto brillare tutto, ho pensato che non poteva esserci al mondo nulla di più bello.... Ma questo non ha che vedere con la mia vecchietta.... salvo che i marciapiedi erano abbaglianti come tutto il resto.... — Eh, lo so! — interruppe Gertrude. — Nell'andare a scuola sono sdrucciolata.... — Davvero? — disse Guglielmo. — Non ti sei mica fatta male? — No, punto. Ma prosegui. Sono impaziente di sapere della vecchietta. — Verso le undici stavo sull'uscio, guardando fuori, quand'ecco, vedo venire avanti la più strana persona che uno si possa immaginare. Devo descrivervi la sua abbigliatura. Aveva una specie di veste nera, non so se di seta o di raso, stretta stretta e con tutt'in giro una guarnizione di trina d'un bruno incerto: probabilmente una volta era nera anche quella, ma adesso non più. Sulla veste portava un mantello di seta bigia che pareva uscito dall'arca di Noè, e sul mantello una baverina di colore diverso, la quale data, io credo, da una generazione anteriore. Non tento di darvi un'esatta idea del suo cappello: vi dirò soltanto ch'era grande il doppio dei più grandi che sfoggino le altre donne, e che ne scendeva, fin quasi ai piedi, un velo trinato, a disegni vistosi, gettato da una parte. Ma il colmo della stravaganza erano i suoi occhiali, con due lenti enormi, come non se ne sono mai viste; qualche cosa d'orrendo. Un sacchetto da lavoro, fatto di seta nera con cucitevi sopra a zig-zag numerose listerelle di stoffe di tutti i colori dell'arcobaleno, era appeso al suo braccio sinistro, e al sacchetto stavano appuntati, mediante spilli d'ottone, la pezzuola, un immenso ventaglio di penne (te lo figuri, con questo fresco?), un fazzoletto da involtare roba, un giornale.... Misericordia! Non mi rammento neanche la metà degli oggetti che ne penzolavano, tutti in un mazzo, raccomandati alla resistenza del cordone! Eppure il suo vestiario non poteva dirsi la maggiore stranezza in lei. Ciò che la rendeva singolarmente ridicola era la sua andatura: camminava come una vecchia male in gambe, durando fatica a muovere il passo sul ghiaccio, ma con un sorrisetto lezioso sulle labbra e una cert'aria d'importanza! Oh, Gertrude, fortuna che tu non l'hai veduta! Non avresti ancora cessato di ridere.... — Qualche povera pazza, non è vero? — domandò True. — Oibò! — fece Guglielmo. — Stravagante, certo, ma pazza no.... almeno non pare. Proprio nel momento che passava davanti all'uscio della bottega le è scivolato un piede, ed eccotela bocconi per terra, lunga distesa.... Io accorro spaventato, pensando che quella meschina creatura poteva essere rimasta uccisa da una tale caduta.... Il signor Bray e un altro signore ch'egli stava servendo, mi seguono. Era tutta stordita, ma portata in farmacia è rinvenuta subito. Mi domandate se è pazza? Nemmen per ombra, zio True. Lucida come un dollaro! Il suo primo pensiero, non appena riaperti gli occhi e tornata in sè, è stato d'assicurarsi che teneva sempre il suo sacchetto con le relative appendici; poi le ha contate ad una ad una e, trovato il numero completo, ha scosso il capo in segno di sodisfazione. E ora viene il bello. Il signor Bray mesce un bicchierino di cordiale e glielo offre. Essa, che aveva già riacquistato la sua prosopopea e le sue graziette, retrocede con una riverenza alla moda antica, e protende le mani per esprimere il suo orrore all'idea di bere quella roba. Il signore che era presente alla scena sorride e l'esorta a vuotare il bicchierino senza paura. La vecchietta si volta verso di lui, fa un'altra riverenza, e dice con una vocettina fessa: «Potete affermarmi sulla vostra parola di leale e cortese gentiluomo che non è un liquore inebriante?». Il signore, rattenendo a stento una risata, le ripete che non le avrebbe fatto alcun male. «Allora» dice lei «m'arrischierò a sorseggiare il beveraggio.... Ha una fragranza molto aromatica.» Sembra che non le riescisse meno gradito al palato che all'odorato, perchè, assaggiatolo, ha finito col tracannarlo fino all'ultima gocciola. Posato il bicchiere sul banco, s'è rivolta a me con questo discorsetto: «Giovanottino, senza l'esplicita dichiarazione di cotesto signore circa l'innocuità del liquido, non l'avrei bevuto in vostra presenza non foss'altro per l'_esempio_: io non ho formalmente assunto l'obbligo della temperanza, ma sono astemia perchè si conviene a una signora: per me gli è affar d'elezione, affar di _gusto_.» «Pareva che oramai si fosse riavuta. Infatti si disponeva a rimettersi in cammino, ma l'avventurarsi di nuovo sola sul ghiaccio era una vera imprudenza, e il signor Bray doveva pensarlo, giacchè le ha domandato dove andasse. Con le circonlocuzioni del suo fiorito linguaggio ella ha risposto che andava a passar la giornata dalla signora tale, dimorante nei pressi dei Prati. Io allora tocco una manica al principale e gli dico piano che se non ha bisogno di me, vo ad accompagnarla. Il signor Bray mi dà licenza, per un'ora. Io offro il braccio alla vecchietta dicendole che sarebbe un piacere per me il servirla. Ah, miei cari, bisognava vedere! Se io fossi stato un giovane adulto e lei una ragazza, non avrebbe fatto più vezzosamente la ritrosa, con mossettine del capo e mezzi sorrisetti.... Ma infine prende il mio braccio e partiamo. Sapevo che il signor Bray e l'avventore ridevano alle nostre spalle, ma non me ne importava;. la vecchia signora mi faceva compassione, e non volevo che cascasse una seconda volta. «I passanti si voltavano a guardarci, e non c'è da maravigliarsene, perchè eravamo senza dubbio una coppia dimolto buffa. Non soltanto essa aveva accettato l'appoggio offerto, ma vi s'aggrappava di peso, con tutte e due le mani, arrotondando le braccia come due anse. Qui però non dovrei ridere di quella poveretta, perchè aveva gran necessità che qualcuno l'aiutasse e la sostenesse per non sdrucciolare sul ghiaccio, e non pesava già tanto da stancarmi. Sarei curioso di sapere chi siano i suoi. È strano che la lascino uscire sola, specie quando le strade sono nello stato d'oggi.... — Come si chiama? — domandò Gertrude. — Non te l'ha detto? — No, non ha voluto. Io gliel'ho chiesto, ma mi ha risposto semplicemente, con la sua vocettina fessa — e Guglielmo ricominciava a sbellicarsi dalle risa — che ella era la dama incognita, e ch'è l'impegno d'un vero e galante cavaliere scoprire il nome della sua bella. In fede mia, un'avventura impagabile! Non ho sentito mai nessuno parlare in modo così ridicolo. Le ho domandato la sua età.... La mamma dice che ho commesso un'inciviltà madornale, ma in compenso è l'unica.... La vecchia signora lo attesterebbe se fosse qui. — Ebbene, quanti anni ha? — Sedici. — Eh via, Guglielmo! Mi burli? — No, è l'età che m'ha detto lei. E un vero e galante cavaliere è in obbligo di credere ciecamente alla sua bella dama. — Povera creatura! — esclamò Trueman. — È rimbambita! — Non mica, zio True. A momenti parrebbe, quando sballa certe sciocchezze, ma poi subito si mette a parlare sensatamente quanto voi e me. M'ha ringraziato protestandosi gratissima e lodando il raro «spirito di cortesia» che dimostravo col pigliarmi tanta pena d'una vecchia signora come lei. Nello svoltare in via Beacon ci siamo incontrati in un intero collegio di ragazze, tutte bellezze fiorenti, «bellezze da ammazzare un uomo» diceva la mia vecchietta. Appena vedutele apparire da lontano doveva aver tenuto sicuro ch'io cercherei di liberarmi per correre dietro a qualcuna di loro, tanto furiosamente s'attaccava al mio braccio. Sorte ch'io non avessi punto la prava intenzione d'abbandonarla, perchè mi sarebbe stato impossibile. Alcune delle ragazze si fermavano un momento a guardarci con curiosità; io, s'intende, non ne facevo caso, ma la mia dama sembrava credere che ne fossi terribilmente mortificato, e, passate alfine tutte quante, ha rilodato il mio «spirito di cortesia»: sua espressione favorita. — Guglielmo tacque, sfiatato. True gli pose una mano sulla spalla: — Sei un bravo e buon ragazzo! — disse; — Tu onori i vecchi, e fai bene, quantunque il tuo nonno pretenda che non sia più di moda. — Non so di mode, io, zio True, ma stimerei tristo e di basso animo un ragazzo che vedesse una vecchia sdrucciolare sul ghiaccio, e non l'accompagnasse a casa per risparmiarle una nuova caduta. — Guglielmo è sempre stato buono con tutti, — osservò Gertrude. — O Guglielmo è un eroe, — disse il giovanetto — o ha due cari amici che lo giudicano con troppa benevolenza, com'è più verosimile. Ma vieni, Gertrude, Carlo XII ci aspetta, e dobbiamo studiare molto oggi, perchè può darsi che non ci capiti tanto presto un'altra occasione. Il signor Bray non istava bene stasera; pare che lo minacci la febbre. Gli ho promesso di ritornar a bottega domani, dopo desinato. Se, Dio guardi, s'ammala, sarò occupatissimo, e non potrò affatto venire a casa. — Oh, speriamo che non s'ammali! — esclamarono Trueman e Gertrude, a una voce. — È un così brav'uomo! — soggiunse il vecchio. — E tratta Guglielmo con tanta bontà! — aggiunse la bambina. Anche Guglielmo sperava, ma le sue speranze si mutarono in ansiosi timori quando il giorno seguente seppe che il suo ottimo padrone non si trovava in grado di lasciare il letto, e che il medico era impensierito dai sintomi riscontrati. Si manifestò una febbre tifoidea che in pochi giorni condusse il farmacista alla tomba. La sua morte fu per Guglielmo un colpo tanto improvviso e terribile, che su quel subito egli non comprese le importanti conseguenze che da questo evento derivavano a lui stesso, nel suo avvenire. La farmacia venne chiusa, essendosi la vedova risolta a vendere i fondi per ritirarsi a vivere in campagna; sicchè rimase privo a un tempo dell'impiego e del prezioso appoggio che aveva nel signor Bray. Nell'ultimo anno i guadagni del giovanetto erano stati considerevoli, e avevano migliorato le condizioni de' suoi cari, permettendo loro di diminuire le proprie quotidiane fatiche. Il pensiero d'essere a carico della mamma e del nonno anche per un solo giorno era intollerabile al suo spirito indipendente ed energico. E però si mise sollecitamente alla ricerca d'un nuovo posto. Incominciò dal rivolgersi ai farmacisti della città: a nessuno di essi occorreva un ragazzo dell'età sua, e la giornata fu spesa in gite inutili. Ritornò a casa la sera, disilluso, ma punto scoraggiato. Se non trovava da impiegarsi in una farmacia, avrebbe fatto qualche altra cosa. Ma che cosa? Questo era il nodo. Dibattè a lungo la questione con sua madre. Ella sentiva che l'ingegno e l'educazione del suo figliuolo gli davano diritto a un posto almeno pari a quello che aveva occupato fino allora, e non poteva sopportare l'idea ch'egli scendesse a servigi più bassi. Guglielmo stesso, senz'essere presuntuoso, non pensava diversamente. Egli ben si sapeva capace di tenere uffici richiedenti assai maggior coltura e attitudine agli affari che non le incombenze affidategli dal signor Bray. Ma se per ora non era possibile conseguire ciò che desiderava, avrebbe preso ciò che si sarebbe offerto. E cercò da tutte le parti. Il guaio era che non aveva nessuno da far dire una buona parola in suo favore, e certo non si può pretendere che la gente abbia fiducia in un ragazzo sconosciuto e senza raccomandazioni. Tutti i suoi passi riuscivano dunque infruttuosi, e un giorno dopo l'altro se ne tornava a casa silenzioso e depresso, temendo la vista del nonno e della mamma. Quando questa volgeva verso di lui piena di speranza il pallido viso che portava l'impronta di tante cure, di tante fatiche, era uno strazio per il suo cuore doverla rattristare con nuovi disinganni; e non meno lo tormentava il pessimismo del vecchio, il quale addirittura non credeva alla possibilità ch'egli trovasse un'altra occupazione, nè si sarebbe persuaso del contrario finchè non glielo provasse un fatto di cui non si vedeva ancora speranza. In capo a due settimane la signora Sullivan finì con l'astenersi dall'interrogarlo sui risultati delle pratiche fatte, avendo il suo vigile occhio materno scorto tutta la pena che gli cagionavano quelle domande. Aspettava pazientemente che egli le comunicasse le sue notizie, se ne aveva. Spesso così avveniva che non fosse scambiata tra loro una parola sul modo in cui Guglielmo aveva impiegato la giornata. E molte trepide istanze egli fece per ottenere lavoro, molte mortificanti repulse ebbe a soffrire, di cui sua madre nulla mai seppe. XIV. Se peso egual di tema e di speranza Tiene in forse l'evento, io, per natura Sempre a sperar più che a temere inclino. COMUS. Era questa una prova non conosciuta fino allora da Guglielmo, e la più dura per lui a sostenersi. Eppure la sostenne, e strenuamente: nascose le più aspre sue lotte alla madre ansiosa, al nonno scorato, e con virile risoluzione sperò contro la speranza, Gertrude era adesso il suo maggior conforto. A lei confidava le sue pene, e quantunque non fosse che una fanciulletta, ella sapeva essere una mirabile consolatrice. Presentandogli sempre le cose nella luce più favorevole, predicendo un domani più fortunato, faceva molto per ravvivare la sua fiducia, per fortificare il suo proposito. Dotata d'uno spirito pronto, sagace, osservatore, ella vedeva, assai meglio che non sogliano i fanciulli, le diverse vie per cui poteva esser condotta a termine una faccenda; e spesso dava a Guglielmo utili consigli di cui egli volentieri approfittava. Un giorno gli domandò se non avesse mai pensato a ricorrere ad una agenzia d'informazioni. Egli infatti non ci aveva pensato, e se ne maravigliò seco stesso. Lo fece senza indugio. Gli furono date lusinghiere speranze che per qualche tempo lo rianimarono, ma riuscirono fallaci. E oramai cominciava a disperare, quando gli cadde sott'occhio un annunzio in un giornale che parve offrirgli una probabilità di buon successo. Lo mostrò a Gertrude. Era proprio il fatto suo. Non aveva che da presentarsi. Si chiedeva appunto un ragazzo come lui: quindici anni, svegliato, capace, fidatissimo, disposto ad entrare come socio nella ditta, dopo acquistata la necessaria pratica degli affari. Ella era sicura che nessuno poteva meglio di Guglielmo convenire al richiedente. Tanto n'era sicura, che la mattina appresso Guglielmo si presentò al recapito indicato, franco e fiducioso come mai per l'innanzi. Il principale, che aveva l'aria d'un uomo assai fine e scaltro, lo fissò con uno sguardo penetrante, lo tempestò di domande, lo sconcertò manifestando qualche dubbio sulla sua capacità e la sua onestà; e dopo averlo fatto discorrere un pezzo, concluse col dichiarargli che anche nel migliore dei casi e con le più valide raccomandazioni, egli non poteva accettare se non un giovanetto la cui famiglia acconsentisse a interessarlo negli affari della Casa investendovi per conto suo una piccola somma. Questa condizione chiudeva a Guglielmo l'adito a quel posto, quando pure l'uomo gli fosse piaciuto: ma non gli piaceva punto, perchè sentiva in cuor suo ch'era un furfante o giù di lì. Finora egli non s'era mai perduto d'animo; ma quest'ultimo disinganno l'avvilì per modo che, ritornato a casa, gli mancò il coraggio di trovarsi faccia a faccia con sua madre. Entrò dunque direttamente nella camera di True. Era la vigilia di Natale. Dagli sportelli aperti della stufa il riverbero d'un bel fuoco di carbone veniva a confondersi coi riflessi del tramonto in una luce purpurea che rischiarava fievolmente la stanza. Guglielmo trovò Gertrude sola ed occupata a preparare una certa focaccia per il tè, la quale era uno dei pochi prodotti dell'arte culinaria in cui fosse giunta a farsi onore. Ella giusto usciva dalla dispensa con in mano un ramaiuolo colmo di farina, quando lo vide entrare. Egli gettò il suo berretto sulla panca e sedette alla tavola nascondendo il volto tra le palme, con un atto di sconforto che le fece subito indovinare la nuova disfatta patita dal povero ragazzo nella sua lotta contro l'avversa fortuna. Era tanto contrario all'indole di Guglielmo l'entrare così senza dir parola, tanto strano vedere quella radiosa testa giovanile curvarsi sotto il peso del dolore, quel corpo agile e gagliardo accasciarsi, come fosse d'un tratto invecchiato, ch'ella comprese che il valoroso suo cuore cadeva infine vinto. Posò il ramaiuolo, e pian piano venne a lui, gli toccò un braccio, alzandogli in faccia i grandi occhi ansiosi. La compassione ch'egli sentì nella timida carezza, nello sguardo amoroso, gli diede l'ultimo crollo. Chinò la faccia sulla tavola, e un momento dopo Gertrude udì uno scoppio d'angosciosi singhiozzi che si ripercotevano ad uno ad uno nel più profondo dell'anima sua. Ella piangeva spesso e le pareva una cosa naturale: ma Guglielmo, il gaio, l'animoso Guglielmo, non l'aveva veduto pianger mai: credeva ch'_egli non sapesse_ piangere. Si arrampicò sulla seggiola del giovanetto e cingendogli il collo con le braccia mormorò: — Io non mi rammaricherei di non averlo ottenuto quel posto: credo che non sia un posto _buono_. — Neppur io lo credo; — disse egli sollevando la testa — ma come fare? Non ne trovo _nessuno_, e non posso star qui senza far _nulla_. — Noi siamo ben contenti d'averti a casa. — Oh, essere a casa è una gran bella cosa.... Godevo di venirci quando stavo col signor Bray, e guadagnavo un po' di quattrini, e sentivo che tutti mi vedevano con piacere.... — Ma anche adesso tutti ti vedono con piacere. — Non però come _allora_, — replicò Guglielmo alquanto impazientito. — La mamma mi guarda sempre come se s'aspettasse l'annunzio che finalmente ho trovato un'occupazione; il nonno ha l'aria di pensare ch'io non sarò mai buono a nulla.... Ah, proprio nel momento che cominciavo a guadagnare e ad aiutarli, mi tocca la disgrazia ti perdere il mio impiego! — Non è colpa tua se il signor Bray è morto; tu non potevi mica guarirlo. Mi sembra impossibile che il signor Cooper ti biasimi perchè _ora_ sei disoccupato.... — Non mi _biasima_, no.... Ma se tu fossi ne' miei panni proveresti quello che provo io nel vederlo là, seduto nella sua poltrona, tutta la sera, gemendo e borbottando, e guardandomi come se volesse dire: «A cagion tua mi dispero».... Egli pensa che il mondo è tristo, che lui non ci ha mai avuto sorte, e che così non nè avrò io.... — Tu ne avrai.... Sono sicura che sarai ricco un giorno. Allora sì che il nonno rimarrà stupito! — Gertrude, tu sei una cara bambina.... Hai fede in me.... Se mai divento ricco, ti prometto di farti partecipare alla mia fortuna. Ahimè, — soggiunse, scorato — non è tanto facile! Io m'immaginavo che quando sarei grande, guadagnerei subito dimolto denaro.... Invece veggo che ce ne vuole per arrivarci! — Chinò di nuovo il capo, volle nascondersi la faccia tra le mani; ma Gertrude gliele afferrò e non gli permise d'abbandonarsi alla malinconia. — Via, Guglielmo, — ella disse — non fissarti più in questo pensiero. Non c'è chi non abbia i suoi dispiaceri, ma tutti li superano, infine. Forse la settimana ventura ti troverai in una bottega anche meglio che quella del signor Bray, e sarai più contento di prima. Sai, — fece, per mutare discorso, tattica che i fanciulli sanno usare quanto gli adulti — oggi compiono due anni da che sono venuta qui. — Davvero? Lo zio True ti portò a casa sua la vigilia di Natale? — Precisamente. — Vale a dire che Santo Claus portò te verso le buone cose, invece di portartele, non è vero? — Gertrude non sapeva nulla di Santo Claus, il grande amico dei bambini; e Guglielmo, il quale aveva ultimamente letto la leggenda del buon vecchio che la vigilia di Natale distribuisce balocchi a piene mani, prese a raccontargliela, per esteso. Quand'ella vide che, infervorato nella sua storia, egli si distraeva senza volerlo, ritornò alla focaccia, pur non cessando d'ascoltarlo con attenzione mentre lavorava la pasta. Giusto nell'atto che stava infornandola, Guglielmo fece punto. Inginocchiata davanti alla stufa, aprendo e chiudendo macchinalmente lo sportello del forno, ella rimaneva pensosa, con un sì vivo sfavillìo negli occhi, che egli le domandò: — Gertrudina, perchè hai cotest'aria maliziosetta? — Pensavo — ella rispose — che Santo Claus potrebbe forse venire per te, stanotte; giacchè viene per chi ha bisogno di qualche cosa e porta ai bravi figliuoli ciò che desiderano, spero che ti porti un buon posto dove tu abbia occasione di farti ricco. — Sicuro! — disse Guglielmo. — Mi ficcherà nel suo sacco, e mi strascinerà fino a un palazzo per offrirmi come dono natalizio a un vecchio Creso, il quale mi regalerà un patrimonio, in contraccambio.... Ci fo assegnamento, perchè se non mi capita una fortuna prima di capo d'anno, devo darmi per disperato. — In quella i due ragazzi furono interrotti da Trueman che entrò portando trionfalmente un magnifico tacchino, regalo del signor Graham, e un libro per Gertrude, regalo d'Emilia. — Oh, non è curioso? — esclamò la bambina. — Guglielmo diceva appunto che voi, zio True, siete il mio Santo Claus.... Pare anche a me, davvero! — Così parlando apriva il libro. E nel frontespizio le si presentò il ritratto del leggendario personaggio. Ella proruppe, giubilante: — O, guarda, guarda, Guglielmo, come gli somiglia! È tutto lui! C'è il berretto di pelliccia, e la pipa, e il buon viso ridente proprio come il suo.... Ah, zio True, se soltanto aveste invece del tacchino e della lanterna un sacco di balocchi in ispalla, sareste un Santo Claus perfetto!... A proposito, per Guglielmo non avete nulla? — Sì, una cosuccia... Ma temo che non gliene importerà molto. Non è che un bigliettino. — Un biglietto per me? — domandò il ragazzo. — Di chi può essere? — Questo non so dirtelo, — rispose il lampionaio frugando nelle capaci sue tasche. — Svoltavo il canto quando un uomo m'ha fermato domandandomi dove abita la signora Sullivan. Io gli indico la casa. Allora, veduto che ci abito anch'io, mi consegna questo pezzetto di carta, e mi prega di rimetterlo al signorino Guglielmo Sullivan, che, m'immagino, siete voi. — Guglielmo prese con una mano il biglietto e con l'altra l'accenditoio di True, e sollevando il foglio all'altezza del lume, lesse forte: «R. H. Clinton desidera vedere Guglielmo Sullivan giovedì mattina, tra le dieci e le undici, al numero 13. Panchina....» Egli era sbalordito. — Che vorrà mai? — disse. — Io non conosco nessuno di questo nome. — So io chi è, — fece True. — È il signore che abita nella grande casa di pietra, in via ***; un riccone. Il recapito dato nel biglietto è proprio il suo banco.... — Che? Il babbo di quei bellissimi bambini che vedevamo spesso alla finestra? — Precisamente. — O che cosa può desiderare da me? — Probabilmente ha bisogno de' tuoi servizi, — disse il vecchio. — Ma dunque è un posto! — gridò Gertrude. — E un posto buono! Santo Claus è venuto e te l'ha portato.... Lo dicevo io! Oh, come sono contenta! — Guglielmo tuttavia non sapeva se dovesse rallegrarsi o no. Gli sembrava assai strano quel messaggio da parte d'un signore che non lo conosceva affatto. Certo sarebbe stato naturale sperare con la sua piccola amica e con lo zio True che fosse l'alba d'una nuova fortuna; ma egli aveva ragioni particolari, da loro ignorate, per credere che di questa fortuna, se pur gli si offriva, non avrebbe potuto approfittare. E però si fece promettere da entrambi di non far cenno della cosa nè a sua madre, nè al signor Cooper. Il giovedì, ch'era il giorno dopo il Natale, egli si presentò puntualmente nel luogo indicatogli. Il signor Clinton, uomo di maniere finissime e d'aspetto benevolo, l'accolse con molta gentilezza, gli diresse poche domande, non chiese nemmeno se avesse raccomandazioni, o attestati del suo antico principale, ma senz'altro gli disse che aveva bisogno d'un giovanetto per le mansioni di secondo commesso nel suo banco, e gli offerse il posto. Guglielmo esitò, perchè quantunque l'offerta fosse molto vantaggiosa per il suo avvenire, non era accettabile per il presente, se, come pareva, il signor Clinton non gli assegnava uno stipendio. Questi, vedendolo titubante, gli domandò: — Forse la mia proposta non vi conviene, o avete già qualche impegno? — No, — rispose egli prontamente. — Mi dimostrate una gran bontà onorando me, estraneo, di tanta fiducia da essere disposto ad ammettermi nella vostra Casa, e la proposta mi giunge gradita quanto inaspettata; ma io, finora, avevo servito in un negozio di spaccio al minuto, dove percepivo un regolare salario sul quale mia madre e mio nonno facevano conto.... Certo, preferirei di gran lunga un banco quale il vostro, e credo, signore, che imparerei presto a rendermi utile: se non che, lo so, molti giovanetti di famiglie ricche si stimerebbero fortunatissimi d'essere impiegati da voi senza alcuna rimunerazione, e quindi io non potrei sperare uno stipendio, almeno per i primi anni. Comprendo bene che in capo a un certo tempo mi troverei compensato ad usura dalle cognizioni acquistate nella pratica degli affari mercantili: disgraziatamente non sono in istato di procurarmi questo vantaggio, più che di proseguire gli studi. — Il signor Clinton sorrise. — Come mai, giovanotto, siete così informato di queste cose? — Ho inteso dire da parecchi ragazzi miei condiscepoli, ora commessi in case commerciali, che non ricevono paga, e ho sempre giudicato equo cotesto trattamento; ma per tale ragione appunto mi sono sentito in obbligo di contentarmi del posto che occupavo in una farmacia, perchè sebbene non fosse di mio gusto, mi dava modo di bastare a me stesso e di venire in aiuto a mia madre ch'è vedova, e a mio nonno ch'è vecchio e povero. — Il vostro nonno, chi è?... — Il signor Cooper, sagrestano nella chiesa del signor Arnold. — Ah sì, lo conosco! — disse il signor Clinton; e dopo una pausa soggiunse: — Quello che avete detto, Guglielmo, è esattissimo: non è nostro costume assegnare un qualsiasi stipendio ai nostri giovani commessi, e ciò nonostante siamo tempestati di profferte; ma ho avuto ottime informazioni sul conto vostro, ragazzo mio (non vi dirò da qual fonte per quanto io vegga la vostra curiosità), e inoltre voi mi piacete: credo che mi servirete fedelmente. Ditemi dunque che cosa avevate dal signor Bray: io vi darò altrettanto il primo anno, e in seguito andrò aumentando la vostra paga, se lo meriterete. Siete contento? Allora potete entrare nel mio banco al principio del gennaio prossimo. — Guglielmo lo ringraziò il più concisamente possibile, e s'affrettò ad accomiatarsi. Il commesso principale, chino su' suoi registri, ascoltava il dialogo, e pensò che il ragazzo avrebbe dovuto esprimere maggiore riconoscenza dinanzi a una così insolita generosità. Ma il negoziante, osservando Guglielmo mentre gli parlava, ben aveva scorto nei mutamenti del suo viso il succedersi della maraviglia allo scoramento, e della speranza, della gioia alla maraviglia; una gioia piena di gratitudine sincera e così profonda che, egli lo comprendeva, non trovava parole per manifestarsi. E s'era ricordato del tempo in cui, giovanetto e figlio unico di una povera vedova, egli era venuto solo nella grande città, in cerca d'un impiego, e trovatolo dopo lunghi stenti, aveva subito scritto alla mamma per dirle che sperava di poter presto guadagnare abbastanza da provvedere a sè ed a lei. Da vent'anni cresceva l'erba sulla tomba ove ella dormiva l'eterno sonno, laggiù nella lontana campagna natia, e la faccia del negoziante era solcata dalle rughe che vi avevano impresse i pensieri e le cure; ma quando, ritornato a sedere, egli tracciò quasi inconsciamente su un foglio bianco, con la penna asciutta, le parole: «Cara mamma», ella rivisse per lui e rivisse egli stesso nella propria giovinezza. Quelle parole invisibili incominciavano la lettera che le recava la buona novella. No, Guglielmo non era ingrato, altrimenti non avrebbe destato nel signor Clinton i ricordi del tempo in cui il suo cuore provava le stesse commozioni. E tutte le madri che hanno pianto e pregato e ringraziato Dio ricevendo simili notizie da figliuoli teneramente amati, possono intendere qual fosse la felicità della buona piccola signora Sullivan quando Guglielmo le annunziò l'insperata fortuna. Il signor Cooper e Gertrude hanno pure i loro prototipi in tanti vecchi ne' cui occhi smorti e stanchi si riaccende il bagliore della speranza, che sebbene sia stata fallace per essi, vagheggiano ancora per i nipotini; in tante sorelline superbe e liete di vedere il nobile fratello apprezzato alfine dagli altri come fu sempre da loro. Nè in tali occasioni deve mancare l'amico cordiale che, come il bravo True, entra d'improvviso e battendo una spalla al ragazzo esclama: — Avevo ragione, io? Non c'era bisogno che si rammaricassero tanto, i tuoi.... Glielo dicevo sempre al nonno che le cose si sarebbero accomodate, e bene! — Ma un punto rimaneva misterioso. Da chi il signor Clinton aveva udito parlare di Guglielmo? La signora Sullivan passò in rivista le sue non numerose conoscenze, e fece mille supposizioni, una più inverosimile dell'altra. E però, visto che il congetturare non serviva a nulla, finirono con l'attribuire, come Gertrude, tutto il merito a Santo Claus. XV. Rinnovi in cielo il dì l'usato corso O avvolta d'ombra la notte silente Vigili sulla terra, ella paziente E fida attende all'opera pietosa Di lenire la pena sua angosciosa E nel bisogno porgergli soccorso. BLACKLOCK. — Sarei curiosa di sapere, — diceva la signorina Peekout appoggiando le mani al davanzale per sporgersi meglio, e guardando su e giù per la strada, occupazione a cui soleva dedicare dieci minuti dopo rigovernato gli utensili della colazione e prima di preparar la sua «lampada solare» — sarei curiosa di sapere chi sia quella ragazzina snella che passa di qui tutte le mattine conducendo a braccetto quel vecchio cadente. Li vedo sempre a quest'ora quando il tempo è buono e si cammina bene. È una cara creatura, senza dubbio, e dev'essere molto affezionata al pover'uomo.... probabilmente suo nonno. Ho osservato che ha cura di lasciargli la miglior parte del marciapiede, e vigila ogni suo passo; cosa necessaria, del resto, perchè lui vacilla ch'è una passione. Poverina, è pallida, e tutt'ansiosa.... Chi sa se assiste il vecchio lei sola?... Sarei curiosa.... — Ma la coppia è già fuori della sua veduta ed ella va a vedere se la lampada solare ha bisogno d'una calza nuova. — Sarei curiosa di sapere, — diceva la signora Grumble, seduta a una finestra d'una casa un po' più in là nella stessa via — se nel caso ch'io fossi un giorno vecchia ed inferma — (la signora Grumble passava i settanta ma non soffriva finora d'altra infermità che il suo temperamento irascibile) — qualcuno m'assisterebbe e si prenderebbe cura di me come quella figliuola lì del suo nonno! Mai e poi mai, ci scommetto! Che pazienza, per una bambina! Chi può essere? — Guarda, Bella! — diceva una fanciulla ad un'altra con la quale si recava a scuola passando per quella strada, dove si tenevano dalla parte dell'ombra. — Ecco là il vecchio e la ragazzina che incontriamo ogni giorno.... Come puoi dire che non è carina? Io l'ammiro! — Oh, tu, Rina, hai la particolarità d'ammirare ciò che a tutti gli altri pare orribile! — Orribile!. — esclamò Rina indignata. — Tutt'altro! Osserva ora quando l'incontriamo, quanto è dolce l'espressione del suo viso nell'atto di guardare il vecchio e di parlargli! Sarei curiosa di sapere che cos'ha quel disgraziato.... Vedi come gli trema il braccio? Quello che appoggia sul braccio di lei.... — Le due coppie s'incontrano, quasi sfiorandosi, passano, in silenzio. — Ebbene, non è forse simpaticissima? — domanda Rina, vivamente, non appena sicura di non essere udita. — Ha begli occhi, — risponde Bella — ma non c'è in lei nient'altro di notevole. Sarei curiosa di sapere come sopporta la noia di passeggiare con quel vecchio che si trascina a stento, pesandole sul braccio e tremando per modo che appena si regge.... E incontro al sole che la ferisce proprio in faccia.... Ah, io non lo farei per nulla al mondo! — Oh, Bella! Come hai cuore di parlare così? Io lo compiango il poveretto, immensamente! — Dio buono, a che giova il compianto? Se tu ti metti a compiangere tutti, non avrai da far altro dalla mattina alla sera. — Bella s'interruppe e urtò il gomito alla compagna: — Guarda lì, Guglielmo Sullivan, il commesso del babbo.... O non è una bellezza? Aspetta, voglio fermarlo. — Ma innanzi ch'ella giungesse a rivolgergli la parola, Guglielmo, il quale camminava prestissimo, l'oltrepassò salutandola con un inchino e un garbato: «Buon giorno, signorina Isabella!» e s'allontanò rapidamente. Quando la vezzosa Isabella si fu riavuta dallo stupore e dal dispetto che l'avevano ammutolita, non era più il caso di richiamarlo. — Gentilissimo! — ella mormorò. — Vedi, vedi, — fece Rina che s'era voltata a guardare indietro — ha raggiunto il vecchio e la simpatica bambina. Oh, prende l'altro braccio dell'infermo.... e proseguono tutti e tre insieme.... Non è una singolare coincidenza? — Io non ci veggo nulla di singolare, — disse Bella, un po' seccata. — Suvvia, allunghiamo il passo, o arriveremo a scuola in ritardo! — Lettore! Sei anche tu «curioso di sapere» chi siano quel vecchio e quella ragazzina? O hai già ravvisato True Flint e Gertrude? Il povero True non è più il forte e coraggioso protettore della debole creatura derelitta. Le parti sono invertite. Egli è stato colpito da paralisi. Il suo vigore se n'è ito, non gliene resta nemmeno tanto da camminar solo. Sta tutto il giorno a sedere nel suo seggiolone o sulla vecchia panca, salvo quando esce a passeggiare con la sua figliuola adottiva. Il colpo fu improvviso, e atterrò l'uomo robusto, lo lasciò debole come un fanciullo. E la piccola estranea, l'orfanella che, malata, abbandonata, priva del necessario, aveva trovato in lui un babbo e una mamma, ora per lui è tutto: il suo sostegno, la sua speranza, il suo conforto. Durante i quattro o cinque anni che egli ha amorosamente coltivato quella gracile pianticella, ella ha acquistato forza per il tempo in cui doveva esser egli a sua volta bisognoso d'appoggio e trovarlo in lei. Quel tempo è venuto, ahimè, troppo presto; ella era pronta e ha risposto all'appello. Con la semplicità e l'ardore d'una bambina, ma con la fermezza, la perseveranza, la capacità d'una donna, la piccola Gertrude presta da mane a sera, infaticabile, la sua opera d'infermiera fedele, di diligente massaia in servigio del suo primo, del suo più caro amico. Sempre al suo fianco, sempre attenta ad ogni suo bisogno, ella tuttavia riesce miracolosamente a fare molte cose, senza ch'egli pur se n'avvegga. Come l'ottimo uomo aveva predetto, ella è davvero ne' suoi vecchi giorni la benedizione di Dio incarnata che gl'illumina e fiorisce di gioie soavi fino il sentiero della tomba. Se l'infermità privava Trueman dell'uso delle membra, aveva per fortuna risparmiato la sua mente, ch'era lucida e serena come sempre: e il pio cuore si riposava, con umile fiducia, in quel Dio di cui egli riconosceva l'amore e la presenza, in cui sperava così fermamente, che nell'amarezza di quella prova poteva sottomettersi appieno e ripetere: «Sia fatta la tua volontà e non la mia!» Coloro che tutti i giorni notavano l'invalido e la sua piccola custode, e si maravigliavano della devozione, dell'abnegazione di quella fanciulletta, erano lungi dal comprendere i sentimenti d'affetto e di gratitudine ond'era animata Gertrude, dall'immaginarsi qual contentezza fosse la sua nel sostenere, nell'aiutare l'amato suo benefattore. Meno ancora la superbiosa che si sarebbe vergognata di passeggiare col vecchio paralitico, intuiva qual fosse il suo orgoglio. Come poteva ella credere che la ragazzina che avrebbe compianta, se avesse trovato tempo di compiangere qualcuno, si sentiva colmare il cuore della più viva, della più nobile sodisfazione provata in vita sua, quando porgeva l'appoggio del suo braccio al vecchio tremulo, ed era per lei una gloria portare quella croce? Il mondo esteriore le era indifferente. Non si curava dei commenti della gente oziosa, curiosa, vana. Non viveva ora che per True; per meglio dire viveva _in lui_, tanto esclusivamente pensava a consolarlo, a prolungare e allietare i suoi giorni. Da due mesi soltanto egli versava in così affliggenti condizioni. Già prima la sua salute aveva cominciato a declinare, ma era sempre in grado d'attendere al suo lavoro quotidiano, finchè una mattina di giugno Gertrude, entrando nella sua camera, vide con maraviglia che non s'era levato quantunque fosse molto più tardi dell'ora consueta. Accostatasi al suo letto domandandogliene il perchè, s'accòrse ch'egli aveva un aspetto strano e non poteva risponderle. Sbalordita e spaventata, chiamò la signora Sullivan. Fu mandato per un medico. Questi dichiarò ch'era un attacco di paralisi, molto grave. Parve infatti per qualche giorno che True dovesse soccombervi: ma poi andò migliorando. Ricuperò la favella, e in capo a due settimane fu in istato di camminare con l'aiuto di Gertrude. Il dottore aveva raccomandato quanto più moto fosse possibile senza stancarlo, e però tutte le mattine, innanzi le ore calde, se il tempo era buono, ella si presentava vestita di tutto punto e in cappellino, per condurlo a fare quella passeggiata con cui attiravano inconsapevolmente tanta attenzione. La piccola massaia, approfittando di questa opportunità faceva la spesa, a fine di non dover poi uscire un'altra volta e lasciare l'infermo solo, cosa che evitava se non v'era costretta. Così la mattina che Guglielmo li aveva raggiunti a gran dispetto di Bella, si diressero accompagnati da lui alla bottega di commestibili dove solevano provvedersi delle cose necessarie. Il giovanotto fece sedere comodamente True, e proseguì verso la panchina ***, mentre Gertrude andava al banco a contrattar gli acquisti per il desinare. Comprò un pezzo di vitello da fare un buon brodo, gettò uno sguardo di desiderio su certi panieri di legumi scelti, e si voltò in là, con un sospiro. Ella aveva in mano la borsa contenente tutto il loro denaro; la teneva lei da alcune settimane, e la sentiva ogni giorno più leggera: sicché sapeva bene che alle primizie non bisognava pensarci, e sospirava ricordando con quale piacere lo zio True mangiava i pisellini novelli, l'anno scorso.... — Quant'è la carne? — ella domandò al rubicondo macellaro che la stava involtando in un foglio. Egli disse quanto. Era _poco, tanto poco_ che a Gertrude sembrò che quell'uomo avesse veduto dentro la sua borsa, e anche dentro il suo pensiero, e sapesse come sarebbe contenta che non costasse di più. Mentre le dava il resto, egli si chinò sul banco, e le chiese sottovoce che genere di cibi convenisse al signor Flint. — Qualunque cibo sano, dice il medico, — ella rispose. — Credete dunque che mangerebbe un po' di pisellini? Ne ho di prima qualità, arrivati freschi freschi dalla campagna, e se gli piacciono, ve ne manderò volentieri. Il mio garzone deve portarne in giro mezzo staio.... Metterò nello stesso paniere anche la carne. — Oh, grazie, — fece Gertrude — gli piacciono moltissimo! — Benone, benone. Vedrete che bellezza! — Ed egli si volse a un'altra avventora così prontamente da lasciar credere a Gertrude che non si fosse potuto avvedere del rossore che le saliva alle gote, delle lacrime che le spuntavano negli occhi. Ma egli _se n'era avveduto_, e appunto per questo aveva avuto tanta fretta di servire l'altra.... Era un gran brav'uomo quel rubicondo macellaro! True conservava un ottimo appetito. Egli gustò e lodò assai il desinaretto, e dopo aver mangiato abbondantemente, s'addormentò nel suo seggiolone. Nell'atto che si destava, Gertrude balzò al suo fianco, gridando: — Zio True, c'è la signorina Emilia!... La buona signorina Emilia che viene a farvi una visita! — Iddio vi benedica, mia cara signorina! — disse il vecchio tentando di rizzarsi per muoverle incontro. — Non vi rizzate, no, ve ne prego! — esclamò la giovane cieca il cui raffinato orecchio aveva percepito la sua mossa. — A quanto mi dice Gertrude temo che vi sia penoso.... Figliuola, portami una seggiola accanto allo zio True.... — Ella s'accostò al paralitico, gli prese la mano, e parve oltremodo turbata nel sentirla tremare così. — Ah, signorina Emilia, — egli disse — non sono più l'uomo che ero quando vi parlai ultimamente.... Il Signore mi ha mandato un avviso, e devo dispormi a partirmene dà questo mondo! — Mi duole assai di non aver saputo nulla della vostra malattia, — disse la visitatrice. — Sarei venuta prima a trovarvi.... Ma ho avuto la notizia soltanto oggi.... Stamani Giorgio, il servitore di mio padre, vi ha visto in una bottega con Gertrude, e me l'ha detto non appena ritornato di città. Cotesta bambina doveva pur scrivermi un rigo.... — Gertrude stava ritta presso il vecchio accarezzando con le dita sottili le sue ciocche grige. Egli, all'udire Emilia menzionarla, si voltò verso di lei e la guardò.... Ah, quale sguardo d'amore! Mai Gertrude potè scordarlo. — Cara signorina, — rispose True — non era necessario disturbare nessuno. Dio stesso ha provveduto. Tutti insieme i dottori e tutte le infermiere del paese, non avrebbero fatto per me la metà di quello che ha saputo fare questa mia piccina. Cinque anni sono, quando me la portai a casa, povera scricciola, scalza e livida dal freddo, quando, in questa medesima stanza, me la reggevo sulle braccia, notte e giorno, malata, quasi morente, non mi sarei immaginato che verrebbe così presto la sua volta. No, signorina Emilia, non mi sarei immaginato che il Signore mi abbatterebbe così profondamente, che quei piedini correrebbero tanto di qua e di là per servirmi, che quelle manine verrebbero nelle tristi notti ad accomodare i miei guanciali, che il giorno camminerei appoggiato al suo debole braccio.... Davvero le vie di Dio non sono le nostre vie, nè i suoi pensieri come i nostri pensieri. — Oh, zio True, — disse Gertrude — io non fo molto per voi! Vorrei fare assai più, vorrei ridarvi la vostra forza. — Per questo mondo non è più possibile.... Ma tu mi dài ben altra forza che quella del corpo.... Ah, signorina Emilia, — proseguì rivolto alla fanciulla cieca — a voi dobbiamo ogni nostro bene! Io amavo il mio uccellino, ma ero uno sciocco e non sarei riescito che a viziarlo. Invece voi sapevate quello che ci voleva per il suo meglio e per il mio. Voi avete fatto di lei ciò ch'è adesso: uno degli agnelli di Cristo, un'ancella del Signore. Se qualcuno m'avesse detto sei mesi addietro ch'io sarei divenuto un povero invalido, inchiodato in una poltrona, senza sapere chi provvederebbe al necessario per me e per il mio uccellino caro, avrei risposto che non è possibile sopportare con pazienza una tal sorte, e il cuore mi sarebbe venuto meno. Ma ho imparato una gran lezione da questa bambina! Dopo l'attacco, appena ebbi ricuperato la parola, e potei esprimere le idee che mi venivano alla mente, turbato com'ero pensando al mio caso e alle condizioni di Gertrude che non aveva più chi lavorasse per lei, tanto turbato da sentirmi peggio, dissi gemendo: «E che faremo ora?... Che faremo?» Ed essa mi sussurrò nell'orecchio: «Dio avrà cura di noi, zio True.» E quando, dimenticata quella sua risposta, domandai un'altra volta: «Chi ci nutrirà ora, chi ci vestirà?» essa di nuovo disse: «Provvederà il Signore!» Una notte, nel più profondo della mia angoscia, crucciandomi per la mia piccina, esclamai: «Se io muoio, chi s'occuperà di Gertrude?» E la cara creatura ch'io credevo a letto, bene addormentata, posò la testa accanto alla mia, e rispose: «Zio True, la sera ch'io fui messa fuori nella strada buia, ed abbandonata là, sola, senza più casa, senza un amico al mondo, il nostro Padre Celeste vi mandò in mio soccorso; così se mai volesse chiamarvi a Sè e non prendere me pure, mi manderà qualcun altro per sostenermi durante il tempo ch'io devo restare ancora quaggiù.» Da quel momento, signorina Emilia, ho cessato di disperarmi. Le sue parole e i santi insegnamenti della Bibbia ch'ella mi legge tutti i giorni, hanno penetrato il mio cuore, e sono in pace. «Io pensavo sempre che se fossi vissuto e rimasto sano e forte, Gertrude avrebbe potuto frequentare la scuola e istruirsi, giacchè ha una grande inclinazione allo studio, e impara con molta facilità. È una bambina piuttosto gracile; e poi, non pare proprio fatta per i lavori grossolani e faticosi, perciò mi dispiaceva troppo l'idea che avesse a guadagnarsi la vita duramente. Speravo di vederla diventare maestra di scuola come la signorina Browne, o qualche cosa di simile.... Ma adesso non mi tormento più. Sono persuaso che, come dice lei, tutto avviene per il nostro meglio, perchè altrimenti non avverrebbe. — Gertrude che, mentre egli parlava, aveva tenuto la faccia nascosta contro la sua spalla, alzò la testa e disse, risolutamente: — Zio True, io mi sento capace di fare qualsiasi lavoro materiale, o quasi. Per esempio, la signora Sullivan dice ch'io cucio molto bene; potrei far la sarta o la modista. Questi non sono mestieri faticosi. — Signor Flint, — domandò Emilia — affidereste volentieri a me la vostra bambina? Se Dio vi separasse da lei, la credereste sicura sotto la mia custodia? — Oh, signorina Emilia! — esclamò l'infermo. — Come non la crederei sicura sotto la custodia d'un angelo? E voi.... — No, non dite questo, — interruppe ella — o mi periterò d'assumere un impegno così solenne. So purtroppo che la mia cecità, la mia debole salute, la mia inesperienza, mi rendono poco atta ad incaricarmi d'una bambina come Gertrude. Ma poichè voi approvate l'istruzione che le ho dato finora, e, per bontà vostra, mi tenete in miglior concetto ch'io non meriti, almeno sarete certo del mio sincero desiderio d'esserle utile. E s'è un conforto per voi il sapere che in caso di vostra morte io sarò lieta di prenderla meco, d'aver cura della sua educazione, e di provvedere a lei finchè io viva, abbiatevi la mia formale promessa — e così dicendo pose la sua destra su quella di True — che questo sarà fatto e che m'adoprerò con tutte le mie forze perchè ella sia felice. — Il primo impulso di Gertrude fu di slanciarsi verso Emilia e gettarle le braccia al collo, ma la rattenne nell'atto la vista di True che piangeva come un fanciullo. Ella fece posare la testa del vecchio sul suo seno e asciugò con la mano le lacrime che gli sgorgavano dagli occhi: lacrime di gioia però, della gioia che lo soverchiava in quel suo stato di debolezza, di prostrazione. La proposta della signorina Graham gli giungeva così inopinata e di tanto superava le sue aspettazioni, da sembrargli una speranza troppo bella perchè osasse affidarvisi: e ad un tratto un dubbio gli balenò, ed accrebbe la sua trepidanza: — Ma vostro padre! — disse esitando. — Il signor Graham! Egli ha le sue idee particolari, le sue consuetudini, e non è più giovane.... Ho gran paura che non gli garberà avere in casa una bambina.... — Mio padre è molto indulgente con _me_, — rispose Emilia. — Certo non vorrà opporsi a un disegno che mi sta a cuore. Io mi sono affezionata a Gertrude; la sua presenza mi sarebbe utile e vi troverei un conforto. Mi confido, signor Flint, che voi riacquisterete, almeno in parte, la salute e le forze, e rimarrete con lei ancora molti anni: ma affinchè non siate in ansia per la sua sorte, colgo quest'occasione d'assicurarvi che s'io vi sopravvivo la mia casa sarà la sua. — Ah, signorina Emilia! — esclamò il vecchio — il mio tempo quaggiù è finito, lo sento; e giacchè volete incaricarvi di questa creatura, sarete presto chiamata a compiere la vostra opera di carità. Ricordo com'ero turbato il giorno dopo ch'io me l'ebbi portata qui, pensando che forse non ero capace d'educarla, e non avevo la possibilità di tenerla ammodo. E voi, cara signorina, ricordate che mi diceste per incoraggiarmi? «Avete fatto bene,» mi diceste, «e il Signore vi benedice e vi ricompenserà.» Quante volte da allora ho ripetuto in cuor mio che le vostre parole erano state una vera profezia, che il Signore stesso ve le aveva ispirate! Ed ora che voi vi proponete di prendere il mio posto perchè Egli mi chiama a Sè, e ch'io vedo più chiaramente che mai le sue vie, _vi dico a mia volta_, signorina Emilia: «Fate bene!» E se Dio vi ricompensa come ha ricompensato me, verrà il giorno che l'amore e la gratitudine di questa orfanella vi ripagheranno di ciò che avrete fatto per lei.... Gertrude? — Non è qui, — disse la cieca — l'ho udita correre nella sua camera. — Povero uccellino! — fece True. — Non le piace sentirmi parlare del momento che dovrò lasciarla. Mi rattrista il pensiero della sua desolazione. Mi par di vederla struggersi il cuore in lacrime dietro il suo vecchio zio. Basta, non importa. Io volevo raccomandarle d'essere una buona figliuola per voi, ma credo che non ci sia bisogno di raccomandazioni.... Le dirò quando torna quel che ho da dirle. Addio, cara signorina, — egli soggiunse, poichè Emilia s'era rizzata e Giorgio, il servitore, l'aspettava sulla soglia — se non vi rivedo più, sappiate che voi avete reso un povero vecchio tanto felice, da non lasciargli nulla da desiderare sulla terra, e che portate con voi la benedizione d'un morente. Vi conceda Iddio di finire i vostri giorni in perfetta pace come io finisco i miei! — Quella sera, quando Trueman si fu coricato, e che Gertrude ebbe finito di leggergli secondo il consueto qualche pagina della sua piccola Bibbia, egli, chiamatala al suo capezzale, la pregò, come spesso faceva ultimamente, di ripetere la preghiera per i malati, da lui prediletta. Ella s'inginocchiò, e con solenne e commovente ardore sodisfece alla sua richiesta. — E adesso, tesoro, la preghiera per i moribondi.... Ce n'è una, non è vero, nel tuo libriccino? — Gertrude tremò. Sì, _c'era_, e bellissima. La pensosa fanciulla, cui l'idea della morte era familiare, la sapeva a memoria. Ma come avrebbe potuto proferirne ad alta voce le parole senza tradire la commozione che la scoteva tutta? Eppure doveva provarvisi. Lo zio True desiderava udirla, e sarebbe stato un conforto per lui. Concentrando tutta la propria energia, dominandosi con uno sforzo, ella incominciò, e guadagnando vigore man mano che proseguiva, arrivò fino in fondo. Due o tre volte la voce le fallì, soffocata nel nodo che le serrava la gola, ma subito, per un nuovo sforzo della volontà, risonò tanto limpida e calma, che la divozione dell'infermo non fu disturbata dal dolore della sua bimba diletta. Fortunatamente egli non poteva sentire i palpiti del piccolo cuore spasimante che minacciavano di spezzarlo. Recitata la preghiera, ella rimase in ginocchio, accanto al letto, con la faccia nascosta nelle coperte. Non era in grado di rizzarsi. Per qualche minuto un silenzio solenne regnò nella stanza. Poi il vecchio le posò una mano sul capo. Ella alzò gli occhi verso di lui, ed egli disse: — Tu ami la signorina Emilia, non è vero, uccellino mio? — Oh, sì, molto! — Mi prometti d'essere una buona figliuola per lei quando io me ne sarò andato? — Gertrude ruppe in singhiozzi. — O zio True, non mi lasciate! _Caro, caro_ zio True, io non posso vivere senza di voi! — Dio vuole ch'io vada a Lui, Gertrude. Egli è stato sempre buono con noi, e non dobbiamo ora dubitare della Sua bontà. La signorina Emilia può fare per te più ch'io non potessi. Tu con lei sarai felice. — No, no! Mai più non sarò felice in questo mondo! Non fui mai felice prima d'esser venuta a stare con voi! E se voi morite, desidero di morire anch'io.... — Tu non devi desiderare questo, mio tesoro: sei giovane, e il tuo dovere è di compiere sulla terra il tempo che t'è assegnato procurando di fare il bene. Io sono vecchio, e oramai non altro che un peso inutile.... — Non lo dite, zio True, non lo dite! Voi non siete, non potete essere di peso a nessuno. Vorrei io piuttosto non aver cagionato tanto incomodo a voi.... — Al contrario, uccellino, Dio sa che tu sei stata tutti questi anni la gioia del mio cuore. Ciò che mi affligge è il vederti adesso sempre sacrificata qui in casa a sfaticare invece d'andar a scuola. Ma quaggiù, noi dipendiamo gli uni dagli altri.... in primo luogo da Dio.... e poi gli uni dagli altri.... E questo mi rammenta le cose che ho da dirti. Io sento che il Signore mi chiamerà presto, assai più presto che tu non creda. E tu allora piangerai e sarai oltremodo afflitta, senza dubbio.... Ma la signorina Emilia ti prenderà seco, e ti dirà parole sante che ti conforteranno, ti dirà come ci rivedremo e saremo felici in un mondo migliore; dove non ci separeremo più.... Anche Guglielmo farà tutto il suo possibile per consolarti nel tuo dolore.... E, col tempo, sorriderai di nuovo.... Da principio, ed a lungo forse, tu sarai a carico della signorina Emilia che avrà da pensare a tutto per te: scuola, vestiario, e via dicendo. Ebbene, questo ti voglio dire: lo zio True s'aspetta che tu ti comporti con lei da buona figliuola, e l'obbedisca sempre. E quando sarai più grande forse potrai fare a tua volta qualche cosa per provarle la tua gratitudine. Ella è cieca, e i tuoi occhi dovranno essere i suoi: non è robusta, e tu dovrai essere il suo sostegno come sei stata il mio. Se tu sarai buona e paziente, Gertrude, Dio ti darà la pace e la serenità dell'anima per aver fatto quanto potevano le tue forze, in pro degli altri. E quando avrai qualche dispiacere (nessuno ne va esente) ricordati dello zio True che ti diceva in questi casi: «Su, allegri, uccellino, perchè a parer mio tutto finirà bene!» Andiamo, non addolorarti ora: va' a letto, cara.... E domani faremo una bella passeggiatina; sai che Guglielmo verrà con noi.... — Gertrude si fece cuore per amor suo, e andò a coricarsi. Stette qualche ora vegliando, ma alfine cadde in un sonno profondo e non si destò fino a giorno. Sognò ch'era già il mattino e che lei, lo zio True e Guglielmo facevano una passeggiata deliziosa; lo zio True aveva ricuperato la salute e le forze, camminava con passo fermo, gli occhi gli brillavano; Guglielmo e lei erano felici e ridenti. E mentre ella sognava il suo bel sogno, ed era tanto lontana dal pensare che mai più non avrebbe calcato a fianco del suo primo amico le vie terrestri, il messaggero venne, un dolce e tacito messaggero, e nella quiete della notte avvolgente il mondo sopito, prese l'anima del buon True e la portò a Dio! XVI. Le stelle son magioni edificate Da natura, ove forse la celeste Lor dimora hanno l'anime beate Nella luce immortal che le riveste. WORDSWORTH. Sono trascorsi due mesi dalla morte di True, e da otto giorni Gertrude è stabilita in casa del signor Graham. Emilia aveva saputo per mezzo d'un giornale la notizia della perdita che così improvvisamente colpiva la bambina. Senz'indugio comunicò allora a suo padre il suo desiderio e i suoi propositi rispetto all'orfanella, ed egli non vi si oppose. Le fece però notare gl'inconvenienti che avrebbe cagionato in quel momento la venuta di questa alla villa, posto che erano in procinto di partire per una visita a parenti dimoranti in un paese lontano, e non sarebbero ritornati che quasi al tempo di rientrare in città per l'inverno. Emilia comprese la giustezza dell'obiezione. Invero la signora Ellis restava a custodia della casa, ma ella ben sapeva che quand'anche avesse acconsentito ad occuparsi di Gertrude durante la loro assenza, era la persona meno atta a consolarla nella sua afflizione. Questo pensiero la turbava considerandosi ella oramai come l'unica tutela di quell'orfana, e si doleva in cuor suo d'essere così inopportunamente costretta a un insolito viaggio. Ma non c'era rimedio: il signor Graham aveva divisato di farlo, ed ella doveva guardarsi dal contrariare la sua intenzione perchè la presenza della piccola Gertrude non riuscisse, proprio da bel principio, importuna e sgradita, E la mattina dopo il suo colloquio col padre, si recò in città, assai perplessa circa il modo di regolarsi in quelle imprevedute circostanze. Era una domenica, ma Emilia aveva uno scopo di carità e d'amore, che non ammetteva dilazioni. Un'ora innanzi l'uffizio del mattino, la signora Sullivan, affacciata alla finestra che dava sulla strada, vide fermarsi alla porta di casa la carrozza del signor Graham. Ella corse incontro alla giovane cieca, e con la gentilezza e la bontà in lei naturali la condusse nel suo modesto ma pulitissimo salotto, la fece sedere in una comoda poltrona, le mise in mano un ventaglio, (era una giornata caldissima) poi le disse quanto lieta, grata, fosse della sua visita, e quanto le dispiacesse che appunto Gertrude non si trovasse in casa. — E dov'è? — domandò Emilia, maravigliata. — È uscita a passeggiare col mio Guglielmo, — rispose la signora Sullivan. Molte altre domande seguirono a quella, da parte della visitatrice, e la buona donnina raccontò tutta la lunga e commovente storia del disperato dolore di Gertrude, dolore inconsolabile, e tanto profondo da farle temere ch'ella ne morisse. — Io non potevo nulla, con lei. Durante la settimana scorsa passò le giornate seduta sul suo panchetto davanti alla poltrona dello zio True, con la testa sul cuscino, e non c'era caso d'indurla a levarsi di lì e a mangiare qualche cosa. Quando le parlavo sembrava che non udisse: s'io tentavo di smuoverla a forza non si dibatteva, (era sempre tranquilla), ma mi si abbandonava tra le braccia come un corpo morto; e non osavo costringerla a venire nel mio quartierino benchè sapessi che il mutar luogo le avrebbe giovato. Se non ci fosse stato Guglielmo, io non so davvero come avrei fatto con quella povera creatura; era una gran pena! Ma lui sa maneggiarla molto meglio di me. Nelle ore che è in casa, adesso va benino. Figuratevi, se la piglia in collo, perchè è forte quel ragazzo, e lei è leggera come una piuma, la porta in un'altra stanza o fuori nella corte, e trova sempre la maniera di rasserenarla, ch'è una maraviglia. La persuade a mangiare, la conduce a far una lunga passeggiata tutte le sere, quando ritorna dal magazzino. Ieri andarono fin oltre il ponte di Chelsea, dove si gode l'aria buona e il fresco, e pare che fosse riuscito a distrarla, a divertirla perfino, perchè me la riportò più colorita e più animata che non l'avessi ancora veduta. Era tanto stanca, che si lasciò mettere a letto nella mia camera, e dormì saporitamente tutta la notte. Tant'è vero che oggi è la Gertrude di prima. Sono usciti insieme stamani; essendo domenica Guglielmo sta tutto il giorno con noi, e non dubito che finirà di consolarla, se è umanamente possibile. — Guglielmo dimostra molto criterio cercando di distrarla, conducendola fuori di casa, — disse Emilia. — Sono lieta ch'ella abbia amici tanto benevoli. Io promisi al signor Flint che se la sua figliuola adottiva avesse la sventura di perderlo, la prenderei meco, e la mia casa sarebbe la sua. Non ho avuto notizia della morte di quel brav'uomo se non ieri; e considero come un gran favore usato a me non meno che a Gertrude, l'avere intanto preso così amorosamente cura di lei. Ma io ero certa della vostra bontà: altrimenti non mi sarei data pace di non aver saputo subito che il povero True già era venuto a mancare. — Oh, signorina Emilia, — disse la signora Sullivan — Gertrude ci è tanto cara, e soffrivamo talmente anche noi vedendola soffrire, ch'era bontà verso noi stessi fare tutto il possibile per confortarla. Io credo che Guglielmo e lei non s'amerebbero con maggior tenerezza se fossero fratello e sorella. Il mio figliuolo e lo zio True erano grandi amici. Ah sentiamo tutti vivamente la perdita del nostro buon casigliano, credetelo. Il mio vecchio padre non ne parla molto, ma io vedo bene com'è addolorato e depresso. — Nel corso della conversazione che si prolungò ancora, la vedova disse che una sua cugina moglie d'un fittaiuolo, la quale viveva nei dintorni di Boston alla distanza di circa venti miglia dalla città, l'aveva invitata, insieme co' suoi, a passare una quindicina di giorni alla fattoria; e che coincidendo l'invito con l'usata vacanza estiva di Guglielmo, si proponevano d'accettarlo. Ella parlò di Gertrude come se fosse inteso che li accompagnerebbe, e s'estese sul vantaggio che le avrebbe procurato il respirare l'aria di campagna e scorrazzare per campi e boschi, dopo le fatiche sostenute e la lunga reclusione. Emilia, visto che la ragazzina sarebbe un'ospite attesa e bene accolta, approvò di cuore questa visita, e convenne inoltre con la signora Sullivan che ella rimarrebbe affidata a lei, fino al ritorno del signor Graham a Boston per la stagione invernale. Poi dovette accomiatarsi, senz'aspettare Gertrude; ma lasciò alla vedova un affettuoso messaggio per la loro protetta, e una somma sufficiente ai bisogni di questa durante il tempo stabilito. Così Gertrude andò in campagna, dove la novità d'ogni cosa intorno a lei, l'abbondanza di cibo sostanzioso, la salubrità del moto all'aria aperta tra il verde, la cordialità e la simpatia delle persone con cui si trovava, fecero rifiorire le rose sulle sue guance e ridonarono al suo cuore la calma e la serenità se non la gioia. Poco dopo ritornati i Sullivan dalla loro villeggiatura, si trasferirono in città anche i Graham, e l'orfanella passò nella sua nuova casa. — Sei ancora alla finestra, Gertrude? Che ci stai a fare, cara? — Aspetto di vedere accendersi i lumi, signorina Emilia. — Ma non li accendono stasera. Alle otto si leva la luna che rischiarerà le strade a sufficienza per tutta la notte. — Non intendevo parlare dei lampioni. — E di che, dunque? — domandò Emilia avvicinandosi alla finestra e posando le mani sulle spalle della fanciulla. — Delle stelle, cara signorina. Ah, vorrei pure che poteste vederle anche voi! — Brillano e scintillano, non è vero? — Oh, sono belle, belle! E tante! Il cielo n'è gremito.... — Come ricordo il tempo ch'io solevo stare a questa medesima finestra, guardando le stelle che tu guardi ora! Mi sembra di vederle con gli occhi tanto le ho presenti nella memoria! — Io le amo tutte quante, ma la mia più d'ogni altra! — E qual'è la tua stella? — È quella fulgidissima, là, sul campanile della chiesa. Ogni notte splende di contro alla mia camera e mi guarda fisso nel viso.... Signorina Emilia, — e la voce di Gertrude si fece sommessa — provo un sentimento come se quella stella splendesse apposta per me, e mi figuro che l'accenda lo zio True, e ch'egli nella sua luce mi sorrida e mi dica: «Vedi, Gertrudina, ho acceso la tua lampada!» Caro zio True! Credete, signorina, che egli mi ami sempre? — Sì, lo credo fermamente; e credo pure che se tu seguirai il suo esempio e procurerai d'esser buona e paziente al pari di lui, egli sarà in effetto il lume che guiderà i tuoi passi brillando sul tuo cammino di luce altrettanto viva che se la sua faccia ti sorridesse nel fulgore della stella. — Io ero paziente, e buona quando vivevo con lui.... quasi sempre almeno.... e sono buona quando sono con voi; ma la signora Ellis mi urta. Si direbbe che cerchi di tormentarmi, di provocarmi, e allora io vo in collera; e non so più quel che dico e quel che faccio. Non intendevo d'essere impertinente con lei, oggi, e mi rincresce d'avere sbattuto l'uscio; ma come non perdere la pazienza, signorina Emilia, nel sentirla sostenere davanti al signor Graham che avevo strappato io il _Journal_ di ieri, mentre non era vero? Quello in cui mi vide involtare le vostre pantofole era un altro vecchio foglio, e sono sicura che ella stessa, invece, deve aver acceso il fuoco nella biblioteca col _Journal_ scomparso; ma il signor Graham crederà sempre che sono stata io. — Non dubito, Gertrude, che tu avevi qualche ragione di sentirti sdegnata, e che, come affermi, quel giornale non è andato perduto per colpa tua. Ma devi ricordarti, mia cara, che non c'è nessun merito a esser buoni e pazienti quando nulla ci irrita. Io desidero che tu impari a sopportare anche le ingiustizie senza perdere la padronanza di te. Sai che la signora Ellis è qui da molti anni; finora ha sempre fatto a modo suo, e non è avvezza coi ragazzi. S'immagina che la tua presenza in questa casa le porterà nuove faccende, la disturberà nelle sue consuetudini; e pero non è da maravigliarsi che, a volte, se qualche cosa va di traverso se la pigli teco. È una donna fidatissima, buona e premurosa per me e per il mio babbo che la tiene in gran conto. Sarei infelice se dovessi temere che tu e lei non potrete vivere insieme amichevolmente. — Io non voglio farvi infelice! Non voglio disturbare nessuno! — disse Gertrude, eccitata. — Andrò via piuttosto, dovunque, lontano, e non sentirete più parlare di me! — Gertrude! — esclamò Emilia con tono grave e triste. Ella teneva sempre le mani sulle spalle della ragazzina, e, parlando, la fece voltare di faccia a lei. — Gertrude, desideri dunque d'abbandonare la tua amica cieca? Non mi vuoi punto bene? — Il volto in cui s'incontrò lo sguardo della piccola sdegnosa aveva un'espressione di dolore così commovente, che il suo orgoglio e la sua ira caddero di colpo. — No, no, cara signorina Emilia! — ella proruppe gettando le braccia al collo della giovane. — Non vorrei lasciarvi per nulla al mondo. Farò tutto quello che voi desiderate! Non andrò più in collera con la signora Ellis, per amor vostro! — Non per amor mio, Gertrude, — replicò Emilia — per amor di te stessa, per amor del tuo dovere e di Dio! Qualche anno fa non avrei aspettato da te un contegno remissivo e benevolo verso una persona da cui tu fossi stata trattata con ingiustizia; ma adesso che sai distinguere il bene dal male, adesso che t'è familiare la vita del divino Maestro, il quale perdonava le ingiurie, adesso che hai imparato a compiere fedelmente tanti alti doveri, speravo che tu sapessi anche sostenere con pazienza e indulgenza ogni più duro cimento. Ma s'io t'ammonisco quando hai errato, non dispero già che tu divenga un giorno come ti bramo. Poichè tu ti trovi sottoposta ora a una novella prova, t'è necessario raccogliere novelle forze per sopportarla; e ho tanta fiducia in te da credere che, conoscendo i miei desiderî, procurerai di condurti convenevolmente verso la signora Ellis, in qualsiasi occasione. — Lo farò, cara signorina, lo farò. Non le risponderò mai quando sarà cattiva con me, dovessi mordermi le labbra per tenerle chiuse. — Oh le cose non arriveranno a questo punto! — disse Emilia sorridendo. — Le sue maniere sono un po' ruvide, ma ti ci assuefarai col tempo. — Proprio in quel momento s'udì una voce nell'anticamera: — Vedere _la signorina Flint_! Davvero? Ebbene, _la signorina Flint_ è nella camera della signorina Graham. O che si mette a ricever visite, ora? — Gertrude avvampò in viso, fino alle tempie. La voce era quella della signora Ellis e parlava in tono di derisione. Emilia andò all'uscio e l'aperse. — Signora Ellis! — Che volete, Emilia? — C'è qualcuno da basso? — Sì, un giovanotto che chiede di Gertrude. Quel certo Sullivan, credo. — Guglielmo! — gridò Gertrude slanciandosi avanti. — Scendi pure, e quando avrai finito d'intrattenerti con lui torna qui, — disse Emilia. — Voi, signora Ellis, fatemi il piacere di venir a mettere un po' in ordine la mia camera. Credo che troverete sul tappeto molti ritagli di roba per il vostro sacco dei cenci. La signorina Randolph ne semina sempre in abbondanza quando viene a tagliare un vestito. — La governante fece la sua collezione, poi sedette sul canapè coi ritagli di colore in una mano e i bianchi nell'altra, e cominciò, parlando di Gertrude: — Che farete di lei, Emilia? La manderete a scuola? — Sì, andrà dal signor W. l'inverno prossimo. — Oh! Non è una scuola troppo costosa per una ragazzina della sua condizione? — È costosa, sicuro, ma io desidero darle il miglior maestro che conosco, e il babbo non fa obiezioni circa la spesa. Pensa anche lui che se vogliamo destinarla a istruire altre bambine, bisogna che sia bene istruita ella stessa. Gliene parlai la prima sera dopo tornati in città per la stagione, e convenne con me ch'era meglio metterla subito a imparare un mestiere, anzichè farne con una mezza educazione una signorina buona a nulla. Egli acconsentì a lasciarmi libera di regolarmi come mi parrebbe meglio, e ho risolto di mandarla dal W. Resterà dunque con noi per ora. È mia intenzione tenermela dappresso quanto più a lungo sia possibile, non solo perchè le sono molto affezionata, ma perchè è tanto delicata e sensitiva; la morte del vecchio Flint l'ha addolorata immensamente, e dobbiamo cercare in ogni modo di consolarla, di renderla felice.... non vi pare, signora Ellis? — Io ho sempre badato a fare il mio dovere, — rispose la governante, piuttosto seccamente. — Dove dormirà quando la casa sarà ordinata? — Nella camerina in fondo al corridoio. — E allora dove metterò l'armadio della biancheria? — Non può stare nell'entrata sul di dietro? Io credo che troverà posto benissimo tra le due finestre.... — Bisognerà che lo trovi, — disse la signora Ellis; e uscì dimenandosi e brontolando tra i denti: — Tutto sossopra a cagione di quella piccola villana rifatta! — I motivi del suo dispetto erano parecchi. Preposta da lungo tempo al governo delle faccende domestiche in casa Graham, esercitava le sue mansioni con un'autorità assoluta, diventata un po' tirannica. Era brava, metodica, scrupolosa in materia d'ordine e di pulizia. A' suoi occhi, dopo tanti anni che viveva tranquilla in una famiglia poco numerosa e non aveva più da fare con bambini, Gertrude era apparsa come un'intrusa, di cui nulla giustificava la presenza, e che non poteva se non commettere malestri, seminar zizzania e guastarle le uova nel paniere. Inoltre usciva dal «basso popolo», come s'esprimeva la governante, la quale non era in fondo di cuor duro ed approvava la carità pubblica e privata, ma aveva un debole per gli «alti natali». Si vantava anzi d'esser nata bene ella stessa, quantunque ridotta dalla fortuna in una condizione inferiore, e le pareva un'offesa alla sua dignità il pretendere ch'ella avesse a prestarsi in servigio di una persona tanto al di sotto di lei nella gerarchia sociale. Ma soprattutto vedeva in quell'ospite sgradita una rivale formidabile nell'affetto della signorina Graham, che, afflitta da cecità e piuttosto cagionevole, era stata fino allora interamente affidata alle sue cure, e in cui aveva riposto tutta la tenerezza che la sua aspra natura le concedeva di sentire per qualcuno. Date queste circostanze, si comprende che la signora Ellis era lungi dal sentirsi favorevolmente disposta verso Gertrude; e Gertrude dal canto suo non era ancor preparata ad amare cordialmente la signora Ellis. XVII. Imprendere su questo mare un lungo Venturoso viaggio è tuo destino. _Può_ il saggio naufragar, lo stolto _deve_. Or dunque a tempo di saggezza t'arma. WARE. Emilia sedeva sola nella sua camera. Il signor Graham era andato a un'assemblea dei direttori delle banche. La signora Ellis mondava dell'uva passa nel salotto da pranzo. Gertrude s'intratteneva ancora con Guglielmo nella piccola biblioteca a pianterreno. Ed Emilia s'abbandonava al corso de' suoi pensieri mentre il lume della luna invadeva la stanza non meno buia per lei. Ella appoggiava la fronte sulla mano; il suo volto abitualmente placido e sereno aveva un'espressione di profonda mestizia, la sua persona era accasciata in un'attitudine di dolore e di scoramento. E man mano che i ricordi le si affollavano nella mente, e i passati affanni le si ridestavano nel cuore, ella veniva reclinando il capo sui cuscini dell'agrippina, e lente lacrime stillavano di tra le sue dita. D'improvviso una manina leggera la toccò. Ella diede un sobbalzo, come sempre quand'era sorpresa, perchè, tutt'assorta nella sua meditazione, non aveva udito i passi di Gertrude. — Avete qualche dispiacere, signorina Emilia? — domandò la fanciulla. — Desiderate che vi lasci sola, o mi permettete di rimanere? — Il tono affettuoso, la delicatezza della domanda, commossero la cieca. — Oh, sì, rimani! — le rispose traendola a sè e cingendole con un braccio la vita. — Ma tu che hai? — soggiunse, poichè in quell'atto aveva sentito che ella era violentemente agitata. — Tremi tutta, sei scossa da singhiozzi.... Che t'è accaduto? — Gertrude proruppe: — Ah, cara signorina! Mi sembrava che piangeste quando sono entrata, e speravo che mi lascereste piangere con voi.... Sono in tanta desolazione! Non posso far altro. — Emilia si calmò dinanzi all'intensa angoscia della sua piccola protetta, evidentemente cagionata da una nuova e grave afflizione. Ella volle conoscerla. E seppe questo: Guglielmo era venuto a dirle che partiva, che lasciava l'America, per andare, diceva lei, «in capo al mondo»: nell'India. Il signor Clinton essendo cointeressato in una casa commerciale di Calcutta, aveva offerto al giovane Sullivan di mandarvelo in qualità di commesso a condizioni vantaggiosissime. Gli si schiudeva così un avvenire ben più splendido di quello che poteva sperare in patria: già fin d'ora lo stipendio assegnatogli era tale da bastare non solo a tutte le sue spese personali, ma altresì al benessere de' suoi che d'anno in anno avevano maggior bisogno del suo aiuto; ed anche le probabilità d'avanzamento erano grandi. Pertanto, sebbene l'amoroso suo cuore sanguinasse al pensiero del distacco dal paese nativo e da coloro che amava, egli non esitò un momento a seguire il consiglio datogli a un tempo dal suo dovere e dal suo interesse. Accettò la proposta, e per fiere che fossero le sue intime lotte nel prendere questa risoluzione che lo condannava a un esilio di cinque anni almeno, di dieci forse, vi si mantenne con virile fermezza, e ne parlò gaiamente a sua madre ed al nonno. — Signorina Emilia, — disse Gertrude quando si fu quetata alquanto — come sopporterò io la partenza di Guglielmo? Come potrò vivere senza di lui? È tanto buono, mi vuol tanto bene! Sempre è stato per me più che un fratello, e da quando lo zio True è morto, che non ha fatto per confortarmi? Io credo che la morte dello zio True non l'avrei sopportata, se non avessi avuto Guglielmo.... E ora ho da rassegnarmi a lasciarlo andar via? — È un gran dolore — fece benevolmente Emilia — ma, senza dubbio, si tratta della sua fortuna. Tu devi pensare a questo, e farti una ragione. — Lo so, lo so, sarà un vantaggio per lui.... Ma voi non potete immaginarvi a qual segno io lo ami.... Siamo stati tanto tempo insieme; eravamo noi due soli, e si viveva l'uno per l'altro.... Egli è molto più grande, e mi proteggeva, aveva cura di me.... No, è impossibile che vi facciate un'idea della nostra amicizia.... — Gertrude aveva inconsciamente toccato una corda che faceva vibrare tutta l'anima d'Emilia. — Io, figliuola mia, _non potermelo immaginare_? — cominciò questa. — Ah, comprendo meglio che tu non te lo figuri, quanto egli ti sia caro! Anch'io ebbi.... — La voce le tremava; s'interruppe bruscamente, s'alzò da sedere, mosse a rapidi passi verso la finestra, e premette la fronte bruciante contro il gelido cristallo; poi ritornò alla fanciulla dicendo con un tono ridivenuto calmo: — O Gertrude! Nel dolore che t'opprime tu non vedi il gran conforto che ti è concesso.... Pensa, cara, che Guglielmo potrà darti di frequente sue notizie e ricevere le tue.... È una felicità questa di cui devi render grazie a Dio. — Sì, m'ha detto che scriverà spessissimo alla sua mamma ed a me.... — Inoltre tu dovresti esser lieta della buona opinione che il signor Clinton ha di lui. La piena fiducia che mostra nella sua intelligenza e nella sua probità scegliendolo per quel posto così importante, è un grande onore. — È vero; non l'avevo considerato. — E voi due siete stati sempre felici insieme, e vi separerete in perfetta pace. O, Gertrude, Gertrude, una separazione come la vostra non deve affliggerti così: ve n'hanno di ben più crudeli.... Sii paziente, figliuola mia, fa' il tuo dovere, e forse il giorno che vi rivedrete vi recherà tanta gioia, da compensarvi ampiamente di quanto v'avrà fatto soffrire la lontananza. — Nel proferir queste parole la voce d'Emilia di nuovo tremava. Gli occhi di Gertrude erano fissi nel suo viso con un'espressione di maraviglia. — Signorina Emilia, — ella disse — comincio a credere che tutti abbiano le loro pene. — Certo, cara. Come potresti dubitarne? — Non lo credevo, una volta: io, sì, ne avevo molte, ma stimavo gli altri più fortunati. M'immaginavo che i ricchi, poi, non avessero niente da desiderare; benchè voi siate cieca, e che questa sia una cosa terribile, vedendovi sempre di buon umore e tranquilla avevo finito col persuadermi che essendovici assuefatta non ne soffriste più, e che adesso nulla mai vi tormentasse. E Guglielmo! Era sempre così allegro ch'io non potevo nemmeno figurarmelo con un viso triste; ma un giorno, quando non riesciva a trovare un'occupazione, lo vidi piangere a calde lacrime; e così per la morte dello zio True; e stasera, mentre mi diceva che sarebbe andato via, i singhiozzi gli facevano nodo alla gola. Sicchè se anche voi, anche lui, avete i vostri dolori, e in certi momenti non rattenete il pianto, vuol dire che il mondo è pieno di triboli e che ad ognuno ne tocca la sua parte. — È questa la sorte dell'umanità, Gertrude, e non dobbiamo lusingarci di sfuggirvi. — Ma allora chi può essere felice? — Soltanto coloro che hanno imparato a sottomettersi; coloro che perfino nelle più gravi afflizioni vedono la mano d'un Padre amoroso, e obbedienti al suo volere baciano la verga che li castiga. — Dura prova, signorina Emilia! — Sì, molto dura, e perciò ben pochi in questo mondo possono veramente chiamarsi felici. Ma se in mezzo alle nostre miserie leviamo lo sguardo a Dio con fede ed amore, ci è dato, mentre tutto s'oscura intorno a noi, gustare una pace foriera della beatitudine celeste. — Emilia aveva ragione. Chi, tra quelli che tendono con sincero sforzo verso la mèta d'una vita cristiana, non ha provato, volgendo nelle ore di supremo sconforto il cuore amante e fidente a Colui dal quale ogni nostra virtù deriva, commozioni di gioia estatica, di sublime speranza, ignote ai gaudenti che il mondo chiama felici? Il cristiano che ha così sognato un sogno di pace eterna, può farsi un qualche concetto di ciò ch'è serbato al popolo di Dio, se l'anima con amore indiviso, con fede immacolata, si riposa nel suo Creatore. Spesso Gertrude aveva trovato nell'influsso delle credenze religiose un sollievo alle sue pene; ma non aveva ancora come quella sera sentito uno spirito non terreno sorgere dal medesimo turbine di dolore che la travolgeva e accendere in lei la fiamma della più nobile, della più pura sensazione che mai l'avesse commossa. Quand'ella uscì dalla camera d'Emilia era serena, di quella serenità ch'è una forza; e se l'anima dello zio True, guardandola dalla fulgida stella a lei tanto cara, sospirò nel veder le lacrime che le imperlavano le ciglia, la consolò il sorriso della luce divina che splendeva nel suo volto, e che quando ella ebbe chiuso gli occhi al sonno, v'impresse il suggello della pace. La partenza di Guglielmo fu così affrettata, che la signora Sullivan ebbe appena una settimana per fare tutti i preparativi che la sua previdenza materna stimava indispensabili. Ella era sopraccarica di lavoro, e Gertrude, alla quale Emilia aveva dato libertà di passare quel tempo da lei, le fu di grande aiuto. Guglielmo, occupatissimo durante la giornata, tornava a casa tutte le sere per stare qualche ora con loro. Una volta rincasò sull'imbrunire. Sua madre e il nonno Cooper erano fuori; e poichè Gertrude aveva appunto terminato il suo lavoro di cucito, egli le disse: — Se non hai paura di pigliar freddo, vieni a sedere con me sullo scalino dell'uscio, come facevamo in passato: oggi la temperatura è abbastanza mite, ma non c'è da sperare che duri.... E chi sa se avremo più occasione di sederci insieme su questa soglia e guardar la luna sorgere sopra la vecchia casa all'angolo della strada.... — Oh, Guglielmo, — ella l'interruppe — non parlare di non ritrovarci più insieme qui! Mi fa tanta pena la sola idea.... Non c'è una casa in tutta Boston che possa mai piacermi come questa! — E neanche a me.... Ma non credo a una probabilità contro cento che al mio ritorno tra cinque anni io non trovi al suo posto un bel blocco di magazzini, quando verrò a cercarla.... Vorrei che non fosse, perchè sento che avrò la nostalgia della nostra antica dimora.... — Ma se la demoliscono, che faranno tua madre e tuo nonno? — Non è facile dire che farà uno qualsiasi di noi a quel tempo; ma se saranno costretti a sgomberare, mi confido d'essere in grado di provvederli di un'abitazione migliore. — Però tu non ci sarai, Guglielmo. — Lo so, ma ci scriveremo sempre, e potremo parlarne e regolare ogni cosa per lettera. Il pensiero degl'inevitabili mutamenti è ciò che più mi turba nel lasciarli; temo che si risentano della mia assenza, che abbiano bisogno di me.... Gertrude, tu avrai cura de' miei cari, non è vero? — _Io!_ — esclamò ella, sbalordita. — Una bambina come me che può fare? — Se rimarrò lontano da cinque a dieci anni, tu non sarai sempre una bambina, e in molti casi vale più l'appoggio d'una donna che quello d'un uomo; specie d'una buona e brava donna quale tu diverrai senza fallo. Io non ho dimenticato l'ammirabile assistenza che prestasti allo zio True; e quando mi figuro la mamma e il nonno vecchi ed infermi, penso a te sperando che ti saprei accanto a loro; perchè sono certo che tu li potresti aiutare meglio assai che non possa io. E però li lascio affidati a te, Gertrude, benchè tu non sia che una bambina _ora_. — Grazie, Guglielmo, della tua fiducia ch'io farò per loro tutto ciò che starà nelle mie forze. E lo farò finchè avrò vita. Ma è possibile ch'_essi_ siano vegeti e sani durante tutto il tempo della tua assenza, e che invece io, sebbene tanto giovane, mi ammali e venga a morire. — Ahimè, non è che troppo vero! — disse egli con accento di tristezza. — E potrei morire anch'io. Ma è inutile pensare a questo.... Mi pare che non avrei il coraggio d'andarmene se non mi confidassi di ritrovarvi tutti in buona salute e contenti, al mio ritorno. Tu devi scrivermi ogni mese, perchè sarebbe un compito assai più faticoso per la mamma che per te, e, sicuro, essa t'incaricherà quasi interamente della corrispondenza; sarà tutt'uno che le mie lettere siano dirette all'una o all'altra.... E tu, Gertrude, non mi scordare, sai.... voglimi sempre bene come se fossi presente.... Me lo prometti, cara? — Scordarti, Guglielmo!... Io non penserò che a te, e t'amerò più che mai.... Come potrebb'essere diversamente? Ma tu sarai lontano in un paese straniero, dove tutto ti sarà nuovo, tutto ti distrarrà.... e non penserai di certo a me, altrettanto. — Se tu lo credi, Gertrude, vuol dire che _non mi conosci_ abbastanza. Tu qui avrai dintorno tanti buoni amici, io mi troverò solo laggiù in mezzo a gente estranea; ma il mio cuore sarà sempre con te e con la mamma, e vivrò più tra voi, che dove sarò in persona. — Furono interrotti dal ritorno del signor Cooper e non riannodarono più il discorso su questo soggetto. Ma la mattina della partenza, mentre nella stanza attigua la signora Sullivan, china su un baule ben riempito, cercava di nascondere le sue lacrime, e il vecchio stava a testa bassa più del solito, con in mano la pipa spenta, Guglielmo disse sottovoce a Gertrude che ritta sopra una cassetta di libri ne premeva il coperchio affinchè egli potesse chiudere il lucchetto: — Cara, per amor mio, abbi cura di _nostra_ madre e del _nostro_ nonno.... Sono _tuoi_ quasi quanto miei. — Nel momento che il giovanetto lasciava così, la prima volta, la sua casa, e andava a sostenere fra gli uomini la lotta per la vita, il signor Cooper, il quale nel suo scetticismo non poteva crederlo capace di vincere contro la fortuna, lo ammonì ripetutamente di non vagheggiare speranze che non si sarebbero mai avverate, e gli rammentò con insistenza quanto fosse inesperto del mondo. La signora Sullivan invece non si diffuse in consigli al figliuolo che partiva, ma fidando negli insegnamenti da lui ricevuti fin dalla più tenera infanzia si contentò di riassumere il suo monito materno in queste semplici parole: — Ama e temi Dio, Guglielmo, e fa' ciò che tua madre s'aspetta da te! — La sera innanzi ella aveva recitato con lui la preghiera usata; quella mattina, lo aveva ancora una volta benedetto. Dopo la colazione, a cui Gertrude prese parte, furono scambiati gli ultimi abbracci, gli ultimi addii. E Guglielmo s'imbarcò. La pia e amorosa donna, che da diciott'anni riponeva le sue speranze, il suo orgoglio, la sua tenerezza in quell'unico figliuolo, mantenne anche nel sacrificio supremo il suo spirito d'abnegazione, si separò da lui senza un lamento. Nessuno sapeva con quali sforzi penosi ella domasse il cuore spasimante che si ribellava, nè donde le derivasse la virtù che la sosteneva. E nessuno quindi le attribuiva la forza d'animo di cui diede prova. I vicini rimasero vedendo la piccola vedova attendere tranquillamente come di consueto alle sue faccende il giorno innanzi che il suo figliuolo s'imbarcasse per l'India, e riprenderle il giorno dopo, con la calma e la paziente umiltà che la caratterizzavano. Oggi che l'emigrazione offre ai giovani l'allettamento di straordinarie speranze, non v'è nella Nuova Inghilterra città nè villaggio, per quanto minuscolo e remoto, dove non sanguinino cuori di madri separate, forse per sempre, da figli adorati. Speriamo, _crediamo_ anzi, che tra questi erranti cercatori di fortuna, ve ne sia più d'uno mosso non da brama d'oro, o d'avventure, o di mutamento, ma dall'amore stesso della mamma che lasciano, dal desiderio ardente di toglierla da una vita di travagli e di povertà. Sia benedetto e prosperi colui che varca il mare con questo fine! E se perisce, non sarà vissuto invano; perchè, soccombendo alla malattia o cadendo colpito da mano violenta, nel fervore della lotta e del lavoro, egli attesta con la sua morte la consolante verità che vi sono ancora figliuoli degni dell'amor materno; l'amore ch'è il più sublime, il più santo, il più puro tipo di Dio sulla terra. Dopo la partenza di Guglielmo, Gertrude si stabilì definitivamente in casa Graham. Cominciò subito a frequentare la scuola, e fino alla primavera s'applicò allo studio con somma diligenza. La sua vita era piuttosto uniforme, perchè Emilia riceveva, per costume, poche persone, anzi, l'inverno, in città, quasi punte, ed ella non aveva stretto amicizia intima con alcuna delle sue condiscepole. Ma con la sua protettrice passava molte ore felici, facevano insieme piacevoli passeggiate, leggevano buoni libri, conversavano. Attraverso gli occhi penetranti di Gertrude che tutto osservava, e le sue vive e pittoresche descrizioni delle cose che le cadevano sotto lo sguardo, la giovane cieca andava rinnovellando la propria conoscenza del mondo esteriore. Nelle opere di carità e di misericordia la fanciulla era la sua compagna o la sua messaggera. Tutti i dipendenti della famiglia, dalla cuoca al ragazzino che veniva a prendere, sull'uscio, i rimasugli di pane, s'accordavano nell'amare e lodare la piccola Gertrude, la quale non era bella, a rigore, nè vestita con eleganza; ma aveva un'aerea leggerezza nel passo, una grazia nelle movenze, una dignità nel portamento, tali da farli certi che in lei non albergava l'anima d'una pitocca, qualunque fosse la sua nascita o il suo stato; infatti, rivolgendole la parola, la chiamavano sempre «signorina». I pregiudizi della signora Ellis contro «l'intrusa» non erano vinti: nondimeno, essendo Gertrude sempre manierosa, e tenendole Emilia prudentemente distanti l'una dall'altra quanto più era possibile, non avvenivano conflitti. Il signor Graham, da principio, vedendola pensierosa e mesta, non s'occupò di lei; ma dopo che ebbe parecchie volte ritrovato il suo giornale accuratamente ripiegato, e veduto miracolosamente ricomparire i suoi occhiali rimasti irreperibili per lui ad onta di lunghe ricerche, cominciò a pensare che ella era una ragazza svegliata: e quando poi un giorno, prendendo in mano l'ultimo numero del _Buon Agricoltore_, vide che le pagine della rivista erano già tagliate e ben cucite insieme, egli, immaginandosi che Gertrude l'avesse fatto per proprio uso, la dichiarò una ragazza _davvero intelligente_. Ella visitava spesso la signora Sullivan. La primavera s'avvicinava, ed esse oramai attendevano notizie di Guglielmo; ma non ne erano tuttavia venute al tempo che i Graham andarono in campagna per passarvi la stagione estiva. Dalla villa, Gertrude scrisse all'amico lontano una lunga lettera che dava un'idea della sua condizione e del suo modo di vita. Dopo avergli diffusamente espresso il proprio dispiacere di non saper ancora nulla di lui, e raccontato l'ultima visita da lei fatta a sua madre prima di lasciare la città proseguiva: «Ma tu mi facesti promettere, caro Guglielmo, di parlarti di me, dicendomi che desideravi conoscere tutto ciò che mi concerne in casa del signor Graham. E però se la mia lettera è più noiosa del solito, la colpa è tua, perchè ho molti particolari da riferirti circa il nostro soggiorno a D***. «Qui si vive in tutt'altro modo che a Boston.... Ma a questo punto mi par di sentirti esclamare: «Ohimè, Gertrude si rimette a descrivermi la villa Graham....» No, non temere: mi rammento sempre come l'ultima volta, non appena incominciato, tu mi ponesti una mano sulla bocca per interrompermi, e m'assicurasti che il luogo t'era già familiare quanto se tu ci avessi abitato fin da bambino, posto ch'io dagli otto anni in su te lo descrivevo almeno una volta la settimana. Ti costrinsi allora a chiedermi perdono della tua inciviltà: ma, devo confessarlo, t'ho parlato tanto della mia prima visita qui, che tu sei scusabile se il soggetto t'è venuto a noia. Voglio dirti solo la disillusione che ho provata: tutto nella villa de' miei ricordi mi sembra più piccolo e meno bello; l'ingresso e il portico non sono così spaziosi come me li figuravo, nè le stanze così alte, nè il giardino e i chioschi e le serre così grandi. No, no, non ti ridescrivo nulla.... Giorni sono la signorina Emilia mi domandò se il luogo mi piacesse e corrispondesse all'impressione che ne avevo serbata. Io le dissi la verità, ed ella non se n'ebbe a male: rise anzi di quelle mie immagini fantastiche della casa e delle sue adiacenze, ed osservò che questo succede sempre quando si rivedono cose vedute nell'infanzia. «Non ho bisogno di ripeterti ch'ella m'è prodiga di bontà e di gentilezza: chi la conosce come te sa bene che non può esservi al mondo persona migliore nè più amabile. Io non sono in grado di fare che una minima parte di quello che vorrei per contraccambiar la sua benevolenza: ma ella gradisce tanto ogni umile dono, è tanto grata d'ogni piccola attenzione, che par possibile a tutti di procurarle qualche gioia. Per esempio, ieri, trovate alcune viole mammole nell'erba, gliele portai: ella mi baciò e mi ringraziò come se fossero state diamanti. L'altro giorno un bambino, che si chiama Beniamino Gately, venne a sonare alla porta d'ingresso, con una cappellata di maceroni, còlti senza gambi, e chiese della signorina Emilia per offrirglieli egli stesso: e la signorina lo accolse graziosamente e lo compensò con un dolce sorriso e un «grazie, Ben» che egli non dimenticherà tanto presto.... Non fu atto gentile, di', Guglielmo? «Il signor Graham mi ha dato un giardinetto, e mi propongo di coltivarvi i più bei fiori, per lei: sempre che la signora Ellis non se ne immischi. Ma ho gran paura del contrario, perchè s'immischia in tutto. Ah, Guglielmo, caro, la signora Ellis è la mia croce, la mia _gran croce_! È proprio il genere di donna che io non posso soffrire. Credo che certe persone siano antipatiche a certe altre per natura; e quest'è il caso tra me e la detta signora. Non lo direi a nessun altro perchè so che non sta bene; e forse non dovrei dirlo neppure a te: ma non so nasconderti nessun mio sentimento. La signorina Emilia ragiona spesso meco sul proposito della governante e sostiene che io devo imparare ad amarla e che quando l'amerò sarò un angelo. «Sicuro tu penserai che qui ricompare il temperamento della Gertrude d'una volta, e forse è vero, ma tu non sai a che dure prove ella mette la mia pazienza; gli è in piccole cose che mi sarebbe difficile raccontare, nè vorrei annoiarti con sì fatti pettegolezzi se anche potessi; non ti parlo dunque più di lei. Farò ogni sforzo per essere perfetta ed amarla caramente. «Non credere che io adesso non andando a scuola me ne stia con le mani in mano: sono occupatissima invece. La prima settimana della nostra villeggiatura, tuttavia, le mattinate mi riescivano uggiose. Io, tu lo sai, mi levo col sole; la signorina Emilia però non può essere tanto mattiniera, e non la vedo mai prima delle otto, cioè oltre due ore dopo ch'io sono alzata e vestita. A Boston, questo tempo lo passavo studiando; ma poichè sul principio della primavera ella s'accòrse che crescevo in fretta, e udì il signor Arnold osservare ch'ero molto pallida, giudicò nocivo per me lo stare troppo sui libri, e, venute in campagna, stabilì che dedicherei allo studio soltanto poche ore dopo la colazione, nella sua camera. Mi consigliò pure di dormire più tardi la mattina, se potevo; io proprio non posso, sicchè esco sempre dal letto prestissimo e scendo in giardino. Un giorno, mentre v'andavo girellando, trovai il signor Graham già al lavoro; non senza mia maraviglia, perchè l'inverno, in città, non è questo il suo costume. Ma egli è un uomo bizzarro. Mi chiamò e mi chiese d'aiutarlo a piantare semi di cipolle; a quanto sembra me la cavai benino, posto che da allora pianto tutti i giorni insieme con lui ogni sorta di cose, delle quali mi fa scrivere i nomi su cartellini attaccati a bastoncelli che mette sulle rispettive piantagioni; e, infine, con mia viva gioia m'ha offerto un pezzo di terra per coltivarvi fiori a mio piacere. A lui, vera _stranezza_, de' fiori non importa affatto; coltiva esclusivamente ortaggi e alberi da frutto. «Dunque io avrò un giardino! Ma ti vo facendo una storia lunga, mio Guglielmo; eppure vorrei prolungarla ancora tanto, se me ne rimanesse tempo! O potessi vederti, potessi parlarti! A voce ti direi in un'ora più che non in una settimana scrivendoti. Tra cinque minuti sentirò il campanello della signorina Emilia che mi manderà a chiamare per farle un po' di lettura.... «Mi struggo di ricevere tue lettere, caro, e prego Dio mattina e sera che t'abbia in Sua custodia e mandi presto le bramate notizie alla tua affezionatissima «Gertrude.» XVIII. Dolce cosa! La fata ove dimora Che far seppe un incanto così bello? In te, dici? La buona fata allora Come il cuor del tuo cuore ama, o fratello! DANA. Alcune settimane dopo la data di quella sua missiva Gertrude seppe da Giorgio, il quale andava giornalmente in città a fare la spesa, che la signora Sullivan aveva lasciato detto per lei nella bottega del rubicondo macellaro, loro antico conoscente, ch'era giunta una lettera di Guglielmo, e che venisse a leggerla non appena le fosse possibile. Emilia acconsentì di buon grado a permetterle d'andarci subito, ma c'era una difficoltà: Carlotto, l'unico cavallo che il signor Graham teneva, appunto era fuori, e non si presentava nessun'altra occasione. — O perchè non la mandate con l'omnibus? — domandò la signora Ellis. Gertrude le rivolse uno sguardo di gratitudine. Era la prima volta che quella donna favoriva un suo desiderio. — Sola? — disse Emilia. — Non la crederei abbastanza sicura. — Non abbastanza sicura? Una ragazza così grande! — esclamò la governante che, considerata quale una persona di famiglia, usava parlare alla signorina senza soggezione. — Vi pare?... Infatti, a me sembra sempre una bambina; ma oramai è quasi una ragazza, come voi dite, e dev'essere capace di badarsi da sè. Gertrude, sei certa di conoscere la strada, dalla stazione degli omnibus, in Boston, alla casa della signora Sullivan? — Oh, benissimo, signorina Emilia! — rispose la fanciulla. Senz'altre esitazioni, le furono posti in mano due biglietti per l'andata e il ritorno con la vettura pubblica, ed ella partì tutta raggiante e palpitante di gioia. Trovò la vedova e il vecchio Cooper in buona salute, e lietissimi delle ottime notizie avute da Guglielmo, il quale, dopo un lungo ma pur piacevole viaggio, era arrivato a Calcutta sano e salvo. Egli descriveva la sua nuova casa e le sue nuove occupazioni, parlava de' suoi nuovi principali: il rimanente della lettera era dedicato ad affettuosi messaggi, a domande riguardanti i suoi cari, e Gertrude v'aveva gran parte. Questa desinò con la signora Sullivan, poi ritornò sollecitamente a prendere il suo posto nell'omnibus. Mentre aspettava la partenza si divertiva a guardare i passanti. Mancava poco alle tre, ed ella cominciava a credere che non avrebbe avuto compagni di viaggio, quando la colpì la voce d'una persona da lei non veduta: una voce strana. Andò verso l'uscio, e le apparve dietro la vettura la figura più bizzarra che mai si fosse offerta a' suoi occhi. Era una vecchia signora, piccola e assai curva. Alla prima occhiata Gertrude riconobbe un medesimo spirito originale nell'idea e nell'esecuzione di ciascuna parte del suo straordinario abbigliamento. Ma non aveva ancora bene osservato i numerosi particolari di quell'insieme stupendamente grottesco, che la sua attenzione fu cattivata dal contegno non meno curioso della vecchietta. Dopo vani tentativi di salire nel piuttosto incomodo veicolo, ella era rimasta con un piede sul primo scalino e chiamava in suo soccorso il conduttore. L'uomo venne a lei. — Signore, — ella domandò con tono dignitoso — cotesto cocchio viaggiante è affidato alle vostre onorevoli cure? — Come dite?... — fece egli. — Ah! Gnora sì, sono il cocchiere. — Così dicendo aperse l'uscio, e senz'aspettare la cerimoniosa richiesta ch'era sulle labbra della passeggera, le pose una mano sotto un gomito, e innanzi ch'ella s'accorgesse della sua intenzione, la issò fin dentro l'omnibus, e richiuse. — Ohimè! — ella gemette sedendosi di faccia a Gertrude e accomodando le pieghe del suo velo e gli altri suoi panneggiamenti. — Quell'individuo non è versato nell'arte di porgere aiuto a una signora senza detrimento della sua abbigliatura. Oh Dio, oh Dio! — proseguì tutto d'un fiato. — Ho perduto il mio parasole! — Si rizzò per cercarlo; ma giusto in quel momento l'omnibus partiva, e l'improvvisa scossa le fece perdere anche l'equilibrio. Se non cadde fu grazie a Gertrude che lesta lesta l'afferrò per un braccio e la rimise a sedere. — Non vi sgomentate, signora, — disse la fanciulla — eccolo qui! — E le mostrò il parasole che, quantunque avesse quasi le dimensioni d'un «parapioggia», ella portava attaccato alla cintola, con un nastro verde, e non s'era che spostato. Ma non quel solo oggetto vedevano pendere dal medesimo nastro gli occhi attoniti di Gertrude: c'erano inoltre una borsa enorme, dei più vivi e più diversi colori, una berretta di trina nera, un gran ventaglio di penne, un rotolo di carta da fiori finti, e altre cose ancora parzialmente nascoste da uno scialle nero di seta leggera. Ella faceva alla sua giovane compagna l'effetto d'una ladruncola reduce da una spedizione fortunata. In tal caso, però, la rea aveva una mirabile disinvoltura, giacchè tranquillamente appoggiò i piedi sulla panchetta di contro e si mise a fare il proprio comodo. Cominciò con l'inorridire Gertrude togliendosi di bocca i denti che ripose nella borsa: poi sostituì ai guanti di seta nera che calzava, altri di cotone, staccò il suo lungo velo di trina, lo ripiegò e lo appuntò alla cintola tra il resto, sciolse i nastri del cappello, gettò su questo una larga pezzuola colorata per ripararlo dalla polvere, infine slegò, non senza fatica, il ventaglio e prese a sventolarsi coscienziosamente, socchiudendo gli occhi come se avesse voglia di fare un pisolo. Infatti di lì a poco stette quieta: segno che s'era addormentata. Gertrude, assorta ne' suoi pensieri, guardava i nuvoloni che venivano levandosi da ponente, e quasi aveva dimenticato la sua singolare compagna di viaggio, quando una mano posatasi d'improvviso sulla sua ed una viva esclamazione le fecero dare un sobbalzo. — Mia cara damigella, — disse la vecchietta — non vi sembra che quelle negre nubi siano foriere d'un temporale? — Credo, sì, che voglia piovere, — ella rispose. — Quando sono uscita, stamani, — seguitò l'altra — il sole rifulgeva in un cielo sereno; fin gli alati cantori dell'aria proclamavano nei loro inni la gioia dell'universo; ed ecco che innanzi ch'io sia pervenuta al mio ritiro, le mie delicate gale di trina, — e chinava lo sguardo sul suo corpetto — rischiano d'esser vittime della spietata tempesta. — Non passa l'omnibus davanti alla vostra porta? — domandò la ragazza impietosita dall'evidente angoscia della vecchia signora. — No, ahimè, no! C'è almeno mezzo miglio.... E voi siete più fortunata, gentile signorina? — Al contrario. Ho un miglio intero di cammino dalla stazione, io. — Mossa da un impulso di simpatia la vecchia s'accostò a Gertrude dicendo con querulo accento: — Ah, me ne duole per l'immacolata bianchezza dei nastri del vostro cappellino! — L'omnibus intanto era arrivato alla sua destinazione. Le due passeggere scesero. Gertrude rimise al conduttore il suo biglietto, e fece per avviarsi; ma la bizzarra signora l'afferrò per la veste a la pregò d'attenderla, visto che seguivano la medesima strada. L'attesa fu lunga perchè insorse una difficoltà. La vecchietta si rifiutava di pagare il prezzo chiestole per il suo posto, affermando che non era il prezzo ordinario, e accusando «l'individuo» dell'intenzione d'appropriarsi l'eccedenza di due _centini_[1]. Gertrude stava sulle spine, perchè s'aspettava da un momento all'altro acqua a torrenti. Finalmente, venuto il conduttore a una transazione con la sua troppo tirata passeggera, si misero in cammino. Avevano fatto un quarto di miglio, circa, a passo di lumaca, quando cominciarono a cadere i primi goccioloni. E Gertrude dovette staccare dalla cintura della sua compagna l'ampio parasole, e reggerlo in guisa da riparare sè e lei. Proseguirono così sotto la pioggia, sempre più fitta. Dopo un altro quarto di miglio, mentre sembrava che si fossero aperte tutte le cateratte del cielo, la fanciulla udì qualcuno correre dietro a loro, e voltandosi vide Giorgio, il servitore del signor Graham, che andava di volo in direzione della villa. — Oh, signorina Gertrude! — esclamò l'uomo riconoscendola. — Vi bagnerete fino alle ossa, voi, e la signorina Pace.... Sarà bene che vi rifugiate in casa sua, dove sarete al sicuro. Su, lesta! — Così dicendo pigliò in braccio la vecchietta, e accennato a Gertrude di seguirlo, si slanciò attraverso la strada, nè si fermò finchè non ebbe deposto il suo fardello nell'entrata d'un casinetto vicino. Quasi nello stesso punto vi arrivò anche la fanciulla. La signorina Pace, giacchè così si chiamava la bizzarra creatura, era tanto sbalordita che le ci volle qualche minuto prima di raccapezzare come si trovasse di botto a salvamento sotto il proprio tetto: intanto Giorgio convenne con Gertrude ch'ella rimarrebbe lì un paio d'ore, finch'egli ripassasse a prenderla col legno al suo ritorno dalla stazione ferroviaria dove andava regolarmente tre volte la settimana, per il suo padrone. Marta Pace non godeva fama di persona ospitale. Ella era proprietaria del casinetto in cui abitava, e ci viveva affatto sola, senza neppure una serva. Non riceveva mai visite, ma in compenso ne faceva moltissime; e poichè tutti i suoi parenti e i suoi amici stavano a Boston, o ancor più lontano da D***, dove ella dimorava soltanto da qualche tempo, era una costante frequentatrice degli omnibus e altre vetture pubbliche. Per questo, e per la sua assiduità agli uffizi divini, molta gente la conosceva; nondimeno Gertrude forse era la prima ospite che varcava la sua soglia: ospite, del resto, non invitata. E dovette ella stessa, alla porta, prendere la chiave, aprire, far entrare la padrona di casa nel salotto, aiutarla a levarsi le bavere, gli scialli, i veli in cui era avvolta. Quando però la signorina Marta Pace si fu riavuta, si comportò con l'elegante urbanità che la distingueva. Benchè vivissimo fosse il suo rammarico per i danni sofferti dai propri indumenti, seppe abbastanza padroneggiarlo, da manifestare quasi altrettanto eloquentemente i suoi timori circa quelli di Gertrude. Bisognò che questa l'assicurasse che i suoi stivaletti erano appena bagnati, che il suo vestito e la sua mantellina di ghingano sfidavano la pioggia, e che il suo bel cappellino di paglia era stato ben protetto dalla sciarpa gettatavi sopra, perchè ella si risolvesse a trascurar un momento i doveri dell'ospitalità a fine di mutare l'abito trinato con uno più casalingo. Lasciata sola, Gertrude, la cui curiosità già era punta dalla strana apparenza del salotto, prese ad esaminare più da vicino i diversi oggetti d'uso e d'ornamento che lo riempivano. Il salotto veramente non era meno singolare della signora. Come l'abbigliatura di lei, la sua mobilia si componeva di parti eterogenee rappresentanti varie mode di varie età, cominciando da certe seggiole dell'epoca del «Fior di Maggio»[2] fino ai guancialini da spilli che volevano essere moderni, e ai saggi mal riusciti d'erbe cristallizzate. L'acuto sguardo osservatore di Gertrude si pasceva con delizia in quell'originale miscuglio di poche reliquie d'antica eleganza e di numerosi esempi di cattivo gusto e d'aberrazione, quando la padrona di casa rientrò. Ella aveva indossato una veste di lana nera, semplice benchè di foggia un po' strana, in cui pareva signora di miglior qualità che con le sue gale di trina da lei tanto pregiate. Portava un gran bicchierone d'acqua pepata, che offerse alla sua ospite dicendole che le avrebbe scaldato lo stomaco ed evitato un'infreddatura; ma la ragazza, rattenendo a stento le risa, ricusò il beveraggio. Allora la signorina Marta sedette e, mentre andava sorbendo con voluttà quello stravagante rinfresco, incominciò una conversazione la quale a momenti induceva la sua interlocutrice a crederla una donna molto sensata, a momenti la persuadeva ch'ella era pazza addirittura. Gertrude faceva su di lei un'impressione più precisa. La giovane damigella, com'essa diceva, era incantevole, possedeva un intelletto degno d'una regina, aveva le forme snelle, e l'andatura leggera di una gazzella, e movenze più graziose di quelle del cigno. Quando Giorgio venne a riprenderla, la signorina Pace mostrò un sincero rincrescimento di separarsi da lei, e l'invitò cordialmente a ritornare. Ella glielo promise. Le consolanti notizie di Guglielmo e le divertenti avventure della sua gita avevano infuso a Gertrude una così briosa allegrezza, ch'ella balzò dal legno e salì le scale con quella sua aerea rapidità di piccola fata che lo zio True tanto amava, e che l'abbattimento cagionatole dalla morte del buon uomo le aveva fatto perdere. Di corsa si diresse verso la sua camera per deporre il cappello e mutar vestito prima d'andare in cerca d'Emilia a cui si struggeva di raccontare gli avvenimenti della giornata. Ma sulla soglia incontrò Brigida, la donna di servizio, che ne usciva con in mano la granata, la cassetta, e il resto. E, domandatole che ci fosse venuta a fare a quell'ora insolita, seppe che la signora Ellis durante la sua assenza aveva ordinato di ripulire la stanzina da cima a fondo e mettere a posto i mobili da lei destinativi, giacchè era stata allestita provvisoriamente, e si trovava finora un poco sossopra. Turbata, senza ben sapere perchè, all'idea di quest'invasione del suo dominio da parte della governante, ella s'affrettò ad ispezionarlo con un lieve senso d'inquietudine che man mano venne trasformandosi in collera veemente. Nel lasciare la casa della signora Sullivan per quella del signor Graham a Boston, Gertrude aveva portato seco, oltre il baule contenente i vestiti e la biancheria, una certa vecchia scatola di latta, e l'aveva accuratamente riposta sul palchetto d'un armadio a muro nella sua camera, dov'era rimasta tutto l'inverno chiusa, senz'esser mai notata da nessuno. Quando la famiglia si trasferì in campagna la scatola v'accompagnò la sua proprietaria, portata da questa e vigilata con grande attenzione. Là, non essendovi nella nuova camera di Gertrude alcun ripostiglio, essa la nascose in un angolo dietro il letto. Ora appunto la sera innanzi la sua gita in città ne aveva estratto e rimirato parte degli oggetti custoditivi. Ognuno era per lei un caro e mesto ricordo, e molte lacrime aveva sparso la fanciulla su quel suo piccolo tesoro. C'era il Samuele di gesso, primo regalo dello zio True, assai deteriorato dal tempo e dai disastri. Esaminando una grave contusione alla nuca, effetto d'un colpo datogli sbadatamente dallo stesso donatore, e rammentando come il buon vecchio si fosse pazientemente ingegnato a riparare il danno, sentiva che non si sarebbe privata della povera figurina per tutto l'oro del mondo. E c'erano le sue pipe, annerite dal lungo uso, umili pipe d'argilla, ma pensando che a lui avevano procurato tanto piacere, ella trovava una consolazione nel conservarle piamente. S'era portata via anche la sua lanterna, perchè non poteva scordare la gaia fiammella che aveva recato il primo raggio di luce nell'oscurità della sua vita. E come poi avrebbe trascurato il vecchio berretto di pelo sotto cui le sembrava di rivedere il benevolo sorriso che tante volte v'aveva cercato, e mai invano?... A queste reliquie s'aggiungevano alcuni balocchi, qualche libro figurato donatole da Guglielmo, un minuscolo panierino ch'egli aveva intagliato per lei in un guscio di noce, e altre coserelle. Tutti quei vari oggetti, tranne il berretto di pelo e la lanterna, ella li aveva lasciati sul caminetto. Ed ora, entrando nella camera, il suo sguardo corse subito in cerca dei preziosi ricordi. Non c'erano più. Il caminetto era diligentemente spolverato, e affatto sgombro. Si precipitò verso l'angolo dove teneva la scatola di latta. Scomparsa anche questa. In un baleno Gertrude raggiunse la serva, la chiamò, la tempestò di domande ansiose. Brigida serviva in quella casa da poco, ed era uno dei più stupidi esemplari della sua specie; ma la fanciulla seppe così bene interrogarla, che riuscì a chiarirsi di ogni cosa. La figurina, la lanterna e le pipe erano state buttate in un mucchio di vetri rotti e di cocci e ridotte in briciole, come Brigida affermava; il berretto, dichiarato invaso dalle tignuole e condannato al fuoco; quanto agli altri ammennicoli, ella non era proprio sicura, ma supponeva che avessero finito anch'essi nel camino. E tutto questo, in obbedienza agli ordini formali della signora Ellis. Gertrude lasciò andare Brigida senza farle conoscere la gravità della perdita che soffriva, e chiuso l'uscio si gettò sul letto e dette in un violento scoppio di pianto. — Ah, questa, — ella pensava — questa era la ragione che la induceva ad agevolare la mia gita! Ed io credevo che volesse compiacere al mio desiderio! Venire qui voleva, per derubarmi, la ladra! — Saltò giù dal letto con impeto, come vi s'era gettata, e si slanciò per uscire; ma subitamente frenata da un nuovo pensiero, tornò indietro, cadde in ginocchio singhiozzando forte, e nascose la faccia tra le palme. Due o tre volte alzò il capo, quasi in procinto di rizzarsi e correre ad affrontare la sua nemica; ma sempre quel pensiero le riattraversò la mente e la rattenne. Non era paura; oh, no, Gertrude non temeva nessuno. Doveva essere qualche cosa di più forte, e che tuttavia aveva un influsso calmante; giacchè dopo ogni lotta vinta diveniva più tranquilla. Infine si levò, andò a sedersi accanto alla finestra aperta, appoggiò la fronte a una mano e guardò fuori. La pioggia era cessata, e il sorriso della terra tutta bella, tutta fresca, si rifletteva in uno splendido arcobaleno che misurava l'orizzonte orientale. Un uccellino venne a posarsi sopra un ramo d'un albero vicino alla finestra, e intonò il suo _Te Deum_. Ondate di deliziosa fragranza s'espandevano da un arbusto di lilla in piena fioritura. E nell'anima di Gertrude si diffondeva una pace prodigiosa. Ella sentì «la grazia che arreca la pace succedere alle passioni che conturbano». Usciva trionfante dal conflitto; aveva riportato la massima delle vittorie umane: la vittoria sopra sè stessa. Più bella di tutte le cose belle che rallegravano la terra dopo la tempesta, dall'iride fulgente incontro al sole, al canto della creatura alata tra le fronde, al ravvivato profumo dei fiori, una luce serena splendeva nel viso della fanciulla, mentr'ella alzava gli occhi al cielo e dal suo cuore, dove l'intima tempesta era sedata, saliva a Dio la tacita offerta del sacrificio. Il suono della campanina che annunziava il tè la scosse. In fretta bagnò la faccia nell'acqua fredda, si ravviò i capelli e scese. Nella sala da pranzo non trovò che la signora Ellis; il signor Graham era in città, Emilia aveva una fiera emicrania. Per conseguenza ella prese il tè sola con la governante. Costei, sebbene non sapesse quanto preziose fossero per Gertrude le vecchie reliquie distrutte, era conscia d'aver commesso un'azione maligna, e dinanzi al contegno dell'offesa che non dimostrava ombra di collera nè d'astio, anzi s'asteneva fin dal menzionare il fatto, ella si sentiva più confusa e mortificata che non avrebbe voluto confessare. La cosa passò dunque sotto silenzio, allora e poi: ma la signora Ellis provò sempre il cocente sentimento della superiorità di quella fanciulla su lei, in materia di generosità e di pazienza. Il giorno seguente la cuoca bussò all'uscio d'Emilia, e fatta entrare disse tirando fuori il guscio di noce tagliato in forma di panierino: — Vorrei sapere, signorina Emilia, dove sia la signorina Gertrude; ho trovato il suo panierino nella cassetta del carbone, e credo che sarà molto contenta di riaverlo. Non s'è sciupato punto. — Quale panierino? — domandò la cieca. La donna le mise il ninnolo in mano, e con tono assai concitato le raccontò la distruzione degli oggetti appartenenti a Gertrude, di cui ella stessa era stata testimone indignatissima. Descrisse pure in modo commovente l'angoscia della ragazza nell'interrogare Brigida, avendo ella udito tutto dalla sua camera dove si trovava mentre esse parlavano poco lontano. Emilia, ascoltando la pietosa storia, si rammentò che nel pomeriggio del giorno innanzi le era parso di sentir Gertrude singhiozzare nella sua stanza alla quale quella di lei era adiacente, ma aveva poi creduto d'essersi ingannata. — Andate, signora Prime, — disse alla benevola cuoca — andate a portarle il panierino: è nella piccola biblioteca. Ma, ve ne prego, non le dite d'avermi parlato della cosa. — Ella attese parecchi giorni che la sua protetta si lamentasse con lei del torto patito: ma la brava figliuola tenne dentro il suo dolore e lo sopportò in silenzio. Era la prima volta che Gertrude giungeva a padroneggiarsi così perfettamente, e fu l'ultima che il farlo le costò una così aspra lotta. Da quel momento ella andò acquistando sempre maggior potere nel governo di sè, e accrescendosi il suo vigore con ogni nuovo sforzo ella divenne un esempio mirabile agli occhi di coloro che sapevano con quale temperamento avesse a combattere. Toccava quasi i quattordici anni ed era cresciuta così rapidamente, che adesso la sua statura superava l'ordinaria delle ragazze di pari età, anzichè rimanervi inferiore come fino allora. Ma non ne soffriva, grazie al riposo intellettuale, all'attività fisica, all'aria aperta della campagna. Il suo giardino era per lei una sorgente di vivi piaceri. I fiori ch'ella educava con assidua cura, prosperavano, e tutti i giorni, a colazione, Emilia trovava accanto al suo piatto un bel mazzo fragrante. Di tanto in tanto visitava la sua vecchia amica, che l'accoglieva cordialmente. La signorina Marta si dilettava di fare fiori artificiali, e i modelli le erano forniti dal giardino di Gertrude la quale perciò di rado arrivava a mani vuote. Ma i risultati corrispondevano così male alle buone intenzioni della fiorista, che sarebbe stato calunniar la natura chiamare le sue fantastiche imitazioni copie fedeli degli originali. Ella però n'era sodisfatta; ed è da sperare che fossero sodisfatti anche i suoi amici a cui destinava i grossi mazzi che portava in giro attaccati alla cintura col famoso nastro verde. Gli amici di Marta Pace erano numerosi. Parlandone con Gertrude nominava tanta gente da farle pensare che doveva conoscere mezza Boston. Aveva imparato in gioventù l'arte della tappezzeria da lei per molti anni esercitata prestando l'opera sua, come ella raccontava, nelle più cospicue famiglie della città, dove si soleva dire che «Marta Pace possedeva due occhi davanti e due di dietro, e due paia d'orecchie», così acuta osservatrice ella era e di così fine criterio. Nonostante queste sue straordinarie facoltà di visione e comprensione, ella non aveva mai cagionato discordie nè pettegolezzi nelle case che frequentava: Era prudente e coscienziosa, e quantunque assai singolare ne' suoi costumi e nel suo linguaggio, e stravagante in certe sue fantasie a segno d'essere tenuta dagli estranei per una mezza pazza, aveva saputo guadagnarsi e conservare la benevolenza di buone persone, signore e signori, che la ricevevano e la trattavano con grande cortesia. Ella si regolava in modo da visitare per turno, nel corso di ciascun anno, queste famiglie amiche, ogni membro delle quali le stava a cuore, e mantenere viva l'antica intimità. Un solo dispiacere affliggeva la vecchia zittella: quello di non avere uno sposo. E lo versava spesso nel seno di Gertrude. — Ah, cara signorina, — ella esclamava allora, dimenticando, a quanto pareva, la sua età ed i suoi acciacchi — camperei pur bene in questo mondo, se avessi un compagno! — E con una mossettina del capo e una cert'aria civettuola, soggiungeva: — Sappiate, bella mia, ch'io qualche volta ci penso a prendere marito! — Poi, accorgendosi della maraviglia e dell'ilarità che questa sua idea destava nella fanciulla, le esponeva le ragioni per cui aveva tanto a lungo differito l'attuazione d'un disegno vagheggiato sempre, e benchè ammettesse di non esser più giovane come nei giorni andati, concludeva invariabilmente: — È vero che il tempo è inesorabile, ma io m'aggrappo alla vita, signorina Gertrude, io m'aggrappo alla vita, e posso ancora maritarmi! — La moda era un altro soggetto su cui soleva intrattenerla con enfatiche declamazioni, confessando che quanto a lei, ella intendeva d'esserne rigida seguace, a costo di qualunque sacrifizio. Gertrude non poteva astenersi dal pensare che quest'intenzione della signorina Marta non andava meno miseramente fallita di quella d'innamorare un giovanotto. Si persuase anche, a poco a poco, che la vecchietta, quali si fossero le sue possibilità, era oltremodo avara. Emilia, che la conosceva assai bene e spesso le aveva dato commissioni, non s'oppose alle visite della sua protetta; anzi l'accompagnava più volte. Ella gradiva le occasioni di distrarsi un poco, e la bizzarra conversazione di Marta Pace era per lei un vero divertimento come per Gertrude. Queste visite, del resto, venivano restituite con una sollecitudine che provava la preferenza della vecchia zittella per la parte di visitatrice; e la signorina Graham avendolo osservato, l'invitò a frequentare la villa a suo piacimento: invito di cui quella approfittò largamente. XIX. Dolce è la tua presenza, o giovanetta, E salutare più che un mite e puro Cielo, e ch'ogni virtù d'acque sorgive. Mrs. BARBAULD. Coloro che posseggono una villa a poche miglia da una grande città, non vi godono propriamente la vita campestre. Hanno spaziosi giardini, spesso anche vasti orti dove coltivano le frutta e i legumi per loro uso; quasi tutti tengono cavalli e fanno amene gite nei dintorni. C'è perfino chi ha la sua piccola fattoria, e può vantare il grasso bestiame e i polli di Shanghai che alleva. Ma queste villeggiature suburbane non offrono le attrattive della vera campagna. Non ci sono folti boschi, nè ruscelli mormoranti tra l'erba, nè campi di spighe ondeggianti al vento, nè ampie distese di prati. Da ogni altura si vede la metropoli, tanto vicina che par di sentirne il rumorio; ad ogni ora, omnibus e treni portano al gran mercato degli affari o di là riconducono i villeggianti e i loro ospiti. Eppure le persone che desiderano un quieto ritiro per viverci appartate nell'intimità della famiglia, sono più sicure di trovarlo in quelle dimore tra campestri e cittadine, che non altrove. Perciò una estate dopo l'altra ritornano al medesimo angolo tranquillo, e non disturbate da visite nè da pettegolezzi conservano un'indipendenza che sarebbe impossibile sia nelle affollate vie della città dove passano sempre conoscenti che vi fermano o salgono da voi, sia nei villaggi dove i forestieri sono oggetto di curiosità e di ciarle, e tutti vogliono conoscerli da presso. La villa del signor Graham era comoda, però non sontuosa, e non attirava affatto l'attenzione. Il giardino certo era bellissimo, ricco di lussureggianti macchiette d'arbusti, di chioschi, di grandi pergole coperte di viti; ma un'alta palizzata lo nascondeva agli sguardi dei passanti; e la casa, discosta dalla strada, aveva un'apparenza modesta e punto moderna. Il signor Graham s'occupava con passione d'orticoltura; tuttavia le sue abitudini e i suoi interessi lo tenevano attaccato a Boston. Emilia, non essendo in istato di far vita mondana, non riceveva che i vicini, nelle occasioni di prammatica, e pochi intimi, come il pastore Arnold, il quale faceva spesso verso sera una giterella per vederla e mangiare un po' di frutta. L'estate trascorreva in una quiete felice. Gertrude trovava nella compagnia della sua benefica amica e nella coscienza d'esserle utile in molte maniere, una viva sorgente di sodisfazione e di gioia, quando d'improvviso ogni suo piacere fu troncato. Emilia venne còlta da una febbre assai forte, e la prima volta che la fanciulla si presentò alla sua porta desiderosa d'assisterla, la signora Ellis, che intendeva d'esser l'unica infermiera, la respinse rudemente. Alle sue calde istanze replicò che quella febbre era contagiosa, e che la signorina non aveva bisogno di lei, e d'altronde quando stava male non voleva dattorno altri che la sua fida governante. Da tre o quattro giorni Gertrude errava per la casa, inconsolabile. La mattina del quinto, dopo il suo bando dalla camera della malata, vide la cuoca salire al primo piano con una minestrina: e, mettendole in mano alcuni bellissimi bocciuoli di rose, còlti allora, la pregò di darli ad Emilia e di domandarle se non le poteva permettere d'entrare e vederla un momento. Aspettò ansiosamente, in cucina, il ritorno della signora Prime nella speranza che le recasse almeno qualche affettuosa parola. Ma la buona donna ridiscese coi fiori, che gettò sulla tavola, sfogando così i suoi sentimenti: — Cospetto! Si dice che le brave cuoche e le brave infermiere sono garbate come orsi! Non tocca a me dire se sia vero rispetto alle cuoche, ma rispetto alle infermiere, non c'è dubbio! S'io fossi voi, signorina Gertrude, non m'arrischierei d'andarci.... Ho gran paura, sapete, che vi morda! — E la signorina Emilia non ha accettato le rose? — domandò la giovanetta, profondamente accorata. — Lei, poverina, non c'entra per nulla. Capirete, non le ha mica vedute.... La signora Ellis le ha scaraventate fuori dell'uscio protestando che tanto valeva portare un veleno a una malata con la febbre, che quei fiori. Ho tentato di parlare io alla signorina, ma quella cara signora m'ha interrotta con un tale «ss-ss-st» da farmi pensare che la fosse per pigliar sonno, sicchè non ho più osato e me ne sono andata pian piano.... Uf! Diventa mai ringhiosa quando per disgrazia c'è qualcuno di malato in casa?... — Gertrude uscì in giardino e andò vagando come un'anima in pena. Temeva che Emilia fosse molto aggravata, nè poteva pensare ad altro. I suoi libri, il suo lavoro, erano nella camera di questa, dove li teneva usualmente; la biblioteca, che le avrebbe offerto qualche distrazione, era chiusa. Non le rimaneva dunque che quel rifugio, e là passò il resto della mattinata. Così fu non quella mattina soltanto, ma parecchie delle seguenti, perchè Emilia continuava a peggiorare. In capo a due settimane Gertrude non aveva ancora ottenuto di vederla, e non sapeva della sua salute se non quanto ne sentiva dire dalla governante al signor Graham. Questi però parlava ogni giorno col medico, e faceva frequenti visite alla figliuola, sicchè non richiedeva da lei quelle minuziose informazioni che la fanciulla avrebbe tanto desiderato. Una volta ella ardì interrogare direttamente la signora Ellis, ma l'arcigna matrona le rispose: — Non mi seccate con le vostre domande. Che potete intendere voi di malattie? — Un pomeriggio, seduta in un grande chiosco in fondo al giardino, presso le aiuole ch'ella coltivava ed erano allora tutte fiorite di reseda e di verbene, Gertrude stava legando e segnando gl'involtini dei semi che aveva raccolti da varie piante. Ella era tutta assorta nel suo lavoro, quando il suono d'un passo vicinissimo la fece sobbalzare. Alzò gli occhi e vide il dottor Jeremy, medico della famiglia, entrare nel chiosco. — Che fate di bello? — egli domandò, nella rapida e brusca maniera che gli era abituale. — Un assortimento di semi, eh? — Sì, signore, — rispose ella arrossendo nel vedere i penetranti occhi neri del dottore scrutarla in faccia. — O dove fu che c'imbattemmo la prima volta? — disse egli con lo stesso fare. — In casa del signor Flint. — True Flint! Già.... mi rammento. Voi siete la sua ragazzina. Una brava figliuola. E il povero True, è morto. Peccato, è una perdita per tutti. Questa è dunque la piccola infermiera che vedevo là.... Dio buono, come crescono in furia i bambini! — Dottor Jeremy, — chiese Gertrude con accento supplichevole — ditemi, ve ne prego, come sta la signorina Emilia? — Emilia? Non troppo bene in questo momento. — Oh! Temete forse che abbia a morire? — Ma no, ma no! Perchè dovrebbe morire? Io non la lascerò morire se voi mi aiutate a tenerla in vita. Come mai non siete in casa ad assisterla? — Ah, se potessi! — ella esclamò balzando in piedi. — Se potessi! — E chi ve lo impedisce? — La signora Ellis. Non mi lascia neanche entrare, dottore; dice che la signorina non vuole altri che lei. — La signora Ellis non ha voce in capitolo, ed Emilia neppure: quest'è affar mio, ed io voglio voi. Affiderei più volentieri i miei pazienti a voi che a tutte le signore Ellis del mondo. Quella lì non se n'intende d'assistere malati; rimandatela alle sue conserve di coccole rosse, e a' suoi pasticci di zucca. Dunque, è fissato; domani prendete il vostro posto. — Grazie, dottore, grazie! — Non mi ringraziate ancora; aspettate di esservici provata. È opera faticosa prestar le cure necessarie agl'infermi. Di chi è l'orto attiguo? — Della signora Bruce. — E cotesto pero è suo? — Sì, signore. — Per san Giorgio, signora Bruce, farò onore alle vostre pere! — Così dicendo il dottor Jeremy, uomo sui sessantacinque, ma robusto ed agile, scavalcò il muretto di pietra che divideva il giardino dall'orto, lanciandosi con tale impeto, da arrivare d'un balzo appiè dell'albero. Gertrude, la quale, esilarata, osservava le sue gesta, lo vide inciampare in un ostacolo e salvarsi dal cader bocconi stendendo le mani e reggendosi al grosso tronco del vecchio e bellissimo pero. In quella una testa ornata d'uno zucchettino di velluto si levò lentamente di tra le alte erbe, e apparvero la faccia e il busto d'un giovanetto di sedici in diciassett'anni che, appoggiato a un gomito, mirava con stupore l'intruso. Ma questi, punto intimidito, prese immediatamente l'offensiva contro il primo occupante, gridando: — Rizzati, poltrone! A che stai costì sdraiato facendo gambetta alle persone per bene? — Chi chiamate voi persone per bene? — domandò il giovane senza risentirsi nè dell'epiteto nè dell'interrogazione. — Me e la mia piccola amica qui presente, — replicò il dottor Jeremy ammiccando verso Gertrude che affacciata al muretto rideva di cuore del modo in cui egli era stato còlto sul fatto. Gli occhi dell'altro seguirono la direzione de' suoi e si fissarono sul viso della fanciulla che brillava tutto di gaiezza. — Posso fare qualche cosa per servirvi, signore? — disse egli poi, rivolgendosi a lui. — Sicuro! — rispose il dottore. — Io sono venuto qui per cogliere di coteste belle pere; ma voi siete più alto di me, a con l'aiuto della vostra mazza che ha la gruccia ricurva, arriverete meglio al ramo più carico. — Onorevole ed onesto proposito, — mormorò il giovane. — Sarò lieto di prestarmi per una così buona causa. — Sollevò la mazza che giaceva accanto a lui, abbassò con essa un ramo fino a portata del suo braccio, e lo scosse vigorosamente. Le frutta mature si sparsero sull'erba. Il dottor Jeremy se ne empì le tasche e le mani, e mosse verso il muro divisorio. — Ne avete abbastanza? — gli domandò il giovane con voce lenta e strascicata. — A iosa, a iosa! — rispose egli. — Tanto piacere! — fece l'altro, buttandosi di nuovo giù, indolentemente, senza cessare di fissar Gertrude. — Dovete esser molto stanco, — disse Jeremy tornando indietro di due passi. — Io sono medico, e vi consiglierei un pisolino. — Ah, siete medico? — riprese il pigrone nello stesso tono tra languido ed ironico in cui aveva parlato fino allora. — Seguirò dunque il vostro consiglio. — E adagiatosi nell'erba, resupino, chiuse gli occhi. Il dottore vuotò le tasche sulla panchetta del chiosco e invitò Gertrude a pigliarsi la sua parte del bottino. Egli addentava le belle pere sugose, ridendo così forte di quella sua allegra monellata, che quasi i bocconi gli andavano di traverso. A un tratto gli venne in mente di guardar l'orologio. — Le quattro e mezzo! — esclamò. — Il treno parte tra dieci minuti. Chi mi condurrà alla stazione? — Non so, signore, — rispose la fanciulla pensando che la domanda fosse diretta a lei. — Dov'è Giorgio? — E andato sul prato a prendere il fieno, ma ha lasciato Carlotto, il cavallo bianco, nella corte, con i finimenti e tutto. Ho visto che l'attaccava alla catena dopo avervi portato qui dalla ferrovia. — Ah! Ebbene, allora, conducetemi voi. — Impossibile, signor dottore, io non so guidare. — Bisogna che impariate: v'insegnerò io. Non avete mica paura? — Oh, no! Ma il signor Graham.... — Non v'occupate del signor Graham. Date retta a me. Rispondo io che ritornerete a casa sana e salva. — Gertrude era per sua natura coraggiosa. Non aveva mai guidato un cavallo, ma essendocisi messa senza timori, vinse la prova a maraviglia: e poichè il dottor Jeremy continuò a farsi condurre da lei, ella acquistò presto molta perizia nell'uso delle redini. Non è forse questa una bravura particolarmente desiderabile in una donna: a Gertrude tuttavia fu assai utile. Il medico mantenne la promessa di stabilirla al capezzale della malata. La prima volta che dopo quel loro colloquio visitò Emilia, parlò a questa della fanciulla in termini di grande encomio per la devozione al vecchio True e le qualità di buona infermiera da lei mostrate; poi le domandò per qual ragione fosse stata espulsa dalla sua camera. — È tanto apprensiva, — ella rispose — teme che la febbre le s'attacchi. — Non dovete crederlo. È troppo contrario al suo carattere. — Vi pare? — fece vivamente la cieca. — Ma la signora Ellis.... — V'ha detto una bugia, — l'interruppe egli. — Gertrude invece si strugge di venire ad assistervi. E n'è capace quanto la signora Ellis, anzi meglio, perchè la cosa più necessaria per voi è la quiete, e proprio questa non la potete avere con quel donnone loquace dattorno. Pertanto, io, la signora Ellis la mando a Gerico, fin da oggi, e vi porto qui la mia piccola Gertrude, che non è più rumorosa d'un topolino e ha una buona testa sulle spalle. — Certo, non era possibile che la fanciulla fosse in grado di provvedere a tutti i bisogni d'Emilia meglio della governante, e neppure altrettanto bene, ed Emilia che lo sapeva non permise che questa venisse mandata a Gerico, perchè quantunque il dottor Jeremy non la potesse soffrire, ella disimpegnava ottimamente le proprie mansioni e sarebbe stato difficile privarsi de' suoi servigi; ma anche in caso diverso non avrebbe voluto umiliarla. Quindi, per quanto l'ammissione di Gertrude all'ufficio d'infermiera seguisse con gran gioia sua, della paziente, e del medico, fu risparmiata alla signora Ellis la vergogna di sapere che la slealtà della sua condotta nell'averla tenuta lontana da Emilia dando una falsa ragione di quell'assenza, era stata scoperta. Gertrude assisteva la malata con la vigile e tenera cura che solo un profondo affetto può insegnare. Quando, la notte, la cieca si destava da un sonno agitato, una bevanda refrigerante s'offriva alle sue labbra, e udendo la signora Ellis russare sonoramente, ella sapeva che non le era porta da lei; durante il giorno non una mosca la molestava ronzando intorno al suo capezzale; il suo tormentoso mal di capo era lenito dalle applicazioni d'acqua fredda sulla fronte ardente, ripetute con pazienza per ore; e i passi dei piccoli piedi instancabili che andavano e venivano erano leggeri e piani.... Notando tutte queste cose, ella comprendeva quale prezioso rimedio le avesse portato il buon dottore. In capo a due settimane era migliorata a segno da passare la giornata intera fuori del letto, sebbene non potesse ancora lasciar la camera. Quando fu in condizione d'uscire, il medico prescrisse aria e moto. — Fate una trottatina in carrozza, due o tre volte il giorno, — egli ordinò. — Ma come sarebbe possibile? — rispose Emilia. — Giorgio è tanto occupato, e chi lo sostituirebbe? — Vi condurrà Gertrude, — insistette il dottor Jeremy. — È bravissima, sapete. — Emilia sorrise. — Gertrude, — ella disse — vedo che il dottore fa gran capitale di te. Crede che tu possa fare qualunque cosa. Ma guidato, tu non hai certo in vita tua, di'? — O se mi conduce lei tutti i giorni alla stazione, da sei settimane in qua! — replicò egli. — Dite davvero? — esclamò la signorina Graham alla quale riesciva strana l'idea che un cavallo fosse governato da mano femminile. E poichè il dottore le assicurava ch'era proprio così, e che non aveva da temere alcun pericolo, Carlotto fu attaccato al legno, ed ella fece la sua trottatina accompagnata dalla signora Ellis e condotta da Gertrude. L'esperimento ebbe esito felicissimo. Queste giterelle, spesso ripetute, giovarono molto alla convalescente, e furono piacevolissime per tutte e tre. Sul principio d'autunno la salute d'Emilia era rifiorita. Il vecchio Carlotto veniva requisito ogni giorno: ed essendo di solito la governante trattenuta dai suoi doveri di massaia, Emilia e Gertrude andavano sole in un gran _buggy_ di forma antiquata. Così la perizia acquistata dalla fanciulla nel guidare divenne per la cieca, come questa diceva, la sorgente del maggior piacere ch'ella avesse gustato da anni. Gertrude rivide due o tre volte il pigro giovanottino in cui il dottor Jeremy era andato ad inciampare saltando nell'orto della signora Bruce per rubarvi pere. Una mattina egli venne a sedersi sul muretto mentre ella era al lavoro tra le sue aiuole, e dopo avere espresso la propria maraviglia per la sua diligenza, e parlato un po' con lei di fiori, le rivolse alcune domande intorno al dottor Jeremy, e finì col chiederle come ella si chiamasse. Gertrude arrossì. Era molto sensibile su questo punto. Benchè tutti le dessero il cognome di Flint, ed ella solesse portarlo senza pensarci, pure, quando veniva interrogata direttamente, non poteva non rammentarsi che nè quello nè alcun altro le apparteneva. Emilia aveva fatto cercare Annetta Grant per cavarne qualche cosa sulle origini della bambina; ma costei non abitava più da anni nella sua casa d'allora, e nessuno del vicinato sapeva dove si trovasse nè che fosse avvenuto di lei. Gertrude, dunque, arrossì alla domanda del giovanetto; nondimeno rispose con dignità che se egli voleva conoscere il suo nome, doveva prima dire il proprio. — Non ve lo dirò punto! — replicò questi sfrontatamente. — E se non volete dirmi il vostro non me ne importa. — Ciò dichiarato, se ne andò spingendosi davanti a calci una mela che giaceva sull'erba. Ed ella rimase dell'opinione che non poteva esserci un ragazzaccio più maleducato. XX. Per sua nobil natura una perfetta Donna che consigliar sa e comandare, Eppur nel mite spirito sereno Dell'angelica luce un raggio splende. WORDSWORTH. Era il crepuscolo di un'afosa giornata di settembre. Emilia, illanguidita da molte ore d'un caldo insolitamente eccessivo per la stagione, sedeva sotto il portico davanti alla casa, godendo il refrigerio d'una deliziosa brezzolina levatasi al cader del sole. A ponente gli ultimi splendori d'un maraviglioso tramonto s'indugiavano nel cielo listato di porpora, mentre la luna, quasi piena, già saliva trionfante nel vespro, cominciando il suo regno notturno. Sempre più vivi, i suoi raggi illuminavano la bianca veste d'Emilia, e davano l'apparenza d'un marmo polito alle mani e alle braccia bellissime, uscenti nude dai drappeggi delle ampie maniche, e posate sui bracciuoli d'una poltrona rustica. Dieci anni erano trascorsi da quando ella s'era incontrata la prima volta con Gertrude nella chiesa del signor Arnold, eppure sembrava appena meno giovane d'allora tanto lievemente il tempo aveva sfiorato il suo volto e la sua persona. Ma anche allora ella conosceva le dure prove della vita, e aveva già imparato a distillare dall'amara feccia del dolore il balsamo che lenisce ogni male. Anche allora quest'esperienza e la sapienza derivatane, erano del pari impresse nella sua fisonomia: l'una in un'espressione grave e sommessa, propria di un'età più matura, l'altra nel dolce e calmo sorriso di fiducia e di speranza che rivela i fedeli di Dio. Perciò il tempo non poteva molto su di lei, ed ella era sempre la stessa: amabile nel suo aspetto esteriore, più amabile ancora nel cuore e nei costumi. Un osservatore attento avrebbe tuttavia potuto scorgere in Emilia una maggior briosità di spirito, una più viva partecipazione alle cose che avvenivano intorno a lei, infine un godimento della vita ch'ella non aveva mai manifestato per l'innanzi. E questi mutamenti erano dovuti, com'ella sentiva e riconosceva, all'intima sua convivenza con una compagna a cui la legava un profondo affetto, e che con la sua calda simpatia, la sua devozione costante, l'acuto suo senso tanto del comico e dell'ameno, quanto del bello e del vero, l'ardore inesauribile dei suoi sforzi per far gustare all'amica diletta i piaceri che gustava ella stessa, aveva ridestato in lei facoltà quasi sopite nelle tenebre ond'era avvolta. Così Gertrude era divenuta veramente, come lo zio True le aveva raccomandato d'essere, «gli occhi della sua benefattrice». Quella sera però Emilia pareva mesta mentre sedeva sola sotto il portico, esclusa dall'incantevole spettacolo del tramonto, inconscia dei giuochi d'ombra e di luce che faceva sulla sua bianca figura la luna saliente nel cielo. Ella reclinava un poco la testa da un lato, nell'atteggiamento di chi tende l'orecchio a un suono lontano, e ogni volta che il cancello cigolava, investito dalla brezza, dava un sobbalzo, e un'ansietà quasi dolorosa appariva nel suo viso. Alfine qualcuno spunta di dietro l'alto riparo di legno che sottrae il giardino agli sguardi dei passanti. Solo il raffinato udito della cieca poteva aver distinto quel passo leggero. Ed ella si leva dalla poltrona, e muove incontro alla giovanetta ch'è entrata: una giovanetta in cui sarebbe difficile ravvisare la piccola Gertrude di dieci anni addietro perchè su _lei_ il tempo non è sorvolato senza mutarla. La Gertrude presente è oramai una signorina, più alta d'Emilia. Ha una bella persona, snella, fine, e carnagione brunetta, ma nitidissima e soffusa alle gote di un color di rosa che le conferisce grande splendore: questo però potrebb'essere l'effetto della rapida camminata dalla stazione alla villa. S'è tolta il cappello, e lo porta in mano dondolandolo per i nastri: abitudine che aveva già da bambina, sicchè non bisogna vederci l'intenzione vanitosa o civettuola di mettere in mostra la rara opulenza della capigliatura. I suoi occhioni neri sono sempre fulgidi, ma non più di grandezza sproporzionata con la faccia, e se la bocca non è rigorosamente conforme ai cànoni classici, se lo fa perdonare grazie a due file di denti piccoli, regolari, d'un puro candore di perla. Ella veste un lindo abitino di mussolina operata, molto accollato, e una semplice mantellina nera che non nasconde la rotondità della sua vita sottile. Ebbene? È Gertrude una bellezza? No. I suoi lineamenti, le sue forme, possono provocare giudizi assai diversi, ma pochi la proclamerebbero veramente bella. V'hanno però certi visi piacevoli a osservarsi per la loro variabile espressione, visi eloquenti, che dicono la verità e palesano l'intimo sentimento; visi ora illuminati dall'intelligenza, ora sfavillanti d'allegrezza, ora velati di mestizia dinanzi a un caso pietoso, ora accesi di nobile indignazione contro ciò che l'anima aborre, ora santificati dalla presenza divina, quando il cuore si distoglie dal mondo e da sè medesimo, e s'inalza devotamente a Dio. Tale è il viso di Gertrude. Vi sono personali di donna che senza suggerire paragoni con una regina o con una fata, posseggono una grazia, una flessuosità, una dignità che incantano, ed hanno il potere di muoversi nella loro sfera con sì aerea leggerezza, che mai non riescono d'ingombro. Tale è il personale di Gertrude. Quali si siano le attrattive della fanciulla, (nè manca chi le pregia altamente) ella non sa d'averle, e questa sua inconsapevolezza ne raddoppia il prestigio. È ancor sempre nella persuasione d'essere brutta, radicata in lei da' suoi teneri anni, ma non se ne sente più mortificata e indispettita come una volta. Tosto che vide Emilia venirle incontro, Gertrude affrettò il passo, e raggiuntala presso la soglia, le passò con gesto affettuoso un braccio dietro le spalle, come soleva per guidarla, adesso ch'ella era più alta di lei, e la fece svoltare a destra in un vialetto conducente nel giardino. — Eccomi di ritorno! — disse ravvolgendo più strettamente nello sciallino la sua amica cieca. — Siete stata sempre sola, Emilia, da quando v'ho lasciata? — Sì, cara, quasi sempre, e ho pensato con affanno che tu giravi per Boston in una giornata di caldo così eccessivo. — Non ne ho sofferto punto, e godo ora tanto più questa fresca brezzolina, che fa un così gradevole contrasto con l'afa e la polvere della città. — Ma, Gertrude, — fece la signorina Graham fermandosi — perchè non sei entrata in casa? Devi prendere il tè, figliuola. — Non ne ho voglia, stasera. — Camminarono un poco, lentamente, in silenzio; poi la cieca riprese: — Gertrude, non hai dunque nulla da dirmi? — Oh, sì, tante cose!... Ma.... — Ma tu sai che saranno tristi per me, e però esiti a parlare. Non è vero? — Mi parrebbe vanità da parte mia credere che possano affliggervi molto, cara Emilia; ma iersera, quando vi comunicai quello che m'aveva detto il signor W. e quanto io avevo in animo di fare, mi sembraste così turbata al pensiero della nostra separazione, che non mi sono più sentita sicura di far bene. — E io mi sono rimproverata d'averti lasciato scorgere il mio rammarico, a rischio di distoglierti dal tuo dovere, o di rendertelo più penoso. Sì, comprendo che tu hai ragione, Gertrude; e che invece d'oppormi a' tuoi disegni, dovrei favorirli con tutte le mie forze. — Ah, cara Emilia! — esclamò vivamente la fanciulla. — Se vi fa pensare così ciò che vi raccontai ieri, sarete persuasa sapendo ciò che ho veduto e udito oggi.... — Come? Le cose vanno forse ancora peggio, dalla signora Sullivan? — Assai peggio di quel che vi descrissi. Non conoscevo allora le terribili difficoltà contro cui ha da lottare la poveretta.... ma ho passato in casa sua tutta la giornata, perchè il signor W. m'ha trattenuta appena cinque minuti, e mi son potuta accertare che non è prudenza lasciar una donna timida e debole come quella, sola col signor Cooper, adesso che il vecchio si trova in uno stato di mente così spaventoso.... — Ma, sarai poi davvero in grado d'aiutarla, tu? — Sì, Emilia; so dominarlo meglio di lei, e posso nello stesso tempo far di più per il suo benessere e la sua contentezza. È come un bambino oramai, pieno di capricci. E quando non sia materialmente impossibile, la signora Sullivan lo compiace, a costo di qualsiasi inconveniente, e fin di qualsiasi pericolo; prima di tutto perchè è suo padre e si tiene in obbligo di non contrariarlo, ma adesso, credo, anche per paura.... È tanto irritabile e violento! Mi diceva che spesso gli saltano ghiribizzi oltremodo strani, come d'uscire di notte, con suo gran rischio, o di dormire a finestre spalancate benchè la sua camera dia sulla strada al pianterreno. — Povera donna! — sospirò Emilia. — E che fa in simili casi? — Ve lo posso dire perchè ne ho veduto un esempio quest'oggi. Quando sono arrivata lì, il vecchio era in procinto d'accendere un gran fuoco nella stufa nonostante il caldo che in città era intensissimo. — E la signora Sullivan? — Sedeva sullo scalino dell'uscio di casa, piangendo. — Disgraziata! — Non poteva far nulla con lui, e aveva ceduto per disperazione. — Dovrebbe avere una donna robusta o un uomo che lo vigilasse e gli prestasse le cure necessarie. — È precisamente questa l'idea che la sgomenta più di ogni cosa. Dice che morrebbe d'angoscia se vedesse suo padre trattato senza riguardi come lo tratterebbe di certo una persona estranea; e inoltre capisco che rifugge dal mettersi questa persona in casa. Ella è estremamente scrupolosa in materia d'ordine e di pulizia, ed ha sempre fatto tutte le sue faccende da sè: l'ho udita dichiarare più volte che vorrebbe piuttosto tener in famiglia una bestia feroce che una serva irlandese. — La sua nuova abitazione non le ha procurato finora molto piacere, non è vero? — Oh, no! Mi faceva appunto notare, oggi, la sua singolare sfortuna: dopo aver tanto desiderato un quartierino con tutti i suoi comodi, in un bello stabile nuovo, ecco che non appena lo ha ottenuto e ammobiliato a modo suo, le piomba addosso una tale disgrazia. — Ma è strano che non l'abbia veduta venire già prima. Io durante le ultime visite che le feci con te nell'altra casa, m'ero accorta della decadenza intellettuale di quel vecchio. — L'avevo osservata anch'io, da un pezzo, ma a lei non ne dissi mai nulla, e credo ch'ella non ne abbia avuto il minimo sospetto fino al momento dello sgombero, quando il distacco da tutto ciò che gli era consueto ebbe sul povero signor Cooper gli effetti più funesti. — Non pensi, Gertrude, che la demolizione della chiesa e la conseguente perdita del suo posto di sagrestano abbiano dato un gran crollo alla sua mente inferma? — Sì, ne sono anzi sicura. Dopo d'allora non fu più lui, e anche nella casa vecchia si mostrava inquieto e malcontento: ma la disdetta data alla signora Sullivan dai proprietari che avevano risolto di fabbricare su quel fondo magazzini, cagionò il totale sconvolgimento della poca ragione che gli rimaneva. — Triste cosa! Quanti anni ha? — Non so esattamente, ma certo moltissimi. Rammento che tempo fa la signora Sullivan mi disse ch'era sugli ottanta. — È vecchio assai; non è da maravigliarsi se cambiamenti grandi e repentini nella sua vita lo hanno fatto rimbambire. — Oh, no! E per triste che sia, è infine la sorte che può toccare a chiunque viva fino a un'età così tarda. D'altronde, non soffre, nè il suo umore, a quanto io mi ricordo, è mai stato più lieto; sicchè m'affliggo meno per lui che per sua figlia. Io sono in gran pena, Emilia, sul conto di _lei_. — Non ha la forza di sopportare questa sventura? — Credo che l'avrebbe se fosse in buona salute. Ma non istà bene, e temo che la cosa sia più seria di quanto ella voglia ammettere, perchè è tanto pallida, e ha ultimamente avuto parecchie manifestazioni di sintomi che danno da pensare. — Ha consultato un medico? — No, non vuol saperne, e s'ostina a ripetere che si rimetterà presto; io però ne dubito, specie se seguita a non aversi nessuna cura. Questa è la ragione principale che mi fa desiderare d'essere in città il più presto possibile. Sono ansiosa di farla vedere al dottor Jeremy, e spero di riuscirvi senza ch'ella sappia ch'egli viene per lei. Avrò una forte infreddatura io stessa, se non ci sarà altro modo. — Tu parli d'essere in città come d'una cosa sicura; m'immagino dunque che tutto è già stabilito. — Ah, non v'ho raccontato la mia visita al signor W.? È vero, scusate.... Ottimo uomo, quanta riconoscenza gli debbo! Mi ha promesso il posto. — N'ero certa, dopo ciò che v'aveva detto dalla signora Bruce. — Certa! E io che quasi mi peritavo di parlargliene!... Mi pareva impossibile che avesse tanta fiducia in me.... Invece è stato così buono, benevolo! Non oso riferirvi le parole che m'ha detto circa la mia capacità d'insegnare.... temerei di sembrarvi troppo vana. — Non hai bisogno di riferirmele, cara; so da lui stesso come egli apprezzi le tue felici attitudini. Non potresti dirmi nulla di più lusinghiero per te, delle cose che ho udite dalle sue labbra. — Il mio amato zio True voleva ch'io diventassi maestra: era l'apice della sua ambizione. Sarebbe contento ora, non è vero, cara Emilia? — Senza dubbio si glorierebbe di vederti assistente in una scuola come quella del signor W. Forse però penserebbe come penso io che ti assumi impegni superiori alle tue forze. Tu sarai occupata le intere mattinate a far lezione, e tuttavia ti proponi d'esser l'infermiera della signora Sullivan, e la custode del suo vecchio padre demente. Bambina mia, tu non sei assuefatta a coteste eccessive fatiche, e io mi tormenterò incessantemente con la tema che la tua salute non vi resista. — Oh, cara Emilia, non dovete affatto mettervi in pena per me! Io sono sana e robusta, e mi sento capacissima di tutto ciò che ho divisato. Il mio solo timore è che voi possiate soffrire alquanto a cagione della mia lontananza, e il pensare che io, lasciandovi.... — So che intendi dire, Gertrude: ma non averlo cotesto timore. Io sono sicura del tuo affetto. Ho fede che non mi posponi se non al tuo dovere, e non vorrei per nulla al mondo che tu mi dessi la preferenza. Caccia dunque dalla tua mente quel pensiero, e non credere ch'io sia tanto egoista da desiderare di trattenerti. Solamente sarei più tranquilla se tu rinunziassi per ora alla scuola. Potresti andare dalla signora Sullivan e stare con lei finchè ha bisogno del tuo aiuto; forse al tempo della nostra partenza per il Mezzogiorno ti troveresti libera d'accompagnarci in quel viaggio, che certo sarà allora per te un ristoro necessario. — Ma, cara Emilia, come conciliare le cose? Io non posso piantarmi in casa della signora Sullivan a titolo di ospite, sia pure con l'intenzione di renderle servigio, e nemmeno offrirmi a lei in qualità d'infermiera, posto che non vuol riconoscere d'esser malata. Ho ponderato la questione, e veduto che anche usando tutta la finezza e tutta la delicatezza immaginabili, non c'era verso di risolverla. Inoltre, dopo tanto tempo che sto con voi, essa deve credere ch'io non sia più adatta alla semplice vita d'una volta. Ma quando il signor W. mi disse che gli occorreva un'assistente, facendomi comprendere che non gli sarebbe dispiaciuto di dare a me quel posto, mi balenò un modo d'effettuare il mio disegno. Ero certa che se la signora Sullivan avesse saputo che io entravo come insegnante in quella scuola e dovevo cercarmi una dozzina per l'inverno perchè voi l'avreste passato nel Mezzogiorno, invece di ritornare in città, non solo non si sarebbe ricusata d'accogliermi in casa sua, ma non avrebbe permesso che andassi altrove. — E così è stato? — Precisamente. Ed io mi sono ancor più persuasa del bisogno ch'ella sente d'un appoggio, tanto l'ha consolata il pensiero d'avermi seco. — Tu sarai un tesoro per lei, Gertrude: lo so bene! — Oh, no! Purtroppo non spero d'essere di grande utilità. Ma per poco ch'io possa, sarà sempre più di quanto potrebbe in questo caso qualsiasi altra. La signora Sullivan, essendo vissuta sempre ritiratissima, non ha nessuna amica intima, e davvero non vedo, me eccettuata, chi ammetterebbe volentieri sotto il suo tetto. Con me c'è avvezza, e mi vuol bene. Io non le do impaccio, anzi mi concede perfino d'aiutarla nelle sue faccende, benchè spesso dica ch'io sono diventata una signorina, non usa alle fatiche materiali. Sa poi che ho un certo influsso sul signor Cooper: vi parrà forse strano, e io stessa non so spiegarmelo, ma _l'ho_, positivamente. Io credo che sia in parte perchè egli non mi fa punto paura e m'oppongo con fermezza a' suoi insensati capricci, in parte perchè gli sono meno familiare di sua figlia. Ma c'è anche un'altra cosa che mi conferisce un gran potere su quel povero vecchio. Egli, com'è naturale, m'associa nella sua memoria con Guglielmo: ci ha veduti per tanti anni sempre insieme, abbiamo lasciato la casa quasi ad un tempo, e non ignora che la corrispondenza con lui è tenuta principalmente da me. Sembra che da quando la sua mente si è indebolita, egli non pensi che al suo nipote, sicchè in qualunque momento, e per quanto eccitato e caparbio si mostri, io riesco a calmarlo proferendogli le ultime notizie dell'assente; e non importa se gli ripeto cento volte il contenuto d'una medesima lettera: per lui è sempre nuovo. Non avete idea, cara Emilia, di come io giunga a dominarlo, grazie a questo piccolo fatto. Ho notato oggi che la mia facoltà di dirigere i suoi pensieri sollevava la signora Sullivan d'un gran peso; ed ella pareva tanto felice, quando mi sono accomiatata stasera, parlava con sì lieta speranza del conforto che sarebbe per lei l'avermi presso di sè quest'inverno, ch'io mi sono sentita compensata del mio sacrificio. Ma poi, non appena vi ho veduta, al mio ritorno, e ho pensato che voi andate via, lontano, e che passerà chi sa quanto tempo prima ch'io sia di nuovo la vostra compagna, ho provato.... — Gertrude non potè proseguire. Chinò la testa sulla spalla d'Emilia, e pianse. La signorina Graham la consolò con immensa tenerezza. — Siamo state felici insieme, — ella disse — e tu mi mancherai, dolorosamente. La metà almeno di ciò che ho goduto della vita in questi ultimi anni la devo a te; ma non t'ho mai tanto amata come in questo momento che ti accingi a lasciarmi, perchè nel tuo sacrificio di te stessa vedo la più nobile, la più preziosa virtù di cui possa fregiarsi una donna. So che i Sullivan ti sono molto cari, e ben a ragione, e comprendo il tuo desiderio di riconoscere le tue antiche obbligazioni con loro; tuttavia il preferirli a noi, ora, rinunziando senza un lamento al bel viaggio dal quale ti ripromettevi tanto piacere, mi prova che la mia Gertrude è la buona e brava fanciulla ch'io speravo di vederla divenire e pregavo Dio di farla. Tu sei nella via del dovere, figliuola mia, e sarai ricompensata dall'approvazione della tua coscienza se non altrimenti. — Mentre Emilia terminava di dire queste parole, svoltavano in un viale del giardino dove incontrarono una servetta che le cercava per avvertirle che la signora Bruce e suo figlio erano nel salotto e chiedevano di tutt'e due. — Le hai comprato i suoi bottoni, in città? — domandò la signorina Graham a Gertrude. — Sì, — rispose questa — e li ho trovati adattatissimi al vestito; probabilmente le preme di sapere se ho eseguito bene la commissione; ma come mi presento, così? — Io mi fo accompagnare da Caterina; tu entra in casa dalla porta laterale e vai alla tua camera senza che ti vedano. Ti scuserò intanto con la signora Bruce; poi, quando ti sarai rinfrescata gli occhi e ti sentirai più calma, scendi in salotto. — XXI. Ma non forse sarà miglior consiglio Ritirarci? S'appressa una tempesta. MILTON. Quando, mezz'ora dopo, Gertrude entrò nel salotto, il suo viso non mostrava più traccia della commozione d'animo che l'aveva tanto turbata. La signora Bruce le mandò dal canapè un amichevole cenno di saluto: il signor Bruce si rizzò e le offerse la sua seggiola, mentre il signor Graham le indicava un posto accanto a lui, nel vano della finestra, dicendo con tono benevolo: — Vieni qui, Gertrude. — Ella non accettò nè l'una nè l'altra profferta. Andò a sedersi invece sull'ottomana, ch'era presso a una porta vetrata aperta a due battenti, di dove una scalinata metteva nel giardino. Subito il giovanotto la raggiunse, e adagiatosi in un atteggiamento d'indolenza sui primi scalini, prese a discorrere con lei. Il figlio della signora Bruce non era altri che il signorino dallo zucchetto di velluto, che anni addietro soleva schiacciare dormitine nell'erba, sotto il pero. Egli aveva fatto di recente un viaggio in Europa, e superbo della rinomanza che gli davano i suoi baffi, il suo sarto francese, e il possesso d'un bel patrimonio, si compiaceva più che mai in sè medesimo. — Avete dunque passato tutta la giornata a Boston, signorina Flint? — Sì, quasi tutta. — Ci avrete trovato un caldo terribile, eh? — Piuttosto! — Dovevo andare in città anch'io per certi affari che premevano moltissimo alla mamma. Facendo uno sforzo sono arrivato fino alla stazione; ma non ho potuto proseguire. — Il caldo v'aveva disfatto? — Sì. — Poverino! — esclamò Gertrude con un accento tra compassionevole e ironico. Egli alzò gli occhi verso di lei, cercando d'indovinare dall'espressione del suo viso s'ella lo dicesse sul serio o volesse canzonarlo, ma essendo il salotto scarsamente illuminato, a fine di godervi un po' di fresco, non potè pronunziare un giudizio nella propria mente, e però riprese, per chiarirsi: — Io aborro il caldo eccessivo, signorina Gertrude. O perchè mi ci sarei esposto senza necessità? — Perdonate, m'era parso che parlaste d'affari importanti.... — Affari della mamma. Nulla che importasse a me. E per lei quella temperatura era una scusa. Se avessi saputo che voi eravate nel treno, come ho scoperto poi, avrei perseverato nel mio proposito, attratto dal piacere di percorrere la via Washington al vostro fianco. — Io non ho preso per via Washington. — Ma l'avreste fatto con una scorta conveniente. — Se avessi dovuto far un giro vizioso per accompagnare la mia scorta, il vantaggio d'essere scortata sarebbe stato assai dubbio, convenitene! — ella disse ridendo. — Che spirito pratico avete, signorina! Intendete dire che quando andate in città è sempre con un programma d'operazioni prestabilito, e che niente al mondo può stornarvi da quanto vi siete proposta? — No, no. Credo anzi che sia facile persuadermi o dissuadermi, adducendo ragioni sufficienti. — Il giovane si morse le labbra. — Dunque, voi non fate cosa alcuna senza la sua brava ragione. Allora, ditemi, di grazia, qual'è quella per cui portate quel cappellone a larghe tese lavorando in giardino? — È un'antica consuetudine mantenutasi per la sua comodità ad onta delle invenzioni moderne che certo offrirebbero un migliore riparo dal sole. Devo riconoscermi colpevole di un po' d'ostinazione nel mio debole per quel vecchio cappello. — Perchè non confessare piuttosto la verità, ossia che lo portate per avere quell'aria seducente e pittoresca a segno che la vostra immagine turba i sonni dei vicini? Per esempio i miei sogni del mattino sono, come voi non l'ignorate, ossessionati da quel cappello non scompagnato dalla faccia della sua proprietaria; tant'è vero ch'io mi sento attirato, quasi da una forza magnetica, verso il vostro giardino, tutti i giorni, di buon'ora.... Ah, signorina Gertrude, voi avrete da regolare un gran conto con Morfeo, che defraudate così de' suoi diritti; e la coscienza vi rimorderà per i danni cagionati alla mia salute dall'espormi alla rugiada mattutina.... — È una dura ingiustizia il condannarmi per misfatti assolutamente involontari; ma poichè le vostre visite in giardino sono per me una minaccia di rimorsi futuri, mi vedo in obbligo di proibirle. — Oh, non sarete così barbara! Specie dopo che mi son dato tanta pena per impartirvi tutte le mie poche nozioni d'orticoltura.... — Devono esser poche davvero, oppure ho io poca memoria, — fece Gertrude ridendo. — Ingrata! Avete dimenticato quanto m'affannai anche ieri a farvi conoscere le differenti varietà di rose? Non ricordate più quello che ve ne dissi, diffusamente, cominciando dalle rose di Damasco? E come, nel finire, non trovavo parole adeguate in lode delle rose umane, soprattutto di quella tanto soave, tanto leggiadra che mi stava dinanzi mentre parlavo? — Ricordo che diceste un visibilio di sciocchezze; ma v'ingannate se credete ch'io le ascoltassi. — Oh, signorina Gertrude! È fiato sprecato dir cose gentili a voi; tenete sempre i miei complimenti in conto di buffonate. — V'ho dichiarato parecchie volte ch'era inutile prodigarmi tante parole lusinghiere. Sono sprecate, sicuro, e ho piacere che finalmente lo abbiate capito. — Bene, sarò serio. O dove eravate stamani? — A che ora? — Alle sette e mezzo. — In treno, sulla via di Boston. — Possibile? Così presto? Io credevo che foste partita alle dieci. Sicchè, mentre io spiavo dal muro del giardino l'occasione di darvi il buon giorno, voi eravate lontana cinque o sei miglia. Rimpiango quell'ora di buon sonno, perduta! — Davvero, è gran peccato! — E altra mezz'ora, stasera. Perchè vi siete fatta aspettar tanto? — Io? Quando? — Quando sono venuto qui. — Oh, non pensavo affatto che la vostra visita fosse per me. — Non è che per voi sola. — Ben, — disse al giovane il signor Graham avvicinandosi e intromettendosi un po' bruscamente nella loro conversazione — siete amante del giardinaggio? V'ho sentito parlare di rose.... — Già.... La signorina Flint ed io abbiamo avuto una vera discussione sui fiori, sulle rose in particolare.... — Gertrude tentò di trar partito da quell'intervento per svignarsela e andare presso le signore che sedevano sul canapè; ma Ben Bruce, il quale s'era rizzato vedendo l'altro venire a lui, s'accòrse della sua intenzione e le sbarrò il cammino in modo che ella non poteva passar oltre senza respingerlo con aperta sgarbatezza. Il signor Graham ripigliò: — Ho in idea di mettere una piccola fontana nel giardinetto della signorina Flint. Volete venire con me? Mi darete un consiglio.... — Ma signore, non è troppo buio?... — Che, che! Per quello che abbiamo da fare ci si vede abbastanza. Di qua, prego.... — E benchè ad onta delle sue maniere parigine torcesse il muso e scotesse la testa con aria minacciosa, il giovanotto fu costretto a seguire il padrone di casa. La ragazza potè allora riferire alla signora Bruce i risultati delle commissioni ch'ella le aveva affidate, e darle i bottoni che le piacquero moltissimo. Quando i due signori rientrarono, la conversazione divenne generale. — Signor Graham, — cominciò la signora Bruce — domandavo ad Emilia che giro farete nel Mezzogiorno: a quanto vedo dall'itinerario, vi siete proposto un viaggio delizioso. — Così credo. Lo avevamo divisato da un pezzo. Per Emilia sarà ottima cosa: e mi figuro il piacere di Gertrude che non ha mai viaggiato finora! — Ah, andate anche voi, signorina Flint? — Sicuro, sicuro, — disse il signor Graham prima che l'interrogata rispondesse da sè — Gertrude ci è necessaria: non possiamo far senza di lei. — Quanto vi divertirete! — riprese la signora fissando sempre la giovanetta. — Io speravo d'accompagnare il signor Graham e la signorina Emilia, — rispose Gertrude — e pensavo a questo viaggio con ardente desiderio; ma dovrò invece rimanere l'inverno a Boston, come oggi appunto ho risoluto. — Che diamine dici? — domandò il signor Graham. — Spiegati! Cotesta è nuova per me! — E per me pure, signore; altrimenti vi avrei informato prima. M'immaginavo ch'era vostra intenzione ch'io venissi con voi, e nulla, credetelo, mi sarebbe stato più gradito. Purtroppo sono sorte circostanze che me lo impediscono; se non ve l'avevo ancora detto, gli è perchè io stessa le ignoravo. — Ma noi non possiamo mica privarci della tua compagnia, Gertrude: non voglio sentirli cotesti discorsi. Tu devi venire, a dispetto d'ogni circostanza. — Temo assai che non potrò, assolutamente, — replicò ella, sorridendo con grazia, ma senza perdere la sua fermezza. — È gran bontà da parte vostra il desiderarlo. — Desiderarlo?... Ti dico che insisto su questo punto. Tu sei sotto la mia tutela, bambina, e io ho diritto di stabilire ciò che devi fare. — Il signor Graham cominciava ad irritarsi. Gertrude ed Emilia erano turbate ma tacevano. — Dimmi le tue ragioni, almeno, se ne hai, — egli ripigliò con veemenza. — E intendo di sapere chi t'ha messo in capo cotesta idea stravagante. — Vi spiegherò tutto domani, signore. — Domani? No, cara, subito. — La signora Bruce, vedendo addensarsi una burrasca domestica, si rizzò per battere prudentemente in ritirata. Il signor Graham contenne l'ira finchè ella e suo figlio non si furono accomiatati, ma chiuso appena l'uscio dietro a loro, proruppe: — Ora mi dirai che significa cotesta novità! Io prendo tutte le mie disposizioni, regolo i miei affari in modo da rimaner libero di passare l'inverno in viaggio, e ciò non tanto per mia propria sodisfazione quanto per procurare un piacere a voi due; ed ecco che quando è fissato ogni cosa, e siamo quasi in procinto di partire, Gertrude annunzia che ha risoluto di non accompagnarci. Sono davvero curioso di conoscere le sue ragioni. — Emilia s'assunse d'esporre i motivi della condotta di Gertrude e concluse approvandola pienamente. Suo padre, che l'aveva ascoltata con impazienza e interrotta con molti _poh!_ ed _uh!_, finito ch'ella ebbe scattò di nuovo, più indignato che mai: — Dunque, essa preferisce i Sullivan a noi, e tu incoraggi questi suoi sentimenti! Vorrei un po' sapere che cosa hanno fatto loro per lei, a paragone di quello che ho fatto io! — Le hanno dato le maggiori prove d'affetto, per anni, e adesso che sono colpiti da una grave disgrazia non ha cuore d'abbandonarli. Io per me confesso che stimo giusta la sua risoluzione. — E io invece no. Giusta? Vuole farsi schiava nella scuola del W. e peggio che schiava nella famiglia Sullivan, piuttosto che stare con noi che l'abbiamo tenuta sempre come una signorina, e, meglio ancora, come una figliuola! — Oh, signor Graham! — l'interruppe Gertrude vivamente. — Non si tratta di preferenza o di scelta, ma di dovere! — E che te lo crea cotesto dovere? Forse l'essere stata qualche anno loro casigliana? O l'averti mandato quel ragazzo ch'è laggiù a Calcutta una sciarpa di pelo di cammello, una gabbia di miseri uccellini, e un monte di lettere, ti pone in obbligo di tradire i tuoi propri interessi per prenderti cura dei suoi parenti malati o pazzi? Non posso davvero ammettere che i loro diritti su te siano da compararsi ai miei. Non t'ho io dato un'ottima educazione? Ho forse risparmiato spese, sia per farti istruire sia per renderti felice? — Signore, — rispose Gertrude umilmente eppure con serena dignità — io non ho mai pensato a numerare i benefizi ricevuti e proporzionarvi la mia condotta. Certo in tal caso devo riconoscere che le mie obbligazioni verso di voi sono immense, e che avete i diritti più ampi a' miei servigi. — Servigi! Io non ho bisogno dei tuoi _servigi_, bambina. La signora Ellis può fare altrettanto bene le cose necessarie ad Emilia ed a me; ma mi è cara la tua _compagnia_, e tu ti mostri molto ingrata parlando di lasciarci come fai. — Babbo, — disse Emilia — io ho creduto sempre che il vostro fine nel dare una buona educazione a Gertrude fosse quello di renderla indipendente da tutti e non già dipendente da noi. — Ed io ti dico, figliuola mia, che questa è una questione di sentimento. Tu la consideri diversamente da me; basta; posto che mi date contro tutt'e due, non voglio più discutere. — Così dicendo egli prese un lume, andò nel suo studio, chiudendosi dietro l'uscio con forza o per dir meglio sbattendolo, e non si fece più vedere tutta la sera. Povera Gertrude! Il signor Graham, che era stato sempre così buono, indulgente, generoso, che non le aveva quasi mai parlato con severità, si sentiva profondamente offeso da lei. La chiamava ingrata, credeva ch'ella avesse deluso la sua benevolenza, che posponesse lui e sua figlia ad altri amici secondo il suo parere assai meno meritevoli. Addolorata, ferita nell'intimo del cuore, ella non tardò a dar la buona notte ad Emilia, afflitta del pari, e corse a rifugiarsi nella sua camera ove diede a' suoi sentimenti uno sfogo che la lasciò spossata. E non chiuse occhio. XXII. La virtù è ardita e la bontà non conosce paura. SHAKESPEARE. Lasciata in età di tre anni alla mercè della compassione e della carità d'un mondo ove ella non apparteneva a nessuno, e nessuno l'amava, Gertrude finchè era vissuta con Annetta Grant aveva trovato ben poca di quella compassione e ancor meno di quella carità. Ma sebbene il suo spirito turbolento si ribellasse contro i mali trattamenti usatile, ella era allora troppo piccina per poter ragionare su tale soggetto e venire a conclusioni filosofiche sulla durezza e la crudeltà degli uomini. E fosse anche stato altrimenti, queste impressioni sarebbero svanite in quell'atmosfera di bontà e d'amore che l'aveva circondata nel periodo seguente della sua vita, quando, tenuta cara e protetta nella casa dell'ottimo suo padre adottivo, ella aveva goduto assai più di tenerezza paterna che non soglia toccare in sorte agli orfani. E avendo, grazie a un simile caso provvidenziale, incontrato nella dolce Emilia una seconda prova del fatto che i vincoli del sangue non sono sempre necessari ad unire strettamente due cuori in un vivo reciproco affetto, ella, per questa sua singolar fortuna, non aveva fino allora conosciuto alcuno dei mali derivanti da una condizione dipendente dalla generosità altrui. Il contegno ostile della signora Ellis era stato a volte per lei una fonte d'irritanti molestie; ma la governante dipendendo anch'essa dalla buona opinione di coloro che serviva, doveva frenarsi, e d'altronde la pazienza e la remissività di Gertrude avevano finito col vincere la sua inimicizia. Il signor Graham le si era mostrato sempre benevolo. Da principio, naturalmente, egli aveva badato poco all'orfanella accolta in casa sua per compiacere la figliuola cieca: purchè fosse tranquilla e manierosa, e non disturbasse nessuno, il resto non gl'importava. Vedeva che Emilia le voleva un gran bene, che trovava un conforto nella sua compagnia, e quantunque gli paresse un gusto bizzarro, era lieto di contentarla. Ma in capo a qualche tempo cominciò a notare nella favorita di sua figlia una vivacità di mente, una correttezza di modi che gliela fecero entrare in grazia; e quand'ebbe scoperto le attitudini di Gertrude al giardinaggio e veduto con qual amore e quale perseveranza ella coltivasse i fiori, tutte le sue simpatie le furono cattivate. Non solo le assegnò un pezzo di terra per suo uso, ma maravigliato dei felici risultati da lei conseguiti nella prima stagione, ampliò il giardinetto donatole e lo abbellì con vari ornamenti ponendovi mano egli stesso. Emilia non esprimeva un desiderio rispetto all'educazione della fanciulla, che suo padre non fosse pronto ad esaudire; e Gertrude, grata di tutto cuore a tanta bontà, si studiava di manifestargli il suo profondo sentimento delle obbligazioni ch'ella aveva con lui, trattandolo col maggiore rispetto e usandogli i più affettuosi riguardi. Sfortunatamente per la stabilità delle loro amichevoli relazioni, il signor Graham non possedeva nè lo spirito indulgente e disinteressato dello zio True, nè la pazienza angelica e l'abnegazione d'Emilia. Era un uomo liberale e stimabilissimo, godeva fama d'essere d'animo retto ed alto, e in molte occasioni la sua condotta aveva giustificato quest'opinione del mondo sul conto suo. Ma, ahimè, era _egoista_ e spesso considerava le cose solo in quanto lo concernevano. Egli aveva mantenuto e fatto educare Gertrude; ella gli piaceva, la preferiva ad ogni altra persona come compagna di viaggio per Emilia e per sè; nessuno vantava su lei diritti pari ai suoi; e però non _poteva_ nè _voleva_ ammettere doveri che la sottraessero alla sua autorità. Eppure, mentre faceva la parte del tiranno, egli s'illudeva stimandosi il migliore amico che la fanciulla avesse sulla terra. Incapace di comprendere la generosa sodisfazione d'adoperarsi per l'altrui bene, presente o futuro, senza connettervi alcun vantaggio proprio, aveva sfogato la collera suscitatagli dai suoi meschini sentimenti egoistici, mortificando per la prima volta Gertrude con parole dure e severe. Nel corso delle lunghe ore d'una notte insonne ella ebbe tempo d'esaminare le circostanze in cui si trovava, e meditare sui casi suoi. Lì per lì non aveva sentito che una commozione simile al dolore e allo sgomento d'un bambino aspramente sgridato; ma questa era a poco a poco svanita dinanzi a più amari pensieri che sorgevano nella sua mente. — Quale diritto ha il signor Graham di trattarmi in tal guisa, — diceva a sè stessa — di significarmi ch'io _devo_ accompagnarli nel loro viaggio di piacere, e di parlare degli altri miei amici come se, non contando nulla per lui, _non dovessero_ contar nulla per me? Esige egli dunque che la mia libertà sia il prezzo dell'educazione datami, e ho io perduto la facoltà di dire sì e no? Emilia non pensa così; Emilia che m'ama e ha bisogno della mia compagnia mille volte più di lui, giudica che la mia risoluzione è giusta, e dianzi m'esortava a porre in atto i miei disegni, m'assicurava che questo è il mio dovere. E la solenne promessa fatta a Guglielmo? Mi può essere forse imposto di mancarvi? No, sarebbe tirannia il pretendere ch'io rimanga con loro, e sono lieta d'aver deliberato di sciogliermi da questo servaggio. E poi ho studiato per diventare maestra; e il signor W. dice che bisogna dedicarsi all'insegnamento subito, finchè s'è ancor freschi di studi. Se cedessi ora e continuassi a vivere qui in mezzo al lusso, probabilmente finirei col non trovar più la via di riacquistare la mia indipendenza. È una crudeltà da parte del signor Graham il voler privarmi del mio libero arbitrio! — Così parlava l'orgoglio: e il cuore di Gertrude, che v'inclinava per natura ed era tenuto in freno soltanto dalla forza d'una rigida e coscienziosa volontà, ascoltò per qualche momento le sue suggestioni. Ma si dominò tosto. Ella s'era accostumata a considerare la condotta altrui con quello spirito di carità cristiana, che desiderava in chi giudicasse la sua; e più miti sentimenti succedettero all'ira che l'aveva eccitata. — Forse, — ella pensò riandando i discorsi di quella sera — il signor Graham è mosso, in fin dei fini, da pura benevolenza; può darsi che pensi come Emilia ch'io mi sobbarco a fatiche troppo gravi. È impossibile ch'egli sappia quanto forti siano le ragioni che m'inducono a questo passo, da quali vincoli di gratitudine io sia legata ai Sullivan, e qual bisogno abbiano di me adesso. E dal canto mio non credevo che facesse proprio assegnamento sulla mia compagnia per il giro nel Mezzogiorno. Emilia, è vero, parlava come se fosse sottinteso ch'io andrei con loro, ma lui non me ne toccò mai per nulla, non mi fece alcun invito; sicchè non potevo presumere di cagionargli un gran rammarico nè un gran disturbo. Certo, se aveva divisato questo viaggio col fine di procurare un piacere a tutt'e due come ha detto, si comprende che debba essere alquanto stizzito. D'altronde, avendomi tenuta così a lungo sotto la sua tutela, gli pare d'avere un diritto a dettarmi la mia condotta. Ed è stato sempre tanto pieno di bontà e d'indulgenza per me, per un'estranea verso cui non ha nessunissimo obbligo! Oh, mi tortura l'idea ch'egli abbia a giudicarmi ingrata! «Rinunzierò dunque al mio posto d'insegnante, viaggerò con loro, e lascerò la cara signora Sullivan soffrire, senz'assisterla, morire forse durante la mia assenza? No, questo è impossibile! Mai non tradirò in tal modo il mio proprio cuore, il mio senso della rettitudine e della lealtà. Per quanto mi dolga l'offendere il signor Graham, non devo permettere che il timore della sua collera mi distolga dal mio dovere! — Deliberato così di sfidare la tempesta a cui sapeva di non poter sottrarsi, e raccomandata la sua causa a Colui che giudica secondo la giustizia, Gertrude tentò d'acquetare la sua angoscia nel sonno; ma invano. Non appena il sopore che le invadeva la mente cominciava a sollevarla del peso ond'era oppressa, sogni di non meno dolorosa natura ridestarono in lei la coscienza della realtà. Ora vedeva il signor Graham offeso e sdegnato come la sera innanzi, e l'udiva minacciarla delle più severe manifestazioni del suo malcontento s'ella avesse osato contrariare i suoi disegni: ora le appariva Guglielmo, il Guglielmo giovanetto che era partito cinque anni addietro, e con aria afflitta le additava la camera dove sua madre giaceva in deliquio, pallida d'un pallore di morte, come ella l'aveva trovata, visitandola ultimamente. Esausta da questa successione di visioni affannose, Gertrude, quando fu interrotto quel sonno senza riposo, non cercò di riaddormentarsi. Levatasi, andò a sedere presso la finestra, e stette a contemplare la luna che scendeva sull'orizzonte mentre si diffondevano nel cielo i primi albori. Là, nella tranquilla comunione con sè stessa, ella raccolse la forza e il coraggio di cui, lo sentiva, avrebbe avuto gran bisogno per attraversare con calma e fermezza il giorno che sorgeva: triste giorno che doveva vedere la sua separazione da Emilia, e il suo addio al signor Graham, il quale minacciava d'essere d'un carattere ancor più penoso. Parrà strano che occorresse a Gertrude una straordinaria energia morale per sostenersi in quell'emergente. Ma fatto sta che non sono comuni in una fanciulla diciottenne tanto ardire e tanta risolutezza da affrontare la collera d'un uomo anziano, dalla cui liberalità è dipesa lungo tempo, vivendo nella sua casa, dove il suo volere è legge, e spezzare di schianto i legami delle antiche abitudini col proposito d'aprirsi da sè una via nel mondo in opposizione ai desiderî e alle intenzioni di quell'uomo: nè la grata e pacifica Gertrude sarebbe stata capace d'un tal passo, se non l'avesse spinta un urgente motivo. Il signor Graham governava la famiglia con un'autorità dispotica, che l'aveva assuefatta a rispettare ogni suo capriccio, e sebbene egli fosse sempre indulgente, e in generale buono e cortese, nessuno osava provocare ad ira un temperamento che, eccitato, diveniva violentissimo. Non può quindi far maraviglia che la giovanetta si sentisse mancare il cuore nell'atto in cui, mezz'ora innanzi la colazione, stava davanti all'uscio della sala da pranzo, con la mano sulla gruccia. Indugiò un momento, chiamò di nuovo a raccolta tutte le sue forze per cimentarsi contro il formidabile avversario, poi, risolutamente, aperse ed entrò. Com'ella s'aspettava, il signor Graham era già lì seduto nella sua poltrona, e sulla tavola presso a lui giaceva il giornale ch'ella soleva leggergli tutte le mattine. Per questo appunto era venuta. S'avanzò verso il vecchio signore salutandolo col consueto «buon giorno». Quegli rispose al saluto ostentando un certo sussiego. Gertrude sedette e si sporse per prendere il foglio, ma egli vi posò sopra la mano. — Volevo leggervi le notizie, signore. — Ed io non voglio che tu legga nè faccia nessuna cosa per me, finchè non so se tu sia disposta a trattarmi col dovuto rispetto. — Oh, io non ho mai inteso di trattarvi altrimenti! — Quando i ragazzi si mettono a contrasto con le persone maggiori di età e di senno, mancano loro di rispetto nel modo più grave; ma io sono pronto a perdonare il passato se tu m'assicuri, come spero farai dopo aver avuto agio di riflettere da iersera in qua, che hai riacquistato il retto senso del tuo dovere. — Non posso dire, signore, che le mie idee circa il mio dovere siano mutate. — Intendi forse di significarmi che persisti nella tua follia? — esclamò il signor Graham rizzandosi e parlandole con un tono che le fece tremare il cuore a dispetto de' suoi coraggiosi propositi. — Stimate follia fare ciò ch'è giusto? — Giusto? C'è una gran differenza tra la tua opinione e la mia su ciò ch'è giusto in questo caso. — Eppure, signor Graham, credo che se voi conosceste tutte le circostanze, non biasimereste la mia condotta. Ho esposto ad Emilia le ragioni che la determinano, ed essa.... — Non mi citare Emilia! — l'interruppe egli camminando a gran passi per la stanza. — Sono persuaso che quella buona figliuola darebbe senz'esitare la sua testa a chiunque gliela chiedesse: ma io so un po' meglio di lei ciò ch'è dovuto a me; e, ve lo dico chiaro e tondo, signorina Gertrude Flint: se voi lasciate la mia casa come vi proponete di fare, la lasciate con la mia riprovazione, _la quale_ potrebbe avere per voi, uno di questi giorni, conseguenze non lievi; tanto più, — soggiunse borbottando tra i denti — che v'incorrete senza nessuna necessità. — Mi duole nell'anima di dispiacervi, signore, ma io.... — No, che non te ne duole, altrimenti non t'opporresti a' miei desiderî con tanta audacia, — ribattè il signor Graham avvedendosi che il viso di Gertrude, per quanto triste sempre e turbato, aveva preso un'espressione di maggior fermezza dopo le severe e pungenti parole con cui egli credeva di sgomentarla. — Ma ho detto abbastanza, in materia d'una cosa che non merita davvero tanto scalpore. Va' o resta, come ti pare. T'avverto però che se te ne vai non puoi contare più affatto sulla mia protezione e sul mio aiuto. Dovrai provvedere a te stessa o ricorrere ad estranei. Tu, m'immagino, ti confidi che il tuo amico di Calcutta s'incarichi di mantenerti, o anzi ritorni in patria e pigli cura speciale di te; ma, bambina, se questa è la tua speranza vuol dire che conosci ben poco il mondo; scommetto che oramai quello lì ha sposato un'Indiana.... E comunque sia, sta' pur certa che te t'ha bell'e scordata. — Signor Graham, — rispose con alterezza la fanciulla — il signor Sullivan probabilmente non rimpatrierà che tra parecchi anni, e v'assicuro ch'io non fo assegnamento su lui nè su alcun'altra persona per mantenermi; intendo di guadagnarmi la vita col mio lavoro. — Eroica risoluzione! — fece egli, sprezzante. — E annunziata con una dignità che spero sarai in grado di sostenere. Devo dunque considerarla come irrevocabile? — Sì! — disse Gertrude che nei sarcasmi del signor Graham aveva attinto la forza di proferire la temuta parola definitiva. — E ci lasci? — È necessario. Credo che questo sia il mio dovere, e però sacrifico volenterosamente, non solo il mio benessere, ma ciò che per me, non ne dubitate, è ben più prezioso: la vostra amicizia. — Il signor Graham non mostrò d'aver udito: anzi, dimentico della gentilezza in lui abituale, mentre la giovanetta parlava ancora, coperse la sua voce con una violenta scampanellata. Caterina vi rispose portando la colazione. Emilia e la signora Ellis entrarono dietro a lei e sedettero a tavola. Il pasto mattutino cominciò in mezzo a un silenzio insolito dei commensali che parevano tutti più o meno impacciati. Infatti Emilia aveva inteso da lontano la voce di suo padre vibrare con tono irato, ed era piena d'ansietà; e la governante vedeva chiaramente nelle facce dei tre altri che qualche cosa di spiacevole era accaduto. Il signor Graham tuttavia fece onore alla copiosa colazione col consueto appetito; poi, terminato che ebbe, si rivolse alla signora Ellis e l'invitò formalmente ad accompagnare sua figlia e lui nel loro prossimo viaggio, di cui parlò accennando alla probabilità d'un soggiorno di alcune settimane all'Avana. La signora Ellis, che non sapeva nulla del divisato giro nel Mezzodì, accettò con grande piacere, e tutta alacre e lieta si mise a fare un visibilio di domande sull'itinerario e sulla durata della loro assenza, mentre la cieca nascondeva il viso turbato dietro la sua tazza, e Gertrude, la quale aveva letto ultimamente le _Lettere di Cuba_ e parlato al signor Graham dell'incantevole idea che le davano di quell'isola, ponderava in cuor suo se fosse mai possibile ch'egli volesse vendicarsi scendendo a una così bassa piccineria per mortificarla. Tosto che si furono levati da tavola, Emilia si ritirò nella sua camera dove la giovanetta non tardò a raggiungerla. Interrogata da lei ansiosamente, questa, nel riferirle la scena di poc'anzi, si guardò dal ripetere le acri e ingiuriose osservazioni del vecchio, perchè la buona amica le palesava con l'angoscia tradita dal suo aspetto un sentimento profondo quanto il suo proprio del torto che le veniva fatto giudicandola e trattandola con tale ingiustizia. Le disse però che la sua partenza era già cosa intesa, e che, essendo il signor Graham poco benevolmente disposto verso di lei, stimava opportuno andarsene senz'indugio, tanto più che la sua presenza in casa della signora Sullivan non sarebbe forse mai stata utile come in quel momento. Emilia comprese la ragionevolezza del suo proposito, lo approvò, e s'offerse d'accompagnarla in città nel pomeriggio; ella si rassegnava piuttosto a questo brusco distacco che a vedere Gertrude umiliata dal contegno di suo padre, perchè il pensiero d'un dispregio usato alla sua protetta le era intollerabile. Il rimanente della giornata fu dunque impiegato dalla fanciulla nel fare le valigie e altri preparativi. La signorina Graham sedeva presso all'amata figliuola adottiva, e le dava consigli sulla sua futura condotta, deplorando la necessità della loro separazione e scambiando con lei promesse reiterate d'imperituro e immutabile affetto. — Oh, se almeno poteste scrivermi, cara Emilia! Sarebbe un gran conforto durante la vostra lunga assenza! — Ti farò avere quelle notizie che mi sarà possibile mandarti con l'aiuto della signora Ellis; ma per quanto rare e scarse debbano essere, sii certa ch'io penserò sempre a te, e non dimenticherò mai di raccomandare la mia diletta alla protezione e alla cura di Colui che può esserle miglior amico e miglior consigliere di me! — Gertrude andò poi a cercar la governante e la fece restare attonita dicendole che veniva ad accomiatarsi da lei. Ma la maraviglia e la curiosità della brava signora furono presto soverchiate dal bisogno d'esaltare la cortesia e la generosità del signor Graham, e le delizie d'un viaggio come quello a cui ella s'apparecchiava. Dopo averle augurato molto piacere, la giovanetta la pregò di scriverle qualche volta; ma parve che la sua richiesta non fosse udita, perchè la signora Ellis invece di rispondere le domandò se credeva che un abito di casimiro fosse adatto per viaggiare nel Mezzogiorno; essa allora la ripetè con maggior calore, ma l'altra l'eluse di nuovo, manifestando il desiderio di sapere quante paia di sottomaniche avrebbe dovuto mettere nel suo bagaglio. La postulante di favori epistolari non si diede per vinta; sodisfatto a tutte le sue domande, tornò alla carica, riescì finalmente a farsi ascoltare, ed ottenne la promessa d'_una_ lettera, che, dichiarò la signora Ellis, sarebbe stata la sola da lei scritta nel corso di anni ed anni. Prima di lasciar la casa, Gertrude si presentò al signor Graham nella speranza d'un amichevole commiato; ma egli al suo timido «addio» non rispose che mormorando appena percettibilmente la semplice e universale formula di saluto, d'un significato così profondo quand'esce dal cuore, e così gelida quand'è proferita con indifferenza, a fior di labbra; poi le voltò le spalle e, prese le molle, si mise ad accomodare il fuoco nel caminetto. Ed ella se n'andò con le lacrime agli occhi e l'animo contristato, perchè il signor Graham era stato sempre buono con lei. Ma trovò una ben diversa accoglienza in cucina dove salì per salutare la cuoca e la serva. — Cara signorina Gertrude, Dio vi benedica! — esclamò la signora Prime inciampando su per la scaletta che metteva nella stanza di sotto, e asciugandosi le mani nel grembiule. — Come sentiremo la vostra mancanza! La casa ci sembrerà vuota quando voi non ci sarete più. Affemmia, se non ritornate, noi qui si muore in capo a quindici giorni. L'anima e la vita di questo luogo siete voi. Ma avete tanto senno, che certo fate quel che va fatto; se ve ne andate bisogna dunque rassegnarsi, si avesse anche a consumarci gli occhi dal piangere, Caterina ed io! — Sicuro, sicuro! — disse la serva irlandese. — Siete tanto buona, che fin ci venite a cercare in cucina per darci un saluto. Non vi scordate di nessuno, voi, signorina Gertrude.... Ah, non potrete mai essere più felice di quanto noi vi desideriamo! Vi devono portar fortuna tutte le benedizioni che vi accompagnano! — Grazie, Caterina, grazie! — rispose Gertrude commossa dall'ingenua tenerezza di quelle buone e semplici creature. — Dovete venire a trovarmi qualche volta, a Boston; e anche voi, signora Prime; vi aspetto, sapete. Addio! — L'«addio» che contraccambiò il suo, _ora_ fu cordiale e sincero, e la seguì attraverso l'atrio, e risonò ancora al suo orecchio tra il rumore delle ruote mentre la vettura si metteva in moto. XXIII. Uno di quei caparbi egli è che quando Sposano un'opinione, onore, e fede, Ed onestà la chiamano, e piuttosto Dalla vita si parton che da quella. ROWE. Da circa due mesi Gertrude, lasciata la casa del signor Graham e separatasi da Emilia, abitava con la signora Sullivan che l'aveva cordialmente accolta, e faceva lezione nella scuola del signor W. Era un mattino di novembre. Alzata col sole, ella si lavava e pettinava in una camera così fredda, che prima d'aver finito si sentì le dita mezzo intorpidite: nondimeno, innanzi di cominciare i lavori della giornata, non omise d'implorar sovr'essi la benedizione del Cielo. Poi entrò pian piano nella camera attigua dove la madre di Guglielmo dormiva ancora, accese una piccola stufa di ferro, al quale fine i materiali erano già accuratamente preparati, e ciò fatto, scese con passo leggero al pianterreno per accendere il fuoco nella cucina, ch'era una comoda stanza in cui d'inverno la famiglia prendeva i suoi pasti. La tavola era apparecchiata e la colazione quasi pronta, quando giunse la signora Sullivan. Tutta ravvolta in un ampio scialle, più pallida ed esile che mai, ella appariva assai debole e malaticcia. — Gertrude, — disse alla fanciulla — perchè mi lasci dormire la mattina mentre tu sei in piedi e lavori? È stato così ogni giorno questa settimana. — Per un'ottima ragione, zietta: — rispose quella — io dormo la notte e mi desto all'alba, voi invece fate proprio l'opposto. D'altronde, mi ci diverto a preparar la colazione.... Guardate che bellezza di caffè! — Ne versò un poco in una tazza e lo riversò nella caffettiera. — È mai chiaro? O non vi struggete di berlo, stamani, con questo freddo? La signora Sullivan sorrise. Le aveva insegnato lei a farlo, perchè ella non ne era pratica avendo lo zio True preferito sempre il tè. — Ora, — proseguì Gertrude scherzosamente, tirando una poltrona nel canto del fuoco — bisogna che vi mettiate qui e che badiate al ramino finchè l'acqua non bolla; io intanto scappo a vedere se il signor Cooper è levato e vuol permettermi di pettinare il suo codino. — Uscì, mentre la vedova pensava in cuor suo che una figliuola buona a quel modo non poteva esserci al mondo, e di lì ad alcuni minuti ritornò col vecchio, ch'era molto pulitamente vestito, lo condusse al suo posto a tavola, aspettò che fosse seduto come avrebbe fatto con un bambino, poi gli appuntò il tovagliuolo al collo e servì la colazione. Nel tempo che la signora Sullivan mesceva il caffè, Gertrude, evitando delicatamente d'attirare i suoi sguardi, sbucciò una patata arrostita, sgusciò un uovo sodo, e pose l'uno e l'altra nel piatto del signor Cooper; il che risparmiava a questi la difficoltà per lui sempre maggiore di compiere quelle operazioni da sè, e a sua figlia l'angoscia che soffriva notando la sua inettitudine e la crescente sua negligenza in materia di quella pulizia ch'era per la brava massaia una cosa sacra. La povera donna non aveva appetito. A fatica la fanciulla potè indurla a prendere qualche cosa; però certe ostriche fritte che si trovò inaspettatamente dinanzi la tentarono, e assaggiatane una finì col mangiarne parecchie gustandole come da un pezzo non gustava più alcun cibo. Gertrude, osservando la sua faccia patita, il languore che denotava l'atteggiamento della sua persona, si confermò nell'opinione che soltanto un'infermità grave poteva aver trasformato in tal guisa l'energica benchè piccola signora Sullivan, e risolse di non lasciar trascorrere un altro giorno senza che un medico la vedesse. Terminata la colazione bisognava rigovernare, mettere in ordine le camere, far la spesa per il desinare e prepararlo in parte: faccende che la giovanetta sbrigò quasi tutte ella stessa, prima di vestirsi per andare alla scuola dove da due mesi era maestra assistente. Alle nove meno un quarto comparve sull'uscio di cucina, e disse con tono gaio al vecchio che stava accoccolato davanti alla stufa guardando tetramente il fuoco: — Venite, signor Cooper! Non volete vedere un po' come va la fabbrica della nuova chiesa? Il signor Miller v'aspetta: diceva ieri che spera nella vostra compagnia durante il lavoro. — Il vecchio si rizzò, prese dalle mani di Gertrude il suo pastrano e l'indossò aiutato da lei, poi la seguì macchinalmente, con un'aria d'indifferenza. Andare o restare, per lui era tutt'uno. Camminando in silenzio al suo fianco, lungo la strada, ella fu tratta a meditare sulla strana coincidenza che la faceva una seconda volta la compagna d'un vecchio infermo, in passeggiate quasi giornaliere; nè potè astenersi da una comparazione tra il buon zio True, tanto affettuoso e gioviale, e quel Paolo Cooper, misantropo e sempre malcontento, in cui la demenza senile esagerava ancora le naturali tendenze d'un carattere mai stato amabile. Ma per quanto sfavorevole a quest'ultimo riescisse il paragone, non diminuiva la sua benevolenza e le sue premure verso il disgraziato ch'era per lei oggetto di sincera pietà. Giunsero presto alla chiesa nuova; un bell'edifizio che sorgeva nel posto medesimo di quella demolita, dove il signor Cooper aveva tenuto per molti anni l'ufficio di sagrestano. L'interno non era tuttavia finito, e numerosi operai vi lavoravano alacremente. Un uomo che precedeva Gertrude e il suo compagno sulla scalinata della porta maggiore, portando un trogolo colmo di calcina, si fermò nel vestibolo udendosi chiamare per nome da una voce ben nota, e deposto il suo carico si volse a rispondere: — Buon giorno, signorina Flint! State bene, non è vero? Gran bel tempo oggi.... Ah, signor Cooper, siete venuto ad aiutarmi un poco; bravo! Ci sembra di non poter fare nulla di buono senza di voi, tanto pratico di questa chiesa. Per di qua, signore.... Se favorite di venir con me vi mostrerò quello che abbiamo fatto dopo la vostra ultima visita, e mi direte il vostro parere. — Così parlando s'avviò con l'antico sagrestano; ma la giovanetta lo trattenne un momento per pregarlo d'accompagnare il vecchio a casa quando sarebbe andato a desinare, giacchè doveva passar di lì. — Sicuro, signorina, con molto piacere, — rispose l'uomo. — Mi segue sempre volentieri quando lo lasciate sotto la mia custodia. — Ottenuta questa promessa, Gertrude si diresse a passi affrettati verso la scuola, rallegrandosi nella certezza che il signor Cooper era al sicuro per tutta la mattinata in un luogo dove avrebbe trovato una gradevole distrazione, e che la signora Sullivan, sollevata dell'obbligo di vigilarlo e occuparsi di lui, si sarebbe concessa in pace il riposo a lei tanto necessario. Quegli che così cordialmente coadiuvava Gertrude nella sua opera pietosa, era un bravo muratore che aveva spesso lavorato per il signor Graham, e del quale ella s'era guadagnata la stima e la gratitudine assistendo amorevolmente, nell'inverno scorso, la sua famiglia afflitta allora da malattie. La fanciulla, che passava ogni giorno davanti alla chiesa in costruzione, l'aveva veduto, e le era nata l'idea d'affidargli per qualche ora il signor Cooper pensando che questi si sarebbe forse divertito ad osservare gli operai al lavoro. Durò fatica a persuadere il vecchio, che non voleva saperne di visitare l'edifizio alla cui erezione era stato tanto avverso, non solo perchè contraria a' suoi interessi, ma anche per il grande amore che lo legava all'antica sua chiesa. Tuttavia quando fu lì, la fabbrica, gradatamente, cattivò la sua attenzione, e poichè il Miller si dava cura ch'egli si trovasse bene, e perfino gli faceva credere d'esser utile, egli finì col passarvi quasi le intere mattinate, immaginandosi di vigilare i muratori e tutti i diversi lavoranti. Taluni giorni Gertrude passava ella stessa a riprenderlo, altri pregava il Miller d'accompagnarlo. Un notevole mutamento si manifestava nello stato del demente da che ella aveva preso dimora in casa della vedova Sullivan. Egli era divenuto più docile, e si mostrava più contento e meno irritabile. Da principio la maggior tranquillità e la consolante presenza di Gertrude parevano aver prodotto un effetto benefico anche sulla salute della povera donna; ma ultimamente la sua debolezza andava aumentando, e due o tre volte ella era d'improvviso caduta in deliquio. La giovanetta sentì ridestarsi tutti i suoi timori, più vivi che mai. Perciò quella mattina uscì col fermo proposito di recarsi dal dottor Jeremy, non appena libera da' suoi doveri di scuola, per chiedergli di visitare la malata. Ella esercitava il suo ufficio d'insegnante con piena sodisfazione del signor W., e non v'incontrava difficoltà alcuna, fuor delle piccole noie e dei momentanei scoraggiamenti cui vanno soggetti tutti i maestri a cagione della pigrizia, della caparbietà o della stupidità di certi alunni. Varie cause la costrinsero a indugiarsi quel giorno un'ora più del solito. Battevano le due quand'ella sonava il campanello alla porta del medico. Le aperse una cameriera che la conosceva di vista essendo ella venuta altre volte in casa dei suoi padroni. La ragazza le disse che stavano per mettersi a tavola, ma che senza dubbio il dottore l'avrebbe ricevuta lo stesso, e la fece entrare nel tinello dov'egli si trovava. Ritto con la schiena contro la stufa, mangiava una mela, com'era suo invariabile costume, avanti pranzo. Vedendo Gertrude posò il frutto e le mosse incontro a mani tese. — Gertrude Flint, se non m'inganno! Bene, ho piacere di vedervi, finalmente! Sarei curioso di sapere perchè vi siete fatta così desiderare. — Ella si giustificò spiegandogli che viveva con una donna inferma e un vecchio cadente i quali avevano bisogno d'assistenza, e che il resto del suo tempo era tutto preso dalla scuola, sicchè non gliene avanzava per fare visite agli amici. — Magre scuse, — esclamò il dottore — magre scuse! Ma ora che vi teniamo, non vi lasceremo scappare tanto presto. — E, andato a piè della scala conducente alle stanze superiori, gridò con quanto n'aveva in canna: — Signora Jerry! Signora Jerry! Scendete lesta per quanto è possibile, e mettetevi la vostra berretta più bella: abbiamo un'ospite a pranzo!... Pover'anima! — soggiunse sottovoce, volgendosi a Gertrude con un sorriso bonario. — Non può spicciarsi in furia, che ve ne pare?... E grassa! — Ma Gertrude protestò che doveva affrettarsi a ritornare a casa, e disse il fine della sua visita, esponendo al medico lo stato della signora Sullivan. — Un'ora non porta conseguenze in un caso come cotesto, — insistette egli. — Voi dovete desinare con me e poi andrò dove vorrete, anzi ci andremo insieme nel mio carrozzino. — Ella esitò un poco. Il cielo s'era annuvolato, e cominciava a cadere qualche fiocco di neve; la strada era lunga; d'altronde, sarebbe stato meglio che ella accompagnasse il dottore, perchè nella via dove abitava gli stabili erano quasi tutti nuovi e non ancora numerati, e forse da solo egli avrebbe stentato a trovare la casa. Intanto scese la signora Jeremy. Per grassa era grassa bracata, e in quel momento l'insolita celerità de' suoi movimenti, e l'ansia d'avere inaspettatamente a pranzo una persona estranea, le tingevano il viso di porpora. Ella diede a Gertrude un bacio affettuoso, poi girò gli occhi intorno, e visto che non c'era nessun altro, li fissò sul marito, con uno sguardo di rimprovero. — Via, dottor Jerry, non vi vergognate? Mai più non presterò fede alle vostre parole.... Farmi credere che ci fosse capitato un qualche ospite straordinario.... — E qual ospite più straordinario di Gertrude Flint, in casa nostra? — — Quanto a cotesto, è vero; — disse la signora — Gertrude _s'è fatta_ realmente straniera qui, e le tengo in serbo una solenne ramanzina su questo proposito. Però, dottor Jerry, sapevate che non mi sarei messa la berretta rosa e lilla per comparire con lei, che mi vede altrettanto volentieri in quella vecchia coi nastri gialli.... sebbene mi dicesse, la birichina, quando la comprai, ch'io avevo scelto la più brutta berretta di Boston. Te ne rammenti, eh? — Gertrude rise di cuore ricordando la divertente scenetta nella bottega della modista dove aveva accompagnato la signora Jeremy. — Ma vieni, figliuola, — riprese questa — il desinare è pronto. Levati il mantello e il cappellino, e passiamo di là. Il dottore ha molte cose da dirti e se ne strugge. — Erano a tavola da alcuni minuti, senz'avere ancora scambiato altre parole che le consuete, quando a un tratto il medico posò il coltello e la forchetta, e scoppiò a ridere, a ridere tanto che n'ebbe gli occhi pieni di lacrime. La fanciulla lo guardò con aria interrogativa; sua moglie disse: — Figurati, Gertrude, che durante un'intera settimana ha seguitato a dare, due o tre volte il giorno, in una di queste risatone sterminate. Io sulle prime n'ero sbalordita come te; e confesso che ancora non capisco bene che cosa possa essere avvenuto di tanto buffo tra il signor Graham e lui. — Andiamo, signora Jerry, — egli l'interruppe frenando la propria ilarità — non mi prevenite; voglio raccontarla io. Non credo — disse poi volgendosi alla sua ospite — che voi siate vissuta cinque anni con quel signore lì senza aver conosciuto che razza d'animale protervo, caparbio, ostinato, egli sia. — Dottore! — ammonì la signora, severamente, scotendo il capo. — Cara moglie, nè le strizzatine d'occhi nè le scrollatine di testa mi fanno senso: io non ho peli sulla lingua; la mia opinione sul conto del signor Graham è questa, e non dubito punto che sia anche quella di Gertrude; soltanto, essendo la buona figliuola ch'ella è, non la manifesta. — Io non ho mai notato in lui nulla di simile, — disse la signora Jeremy — eppure lo conosco bene quanto voi. Lo incontro spesso per la strada, e sempre mi saluta con un sorriso raggiante e un bell'inchino. — Eh, sì, Gertrude ed io sappiamo che cortese gentiluomo egli sia, con chi dice e fa a modo suo; ma se qualcuno è di parer contrario.... — In politica, per esempio, — suggerì ella. — Certo la divergenza delle vostre vedute politiche è la sola causa di cotesta antipatia. — Ma no, ma no! — egli ribattè. — Si può riscaldarsi disputando di politica, come mi riscaldo anch'io, ed essere nondimeno una buona pasta d'uomo. Non intendevo parlare di questo.... Quello che non posso patire nel signor Graham, è la sua pretensione di dettar legge a chiunque abbia da trattare con lui, i suoi procedimenti dispotici che par ch'egli sia il Gran Mogol della Cocincina. Credevo che si fosse corretto un poco, dopo la seria lezione ch'ebbe anni sono con quel caso doloroso del povero Filippo Amory; ma a quanto vedo ricomincia da capo. Ah, ah, ah! — proruppe di nuovo il buon dottore ridendo, e sporgendosi verso Gertrude per darle una picchiatina su una spalla. — Ci ho proprio gusto che abbia trovato un'opposizione ragionevole, e dove meno se l'aspettava! — Lo sguardo della fanciulla espresse un così profondo stupore a questa chiara allusione al suo dissenso col signor Graham, ch'egli s'affrettò a rispondervi: — Siete curiosa di sapere come io ne sia informato? Ve lo dico subito. In parte lo ricavai dal signor Graham stesso, e mi diverto ancora ricordando con qual furberia il vecchio volpone cercasse, a furia d'arzigogoli, di nascondere la sua disfatta, e persuadermi anzi che in fin dei conti aveva fatto valere la propria autorità, mentre io capivo benissimo che era stato battuto da un campione più forte di lui.... — Dottor Jeremy, — fece Gertrude — non crederete, spero.... — No, cara, non credo che vi dilettiate di pugilato, ma so che siete una ragazza di senso retto, che discernete ciò ch'è giusto e lo fareste a dispetto di chiunque, non escluso il signor Graham. Quando v'avrò raccontato tutto, comprenderete in qual modo io sia giunto alle mie conclusioni e abbia intuito le cose più a fondo che il detto signore non avrebbe voluto. Un giorno, circa due mesi fa se non erro.... è una data che voi rammentate certo meglio di me.... io fui chiamato dal signor W. per i suoi bambini attaccati dal «crup». Mentre discorrevo con lui, gli venne annunziata una visita. Andò a riceverla, e al suo ritorno mi disse che vi aveva in quel momento fissata come assistente nella sua scuola. Io non me ne maravigliai sapendo che Emilia vi destinava all'insegnamento, e mi compiacqui che vi fosse toccato un così buon posto. Uscito appena di là, ecco che m'imbatto nel signor Graham, il quale s'accompagna con me per un tratto di strada, e mi parla del viaggio che intende fare nell'inverno. «— Però, — gli dico io — Gertrude Flint non viene con voi, non è vero? — Gertrude? — fa egli. — Ma sì, beninteso. — Ne siete proprio sicuro? — gli domando. — L'avete invitata? — Invitata? No, — risponde — ma sono certo che sarà ben contenta d'approfittare d'una così bell'opportunità: è una fortuna rara per una ragazza nelle sue condizioni. — Allora io, un po' urtato da quel suo modo di parlare, gli replico con tono altrettanto positivo: — Secondo me invece non è probabile che accetti l'invito. — «Ah, bisognava vedere, cara Gertrude, come si rimpettì la Dignità Sua!... E mi snocciolò un discorsetto.... no, non posso ricordarmene senza ridere, specie se penso che se l'è dovuto rimangiare.... Mi sarebbe difficile ripeterlo parola per parola, ma insomma, a sentir lui, non solo era impossibile che voi osaste opporvi a' suoi desiderî, ma io commettevo un atto di fellonia facendo questa temeraria supposizione. Mi guardai bene dal dirgli ciò che mi aveva comunicato il signor W.; e rimasi con una enorme curiosità di sapere come l'andrebbe a finire. «Divisai due o tre volte di fare una giterella alla villa dei Graham con mia moglie, per vedere Emilia ed essere informato da lei; ma un medico non è padrone del proprio tempo, sicchè ne fui sempre impedito. «Finalmente, una domenica, la signora Prime viene a trovare sua nipote ch'è in servizio qui da noi. Sento dalla cucina la sua voce, e scendo subito, smanioso d'interrogarla. La buona donna vi vuole molto bene, Gertrude, e vede con gli occhi del cuore ciò che vi concerne. Mi disse, senza dubbio, la verità, benchè forse non tutti gli esatti particolari. «Due giorni dopo incontro di nuovo il signor Graham. — Ebbene, — gli domando — quando partite? — Domani, — mi risponde. — Davvero! — esclamo io. — Dunque non avrò il piacere di salutare le vostre signore. Vorreste in cortesia incaricarvi d'una mia commissione per Gertrude? — Io non so dove si trovi Gertrude, — dice lui con sussiego. E io, affettando una gran maraviglia: — Che? V'ha lasciato? — Sì, — conferma seccamente. — Ed ha osato venir meno al rispetto dovutovi? — proseguo io citando le sue stesse parole. — Farsi giuoco della vostra dignità? — Dottor Jeremy! — egli esclama. — Desidero non sentir più menzionare quella ragazza che s'è condotta con altrettanta ingratitudine che stoltezza. — Poh, Graham! — io replico. — Quanto all'ingratitudine, dicevate che prender Gertrude per compagna di viaggio non era da parte vostra se non largirle un nuovo favore: e visto che ella vi rinunzia al fine di rendersi indipendente, mi pare che dia piuttosto prova di saviezza. Me ne rincresce bensì per voi e per Emilia. Sentirete tanto la sua mancanza! — Egli ribatte: — Potete risparmiarvi di compiangerci, dottore. Noi non ci perdiamo nulla. — Ah! — dico io. — Mi sembrava che anzi vi dispiacesse molto perdere la sua compagnia. — Viene con noi _la signora Ellis!_ — risponde con un'enfasi che vuol significare tutta l'esuberanza del compenso. — E io: — Amabilissima donna! — Graham pareva seccato perchè sa che la signora Ellis è la mia antipatia. — Sua moglie, la quale era di buon cuore, gli osservò: — Andiamo, dottor Jerry, non avreste dovuto attaccare così un uomo nel suo punto debole. Perchè eccitar la sua collera per nulla? — Facevo le vendette di Gertrude. — E io sono certa che Gertrude non provava punto il bisogno d'essere vendicata: e non sente verso il signor Graham che affezione e rispetto. — Oh, sì, è vero, Signora Jeremy! — disse la fanciulla. — È stato tanto generoso con me, tanto indulgente.... — Salvo quando intendevate far uso della vostra volontà! — l'interruppe il dottore. — La mia volontà era ben di rado in opposizione co' suoi desiderî. — Ma quando era? — Mi sottomettevo come giudicai sempre mio obbligo finchè un dovere più alto non mi costrinse a fare diversamente. — E fu per te un gran dolore il dispiacergli, — disse la signora. — Questo è il retto sentimento d'una donna, e sta' pur sicura che il dottor Jerry in cuor suo lo loda, quantunque cianci come se fosse una bella cosa in una giovanetta il trovar sodisfazione nel mortificare un vecchio signore. Basta, lasciamo questo discorso. Egli ha detto quel che aveva da dire: ora tocca a me. Io vorrei sapere in che modo sei sistemata, con chi vivi, e se ti piace insegnare a scuola. — Gertrude rispose a tutte le sue domande; poi il medico la interrogò sullo stato di salute della signora Sullivan, che quando egli curava lo zio True gli era stata spesso menzionata da lui e dalla fanciulla come una loro buona vicina ed amica. Intanto la neve fioccava sempre più fitta; ed essendo Gertrude manifestamente ansiosa di ritornare a casa, i suoi benevoli ospiti non cercarono più dì trattenerla. Ella promise di ripetere la sua visita non appena le fosse possibile; il dottor Jeremy fece attaccare, e partirono insieme. XXIV. Non ha la vita un umile Dover ch'ella non curi, Nè miseri ed oscuri Luoghi ov'ella non scenda, Perchè un raggio benefico Di sole vi risplenda. LOWELL. — Ho pensato, dottore, come faremo perchè la signora Sullivan non si spaventi, — disse Gertrude mentre stavano per giungere alla casa. — O che dovrebbe spaventarla? — egli domandò. — Voi, se sa a bella prima che siete un medico. Vi presenterò come un amico che m'ha condotta a casa nel suo legno, essendo sopravvenuta questa burrasca di neve. — S'ha dunque a recitare una piccola farsa, eh? Capocomica: Gertrude Flint. Un incognito: il dottor Jeremy. E che dovrò dire nella prima scena? — Di questo lascio la cura a voi che ne sapete più di me. M'affido interamente alla vostra accortezza per ottenere dalla signora Sullivan qualche cognizione de' suoi sintomi, senza palesarle se non a poco a poco la vostra qualità di medico. — Ah, capisco! Devo cominciar dal passare per uno di quei curiosi che tempestano il prossimo di domande. Sì, sì, credo che la parte sia nelle mie corde. — Entrarono. All'udire aprir l'uscio la vedova si levò dalla sua poltrona, col viso turbato, e dato appena a Gertrude il tempo di presentarle l'amico che l'accompagnava, le domandò ansiosamente se suo padre non fosse con loro. — No, — ella rispose. — Non è ritornato a casa? — Non l'ho più riveduto da stamani. — La giovanetta, mostrando una tranquillità ch'era lungi dal sentirsi nel cuore, le disse che il Miller aveva promesso di vegliare sul signor Cooper, il quale era certo con lui, al sicuro. — Del resto, — soggiunse — vo io a pigliarlo. — Oh, mi duole assai che tu esca di nuovo con questo tempaccio!... Ma sono in tanta pena per il nonno!... E tu no, figliuola? — Io no, davvero. Non dubito ch'è in chiesa, sano e salvo. Ci vo immediatamente. Sapete bene, zietta, che la neve non mi sgomenta. — Mettiti allora il mio scialle grande. — La signora Sullivan andò a prendere lo scialle da un armadio ch'era nell'anticamera, e Gertrude approfittò della sua assenza per pregare il dottor Jeremy d'aspettar il suo ritorno, posto che l'agitazione d'animo spesso faceva cadere la povera donna in deliquio, ed ella temeva di lasciarla sola nell'inquietudine in cui si trovava a cagione della prolungata assenza di suo padre. Il tempo era infatti pessimo, e oramai calava la sera. La forza del vento impediva a Gertrude di reggere un ombrello aperto, sicchè i turbinanti fiocchi di neve l'accecavano mentre affrettava il passo lungo i marciapiedi bagnati. Percorse così parecchie vie innanzi di arrivare alla chiesa. Entrò nell'edifizio già quasi deserto avendo i muratori terminato la loro giornata, e vide subito che il signor Cooper non c'era. Disperava di potersene procurare notizie, quando le venne incontro il Miller che scendeva dalla galleria. Egli pareva stupito di vederla, e le domandò se il vecchio non fosse a casa. Udito che no, le disse ch'egli non aveva potuto in nessuna maniera persuaderlo a lasciarvisi condurre all'ora di desinare; perciò se l'era dovuto portare seco, ma credeva che avanti sera si sarebbe indotto a farsi accompagnare alla propria abitazione da uno dei ragazzi. Dunque era probabile che fosse tuttavia coi Miller. La famiglia aveva di recente sgomberato, e Gertrude non sapeva dove abitasse adesso; nondimeno non volle permettere che il muratore, il quale doveva ancora finire un lavoro, venisse con lei, e s'avviò sollecitamente seguendo le sue indicazioni. Fu un'altra camminata disagiosa. Trovate, non senza qualche difficoltà, la strada e la casa, salì e picchiò all'uscio esterno ch'era socchiuso. Nessuno rispose. Aspettò un poco, poi si risolse ad entrare. Da una stanza a destra giungeva un tale schiamazzo di voci infantili ch'ella non tentò nemmeno di farsi intendere, e, tralasciando le cerimonie, entrò anche in quella. Alla sua comparsa uno stormo di bambini si disperse tutt'intorno e si rimpiattò negli angoli, mentre la signora Miller, piena di confusione vedendosi sorpresa in mezzo al disordine della sua cucina, spingeva contro il muro un cavalletto carico di panni da asciugare, scoprendo così agli sguardi di Gertrude quegli ch'ella cercava, accoccolato presso il fuoco nel consueto suo atteggiamento malinconico. Ma la fanciulla aveva appena mosso un passo dalla soglia per andare a lui, quando successe una cosa strana che la fece indietreggiare esterrefatta. Da un tettuccio collocato lungo la parete, dirimpetto all'uscio, si rizzò di scatto una persona che vi giaceva, la quale guardandola fissamente stese una mano verso di lei come per respingerla, e mandò un acuto strido. Quella voce, quella figura non le erano che troppo note. E, pallida, tremante, ella quasi si sentiva ripresa dall'antico terrore in presenza d'Annetta Grant. — Va' via! Va' via! — gridava costei, poichè dopo un momento d'esitazione Gertrude s'inoltrava nella stanza. Di nuovo ella s'arrestò dinanzi agli occhi fiammeggianti e alla faccia sconvolta della vecchia, temendo d'eccitarla maggiormente. La signora Miller s'interpose. — O che vi gira, zi' Annetta? Questa è la signorina Flint: una signorina buona come ce n'è poche. — No, è un'altra.... so io chi! — affermò Annetta con veemenza. La donna trasse Gertrude in disparte, nell'ombra del cavalletto, e le parlò sottovoce. La vecchia, appoggiata sul gomito, le spiava dal lettuccio, in atto d'ansiosa attenzione. Gertrude apprese che la signora Miller era una nipote di Ben Grant; ma da molti anni non aveva saputo più nulla di lui nè di sua moglie, finchè questa, giorni addietro, le era piombata in casa nel più deplorevole stato di miseria e minacciata dalla febbre a cui ora si trovava in preda. — Io certo non potevo negarle un ricovero; — soggiunse la Miller — però, come vedete, non ho posto da alloggiarla ammodo, e non solo è un grande inconveniente per me avere una malata nella cucina, ma temo che tra il chiasso dei bambini e tutti gli altri disagi, la disgraziata vecchia non regga, e mi muoia qui. — Non avete di sopra una cameretta che non vi sia proprio indispensabile? — Ci sarebbe quella della nostra Giannina; anzi, lei, da figliuola di buon cuore com'è, s'era subito offerta di cederla alla povera zia Annetta, e andar a dormire coi piccoli; ma noi non s'ha mica la possibilità di mantenere due fuochi; e però io ho pensato di farle intanto alla meglio un letto in cucina e star un po' a vedere.... Purtroppo oggi è assai peggiorata, e ora dalle sue stranezze capisco che vagella. — Ha bisogno di quiete. Vogliate riscaldare la camera di Giannina a mie spese, e accomodarvi la malata. Io procurerò di mandare domani un medico a visitarla. — La moglie del muratore cominciò a profondersi in ringraziamenti. Gertrude l'interruppe: — Non mi ringraziate, signora Miller. Annetta non è un'estranea per me. La conobbi in passato, e forse mi preme più che a voi stessa. — L'altra la guardò con maraviglia, ma ella non aveva tempo da perdere in spiegazioni. Desiderosa di parlare con la vecchia Grant e assicurarla dei suoi sentimenti benevoli, s'accostò franca e risoluta al suo lettuccio sfidando l'ira selvaggia che ardeva negli occhi della delirante, fissi su lei. — Annetta, — le disse — mi ravvisate? — Sì, sì, — mormorò quella, rapidamente, ansimando. — Che siete venuta a fare? — Ad aiutarvi, spero. — Ma Annetta pareva piuttosto incredula. Nello stesso tono soffocato e ansioso domandò: — E Gertrude dov'è?... l'avete veduta? — Sta bene, — rispose la fanciulla, stupita, perchè non aveva fino allora dubitato che la riconoscesse. — Che dice di me? — Dice che vi perdona e vi compiange, e che si confida di potervi soccorrere, di farvi guarire. — Davvero? Dunque non volete uccidermi? — Uccidervi? Ma tutt'al contrario. Vi dico che speriamo di confortarvi e vedervi rimessa in salute. — La signora Miller s'avvicinò con una tazza di tè che aveva intanto preparata. Gertrude la prese e la porse alla vecchia, la quale avidamente bevve, continuando tuttavia a fissarle gli occhi in viso di sopra l'orlo della tazza. Bevuto ch'ebbe, lasciò ricader la testa sul guanciale, e si mise a borbottare frasi sconnesse in cui non si distinguevano le parole, eccettuato il nome di suo figlio Stefano. Visto che i suoi pensieri sembravano rivolti altrove, la fanciulla, cui premeva di ritornar a casa per non abusare della cortesia del dottor Jeremy, rimasto con la signora Sullivan, si scostò dal letto, dicendo: — Arrivederci. Verrò presto a trovarvi. — E non mi farete male? — gridò Annetta rizzandosi di nuovo. — Oh, no, davvero! Anzi vi porterò qualche cosa che vi piacerà. — Non conducete qui Gertrude! Non voglio vederla! — Sarò sola. — La vecchia Grant si ripose a giacere, e non parlò più, ma non cessò dal seguitare con gli occhi la visitatrice, spiando attenta ogni sua mossa, finchè non fu uscita dalla stanza. Il signor Cooper tenne docilmente dietro alla sua giovane guida, e arrivarono a casa tutti ammollati, ma senz'altri guai. La spedizione di Gertrude era durata circa un'ora. Il dottor Jeremy, seduto presso alla stufa di ferro, coi piedi sul parafuoco, aveva l'aria contenta d'un uomo che si trovi a casa propria con tutti i suoi comodi. Sembrava ch'egli fosse lì per compiacere a sè stesso anzichè a un assente il cui ritorno doveva rimetterlo in libertà. Egli s'era intrattenuto con la signora Sullivan in amichevoli discorsi, ricordando la gente d'una cittadetta rurale dove tutt'e due avevano passato qualche anno della loro infanzia, e le sue maniere cordiali, la sua piacevole conversazione erano così bene riuscite a vincere la ritrosia della timida e schiva donnina, che quantunque gli fosse inavvertitamente accaduto di palesarsi, ella si lasciò interrogare sullo stato della sua salute senza ombra di quell'angoscia che s'immaginava, nella sua eccitazione nervosa, di dover provare alla sola vista d'un medico. Quando Gertrude ritornò, il dottore s'era già fatto una chiara idea del caso, e tosto che si trovò solo con lei, essendo l'altra andata a provvedere il vecchio di roba asciutta da mutarsi, le comunicò la sua opinione. — Cara Gertrude, — disse — quella è una donna molto malata. — Davvero? — mormorò la giovanetta, inquietissima, lasciandosi cadere sopra una seggiola. — Sì, — rispose egli con aria pensosa. — Vorrei averla veduta sei mesi prima! — Come, dottore? La sua malattia risale a tanto tempo addietro? — A ben più addietro, anzi. È una malattia grave che s'è andata sviluppando a grado a grado, e temo che oramai la scienza medica sia impotente a combatterla. — Dottor Jeremy, — disse Gertrude angosciata — non intendete mica dirmi che la mia zietta morrà senza rivedere Guglielmo, e ci lascerà soli, me e il suo povero vecchio padre? Oh, non mi figuravo che si trattasse d'una cosa tanto seria! — Calmatevi, figliuola mia, — fece amorevolmente il dottore — io non volevo spaventarvi. Può vivere ancora qualche tempo. Giudicherò meglio il suo caso dopo averla osservata altri due o tre giorni. Ma è una _pericolosa imprudenza_ il rimaner qui sola con questi due vostri amici infermi: anche non considerando che rischiate d'ammalarvi voi pure se abusate così delle vostre forze. Manca alla signora Sullivan la possibilità di tenere un'infermiera o almeno una persona di servizio? Mi diceva che non ha nessuno.... — Oh, no, il suo figliuolo provvede largamente ai suoi bisogni! So che non spende mai tutto l'assegno ch'egli le manda pregandola di non risparmiare. — Allora dovete senz'indugio persuaderla a prendere qualcuno che v'aiuti; e se non lo fate voi lo farò io. — Sì, gliene parlerò; è un pezzo che vedo quanto sia necessario; ma le fa tanta paura l'idea di mettersi in casa una donna estranea, che non ho osato mai toccare questo tasto. — Sciocchezze! Mèra immaginazione! State pur sicura che s'avvezzerà presto a essere servita. — La signora Sullivan rientrò. Gertrude raccontò allora il suo inaspettato incontro con Annetta Grant, e pregò caldamente il dottor Jeremy, che conosceva la storia della sua dolorosa infanzia, di voler visitare la malata. — Sarà una visita di pura carità, — ella soggiunse — perchè Annetta è di certo senza quattrini, e sebbene i Miller, vostri antichi clienti, l'abbiano ricoverata, non vi sono tra loro vincoli di parentela tanto stretti da obbligarli a pagare per lei. Ma questo a voi non importa, lo so bene. — Punto, punto, — rispose il medico. — Ci andrò stasera stessa, giacchè il suo stato lo richiede, e domattina passerò qui per darvi notizie e sentire quel che la signora Sullivan ha ancora da dirmi circa le sue notti insonni. Ma voi, Gertrude, non tardate più a mutarvi le scarpe e le calze. O volete che uno di questi giorni io conti fra i miei pazienti anche voi? — Il buon dottore aveva conquistato la vedova Sullivan. Quando fu partito ella intonò le sue lodi: — Che differenza dal comune dei medici! — (tutta la classe le destava una inesplicabile avversione). — Così socievole, così amabile! Davvero, Gertrude, con lui mi pareva di poter parlare liberamente del mio male come con te stessa. — La fanciulla fece anch'ella i più caldi elogi dell'ottimo suo amico, e venne l'ora del tè prima che avessero mutato il soggetto dei loro discorsi. Preso il tè, il vecchio Cooper, stanco delle insolite fatiche di quella giornata, si lasciò agevolmente persuadere a coricarsi, e la signora Sullivan s'adagiò sul sofà. Era, com'ella soleva dire, il suo momento più felice. Gertrude arrischiò allora la proposta di prendere una persona di servizio, secondo che il dottor Jeremy le aveva raccomandato. Con sua maraviglia la malata non oppose alcuna obiezione. Infatti ella riconosceva di non poter più sbrigare da sè le faccende domestiche, nè permettere che Gertrude, già tanto occupata, ne sopportasse tutto il peso come la settimana scorsa. Questa la consigliò di prendere la Giannina Miller, una ragazza che faceva proprio al caso loro; e fu convenuto di mandarla a chiamare la mattina seguente. Sono le dieci. Tutto è silenzio e quiete nella casa. Gertrude sola veglia ancora. Ha teso l'orecchio all'uscio del signor Cooper, e il rumoroso respiro del vecchio l'ha accertata ch'egli dorme profondamente. La signora Sullivan, grazie all'effetto d'una pozione calmante ordinatale dal dottor Jeremy, è caduta in un sonno tranquillo, benefizio che non godeva da tempo. I dieci uccellini di Calcutta dormono anch'essi tutti in fila serrata, sul medesimo sottile ballatoio, nella spaziosa loro gabbia appesa davanti alla finestra e coperta da un panno di lana a fine di ripararli dall'aria fredda della notte. La giovanetta ha chiuso gli usci, preparato ogni cosa per la mattina appresso, spento i lumi. La casa è in ordine e sicura. Ed ora ella s'è ritirata nella sua camera, a leggere, a meditare, a pregare. Le sue cure si moltiplicano, le prove cui è sottoposta sono sempre più severe. Ella si vede di fronte un grande dolore e una grande responsabilità, ma non rifugge nè dall'uno nè dall'altra. Anzi, ringrazia Dio d'averle dato la forza di rinunziare agli agi ed ai piaceri, nonostante la propria fralezza e l'ira d'un uomo che non avrebbe voluto offendere, per trovarsi là al suo posto, a combattere la battaglia della vita e aspettarne coraggiosamente l'esito. Ringrazia Dio di sapere a chi ricorrere, poichè fra le amare tristezze della sua infanzia e della sua prima giovinezza non le è mai venuto meno il soccorso dell'amore di Colui che muta le tenebre in luce. Nessuna sventura, quantunque grave, potrà più gettare un'ombra in quell'anima che illuminano i raggi emanati dal trono divino. Ma per salda che sia la sua fede, per valoroso che sia il suo cuore, Gertrude è una tenera natura femminile: ed ella piange, mentre siede soletta nella sua camera, piange sopra sè stessa e sopra il giovane che, lontano in paese straniero, conta i giorni e i mesi e gli anni fra cui si confida di ritornare a sua madre ch'egli invece non rivedrà mai più!... Ma col ricordo della sua promessa di tener ella presso quella madre il luogo d'una figliuola la cui mano amorosa deve ora assisterla e servirla nella malattia che la travaglia, le si riaffaccia la necessità di dominare i propri sentimenti; ferrea necessità, alla quale ella ha imparato per tempo a sottomettersi. Raccoglie allora tutta la sua energia, si calma, asciuga le lacrime che le offuscano la vista, e si raccomanda a Quegli ch'è la fortezza dei deboli e la consolazione degli afflitti: poi, confortata dalla comunione del suo spirito col Padre celeste, va a coricarsi anch'ella, e vinta dalla stanchezza, dopo una giornata fisicamente e moralmente faticosa per lei, non tarda a seguire gli altri inquilini della casa nel regno dei sogni. XXV. .... V'ha chi dice Che barlumi d'un mondo più remoto Da noi, visitan l'anima nel sonno. SHELLEY. Fu una vera fortuna per Gertrude che ricorresse appunto la settimana del Rendimento di Grazie, tempo di vacanza nella scuola del signor W., perchè così ebbe agio d'attendere alle molteplici sue faccende. Un'altra fortuna ella stimava l'aver ottenuto Giannina, la quale, lieta di compiacerla, accettò volentieri la sua proposta, quantunque, ella diceva, l'idea d'andar a servire fuor della sua famiglia non le fosse mai garbata; ma come rifiutarsi d'aiutare la cara signorina Flint ch'era stata tanto buona con lei e co' suoi? C'era piuttosto da temere che la signora Miller, avendo in casa Annetta Grant malata gravemente, non potesse privarsi della sua figliuola maggiore; anche questa difficoltà però fu tolta dal ritorno inaspettato di Maria, la secondogenita. Dopo alcuni giorni di tirocinio sotto la direzione di Gertrude, Giannina, ragazza molto accurata e capace, si trovò in grado di sollevare la signora Sullivan de' suoi più faticosi doveri di massaia, e prestarle i servizi personali che il suo stato richiedeva. Gertrude quindi fu libera di fare frequenti visite alla vecchia Grant, la quale era nel colmo della febbre e aveva gran bisogno d'assistenza. La memoria delle sevizie patite sotto la potestà di quella megera durava ancor viva nella fanciulla, ma scevra oramai d'ogni senso d'amarezza, d'ogni desiderio di vendetta. S'ella ricordava il passato, era soltanto per compiangere la sua persecutrice e perdonarle; se pensava al modo di contenersi verso la sua tiranna, già tanto detestata, era con l'unico fine d'esserle utile e di consolarla. Vegliò notti e notti al capezzale della malata, che sebbene sempre in delirio, non mostrava più ombra del terrore destatole sulle prime dalla sua presenza. Costei le parlava molto della piccola Gertrude, talvolta in modo da farle credere che l'avesse riconosciuta, ma più spesso come se fosse altrove; infine, dopo un pezzo, ella comprese che la scambiava per sua madre alla quale doveva somigliare notevolmente. Questa, invero, era stata assistita nell'ultima sua malattia dalla stessa Annetta, ma la sciagurata, assalita dagli antichi rimorsi nel vagellamento della febbre, si figurava che la morta fosse ritornata al mondo per chiederle conto della sua creatura. Solo le continue assicurazioni di benevolenza e le tenere cure prodigatele dalla giovanetta con pazienza instancabile, l'indussero da ultimo nella persuasione che la madre offesa avesse ritrovato la sua bambina in buona salute e al sicuro, ed ignorasse i torti e i crudeli trattamenti da lei sofferti. Una notte, l'estrema della vita d'Annetta Grant, Gertrude, che non aveva lasciato la malata se non per poche ore ed era venuta a riprendere il suo posto d'infermiera, udì il proprio nome insieme coi nomi d'altre persone nelle rapide frasi sconnesse che la vecchia andava borbottando. Ella s'accostò al letto, tendendo l'orecchio, perchè sempre sperava di cogliere in mezzo a quei vaniloqui incoerenti un qualche indizio sulle proprie origini. Ma il suo nome non fu ripetuto, e il resto si perdette in un mormorio indistinto. A un tratto la delirante si rizzò, e rivolgendosi a qualcuno ch'ella vedeva nella sua allucinazione, gridò forte: — Stefanino! Stefanino! Rendimi l'orologio e dimmi che hai fatto degli anelli!... Ne chiederanno.... quei tali.... e io che dirò? — Fece una pausa. Poi, tenendo gli occhi fissi verso la parete, soggiunse con voce più debole, ma vibrante d'intensa commozione: — No, no, Stefanino, non lo dirò mai a nessuno.... _mai, mai...._ — Aveva appena proferito queste parole, che diede un sobbalzo, si volse, e vista Gertrude accanto a lei, le domandò urlando: — Avete udito, eh? Avete udito?... Sì, lo so.... e volete raccontarlo.... Ma _se parlate!..._ — Ella tentò di slanciarsi fuori del letto, e ricadde esausta sui guanciali. Gertrude corse a chiamare il Miller e sua moglie, i quali, aspettandosi d'avere a levarsi quella notte, s'erano coricati vestiti nella camera attigua; poi, per tema che la sua presenza turbasse ancor più la morente, si ritirò lasciandola affidata alle loro cure. Circa un'ora dopo la donna venne a trovarla in cucina, dove aveva cercato la quiete di cui sentivano bisogno i suoi nervi scossi e il suo animo contristato, e le disse che Annetta s'era calmata; ma giaceva in uno stato di grande prostrazione, e pareva prossima alla sua fine. Tuttavia ella credette meglio non rientrare nella camera. Sedette presso la stufa e prese a meditare sulla strana scena di cui era stata testimone. Spuntava l'alba quando la signora Miller le annunziò che la vecchia Grant aveva reso l'ultimo sospiro. La sua opera di misericordia, di perdono, d'amore cristiano, era dunque compita. Ed ella s'affrettò a tornarsene a casa per riposare. Doveva armarsi di nuova forza, di nuovo coraggio, a fine di sostenere le fatiche e le pene che la sorte ancora le preparava. E forza e coraggio non comuni erano necessari alla fanciulla per attraversare una di quelle funeste sequele di malattie e di morti fra le persone più prossime, che si danno nella vita, e in cui un colpo succede all'altro con tale fulminea rapidità, che prima d'esserci riavuti già veniamo atterrati novamente. Meno di tre settimane dopo sepolta Annetta Grant, Paolo Cooper soccombette a una breve malattia. Quantunque nessuno di questi due casi toccasse Gertrude nei sentimenti più profondi del suo cuore, pure l'adempimento dei doveri ch'ella s'era volontariamente imposti richiedeva uno sforzo fisico e morale assai grave per una giovanetta di diciotto anni, già tormentata dalla minaccia d'una terza disgrazia, e ben più dolorosa. Anche l'assenza d'Emilia era una dura prova, perchè nelle ore d'angoscia ella soleva ricorrere alla buona amica per consiglio e conforto, e da lei imparava la pazienza e la rassegnazione, virtù di cui le offriva un vivente esempio. Un'unica lettera, scritta dalla signora Ellis, le aveva recato notizie del suo viaggio, e queste non erano molto sodisfacenti. I Graham soggiornavano all'Avana, dove avevano preso alloggio in una pensione tenuta da una signora loro connazionale, e affollatissima d'ospiti venuti da Boston, Nuova York e altre città settentrionali. «Non è mica un viaggio molto piacevole, in fin dei fini!» scriveva la governante. «V'assicuro, Gertrude, ch'io vorrei piuttosto essere in pace, a casa, e non tanto per me quanto per Emilia. Già non può trovarsi bene, qui, poverina, perchè l'abitazione manca d'ogni comodo: le finestre invece di cristalli hanno grate come nelle prigioni, non c'è un tappeto in nessuna stanza, nè un caminetto, nè un braciere, sebbene qualche volta la mattina il freddo si faccia sentire. E poi c'è una vedova, con un fratello e le nipoti: la quale vedova è una donna frivola e vana e secondo me, credetemi o no, ha messo gli occhi sul signor Graham, o vuol pigliarsi giuoco di lui. Veste pomposamente, parla forte, ha modi imperiosi: a lei piace dominare, e lui è tanto grullo da seguirla come un cagnolino, e prender parte ad ogni sorta di gite, a piedi, in vettura, a cavallo.... Non è ridicolo? Un uomo di sessantacinque anni sonati! Emilia ed io non scendiamo più che di rado nel salotto, giacchè l'allegra brigata non tiene il minimo conto della nostra presenza. Essa non si lagna, non fiata nemmeno, ma io vedo che non è felice, e desidera di ritornare a Boston: lo desidererei anch'io se non ci fosse quella terribile traversata.... Ah, Gertrude, mi sembra un miracolo ch'io non sia morta dal mal di mare nel venir qui, e la sola idea di risalire a bordo d'un piroscafo mi sgomenta a segno, che non so proprio come farò a tornarmene indietro!...» Gertrude scriveva spesso alla signorina Graham; però, non potendo questa leggere le sue lettere che mediante gli occhi della signora Ellis, non le era dato di manifestarvi i suoi pensieri e sentimenti più intimi come usava nei colloqui con l'amica piena d'indulgenza e di simpatia, perchè avrebbe dovuto esporli alla censura della governante. Ogni corriere delle Indie orientali portava notizie di Guglielmo Sullivan, i cui affari prosperavano e ch'era contento nell'esilio pensando che i suoi cari godevano, lietamente com'egli credeva, i frutti delle sue fatiche. Egli scriveva quindi sempre nel consueto suo tono gaio e vivace. Una domenica sera, poche settimane dopo la morte del vecchio Cooper, Gertrude sedeva accanto alla signora Sullivan, stesa sul suo letto, e teneva in mano una lettera aperta di cui le leggeva per la terza volta il contenuto. I numerosi bolli postali sulla facciata esterna del foglio ne mostravano la provenienza. Era arrivata il giorno stesso. La madre ascoltava intenta quella lettura, e così dolorosamente la colpiva il contrasto tra le proprie riflessioni e le fulgide speranze di quel figliuolo ignaro della fosca nube che s'addensava sul suo capo, ch'ella chiudeva le palpebre, abbandonandosi, oppressa da una tristezza profonda come non mai; mentre la giovanetta, ripetendo le parole con cui Guglielmo esprimeva la gioia del momento agognato in cui avrebbe potuto stringere di nuovo tra le sue braccia «la cara piccola mamma» che si struggeva di rivedere, gettava uno sguardo furtivo sul corpo consunto, sul viso emaciato della povera donna, e si sentiva gelare il cuore. I primi timori del dottor Jeremy non erano infondati. E l'inferma, aggravatasi ancora per l'ansietà cagionatale dalla malattia del padre e per il dolore della sua morte, declinava rapidamente verso la tomba. Gertrude non era tuttavia riuscita a comprendere se ella ne fosse consapevole o no. Mai la signora Sullivan aveva parlato su questo soggetto, nè accennato in alcun modo a un presentimento della sua prossima fine. Anche ora, osservando la sua placida apparenza, la fanciulla propendeva a credere ch'ella s'illudesse sul proprio stato. Ma il dubbio fu rimosso. Dopo essere rimasta qualche minuto assorta nella sua intensa meditazione, ch'era forse una preghiera, la malata riaperse gli occhi, e fissandoli in quelli della sua giovane amica, disse con voce chiara è calma: — Gertrude, io non rivedrò più Guglielmo! — Gertrude non rispose. — Vorrei scrivergli e dirglielo io stessa, — ella proseguì — ma sarà meglio, se non ti spiace, di scrivere tu per me, come tante volte, ch'io ti detti ciò che devo dirgli.... Non c'è tempo da perdere; perchè sento che vo mancando, e non è probabile che mi duri a lungo la forza di farlo.... Toccherà a te, figliuola mia, dargli la notizia, quando tutto sarà finito; ne hai abbastanza di tristi doveri, tu; voglio almeno risparmiarti la pena di prepararlo al colpo che l'aspetta.... Sei disposta a cominciare la lettera oggi? — Sicuro, zietta mia, se vi pare che sia bene così. — Sì, cara, mi pare. Ciò che gli scrivesti l'ultima volta, concerneva soltanto la malattia e la morte del nonno, non è vero? Di me non gli dicesti nulla che lo potesse impensierire? — Nulla affatto. — Allora è tempo d'avvertirlo, povero ragazzo! Non c'è bisogno che il dottor Jeremy me lo dica, perchè io sappia che muoio! — Ma ve l'ha forse detto? — domandò Gertrude, andando al tavolino e preparando l'occorrente per scrivere. — Oh, no! È troppo prudente. Però, quando _glielo dissi io_, s'astenne dal contraddirmi. Tu lo sapevi? — ella domandò, guardando intensamente la fanciulla ch'era venuta a sedersi sulla sponda del letto e china verso di lei le lisciava i capelli. — Da alcune settimane, — mormorò Gertrude imprimendo un bacio sulla pallida fronte della malata. — Perchè me l'hai taciuto? — Non era necessario ch'io parlassi, — rispose la pia giovanetta. — Sapevo che il Signore non poteva chiamarvi in un momento che la vostra lampada non fosse alimentata ed accesa. — Arde, ma fievolmente, — disse la donna con cristiana umiltà. — E qual fiamma sarà vivida se la vostra langue? Non siete voi stata per lunghi anni un esempio mirabile di pietà e di pazienza? Eccettuata Emilia, non conosco persona al mondo altrettanto degna del Cielo. — No, no, Gertrude, non sono che una povera peccatrice, piena di debolezza. Per quanto fervidamente io desideri di giungere al cospetto del nostro Salvatore, il mio cuore terreno si strugge di rivedere un'ultima volta il mio figliuolo, e a tutti i miei sogni della beatitudine celeste si mescola il cocente rammarico che questa gioia, l'unica ch'io bramassi ancora quaggiù, debba essermi negata. — Oh, zietta, siamo tutti creature umane! Finchè la vostra anima immortale è chiusa nelle spoglie mortali, come _potreste_ cessar di pensare a Guglielmo, e non bramare la sua presenza nell'ora della prova suprema? Un sentimento naturale come questo non può essere un peccato. — Non so.... Forse anche non è. E se fosse, spero d'ottenere, innanzi di lasciar la terra, la grazia di espiare con un perfetto spirito di sottomissione le rivolte d'un cuore materno. Leggimi, cara, qualche santa parola di conforto: sembra che tu abbia il dono d'aprire sempre il buon libro alla pagina che meglio conviene al mio bisogno. Ah, sì, davvero, è un peccato in me ogni querela, assistita come sono dall'affetto e dalle cure di quella in cui Dio m'ha dato una figliuola benamata! — Gertrude prese la Bibbia, e avendola aperta al Vangelo di San Marco le cadde lo sguardo sul passo dell'agonia di Gesù nell'orto di Getsemani. Con savio criterio ella stimò che nulla poteva essere appropriato allo stato d'animo della signora Sullivan più che la commovente descrizione della lotta sostenuta dal Salvatore contro la propria umanità; nulla più atto a quetare il suo spirito, a sedare la ribellione della sua natura umana, che il visibile conflitto tra l'umano e il divino, con tanta patetica evidenza narrato dall'Apostolo; nulla più efficace che l'esempio del Figlio di Dio, il quale alla Sua preghiera, tre volte ripetuta, che venisse allontanato da Lui, se era possibile, il calice amaro, aggiungeva piamente: «Sia fatta la Tua volontà e non la mia!» Senza esitare ella lesse, ed ebbe la sodisfazione di vedere che la lettura aveva avuto lo sperato effetto, perchè quando tacque, indovinò sulle labbra della madre di Guglielmo, giacente in un atteggiamento di calma serena, le parole del Redentore. Non volendo disturbarla nelle sue meditazioni, non le rammentò la lettera al figliuolo, e sedette presso il letto in silenzio. Mezz'ora dopo la malata dormiva d'un placido sonno. Il suo volto aveva un'espressione di pace e di letizia così soave, che la fanciulla godeva nel contemplarlo. Innanzi ch'ella si destasse, l'ombra della notte invase la stanza. Gertrude, invisibile nel buio, sussultò udendo il suo nome. Prontamente accese una candela, e s'accostò a lei. — Oh, cara, che bel sogno ho fatto! — disse la signora Sullivan. — Siedi qui accanto a me: voglio raccontartelo. La realtà stessa non può essere più viva. Mi pareva d'attraversar l'aria a volo, librandomi sopra le nubi, in mezzo a fulgide stelle. Benchè rapido, il moto era tanto dolce che non mi stancava. Ed io viaggiavo, viaggiavo, passando in alto su terre e su mari. Infine vidi sotto di me una città bellissima, con chiese, torri, monumenti e un visibilio di gente che andava e veniva in tutte le direzioni. Avvicinatami, potei distinguere le facce di quegli uomini e quelle donne, e in una strada affollata notai un giovane che mi ricordava Guglielmo. Gli tenni dietro, e tosto mi sentii sicura ch'era lui stesso. Egli naturalmente mostrava un'età maggiore di quando ci lasciò, e il suo aspetto era proprio quale me lo sono sempre figurata, secondo le descrizioni che ci ha date nelle sue lettere dei cambiamenti fatti in questi anni. Lo seguii attraverso parecchie strade, finchè egli entrò in un vasto e bell'edifizio che sorgeva nel centro della città. Entrai anch'io. Passammo per ampie sale e altre stanze, tutte riccamente mobiliate, e ci fermammo in un salotto da pranzo. Nel mezzo c'era una tavola coperta di bottiglie, di bicchieri, e d'un magnifico servito ove restavano ancora dolci e frutta quali mai non ne vidi in vita mia. Vi sedeva intorno una brigata di giovanotti, molto ben vestiti, ed alcuni di così attraente apparenza, ch'io ne sarei rimasta incantata se non avessi avuto lo strano potere di leggere nei loro cuori e scoprire il male che vi s'annidava. «Uno aveva un viso piacentissimo in cui brillava l'intelligenza; era infatti dotato di non comuni facoltà mentali; ma io, vedendo più addentro che non si vegga d'ordinario, m'accorgevo, grazie a una specie d'istinto, che tutto il suo acume, tutta la sua genialità, non erano per lui se non mezzi d'ingannare gli uomini abbastanza folli od ingenui da lasciarsi cogliere a' suoi lacci; e portava in tasca, io lo sapevo, un paio di dadi falsati. «Un altro era la delizia della compagnia per il suo spirito arguto e faceto; ma a me non sfuggivano i primi indizi dell'ebbrezza, e non dubitavo che di lì a un'ora non sarebbe più stato padrone dei propri atti. «Un terzo si sforzava invano di sembrare felice; al mio sguardo scrutatore la sua anima appariva a nudo, e io non ignoravo ch'egli era torturato dall'angoscia d'aver perduto il giorno innanzi, al giuoco, tutto il suo denaro e parte di quello del suo principale, e dalla paura di non aver tanta fortuna da rivincere quella sera l'ingente somma. «E come questi tre, tutti i presenti erano sulla china d'una vita viziosa, e più o meno prossimi alla rovina. Nondimeno avevano un'aria piacevole e gaia, da cui Guglielmo, gli occhi del quale andavano dall'uno all'altro, pareva attirato e sedotto. «Uno di loro gli offerse un posto alla tavola, che tutti lo sollecitarono a prendere. Sedette, e il giovanotto che stava alla sua destra colmò un bicchiere di vino limpido e generoso invitandolo a bere. Egli esitò un momento, poi lo accostò alle labbra. In quella io gli toccai una spalla. Si volse, mi vide, e subito il bicchiere gli cadde di mano, e il vino si sparse a terra in mezzo ai frantumi del cristallo. Gli feci un cenno. Egli si rizzò e mi seguì. L'allegra compagnia lo richiamava a gran voce; anzi, uno dei commensali gli afferrò un braccio e tentò di trattenerlo, ma egli si liberò con una scossa nè volle ascoltare le loro proteste. Non eravamo però ancora usciti dal palazzo, quando colui ch'io avevo osservato per il primo e che sapevo essere il più astuto e il più pericoloso della brigata, sbucò da una stanza vicina al portone dov'era arrivato da un'altra parte, e sussurrò qualche parola all'orecchio di Guglielmo. Il mio figliuolo titubò, si voltò indietro, e forse avrebbe ceduto alla tentazione, s'io non mi fossi piantata di fronte a lui, alzando l'indice con un gesto di minaccia, e scotendo il capo. Allora egli respinse risolutamente il tentatore, si slanciò fuori, e scese a precipizio la lunga scalinata d'ingresso, prima che potessi raggiungerlo. «Ma io mi movevo con grande rapidità, sicchè non tardai a ritrovarmi al suo fianco, e presi a guidarlo attraverso le vie formicolanti di gente. Molte furono le avventure che incontrammo, e da ogni parte scorgevo tranelli tesi agl'incauti ed agl'inesperti. Più d'una volta il mio occhio vigile salvò lo spensierato ragazzo da qualche insidia in cui senza la sua mamma sarebbe certo caduto. Di tanto in tanto lo perdevo di vista, e dovevo ritornare sui miei passi: ora lo aveva diviso da me la folla, ora s'era volontariamente indugiato dove il popolino si divertiva, per assistere da spettatore a' suoi sollazzi o mescolarvisi. Però sempre obbediva al mio ammonimento e proseguivamo insieme il cammino. Intanto calava la sera. «A un tratto, passando per una via rischiarata da numerosi lampioni, m'avvidi che Guglielmo non mi accompagnava più. Lo cercai di qua e di là, ma non riuscii a trovarlo. Ansiosa, corsi un'ora di strada in strada chiamandolo a nome: nessuna risposta. Alfine, spiegate le mie ali, m'inalzai sopra la città popolosa e l'esplorai con lo sguardo nella speranza di scoprirvi il mio figliuolo come già appena arrivata. «Non fui delusa. Egli m'apparve in una sontuosa sala, illuminata a giorno, tra un'accolta di gaudenti del gran mondo. Una splendida giovane s'appoggiava al suo braccio, e io le vedevo nel cuore che la virile bellezza e le attrattive dello spirito di lui non la lasciavano indifferente. Allora tremai per Guglielmo! Ella era avvenentissima e ricca, ed anche molto elegante e corteggiata, come mostravano la ricercatezza del suo abbigliamento e l'ammirazione che destava intorno a sè. Ma io penetravo l'anima sua, e sapevo quanto ella fosse vana, superba, frivola, gelidamente egoista; sapevo che se amava Guglielmo era perchè la seducevano i suoi pregi esteriori, le sue piacevoli maniere, il suo radioso sorriso, e non per la nobiltà della sua natura, che non poteva apprezzare. Mentre essi passeggiavano nella sala e quella ch'era decantata come la regina della festa dava a lui solo il suo tempo e i suoi pensieri, io scesi invisibile accanto a mio figlio e di nuovo gli toccai una spalla. Egli guardò in giro, ma prima che avesse scorto il volto materno, la voce della sirena cattivò tutta la sua attenzione, ed ogni mio sforzo per staccarlo da lei fu inutile, poichè non mi udiva nemmeno. Infine ella disse alcune parole che svelarono all'alta mente del mio Guglielmo la follia e l'egoismo di quell'anima mondana. Allora, io, cogliendo il momento in cui ella stessa aveva indebolito il suo fascino su di lui, me lo strinsi tra le braccia, e, aperte le ali, volai lontano lontano, portando meco il premio conquistato. Salendo così nell'aria sentivo il mio figliuolo abbandonarsi sul mio petto, e il giovane nel fiore della virilità ridivenire il bambino che soleva posarvi come in un caldo nido la bionda testolina ricciuta. A rapido volo ritornavamo al luogo natio, passando su terre e su mari. E non sostammo finchè io non vidi la mia diletta Gertrude che ci aspettava in un verde prato, sul pendio d'una collina, all'ombra di grandi alberi. Volavo verso di lei per deporre a' suoi piedi la preziosa mia creatura, quando mi destai pronunziando il tuo nome.... «Ah, cara, l'amarezza del calice che debbo vuotare è oramai svanita! Un angelo del Cielo me lo porge. Io non desidero più di rivedere mio figlio in questo mondo, perchè sono persuasa che la mia dipartita s'accorda coi disegni d'una misericordiosa Provvidenza. Adesso credo che nella mia veste mortale sarei forse impotente a salvare Guglielmo dalle tentazioni, a distorlo dal peccato; ma il puro spirito materno avrà maggiore virtù. Nella certezza che la mamma veglia su lui dalla sua dimora celeste, che s'adopra a mantenerlo nel retto sentiero, egli troverà una più valida difesa contro il pericolo, un più sicuro rifugio per l'anima insidiata, ch'ella non potrebbe offrirgli se fosse sulla terra. Adesso, o Padre, io posso dire dal profondo del cuore: «Sia fatta la Tua volontà e non la mia!» — Da quell'ora fino alla sua morte, che seguì circa un mese dopo, la signora Sullivan conservò la stessa tranquillità d'animo, la stessa perfetta rassegnazione. Come ella diceva, il suo dolore aveva perduto ogni amarezza. La lettera che dettò per Guglielmo esprimeva la sua piena fede nella bontà e nella saggezza della Provvidenza divina, e lo esortava a sottomettersi con reverenza ed amore ai decreti dell'Onnisciente. Gli ricordava le prime lezioni ch'ella gli aveva date, la pietà e la padronanza di sè inculcategli fin dai più teneri anni, e gli rivolgeva come estrema sua preghiera la raccomandazione che il suo influsso su di lui venisse aumentato anzichè diminuito dalla morte, che la sua presenza fosse da lui sentita come reale e continua. Infine ella che fedelmente aveva lottato contro le avversità, lo ammoniva di guardarsi dai pericoli e dalle insidie che accompagnano la prospera fortuna, e di non smentire mai, nè screditare l'educazione ricevuta. Gertrude piegò la lettera credendola finita, poi uscì per recarsi alla scuola dove insegnava. Ma tosto che si fu allontanata, la signora Sullivan la riaperse, e con la sua mano debole e tremante aggiunse sul foglio già quasi riempito alcune righe che dicevano la disinteressata, paziente, amorosa devozione della fanciulla, chiudendo con queste parole: «Figliuolo mio, finchè avrai cara la memoria del tuo nonno e della tua mamma, non cessar di mostrare tutta la gratitudine di cui il tuo cuore è capace a colei che le mie forze non mi consentono di lodarti quanto merita.» Ella si spense così lentamente, a grado a grado, che la catastrofe quasi fu un colpo inaspettato per Gertrude, la quale, pur vedendo l'opera distruttrice della malattia, non poteva risolversi a credere che sarebbe una volta compiuta. E fu nel silenzio della notte, senza nessuno fuor della giovane Giannina tutta sgomenta, per aiutarla e sostenerla, ch'ella assistette alla dipartita di quell'anima a lei tanto cara. — Ti fa paura vedermi morire? — le domandò la signora Sullivan circa un'ora innanzi la sua fine. — No, — ella rispose. — Ebbene, volgimi un poco verso di te, — disse la morente — affinchè il tuo viso, figliuola mia buona, sia l'ultimo aspetto terrestre su cui si posino i miei occhi. — Gertrude obbedì. E la madre di Guglielmo spirò, con la mano nella mano di lei, e uno sguardo di profondo affetto negli occhi che la fissavano mentre si spegneva. XXVI. Quale la gioia si fosse o il dolore Che in sorte avesse a lei dato il Signore, Dirittamente ognor la vera via Della virtù cristiana ella seguia. GIOVANNA BAILLIE. Soltanto quando la sua opera d'amore fu così terminata, Gertrude s'avvide che le continue fatiche, sostenute notte e giorno, avevano fatto soffrire il suo organismo ed esaurito le sue forze. Durante la prima settimana seguita alla morte della signora Sullivan il dottor Jeremy temette per lei una grave malattia. Ma dopo aver lottato parecchi giorni contro sintomi assai minacciosi, ella si rimise, e sebbene ancor pallida e patita potè riassumere il suo ufficio di maestra e occuparsi della ricerca d'una nuova casa. Già più d'una famiglia amica le aveva offerto ospitalità, sollecitandola ad accettare l'invito con un calore così cordiale che rendeva difficile il ricusarlo; ma per quanto commossa profondamente dalla benevolenza manifestatale nel suo dolore e nella sua solitudine, ella volle piuttosto tenersi alla risoluzione presa di trovare addirittura una dozzina fissa. E quando le ragioni su cui la fondava furono intese dagli amici cortesi, essi non poterono che approvare la sua condotta e cessando d'importunarla le prestarono invece con gran premura, il loro aiuto per attuare il suo proposito. La signora Jeremy sulle prime era rimasta male e si sentiva quasi offesa dal rifiuto della giovanetta di stabilirsi subito in casa sua e rimanerci finchè volesse, magari sempre; e anche il dottore insisteva con un così perentorio «Su, Gertrude, vieni da noi immediatamente e zitta!» ch'ella aveva paura, date le sue condizioni di salute, d'essere portata via senza _poter protestare_. Ma dopo aver di propria autorità ordinato a Giannina d'impaccare la roba della signorina Flint, chiudere la casa, e ritornarsene dai suoi genitori, egli acconsentì a sentir che cosa Gertrude sapesse dire a giustificazione della sua ritrosia. I ragionamenti su principî generali con cui ella spiegò perchè credesse di non dover accettare la generosa profferta, non valsero per altro a persuadere quell'ottima coppia. — Voleva, per la sua dignità, uno stato indipendente? Scusa che non si reggeva ritta! O non sarebbe indipendente lo stesso, stando con loro? La sua compagnia era tanto gradita a tutt'e due, ch'ella poteva esser sicura di fare anzichè ricevere un favore, sicchè le obbligazioni non le avrebbe lei, ma viceversa. — Allora si trovò costretta ad usare l'argomento che veramente aveva avuto il maggior peso sull'animo suo, e che, ella non ne dubitava, doveva parere decisivo anche al dottor Jeremy. — Dottore, — ella disse — voi, spero, non condannerete in me un sentimento che, lo confesso, ha molto corroborata la mia risoluzione. Io vi menzionerei malvolentieri questo motivo che più d'ogni altro mi ha indotta a prenderla, se già non conosceste lo stato delle cose tra me e il signor Graham, abbastanza a fondo da potermi comprendere e, almeno fino a un certo punto, approvare. Sapete ch'egli era contrario alla mia determinazione di non accompagnarli nel loro viaggio, quest'inverno, e di stabilirmi a Boston; quindi sospetterete che lui ed io non ci siamo lasciati in buona armonia. Egli mi disse che io non sarei certo capace di guadagnarmi la vita e mi troverei ridotta a dipendere da estranei. Ora, giacchè lo stipendio che ricevo dal signor W. è sufficiente a tutti i miei bisogni, sono ardentemente desiderosa di collocarmi in modo da mostrargli al suo ritorno che affermando, o, se si vuole, vantandomi d'essere in grado di bastare a me stessa, non presumevo troppo delle mie forze! — Dunque, Graham supponeva che senza il suo potente appoggio voi sareste ridotta alla mendicità? — fece il dottore. — Col vostro ingegno e la vostra cultura? L'è da par suo! — Oh, no, no, non volevo dir questo! — esclamò la fanciulla. — Mi considerava semplicemente come una bambina, e non comprendeva che facendomi educare ed istruire, aveva provveduto al mio sostentamento in anticipazione. Era naturalissimo che non avesse troppa fede nella mia capacità di lavorare: non m'ha veduta mai alla prova. — Capisco, capisco. Pensava che dovreste un giorno chiamarvi ben contenta di ritornare in casa Graham.... Da par suo, sì, da par suo! — Via, non credo poi che arrivasse a cotesto segno! — osservò la signora Jeremy. — Era adirato e non badava a quel che diceva. Scommetterei dieci contro uno che non se ne rammenta più nemmeno, e a me pare una specie d'orgoglio da parte di Gertrude il darvi tanta importanza. — Non saprei, signora Jerry, — obiettò suo marito. — Se è orgoglio, è però un orgoglio onorevole ch'io lodo, e non giuro che se mi trovassi ne' panni di lei, i miei sentimenti non sarebbero identici. Perciò io non insisto più per distorla dal suo proposito. Può stare a dozzina, e tuttavia passar una buona parte del suo tempo con noi, sia ore, sia giornate; e non occorre dirle che caso mai s'ammalasse o fosse altrimenti disturbata, la nostra porta è sempre aperta. — Ma sicuro! — disse la signora. — Se proprio sei risoluta, cara Gertrude, fa' dunque come credi meglio; soltanto in una cosa tu devi assolutamente compiacermi. Lascia questa casa vuota e triste; vieni via con me, oggi stesso, e rimani da noi finchè tu abbia trovato una dozzina conveniente. — Per un breve soggiorno, Gertrude accettò la cordiale ospitalità ben volentieri; quindi seguì i suoi amici, senz'indugio. E fu soprattutto grazie alle assidue cure del valentissimo medico, e all'assistenza della signora Jeremy, la quale vegliò su lei con materna sollecitudine, ch'ella potè sfuggire alla malattia che seriamente la minacciava. Il signor W. e sua moglie conoscevano le dure prove sostenute dalla fanciulla quell'inverno, ed erano per lei pieni di benevolenza e di simpatia. Essi pure le offersero la loro casa fino al ritorno del signor Graham e d'Emilia, facendole vive istanze perchè accettasse; ma quando ella ebbe spiegato che non sapeva quanto durerebbe l'assenza loro, e che del resto probabilmente non avrebbe più vissuto coi signori Graham in avvenire, convennero ch'ella si regolava con saviezza provvedendo a stabilirsi addirittura da sè. Così i coniugi Arnold, i quali avevano costantemente usato affettuose attenzioni alla signora Sullivan e a Gertrude, ed erano stati le sole persone ammesse oltre il dottore nella camera dell'inferma, volevano ad ogni costo che la giovanetta, due volte orfana, su cui credevano d'avere quasi un diritto di tutela, stesse con loro, sotto la loro protezione, fino ch'Emilia non fosse ritornata dal suo viaggio: perchè come i W. limitavano a questo termine il loro invito. Ma la famiglia del pastore essendo numerosa, e la sua casa relativamente piccola, come la sua paga, l'offerta era mossa da un puro sentimento benevolo: pertanto egli, e la prudente ed economa sua consorte, udito da Gertrude ch'ella guadagnava abbastanza da potersi mantenere con decoro, e aveva risolto di conservare la propria indipendenza, l'approvarono entrambi vivamente; anzi la signora la consigliò e l'aiutò nel modo più efficace. Ella aveva una sorella vedova che suppliva alla deficienza della sua rendituccia tenendo a dozzina alcune signorine venute a Boston per compiere i loro studi. Gertrude non la conosceva, ma ne aveva spesso inteso parlare con molti elogi; e la sua speranza di trovare da lei una dimora gradevole e non troppo costosa, non fu delusa. La signora Warren, avendo appunto libera una bella camera sul davanti, grande e chiara, acconsentì di buon grado a darla alla giovane maestra che la sorella caldamente le raccomandava. Le condizioni erano convenientissime, e Gertrude poteva prendere subito possesso della sua nuova abitazione. La signora Sullivan le aveva lasciato tutti i suoi mobili, parecchi dei quali comperati di recente, e scelti, secondo il desiderio di Guglielmo, tra i migliori per qualità e fattura. A fine di risparmiarle le fatiche dello sgombero, dopo i tanti strapazzi a cui s'era sottoposta, la signora Arnold e le sue due figliuole maggiori insistettero amorevolmente perchè ella non s'occupasse che della scuola e affidasse a loro l'incarico di far trasportare e disporre nella sua stanza i mobili che desiderava collocarvi, ed invigilare l'imballaggio del resto: giacchè la fanciulla non voleva che alcun oggetto fosse venduto. Fu per lei un gran sollievo l'essere dispensata dall'assistere al doloroso spettacolo dello spogliamento e dell'abbandono di quella casa ch'era stata il piacere e l'orgoglio della cara amica perduta. E quando entrò nella camera cedutale dalla signora Warren, sebbene le si stringesse il cuore alla vista di quei mobili a lei tanto familiari, ella, ammirando la cura e il buon gusto con cui ogni cosa era disposta per riceverla, pensò che avrebbe commesso un peccato desolandosi e chiamandosi sola al mondo, mentre v'erano anime così buone e mani così operose, pronte a venirle amorosamente in aiuto. La sera, passò nel salotto da pranzo, dove s'aspettava di trovare alla tavola del tè soltanto persone sconosciute; ma con sua grata maraviglia vide tra le commensali Fanny Bruce, la quale, lasciata a Boston dalla madre e dal fratello che viaggiavano per diporto, era già da parecchie settimane nel numero delle dozzinanti della signora Warren. Fanny, ora una scolaretta dai dodici ai tredici anni, aveva spesso avuto occasione d'incontrarsi con Gertrude durante la villeggiatura estiva, ed ammirava fervidamente la sua vicina da cui sempre otteneva doni di fiori, prestiti di libri, aiuto in lavoretti di fantasia. La notizia della sua venuta data dalla padrona di casa, le aveva fatto concepire la speranza di stringere con lei più intima amicizia, e quando nei grandi occhi neri e nel sorriso della giovanetta scòrse la gioia che anch'essa provava rivedendola, si sentì incoraggiata, a segno che facendosi innanzi salutò la cara signorina Flint con una vigorosa stretta di mano, e pregò d'esserle messa accanto a tavola. La piccola Bruce era una ragazzina di buone disposizioni e cuore affettuoso, ma negletta dalla madre che riponeva tutto il suo orgoglio nel figliuolo, il famoso Ben, egli pure ammiratore di Gertrude. Più volte quella mamma troppo amante dei divertimenti e quell'indolente fratello l'avevano così piantata in qualche dozzina mentre essi facevano un viaggio di piacere; nè sempre era capitata bene come dalla signora Warren. La povera creatura, non incorata da alcuna simpatia negli sforzi della sua buona volontà, sentiva che i suoi progressi, il suo benessere morale, non importavano a nessuno, neppure a' suoi, e questo senso d'abbandono era per lei una sorgente d'infelicità profonda. Gertrude presto s'accòrse che Fanny viveva molto appartata. Ella era d'alcuni anni minore delle sue compagne, tre signorine eleganti, che non accondiscendevano ad ammettere quella bambina nella loro intimità; e la signora Warren, tutta presa dai suoi doveri di padrona di casa, non s'occupava di lei in particolare. La sua solitudine doveva destar la compassione d'una in cui era sempre vivo il dolore per la morte o la lontananza delle persone più dilette. Questo sentimento induceva Gertrude a invitarla frequentemente nella sua camera, quantunque nulla le fosse gradito a quel tempo, come la quiete ed il silenzio. Anzi giungeva a dimenticare la propria afflizione fino a cercar di divertire un po' la sua piccola ospite, la quale invece si stimava già abbastanza fortunata di poterle tenere compagnia nel suo ritiro, leggere i suoi libri, vedersi sicura della sua amicizia. Durante il mese di marzo, che fu insolitamente burrascoso, Fanny passò quasi tutte le serate con Gertrude; e questa, che dapprima sentiva di fare un sacrifizio col dar continuo accesso ad un'estranea in camera sua, privandosi così della sua libertà intima, a poco a poco riconobbe quanto vera fosse la profezia dello zio True ch'ella sforzandosi di fare felici gli altri avrebbe fatto la felicità propria. La conversazione animata e spesso piacevole della ragazzina la distraeva, le impediva di troppo concentrarsi nel suo cordoglio: e l'affezione reciproca che l'avvinceva a lei la salvava dallo scoramento della coscienza d'esser sola al mondo. Venne l'aprile. E nessuna notizia d'Emilia dopo quella lettera della signora Ellis. Il cuore di Gertrude si struggeva nell'angoscioso desiderio di poter versare come una volta le sue pene nel seno dell'amica tanto cara, di dirle quante volte in quel triste inverno ella avesse sospirato il dolce tocco della mano leggera che soleva posarsi amorosamente sul suo capo, il suono della voce soave che la confortava al solo udirla, e qual bisogno provasse del buon consiglio, dell'incoraggiamento, della consolazione che sempre trovava in lei. Per qualche tempo la fanciulla aveva scritto regolarmente; ma poi, non sapendo ella più dove dirigere le lettere, l'ultima delle quali spedita innanzi la morte della signora Sullivan, ogni sua comunicazione coi viaggiatori era troncata. Una sera Gertrude sedeva alla sua finestra, pensando agli amici ch'ella aveva amati con amore di figliuola e di sorella e da cui la morte o le vicende della vita l'avevano divisa, quando fu pregata di scendere al pianterreno per ricevere il pastore Arnold e la signorina Anna, sua figlia, venuti a farle visita. Dopo i complimenti d'uso, Anna le disse: — Avrete, sicuro, saputo la notizia, Gertrude? — No, non ho inteso nulla di speciale, — rispose ella. — Come! — esclamò il signor Arnold. — Ignorate il matrimonio del signor Graham? — Gertrude sussultò, sbalordita. — Dite sul serio? Il signor Graham s'è ammogliato! Quando? Con chi? — Con la vedova Holbrook, una cognata del signor Clinton. Si sono conosciuti all'Avana dove la signora soggiornava anch'essa, in compagnia d'altri Americani settentrionali. — Ma è strano che voi ne siate rimasta così all'oscuro! — osservò Anna. — Eppure c'era l'annunzio in tutti i giornali: «Maritati alla Nuova Orléans J. H. Graham Esq.[3] di Boston e la signora N. N. Holbrook.» — Non vedo giornali da due o tre giorni, — disse Gertrude. — La cecità della signorina Emilia le impedisce di scrivervi, naturalmente, — riprese l'altra. — Il signor Graham, però, avrebbe dovuto mandarvi la partecipazione delle sue nozze. — E poichè Gertrude taceva, soggiunse ridendo: — Forse la sposina ha accaparrato tutta la sua attenzione. — Sapete qualche cosa, voi, di cotesta signora Holbrook? — domandò quella. — Non molto, — rispose il signor Arnold. — La vidi poche volte, in casa Clinton. È una bella donna, molto appariscente, che ama il lusso e i ritrovi mondani, a quanto pare. — Oh, io ebbi occasione di vederla spesso! — fece Anna. — E vi so dire ch'è grossolana, chiassosa, impetuosa.!... Proprio un genere di persona da ridurre la signorina Emilia alla disperazione! — Una viva angoscia apparve nel viso di Gertrude. Il pastore guardò sua figlia con aria di rimprovero. — Anna, — egli disse — sei ben sicura di non parlare inconsideratamente? — La mia autorità è Isabella Clinton, babbo. Il mio giudizio si fonda su ciò che l'udivo dire a scuola circa sua zia _Bella_, come la chiamava sempre. — E Isabella dipingeva sua zia in modo così sfavorevole? — Non mica con cattiva intenzione; al contrario, credeva di lodarla; ma a me quelle lodi non davano una gran buona idea della signora. — Non dobbiamo condannarla prima d'averla conosciuta meglio, — replicò benignamente il signor Arnold. — Potrebbe darsi che sia invece tutto l'opposto di quello che tu ti figuri. — E di Emilia non potete dirmi nulla? — chiese Gertrude. — Ritorneranno presto? — Non so altro che la notizia letta nei giornali, — rispose egli. — Voi, quando aveste lettere? — Ella disse la data dell'unica missiva della signora Ellis, e riferendo ciò che questa le aveva raccontato di un'allegra compagnia di Americani degli Stati settentrionali incontrata all'Avana, espresse l'opinione che la nuova signora Graham fosse appunto quella tal vedova che le descriveva. — Senza dubbio, — affermò il signor Arnold. Sapendo tanto poco dei fatti, non avevano materia da continuare il discorso su questo soggetto, e parlarono d'altro. Ma Gertrude non poteva pensare se non ad Emilia: quel matrimonio aveva conseguenze di così vitale importanza per la sua diletta amica, che la sua mente vi ritornava sempre, ed ella durava fatica a seguire il senso delle parole che fluivano rapidamente dalla bocca della giovane Anna Arnold. Per fortuna la necessità di rispondere a una domanda che non aveva inteso affatto, venne rimossa dall'improvvisa comparsa dei Jeremy. Il dottore teneva nella destra una lettera suggellata diretta a Gertrude Flint: la scrittura del recapito era quella del signor Graham. Egli la porse subito alla destinataria, poi disse guardando Anna e stropicciandosi le mani: — Ora, signorina Arnold, saremo informati su queste famose nozze. — La viva curiosità dei presenti dispensava Gertrude dalle cerimonie. Ella ruppe il suggello e scorse rapidamente il contenuto della busta. Questo consisteva in una lettera di due o tre pagine fittamente coperte dei caratteri della signora Ellis, e d'un biglietto, non tanto breve, del signor Graham stesso. Per quanto maravigliata di ricevere una missiva da parte d'un signore che aveva dichiarato con tanta collera di non voler sapere più nulla di lei, ella era soprattutto ansiosa d'aver notizie d'Emilia, e però dette la precedenza al documento della governante in cui era più probabile trovarle. Diceva così: Nuova York, 31 marzo 1852. «Cara Gertrude, «Posto che allo sposalizio assistevano molte persone di Boston, credo che oramai vi sarà giunta all'orecchio la gran nuova. Il signor Graham s'è riammogliato. E la sposa è la vedova Holbrook: la medesima vedova di cui vi scrissi. L'ha voluto e l'ha avuto. Non esito a dire che non è lui quello dei due che ha fatto un buon affare. Ama la vita tranquilla e, pover'uomo, può farne il pianto, perchè alla signora invece piacciono i divertimenti e l'allegra compagnia. Bisognava vedere come essa gli dava la caccia, all'Avana; scommetterei però che egli in fondo non intendeva di lasciarsi pigliare. Ma lo raggiunse anche alla Nuova Orléans, e insomma la conclusione è che l'ha spuntata ed oggi è sua moglie. «Emilia s'è contenuta ammirabilmente; mai non ha detto una parola contro questo matrimonio, nè avrebbe potuto trattare la vedova in modo più benevolo e grazioso: ma, ohimè, come si troverà, poverina, in mezzo alla gioventù spensierata che invade ora la casa e la riempie di chiasso e di confusione? Io non ci sono avvezza, e mi garba poco; figuratevi poi la nostra Emilia! La nuova signora del resto è abbastanza gentile con me, adesso ch'è maritata. Considera che lo richiedono le convenienze, essendo io da tanto tempo nella famiglia di cui è venuta a far parte. «M'immagino, cara Gertrude, che sarete stata desiderosa di sapere che ne fosse di noi, e apprenderete con maraviglia che siamo già a Nuova York, sulla via del ritorno: ossia, per essere esatta, sulla via del ritorno sono io sola. Avrei voluto scrivervi dalla Nuova Orléans, ma c'era un da fare, un andirivieni tali, che non riuscivo mai a cogliere il momento opportuno; e dopo quell'orrida traversata in piroscafo da Charleston a qui, mi sentivo disfatta; per una settimana non sono stata proprio buona a nulla. Non posso però più differire perchè Emilia è oltremodo ansiosa di darvi sue notizie e avere le vostre. Povera Emilia! Non istà punto bene.... mi spiego, non voglio dire che sia malata; è piuttosto in uno stato d'abbattimento morale, d'irritazione nervosa. Si stanca presto, per ogni minima cagione si scuote, si sconturba, contro l'usato. Io credo che ne siano causa la nuova signora Graham, e lo sciame delle nipoti e compagnia bella, e altre cose sgradevoli. Non si lagna mai, si direbbe anzi che sia lieta delle terze nozze di suo padre; ma a me è sembrata sempre tutt'altro che felice durante questo inverno, e ora ha qualche volta un aspetto così triste che m'impensierisce. Parla molto di voi ed è un grande rammarico per lei non avere più vostre lettere. «Basta, veniamo ora al punto principale. Sappiate che hanno stabilito d'andare tutti insieme in Europa, Emilia compresa. Secondo me l'idea è della sposa; comunque sia, il viaggio è deciso. Il signor Graham intendeva ch'io li accompagnassi: ma vorrei essere impiccata anzichè avventurarmi un'altra volta per mare, e glielo dissi chiaro e tondo. Perciò egli vi scrive chiedendovi d'accompagnare Emilia. Se il mal di mare non fa paura anche a voi, spero che non ricuserete l'invito, perchè sarebbe una cosa terribile per lei doversi mettere nelle mani d'una estranea; e purtroppo, cieca com'è, non può far senza di qualcuno che l'assista. Io sono certa ch'essa non ha la minima voglia di prender parte a questo viaggio; ma non osa pregare suo padre di lasciarla a casa, per tema ch'egli la creda avversa alla sua nuova moglie. «Tosto che s'imbarcheranno, cioè alla fine d'aprile, io ritornerò alla villa per badarvi durante la loro assenza. «Ora Emilia mi detterà un poscritto a questa lettera: di mio non v'aggiungo altro, salvo che siamo impazientissime di sentire la vostra risposta, e che, lo ripeto, mi confido che voi non vi negherete di partire con lei. «Vostra sinceramente «SARA H. ELLIS.» Il poscritto era il seguente: «Non ho bisogno di dire alla mia amata Gertrude quanto ho sentito la privazione della sua compagnia, quanto vivamente ho desiderato d'averla di nuovo accanto a me; nè che ho pensato a lei giorno e notte e pregato il Signore di sostenerla nelle prove dolorose e nelle fatiche in cui doveva cimentare la sua forza e il suo coraggio. «La lettera scritta dopo la morte del signor Cooper fu l'ultima che mi pervenne, e non so se la signora Sullivan sia ancora viva. Scrivimi subito, figliuola mia, nel caso che tu non possa venire con noi. Il babbo ti dirà i nostri disegni e ti chiederà d'accompagnarci in Europa; sarà per me un gran sollievo e una gran gioia l'aver meco la mia cara Gertrudina, a condizione però ch'ella non abbandoni alcun altro dovere. Io m'affido al tuo cuore perchè tu risolva di fare ciò ch'è giusto. «Come già sai, il babbo s'è riammogliato. Questo è per noi tutti un grande cambiamento, ma non dubito che i risultati ne saranno felici. La signora Graham ha con sè qui all'albergo due nipoti le quali saranno anch'esse del viaggio in Europa. Due bellissime ragazze, mi dicono; specie Bella Clinton che tu vedesti a Boston qualche anno fa. «La signora Ellis è stanca di scrivere, e però chiudo assicurando la mia Gertrude del devoto affetto di «EMILIA GRAHAM.» Non senza curiosità, la giovanetta aperse poi l'epistola del signor Graham. Ella pensava che questi doveva essersi trovato impacciatissimo nello scriverle: avrebbe egli mantenuto il suo tono severo e imperioso, o si sarebbe degnato di spiegarsi e scusarsi? Se Gertrude l'avesse conosciuto meglio non avrebbe fatto la seconda ipotesi: il signor Graham non si scusava mai, posto che mai non credeva d'avere il torto. Ecco la lettera: «Signorina Gertrude Flint, «Sono passato a terze nozze, e ho divisato di fare un viaggio in Europa. C'imbarcheremo il 28 aprile. Mia figlia viene con noi, e poichè la signora Ellis teme il mare, mi trovo indotto a proporvi di raggiungerci a Nuova York, ed accompagnarci per assistere Emilia. Certo, non ho dimenticato l'ingratitudine con cui già dispregiaste un'altra simile mia offerta, e nulla avrebbe potuto spingermi a darvi una nuova opportunità di manifestare sentimenti di tal natura, se non il desiderio di rendere felice la mia figliuola, e insieme d'esser utile a una giovane ch'è stata così a lungo nella mia famiglia, provvedendola con sincera benevolenza d'un onorevole collocamento. «Vi pongo dunque nella possibilità di cancellare dalla mia mente il ricordo della vostra condotta verso di me, col compiacerci questa volta; e se vi risolvete a ritornare da noi, vi darò modo di tenere nel mondo il posto d'una signora. «Dato che partiamo per l'Europa alla fine del mese venturo, sarà bene che siate qui entro la quindicina. Scrivete e indicatemi il giorno del vostro arrivo: verrò io stesso ad aspettarvi allo sbarco. La signora Ellis ha gran premura di essere a Boston; spero dunque che vorrete sollecitare la vostra venuta. «Voi dovrete incontrare varie spese, e però v'includo una somma sufficiente a coprirle. Se avete debiti, fatemi sapere a quanto montano e sarà mia cura che tutte le pendenze vengano regolate prima della vostra partenza. «Confidandomi che abbiate oramai riacquistato il senso del vostro dovere, sono disposto a chiamarmi l'amico vostro «J. H. GRAHAM.» Gertrude sedeva presso a un lume rischiarante in pieno la sua faccia, la quale, nello scorrere lo scritto del superbo signore, avvampava tutta di sdegno e d'orgoglio offeso. Il dottor Jeremy che spiava le sue impressioni la vide farsi rossa e lanciò un'occhiata diffidente verso la lettera; poi, non appena il signor Arnold e la sua figliuola, trattenutisi ancora pochi minuti per udire le notizie, se ne furono andati, pregò la fanciulla di comunicargliene il contenuto, assicurandola che se si rifiutava avrebbe creduto le parole del signor Graham assai più insultanti di quanto forse erano in realtà. — Mi scrive per invitarmi ad accompagnarli in Europa, — rispose ella. — Davvero! — fece il dottore con un fischio sommesso. — E s'immagina che voi sarete tanto grulla da fare i bagagli e partire immediatamente, al suo comando? — Ma, Gertrudina, — disse la signora Jeremy — tu ci andrai di certo volentieri!... Figurati, cara, che piacere, un viaggio in Europa! — Non dite sciocchezze, signora Jerry! — esclamò il dottore. — Bel piacere viaggiare con un vecchio tiranno, e la figlia cieca, e la moglie volgare e prepotente, e le nipoti vanitose e smorfiose.... In una bella condizione si troverebbe Gertrude, schiava dei capricci di tutta la compagnia!... — Dottor Jerry, — l'interruppe la signora — dimenticate Emilia. — Emilia.... sicuro, essa è un angelo, e non tratterebbe mai nessuno senza riguardo, men che meno poi la sua favorita; ma ora anche lei rappresenta una parte secondaria, e non credo di sbagliare dicendo che stenterà a difendere i propri diritti, e mantenersi al posto che le si compete, nell'allargata cerchia della famiglia di suo padre. — È dunque necessario che qualcuno la sostenga, e vegli su lei per salvarla da noie e dispiaceri, — disse Gertrude. — Sicchè intendete di piantarvi sulla breccia? — domandò egli. — Intendo d'accettare la proposta del signor Graham, e raggiungere subito Emilia, — ella rispose. — Ma spero che la buona armonia esistente a quanto pare tra lei e le sue nuove parenti, rimarrà indisturbata, e che non avrò quindi da prendere le armi per conto suo; quanto _a me stessa_ non ho ombra di paura. — Allora, sei risoluta di partire? — disse la signora Jeremy. — Sì. Nulla fuorchè il mio dovere verso la signora Sullivan e suo padre avrebbe mai potuto indurmi a lasciarla. Questo dovere è compiuto, e poichè io posso esserle utile e ch'ella mi desidera, non esito un momento. Vedo assai chiaramente dalla lettera della signora Ellis che Emilia non è felice; io non devo negligere nessuna cosa che mi sia dato fare per consolarla. Pensate quale amica è stata per me! — Oh, lo so! Io credo che, in fin dei fini, tu godrai il viaggio a dispetto degli spauracchi che il dottore ti rizza contro; nondimeno è un sacrificio da parte tua lasciare la tua bella camera e tutti i tuoi comodi per l'incerto genere di vita che t'offre il viaggiare in così numerosa compagnia. — Il dottore interruppe: — Se fa un sacrificio? La grazia! Non ne ho mai visto fare uno maggiore, perchè si tratta non solo di perdere i trecentocinquanta dollari l'anno che si guadagna, e la sua piacevole e tranquilla abitazione di Boston, ma d'abbandonare quell'indipendenza per cui ha tanto lottato e che le premeva a segno di non voler accettare l'ospitalità in casa d'amici se non per un brevissimo soggiorno. — No, dottor Jeremy! — esclamò la fanciulla con calore. — Nulla ch'io faccia per amore d'Emilia può essere chiamato sacrificio. È una gran gioia per me. — Per te è sempre una gioia fare il bene, — osservò la signora. — Oh, non oserei affermarlo! — disse Gertrude. — Spesso anzi i miei desiderî tenderebbero a sviarmi. Ma in questo caso no. Il pensiero che la nostra cara Emilia abbia a dipendere da un'estranea per quei piccoli servigi che soltanto il suo affetto verso chi glieli presta può renderle accettabili, mi torturerebbe. Durante anni abbiamo vissuto l'una per l'altra, goduto e sofferto insieme: _devo_ andare con lei; non posso neanche sognarmi di fare diversamente. — Vorrei essere persuaso che il vostro sacrificio sarà, almeno fino a un certo punto, apprezzato, — borbottò il dottore. — Ma scommetto che invece Graham s'immaginerà di obbligarvi enormemente riprendendovi seco. Forse vi parla come a una mendicante, in quella lettera: non sarebbe la prima volta in vita sua che si comporta in cotesto modo. Sicuro, niente al mondo avrebbe indotto il povero Filippo Amory a ritornarci. — Poi a voce più alta soggiunse: — Vi fa qualche scusa per la scortesia con cui vi trattò quando lo lasciaste? — Pare che stimi di non avere alcun torto. — Neppure scusarsi, dopo essersi condotto come non dovrebbe un gentiluomo! Già me lo figuravo. Io protesto ch'è una pazzia esporvi di nuovo a simili trattamenti. Ma ho sempre _udito dire_ che le donne sono piene d'abnegazione nelle loro amicizie: ora ne veggo la prova. Gertrude è un'eccellente amica. Signora Jerry, dobbiamo coltivare le sue buone disposizioni; chi sa che una volta o l'altra non si dia il caso anche per noi d'avere a chiederle qualche gran servigio. — E io sarò lieta se potrò rendervelo. Nessuno più di me è in debito verso il consorzio umano. Sento che il mondo è tacciato d'egoismo, di durezza, d'insensibilità: ma verso di me fu pietoso. Sarei ingrata se non alimentassi nel mio cuore uno spirito d'amore universale: più ingrata ancora se non fossi pronta a fare quanto sta nelle mie forze per i cari amici che mi hanno prodigato tesori d'affetto quali mai toccarono in sorte a un orfano! — Gertrude, — disse la signora Jeremy — io credo veramente che tu facesti bene lasciando Emilia quando te ne partisti da casa Graham, e che fai bene adesso ritornando a lei. E se l'essere tu la buona figliuola che sei è in qualche modo merito suo, certo ella ha sopra di te un sacro diritto. — Oh, sì, lo ha! Fu lei quella che per la prima m'insegnò a distinguere il bene dal male. — Ed ora coglie il frutto di questa conoscenza, in voi, — aggiunse il dottore. — Sì, è una cosa molto bella! Ma se siete determinata di farlo, cotesto giro in Europa, dovete occuparvi senz'indugio dei vostri preparativi. E, prima di tutto, il signor W. acconsentirà egli a sciogliervi dai vostri impegni? — Lo spero. Mi dispiace assai d'essere costretta a chiederglielo, perchè già l'inverno scorso dovetti mancare da scuola due settimane, e fu tanto indulgente con me; ma posto che di qui a pochi mesi siamo alle vacanze estive, forse non gli sarà difficile farmi supplire. Gliene parlerò domani.... — La signora Jeremy offerse a Gertrude una soffitta per riporvi i suoi mobili, le cedette la sarta che aveva fissato appunto per sè, infine stabilì con lei ogni cosa perchè ella in una settimana fosse pronta alla partenza. Il signor W., sebbene a malincuore, la lasciò libera, manifestandole il suo vivo rammarico di perdere, com'egli disse, una così preziosa assistente; e dopo alcuni giorni di grandi faccende per gli affrettati preparativi, ella s'accomiatò da Fanny tutta in lacrime, dal premuroso dottore e dall'ottima sua moglie, i quali l'avevano accompagnata alla stazione. Gertrude promise di scrivere ai Jeremy, e questi s'incaricarono di spedirle le lettere di Guglielmo. Di lì a meno d'una quindicina la signora Ellis ritornò a Boston e portò notizie della giovanetta, che era arrivata a Nuova York felicemente. Una settimana appresso la signora Jeremy ricevette una lettera, in cui Gertrude le diceva che si sarebbero imbarcati il 28. Grande quindi fu la sua maraviglia quando gliene pervenne una seconda recante la data del 29, giorno in cui ella credeva la famiglia del signor Graham in viaggio per l'Europa. E lesse quanto segue: Nuova York, 29 aprile. «Mia cara signora Jeremy, «Certo, sapendo che ieri era il giorno fissato per la nostra partenza, sarete stupita di vedere che siamo sempre qui, e più ancora d'apprendere che il nostro viaggio all'estero è differito a tempo indeterminato. «Ier l'altro il signor Graham venne còlto dall'antico suo male, la gotta, e l'accesso fu tanto grave, da minacciare seriamente la sua vita. Benchè oggi sia alquanto sollevato e il medico lo dichiari fuori di pericolo, soffre tuttavia molto, e non è, nè sarà per mesi, in grado d'avventurarsi ad attraversare l'oceano. Egli ha un ansioso desiderio d'essere a casa sua, e non appena si troverà abbastanza ristabilito da poter viaggiare, ritorneremo alla villa di D. Includo un biglietto per la signora Ellis, contenente varie indicazioni che Emilia la prega di seguire. Lo mando a voi perchè non sappiamo dove dirigerlo, fidando nella vostra bontà per farglielo pervenire. «La signora Graham e le sue nipoti che si ripromettevano un grande piacere dal giro in Europa, sono dolenti d'aver dovuto così mutare tutti i loro disegni per l'estate: specie la signorina Clinton, la quale sperava d'incontrarsi a Parigi con suo padre, assente da più d'un anno. Quanto ad Emilia ed a me, non possiamo davvero rimpiangere un viaggio che ci faceva solo paura, e se la causa del differimento non fosse la malattia del signor Graham, confesso che mai sapremmo difenderci da un senso d'egoistica sodisfazione al pensiero di ritornare alla cara vecchia villa, dove noi contiamo d'essere stabiliti entro il corso del mese venturo. «Dico _noi_ perchè nè Emilia nè suo padre vogliono sentir parlare di separarsi novamente da me. «Saluti cordiali a voi e all'ottimo mio amico, dottor Jeremy. Abbiatemi sempre per la vostra devota «GERTRUDE FLINT.» XXVII. La vedo. Fluente in ricci d'or libera scende Per gli omeri la chioma, e sulla bella Bocca suona una voce melodiosa. Non ella! Di beltà più soave un'altra splende. Nè melodia sgorgar sì dolce, io credo, S'ode qual dalle labbra sue di rosa. La vedo. Non forse è quella dalla fronte pura E bianca al par di netto avorio? Quella Dai grandi occhi celesti? Ell'è l'amata? Non ella! È più leggiadra un'altra creatura Di mente saggia e volontà temprata. CAROLINA GILMAN. La casa di campagna del signor Graham aveva un grande atrio con due porte, l'una in dirittura dell'altra, le quali durante le giornate calde rimanevano aperte dando adito a una fresca corrente d'aria. Perciò le vicinanze dell'ingresso principale donde l'ombreggiato cortile esterno che scendeva fino alla strada, in lieve pendio, offriva una vista piacevole, erano divenute un ridotto favorito della famiglia, specie nelle ore mattutine innanzi che il sole v'arrivasse. E là, in un gaio mattino di giugno, Isabella Clinton e sua cugina Rina Ray s'erano comodamente stabilite, ciascuna secondo le proprie idee della comodità. Isabella, sprofondata in una gran poltrona che aveva spinta fin presso la soglia, teneva in mano un lavoro di tappezzeria, ma non faceva che guardare oziosamente verso la strada. Ella era una bellissima ragazza, alta, snella, fine, di colorito delicato, con chiari occhi azzurri e folti capelli biondi pioventi in lunghi ricci. La vezzosa bambina che Gertrude aveva contemplato incantata, mentre questa dalla finestra osservava lo zio True nell'atto d'accendere il lampione di fronte alla casa di suo padre, era divenuta una non meno vezzosa giovane. La sua rara bellezza, posta in rilievo da tutta l'eleganza che il buon gusto può suggerire e tutto il lusso che il denaro può permettere, destava intorno a lei l'ammirazione della gente, le attirava le lusinghe e le carezze di quanti l'accostavano. Rimasta orfana di madre in tenera età, e lasciata per qualche anno in cura a donne di servizio, ella aveva imparato presto ad apprezzare più che non valgano le attrattive esteriori onde natura era stata con lei tanto prodiga; e sua zia, sotto la cui tutela si trovava da quando aveva lasciato la scuola, non era certo la persona più atta a combattere questa vanitosa idolatria di sè stessa. Non si sarebbe ingannato chi avesse attribuito la sua aria di conscia superiorità e il gesto protervo con cui il piccolo piede batteva lo scalino della soglia, alla persuasione che Isabella Clinton, la bellissima e ricchissima damigella, era quanto mai seducente nel suo abito da mattina, di casimiro celeste, ornato di sontuosi ricami, e aperto davanti su una sottana bianca, di cambrì, per metterne in mostra le non meno sontuose gale. Nè poteva far maraviglia ch'ella si compiacesse della propria apparenza, la quale avrebbe pienamente sodisfatto i critici più severi. A' suoi piedi, su uno degli scalini bassi, sedeva Rina Ray, che nell'aspetto e nelle maniere, come in molti punti del carattere, presentava un vivo contrasto con la cugina. Ella era una di quelle creature vivaci, giocherellone, carezzevoli, che il mondo chiama care bambine, tanto piccina che i suoi modi fanciulleschi non le si disdicevano; tanto spiritosa da farsi perdonare qualche infrazione delle buone creanze; troppo spensierata perchè potesse essere costantemente savia e gentile: ma di cuore così affettuoso, così fervente di generosi entusiasmi, che i suoi difetti erano scusati dalle persone disposte ad amarla come ella desiderava e cercava d'essere amata da tutti. Avvenente d'altronde, e sempre animata, allegra, contenta. Ammirava Isabella, le voleva bene, e fino a un certo segno si lasciava dominare da lei; però sapeva tenerle testa con fermezza nei casi in cui i loro sentimenti non s'accordavano. All'opposto dell'elegantissima signorina Clinton, ella di rado era ben messa per la ragione che, quantunque ne avesse ampiamente la possibilità, non se ne curava. Quella mattina aveva infilato sulla sua veste di seta scura una cappa di flanella rossa, e, freddolosamente, se la teneva stretta intorno alla persona, dicendo ch'era mezzo assiderata, e che volentieri sarebbe andata a scaldarsi al fuoco in cucina, se non avesse avuto paura d'incontrarvi quel dragone femmina della signora Ellis. — O perchè, Bella, se proprio bisogna star qui a sedere sulla soglia, non sediamo piuttosto su quella dell'uscio di dietro, dove c'è il sole? — domandò alla cugina. — Ah, capisco! — soggiunse. — La carnagione! — La carnagione! — fece Isabella. — Io non temo di sciuparla, più di quanto lo temi tu. Sono sicura di non andar soggetta a lentiggini, nè ad abbronzamenti. — Sì, lo so; ma diventi rossa ch'è uno sgomento. — E se anche non fosse non andrei lo stesso dall'altra parte. Mi piace sedere qui, sul davanti, e guardar la gente che passa. Chi saranno quei due laggiù sulla strada? È un pezzo che li vedo venire; però non li distinguo ancora bene. — Rina guardò nella direzione indicatale, e, dopo aver osservato un minuto la coppia che s'avanzava, esclamò: — Ma è Gertrude Flint! Sarei curiosa di sapere dov'è stata. Il signore che l'accompagna mi pare e non mi pare.... Non credevo che ci fosse da avere un cavaliere elegante in questi paraggi. — Elegante! — disse Isabella con sarcasmo. — E perchè no, cara cugina? T'assicuro che questo è un figurino. — Oh, io non darei un quattrin bacato di tutti i galanti della signorina Gertrude! — Davvero? Eppure faresti meglio ad aspettare d'aver veduto bene prima d'affermarlo. Voialtri miopi non dovete pronunziare giudizi così affrettati. Ti dico ch'è un cavaliere col quale tu stessa non disdegneresti di mostrarti: è il signor Bruce.... quello che conoscemmo alla Nuova Orléans. — Impossibile! — esclamò Isabella rizzandosi di scatto. — Te ne accerterai coi tuoi propri occhi, — replicò Rina — giacchè viene qui con lei. — Curioso! Perchè mai l'avrà accompagnata? — Per dar prova del suo buon gusto. Non avrebbe potuto trovare una compagnia più amabile. — Io non sono del tuo parere su questo punto. Confesso che non vedo nulla di tanto amabile in quella ragazza. — Perchè non vuoi. Tutti la dicono attraentissima. Il signor Bruce apre il cancello per farla passare, con altrettanto rispetto che se fosse una regina. Mi piace questo suo contegno. — Guarda! Ha quel famoso cappellino chiuso, bianco. E quell'abito di ghingano a scacchi! Che ne deve pensare il signor Bruce, critico tanto fine in materia d'abbigliamenti femminili? — Gertrude e il suo compagno intanto s'avvicinavano alla casa. Ella alzò gli occhi, vide le due signorine sulla soglia, e sorrise piacevolmente a Rina, la quale faceva comici sberleffi e le lanciava occhiate significanti, dietro le spalle d'Isabella. Ma il giovanotto, la cui attenzione era tutta rivolta a lei, non s'accòrse delle altre, e queste lo udirono distintamente dire, nell'atto che le porgeva un involto che egli aveva galantemente portato: — Penso che non entrerò. Sarebbe una tal seccatura doversi mettere a conversare con estranei! Ditemi, non lavorate più in giardino, la mattina? — No, — rispose Gertrude — del mio giardino non esiste più se non la memoria! — Come! — esclamò egli. — Spero che i nuovi venuti non avranno osato.... — S'interruppe accorgendosi che la fanciulla guardava verso la casa, e guardò anch'egli nella medesima direzione. Vedute Isabella e Rina ritte di fronte a lui, fu costretto a riconoscerle e salutarle. S'avanzò dunque verso di loro, e confidandosi che non avessero inteso le sue parole, porse a entrambe la mano. Esse, invece, le avevano intese, ma credevano che egli ignorasse di chi parlava; per tanto s'astennero dal farne cenno. S'ingannavano però. Il signor Bruce sapeva benissimo che le nipoti della nuova signora Graham erano precisamente la signorina Clinton e la signorina Ray da lui conosciute alla Nuova Orléans; tuttavia non aveva nessuna voglia di ritrovarsi con loro. Ma il manifesto piacere delle giovanette nel rivederlo lusingò la sua vanità, e la conversazione divenne tosto così animata, che Gertrude potè entrare in casa e salire senza ch'essi avvertissero la sua scomparsa. Ella andò nella camera d'Emilia dove aveva sempre libero accesso. Mentre raccontava la sua gita mattutina e l'esito delle varie commissioni di cui s'era incaricata, la governante sporse la testa dall'uscio, e con una faccia e una voce che palesavano una grande inquietudine, domandò: — Non è ritornata Gertrude? Ah, meno male, siete qui! Presto, ditemi se la signora Wilkins ha le fragole.... — Ne ho accaparrate i tre quarti. Non le ha ancora mandate? — No, ma sono contenta di sapere che vengono. Mi dà tante noie questo pranzo! — La signora Ellis finì d'entrare, chiuse l'uscio, e sedette mandando un gemito che somigliava a un grugnito: — Affemmia, cara Emilia, non potete farvi una idea di quello che le nostre ragazze hanno avuto da stirare oggi! — ella esclamò. — La signora Graham e le sue nipoti mettono nel nostro bucato un visibilio di biancheria fina, trinata, ricamata.... O non è una vergogna? Ricche come sono, dovrebbero dar da lavare e stirare fuori, mi sembra.... Ho aiutato _io stessa_ quanto potevo, ma dice bene la signora Prime: non s'ha che due mani per una. E io avevo da parlare col macellaro, e fare i budini e il _blancmanger_, e per giunta mi tormentavo a cagione di quelle benedette fragole che m'ero dimenticata d'ordinare.... Dunque la signora Wilkins non aveva ancora spedito le sue frutta al mercato? — No, ma le stava preparando in fretta; se tardavo un poco, non trovavo più nulla. — Fortuna che siete arrivata prima! Non so che avrei fatto senza le fragole, perchè mi sarebbe mancato il tempo d'andare a caccia d'altra frutta. Ne avrò appena abbastanza per tutto quello che mi rimane da sbrigare avanti pranzo! La signora Graham non aveva mai tenuto una casa finora, e non sa quanto ce ne vuole per le diverse faccende. Quando ritorna di città pretende di trovar ogni cosa in perfetto ordine, e non domanda nè cura chi abbia spicciato il lavoro. — In quella s'udì la cuoca chiamare dalla scala di servizio: — Signora Ellis! Il garzone dell'ortolana ha portato le fragole, ma non sono mondate: dice che non c'era tempo. — Ohimè! — esclamò la governante, stanca e seccata. — E chi le monderà, vorrei un po' sapere? Caterina non ha un minuto d'avanzo, e io men che meno. — Le monderò io, — disse Gertrude seguendo la governante che scendeva. — Lasciate fare a me, signora Ellis! — No, no! — fece la cuoca. — Vi macchiereste le dita, signorina Gertrude; non le toccate. — E che importa? Le mie mani non hanno mica pelle di guanto: sono lavabili con acqua e sapone. — La governante accettò con gratitudine l'aiuto della giovanetta, la quale sedette nel salotto da pranzo, e si mise all'opera. Intanto Bella e Rina facevano tutto il possibile per intrattenere piacevolmente il signor Bruce, che seduto sulla scalinata dell'ingresso, con la testa appoggiata a un pilastro del portico, lanciava ogni tanto un'occhiatina verso l'atrio, e su per la scala, nella dolce speranza di veder riapparire Gertrude. Infine, non contandoci più, stava per accomiatarsi, quando sua sorella Fanny entrò dal cancello, e attraversato di corsa il cortile passò davanti al trio, precipitosamente, con l'intenzione di salire in casa difilato. Ma Ben stese un braccio, la colse a volo, e le sussurrò qualche parola all'orecchio prima di lasciarla andare. — Chi è cotesta piccola selvaggia? — domandò Rina Ray, mentre Fanny spariva nell'atrio come un baleno. — Mia sorella, — rispose il giovane col suo tono di noncurante indolenza. — Davvero? — disse vivamente la fanciulla. — La vidi qui altre volte, ma non feci attenzione a lei. Non sapevo che fosse _vostra_ sorella. Che bella ragazzina! — Vi pare? — fece Ben. — M'incresce di non poter dire come voi. Secondo me è uno spauracchio. — Fanny ricomparve, si fermò un momento a piè di scala, e gridò senza cerimonie: — Dice che non può venire perchè è occupata. — Chi? — le chiese Rina afferrandola a sua volta e trattenendola. — La signorina Flint. — Il viso di Ben si tinse d'un lieve rossore che non isfuggì a Bella Clinton. Rina domandò: — E che sta facendo? — Monda le fragole. — Dove vai, Fanny? — disse alla ragazzina il fratello. — Di sopra. — Hai dunque il permesso di girare per tutta la casa? — La signorina Flint m'ha detto che posso andar a prendere gli uccelli. — Che uccelli? — I suoi. Metterò la gabbia al sole e canteranno stupendamente. — Corse su per le scale, e non tardò a ritornare con la gabbia contenente i minuscoli monias che Guglielmo aveva mandati da Calcutta. — To', Rina, devono essere quelli lì gli uccelli che ci destano tutte le mattine col loro schiamazzo! — esclamò Isabella. — È probabile, — disse Rina. — Fanny, portateli qui, vi prego. Vorrei vederli. Dio, che piccole creaturine! Guardate, signor Bruce.... Bellini, carini! — Posa la gabbia là, sulla soglia, perchè possiamo vederli meglio, — disse il giovane. — Temo che li spaventiate, — rispose Fanny. — La signorina Flint non vuole che si spaventino. — Sta' tranquilla, — replicò egli — tratteremo gli uccellini della signorina Flint coi più benevoli riguardi. Di dove li ha avuti? Lo sai? — Vengono dalle Indie orientali. Glieli mandò il signor Sullivan. — Chi è cotesto signore? — Un suo grande amico. Ella riceve spesso lettere da lui. — Quale signor Sullivan? — domandò Isabella. — Conoscete il suo nome di battesimo? — Credo sia Guglielmo, — disse Fanny. — La signorina Emilia chiama sempre questi uccelli i Guglielmini. — Bella! — esclamò Rina. — Gli è il _tuo_ Guglielmo Sullivan! — Che uomo fortunato! — fece Ben con accento sarcastico. — Proprietà d'una bellissima signorina, e grande amico di un'altra! — Non so che tu voglia intendere, — disse agramente Isabella alla cuginetta. — Il signor Sullivan è un giovane socio di mio padre, ma sono anni ch'io non lo vedo. — Fuorchè ne' tuoi sogni, Bella, — insistette l'altra. — Tu dimentichi.... — La signorina Clinton pareva ora adirata sul serio. — Sognate il signor Sullivan, voi? — escì a dire Fanny piantandole gli occhi in faccia. — Voglio andar a domandare alla signorina Flint se accade anche a lei. — Brava, — disse Rina — vengo anch'io. — Attraversarono l'atrio correndo, apersero l'uscio della sala da pranzo, e fecero l'interrogazione ad una voce. Còlta così di sorpresa, Gertrude non arrossì nè si confuse; rispose tranquillamente: — Sì, qualche volta. Ma che ne sapete voi due del signor Sullivan? Perchè mi fate cotesta domanda? — Oh, per nulla! — rispose Rina. — _Anche altre persone lo sognano_, e facciamo un'inchiesta per sapere quante sono. — Richiuse l'uscio e tornò indietro di volo. — Gertrude Flint è stata più franca e sincera di te! — gridò alla cugina con aria di trionfo. — Era meglio confessare la tua piccola debolezza che arrossire e negar la verità! — Ma lo scherzo, a Bella, non garbava; n'era vivamente offesa, e non lo nascondeva. Il signor Bruce, impacciato e seccato, s'affrettò a lasciare che le due ragazze accomodassero la questione tra loro. Tosto ch'egli se ne fu andato, la signorina Clinton piegò il suo lavoro di ricamo, e con gran dignità salì nella sua camera, mentre Rina, la quale rideva ancora, si trattenne da basso, desiderando d'approfittare dell'occasione per stringere amicizia con Fanny Bruce. Questo desiderio nasceva dal fatto che le piaceva non poco il fratello, e ch'ella aveva concepito la tanto comune ma spesso erronea speranza d'avvantaggiare la propria causa entrando in dimestichezza con la sorella. Fors'anche l'induceva a questo passo l'aver osservato che Gertrude sembrava godere le simpatie dell'uno e dell'altra. Invitò dunque Fanny a sedere accanto a lei, le cinse la vita con un braccio, poi cominciò dal discorrere della signorina Flint, e indagare quali fossero le origini dell'intimità di questa con la famiglia Bruce, e se fosse più o meno grande di quanto pareva. La ragazzina, comunicativa per sua natura, l'informò, senza farsi pregare, delle circostanze che l'avevano condotta a legarsi così strettamente con una amica d'alcuni anni maggiore. — Anche vostro fratello la conosce da un pezzo, non è vero? — Sì, credo, — rispose Fanny in tono di noncuranza. — E a lui, piace? — Non so, ma penso che debba piacergli; come potrebb'essere diversamente? — Che v'ha sussurrato in un orecchio quando ci siete passata accanto sulla scalinata? — Ella non se ne rammentava lì per lì; ma avendole Rina ripetuto ciò ch'era venuta a riferire, non esitò a rispondere: — M'aveva detto di domandarle se non sarebbe tornata presto a intrattenersi un po' con lui, e di dirle che si tediava mortalmente ad aspettarla. — Rina sporse le labbra in atto di dispetto. — Vorrei sapere — ella ripigliò — se la signorina Flint usa ricevere visite qui, ed è trattata da pari a pari. — Ma sicuro! — la rimbeccò Fanny con prontezza. — E perchè no? È la più compita signorina ch'io abbia mai conosciuta. La mamma dice che le sue maniere sono finissime, e mi raccomanda di prenderle per modello. — In quella Gertrude, che era andata a mettere le fragole nella ghiacciaia, attraversava la parte posteriore del lungo atrio. La ragazzina la chiamò: — Signorina Gertrude, siete lesta? — Or ora vengo, Fanny, — rispose la giovane. — A far che? — interrogò di nuovo Rina. — A leggere, — disse la piccola Bruce. — Oggi essa leggerà alla signorina Emilia il rimanente dell'_Amleto_ di cui le lesse ieri i tre primi atti, ed io ho il permesso di star con loro, ad ascoltare. Ci capisco poco o nulla, quando lo leggo da me, ma sentito da lei diventa tutto piano. È una lettrice maravigliosa. Sono venuta apposta per udire la fine della tragedia. — Restata sola, Rina si stese sul sofà che era nell'atrio, e s'addormentò. Fu destata dalla signora Graham, la quale arrivava da Boston poco innanzi l'ora d'andare a tavola, e trovatala lì a dormire,, ancora in veste da mattina, la scosse per un braccio e le disse con quella sua voce che ad onta delle migliori intenzioni non poteva essere se non grossa e rude: — Su, su, Rina Ray, svegliati e va' a vestirti per il pranzo! Ho veduto alla finestra Bella già pronta e veramente splendida. Vorrei che ti dessi anche tu un po' di cura d'abbellirti, di comparire! — Ella sbadigliò, e, col suo comodo, obbedì all'ordine della zia. Era sua politica, quando aveva offeso in qualche modo la cugina, contenersi come se ne fosse inconsapevole; Isabella dal canto proprio faceva bensì il broncio, ma lo smetteva presto, troppo essendole necessaria la sua compagnia. E così non tardavano a ritornare amiche più di prima. — Bella, — disse Rina, mentre si ravviava i capelli, allo specchio — ti rammenti quella ragazzetta che tutte le mattine nell'andare a scuola incontravamo in compagnia d'un vecchio paralitico? — Sì. — Io credo, sai, che fosse Gertrude Flint. Ha fatto un gran cambiamento, sicuro: ma i lineamenti sono sempre gli stessi, e certo non c'è al mondo un altro par d'occhi come quelli. — Non dubito punto che sia la medesima persona, — rispose Isabella freddamente. — L'avevi già pensato? — Sì, quando Fanny ha detto che conosce Guglielmo Sullivan. — E perchè l'hai taciuto? — Oh Dio, Rina, io non m'appassiono tanto per lei, come te e qualcun altro! — Chi altro? — Isabella a sua volta punzecchiava la cuginetta. — Il signor Bruce, bambina. O non vedi ch'è mezzo innamorato di lei? — No, non lo vedo, punto. Si conoscono da molto tempo, così mi ha detto Fanny, ed è naturale che tratti con gentilezza e con rispetto una ragazza tenuta dai Graham in tanto conto. Ma non credo davvero ch'egli voglia prendersi d'amore per una che, oltre l'esser povera, non ha nemmeno una famiglia. — Forse infatti _non vorrebbe_. — E _non è_. Gertrude Flint non fa per lui. Egli ha frequentato molto il bel mondo non solo a Boston ma a Parigi, e gli si conviene una moglie di spirito gaio, amante della buona compagnia, che sappia spendere e figurare. — Dici bene.... Una Rina Ray, per esempio. — Questa è ridicola, Bella!... Parrebbe che non si possa parlare senza pensar a sè stessi! Che me ne importa a me di Ben Bruce? — Io non so se te ne importi: ma so che non mi strapperei i capelli a proposito di lui, come fai tu in questo momento. Suona la campana per il pranzo, e tu sarai in ritardo, al solito. — XXVIII. Dalla natura sua, savia, sincera, Schiettamente leale, a lei deriva La dignità ch'è salda come un centro. LOWELL. Il crepuscolo di quel medesimo giorno trovò Gertrude ed Emilia sedute a una finestra che s'apriva verso ponente e dominava una magnifica veduta. La giovanetta descriveva alla sua amica cieca il pomposo spettacolo offerto dai cumuli di splendide nuvole tinte di porpora e d'oro; questa, ascoltando la maravigliosa descrizione dell'aspetto assunto dalla natura nell'ora più cara ad entrambe, partecipava al godimento della compagna. Lentamente la gloria del tramonto svanì. Solo una lunga striscia d'oro pallido listava ancora l'orizzonte, mentre le stelle spuntavano ad una ad una, e sembravano guardare entro quella finestra con un sorriso di saluto. Nel salotto terreno c'era gente venuta di città: suoni di voci allegre e di risa salivano portati dalla brezza vespertina, ma così addolciti per la lontananza che contrastavano con la quiete della camera senza turbarla. — Dovresti scendere, Gertrude, — disse Emilia. — Pare che si divertano, e mi farebbe piacere sentire le tue risa fra quelle degli altri. — No, no, cara, sto più volentieri con voi; — rispose la fanciulla — costoro sono quasi tutti estranei per me. — Come vuoi, figliuola; ma mi rincresce tenerti appartata dalla gioventù. — Non potreste mai tenermi in vostra compagnia più a lungo di quanto io desideri starci; sapete che vi preferisco ad ogni altra persona. — E ripresero la loro conversazione che, sebbene misurata e calma, non mancava d'amenità, e neppure d'arguzia. Furono interrotte da Caterina mandata dalla signora Graham ad annunziare la visita della signora Bruce, la quale desiderava salutare Emilia. — Bisogna dunque ch'io scenda, — disse la cieca. — Vieni anche tu, Gertrude? — No, non vorrei, salvo che non abbia chiesto di me. Caterina, m'ha menzionata, la signora Graham? — Ha «minzionato» soltanto la signorina Emilia, — rispose la ragazza. — Allora resto qui. — Emilia non insistette e andò senza di lei. Ma poco dopo il campanello della porta di casa squillò di nuovo. Pareva una serata di ricevimento. E questa volta Gertrude fu invitata espressamente a scendere, perchè il dottor Jeremy e la sua signora volevano vederla. Il salotto era pieno quand'ella entrò; non rimaneva una seggiola libera. Tutti gli occhi si fissarono sulla giovanetta che si presentava inaspettata dai più, e sola. Al contrario di ciò che s'attendevano Isabella e Rina, le quali l'osservavano curiose, ella non mostrò pur ombra d'impaccio nè di goffaggine: ma girato placidamente lo sguardo di gruppo in gruppo finch'ebbe scoperto la signora Jeremy, attraversò la vasta sala con la grazia che la distingueva, e altrettanta franchezza e disinvoltura che se non ci fosse stato nessuno. Salutò la signora, cordialmente come sempre, poi si volse in cerca del dottore. Questi sedeva nel vano d'una finestra, con Fanny, mezzo nascosto dalla tenda. Prima ch'egli potesse venire a lei, la signora Bruce le diresse un cenno amichevole, da un angolo nella parte opposta della stanza. Ella andò a stringerle la mano. Ben, il quale si trovava lì presso in un circolo di signorine e giovanotti eleganti, ed era così assorto nello spiare ogni sua mossa che lasciava senza risposta una domanda di Rina Ray, s'alzò prontamente e le offerse la seggiola dicendo: — Sedete qui, signorina Gertrude, ve ne prego. — Grazie, — ella rispose — ma vedo là il mio buon amico dottor Jeremy, che m'aspetta; non vi disturbate dunque.... — Il dottore le venne incontro fino a metà della sala, le prese tutt'e due le mani, e la condusse nel vano della finestra dove la fece sedere al posto prima occupato da lui accanto a Fanny. Allora Ben Bruce, con grande stupore di quanti lo conoscevano, gli portò la propria seggiola, collocandola di faccia a Gertrude. Nessuno avrebbe creduto capace di tanto rispetto per l'età canuta quello zerbinotto che vantava la sua educazione moderna. — È forse una figlia del signor Graham? — domandò a Isabella Clinton una giovanetta seduta vicino a lei. — Oh, no! — rispose questa. — È una ragazza che la signorina Graham ha fatto educare, e ora tiene seco: una specie di lettrice e damigella di compagnia. Il suo nome è Flint. — Come dite che si chiama quella signorina? — domandò un galante ufficialetto sporgendosi verso Isabella. — Signorina Flint. — Flint.... Ah, una graziosa persona, assai fine! Con che gusto originale s'acconcia i capelli! — Sì, quella pettinatura dona molto al suo tipo, — osservò la giovanetta che aveva interrogato per la prima la nipote della signora Graham. — Non vi sembra? — Non saprei, — rispose il tenente. — Ma qualche cosa le dona certo, perchè ha un aspetto piacentissimo. Bruce, — egli soggiunse rivolgendosi a Ben che ritornava dopo aver compiuto il suo straordinario sforzo di gentilezza — chi è cotesta signorina Flint? Sono stato qui altre volte, ma non l'avevo mai veduta. — Non ve ne maravigliate. Si mostra di rado, — disse quegli. — Carina, eh? — Ha una bella figura, ma non mi sono ancora fatto una chiara idea di lei. Prima di tutto, chi è? — Una specie di figlia adottiva del signor Graham, credo.... una protetta della signorina Emilia. — Ah, poverina! Un'orfana? — Sì, m'immagino, — mormorò Ben mordendosi le labbra. — Peccato! Poverina! — riprese l'altro. — Ma avete ragione, Ben, è carina assai, segnatamente quando sorride; v'è un non so che d'attrattivo nel suo viso. — V'era senza dubbio per Ben Bruce, perchè pochi minuti dopo Rina s'avvide ch'egli non era più nel salotto, e lo scoperse affacciato dal portico alla finestra nel cui vano sedevano il dottore, Gertrude e Fanny, discorrendo con loro. La conversazione era animatissima: pareva ci fosse una battaglia di frizzi fra gl'interlocutori; il vecchio medico rideva forte, e le due ragazze spesso gli facevano eco. Rina sopportò finchè potè, poi con atto risoluto attraversò a rapidi passi la sala, e s'unì al loro gruppo, curiosa di conoscere la causa di tanta ilarità. Ma per lei era un enigma: si parlava d'un buffonesco berretto con una lunga nappina, e di pisoli sull'erba nelle ore pomeridiane; il dottor Jeremy faceva bizzarre allusioni a un vecchio pero, a trappole tese ai ladri, e altre ancora che ricordavano a Gertrude le circostanze del suo primo incontro con lui e col giovane Bruce. La signorina Ray cominciava a comprendere che essendole il soggetto del discorso affatto estraneo, ella aveva un po' l'aria di un'intrusa; ma Gertrude accortasi del suo impaccio l'invitò gentilmente a sedersi, facendole posto accanto a sè, e disse: — Il dottore parla del tempo ch'egli, o se vuole, che _noi_, lui ed _io_, s'andava a rubare frutta nell'orto della signora Bruce, dove il signor Bruce ci colse in flagrante. — Volete dire, mia cara, — l'interruppe Jeremy — che noi cogliemmo il signor Bruce. Credo che s'io non l'avessi risvegliato così energicamente, questo giovanotto dormirebbe ancora! — Certo, quel primo nostro incontro fu il più gran risveglio della mia vita! — disse Ben parlando in apparenza al dottore, ma rivolgendo a Gertrude uno sguardo significativo. — E non mi costò un pisolo solo.... Quanto mi dispiace, signorina, che abbiate cessato di coltivare le vostre aiuole, come allora! Di grazia, perchè mai? — La signora Graham ha fatto rimodernare tutto il giardino, e il nuovo giardiniere non ha bisogno de' miei servigi nè li desidera. Egli ha i suoi metodi e i suoi disegni: non m'è lecito di competere con un professore dell'arte. Io non farei che guastare. — Ma io invece dubito che i risultati ottenuti da lui siano altrettanto felici. Non vedo più la quantità di bei fiori che c'era nelle stanze a tempo _vostro_. — A lui non piace coglierli come piaceva a me. Io desideravo ornare di fiori l'appartamento anzichè curarmi dell'apparenza del giardino; il giardiniere ha idee affatto opposte alle mie. — Rina diresse al signor Bruce alcune domande sul soggetto del giardinaggio, e il dottore continuò a discorrere animatamente con Gertrude, finchè la signora Jeremy si levò per accomiatarsi ed avvicinatasi alla finestra disse: — Dottor Jerry, avete dato a Gertrude la sua lettera? — Oh, povero me! — esclamò il dottore. — Per poco non l'ho dimenticata.... — Frugò nelle sue tasche e tirò fuori una busta coperta di francobolli d'ogni colore che ne denotavano la provenienza esotica. — Guardate, Gertrude, roba di Calcutta, genuina. — Ella prese la lettera, e ringraziò il dottore, palesando con l'espressione del suo viso ch'era lieta di riceverla; quel piacere però si velava di mestizia, perchè non le erano pervenute ancora se non una volta sola notizie di Guglielmo dopo ch'egli aveva saputo la morte della madre, e il suo scritto era stato uno sfogo di dolore così veemente, che la vista de' suoi caratteri quasi le faceva male, prevedendone ella un altro non meno disperato. Il signor Bruce, che la fissava aspettandosi di vederla mutar colore e conturbarsi nel ricevere quella lettera in presenza di tanti testimoni, fu tranquillato dalla compostezza con cui essa la tolse dalla mano del dottore e la tenne, senza dissimularla, nella propria, mentre salutava lui e la signora. Ella li accompagnò fino alla porta di casa, poi s'avviò per salire alla sua camera; ma a piè della scala incontrò il giovane, il quale, indovinata la sua intenzione, era venuto in fretta dal portico raggiungendola nell'atrio, a tempo per impedirle il passo. — È dunque una lettera molto importante, — diss'egli — giacchè private la compagnia della vostra gradita presenza per l'ansietà di conoscerne il contenuto. — È d'un amico delle cui notizie sono infatti ansiosa, — ella rispose gravemente. — Vogliate, prego, scusarmi con vostra madre, se chiede di me; quanto agli altri ospiti, io sono per loro un'estranea, e nessuno s'accorgerà della mia assenza. — Oh, signorina Gertrude, è inutile venir qui per vedervi; siete per lo più invisibile.... In qual parte del giorno c'è maggior probabilità di trovarvi libera da impegni? — Quasi in nessuna. Sono oltremodo occupata, io. Ma signor Bruce, non voglio più tenervi lontano dalle altre signorine.... Buona notte! — E Gertrude così dicendo corse su per le scale, lasciando Ben incerto se stizzirsi contro di lei o contro sè medesimo. All'opposto di quanto la fanciulla s'immaginava, la lettera di Guglielmo lenì il dolore ch'ella aveva anticipatamente provato pensando a lui. La morte del nonno, e specie quella della madre, perdita ben più grave, avevano così profondamente abbattuto l'animo del giovane, che la prima sua risposta alle comunicazioni di Gertrude era stata scritta in un tono di scoramento e d'angoscia tale, da spaventarla, da farle temere perfino che la cristiana virtù della fortezza gli fosse venuta meno sotto il peso della doppia sventura. Fu dunque un grande sollievo per lei il vedere che egli adesso scriveva con maggior calma. S'era preso a cuore l'ultima preghiera della madre in cui ella lo esortava a sottomettersi ai voleri di Dio, e quantunque sempre intensamente afflitto, andava acquistando pazienza e rassegnazione. Ma in questa lettera non parlava a lungo di sè e del proprio cordoglio. Le tre pagine coperte di fitti caratteri erano quasi tutte dedicate a Gertrude. Con fervide parole egli le manifestava la sua gratitudine per l'attiva bontà e l'amore con cui ella aveva rallegrato e confortato gli ultimi giorni de' suoi cari, e pregava il Signore di benedirla, e ricompensarla della abnegazione e della sua costanza. Chiudeva dicendo: «Tu sei tutto quanto mi resta al mondo; le mie speranze, le mie fatiche, le mie orazioni, sono per te sola. Se prima t'amavo, Gertrude, ora mi sento avvinto a te da un vincolo più forte d'ogni legame terreno. Mi conceda il Cielo di potere un giorno rivederti!» Per più di un'ora, dopo finito di leggere, ella rimase assorta nelle sue meditazioni. Ritornava col pensiero alla casa dello zio True divenuta la sua, ai giorni in cui Guglielmo e lei passavano insieme, da buoni compagni, tante ore felici e non si sognavano nemmeno la lunga separazione che doveva seguire così presto; riandava nella memoria gli eventi successivi che l'avevano recata alle sue condizioni odierne. Le voci dei visitatori che s'accomiatavano la scossero dalla sua fantasticheria. La signora Bruce ed i suoi figliuoli si trattennero ancora finchè furono partite le carrozze con gli ospiti venuti dalla città, e nell'atto che, fermi sotto la finestra di Gertrude, salutavano la signora Graham, questa disse: — Rammentatevi, signor Bruce, noi pranziamo alle due. Verrete anche voi, spero, signorina Fanny. Conto poi su tutt'e due per la nostra gita. — Dunque, Ben Bruce, uno dei prossimi giorni pranzerebbe in casa Graham; Gertrude udì, e i suoi pensieri, abbandonando il passato, si concentrarono nel presente. Le attenzioni del giovane per lei erano state osservate quella sera; ed ancor più l'ammirazione che egli aveva trovato modo di manifestarle coi complimenti sussurrati al suo orecchio. Nè questa nè quelle erano cercate o desiderate dalla fanciulla, che, d'alta mente e aliena d'ogni civetteria quale era, non se ne sentiva affatto lusingata; anzi l'offendeva nel suo rispetto di sè stessa l'aria presuntuosa e sicura con cui le faceva la corte. Giovanetto diciassettenne, lo aveva giudicato indolente e ineducato. Il suo senso di giustizia tuttavia l'avrebbe fatta recedere da questo giudizio se quando la loro conoscenza s'era rinnovata, dopo alcuni anni, egli avesse mostrato un mutamento vantaggioso nel carattere e nelle maniere. Ma così non era, nè l'esteriore politezza data dall'uso del mondo e dalla studiata eleganza poteva abbagliare il discernimento di Gertrude: ella aveva quindi presto avvertito che gli antichi difetti permanevano, rafforzati, anzi, e posti in rilievo da una mal celata vanità. Adolescente, egli aveva fissato la fanciulla con insistenza, per sfrontatezza, e chiesto il suo nome per curiosità oziosa: giovane bellimbusto, voleva amoreggiare con lei perchè il tempo gli pesava e non sapeva che fare di meglio. Ma con somma sua maraviglia Ben Bruce aveva trovato che la «campagnuola», com'egli soleva chiamarla avendola sempre veduta in campagna, era totalmente insensibile alle sue lusinghe, alla sua preferenza ambita da più d'una bellezza cittadina. Ella pareva non curarsi dell'ammirazione che le tributava, e s'egli ricorreva ai motti pungenti aveva la peggio. Se la cercava, come soleva quando ella coltivava il suo giardino, non giungeva a distrarla dal suo lavoro nè a trattenerla dopo finito; se l'incontrava per via e s'accompagnava a lei lasciandole scorgere nella sua fatuità che presumeva di farle un grande onore, ella opponeva alle stucchevoli adulazioni un contegno fermamente dignitoso; quando poi egli arrischiava qualche complimento più diretto, lo pigliava nel senso d'uno scherzo e ribatteva con tanta giocosità e tanta arguzia, da suscitare nell'opaco spirito del povero Ben il dubbio d'essersi reso ridicolo. E ciò non perchè Gertrude si compiacesse nel ferire i sentimenti d'un uomo disposto ad amarla, ma perchè comprendeva ch'egli non era sincero, e il suo nobile orgoglio non tollerava di venir preso a giuoco. Era una cosa nuova per Ben Bruce il vedere una signorina indifferente a' suoi meriti; e la sua ambizione ne fu stimolata al punto, ch'egli si propose di guadagnarsi ad ogni costo le grazie della fanciulla. Non trascurava dunque nessuna occasione di trovarsi con lei. Ma mentre si sforzava di conquistarla, rimase còlto egli stesso nel proprio laccio; poichè pur non riuscendo a destare simpatia in Gertrude, non poteva essere insensibile anche lui a' suoi pregi. Perfino la comparativamente ottusa intelligenza di Ben arrivava a riconoscere la grande superiorità di quella giovanetta sulla maggior parte delle sue coetanee, a sentire nella sua vivace originalità, in contrasto con l'insipida vita mondana, un incanto che finì col vincerlo. L'ardore e la perseveranza del giovane nel manifestarle la sua ammirazione avevano già cominciato ad importunarla quando, sul principio dell'autunno, ella aveva lasciato la casa del signor Graham; s'era perciò rallegrata udendo, poco appresso, che egli accompagnava sua madre a Washington, e sarebbe stato assente parecchi mesi. Ben, invece, si staccò a malincuore da Gertrude; tuttavia, in mezzo alla spensierata gaiezza delle città meridionali, trovò modo d'ingannare il tempo abbastanza piacevolmente. Si ricordò di lei incontrandosi alla Nuova Orléans coi Graham e la loro compagnia: anzi, bisogna dire ad onore del suo criterio, che più la comparava con le vane figlie della moda, e più alto ella saliva nella sua stima. Glielo aveva detto senza esitare, rivedendola per la prima volta, la mattina che con grande maraviglia delle due cugine era venuto ad accompagnarla fino a casa: e da allora la crescente passione delle sue parole e delle sue maniere, in cui appariva una sincerità che vi mancava per l'innanzi, impensieriva la fanciulla. Ella risolse pertanto quella sera d'evitare il signor Bruce in ogni possibile occasione; ma dovette bentosto persuadersi che non era facile. Il giorno seguente il signor Graham ritornò di città verso mezzogiorno e andò a sedere nell'atrio dove stavano, al solito, le due signorine; poi, spiegato il suo giornale, lo porse a Rina chiedendole di leggergli le notizie. — Che debbo leggere? — domandò ella prendendo il foglio, piuttosto di mala voglia. — L'articolo di fondo, prego. — Rina voltò e rivoltò le pagine del giornale, le scorse in fretta con l'occhio, e dichiarò che non sapeva quale articolo fosse quello. Il signor Graham la guardò attonito, e le additò in silenzio la colonna desiderata. La ragazza incominciò, ma aveva appena letto alcune righe ch'egli l'interruppe dicendo con impazienza: — Meno furia! Non arrivo ad afferrare una parola! — Ella cadde nell'eccesso opposto, strascicando le sillabe, così intollerabilmente da farsi interrompere di nuovo dal suo uditore, il quale le ordinò di dare il foglio a Isabella. Questa lo prese dalle mani dell'imbronciata Rina, e finì di leggere l'articolo, non però senza essere due o tre volte ammonita a pronunziare in modo più intelligibile. — Desiderate qualche altra cosa, signore? — ella domandò. — Sì, ti prego, cerca le notizie marittime, e leggimi la lista dopo i piroscafi. — Più fortunata di sua cugina, Bella trovò subito il posto, e lesse: «A Canton, aprile 30, nave mercantile Anna Maria, Ray, s. c. r. n. t....» O che significa? — Scaricante, s'intende. Avanti. — Bella seguitò a compitare con aria perplessa due o tre altre enigmatiche abbreviazioni, finchè il signor Graham quasi le strappò di mano il giornale mormorando: — Stupida! Non saper leggere le notizie marittime! Dov'è Gertrude? Dov'è Gertrude Flint? Quella è la sola ragazza capace a qualche cosa ch'io abbia mai veduta.... Rina, fa' il piacere d'andare a chiamarla. — Sebbene alquanto riluttante, Rina andò, e disse a Gertrude ciò di cui era richiesta. Ella ne fu stupita; da quando aveva resistito alla volontà del vecchio signore mantenendo con fermezza il suo proposito di lasciare la casa, egli non le aveva più chiesto di fargli la consueta lettura. Nondimeno obbedì sollecitamente alla sua chiamata, e sedutasi nella poltrona accanto alla porta, abbandonata da Isabella, cominciò dalle notizie marittime, e senz'altre domande passò d'articolo in articolo nell'ordine che sapeva preferito dal signor Graham. Sdraiato nel suo ampio seggiolone, di faccia a un'ottomana su cui poggiava il piede gottoso, egli pareva quanto mai sodisfatto, e quando Bella e Rina furono salite nella loro camera, osservò:, — Non sembra d'essere tornati ai giorni antichi, eh, Gertrude? — Poi chiuse gli occhi, e di lì a pochi minuti il suo respiro profondo e regolare avvertì la giovanetta ch'egli s'era addormentato. Visto che non le sarebbe stato possibile passare senza rischio di destarlo, ella posò il giornale, e si chinò per prendere dalla sua tasca un lavoretto, giacchè ben di rado rimaneva un momento oziosa. In quell'atto notò sulla soglia un'ombra, e alzando il viso si vide davanti proprio la persona che s'era proposta d'evitare. Il signor Bruce la fissava con la sua aria indolente d'uomo sicuro di sè, da cui sempre tanto si sentiva offesa. Egli teneva in una mano un mazzo di rose reggendolo in modo da presentarlo alla sua ammirazione. — Bellissime! — ella disse gettando uno sguardo ai ramicelli carichi d'una lussureggiante fioritura di rose muscose ancora in bocciuolo: ve n'erano di porporine e di bianche. Parlava a voce sommessa temendo di rompere il sonno del signor Graham. Egli abbassò la sua fino a un mormorio appena percettibile per dirle, mentre faceva oscillare le rose sul capo di lei: — Le credevo belle quando le ho còlte, ma adesso il paragone le fa scomparire. — E guardava espressivamente le gote della fanciulla. Questo vieto complimento, parve a Gertrude oltremodo insulso, venuto dalla bocca del signor Bruce. Ella si rizzò, per uscire dalla porta della facciata, dicendo: — Attraverso il portico e mando a dire alle signore che siete qui. — Oh, no, ve ne prego! — fece egli sbarrandole il passo. — Sarebbe una crudeltà. Io non ho il minimo desiderio di vederle. — Il suo gesto era così risoluto, che Gertrude si trovò costretta a ritrarsi dalla soglia e sedere di nuovo. Ma nel farlo una viva contrarietà si mostrava nel suo viso. Tolse di tasca un lavoro di cucito e vi si applicò. Ben Bruce trionfava. E tentò d'approfittare della vittoria: — Signorina Gertrude, volete farmi l'onore di portare oggi questi fiori nei capelli? — Io non porto fiori vistosi, — ella rispose senza levar gli occhi dalla mussolina che cuciva. Egli s'immaginò che fosse a cagione d'un lutto, perchè ella indossava un semplicissimo abito nero, e scelti tutti i bocciuoli di rose bianche glieli offerse pregandola di ornarne per amor suo quei serici capelli bruni con cui il loro candore avrebbe fatto un mirabile contrasto. — Vi sono obbligatissima, — disse Gertrude — non ho mai veduto rose più belle, ma io non sto punto sulle gale, lo sapete, e credetemi, dovete scusarmi. — Sicchè voi rifiutate i miei fiori? — Ma no, li accetto con piacere, — ella replicò, rizzandosi — se mi permettete d'andar a prendere un vaso d'acqua e metterli nel salotto dove tutti potremo goderli. — Io non li ho recisi e portati qui a benefizio dell'intera famiglia, — replicò Ben, con tono quasi di risentimento. — Se voi non volete ornarvene, li offrirò a qualcuno che lo farà volentieri. — Egli pensava che questa minaccia la spaventerebbe, perchè la sua vanità era tale, che ascriveva il contegno della fanciulla a mèra civetteria, e posto che in altri casi simili esso non aveva potuto se non aumentare la sua ammirazione per lei, lo credeva dettato dal desiderio di produrre quest'effetto. — La punirò, — disse in cuor suo, rifacendo accuratamente il suo mazzo di rose, col proposito di presentarlo a Rina la quale senza dubbio sarebbe stata lieta di riceverlo. — Dov'è Fanny, oggi? — domandò Gertrude, premendole di mutare discorso. — Non so, — rispose Ben secco secco, per significare che non aveva nessuna voglia d'intrattenersi su Fanny. Seguì un breve silenzio, durante il quale egli stette a fissare le dita della fanciulla intenta a cucire. — Come siete assorta nel vostro lavoro! — disse infine. — Non alzate gli occhi un momento.... Vorrei essere attraente come quel pezzo di mussolina! — E io vorrei che foste altrettanto innocuo! — pensò ella. — Non vi date gran pena per far passare piacevolmente il tempo a un ospite venuto col solo fine di vedervi. — — Credevo che veniste perchè invitato dalla signora Graham. — E non dovetti corteggiare Rina un'ora buona, per ottenerlo, l'invito? — Se l'avete carpito con inganno non meritate che vi si faccia festa, — ella ribattè, sorridendo. — È molto più facile piacere a Rina che a voi, — osservò egli. — Rina è molto affabile e graziosa. — Sì, ma io non darei un vostro sorriso per.... — Gertrude l'interruppe: — Ah, una visita! È una nostra vecchia amica.... Lasciatemi passare, vi prego, signor Bruce. — Mentre parlava, il cancello del cortile era stato aperto e richiuso, e il giovanotto, voltatosi a guardare in quella direzione, vide venire innanzi la signora a cui Gertrude era così ansiosa d'andare incontro. — Non abbiate tanta fretta d'abbandonarmi, — egli disse. — Quella piccola centenaria, che a quanto sembra vi procura una grande sodisfazione con la sua comparsa, ci metterà mezz'oretta ad arrivare fin qui camminando del suo passo! — È una vecchia amica, vi ripeto, bisogna ch'io vada a riceverla. — L'aspetto di Gertrude s'era fatto serio. Il giovane si vergognò d'insistere più oltre nella sua incivile opposizione, e, rizzandosi, lasciò libera la soglia che ingombrava. La signorina Marta Pace, giacchè era lei la vecchietta che faticosamente attraversava il cortile, vedendo la fanciulla diede segni di viva gioia, e si mise ad agitare con gesto teatrale un enorme ventaglio di penne, suo favorito modo di saluto. Quando questa le fu presso, ella le prese tutt'e due le mani e si trattenne un poco a discorrere; poi proseguirono insieme verso la casa dove entrarono dalla porta di dietro. Ben, deluso, capì ch'era inutile aspettare il ritorno di Gertrude, e si diresse verso il giardino nella speranza d'attirare l'attenzione di Rina. Il signor Bruce era troppo fidente nel potere della ricchezza e d'un grado elevato nel bel mondo, perchè non si tenesse sicuro che l'orfana sarebbe pronta ad accettare come un'insperata fortuna il suo nome e il godimento del suo patrimonio, se glieli avesse offerti. Per quanto fredda, per quanto disdegnosa ella gli si mostrasse, nulla gli avrebbe fatto ammettere che una ragazza senza famiglia e senza un centesimo, volesse lasciar perdere una tale occasione di collocarsi. Più d'una madre fornita di prudenza e mondana saviezza aveva cercato la sua amicizia; più d'una signorina, anche tra quelle di cospicuo parentado, e ricche, aveva gradito le sue attenzioni; e persuaso com'egli era che col molto denaro da lui posseduto poteva comperarsi per isposa la fanciulla preferita, chiunque ella fosse, gli sarebbe parsa risibile l'idea che Gertrude si stimasse al di sopra delle altre. Egli non era tuttavia risoluto al grave passo di una deliberata rinunzia ai numerosi vantaggi di cui godeva. S'era proposto di conquistare la considerazione e l'amore della ritrosa giovanetta, e benchè ne fosse preso più che non credesse, per ora non mirava ad altro. Costretto a riconoscere di non aver fatto breccia fino a quel momento, meditava di ricorrere a una tattica diversa, e, con un egoismo e una bassezza troppo comuni, s'appigliò a un artifizio che, se conseguiva il suo fine, doveva cagionare la mortificazione, e forse l'infelicità d'una terza persona. Appunto col disegno di fare la corte a Rina per ingelosire Gertrude, egli si dirigeva verso il giardino dove si confidava che la sua presenza l'avrebbe attirata. Oh, quale vergognoso e colpevole inganno! Rina già era inclinata ad amare Ben Bruce, e il suo cuore tanto tenero e anche tanto credulo, la disponeva a cader vittima della duplicità di costui. XXIX. È questo il mondo che ammiriamo? Questa L'umanità che chiamasi civile? ANNA MORE. Mentre, mezz'ora innanzi il pranzo, la signora Graham, le sue nipoti, Ben e Fanny Bruce, e il tenente Osborne, sedevano nel salotto, la sovrastante camera d'Emilia risonava di un'allegria che pungeva la loro curiosità. Non un'allegria clamorosa o sguaiata, ma schietta. Si distinguevano le risate argentine di Gertrude, a cui Emilia stessa univa in qualche scoppio le sue. Ed alle loro voci si mescolava una terza, oltremodo strana. Rina Ray corse due o tre volte alla porta anteriore dell'atrio per udir meglio, e indovinare il soggetto di quell'ilarità cordiale; l'ultima, rientrò annunziando che Gertrude scendeva con la regina delle streghe. Gertrude aperse l'uscio chiuso di colpo da Rina dietro a sè, e fece entrare la signorina Marta Pace, la quale s'avanzò a passettini misurati e minuti verso la signora Graham, e si fermò davanti a lei con una profonda riverenza. — Come state, signora? — disse questa, che quasi sospettava Gertrude d'averle fatto una burla. — La padrona di casa, m'immagino, — disse la signorina Marta. L'altra confermò il proprio diritto a quel titolo. — Una signora maestosa! — mormorò la bizzarra vecchietta a Gertrude, ma in modo d'essere udita, e spiccicando le sillabe con l'enfasi che le era particolare. Poi si rivolse a Bella Clinton, che cercava di nascondersi nell'ombra d'una tenda, e avvicinandosi a lei con le mani alzate in atto di stupore, esclamò: — La signorina Isabella, com'è vero ch'io godo la luce del giorno! E radiosa come un'aurora! Bontà celeste! S'è mai prodigiosamente espanso il fiore della vostra bellezza! — La fanciulla aveva riconosciuto Marta Pace non appena comparsa nel salotto, ma nel suo sciocco orgoglio si vergognava di passar per familiare d'una persona così eccentrica, e avrebbe voluto fingere di non sapere chi ella fosse. Non glielo permise Rina, la quale venne avanti dicendo forte: — O, signorina Pace, di dove siete capitata? — La vecchietta le strinse le mani con aria estatica: — _Voi dunque mi riconoscete_, signorina Caterina! Iddio versi le Sue benedizioni sul vostro capo per la memoria che serbate d'una vecchia amica! — Certo, v'ho riconosciuta alla prima occhiata! Non vi si dimentica facilmente, voi.... Bella, non ravvisi la signorina Marta? Eppure io la vidi sempre in casa tua.... — Ah, è lei? — disse la superbiosa, mal tentando di far credere ch'ella in realtà non aveva ravvisato una persona che visitava spesso i suoi genitori, un tempo, ed era da loro tenuta in molta stima. — Temo, — sussurrò udibilmente, come dianzi, Marta Pace, volgendosi a Rina — temo che in quel petto si celi un cuore orgoglioso! — Poi, senza mostrare d'accorgersi di Ben Bruce e del tenente ai quali voltava le spalle, soggiunse: — Galanti, a quanto veggo.... giovani galanti.... Vostri o suoi? — Rina, avvedutasi ch'essi avevano inteso e se ne divertivano, rideva dai precordi. — Oh, miei, signorina Marta, — rispose senza esitare — miei tutt'e due! — La vecchia zittella girò gli occhi intorno, e non trovando il signor Graham andò a domandare a sua moglie: — Signora, dov'è il novello sposo? — Un po' confusa, la signora Graham disse che suo marito sarebbe venuto tra poco, e l'invitò a sedersi. — No, grazie, vi sono obbligata, ma io ho uno spirito investigatore, e, col vostro permesso, ispezionerò la sala. Vedo volentieri tutto ciò ch'è moderno. — Ella incominciò dall'esaminare i quadri che ornavano le pareti. Ad un tratto si volse a Gertrude e domandò, abbastanza forte da essere distintamente udita: — Cara, dite un po', che ne hanno fatto della seconda moglie? — E poichè la fanciulla la guardava stupita, si spiegò meglio: — Oh, intendo parlare dell'effigie: so bene che l'originale se n'è partito dal mondo, or è gran tempo: ma l'effigie della seconda signora Graham dove sarà? Stava sempre appesa qui, se la memoria non mi tradisce. — Gertrude le mormorò all'orecchio la sua risposta, che provocò questo soliloquio della signorina Pace: — Nel solaio! Già, gli è il corso della natura: il nuovo oblitererà _fin la memoria_ dell'antico! — E presa la giovanetta a braccetto terminò con lei il suo giro d'ispezione; poi, fermandosi davanti al gaio crocchio che si divertiva a guardarla, chiese di far la conoscenza del signor Bruce e d'essere presentata al «membro del compartimento della guerra» come designava l'ufficiale. Rina compì con aria cerimoniosa questa formalità e presentò il tenente Osborne anche a Gertrude, perchè l'indignava la trascuranza di sua zia che aveva creduto di potersene dispensare. Fu portata una seggiola alla signorina Marta, e questa sedette nel circolo dei giovani, che seguitò a intrattenere piacevolmente fino all'ora del pranzo. Gertrude era risalita a prender Emilia per accompagnarla a tavola, dove il suo posto era accanto a lei. Occupata da un lato a servire la sua amica cieca, come sempre soleva, e avendo dall'altro la loquace vecchietta, non le rimaneva tempo di badare ad altri, con vivo rincrescimento del signor Bruce ch'era ansioso di farle notare le sue premure per Rina, la quale aveva i capelli ornati di rose muscose e il viso raggiante di sorrisi. Anche Isabella godeva della manifesta ammirazione del suo tenentino. Le due ragazze, felici, conversavano animatamente coi loro adoratori, e nessuno pensava a disturbarle. Soltanto la signorina Marta di quando in quando attirava l'attenzione generale con le sue osservazioni, che, volessero essere facete o serie, non mancavano di suscitare un'ilarità qualche volta fuori di luogo, ma sempre irresistibile. Il padrone di casa si mostrava pieno di riguardi verso quell'ospite singolare, e la signora, che sapeva render soavissime le sue maniere se le pareva opportuno, ed era amante degli spassi, nulla risparmiava per eccitarla a discorrere; tanto più che Marta Pace conosceva mezzo mondo, e faceva commenti appropriati e divertentissimi su quasi tutte le persone nominate nel corso della conversazione. Infine il signor Graham l'indusse a parlare di sè medesima e della sua vita solitaria: e Fanny Bruce che le sedeva a fianco le domandò arditamente perchè non si fosse maritata. — Ah, mia graziosa damigella, — rispose la vecchietta — viene per ognuna la sua ora, e anch'io posso ancora prendere un compagno! — Dovreste farlo, signorina Pace, — disse Graham che conosceva il suo punto debole. — Adesso avete un patrimonio, e vi converrebbe un marito per bene, che v'aiutasse ad amministrarlo saviamente. — Oh, io non posseggo che una minima porzione di ricchezze mondane, e non sono più nel primo fiore; — fece Marta — nondimeno conto di non rimaner sola: approvo il matrimonio, e ho già posto gli occhi sopra un giovanotto. — _Un giovanotto!_ — esclamò Fanny scoppiando a ridere. — Sicuro, signorina Francesca! — ella replicò. — Amo la gioventù, io, e tutto ciò ch'è moderno. Mi aggrappo alla vita, sì, mi aggrappo alla vita! — Ma certo, — osservò la signora Graham — la signorina Pace deve sposare un uomo più giovane di lei; qualcuno a cui possa lasciare i suoi averi se mai dovesse sopravviverle. — È vero, — rincalzò suo marito. — Presentemente, signorina, voi non sapreste in favore di chi fare un testamento, salvo che non vogliate nominare erede Gertrude: _ella_, credo, farebbe ottimo uso del vostro denaro. — Questa sarebbe per me una considerazione di gran peso, — disse la vecchia zittella. — Fremo all'idea che i miei piccoli risparmi vadano scialacquati. Ora, io so bene che di poveraglia ce n'è abbondanza, e che i legati fanno gola a molti: ma io non intendo largire il mio a gente di tal fatta. Credetemi, signore, nove decimi di costoro saranno _sempre poveri_, checchè facciate.... No, a questi nulla! Ho altre intenzioni. — Il signor Graham domandò, poi: — Che n'è della famiglia del generale Pace? — _Tutti morti,_ — rispose Marta vivamente — _tutti morti!_ Feci un pellegrinaggio alla tomba di quel ramo del parentado. Fu una scena mesta e commovente! — ella proseguì in tono patetico. — Sopra un tumulo erboso circondato da una ringhiera di ferro sorge un monumento bellissimo, di marmo bianco, _nel quale_ sono sepolti tutti quanti. E sul puro suo candore alabastrino spiccano incise queste lettere: PACE — Come dice cotesta epigrafe? — chiese la signora Graham, credendo di non avere ben udito. — _Pace_, signora, _Pace_: niente altro. — Per solenne che fosse il soggetto, i commensali rattenevano a stento le risa; e la padrona di casa, visto che Rina e Fanny erano in procinto di lasciarle scoppiare irrefrenabilmente, invitò le signore a levarsi da tavola dandone l'esempio. I signori, poco desiderosi di trattenersi, le seguirono nel vasto atrio che offriva un grato refrigerio durante le calde ore dei giorni estivi. La signorina Marta e Fanny Bruce costrinsero Gertrude a rimanere contro sua voglia con la compagnia, la quale pertanto non fu scemata se non della signora Graham a cui era difficile privarsi della sua siesta. L'originale vecchietta eccitava la curiosità degli astanti a segno tale, che le conversazioni particolari furono sospese per concentrare l'attenzione in ciò che diceva e faceva lei. Bella, invero, aveva sempre la sua aria un poco sprezzante, e si sforzava d'attrarre i pensieri del tenente Osborne verso altri soggetti, riuscendovi in parte: ma Rina si divertiva un mondo, e contenta che il signor Bruce le fosse accanto e godesse con lei del medesimo piacere, non cercava di meglio. Il discorso non tardò a cadere sugli abbigliamenti femminili e la moda, due temi favoriti di Marta Pace. Dopo essersi dilungata sul suo amore del bello, specie nell'arte della sarta e della modista, ella s'alzò da sedere con un gesto deliberato, andò a Isabella Clinton, l'unica che mostrasse di voler evitarla, e prese ad esaminare la stoffa del suo vestito; poi, la pregò di rizzarsi e permetterle di studiarne la fattura, dichiarando che la descrizione d'un così perfetto e moderno capolavoro sarebbe una festa per le orecchie delle sue amiche giovani. Ma la fanciulla si rifiutò di compiacerla; anzi, sdegnosamente, si scosse di dosso la mano della vecchia signora come se quel contatto la contaminasse. — Via, Bella, — le sussurrò la cugina — rizzati, non essere così dispettosa. — Perchè non ti rizzi tu e non le fai vedere il tuo vestito a benefizio delle sue volgari amiche? — A me non l'ha chiesto, ma lo farò ben volentieri se si contenta. — E Rina, tutta gaia e ridente, andò a piantarsi davanti a Marta, dicendo: — Signorina Pace, ammirate il mio abito finchè volete, e magari, se vi piace, prendetene un modello: sarò superba dell'onore. — Caso raro, l'abito di Rina era veramente bellino e degno d'osservazione. Marta fece i suoi commenti, e specie lodò quell'inutile e uggioso prolungamento della gonna ch'è lo strascico. Sodisfatta la sua curiosità, si volse a guardare se la seggiola da lei lasciata era sempre libera, poi cominciò a ritirarsi in quella direzione con un movimento retrogrado composto d'una serie di riverenze. Fanny Bruce, la quale occupava una seggiola vicina, notò ch'ella aveva calcolato esattamente quanti passi doveva fare per finire l'ultima riverenza sedendosi, e mossa da una maliziosa tentazione mise una mano sulla spalliera. Uno sguardo e un sorriso d'Isabella l'incoraggiarono; ella tirò la seggiola indietro, impercettibilmente, ma abbastanza da minacciare la sicurezza della vecchietta. Questa, cercando di posarvisi, perdette l'equilibrio, e sarebbe caduta se Gertrude, che vigilava, essendosi accorta delle intenzioni di Fanny, non fosse balzata verso di lei a tempo per gettarle un braccio intorno alla vita e metterla a sedere, incolume, non senza lanciare in quell'atto alla ragazzina un'occhiata di rimprovero. Tutta confusa, la piccola Bruce, rapidamente si voltò dall'altra parte, e per disgrazia pestò il piede gottoso del signor Graham, al quale il dolore strappò una viva esclamazione. — Fan, — le disse suo fratello che aveva veduto soltanto la seconda malefatta — vorrei che tu imparassi un po' di gentilezza. — E da chi ho da impararla? — lo rimbeccò Fanny con petulanza. — Da te, forse? — Ben parve adirato, ma s'astenne dal redarguirla. La vecchia zittella còlse la parola a volo. — Gentilezza! Ah, virtù rara, quanto amabile! Notevolmente sviluppata però nelle maniere della mia cara amica Gertrude, che ben si converrebbero a una principessa. — Bella increspò le labbra e sorrise, disdegnosa. — Tenente Osborne, — ella disse — non pare a voi che la signorina Devereux abbia bellissime maniere? — Perfette! Lo stile de' suoi ricevimenti è l'eleganza stessa. — Di chi parlate, — domandò Rina. — Della signora Harry Noble? — No, della signorina Devereux, — rispose Bella. — Ma anche la signora Noble è finissima. — È vero, — confermò Ben. — Senti, Fanny? Abbiamo trovato un modello per te. Tu devi imitare la signora Noble. — Io non so nulla di cotesta signora, — ribattè la ragazzina. — Voglio imitare piuttosto la signorina Flint. — E rivolgendosi a questa con una serietà che le esprimeva chiaramente un sincero rincrescimento della villania commessa, domandò: — Signorina Gertrude, come _devo_ imparare la gentilezza? — Vi rammentate — le disse ella sottovoce e guardandola in modo significativo — ciò che il vostro maestro di musica vi rispose quando gli domandaste come dovevate imparare a sonare con espressione? Ebbene, io vi darei la stessa regola rispetto alla gentilezza. — Fanny si fece di bragia. — Che v'ha detto? — chiese il signor Graham. — Via, Fan, fateci conoscere la regola di Gertrude. — M'ha detto ch'è quella datami dal maestro di musica lo scorso inverno. — Ossia? — disse Ben vivamente. — Io domandai al signor Hermann come avrei potuto imparar a sonare con espressione, ed egli mi rispose: «Coltivate il vostro _cuore_, signorina Bruce, coltivate il vostro _cuore_.» — Questo nuovo precetto d'educazione venne accolto con espressioni di sentimenti diversi quanto i caratteri degli uditori. Il signor Graham si morse le labbra e s'allontanò: la sua gentilezza non si fondava nel cuore, ma quella di Gertrude sì, ed egli lo sapeva; Isabella sorrise con aria di superbo disdegno; Rina e Ben Bruce erano mezzo stupiti e mezzo esilarati; il tenente Osborne mostrò di non essere inaccessibile alla nobilissima verità enunciata, perchè volse a Gertrude uno sguardo d'ammirazione e simpatia; il viso d'Emilia manifestò quanto pienamente ella partecipasse all'opinione della sua protetta, la quale era un po' confusa nel vederla così divulgata e commentata; la signorina Marta poi non esitò ad approvarla con un forbito elogio: — Le parole della signorina Gertrude sono d'oro. L'unica gentilezza vera è la spontanea offerta del cuore. Forse quest'eletta compagnia di giovani e donzelle accondiscenderà ad ascoltare dalla bocca d'una vecchierella la storia d'un raro esempio di sì fatta gentilezza cordiale, ch'ebbe la sua degna ricompensa. — Tutti si dichiararono ardentemente desiderosi di sentir la storia della signorina Marta, ed essa incominciò: — Un giorno d'inverno, alcuni anni or sono, una vecchia signora, piena di debolezze, ma dotata d'una certa perspicacia, e della sua parte d'esperienza del mondo, (Marta Pace è il suo nome) si pose in cammino, per speciale invito, alla volta della casa d'un degno gentiluomo: l'onorevole signor Clinton, padre della signorina Isabella, la vezzosa damigella qui presente. Tutti i grandi alberi della nostra buona città di Boston scintillavano di diacciuoli più fulgidi dei diamanti che brillano nelle miniere di Golconda, e i marciapiedi erano insidiosi per i passi malfermi od incauti. «Io perdetti l'equilibrio e caddi. Due galanti signori mi sollevarono e mi portarono in un vicino emporio farmaceutico, dove mi fecero riacquistare i sensi smarriti e mi ravvivarono con un fragrante cordiale. Io ripresi la perigliosa via trepidando, e certo non sarei giunta alla mèta con le ossa incolumi, senza l'aiuto d'un cavaliere dalle guance rosate, il quale mi raggiunse, e, passato il mio debole braccio sotto il suo, più giovane e forte, protesse i miei passi fino al termine del viaggio non breve. «Nè il coraggio di cui doveva far prova la nobile mia scorta per compiere la sua impresa, era men che straordinario, mie graziose damigelle! Figuratevi nella vostra immaginazione un giovanetto fresco e bello come un raggio di sole, snello come una freccia, un vero Apollo insomma, attaccato al piccolo corpo curvo d'una povera vecchina quale Marta Pace. Io non mi risparmio, signorine; se m'aveste veduta in quel momento, senza dubbio direste che ora ho molto migliore apparenza. Avevo la dentiera in tasca invece che in bocca, il fintino di riccioli era stato spinto indietro dalla mia recente caduta, e i miei occhialoni, gli stessi che portava mio padre, così grandi da coprirmi mezza faccia, sarebbero bastati da soli ad eccitare la curiosità dei passanti. Ma egli procedeva imperterrito; e nonostante gli sguardi lusinghieri e i seducenti sorrisi che venivano a lui da una doppia fila di bellissime fanciulle in cui c'imbattemmo, nonostante le sghignazzate dei giovanottini dell'età sua, sosteneva la mia fragile persona con altrettanta cura che se fossi stata un'imperatrice, e moderava il baldo suo passo in accordo con la lentezza a cui mi costringevano le mie infermità. Ah, quale spirito di cortesia manifestò il mio cavaliere dalle guance di rosa! Se l'aveste incontrato, signorina Caterina, o voi, signorina Francesca, i vostri cuori palpitanti sarebbero involati per sempre! Era un modello incomparabile! «Dov'egli fosse diretto non so, perchè seguì il mio cammino, e non mi lasciò prima d'avermi recata a salvamento alla dimora del signor Clinton. Certo non penso ch'egli ambisse la conquista del mio vecchio cuore, ma credo ch'esso lo seguì, perchè spesso ancora il mio pensiero ritorna a lui. — Ah, fu _questa_ dunque la sua ricompensa! — esclamò Rina. — No. Cercate d'indovinar meglio. — Ma io non so nulla di più desiderabile, signorina Marta. — La _sua fortuna nella vita_ signorina Caterina! Ecco la ricompensa ch'egli ebbe: e forse ancora non ne misura tutta la grandezza! — Come sarebbe a dire? — domandò Fanny. — Narrerò in succinto il rimanente. La signora Clinton m'incoraggiava sempre a discorrere durante le mie visite. Ella, conoscendo il mio gusto, lo secondava, e io godevo della sua indulgenza. Le raccontai pertanto l'avventura occorsami, ed esaltai i meriti del nobile giovanetto, il mirabile spirito di cortesia da lui dimostrato. Era presente il degno gentiluomo e prestava orecchio attento alle mie parole, perchè egli pregia la buona educazione: e quando raccomandai il mio cavalierino spiegando tutta l'eloquenza di cui ero capace, vidi che m'ascoltava con piacere, benevolenza e simpatia. Promise di parlare col ragazzo, e così fece. Gli lesse nel prestante aspetto la nobiltà dell'animo, e questa favorevole impressione fruttò al bravo figliuolo un posto di commesso dal quale salì di grado in grado fino a quello di socio e agente fiduciario che ora occupa in una cospicua casa commerciale. Signorina Isabella, mi rallegrerebbe il cuore sentire le ultime notizie di Guglielmo Sullivan. — Sta bene, a quanto credo, — rispose la bella fanciulla seccamente. — Non mi consta nulla in contrario. — Oh, Gertrude può informarvi! — disse Fanny. — Nessuno ne sa quanto lei circa il signor Sullivan. Essa vi dirà ogni cosa. — Tutti gli sguardi si volsero a Gertrude che stava appoggiata alla seggiola d'Emilia, col viso acceso e gli occhi lucenti per la commozione destatale dal racconto di Marta Pace. Questa, maravigliatissima d'udire ch'ella conosceva quel tanto ammirato cavaliere di cui serbava sempre una dolce memoria, s'affrettò a interrogarla. Gertrude venne a sedere accanto a lei, e senza nessuna esitazione, nessun impaccio, rispose a tutte le sue domande. Ella parlava a voce sommessa, nè d'altronde le notizie di Guglielmo importavano al resto della compagnia; sicchè furono riprese le conversazioni particolari, e anche loro due rimasero libere d'intrattenersi del comune amico. Brevemente la giovanetta disse quali fossero lo stupore e la curiosità del ragazzo, della sua famiglia, de' suoi amici, che non avevano mai potuto indovinare l'origine di quella fortuna: e le vane congetture suscitate dalla inattesa chiamata del signor Clinton, e chiuse con l'attribuire tutto il merito all'agenzia di Santo Claus, divertirono la vecchia zittella a segno che le sue risate erano quasi altrettanto sonore, e punto meno allegre di quelle della gaia compagnia raccolta più in là presso alla soglia, e provocata ora ad un'ilarità più viva che mai dalla birichineria di Rina e di Fanny. Mentre la signorina Pace incaricava Gertrude di interminabili messaggi e complimenti da inserirsi nella sua prossima lettera a Guglielmo, ricomparve la signora Graham che aveva rinfrescato l'abbigliatura e la faccia, e interruppe tutti esclamando con quel suo vocione dai toni bruschi: — Come, ancora qui? Vi credevo già in cammino attraverso i boschi. Rina, hai forse abbandonato l'idea di salire il _Sunset Hill_[4] dopo averla tanto accarezzata? — Ho proposto la gita, zia, un'ora fa; ma Bella dice ch'è troppo caldo. A me pare invece un tempo adattatissimo per una passeggiata. — Tra poco raffresca, — ripigliò la signora Graham — e credo che fareste bene a partire senz'indugio, perchè se volete prendere per i boschi la distanza non è tanto breve. — Chi conosce la strada? — domandò Rina. Nessuno rispose; e interrogati uno per uno, tutti dichiararono la propria ignoranza in proposito, con grande maraviglia di Gertrude la quale credeva che ogni parte del terreno boscoso e del colle fosse familiare al signor Bruce. Ma ella non stette ad ascoltare le loro discussioni, perchè s'accòrse che Emilia si sentiva stanca ed aveva un principio d'emicrania, e la persuase a ritirarsi nella quiete della sua camera dove l'accompagnò. Nell'atto che ne chiudeva l'uscio, Fanny le gridò da piè della scala: — O non venite con noi, signorina Flint? — No, — ella disse — oggi non vengo. — Allora non vo neppur io. Ma perchè non volete venire? — Farò più tardi una passeggiata con la signorina Emilia, purchè stia abbastanza bene: voi potete accompagnarci, se vi fa piacere, ma vi divertireste assai più andando sul colle. — Intanto, nell'atrio, la compagnia teneva consiglio a bassa voce. Qualcuno aveva detto che Gertrude era pratica dei sentieri attraverso i boschi: ma Bella s'opponeva alla proposta d'invitarla a partecipare alla gita, Rina esitava tra la sua simpatia per lei e la tema di un'infedeltà del signor Bruce, il tenente Osborne s'asteneva dal mostrarsi propenso a ciò che Bella disapprovava, e il signor Bruce taceva fidando nella necessità di prendere Gertrude per guida, posto ch'egli aveva con subdola astuzia celato la propria perfetta idoneità a prestare questo servigio. Infatti, come aveva preveduto, si finì con lo spedire Rina a farle l'ambasciata. XXX. .... gente Che la terra calcar vuole premendo Degli umili sul collo il piè superbo. Miss L. P. SMITH. Gertrude avrebbe voluto rifiutare scusandosi con l'obbligo di tener compagnia ad Emilia; ma Emilia stessa, la quale pensava che un po' di moto sarebbe stato benefico per la fanciulla, intervenne pregandola d'accettar l'invito, in apparenza cordialissimo, di Rina; e avendo questa dichiarato che altrimenti si doveva rinunziare alla gita desiderata, ella acconsentì a prendervi parte. In pochi minuti fu lesta, bastandole mutare le scarpine da casa con un paio di solidi stivaletti; se non che perdette un po' di tempo nella vana ricerca del suo cappello di paglia a larghe tese che mancava dall'armadione del corridoio dove soleva appenderlo. — Che cerchi? — le domandò Emilia, udendo aprire e chiudere ripetutamente l'armadio. — Il mio cappello; ma non lo trovo. Vedo che sarò costretta a farmi prestare ancora una volta il vostro. — Così dicendo prese di sul letto il cappello da sole, di stoffa bianca, che la signorina Graham aveva portato la mattina. — Ma certo, cara, — disse questa. — Comincerò a credere che sia mio, — fece Gertrude scappando in fretta — lo porto tanto più spesso di voi! — Fanny l'aspettava; il resto della compagnia s'era avviato, e le precedeva già d'un buon tratto di strada. Emilia chiamò dalla scala: — Gertrude, ti sei messa gli stivaletti grossi? Sai, figliuola mia, che i prati sono molto umidi di là dalla fattoria Thornton. — La ragazza rispose che li aveva messi; ma temendo che le altre fossero state meno previdenti, domandò alla signora Graham se Bella e Rina avessero calzature adatte contro l'umidità, e, forse, la mota, che avrebbero trovato per via. — Ohimè, no! — disse la signora. — E adesso come si fa? Sono già lontane, fuor di veduta, e sicuro le disturberebbe assai dover tornare indietro. — Io ho certe soprascarpe di gomma elastica, leggerissime, — disse Gertrude. — Le porterò meco, e Fanny ed io raggiungeremo le signorine in tempo, prima che arrivino al prato. — Non era difficile raggiungere Isabella e il tenente, perchè camminavano adagio, e non sembravano malcontenti di fare la retroguardia. L'altra coppia, all'incontro, sollecitava il passo, apposta per essere avanti: Rina, mossa dal desiderio d'impedire che venisse interrotto quel dolce _tête à tête_, Ben smanioso di offrirsi alla vista di Gertrude, affinchè ella osservasse la sua galanteria verso la signorina Ray, galanteria che raddoppiò quando gli apparve da lontano colei che sperava ingelosire. Avevano oltrepassato la fattoria Thornton, e un solo campo li separava dal prato, il quale sebbene rallegrasse l'occhio con la fresca verdezza dell'erba che lo copriva, era nel mezzo un vero pantano, e non si poteva attraversare, neppur muniti di grosse calzature, se non contornando il margine, strettamente accosto al muro. Gertrude e Fanny si trovavano ancora a non piccola distanza dietro a loro, ed erano quasi trafelate dallo sforzo che facevano per raggiungerli, mentr'essi andavano presto e avevano tanto vantaggio. Nel momento che passavano davanti alla fattoria, la signora Thornton s'affacciò all'uscio e parlò a Gertrude. Questa, prevedendo d'essere costretta a trattenersi qualche minuto, disse a Fanny di proseguire immediatamente ed avvertire suo fratello e Rina della natura del terreno su cui stavano per avventurarsi, pregandoli d'aspettare il resto della compagnia alla barriera. Fanny arrivò troppo tardi, quantunque si fosse sfiatata a correre; i due già s'erano inoltrati nel prato insidioso. Ma procedevano senza pericolo, posto che Ben guidava la fanciulla lungo il muro, facendole tenere il solo cammino praticabile: il che provò a Gertrude, sopraggiunta poco appresso, ch'egli conosceva benissimo il luogo. A metà strada parve che avessero incontrato qualche ostacolo, perchè Rina si fermò con un piede alzato, reggendosi al muro intanto che il suo cavaliere disponeva per terra, dinanzi a lei, alcune pietre. Egli l'aiutò a passare sull'improvvisato ponticello, poi continuarono felicemente la traversata e infine disparvero nel boschetto vicino. Isabella e il tenente Osborne tardavano tanto ad arrivare, che Fanny, spazientita, consigliò Gertrude d'abbandonarli al loro fato. Quando Dio volle svoltarono il canto della fattoria; ma la superba giovanetta, benchè vedesse che le altre due l'aspettavano, seguitò ad avanzarsi con la stessa lentezza. — Signorina Clinton, — le gridò la piccola Bruce tosto che furono a portata di voce — o che vi siete azzoppata? — Azzoppata! — esclamò Bella. — Che intendete dire? — Camminate così piano! — rispose Fanny. — Credevo proprio che vi foste sciupato un piede. — Bella s'astenne dal replicare, fuorchè con una sdegnosa scrollata di capo, ed entrò nell'umido prato, discorrendo fitto fitto col suo tenentino, senza degnare d'uno sguardo Gertrude; la quale non mostrò d'accorgersi del suo altezzoso contegno, ma presa per mano la ragazzina, s'avviò per costeggiare il terreno infido invece d'attraversarlo, e disse con tono calmo e disinvolto quanto cortese: — Pigliate di qua, prego, signorina Clinton: v'abbiamo aspettata a fine di guidarvi, perchè il prato è pieno d'acqua. — Pieno d'acqua? — domandò Isabella inquieta, guardando le sue finissime scarpine; e soggiunse stizzosamente: — Credevo che conosceste una buona strada, e ci portate invece in un pantano! Io non vo oltre. — Ebbene, tornate indietro, — disse l'impertinente Fanny. — Nessuno piangerà. — Gertrude rispose con dolcezza, quantunque le sue gote si fossero accese d'un vivo rossore: — Non la proposi io la gita; ma posso trarvi da quest'impaccio. La signora Graham temeva che foste calzata di scarpe troppo leggiere, e però v'ho portato un paio di calosce. — Bella prese l'involto, senza ringraziare, e aprendolo domandò: — Di chi sono? — Mie, — disse Gertrude. — Oh, allora non credo di potermene servire, — borbottò l'altra. — Saranno immense, mi figuro. — Permettete, — fece il tenente Osborne, prendendo una delle calosce. Egli si chinò per calzarne Isabella, ma non gli riuscì: era troppo piccola. Ella lo vide, e cercò di mettersela da sè, trattando la proprietà di Gertrude con tale irosa violenza, che strappò la sottile strisciolina di cuoio passante sulla caviglia: nondimeno neppure allora giunse a far entrare perfettamente il piede nella soprascarpa. Mentre ella stava così piegata in avanti, l'attenzione di Fanny Bruce fu attratta dall'elegante cappello di paglia a larga tesa che portava con graziosa civetteria inclinato da una banda. La ragazzina lo riconobbe per quello della sua amica. Era d'un modello di fantasia che Gertrude non avrebbe scelto ella stessa: ma glielo aveva donato l'estate scorsa il signor Graham, in sostituzione d'un comune cappello da giardino che gli era accaduto di schiacciare in modo irrimediabile, ed essendo semplice e di buon gusto lo usava per le sue passeggiate in campagna. Isabella, scopertolo nell'armadio del corridoio dov'ella lo riponeva solitamente, non aveva esitato ad appropriarselo. A Fanny esso era noto, avendolo osservato nella camera di Gertrude in casa della signora Warren, e anche portato una volta, col suo permesso, per rappresentare una parte in una sciarada in azione: non poteva dunque ingannarsi. E ora, dopo averla udita dire ad Emilia che non lo ritrovava, lo vedeva, con sommo stupore, ornare l'altera signorina Clinton. Ritta dietro a costei faceva segni all'amica spalancando gli occhi, storcendo il viso, indicando l'oggetto usurpato, con una mimica che manifestava eloquentemente l'intenzione di strapparlo dal capo dell'usurpatrice e collocarlo su quello della legittima proprietaria. Gertrude era in procinto di perdere la sua gravità; rattenendo a fatica le risa, la minacciava col dito, le accennava di smettere; infine, presala di nuovo per mano, affrettò il passo, nascondendo la faccia esilarata sotto il bianco cappellone, e lasciò che Bella e il suo bello le seguissero, se volevano. — Fanny, — ella disse — non istà bene farmi ridere così; se la signorina Clinton se ne fosse avveduta ne sarebbe stata molto offesa. — Essa non ha diritto di portare il vostro cappello, e non lo porterà. — Ma sì, quanto vuole: le sta a maraviglia. Mi fa piacere che se lo metta, e voi non dovete farle intendere che è mio. — Fanny non promise nulla, e ne' suoi occhi passò un lampo di malizia che presagiva un qualche tiro birbone. La passeggiata attraverso i boschi fu deliziosa, Gertrude e la sua piccola compagna quasi avevano dimenticato in quel tranquillo godimento che facevano parte d'una gaia compagnia, quando a un tratto videro Ben Bruce e Rina seduti a piè d'una vecchia quercia. La fanciulla aveva intessuto una ghirlanda di foglie ed era tutt'intenta ad ornarne il cappello del suo cavaliere, il quale stava indolentemente appoggiato al tronco dell'albero in un atteggiamento d'indifferenza. Ma non appena egli si accòrse che Gertrude e Fanny s'avvicinavano, si chinò verso Rina, guardò con aria d'ammirazione il suo lavoro, e quando fu sicuro che esse potevano udirlo, si profuse in complimenti e ringraziamenti. L'ingenua li riceveva sorridendo e arrossendo, con manifesto piacere: piacere raddoppiato dal fatto apparente che la temuta rivale non distraeva da lei l'attenzione di Ben, poichè questi seguitava a mormorarle all'orecchio, in atto confidenziale, galanti inezie, lasciando l'altra sedersi a qualche distanza. Pover'anima semplicetta! Ella lo credeva onesto, mentre egli la traeva a' suoi fini con un basso inganno. — Signorina Gertrude, — disse Fanny — vorrei andare un po' laggiù nella pineta a cercare pine da farne panierini e cornici. — Se ne trovano in abbondanza, — rispose la giovane. — Oh, andiamoci, ve ne prego! Saremo di ritorno prima che Bella Clinton arrivi fin qui. — Gertrude accondiscese di buon grado, e s'allontanarono insieme, dopo aver appeso i loro cappelli ad un ramo. Stettero assenti un certo tempo, perchè le pine infatti abbondavano, e la ragazzina volle farne una scelta e copiosa collezione. Ma adunate che le ebbe, fu molto impacciata per portarle via. Riflettè alquanto, e disse: — Penso di dare una corsa e chiedere a Ben che mi presti la sua pezzuola; oppure, se non vuole prestarmela, prenderò il mio cappello e ce ne metterò quante ne può contenere. — Avuta da Gertrude la promessa d'aspettarla, tornò di volo al luogo dove avevano lasciato suo fratello e Rina Ray. Già da lontano scoppi di voci e di risa l'avvertirono che v'erano giunti anche Bella ed Osborne, e che qualche cosa forniva loro un soggetto di spasso. Bella si era impadronita del cappello bianco, lo aveva deformato in modo da farlo parere una berretta da vecchia e guarnito con erbacce e maceroni; infine, appuntatavi una pezzuola in guisa di velo, e tenendolo sollevato con la mazza del tenentino, chiese chi fosse il miglior offerente per il cappello da sposa della signorina Flint. Fanny la sorprese in quell'atto, e si fermò un momento, nascosta, ad ascoltarla, fremendo d'indignazione; poi venne avanti d'un balzo come se arrivasse difilato dal bosco. Rina l'afferrò per un lembo della veste esclamando: — Ah, siete qui Fanny! E dov'è Gertrude? — Nella pineta; e ci ritorno anch'io. Mi ha mandata soltanto a prendere il suo cappello, perchè c'è molto sole laggiù. — Ah, sì, — fece Isabella — il suo cappellino di Parigi! Prego di presentarglielo coi nostri complimenti. — E le porse il copricapo da lei reso veramente ridicolo. — No, — ribattè la fanciulla — _cotesto_ non è il _suo_, è quello della signorina Emilia. Il _suo_ è _questo qui_. — Così dicendo pose la mano sul cappello di paglia che rendeva Bella tanto seducente, come le avevano anche poc'anzi ripetuto i due giovanotti, e, senza cerimonie, glielo strappò dalla testa. Gli occhi della signorina Clinton fiammeggiarono di collera. — Che volete dire? — ella gridò. — Piccola petulante! Datemi quel cappello, e subito! — No, che non ve lo do! È di Gertrude. Lo cercava, dopo pranzo, ma ha finito col concludere che doveva essere perduto o che qualcuno l'aveva rubato, e s'è fatta prestare il cappello da giardino della signorina Graham; sarà contenta però di ricuperarlo. Vo a portarglielo.... Del resto, — soggiunse voltandosi a guardarla di sopra la spalla, mentre correva via — sono sicura che alla signorina Graham non dispiacerà che vi mettiate il suo, purchè abbiate cura di non sciuparlo! — Bella rimase confusa e adontata; Rina e Bruce ridevano apertamente, Osborne rideva sotto i baffi. Ma pochi minuti dopo videro venire dal bosco Gertrude, a passi affrettati, col famoso cappello in mano. Fanny la seguiva, e approfittando della posizione d'Isabella che le volgeva il dorso, rifaceva la sua pantomima d'accuse e di minacce. — Signorina Clinton, — disse Gertrude posando il cappello sulle ginocchia di questa — temo che Fanny sia stata assai scortese in mio nome. Io non l'avevo mandata a prender nulla.... Sarò lieta se gradirete di portarlo quando vi può servire. — Non ne ho bisogno, — ella rispose con accento sprezzante. — Neanche m'immaginavo che appartenesse a voi. — Lo so bene, — riprese l'altra — ma spero che vorrete consentire a rimettervelo almeno oggi. — Senza più insistere su ciò, diede il consiglio di proseguire speditamente verso il colle, perchè non sarebbe stato, se no, possibile di toccare la vetta innanzi il tramonto; e corroborandoli con l'esempio s'incamminò. Tutti le tennero dietro: Fanny strappando le grottesche guarnizioni del vituperato cappello bianco, Isabella annodandosi sotto il mento un fazzoletto ricamato, e Ben Bruce dondolando il negletto cappello di paglia che aveva appeso al braccio per i nastri. Eccettuata Isabella che non smise il broncio, la comitiva godette molto la gita sul colle. Era già quasi buio quando ripassarono davanti alla fattoria. Lì Gertrude s'accomiatò perchè aveva promesso alla signora Thornton di fermarsi per visitare uno de' suoi figliuoli che frequentava la classe da lei tenuta nella scuola domenicale, ed era malato di febbre. Fanny avrebbe voluto restare in sua compagnia, ma ella non lo permise pensando che la signora Bruce non sarebbe forse stata contenta se la ragazzina fosse entrata in quella casa dove c'erano parecchi malati. Circa un'ora più tardi, la giovanetta che se ne ritornava sola, e un po' ansiosa d'essere arrivata, fu raggiunta nei pressi della villa Graham dal signor Bruce il quale col cappello di paglia sempre dondolante dal suo braccio sembrava essersi appostato per aspettarla. Ella dette un sobbalzo perchè nell'oscurità della notte già scesa non lo aveva riconosciuto e credeva che fosse un estraneo. — Signorina Gertrude, — egli disse — non v'ho spaventata, spero. — Oh, no! — fece ella, rassicurata dal suono della sua voce. — Non sapevo che foste voi. — Ben le offerse il braccio, ed ella lo prese. La corte assidua fatta quel giorno dal giovane a Rina aveva servito a diminuire i suoi timori che le dimostrazioni d'amore prodigate a lei fossero serie, e concludendo ch'egli semplicemente si dilettava di galanteria, accettò di lasciarsi scortare fino a casa. — È stata davvero una gita deliziosa, — incominciò il signor Bruce — per _me_ almeno. La signorina Ray è una compagna assai gradevole. — Oh, sì, — rispose Gertrude. — Mi piacciono tanto quelle sue maniere vivaci e franche. — Temo invece che Fanny vi abbia annoiato: io mi sarei volentieri occupato anche di voi, ma non riescivo a staccarmi un minuto dalla signorina Ray, assorti com'eravamo nella nostra conversazione. — Fanny ed io siamo abituate l'una all'altra, e ci troviamo benissimo insieme. — Sapete che ci proponiamo di fare una piacevolissima scarrozzata, domani? — No, non ne so nulla., — La signorina Rina, m'immagino, aspetta che la inviti a venire con me; ma, supposto ch'io vi dessi la preferenza, che rispondereste? — Che vi sono grata, ma ho già un impegno per una passeggiata in carrozza con la signorina Emilia, — ella disse prontamente. — Ah! — fece Ben in tono di maraviglia e di stizza. — Io mi figuravo che verreste volentieri. Bene, la signorina Ray accetterà. Entro un momento per invitarla, — soggiunse, poichè erano giunti alla villa. — Ecco il vostro cappello. — Grazie, — ella rispose facendo l'atto di prenderlo; ma egli lo trattenne per un nastro. — Signorina Gertrude, — insistette — proprio non volete venire? — Ho promesso alla signorina Emilia e non potrei posporre quest'impegno a un altro invito, — replicò la fanciulla, lieta d'avere una scusa che giustificava il suo rifiuto. — Eh, via! Trovereste il modo, se voleste.... In caso contrario, offro il posto nel mio carrozzino a Rina Ray. — Il peso ch'egli pareva dare a questa minaccia stupì Gertrude. — È mai possibile — ella pensò — che si lusinghi di pungermi e di conturbarmi? Ma io mi rallegro all'idea di procurare così a Rina il piacere di cotesta scarrozzata! È tanto amante dei divertimenti, e ha rare occasioni d'appagare i suoi gusti! — Entrarono nel salotto. Ben Bruce cercò la signorina Ray, seduta nel vano d'una finestra; Gertrude, non trovando Emilia, non si fermò a lungo, ma abbastanza tuttavia da vedere le esagerate premure ch'egli ostentava verso la ragazza e che non furono notate da lei sola. Rina promise di buon grado d'accompagnarlo nella gita divisata per il giorno appresso, e mantenne la parola. La signora Graham, la signora Bruce, Isabella e il tenente, li seguivano in un altro legno. Quanto ad Emilia e Gertrude, fecero attaccare Carlotto, il cavallo bianco, al vecchio _buggy_ e, presa la diversa direzione che già prima avevano scelta, si godettero tranquillamente la loro passeggiata. XXXI. Giuoca (e del giuoco fa un'arte) Con quella povera cosa Sacra ch'è un cuore umano. NEW TIMON. Passarono giorni e settimane senza che nulla accadesse di notevole in casa del signor Graham. La stagione oramai era torrida e non si facevano più gite, nè a piedi nè in vettura. Il tenente Osborne aveva lasciato Boston che nell'estate veniva abbandonata da quasi tutti gli amici della signora Graham e delle sue nipoti. Isabella Clinton, la quale non sapeva sopportare con pazienza nè i calori eccessivi nè la solitudine, diventava ogni giorno più irritabile e più stizzosa. Per la sua cuginetta invece quelle giornate estive erano piene di commozioni. Il signor Bruce rimaneva nel vicinato, visitava costantemente la famiglia, ed esercitava un grande influsso tanto sul contegno esteriore che sullo stato d'animo della fanciulla, ch'erano fluttuanti e mutevoli a seconda delle sue attenzioni o della sua negligenza verso di lei. Nè può far maraviglia che la povera Rina fosse confusa e turbata dinanzi alla sua condotta, la quale doveva riescire incomprensibile a chi non ne conoscesse il segreto movente. Persuaso che Gertrude cercherebbe di riconquistarlo se temesse di vederselo sfuggire davvero, Ben corteggiava un'altra con l'unico fine d'eccitare un senso di gelosia e di seria apprensione in quella ragazza povera, protetta dai Graham, che osava spregiare le sue profferte d'amore. E però non si mostrava preso di Rina se non sotto gli occhi di Gertrude, o quando era sicuro che questa avrebbe risaputo le premure da lui prodigate all'illusa. Il suo comportamento era quindi oltremodo ineguale, e ora faceva credere all'ingenua ed affettuosa creatura ch'egli sentisse per lei la tenerezza appassionata d'un innamorato, ora le faceva temere d'averlo inconsapevolmente offeso con la sua spensierata gaiezza e il suo franco linguaggio. Per disgrazia anche la zia Graham non mancava in nessuna occasione di motteggiarla o complimentarla sulla sua conquista, ribadendo così nel cuore della semplicetta la fede che la simpatia manifestatale dal signor Bruce fosse sincera. La finzione di costui cagionava una tormentosa inquietudine a Gertrude, che presto l'aveva indovinata e n'era dolente ed inquieta per la felicità e la pace di Rina che con tenera sollecitudine avrebbe voluto difendere. I sospetti destati in lei fin da principio, dall'ambigua condotta di Ben, erano divenuti certezza, perchè, spesso, dopo aver dato ostentate prove di devozione alla signorina Ray, egli giudicava opportuno di sperimentarne l'effetto sull'altra, tentandola con qualche nuova lusinga, anzi lasciandole chiaramente intendere ch'ella aveva sempre il potere di togliere a Rina ogni diritto alle sue grazie. Gertrude tutte le volte che le si offriva il destro, non meno chiaramente gli significava ch'egli aveva scelto proprio il vero modo di rendersi odioso ricorrendo a così bassi artifizi per mortificarla; ma il giovane egoista, il quale attribuiva il suo sdegno a quella gelosia che desiderava appunto provocare, persisteva ne' suoi procedimenti folli e malvagi. Ella, d'altronde, posto che Ben le faceva il galante senza profferirle il cuore e la mano, non credeva affatto alle sue dichiarazioni amorose e le considerava dirette soltanto a sviarla per propria sodisfazione da quella savia condotta in cui si manteneva con fermezza. Ma comprendeva bene che per quanto vani e leggeri fossero i sentimenti da cui veniva attratto a lei, peggio erano quelli che lo spingevano a corteggiare Rina Ray; e la manifesta inconsapevolezza dell'ingenua fanciulla profondamente l'affliggeva. Cosa strana: Rina, che poche settimane addietro vedeva nella signorina Flint una rivale, ora l'aveva eletta per amica intima e confidente. Sua zia era troppo materiale e rude, Isabella troppo egoista e vana, perchè potesse pensare a farle partecipi delle sue piccole vicende di cuore. Invero neppure a Gertrude confessava apertamente d'amare Ben Bruce, ma la trasparenza del suo carattere era tale, che ella aveva tradito il suo segreto senza immaginarselo. Fuor di Gertrude nessuno pareva accorgersi del cambiamento avvenuto in lei. La gaia, ridente, spensierata Rina, aveva accessi di malinconica fantasticheria; la sua faccia, una volta raggiante sempre come il sole, si rannuvolava d'improvviso, perdeva tutto il suo splendore; ora ella era briosa e spigliata più del naturale, ora aveva un'aria pensosa, e furtivamente alzava uno sguardo ansioso sul volto del signor Bruce come per studiar il suo umore o spiare i suoi sentimenti. S'ella vedeva Gertrude passeggiare in giardino o la sapeva sola nella sua camera, andava a lei, le metteva un braccio intorno alla vita, s'appoggiava alla sua spalla, e prendeva a chiacchierare sul soggetto favorito. Raccontava, con un misto di semplicità e di follia, le gentili attenzioni del signor Bruce, i suoi complimentosi discorsi; parlava di lui per un'ora interrogando l'amica sull'opinione ch'ella aveva de' suoi meriti e della sincerità di quell'ammirazione ch'egli apertamente le professava. Toccava anche d'un qualche difetto del giovane che ai suoi occhi era quasi la perfezione stessa: ma quando Gertrude ne conveniva, ed esprimeva il suo rincrescimento di quel difetto evidente, ella si sforzava con ingenuo ardore a provarle che tutt'e due s'erano ingannate, e che se mai egli ne aveva uno, era proprio l'opposto. Le domandava se ella credeva che Ben parlasse sul serio, soggiungendo che lei, per conto suo, non lo credeva affatto: erano tutte sciocchezze.... E poi quando Gertrude, cogliendo la palla al balzo, cercava di confermarla in questo parere e la consigliava di non fidarsi delle sue smaccate adulazioni, il viso della povera Rina si rabbuiava tutto, ed ella si diffondeva in sottili ragionamenti per dimostrare che pur _qualche volta_ era sincero: la lealtà, la serietà, si sentivano nel suo accento, nelle sue espressioni.... Era inutile ogni accenno a un pericolo, ogni tentativo di porla in guardia: Ben Bruce l'aveva infatuata. Un giorno egli pensò di mettere alla prova la saldezza di Gertrude offrendole un ricco anello. Non poco stupita da tanta presunzione, ella lo rifiutò senza esitare nè far cerimonie; ma il giorno seguente lo vide al dito di Rina, la quale si struggeva di raccontarle come e da chi lo avesse avuto. — E voi lo avete _accettato_? — fece Gertrude guardandola con un'aria così attonita, che ella non osò riconoscere il fatto, ed eluse subito la domanda, arrossendo: — Ho acconsentito soltanto a portarlo per qualche tempo.... — Io non avrei acconsentito. — Perchè no? — In primo luogo perchè non credo che sia di buon gusto ricevere presenti di valore da uomini: e poi perchè se persone estranee se ne accorgono, possono fare sul vostro conto osservazioni spiacevoli e severe. — E, allora, voi come vi regolereste? — Glielo restituirei subito. — Rina titubava; però, riflettendo meglio, risolse di rendere l'anello al signor Bruce e ripetergli ciò che Gertrude aveva detto. Non mancò di farlo, ma egli, lungi dall'apprezzare la condotta di quest'ultima, vide nel suo consiglio il desiderio di suscitare discordie tra Rina e lui, e prontamente concluse che aveva alfine conquistato il cuore della ritrosa, e che il suo trionfo sarebbe oramai pieno ed intero. Rimase male, pertanto, quando fatta una visita a villa Graham, per accertarsene, fu da lei trattato con fredda urbanità, come sempre da qualche tempo; ed anzi gli parve che si mostrasse più insensibile che mai alle sue attrattive. Accomiatatosi frettolosamente (con grande affanno di Rina che passò il resto della giornata investigando se avesse detto o fatto cosa che potesse dispiacergli), andò a cercare, secondo l'antico suo costume, quiete, solitudine, sotto il pero, e si diede tutto a ponderare una grave questione. Avveniva di rado che Ben Bruce si sentisse chiamato a fare considerazioni su qualche soggetto, a raccogliere le forze del suo spirito, e ordinarle al fine d'esaminar deliberatamente i due lati d'un argomento. Vivendo com'egli viveva, senz'alcuna mira più alta che la propria egoistica sodisfazione, si era avvezzato ad approfittare di tutte le occasioni di divertirsi e compiacere a sè stesso, nè rifuggiva da bassi e gretti artifizi per favorire i propri disegni. Nonostante la ristrettezza della sua mente, egli possedeva ciò che suol chiamarsi «un buon colpo d'occhio» e non era facile ingannarlo o defraudarlo de' suoi diritti. Conosceva il valore del suo denaro e della sua condizione sociale, e non soffriva d'essere sacrificato a benefizio di coloro che cercavano di trarre un vantaggio dalla sua amicizia. L'_abnegazione_ era una virtù che egli non aveva mai praticata nè ammirava negli altri. Ma ecco che inopinatamente era sopraggiunta una crisi, in cui i suoi desiderî e i suoi interessi cozzavano tra loro, e la necessità richiedeva che egli scegliesse ed immolasse questi a quelli o viceversa. E se Ben Bruce, per la prima volta in vita sua, dedicava un intero pomeriggio a una meditazione profonda e all'accurata misura di due forze opposte, il caso va attribuito al fatto che egli dibatteva nella sua mente il più grave problema che mai l'avesse agitata. — Dovrò io — pensava — sposare quella ragazza che non ha un centesimo? Io padrone d'un cospicuo patrimonio, erede d'altri beni ancora, rinunzierò ai vantaggi d'uno splendido parentado che il mio stato di fortuna m'assicura, per fare partecipe delle mie ricchezze e del grado che occupo nel gran mondo, l'orfana adottata dai Graham, la quale non mi concederà un sorriso se non a prezzo di quanto posseggo? Se fosse appena un poco meno seducente, come vorrei deluderla! Chi sa che proverebbe se sposassi Rina? Ma credo ch'io non avrei il gusto di saperlo; è orgogliosa a segno che sarebbe capace di venire alle mie nozze e dirmi, chinando il suo collo di cigno con la grazia consueta: _Buona sera, signor Bruce_, nello stesso tono calmo e gentile che usa ora.... Mi fa ira vedere tanta alterezza in una fanciulla povera; ma nella _signora Bruce_ quelle sue maniere mi piacerebbero, ne andrei anzi superbo. Non arrivo a capire come io mi sia innamorato di lei.... no, proprio.... Non è bella: almeno così dicono la mamma e Isabella Clinton. Eppure il tenente Osborne la notò subito, quella sera, quando entrò nel salotto: e Fanny non fa che esaltare la sua bellezza. Quanto a me, non so che io ne pensi.... credo che m'abbia stregato, sicchè non sono più in grado di giudicare. Ma se non è bella, ha dunque un prestigio superiore alla bellezza stessa.... — Così Ben Bruce discuteva seco medesimo: e sempre ricominciava dall'insistere sull'immensità del suo sacrificio, per finire con riflessioni sui rari pregi di Gertrude, prova chiarissima ch'egli sentiva di avere a soffrir meno deponendo le sue ricchezze ai piedi della fanciulla povera, che cercando di goderne senza di lei. Durante alcuni giorni dopo presa la gran risoluzione, egli non ebbe opportunità di rivolgere una parola a Gertrude, la quale adesso era doppiamente ansiosa d'evitarlo, e non scendeva quasi mai entro la giornata, salvo che Emilia non la pregasse d'accompagnarla nel salotto; ma anche allora vi si tratteneva pochissimo e aveva cura di non scostarsi dalla sua amica cieca. In quel mentre la signora Graham e la signora Bruce con le loro famiglie ricevettero un invito per una serata di ricevimento in casa di conoscenti, a circa cinque miglia di distanza. Era nell'occasione del matrimonio d'una antica condiscepola d'Isabella, e tanto questa che Rina desideravano d'assistervi. La signora Bruce, che aveva una carrozza chiusa, offerse di condurre seco le due cugine, e posto che il legno del signor Graham, quand'era chiuso, non poteva contenere se non lui e la signora, la proposta venne accettata con piacere. L'idea di brillare in una gaia e sontuosa festa rianimava lo spirito depresso d'Isabella, ridestava le sue energie. Tutte le sue ricche abbigliature di gala furono cavate fuori, per scegliere la più elegante e più adatta. Ritta davanti allo specchio ella provava l'una dopo l'altra le sue ghirlande, e appariva con ciascuna così mirabilmente bella, che non sapeva quale preferire. Invano Rina tentava di farsi ascoltare dalla vanitosa fanciulla, ottenere un consiglio circa la foggia e il colore più convenienti a lei. Finalmente, disperando di riuscirvi, corse a consultare Gertrude. La trovò nella sua camera; leggeva, e posò tosto il libro, vedendola entrare come una folata di vento, pronta a prestarle tutta la sua attenzione. — Gertrude, — disse Rina — che devo mettermi stasera? Ho cercato di chiederlo a Bella, ma non c'è stato caso che mi desse retta; quando è occupata delle sue gale, non conosce altro.... Oh, è terribilmente egoista. — E _lei_ chi la consiglia? — Nessuno. Sceglie da sè.... Ma essa ha molto buon gusto, e io, invece, punto.... Ditemi dunque voi, Gertrude, come mi vesto? — Io dubito d'essere in grado di rispondervi: non sono mai stata ad un ricevimento in vita mia. — Oh, non importa! Sono sicura che se ci andaste, fareste miglior figura di qualunque tra noi, e m'affido senza temer di sbagliare al vostro parere perchè non v'ho mai veduta portar nulla che non avesse un'aria di signorilità: perfino la vostra veste di ghingano, da mattina, non manca di stile. — Adagio, adagio, Rina cara, andate troppo oltre; non dovete eccedere se volete ch'io vi creda. — Ebbene, senza parlare di voi.... (voi siete superiore ai complimenti lusinghieri, lo so.... _qualcuno_ me l'ha detto....) chi fornisce la guardaroba della signorina Emilia? Chi sceglie i suoi vestiti? — Io, adesso. Ma.... — Me l'immaginavo, me l'immaginavo! Sapevo che la povera signorina Graham lo deve a voi se è sempre così elegante e bella. — No, v'ingannate; io non ho mai veduto Emilia meglio vestita che il giorno del nostro primo incontro; e la sua bellezza non deriva dall'arte: è naturale in lei. — Oh, certo ella è avvenentissima, e tutti l'ammirano; ma non pare verosimile che si dia pena di mettersi così belle cose e portarle con tanta grazia, per sua propria sodisfazione. — Non lo fa soltanto per sè medesima: è soprattutto per compiacere suo padre che ha cura di vestire lindamente e con gusto. A quanto ho udito, quand'ebbe la disgrazia di perdere la vista si abbandonò da prima a una grande noncuranza del suo esteriore, ma avendo scoperto che con ciò accresceva l'afflizione del signor Graham, si fece animo, aiutata dalla signora Ellis; da allora lo ha sempre contentato in questo particolare. Avrete però notato, Rina, che non porta mai nulla di ricco e di vistoso. — È vero; ed appunto la sua squisita semplicità mi piace tanto. Ma dunque, Gertrude, essa non è cieca dalla nascita? — No; fino ai sedici anni ebbe occhi bellissimi che vedevano bene quanto i vostri. — Che le accadde? Come accecò? — Lo ignoro. — Non gliel'avete mai domandato? — No. — Curioso! O perchè? — So che non ne parla volentieri. — Ma a voi non si sarebbe ricusata di dirlo. V'idolatra! — Se avesse voluto dirmelo lo avrebbe fatto spontaneamente. — Rina guardò Gertrude con maraviglia. Era colpita da un tale esempio di delicatezza e di rispetto della sventura, ed ammirava per istinto un ritegno di cui, lo sentiva, ella non sarebbe stata capace. — Ma il vostro abbigliamento? — domandò sorridendo la sua amica. — Lo dimenticate? — Ah, sì, avete ragione! Quasi m'era uscito di mente.... E sono venuta per questo! Che mi metto dunque stasera? Un abito grave o leggero? Bianco, celeste o rosa? — Che ha scelto Isabella? — Una splendida seta celeste: è il suo colore favorito. Ma a me non va. — Infatti, preferirei un altro per voi.... Bene, venite, Rina, andiamo nella vostra camera; mi mostrerete i vestiti e vi dirò il mio parere. — Ispezionata la guardaroba della signorina Ray, Gertrude osservò che per la stagione erano più adatte le stoffe leggiere e vaporose, e la scelta cadde sopra un finissimo crespo bianco. Ma sorse una nuova difficoltà. Nessuna delle acconciature da testa che Rina possedeva era d'una perfetta freschezza, nè, men che meno, poteva sostenere il paragone con la leggiadra ghirlanda, nuova fiammante, che Isabella stava accomodando sui suoi ricci biondi. — Non ce n'è una ch'io possa portare senza sfigurar troppo accanto a lei! — sospirò Rina. Ma volgendo gli occhi alla toelette dove c'era una scatola aperta, esclamò vivamente: — Oh, ecco quello che mi piacerebbe! Isabella, di dove li hai avuti, questi magnifici garofani rosa? — Così dicendo prese alcuni dei fiori, i quali erano un vero miracolo d'imitazione, e mostrandoli a Gertrude soggiunse che facevano proprio al caso suo. — Non toccare i miei garofani! — gridò irosamente Isabella, spiccandosi dallo specchio. — Me li sciupi! — E li strappò di mano alla cugina, li ripose nella scatola, chiuse questa in una cassetta del cassettone, poi mise la chiave in tasca: atto di cui Gertrude fu testimone attonita e indignatissima. — Rina, — ella disse — io vi farò, se volete, una ghirlanda di fiori naturali. — Davvero? — rispose Rina ch'era rimasta male. — Oh, che felice idea! Non ci può esser nulla di più bello! Isabella, vecchia avaraccia stizzosa, tientele pure tutte le tue ghirlande! Peccato che tu non possa metterne due in una volta! — Fedele alla sua promessa, Gertrude preparò un'acconciatura da sera per la signorina Ray: e seppe contessere con gusto tanto squisito i più bei fiori del giardino, che quando Bella Clinton vide la cugina così elegantemente ornata, grazie ad affettuose cure di cui non soleva essere oggetto, ella, nonostante la superba coscienza della propria singolare bellezza, sentì un acuto morso di gelosia contro Rina e una fiera avversione contro Gertrude. Per lei, che non poteva sopportare d'essere eclissata, la manifesta corte fatta a Rina da Ben Bruce mentre ella rimaneva negletta, era causa di gran dispetto. Non già che inclinasse ad amare il giovane cui l'altra desiderava piacere; ma la gloria derivante alla cugina dalla preferenza ottenuta, il vivo interessamento della zia, le occhiate significative della signora Bruce, le facevano sentire ch'ella era scesa al secondo posto: e però bramava oltremodo di offuscare quella sera la piccola Ray tanto meno appariscente di lei, attirando l'ammirazione generale. Quando la signora Graham complimentò Rina sulla sua straordinaria eleganza, dicendole che non era mai stata così incantevole e soggiungendo che _qualcuno_ glielo avrebbe provato, Isabella atteggiò le labbra a un sorriso di sprezzo e di sfida. E Rina, col viso invermigliato dalla gioia, si volse a Gertrude e le mormorò all'orecchio: — Il bianco piace al signor Bruce; me lo disse l'altro giorno mentre appunto passavate per il salotto vestita del vostro abito di mussolina. — XXXII. Sappiate dunque che io ho sostenuto le mie pretensioni alla vostra mano nella maniera che meglio si conveniva al mio carattere. IVANHOE. Emilia non stava bene quella sera. Accadeva spesso da qualche tempo che l'emicrania, o una stanchezza insolita, una nervosa insofferenza d'ogni rumore, d'ogni eccitazione, la costringessero a ritirarsi nella sua camera e anche a coricarsi presto. Dopo che la signora Graham e le sue nipoti furono scese nel salotto ad aspettare che il signor Graham fosse pronto e che arrivasse la signora Bruce, Gertrude, la quale aveva lasciato l'amica per alcuni minuti, ritornò a lei, e la trovò più che mai molestata da quella ch'ella chiamava l'importuna sua testa. Agevolmente l'indusse a cercare nel sonno l'unico infallibile rimedio; e sedutasi accanto al letto le fece bagnuoli alle tempie, come soleva in questi casi, finchè non la vide quetarsi in un placido sopore. Parve disturbata un momento quando giunse la carrozza dei Bruce, ma si riaddormentò subito, e così profondamente da non essere scossa nemmeno dalla voce sonora della padrona di casa che prima di partire dava ordini a una delle persone di servizio. La giovanetta rimase ancora un poco senza muoversi; poi, pian piano, si rizzò, preparò ogni cosa per la notte, secondo i desiderî d'Emilia ch'ella ben conosceva, e chiuso con riguardo l'uscio dietro a sè andò nella propria camera a prendere un libro, col quale scese nel deserto salotto dove c'era più fresco. Sedette a un tavolino, e si dispose a godersi quell'ora di pace e libertà: occasione rara per lei. Aperse il volume portato seco; ma fossero i suoi pensieri più avvincenti di quella lettura, o le dessero noia le farfalline attirate dalla vivida fiamma del lume, o la seducesse l'incanto della serena notte estiva, ella non tardò a levarsi di lì per andare a sedere presso la grande porta vetrata. Stava immersa nelle sue meditazioni, con la fronte reclinata sulla mano, quando udì nel salotto un passo, e voltandosi vide accanto a sè Ben Bruce. Ella dette un sobbalzo ed esclamò: — Come! Voi qui, signor Bruce?... Credevo che foste alle nozze. — No, v'era qualche cosa di più attraente per me a villa Graham.... Vi pare ch'io possa trovar piacere in una festa alla quale voi non partecipate? — Non ho mica tanta vanità da presumere il contrario. — Vorrei che ne aveste un po' più, signorina Gertrude. Forse allora prestereste qualche volta maggior fede alle mie parole. — Sono lieta del candore con cui riconoscete che senza questo requisito è impossibile credere alle vostre belle frasi, — diss'ella sorridendo. — Io non riconosco nulla di simile. Ciò che dico a voi sarebbe creduto, e volentieri, da qualunque altra ragazza; ma in qual modo persuadervi ch'io sono serio, e merito d'essere ascoltato, indurvi a trattar meco liberamente, a non sfuggire la mia compagnia? — Parlandomi con semplicità e sincerità, risparmiandomi quei discorsi e quelle galanterie che, come mi sforzo sempre di provarvi, io non posso gradire, e a voi non fanno onore. — Ma io ho un fine, Gertrude, un fine _onorevole_. Da parecchi giorni cerco un'opportunità di comunicarvi la mia risoluzione; voi _dovete_ ascoltarmi. _Dovete_ — proseguì con forza vedendola mutar colore e mostrar segni d'inquietudine — darmi una pronta risposta; e mi confido che sarà favorevole ai miei desiderî. Vi piace che si parli schietto; ebbene, così parlerò ora che ho preso un partito con animo deliberato. I miei parenti e i miei amici facciano pure le maraviglie e dicano quel che vogliono quando sapranno che ho scelto in isposa una fanciulla senza beni di fortuna e senza famiglia: io sono risoluto a sfidarli tutti e ad offrirvi il mio nome. In fin dei conti, a che serve il denaro se non rende l'uomo indipendente e padrone di fare il piacer suo? Quanto al mondo, non vedo perchè voi non vi portereste alta la testa al pari di chiunque. Sicchè, se non avete obiezioni, cessiamo questa scherma di parole, e consideriamo la cosa come regolata. — Così dicendo cercò di prenderle la mano. Ma Gertrude si ritrasse vivamente; aveva le fiamme al viso, e gli occhi le sfolgoravano nel fissarsi in quelli di lui con un'espressione di stupore e d'orgoglio offeso, tale ch'egli non poteva illudersi. Lo sguardo calmo e penetrante di quei grandi occhi neri era pieno d'eloquenza; Ben Bruce non lo sostenne e rispose alla muta interrogazione: — Spero che la mia franchezza non vi sia dispiaciuta.... — No, la franchezza non può mai dispiacermi, — ella disse con dignità. — Ma che ho fatto io inconsciamente perchè abbiate a tenervi così sicuro di me che mentre vi vantate di sfidare l'opposizione dei vostri, quasi vi pare superfluo chiedere qual sia il mio sentimento? — Egli si scusò: — Nulla, al contrario anzi.... Soltanto io pensavo che la vostra ritrosia derivasse dall'impressione ch'io vi lusingassi per giuoco, e che se aveste conosciuto la serietà delle mie intenzioni non m'avreste sfuggito nè trattato con sì sdegnosa alterezza; ma, credetemelo, quel dignitoso contegno non faceva che accrescere la mia ammirazione, e se ho presunto di poter essere amato da voi dovete perdonarmelo. Mi stimerò felicissimo d'ottenere il vostro consenso e lo riceverò come un favore. — L'espressione d'orgoglio offeso svanì dagli occhi di Gertrude. — Non è sua colpa; — ella disse tra sè — è fatto così. Io devo compiangerlo per la sua vanità e la sua ignoranza, e compatirlo per il disinganno che gli cagiono. — Quindi, pur dichiarando al signor Bruce in modo esplicito e positivo ch'egli non aveva destato in lei simpatie più tenere della benevolenza di un'antica e buona conoscente, procurò d'addolcire il rifiuto dandogli una forma cortese, evitando ogni parola che potesse affliggere il giovane o mortificarlo. Ella sentiva, come sente in simili casi una vera donna, di dover gratitudine e riguardo all'uomo che, per quanto poca stima ella facesse di lui, le rendeva il maggior onore possibile; e sebbene il suo rincrescimento fosse temperato dal pensiero di Rina e della strana condotta di Ben verso la fanciulla, condotta ora doppiamente inesplicabile, nemmeno _questa_ riflessione le impedì di comportarsi non soltanto da perfetta signora, ma da persona che, costretta a dare ad altri un dispiacere, è addolorata dalla necessità di farlo. Comprese però che la sua delicatezza era quasi sprecata quando scòrse qual fosse l'animo del signor Bruce nel vedersi opporre quel rifiuto inaspettato. — Gertrude, — egli disse — cotesto è un prendere a giuoco o me o voi medesima. Se siete ancora disposta a far la ritrosa per civetteria, desidero che sappiate ch'io non m'umilierò a sollecitarvi più oltre; ma se, dimenticando i vostri propri interessi, ricusate deliberatamente una fortuna come quella ch'io v'offro, è davvero gran peccato che non abbiate amici da cui siate bene consigliata. Non si presentano tutti i giorni di tali occasioni, specie a una povera maestrina di scuola; e se vi lasciate scappare questa, oso dire che non ve ne capiterà mai una seconda. — A tale linguaggio insultante, _l'antico temperamento_ di Gertrude si ridestò, l'ira agitò il suo spirito, si tradì nel lieve tremito delle sue dita appoggiate alla tavola presso cui stava ritta, essendosi alzata di scatto mentre egli parlava; ma per quanto insolita e improvvisa fosse la ribellione del vecchio nemico vinto, i suoi sentimenti erano da troppo tempo assoggettati a una severa disciplina perchè ella cedesse a quell'impulso, e rispose con voce commossa ma pacata: — Signor Bruce, ammesso ch'io potessi fino a tal punto dimenticare _me stessa_, non vorrei fare _a voi_ l'ingiuria di sposarvi per il vostro denaro. Io non dispregio la ricchezza: so il bene di cui può esser fonte. Ma il mio amore non si compera a prezzo d'oro. — Così dicendo mosse verso l'uscio. Egli le afferrò una mano. — Fermatevi! Vogliate ascoltarmi un momento, permettermi una domanda.... Siete gelosa delle attenzioni da me prodigate ultimamente ad un'altra? — No, punto. Confesso però che non mi posso spiegare la vostra ambigua condotta. — Avete forse creduto ch'io mi curassi davvero di quella scioccherella? — proseguì Ben con ardore. — Ch'io avessi alcun altro desiderio che di mostrarvi se fossero apprezzabili i miei omaggi?... No, non ho mai provato ombra di passione per Rina Ray.... Il mio cuore è stato sempre tutto vostro, e se mi fingevo attratto da _lei_, era soltanto nella speranza d'ottenere uno sguardo da _voi_.... uno sguardo _ansioso_, intendete? Oh, quanto ho spesso bramato di vedervi manifestare la metà del piacere che manifestava Rina in mia compagnia.... arrossire e sorridere così.... brillare in viso quand'ero allegro, esser triste del mio malumore, farmi sperare infine d'aver conquistato l'amor vostro, come il suo.... Ma amarla, io? Poh! La canina della signora Graham non potrebbe essere una rivale meno pericolosa per voi di quella puerile.... — Tacete, tacete! — gridò Gertrude interrompendolo. — Per _me_, se non per rispetto di _voi stesso_! Oh, è mai possibile.... — Non potè continuare. Si lasciò cadere in una poltrona, scoppiò in lacrime, e nascondendo la faccia tra le palme, al modo che soleva quand'era bambina, pianse irrefrenabilmente. Ben Bruce era sbalordito. S'accostò a lei e chiese in tono sommesso: — Perchè piangete? Che ho fatto? — Ella non fu in grado di rispondere se non in capo a qualche minuto. Sollevò la testa, si scosse dalla fronte i capelli scomposti, e mostrando un viso che esprimeva solo un intenso dolore, disse con voce rotta: — Che avete fatto? E potete domandarlo? Ella è una dolce creatura, gentile, affettuosa. Ha un cuore amante e fidente. E voi l'avete _ingannata_, ingannata per causa mia.... Oh, come, come ne foste capace!... — Il giovanotto ora pareva sconcertato, e mormorò, non senza esitare: — Le passerà. — Le passerà, _che cosa_? — replicò Gertrude. — Il suo amore per voi? Può ben darsi. Io non so quanto profondo sia. Ma pensate alla sua felice e amorosa natura, e al tradimento con cui l'avete contristata! Pensate ch'ella credeva sincere le vostre parole, mentre erano tutte vuote, tutte false! Abusando così della sua fiducia, voi avete dato una perniciosa lezione di scetticismo ad una giovanetta, orfana di padre e di madre, che ha diritto alla simpatia e alla protezione di tutti. — Non m'immaginavo che voi la pigliereste in cotesto senso, — disse Ben. — E in quale altro potrei pigliarla? — ella rispose. — Speravate forse che una tale condotta vi concilierebbe la mia stima? — Date troppo peso alla cosa, Gertrude: siffatti corteggiamenti sono comunissimi. — Tanto peggio. Per me, che non ho pratica del bel mondo, il trastullarsi con un cuore umano è una mala azione. Se Rina vi ami, io non so; ma quale opinione può avere della vostra lealtà? — Mi pare che non dovreste essere tanto dura, signorina Gertrude, posto ch'io sono stato mosso unicamente dall'amore che vi porto. — Forse sarò dura. Non ho autorità di censurare: parlo soltanto per impulso del cuore. Che un'orfana prenda la difesa di un'orfana è naturale. Forse anche Rina stessa considera il fatto meno grave che a me non sembri, e non ha bisogno d'avvocati. Ma, signor Bruce, non abbiate del mio sesso una così bassa opinione da credere che si possa guadagnare l'amore e il rispetto d'una donna con un tradimento verso un'altra. Sarebbe l'infima tra le femmine colei che rinnegasse così i principî della rettitudine e dell'onore. — Tradimento! Che paroloni! Voi esagerate per troppo orgoglio. — Tant'è vero che mezz'ora fa mi sentivo disposta a piangere vedendo che voi avevate riposto il vostro affetto in chi non poteva corrispondervi, e se ora piango per colei che ha dato ascolto alle vostre parole menzognere, e la cui pace fu per lo meno _minacciata_ a cagion mia, dovete ascriverlo al non essersi ancora inaridito il mio cuore nel contatto col mondo. — Seguì un breve silenzio. Ben Bruce fece alcuni passi verso l'uscio, poi si fermò, tornò indietro, e disse: — Dopo tutto, Gertrude Flint, io credo che verrà un tempo in cui le vostre idee saranno meno romantiche, e ricordando questa sera vi dorrà di non aver proceduto diversamente. V'accorgerete, non dubitatene, che questo è un mondo ove ciascuno deve provvedere a sè. — E uscì concitato, senza soggiungere verbo. Un momento appresso Gertrude l'udì chiudere la porta di casa d'un colpo violento. Allora la quiete del salotto che più non risonava delle loro voci commosse, fu di nuovo turbata da un lieve gemito il quale veniva dal vano d'una finestra. Ella sussultò. Avvicinatasi, intese un singhiozzo represso. Alzò la tenda drappeggiata, e, là, sul largo sedile che occupava un lato dell'ampio strombo, vide la povera Rina Ray col viso affondato nei cuscini, e la sottile personcina contorta in uno strano atteggiamento di abbandono disperato, come di bimba accasciata sotto il peso d'un gran dolore. L'abito di crespo bianco gualcito, la ghirlanda di fiori naturali avvizzita e spostata, che le pendeva dietro fin sul collo, il piccolo pugno che stringeva convulsamente un cordone della tenda, rendevano ancor più penosa quell'espressione d'estrema angoscia. — Rina! — esclamò Gertrude la quale aveva indovinato chi era prima ancora di vederla. Al suono della sua voce la fanciulla si rizzò d'un balzo, e si gettò tra le sue braccia, le posò il capo sulla spalla. Non piangeva, non _poteva_ piangere, ma un tremito che non giungeva a dominare la scoteva tutta. La mano premente la mano dell'amica, era gelida da far paura, gli occhi sembravano fissi, e lo stesso gemito isterico che l'aveva tradita nel suo nascondiglio, le usciva ad intervalli dalla gola, spaventando Gertrude a cui ella s'aggrappava come presa da un subito terrore. Questa, sorreggendola, la trasse fino a un divano, le sedette accanto, e si strinse dolcemente al petto la personcina tremante, scaldò le manine diacce, baciò e ribaciò le labbra irrigidite, finchè ottenne di ricomporla almeno in un'apparenza di calma. Per un'ora Rina stette così abbracciata a lei, ricevendo le sue carezze con evidente piacere, e rendendole ogni tanto con impeto convulso, ma senza proferir parola. Guidata da un savio criterio e da una perfetta delicatezza, la sua giovane protettrice s'astenne dall'interrogarla o accennare comunque al colloquio certo udito di nascosto, senza perderne sillaba; ma aspettato pazientemente che fosse in realtà più tranquilla, le preparò un cordiale, poi, vedendola prostrata di corpo e d'anima, le cinse con un braccio la vita, la condusse di sopra, e la fece entrare, senza cerimonie, nella propria camera, dove, se non doveva godere il ristoro del sonno, le sarebbero state risparmiate almeno le osservazioni e la curiosità d'Isabella. Stretta sempre all'amica, la povera fanciulla, che finalmente uno sfogo di pianto aveva alquanto sollevata, finì però con l'assopirsi fra i singhiozzi; e tutte le sue pene furono per allora sepolte nel profondo oblio in cui l'infanzia e la giovinezza trovano una tregua al dolore, e talvolta un balsamo che lo sana. Non fu così di Gertrude, la quale, benchè fosse circa della stessa età, aveva già conosciuto troppe afflizioni e troppe cure perchè potesse conservare il beato privilegio d'addormentarsi agevolmente anche in mezzo alle inquietudini. Era necessario, d'altronde, ch'ella vegliasse per aspettare il ritorno della signorina Clinton e spiegarle l'assenza di sua cugina dalla camera da esse occupata in comune. Seduta alla finestra, tendeva l'orecchio, impensierita, poichè Rina aveva cominciato ad agitarsi sui guanciali e mormorava parole incoerenti, evidentemente turbata nel suo sonno da sogni affannosi. Era passata la mezzanotte quando arrivarono i signori Graham con la nipote. Ella s'affrettò ad avvertire quest'ultima che la signorina Ray, indisposta, s'era coricata nella camera sua. Ma il rumore delle carrozze aveva destato la dormente. Quando Gertrude rientrò, la trovò in atto di stropicciarsi gli occhi cercando di raccogliere i propri pensieri. Subitamente la scena della sera innanzi le balenò nella memoria, e con un sospirone ella esclamò: — Oh, Gertrude! Sognavo il signor Bruce.... Dite, l'avreste creduto capace di trattarmi in tal modo? — No, di certo.... Ma s'io fossi in voi, non lo sognerei, nè vorrei pensarci da sveglia.... Dormiamo e dimentichiamolo. — Eh, per voi è un'altra cosa! — fece Rina con semplicità. — Egli vi ama e voi non l'amate.... mentre io.... io.... — S'interruppe, soverchiata dalla sua passione, e nascose il volto nei guanciali. Gertrude s'accostò al letto, pose una mano sul capo della povera fanciulla, e terminò la frase per lei. — Il vostro cuore è così grande, Rina, ch'egli forse v'ha trovato un posticino; ma è un cuore troppo buono, dove non sono degni d'entrare i vili. Non dovete pensare più a colui; è immeritevole della vostra stima. — Ahimè, non posso! Come ha detto, sono una scioccherella.... — No, non è vero, — disse Gertrude con un tono incoraggiante. — E dovete provarglielo. — In qual maniera? — Facendogli vedere che nonostante la sua dolcezza, Rina Ray è coraggiosa e forte, ch'ella non crede più alle sue menzogne lusinghiere, e tiene le sue galanterie per ciò che valgono. — Mi aiuterete, Gertrude? Voi siete la mia migliore amica; avete preso le mie difese, gli avete mostrato quanto malvagia è stata la sua condotta verso di me. Mi permetterete di venire a voi, quando non mi sentirò la forza di nascondere il mio dolore a lui, alla zia, ad Isabella? — Un caldo abbraccio di Gertrude l'assicurò che avrebbe sempre trovato in lei aiuto e simpatia. — Vedrete, — affermò questa — che tra poche settimane sarete di nuovo serena ed allegra come prima. Non vi riuscirà difficile cessar d'amare una persona che avete cessato di stimare. — L'innamorata protestò che mai più non sarebbe stata felice; ma Gertrude, sebbene novizia anch'essa nelle vie del cuore umano, era più fiduciosa, perchè dalla violenza medesima dello sfogo comprendeva che il dolore di Rina somigliava un po' a uno di quegl'impetuosi dolori infantili che si esauriscono in lacrime e singhiozzi, e pensava che i più intimi recessi dell'anima sua fossero rimasti immuni dai danni della tempesta. Sentiva nondimeno per lei una profonda compassione, e insieme temeva ch'ella non avesse tanta forza di carattere da comportarsi di fronte al signor Bruce come richiedeva la sua dignità di donna, ed evitare d'esporsi ai dileggi d'Isabella e al disprezzo della zia palesando col suo aspetto e il suo contegno la grave mortificazione patita. Fortunatamente, quanto al giovane la prova le fu risparmiata, giacchè egli non si presentò più a villa Graham, e si seppe ch'era partito per tutto il rimanente della stagione estiva. La maraviglia e la curiosità suscitate nelle due famiglie da questa improvvisa partenza furono dunque la sola causa di difficoltà esteriori contro cui ebbe a lottare la povera Rina, sulla quale veniva a cadere il sospetto ch'ella non fosse estranea al brusco allontanamento del suo corteggiatore. La zia e la cugina la tempestavano di domande: «L'aveva ella rifiutato? Si erano bisticciati? E perchè?» Ella negava l'una cosa e l'altra, ma non le credevano, e il mistero persisteva, strano e solleticante. La signora Graham e Isabella non ignoravano che la sera della festa Rina si era, all'ultimo momento, ricusata d'andarci, con un pretesto, perchè mentre s'aspettava la carrozza della signora Bruce aveva per caso risaputo che Ben non ci sarebbe stato; ed essendo riescite a farle confessare ch'egli era poi venuto alla villa, ne trassero la naturalissima ipotesi d'un dissenso tra i due supposti innamorati. Isabella, dall'altro canto, conoscendo troppo bene i sentimenti della cugina, non poteva già credere ch'ella avesse rinunziato di sua spontanea volontà a un adoratore tenuto in sì gran pregio, e vedeva la sensitiva giovanetta sussultare ad ogni accenno alla costui diserzione. Quindi l'affetto di parente e d'amica, e un senso di delicatezza avrebbero dovuto vietarle di toccare il penoso soggetto. Ma invece il signor Bruce e la sua enigmatica scomparsa erano il tema favorito de' suoi discorsi, e al minimo disaccordo tra lei e Rina, ella non mancava di confonderla e chiuderle la bocca con qualche pungente sarcasmo allusivo al suo amore andato a male. Rina allora si rifugiava presso Gertrude, le confidava le sue pene, invocava il conforto della sua simpatia, trovando non soltanto benevolo ascolto, ma attingendo in quell'amicizia maggior coraggio e serenità d'animo che non potessero venirle in soccorso da alcun'altra parte. E a grado a grado la loro familiarità divenne per lei così dolce, ch'ella le doveva le sole sue buone ore di pace. Gertrude si prendeva teneramente a cuore la sorte della fanciulla che aveva sofferto un crudele disinganno di cui ella era l'involontaria cagione. Lo spirito depresso, l'aria mesta e pensosa della piccola Rina Ray, per sua natura così viva, così gaia, le dicevano con eloquenza commovente il suo intimo dolore; ed ella procurava in ogni modo di distrarla, di ricrearla, di farle prender gusto a quelle occupazioni e quei piaceri in cui ella stessa aveva spesso trovato un sollievo negli affanni tormentosi, nelle contrarietà irritanti. Certo, quasi tutto il suo tempo era dedicato ad Emilia, la sua amica più cara, la sua benefattrice; ma Emilia non aveva abitudini esclusive; quando non l'affliggevano quelle indisposizioni alle quali andava soggetta, era sempre disposta a ricevere cordialmente i visitatori cui la sua compagnia poteva esser grata o utile; perfino la indisciplinata e spensierata Fanny Bruce sentiva di non riuscire importuna, tanto era gentile il sorriso che l'accoglieva e tollerante l'indulgenza concessa alle sue monellerie. Rina dunque approfittava anche lei di questa cortese ospitalità; e poichè la cieca, col suo raro intuito, comprendeva che la fanciulla non era più la felice e folle creatura di prima, e aveva bisogno della sua benevolenza, questa era per lei doppiamente benvenuta. Tutte le volte che Isabella si divertiva a punzecchiare e mortificare la cuginetta oltre i limiti della pazienza umana, e che Gertrude si trovava occupata nella camera della signorina Graham, una snella figurina s'affacciava timidamente all'uscio socchiuso, e una voce soave come nessuna diceva dall'interno: — Vi sento, Rina; entrate, cara; la vostra compagnia ci è sempre gradita. — E Rina entrava, si sedeva accanto a Gertrude, imparava da lei qualche artistico lavoro d'ago, o ascoltava qualche piacevole lettura, o godeva dell'ancor più piacevole conversazione d'Emilia. Passava così ore indimenticabili: ore calme, serene, ch'erano tanto diverse da quelle vissute fino allora, e lasciavano in lei un'impressione duratura, benefica per il suo spirito e il suo cuore. Nessuno poteva trattare familiarmente con Emilia Graham, ascoltare le sue parole, vedere la radiosità del suo celeste sorriso, respirare nella pura atmosfera che la circondava, senz'acquistar almeno l'_amore_ della virtù e della santità, se non qualche particella della loro _essenza_. Ella era così scevra di egoismo, così paziente e rassegnata nonostante le sue privazioni, che Rina avrebbe sentito vergogna di lamentarsi in sua presenza; ed intorno a lei regnavano una pace e una giocondità il cui influsso irresistibile faceva spesso scordare alla giovanetta la causa della sua infelicità a segno ch'ella ripigliava senz'avvedersene la naturale gaiezza. Di giorno in giorno, oramai, la sua passione, il suo rammarico, tanto cocenti, tanto veementi sulle prime, andavano dissipandosi rapidamente come sogliono questi turbini di dolore, e mentre la guarigione progrediva in una tranquilla inconsapevolezza, un'altra opera non meno salutare ed importante s'iniziava in quell'anima. Frequentando una creatura eletta come Emilia, di cuore puro e di mente alta, vivendo in ancor più intima familiarità con la degna sua discepola, Rina apprendeva ad elevare i suoi pensieri, a mirare nelle sue azioni a nobili fini cui la vita ch'ella aveva condotta per l'innanzi era affatto estranea. Ammaestrata in parte dai precetti e dall'esempio delle sue nuove amiche, in parte dalla propria amara esperienza, la «scioccherella» che s'era lasciata prendere alle lusinghe di Ben Bruce vedeva adesso tutta la vanità e tutta la follia di cui s'era fino allora nutrito il suo spirito; e risolvendo per la prima volta di coltivare amorosamente le facoltà immortali, cominciò a sviluppare i germi della sua miglior natura, i quali, maturati col tempo e con l'aiuto di nuovi benefici influssi, trasformarono la frivola e leggera fanciulla mondana in una donna seria, utile e amabile. XXXIII. Lievi dispregi, forse d'odio scevri, Il mal che non potrebbero col peso Fan col numero, e i piccoli dolori A mille ci corrodono la vita. ANNA MORE. Gertrude era lungi dall'immaginarsi che mentre ella s'adoperava piamente, con tutte le sue forze, a procacciare la felicità e il benessere morale di Rina, affidatasi al suo affetto e alla sua cura, andava eccitando la gelosia e la malevolenza d'altre persone. Isabella Clinton, la quale non aveva mai veduto di buon occhio quella fanciulla il cui carattere, la cui condotta parevano un continuo rimprovero alla sua vanità e al suo egoismo, e per giunta rea del delitto d'essere l'amica prediletta d'un giovane che, adolescente, aveva lasciato nel superbo suo cuore un sentimentale ricordo, aspettava con impazienza un'occasione di denigrarla dinanzi alla signora Graham. La grande intimità nata tra Gertrude e Rina non era sfuggita alla sua osservazione e destava in lei un vivo risentimento, sebbene ella stessa la ribadisse e la rafforzasse con la propria freddezza e la propria ingenerosità verso la povera delusa. Ora, rammentando che sua cugina, precisamente la sera della supposta rottura di questa col signor Bruce, aveva disertato la loro camera comune per rifugiarsi in quella di Gertrude, s'affrettò a comunicare alla zia il sospetto che costei avesse suscitato e fomentato qualche discordia tra i due innamorati e fosse riuscita a mandare a monte il matrimonio. La signora Graham non esitò ad accettare la sua opinione. — Rina — ella disse — è d'animo debole ed evidentemente si lascia dominare dalla signorina Flint. Non mi farebbe maraviglia che tu ti fossi apposta, cara Bella! — Così collegate, cercarono di strappare a Rina, per via di sorpresa o d'astuzia, una confessione circa il modo in cui Gertrude sarebbe giunta ad allontanare il suo pretendente e a raggirare lei. La fanciulla negò, indignata, che la sua amica si fosse resa colpevole di questa mala azione, e seguitò ostinatamente a ricusarsi di rivelare ciò ch'era avvenuto alla villa la sera della festa nuziale. Era il primo segreto ch'ella serbava: ma il suo orgoglio femminile vi si trovava coinvolto, e sì l'onore che la saggezza le imponevano di custodirlo con rigorosa cura. La collera d'Isabella e della signora Graham si rinfocolò. Molto discussero in segreto la questione, molte vane congetture fecero; di giorno in giorno s'esasperavano contro Gertrude, e il loro contegno verso di lei cominciò a manifestarlo. La fanciulla presto s'avvide d'esser fatta segno di meditate scortesie, poichè quantunque non dipendesse dalle loro grazie, non mancavano, vivendo sotto lo stesso tetto, occasioni in cui potessero ferirla con maniere sgarbate, le quali divennero sempre più provocanti e sarebbero state insopportabili senza la severa disciplina morale che frenava il suo temperamento. Con mirabile pazienza ella mantenne la sua equanimità. Non aveva mai aspettato benevolenza nè riguardi da parte della signora Graham e della signorina Clinton. Fin da principio s'era persuasa che tra lei e loro ci poteva essere poca simpatia, e adesso che le mostravano aperta avversione, lottava strenuamente seco stessa per conservare non soltanto la calma e il dominio dei propri sentimenti, ma un costante spirito di carità. E fu bene che non cedesse a quella prima prova cui veniva sottoposta la sua tolleranza, perchè un'assai più grave e inopinata provocazione le riserbavano le sue maligne persecutrici. Irritate da quella paziente e dignitosa condotta che non avevano preveduta, accese dal dispetto di picchiare a vuoto, risolsero d'attaccarla da un altro lato: ed Emilia, la dolce, amabile, inoffensiva Emilia, fu il nuovo oggetto contro cui diressero le loro ostilità. Gertrude sapeva soffrire le ingiustizie, i dispregi, perfino le parole ingiuriose e crudeli finchè non colpivano che lei; però il sangue le bollì nelle vene quando vide che la sua diletta amica diveniva la vittima d'una bassa animosità palesata da vergognose piccole trascuranze, da malevoli procedimenti. Rivolgersi alla gentile creatura in termini men che cortesi pareva quasi impossibile; più impossibile ancora trovar qualche cosa a ridire sul conto d'una persona la cui vita era tutta bellezza e bontà; e la sventura che la teneva in certo modo appartata, sembrava doverla mettere al riparo d'ogni aggressione. Ma la signora Graham era grossolana e impulsiva, Isabella egoista e dura. Già molto prima che la cieca s'accorgesse delle loro nemiche intenzioni, Gertrude aveva sentito il suo cuore fremere e ribellarsi dinanzi ad atti e discorsi che tradivano il proposito di dar noia ad Emilia o d'affliggerla, tanto erano propri a ferire, se rilevati, la sensibilità di un'anima delicata. Ed ella vigilava: più d'un colpo veniva da lei stornato; più d'una mancanza riparata a tempo; più d'un disegno ch'esse contrariavano perchè lo sapevano favorito dalla signorina Graham, era portato a compimento grazie alla sua perseveranza e alla sua energia. Così durante alcune settimane Emilia ignorò che vari piccoli uffici servili le erano prestati adesso da Gertrude perchè Brigida aveva ricevuto dalla sua padrona ordini incompatibili col disbrigo di tutte le faccende per conto della signorina. Il signor Graham era allora assente, avendolo certe difficoltà che intralciavano i suoi affari chiamato a Nuova York nella stagione in cui egli soleva godere ozi beati, libero da ogni cura. La sua presenza sarebbe stata un freno potente per la moglie, la quale ben conosceva il tenero e devoto affetto che egli portava alla propria figliuola e il suo desiderio che il benessere di lei fosse considerato in casa sua come cosa di capitale importanza. E appunto il suo amore e le sue cure per Emilia, il rispetto, l'adorazione quasi, di cui tutti i familiari la circondavano, avevano destato fin dal primo giorno la gelosia della nuova signora Graham; e però ella approfittava di buon grado del pretesto offertole da Isabella, per dare sfogo al suo astio. Infatti ciò che concerneva Rina e la sua diserzione, com'esse dicevano, nel campo nemico, non era che una causa secondaria di diffidenza e d'avversione. Tuttavia la brusca e misteriosa partenza del signor Bruce, ed il sospetto che Gertrude, appoggiata dalla sua protettrice, avesse messo male tra lui e la fanciulla, forniva loro un motivo ostensibile di risentimento, ed erano determinate a trarre da questa scusa tutto il partito possibile. Un giorno, poco innanzi il ritorno del signor Graham, mentre Isabella e sua zia sedute nell'atrio cercavano d'ingannare le ore tediose di quell'afoso pomeriggio d'agosto sparlando di tutto il resto della famiglia, fu recata alla signora una lettera di suo marito. Ella ne scorse rapidamente il contenuto e disse con aria di sodisfazione: — Buone notizie, Bella! Pare che ci sia per noi la speranza di qualche piacere in questo mondo.... — E lesse ad alta voce il seguente passo: «Il molesto affare che m'ha costretto a venir qui è già quasi regolato, e nel modo più favorevole ai miei desiderî e ai miei disegni. Non veggo più alcun ostacolo al nostro viaggio in Europa; dunque partiremo nella seconda metà del mese venturo. Le ragazze facciano i loro preparativi. Dite ad Emilia che non risparmi nulla per provvedere dell'occorrente sè e Gertrude.» Isabella osservò ghignando: — Parla di Gertrude come fosse una di noi! Confesso ch'io non mi riprometto un piacere molto grande dal viaggiare per l'Europa con una cieca e la sua sgradevole appendice. Non capisco proprio perchè il signor Graham voglia portarsele dietro. — Magari le lasciasse a casa! — sospirò la zia. — Sarebbe per Gertrude un buon castigo. Ma, ohimè, sta' pur sicura, egli partirebbe piuttosto senza la mano destra che senza Emilia! — Spero che se mai mi marito, — esclamò la ragazza — non sarà con uno che abbia una figlia cieca! E per giunta una persona così terribilmente virtuosa, che tutti sono in obbligo d'idolatrarla, ammirarla e servirla. — _Io_ non ho da servirla; cotesto è l'ufficio di Gertrude: non è qui per altro. — E quest'è il peggio: la cieca ha bisogno d'una camerista, e la camerista è una gran dama che non si perita di sottrarre alle vostre nipoti i loro innamorati e guastarle tra loro. — E che ci posso fare io, Bella? Puoi credere che io non desidero la compagnia della Flint più di te; ma non so davvero in che modo riuscirei a liberarmene. — Io vi consiglio di raccontare un po' al signor Graham il male che ha già fatto. Se avete qualche potere su lui, non vi sarà difficile impedirle di partecipare al nostro viaggio. — Sarebbe soltanto ciò che merita; e non dico che non gli toccherò della sua condotta. Certo rimarrà stupito di quella subitanea fuga di Ben Bruce, perchè non dubitava che avrebbe sposato Rina. — In quella la signorina Clinton dovette interrompere la conversazione per andare a ricevere visite che arrivavano, e lasciò la signora Graham in una disposizione d'animo feconda di gravi conseguenze. Mentre Isabella scendeva la gradinata d'ingresso per andare incontro con sorrisi e complimenti agli ospiti che nell'intimo del suo cuore ella desiderava a cento miglia di distanza in quel torrido pomeriggio estivo, Gertrude saliva dalla cucina per la scala di dietro, e attraversava un corridoio conducente nella sua camera. Ella portava sulle braccia un abito di fine mussolina bianca, un buon numero di golette ricamate, di maniche e manichetti a piegoline, e altro, ogni cosa stirato di fresco. Era rossa in viso, e pareva molto stanca. Entrata, depose sul letto, accuratamente, il suo fardello, si scostò i capelli dalla fronte, aprì una persiana, e traendo un respirone sedette accanto alla finestra per godere un soffio d'aria fresca, se c'era. La signora Prime, che passava appunto per il corridoio, sporse la testa dall'uscio socchiuso, e visto che Gertrude era sola venne avanti. Guardò in atto di maraviglia la roba stirata, poi guardò lei, notò gli effetti del faticoso lavoro, e proruppe con indignazione: — Affemmia, signorina Gertrude, scommetto che avete stirato voi stessa l'abito di mussolina e il resto! — La giovanetta sorrise ma non rispose. — Oh, quest'è troppo! — esclamò la buona donna. — Pensare che voi avete lavorato in quella cucina ch'è un forno nelle ore calde, mentre noi si faceva la siesta!... Sono certa che la signorina Emilia non vorrebbe metterselo mai più cotesto abito bianco, se lo sapesse! — Dite piuttosto che non è quasi da mettersi.... Io non ho pratica di stirare, e ho durato gran fatica; una parte mi s'asciugava prima che avessi finito di passare il ferro sull'altra. — È una galanteria, invece; ma non so davvero perchè abbiate da far voi il lavoro di Brigida. — Brigida è sempre tanto occupata, — disse Gertrude evitando una risposta diretta — e poi è bene ch'io impari. Nessuna cognizione è inutile, signora Prime. — Ma dopo pranzo, con questo po' di caldo, non è il tempo adatto per simili sperimenti. E oso dire che neppur voi l'avreste scelto se non fosse stato il pensiero che la signorina Emilia poteva aver bisogno della sua roba e non trovarla pronta. Che mutamenti in casa Graham! La figliuola del padrone, una volta al primo posto, adesso è ridotta ad aspettare che sia stirata la biancheria degli altri per ottenere la propria. Brigida dovrebbe aver tanto giudizio da non dar retta a quelle villane rivestite quando le ordinano, per esempio, come sentii giusto ieri la signora, di lasciare stare «quel mucchio di mussoline» per occuparsi di faccende «più importanti....» La nostra Caterina non sarebbe stata così grulla: ma Brigida è anch'essa una nuova capitata. E io pensai subito: «Che direbbe la signorina Gertrude vedendo trascurare così la signorina Emilia?» Eh, com'è vero ch'io mi chiamo Prime, voglio che la padroncina sappia quel che succede qui!... Voi non vi scalmanerete più a stirare: se le sue vesti e la sua biancheria fine, e specie la vostra, non possono più esser lavate e stirate in casa, si daranno fuori. Denaro ce n'è, e se ne deve spendere un poco anche per i bisogni delle signore vere. Vorrei pure che l'Isabella andasse a cambiar aria: le farebbe buono! Mi feriscono nel cuore le vessazioni che si commettono contro voi due.... Io non ci reggo più; vo difilato dalla signorina e vuoto il sacco. — No, che non ci andrete, signora Prime, — disse Gertrude in tono persuasivo — posto ch'io vi prego di non farlo. Voi dimenticate quale dispiacere proverebbe Emilia se risapesse questa mancanza di riguardo della signora Graham. Io vorrei stirare vestiti di mussolina tutti i giorni piuttosto che lasciarle pur _sospettare_ una volontaria scortesia di qualcuno verso di lei. — La cuoca esitò. Infine disse: — Signorina Gertrude, io credevo che nessuno potesse amare la nostra cara Emilia più di me, ora capisco però che voi l'amate _meglio_, perchè usate tanta prudenza e saviezza per amor suo. Io tacerei se non vi andaste di mezzo _voi_: siete venuta in questa casa ch'eravate ancora una bambina, e tutti v'abbiamo posto affetto e vi teniamo in gran conto.... Io non posso tollerare di veder quella gente mettervi i piedi sul collo come ne ha l'intenzione. — So che mi volete bene, signora Prime, e ad Emilia pure: dunque tanto per me che per lei non dovete fiatare con anima viva su questi cambiamenti nel governo della famiglia. Facciamo quanto è possibile per risparmiarle il dolore di conoscerli: circa il resto, non dateci peso. Se anche non mi tratteranno con l'amorevolezza e l'indulgenza a cui gli altri m'avevano avvezzata, qui, il miglior consiglio è di non mostrare d'accorgersene: e voi, non vi mettete gli occhiali per veder torbido. — Dio vi benedica, signorina Gertrude! Quelle persone hanno fortuna d'aver a fare con un cuore come il vostro: nessuno, io credo, sarebbe capace d'una tale pazienza. A me, grazie al cielo, non hanno occasione di dar noia. Io lasciai subito intendere alla signora Graham che non soffro ingerenze di chicchessia nelle mie faccende: i diritti delle cuoche sono privilegiati, e le feci passare presto la voglia d'invadere i miei dominî, ve l'assicuro.... M'è doloroso assai veder le mie care signorine soverchiate così; nondimeno, poichè voi mi dite «zitto!», frenerò la lingua finchè potrò. Ma l'è una vergogna, questo lo dichiaro! — E la signora Prime se n'andò, borbottando. Un'ora più tardi Gertrude era allo specchio, intrecciando i suoi lunghi capelli, quando entrò la signora Ellis dopo avere leggermente picchiato all'uscio. — Ah, — fece la governante — non avrei creduto che s'arriverebbe a questo segno! — Che c'è di nuovo? — domandò con ansia la fanciulla. — Pare che ci sfrattino dalle nostre camere. — Chi? — Voi, prima, e poi me, mi figuro. — Gertrude avvampò in viso ma tacque. La signora Ellis le raccontò come avesse ricevuto l'ordine di adattare la camera di lei per due ospiti aspettati il giorno seguente, e fu maravigliatissima d'udire che Gertrude non era stata consultata nè avvertita. La signora Graham le aveva parlato della cosa con aria di così tranquilla indifferenza, mostrandosi anzi tanto sicura che alla signorina Emilia e alla sua giovane amica sarebbe tornato comodo e gradito occupare la medesima stanza, ch'ella aveva creduto la cosa già stabilita di comune accordo. Profondamente offesa e sdegnata per conto proprio e d'Emilia, Gertrude stette un poco irresoluta, in silenzio. Poi domandò alla governante se avesse già informato la signorina di questa novità. Quella rispose di no. Ella la pregò allora di non dirgliene nulla. — M'è insopportabile — soggiunse — l'idea di farle sapere ch'io vengo espulsa senza cerimonie dal piccolo santuario da lei preparato per me con amorosa cura. Io dormo spessissimo nella sua camera, è vero: ma ella desiderava ch'io ne avessi una mia dove potessi stare in libertà, leggere, studiare.... Se permettete ch'io porti la mia scrivania nella camera vostra, signora Ellis, e di dormire lì qualche volta sull'agrippina, potremo tacerle la verità. — La signora Ellis acconsentì subito. Era divenuta molto umile e arrendevole, da qualche mese, e Gertrude le era entrata pienamente in grazia, prima con la sua esemplare pazienza, e da ultimo col cortese e valido aiuto prestatole nelle numerose occasioni in cui si trovava sopraccarica di faccende. Pertanto, non solo le accordò senza obiezioni ospitalità nella propria camera, ma s'offerse d'aiutarla a trasportarvi i suoi vestiti, i suoi libri, il tavolino da lavoro. Quantunque compiacente e gentile verso Gertrude, che adesso ella considerava come Emilia, la signora Prime e sè medesima, un membro del partito oppresso ed angariato, ritornava però all'antica asprezza per esprimere la sua indignazione parlando della condotta della signora Graham e d'Isabella. — È tutta una trama! Qualche volta penso perfino ch'è meglio per Emilia esser cieca e non vedere quanto succede in questa casa! Avrei voluto schiaffeggiare Isabella, ieri, quand'ebbe la sfacciataggine di prendere il vostro posto a tavola accanto a lei, e poi trascurare d'aiutarla a servirsi! E quell'angelo sedeva lì inconsapevole del suo vergognoso contegno, e le chiedeva un po' di burro con altrettanta dolcezza che se, per un mèro caso, voi foste stata mandata altrove e lei abbandonata a sè stessa. Davanti a tutti quegli estranei, poi! Io vedevo ogni cosa dallo stanzino della porcellana.... E i vestiti e le golette e i manichetti d'Emilia che stavano nell'armadio della biancheria aspettando d'essere stirati da tanto tempo ch'io credevo che finirebbero con l'ammuffire?... Sono contenta di vedere che Brigida ha potuto finalmente spicciarli, perchè davvero temevo che uno di questi caldi giorni la poverina non avrebbe più avuto roba leggera da mettersi. Ma è inutile discorrerne.... Io desidero soltanto che possano presto andarsene in Europa, e lasciarci respirare. A voi non importa mica d'andar con loro, eh, Gertrude? — Se ci va Emilia, sì. — Bene, siete migliore di me; io non sarei capace di sottopormi a un tale martirio neanche per amor suo. — Molte erano le molestie piccine e maligne a cui Gertrude veniva giornalmente fatta segno, specie dopo l'arrivo degli ospiti attesi: gente del mondo elegante, gaia e frivola, indotta dalla padrona di casa e da Isabella a riguardare lei come un'intrusa, ed Emilia come un noioso ingombro. Nè quest'ultima potè esser tenuta sempre all'oscuro del poco caso che si faceva di loro. Rina, indignata degl'incivili procedimenti di sua cugina e di sua zia, e indifferente verso gli estranei ospitati alla villa, poichè cominciava a discernere la leggerezza di carattere e di mente delle persone di quel genere, non esitò a manifestare alle sue amiche il vivo rincrescimento ch'ella provava nel vederle così indegnamente trattate e il desiderio di difenderle. Ma Rina era un'assai debole antagonista di fronte alla signora Graham, e soprattutto di fronte a Bella, i cui sarcasmi la sgomentavano; depressa di spirito dopo la mortificazione patita, era divenuta codarda, e non osava più, come avrebbe osato una volta, sventare i loro disegni e frapporsi tra chi ella amava e la malevolenza altrui. Ma la signora Graham, donna avventata, andò tropp'oltre, e s'impigliò nei propri intrighi. Il ritorno imminente di suo marito rendeva necessario un freno alla sua insolenza e a quella d'Isabella, cui era più difficile applicarlo. Quanto a lei, essendo abbastanza accorta da percepire fino a qual punto la tolleranza del signor Graham poteva giungere e la sua perspicacia essere ingannata, sapeva in presenza sua dominarsi e governarsi in modo da non cozzare contro quella imperiosa volontà. Lui lontano, s'era condotta senza ritegno, aveva permesso alla nipote d'empire la casa di gioventù chiassosa e petulante, e chiuso un occhio su molte aperte e flagranti violazioni delle regole di civiltà verso la figliuola dell'ospite assente, e la sua giovane compagna ed amica. Ora però conveniva reprimere questa indecorosa oltracotanza, ed ella lo comprendeva. Sfortunatamente, innanzi che mettesse in opera le sue precauzioni, il capo della famiglia ritornò inaspettato, e in circostanze che non le permisero d'avvertir nessuno nè preparar nulla. Egli arrivò sull'imbrunire, avendo preso l'omnibus, cosa contraria alle sue consuetudini. Era una serata fresca; finestre ed usci erano chiusi. La splendida illuminazione del salotto gli fece sospettare che sua moglie ricevesse una numerosa compagnia. Ne fu contrariato, essendo un sabato; egli, fedele agli antichi costumi della Nuova Inghilterra, desiderava che la vigilia del giorno del Signore la sua famiglia rimanesse quieta e raccolta. Per di più aveva un forte mal di capo. Non entrò dunque nel salotto, e passò invece prima nella biblioteca, poi nella sala da pranzo. Le trovò l'una e l'altra deserte e fredde. Salì al piano superiore, attraversò parecchie stanze, osservando non senza indignazione la trascuratezza con cui erano tenute, perchè egli amava l'ordine e la pulizia meticolosa, e andò difilato alla camera d'Emilia. Aperse l'uscio pian piano, è guardò dentro. Un bel fuoco ardeva nel caminetto a un canto del quale era stata spinta un'agrippina su cui sedeva Emilia; la piccola sedia a dondolo di Gertrude occupava l'altro. I riflessi della fiamma guizzavano sulle tende candide; da un panierino di fiori che ornava la tavola si diffondevano intorno soavi fragranze; ogni cosa era al suo posto e splendente di nettezza. L'aspetto della stanza, il viso placido e sereno della figliuola, il raggiante sorriso della giovanetta che alzando gli occhi aveva veduto con sua gran gioia il padre, il protettore della sua amica cieca, contemplarle in atto amorevole di sulla soglia, offrivano al signor Graham un così grato contrasto con quanto s'era offerto al suo sguardo fino allora, ch'egli, mosso da un sentimento più caldo del solito, strinse in un tenero amplesso paterno Emilia stupita dalla sua improvvisa comparsa, salutò non meno affettuosamente Gertrude. Questa avvicinò al fuoco una poltrona dov'egli sedette esclamando: — Brave ragazze, qui si sta bene e c'è un'aria di pace casalinga che consola! Ma che cosa succede al pianterreno? E perchè tanto disordine, tanta confusione? — Emilia spiegò che parecchi ospiti soggiornavano alla villa. — Uh! Ospiti? _Me lo dovevo immaginare!_ — brontolò il vecchio signore con tono di malcontento. — E si direbbe che ciascuno abbia vuotato il suo sacco di cenci nelle camere.... — Gertrude gli domandò se avesse preso il tè. Non l'aveva preso, e lo desiderava; era stanco. Mentr'ella s'avviava per scendere e prepararglielo, egli la richiamò: — Gertrudina, non dire a nessuno che sono ritornato. Ho bisogno d'esser lasciato tranquillo almeno _stasera_. — Rimasto solo con Emilia, s'informò dei preparativi per il viaggio in Europa; e con sua maraviglia apprese ch'ella ignorava totalmente le sue intenzioni su questo proposito, perchè la signora Graham s'era dispensata dal comunicarle il messaggio contenuto nella sua lettera. Sebbene sdegnato quanto stupito, egli si represse: non gli garbava confessare a sè stesso, e meno ancora alla figliuola, che sua moglie aveva trasgredito i suoi ordini. Risolse però d'occuparsene poi. Dopo essersi riconfortato con un tè ben guarnito, tornò di sopra e chiese il _Giornale della Sera_. — Vo a cercarlo, — disse Gertrude, rizzandosi. — No, suona, — fece il signor Graham, imperioso. A tavola aveva notato che quando la giovane, la quale assisteva al suo pasto, sonava il campanello, non si teneva conto della chiamata, e voleva conoscere la causa di questa strana negligenza. Gertrude sonò ripetute volte senza ottenere risposta. Alfine udì il passo di Brigida nel corridoio, ed aperto l'uscio disse alla ragazza: — Brigida, vi prego, cercate il _Giornale della Sera_ e portatelo qui, per la signorina Emilia. — Quella andò e ritornò presto, rispondendo che il giornale lo leggeva la signorina Isabella e ch'essa si ricusava di cederlo. Una tempesta si addensò sulla fronte del signor Graham. — Come! Una tale imbasciata a mia figlia! — esclamò egli. — Gertrude, va' tu stessa, e di' a quell'impertinente che dia subito il giornale, perchè lo voglio _io_. O che contegno è mai cotesto? — soggiunse borbottando. Gertrude entrò nel salotto con grande compostezza, e sotto gli sguardi curiosi di tutta la compagnia parlò piano alla signorina Clinton, che, rossa e confusa, le consegnò senz'indugio il foglio. Bella temeva il signor Graham; e quand'ebbe informato sua zia dell'inaspettato arrivo di questi, anche la signora si turbò. Ella aveva fatto calcolo di parlare col marito prima ch'egli vedesse Emilia, come molto le premeva, ben sapendo quanto importasse predisporlo in favore delle sue mire. Adesso era troppo tardi. Stimò meglio non andare in cerca di lui, e affidarsi piuttosto alla fortuna. Con arte, disperse la compagnia di buon'ora, e diede una capatina nella sala da pranzo dove infatti trovò il signor Graham che fumava. Egli era di malumore (grazioso come un orso, ella disse poi ad Isabella), ma la signora fu conciliante, evitò d'irritarlo toccando soggetti scabrosi, e seppe fare così bene, che il giorno seguente potè presentare a' suoi ospiti un padrone di casa, almeno in apparenza, affabile e cortese. Ma la serenità venne turbata assai prima che quella domenica giungesse a sera. Mentre il vecchio signore s'avanzava nella navata destra della chiesa dove stava per incominciare l'uffizio del mattino, conducendo, secondo il suo costume, la figliuola cieca appoggiata al suo braccio, la sua faccia si rabbuiò vedendo Isabella seduta con aria di compiacenza in quell'angolo dell'antica panca di famiglia che tutti sapevano essere da anni riservato alla signorina Graham. Sua moglie, la quale li accompagnava, ammiccò verso la nipote; ma costei era piuttosto ottusa, e però non isfuggì alla mortificazione d'essere da lui deliberatamente presa per la mano e rimossa dal posto usurpato dove egli collocò Emilia. La sfrattata, che già da tre domeniche commetteva la bassezza di privarla, per dispetto, del suo diritto, fu costretta a sedere durante il servizio divino accanto al signor Graham, con le spalle al pulpito, essendo tutti gli altri posti occupati. Ella fremeva di collera osservando i sorrisi mal repressi di parecchie persone delle panche vicine: specie l'afflisse il vedere nella contigua, proprio accosto a lei, Fanny Bruce che gongolava addirittura. Se Emilia fosse stata consapevole del trionfo ottenuto ne avrebbe sofferto. Ma il suo cuore e i suoi pensieri erano vòlti in alto, e come non aveva sentito nè ira nè pena dinanzi alla prepotenza di Bella Clinton, così non provava ora altra sodisfazione che quella di trovarsi più a suo agio nel posto a cui era abituata da tanto tempo. In capo a una settimana da che era ritornato, il signor Graham aveva compreso chiaramente i sentimenti di sua moglie e d'Isabella, e i loro probabili effetti sulla sua felicità domestica. Vedeva che Emilia sdegnava di lagnarsi; sapeva che non s'era lagnata mai: notava la devozione di Gertrude alla sua figliuola diletta, e considerava la fanciulla meritevole di tutta la sua stima e di riguardi che nessuno avrebbe potuto contrastarle. E quando la signora tentò con arte sopraffina d'insinuargli le accuse meditate contro la sua giovane protetta, egli le accolse con indifferenza e disprezzo. Conosceva Gertrude fin da bambina; ella era fiera, e qualche volta l'aveva giudicata caparbia: _mai_ vile nè falsa. Inutile venire a raccontare a lui quelle sciocchezze; se non s'era concluso nulla tra Ben Bruce e Rina, tanto meglio; il giovanotto era un fannullone, e non poteva essere un buon marito; quanto alla ragazza, gli pareva che fosse divenuta più savia e più gentile, e se questo era il risultato della sua amicizia con Gertrude, bisognava anzi favorire la loro intimità. La signora Graham era disperata. — Non c'è rimedio, — diceva a Bella. — È saldo come una ròcca, e se andremo _noi_ in Europa, con lui, indubitatamente Emilia e la sua fedele ci verranno _anche loro_. — Rimase dunque sbalordita come da un eccesso di gioia, quando seppe che la coppia con cui tanto le spiaceva di dover fare il desiderato viaggio, restava a casa, e per istanza della stessa signorina Graham. Gli scrupoli che avevano rattenuto Emilia dal dimostrare a suo padre quanto poco gradevole sarebbe riuscito per lei il giro all'estero, erano svaniti tosto che s'era persuasa che Gertrude, il cui bene le stava sempre a cuore, avrebbe sofferto ancor più viaggiando sottoposta alla compagnia delle sue nemiche. Quantunque cieca, ella afferrava e comprendeva quasi tutto ciò che avveniva intorno a lei. Dotata di prontissima percezione mentale e d'un finissimo udito reso doppiamente acuto dalla mancanza della vista, era giunta a conoscere, forse più addentro di ogni altro, gli eventi della scorsa estate. Indovinava il vero stato delle cose tra Ben Bruce e Gertrude, benchè questa non gliene avesse mai fatto parola, e s'immaginava in qual modo vi fosse coinvolta Rina, il che d'altronde non era difficile arguire, date le involontarie ma continue confidenze che l'ingenua fanciulla le andava facendo nelle loro conversazioni. Poichè gli abusi di potere della signora Graham e di Bella divenivano sempre più aperti e audaci, la governante e la cuoca stimarono tolto il divieto di palesarli alla padroncina: ma il dolore d'Emilia ebbe largo compenso nelle novelle prove che quei fatti le fornivano del devoto affetto di colei ch'ella si compiaceva di chiamare sua figliuola adottiva. Con perfetta calma, senza esitazioni come senza ira, ella risolse di procedere in guisa che Gertrude fosse liberata dalla servitù a cui s'assoggettava con tale abnegazione. Suo padre s'oppose sulle prime al suo desiderio di non accompagnarlo in Europa: ma egli troppo bene sapeva che quel viaggio, in cui per lei le intime sofferenze dello spirito si sarebbero aggiunte alle privazioni esteriori, non poteva essere che un sacrificio, perchè egli s'ostinasse a obbligarvela; e considerato che, dopo tutto, quella era l'unica via di conciliare gl'interessi contrari e che Emilia gli offriva il partito migliore nelle presenti circostanze, determinò di rassegnarsi alla lunga separazione dalla figliuola e permettere a questa di cercare la propria felicità dove la trovava. Egli aveva veduto durante l'inverno passato nel Mezzogiorno quanto la sua cecità le rendesse penoso il viaggiare, specie senza il soccorso dei vigili occhi di Gertrude, e riconosceva ora che i suoi gusti e il suo costume di vita erano proprio l'opposto di quelli della nuova signora Graham e delle costei nipoti; sicchè, punto voglioso d'esser convinto dai fatti della follia commessa con quel terzo matrimonio che minacciava di diventare per lui una sorgente d'infelicità domestica, apprezzò la saggezza di quel consiglio e si sentì sollevato prendendo una risoluzione che contentava tutti. XXXIV. Una serie di giorni che compone Mesi felici. WORDSWORTH. La casa della signora Warren, che offriva ai dozzinanti un soggiorno comodo e gradevole, fu prescelta da Emilia per passarvi l'inverno con Gertrude. Il signor Graham circa un mese dopo il suo ritorno da Nuova York s'era imbarcato alla volta dell'Havre con la moglie, Isabella e Rina; la signora Ellis era andata a godere un ben meritato riposo da certe sue cugine che dimoravano in campagna, e la villa era stata chiusa. La signora Prime, entrata come cuoca nella pensione Warren, brontolava tutte le mattine per il cresciuto lavoro, e tutte le sere benediceva la sua stella che l'aveva condotta ancora sotto il medesimo tetto con le sue care signorine. Quantunque il signor Graham avesse ampiamente provveduto al mantenimento della figliuola e della sua compagna, Gertrude era desiderosa d'occuparsi di nuovo in modo proficuo, e riassunse perciò una parte delle sue lezioni nella scuola del signor W. Ed Emilia, per gradita che le fosse la compagnia della giovanetta, se ne privava di buon grado durante alcune ore, lieta del nobile sentimento onde ella era animata, e la incoraggiava con le sue lodi. Nella loro indisturbata intimità, e in mezzo a pochi ma eletti amici, passarono un inverno tranquillo e felice. Leggevano e passeggiavano insieme secondo l'antica consuetudine. Insieme assistevano a conferenze e concerti; visitavano le gallerie di belle arti. Dinanzi ai capolavori della pittura e della scultura Emilia ascoltava attenta la sua guida, che con gli occhi scintillanti e il viso raggiante d'entusiasmo, le descriveva, ponendovi la più minuziosa diligenza, i soggetti dei marmi e delle tele, la maniera in cui l'artista aveva reso il concetto originale della sua mente, gli atteggiamenti, le figure, le espressioni dei visi, il colore dei paesaggi, e infine le impressioni prodotte nel suo spirito e nel suo cuore, i pensieri destativi dalle opere d'arte che esaminava. E tali erano l'eloquenza dell'una e la simpatia con cui l'altra pendeva, intenta, dalle sue labbra, ch'esse medesime in quell'atto offrivano un soggetto pieno di commovente contrasto, se non al pittore almeno all'osservatore della natura umana manifestata in nuove forme e scevra da vanità ed affettazione. Nelle passeggiate quotidiane, o contemplando la fulgida bellezza d'una serena notte invernale, Gertrude, rapita, lasciava sgorgare dal profondo dell'anima tutta l'ardente ammirazione di cui l'opera del sommo Artefice la colmava; dipingeva all'amica cieca la pompa d'uno splendido tramonto, o al cader della dolce ora crepuscolare, seduta accanto a lei, spiava nel cielo invaso dall'ombra notturna le stelle che s'accendevano ad una ad una: e allora Emilia attingeva alle segrete fonti della sua illuminata natura tali verità della vita interiore che sembrava ch'ella sola godesse la vera luce, e chi vedeva il mondo materiale fosse, al paragone, avvolto nelle tenebre. Felice e profittevole fu quell'inverno che trascorsero così. E non vivevano per sè soltanto: i poveri le benedicevano, gli afflitti venivano a loro per conforto, i familiari le amavano con predilezione. Gertrude spesso lo ricordò nella sua vita come il tempo in cui Emilia e lei erano vissute in un loro proprio mondo incantevole e beato. Venne la primavera, passò, ed esse s'indugiavano ancora, riluttanti a lasciare un luogo dove si trovavano tanto bene: forse non si sarebbero mosse dalla città neppure nell'estate senza una subita alterazione della salute d'Emilia e l'ordine perentorio del dottor Jeremy, il quale prescriveva l'aria di campagna come il migliore ricostituente. All'ansietà che Gertrude provava per l'amica s'aggiungeva ora una crescente inquietudine per il lungo silenzio di Guglielmo. Da quasi tre mesi non le era più giunta una parola da lui. Egli certo non l'aveva dimenticata nè la trascurava volontariamente. Questo era impossibile. Che cosa cagionava dunque una così strana sospensione della loro corrispondenza? Si sforzò tuttavia di non lasciarsi turbare l'animo, e dedicò tutte le sue cure ad Emilia che cominciava ad averne veramente bisogno. Andarono al mare per alcune settimane; ma quell'aria pura e viva non ridonò vigore all'indebolito organismo della cieca. Ella dovette tralasciare le sue passeggiate; una continua stanchezza le toglieva l'elasticità delle membra, il suo spirito così placido ed eguale andava soggetto a insolite depressioni, i suoi nervi erano divenuti irritabili a segno ch'era necessario preservarla con gran cura da ogni causa d'eccitazione. Il buon dottore veniva di frequente a visitare la favorita tra le sue pazienti; e la trovava sempre piuttosto peggiorata che non migliorata; infine le ordinò di ritornare a Boston dicendo che la signora Jerry aveva una bella camera sul davanti, altrettanto fresca e più comoda che le stanzette anguste della gremita pensione di Nahant, e insistendo perchè Emilia e Gertrude accettassero d'alloggiarvi durante una quindicina di giorni in capo a cui egli sperava d'esser libero di condurre la signorina Graham a cercar salute altrove se non si fosse ancora rimessa. Ella lo assicurò che a Nahant non ci stava male: temeva di recare troppo disturbo alla signora Jeremy. — Non parlate di disturbo! — protestò egli. — Credo che oramai dovreste conoscerci bene, mia moglie e me. Venite domani: v'aspetterò alla stazione. Arrivederci! — E pigliato il suo cappello se n'andò. Gertrude lo seguì. — A quanto veggo, dottore, — ella disse — non trovate Emilia molto bene. — No; e non è da maravigliarsene. Fra il ruggito dell'oceano da un lato e il piagnisteo dei bimbi della signora Fellow dall'altro, ce n'è più che abbastanza per estenuare le sue forze. Non posso permettere che seguiti cotesto strapazzo. Nahant non fa per lei. Portatela domani a casa mia, inteso? — I bimbi non piangono sempre come oggi, — disse Gertrude sorridendo — e quanto all'oceano, Emilia ama tanto il sussurro delle onde che si frangono sulla spiaggia! Sta ore ed ore ad ascoltarlo. — Me lo figuravo! Mal fatto. Cosa che l'attrista senza ch'ella sappia il perchè. Portatela a Boston, vi ripeto! — Passarono buoni venti giorni dopo l'arrivo delle sue ospiti innanzi che il rinomato medico potesse sottrarsi a' suoi pazienti e concedersi qualche settimana di vacanza. Per conto proprio egli non avrebbe mai pensato a intraprendere un viaggio di diporto, e la signora Jeremy anch'essa preferiva tanto la sua casa a qualunque altro luogo, che l'idea di partire alla volta di paesi sconosciuti non la seduceva affatto: ma tutti e due erano pronti a sacrificare, e volentieri, le loro antiche consuetudini al benessere delle care giovani amiche. Emilia stava positivamente assai meglio, e considerava come un piacere, fino per sè medesima, il visitar West Point, Catskill, e Saratoga; se pensava poi al godimento che avrebbe procurato questo viaggetto a Gertrude, si sentiva animata da nuove forze. Certo, la giovanetta abbisognava quanto lei di un cambiamento, e di distrazione. Il caldo eccessivo delle ultime settimane, la reclusione quasi continua nella camera della cara malata, avevano fatto impallidire le rose delle sue gote; le cure e le angosce avevano pesato sul suo spirito. Il grande miglioramento d'Emilia, l'alacrità con cui partecipava ai disegni del dottore, dissipavano adesso i suoi timori; e mentre ella attendeva ai pochi preparativi necessari per il loro vestiario, il suo passo era leggero, e la sua voce gaia, com'erano agili ed attive le sue dita. A Nuova York fecero la prima tappa: ma l'afa e la polvere della città rendevano assai sgradevole l'andare in giro per le strade, sicchè durante l'unica giornata che vi si trattennero, il dottore fu il solo della comitiva che s'avventurasse fuor dell'albergo, salvo una breve spedizione della signora Jeremy e di Gertrude in cerca di berrette guarnite non avendone, quella, altre che la gialla e la rosa e lilla famose, e temendo che non fossero abbastanza eleganti per Saratoga. La temperatura, quasi insoffribile, non isgomentava tuttavia il bravo dottore, il quale appena la sentiva tanto era infervorato nelle visite a parecchi suoi confratelli, di cui alcuni suoi antichi compagni di studi, non riveduti da anni. Dopo ch'egli ebbe impiegato così la giornata intera, riannodando conoscenze, ravvivando amicizie, molti dei cordiali amici ritrovati vennero la sera all'albergo per farsi presentare alla signora Jeremy e alle signorine che l'accompagnavano. Il salottino del loro appartamento fu animato fino ad ora tarda dalla piacevole e allegra conversazione d'uomini anziani che ricordando il passato, riandando le scene della loro vita di studenti, si riaccendevano di giovanile ardore. Ciascuno per turno raccontava i suoi aneddoti, e scoppiavano intorno gioconde risate; era un'eccitazione generale. Il dottor Jeremy, a quel tempo uno dei prediletti del loro circolo, rappresentava onorevolmente la parte dell'eroe in quasi tutte le avventure raccontate (fuorchè da lui); e le tre uditrici, segnatamente Gertrude che teneva in alto concetto il suo vecchio amico, godevano trionfanti di questa probativa testimonianza dei suoi meriti. La conversazione non era di tal carattere da escluderne le signore nè impedir loro di goderne, e la giovanetta che sapeva trattare con le persone d'età, e che il dottor Jeremy si compiaceva di porre in rilievo, contribuì non poco a divertire la compagnia con le sue argute osservazioni e con la prontezza delle sue risposte alle interrogazioni astute e talvolta un po' astruse ed ironiche, scherzosamente rivoltele da un vecchio medico scapolo il quale fin dal primo momento era rimasto incantato di lei. Emilia ascoltava con diletto quei discorsi pieni di tante e varie attrattive e divideva con Gertrude l'ammirazione degli amici del dottore in cui la sua sventura destava pietà e simpatia; e la signora Jeremy tutta lieta e ridente s'insuperbiva degli elogi retrospettivi prodigati al suo sposo, e troneggiava nella sua poltrona con un'aria così radiosa che Gertrude quando le diede la buona notte le dichiarò ch'ella stava tanto bene quella sera con la vecchia berretta gialla da farle quasi giudicar superflue le nuove. Il dottor Gryseworth di Filadelfia, già discepolo di Jeremy molti anni addietro, udendo che i viaggiatori avrebbero preso la mattina seguente il piroscafo che risaliva l'Hudson, manifestò grande sodisfazione perchè si sarebbero ritrovati insieme a bordo, ed egli avrebbe presentato alla signorina Flint le sue due figliuole, le quali andavano a Saratoga per passarvi l'estate con la loro nonna già stabilità all'Albergo del Congresso. Sonò la mezzanotte prima che l'immaginazione di Gertrude, vivissima sempre ed ora quanto mai eccitata dal piacere che il domani prometteva, potesse calmarsi tanto da permetterle di pensare a ristorar le forze nel sonno. Emilia dovette porre un freno alla sua ilarità e alla sua loquacità ricusandosi deliberatamente di far più eco a una risata o ascoltare una parola. Costretta così al silenzio, cadde in un sonno profondo. Non seppe quindi che la sua compagna aveva procurato questo benefizio a lei sola, perchè ella, contro il solito, non riusciva ad assopirsi, e l'alba la sorprese desta ed incerta se avesse mai avuto in tutta la notte un momento di perfetto riposo. Gertrude dormì saporitamente finchè non fu svegliata dalla signorina Graham. Al vedere questa ritta presso il suo letto e vestita, ella balzò su, attonita, posto che il caso rovesciava l'ordine consueto delle cose: era suo costume annunziare ogni mattina all'amica cieca, con un bacio, che il giorno incominciava. — Sono le sei, Gertrudina, e il piroscafo parte alle sette! Il dottore ha già picchiato al nostro uscio. — Come ho dormito! Sarà una bella giornata? — Bellissima, però assai calda. Ho dovuto chiudere le persiane a cagione del sole che si faceva sentire. — La fanciulla si dette fretta a fine di riguadagnare il tempo perduto, ma quando vennero a chiamarle per la colazione non aveva ancora finito di vestirsi e le rimaneva da chiudere le valigie d'Emilia e le proprie; insistette dunque perchè gli altri scendessero intanto senza di lei promettendo di raggiungerli tra pochi minuti. I viaggiatori radunati alla tavola della prima colazione, a quell'ora mattutina, non erano numerosi: due comitive oltre quella dei Jeremy, e alcuni signori soli, quasi tutti uomini d'affari, i quali, mangiato a scappa e fuggi, se n'andarono solleciti pei fatti loro. Tra i pochi che si trattenevano tuttavia quando giunse Gertrude, uno unico fu da lei particolarmente notato durante i brevi momenti che il dottore le concesse per sdigiunarsi. Era un signore seduto dal lato opposto della tavola, a qualche distanza. Terminato il suo pasto egli s'indugiava, come uno che può fare il proprio comodo, divertendosi a tenere in equilibrio il cucchiaino da tè sull'orlo della tazza; e innanzi ch'ella entrasse aveva suscitato l'animavversione della signora Jeremy manifestando una certa velleità d'osservare il gruppo di cui questa faceva parte con occhio più critico che non le garbasse. — Ve ne prego, dottor Jerry, — aveva ella detto al marito — mandate il cameriere ad invitare quel signore a prender qualche cosa: m'è insopportabile essere guardata mentre mangio. — Non guarda voi, signora mia.... È la nostra Emilia quella che gli piace. Emilia cara, c'è qui dirimpetto un signore che v'ammira oltremodo. — Davvero? — fece la signorina Graham sorridendo. — Gliene sono molto obbligata. E posso contraccambiare il complimento? — Sicuro, è un bell'uomo, di nobile aspetto, quantunque alla signora Jerry non sia simpatico. — In quel punto Gertrude venne a prender posto accanto a loro, salutandoli e scusandosi gaiamente del suo ritardo. Le fresche rose delle sue gote, il vivido fulgore de' suoi grandi occhi neri che la facevano contemplare con affettuosa ammirazione dalla coppia de' suoi vecchi amici, furono forse la causa per cui lo sconosciuto distolse lo sguardo dall'amabile e commovente viso d'Emilia, per fissarlo su quello più giovanile e tanto radioso ed espressivo di lei. Ella s'accòrse subito dell'attenzione che attirava, e si sentì un po' impacciata. Fu lieta pertanto quando quegli, lasciato cadere il suo cucchiaino da tè, si rizzò e uscì dalla sala. Nell'atto che le passava davanti ella potè osservarlo un momento, come non aveva osato fare mentre le sedeva quasi di faccia. Era di statura notevolmente superiore alla media, snello, ben fatto, di portamento grazioso e dignitoso. I suoi lineamenti erano piuttosto rilevati, ma espressivi e anche belli; gli occhi scuri, vivi, penetranti, avevano uno sguardo scrutatore; la bocca, dalle labbra ferme ed energicamente chiuse, rivelava un animo franco e risoluto ed una gran forza di volontà. Ma la più singolare particolarità della sua figura consisteva nel contrasto dei suoi capelli molto brizzolati d'argento e sulle tempie d'una bianchezza quasi nivea, col fuoco giovanile di quegli occhi, con la leggerezza del passo e la disinvoltura delle mosse; contrasto così strano che lungi dal parere un effetto dell'età e dargli un'aria venerabile, faceva risaltare le apparenze di gioventù e di vigore. — Che tipo bizzarro! — esclamò la signora Jeremy appena egli fu passato. — Ma elegante, non è vero? — disse Gertrude. — Elegante! — ribattè l'altra, — Con quel capo grigio? — A me pare bello, — replicò la fanciulla. — Peccato che sembri così malinconico: mi rattrista, guardarlo. — Quanti anni credete che abbia? — domandò il dottore. — Circa cinquanta, — rispose sua moglie. — Circa trenta, — rispose Gertrude ad una voce con lei. — Il divario è grande, — osservò Emilia. — Dottore, dovete decidere la questione, voi. — Impossibile! Io non m'attenterei a determinare l'età di quell'uomo entro un limite di dieci anni.... Mia moglie certo l'ha giudicato troppo vecchio, ma non sono sicuro che Gertrude non l'abbia giudicato troppo giovane. Affermo soltanto che i _suoi_ capelli non sono imbiancati per opera del tempo! — Un cameriere venne ad avvertire i viaggiatori che volevano prendere il piroscafo di tenersi pronti, e tutte le vane discussioni sulla probabile età dello sconosciuto furono troncate. XXXV. Ha un figlio altero, ma lo sguardo fiso Tradisce la vagante anima in pena; Strano un baglior talora d'improvviso Nel profondo dei neri occhi balena. E dal mesto suo volto che si vela Spesso dell'ombra cupa d'un mistero Spira un'inquieta fierezza che cela Qualche suo imperscrutabile pensiero. Mrs. HEMANS. Oggi, per la maggior parte dei cittadini di Boston, recarsi in qualche posto dello Stato di Nuova York è una giterella comunissima che non merita il nome di viaggio; ma per il dottor Jeremy era un evento importantissimo che lo toglieva dalla consuetudine delle quotidiane sue visite professionali, non più interrotta, durante gli ultimi vent'anni, da una settimana d'assenza dalla sua casa, e lo gettava a un tratto nel turbine di fretta ansiosa e tumultuosa che regna sulle principali strade percorse dai viaggiatori, specie nella stagione estiva in America quando il popolino fa le sue gite di piacere. Il buon dottore era per natura e per abitudine un uomo socievole; lungi dallo sfuggire il commercio coi suoi simili, lo cercava in ogni occasione e ne godeva. Sapeva piacere ai giovani e ai vecchi, ai ricchi ed ai poveri, e la vita della città gli era familiarissima in tutte le sue forme. Nell'arte del viaggiare però, arte che non s'acquista se non con la pratica, egli non era punto versato. Doveva ancora imparare l'uso di certe molle che, toccate destramente nel momento opportuno da mano esperta, raddolciscono il duro cuore degli albergatori, ottengono il devoto servizio dei camerieri, infondono negl'impiegati ferroviari e negli ufficiali di bordo uno spirito conciliativo, e convertono i chiassosi e prepotenti fiaccherai in quieti, obbedienti ed umili servitori. Ai tempi della sua gioventù, il veicolo più conveniente e più celere era la diligenza. Il conduttore aveva maniere cortesi, ogni viaggiatore veniva considerato come una persona degna di riguardo, e il suo bagaglio come una cosa non disprezzabile. Adesso invece la gente viaggiava a frotte; un singolo individuo non contava nulla per sè stesso, era una semplice unità nel gran totale, e le sue valigie tanto preziose per lui diventavano, così almeno pareva al dottor Jeremy, un bersaglio di colpi spietati. Davanti a siffatte novità gli cascavano le braccia, e non riusciva ad accordarvi i suoi gusti e il suo temperamento. L'albergatore moderno gli faceva l'effetto d'un direttore d'agenzia di collocamento, che con aria di condiscendenza dà un'occhiata ai suoi registri per vedere se può procurare un posto all'umile supplicante, e spesso lo rimanda deluso e mortificato; i camerieri, cui l'integro e schietto dottore disdegnava dare un'untatina, erano un branco di valletti impudenti e neghittosi; gli addetti ai treni e ai piroscafi, superbi tiranni, e i fiaccherai uno sciame di vespe fameliche, ronzanti, pungenti, lanciato sulle banchine dei porti e nelle stazioni delle strade ferrate per tormento delle loro vittime. Così tutti questi importanti membri del consorzio civile venivano stigmatizzati e spregiati dall'inesperto viaggiatore il quale al principio e alla fine di ciascun tratto dell'itinerario andava immancabilmente sulle furie, eccitato dalle sopraffazioni e dalle indegnità a cui gli toccava sottostare. Era curioso però vedere come presto sbollivano le sue ire, e si trovava a suo agio e contento non appena accomodato a bordo o nel treno, od ottenute buone camere in un albergo. Allora ritornava subito l'uomo socievole, cordiale, obbligante, ch'era in realtà, faceva conoscenza con quanti lo attorniavano, parlava e si conteneva come una persona senza pensieri, che fa conto d'essere a posto per tutta la vita ed è sodisfattissimo di ciò che la sorte gli ha assegnato. Non parve dunque vero alle signore che l'accompagnavano di trovarsi al sicuro sul piroscafo, e se ne congratulavano ancora seco stesse e reciprocamente, mentre accatastavano in un angolo del salone gli scialli pesanti e altri indumenti da viaggio, quando la sua voce si fece di nuovo udire dal fondo del salotto lungo: — Su, su, moglie, Gertrude, Emilia, spicciatevi! Che state a fare qui sotto? Perderete le vedute più belle! — Entrò, e prese Gertrude a braccetto per condurla via lasciando che le altre due li seguissero appena sarebbero pronte: ma ella non volle affidare a nessuno la cura di guidar la cieca su per la scaletta, e dal canto suo la signora Jeremy impegnò il marito in un'animata discussione sull'opportunità di mettersi il cappello di paglia, ch'ella, consorte amorosa e previdente, aveva portato in mano, da Boston, e che si struggeva pertanto di veder servire al suo uso. Nel tempo ch'essi dibattevano la questione, e che Emilia, persuasa da Gertrude, mutava la sua mantellina con un leggero mantello, precauzione consigliata dalla fresca brezza che spirava sul fiume, il piroscafo aveva già percorso un buon tratto di cammino, e quando la comitiva sbucò di sotto coperta e girò gli occhi intorno cercando dove sedersi, non c'era più sulla tolda nè una panchetta nè una seggiola libera. Il numero dei passeggeri era stragrande, e quasi tutti s'erano radunati a poppa. Il dottor Jeremy fu costretto ad allontanarsi dalle sue signore per andare in traccia di seggiole. — Non restiamo qui ritte, — disse piano la signora Jeremy alle sue compagne — battiamo in ritirata prima ch'egli torni. Ci sono certe belle poltrone a dondolo nel salottino delle signore, e non un'anima che le occupi.... Nessuno ci aspetta quassù; e io non posso soffrire di vedermi fissata da tutta questa gente che gongola in cuor suo d'aver trovato da sedere così bene.... E voi, Emilia? — La buona donna era una di coloro che dimenticavano sempre che Emilia non ci vedeva. Ma Gertrude non lo dimenticava mai; ella cingeva leggermente con un braccio la vita dell'amica cieca per impedire che i moti del bastimento le facessero perdere l'equilibrio, nè era da maravigliarsi se in quell'atto esse attraevano l'attenzione degli astanti: l'una splendente di giovinezza e di salute, alta, forte, invero fatta per proteggere quella che s'appoggiava così fidentemente a lei; l'altra dolce e gentile nella sua debolezza. — Penso che se troviamo posto all'ombra godremo più fresco qui che da basso, — rispose la signorina Graham alla proposta di fuga in assenza del dottore. — Voi preferite, credo, i luoghi freschi, signora Jeremy.... — Sì, ma ho notato che nel salotto delle signore c'è una deliziosa corrente d'aria, e.... — L'argomentazione della brava signora fu interrotta dal cordiale saluto del dottor Gryseworth, che sedeva dando loro le spalle e s'era voltato al suono dell'armoniosa voce d'Emilia; quella voce, una volta udita, lasciava nella memoria un'impressione indelebile. Stretta ch'ebbe la mano a tutte e tre, egli insistette perchè la signora Jeremy prendesse la sua seggiola, e nel momento stesso un altro signore, che esse non avevano osservato tra la folla dei passeggeri, si rizzò, e, inchinandosi, offerse urbanamente la propria per Emilia, poi s'allontanò a rapidi passi. Era lo sconosciuto che aveva destato la loro curiosità durante la colazione, all'albergo. Gertrude lo riconobbe al suo sguardo acuto e penetrante, prima ancora che alla strana precoce canizie, e mentre lo ringraziava e faceva sedere la cieca sentì un lieve rossore invaderle il volto, sotto gli occhi ardenti che la fissavano. Ma il dottor Gryseworth distolse immediatamente i pensieri della giovanetta dall'incognito che s'affrettava a ritirarsi, presentandole le sue figliuole. Le signorine Gryseworth erano ragazze intelligenti; la maggiore, da poco tornata dall'Europa dove aveva fatto un lungo viaggio col padre, veniva tenuta in concetto di persona superiore ed elegante; ambedue piacquero moltissimo a Gertrude per la graziosa cordialità con cui fecero la sua conoscenza, e soprattutto per le delicate attenzioni, piene di simpatia, che prodigarono ad Emilia. Intanto il dottor Jeremy ritornò con l'unica seggiola che gli fosse riuscito di procacciarsi, e poichè il dottor Gryseworth s'era ingegnato destramente di accomodare Gertrude e sè, egli approfittò della sua conquista per proprio uso, e si riabbandonò subito a quella gaia spensieratezza che conveniva mirabilmente al suo carattere amabile e geniale. Già assai prima che il piroscafo toccasse West Point dove i Jeremy dovevano sbarcare, era evidente che le tre giovani signorine se l'intendevano a maraviglia, e che un po' di tempo avrebbe agevolmente trasformato la loro conoscenza in amicizia. Gertrude non era di quelle fanciulle che considerano qualunque loro coetanea come fornita d'un titolo naturale alla loro intimità. Ella aveva le sue preferenze, e sebbene garbata ed obbligante con tutti, di rado propendeva ad ammettere nuovi membri nella sacra cerchia dei suoi amici. Era pronta però a riconoscere uno spirito fraterno; e incontratolo, la sua anima fervida d'entusiasmo, il suo cuore affettuoso, l'avvincevano ad esso con vincoli non meno forti e tenaci di quelli del sangue. Quando ella amava una persona, l'amava costantemente, l'amava bene, perseverava con fedeltà nei suoi sforzi per servirla, per procurare la sua felicità che le era cara quanto la propria. Forse Elena Gryseworth indovinava questa nobile qualità del suo carattere, ed apprezzava il valore di un'amicizia così salda e profonda, perchè sembrava desiderosa di guadagnarsela; e suo padre, al quale il dottor Jeremy aveva raccontato la storia di Gertrude, sorrideva nel vedere la premura che la signorina allevata in mezzo al lusso e piuttosto aristocratica si dava per piacere a una ragazza la cui condizione sociale non aveva nulla che potesse farle ambire d'acquistarne le grazie, e che si raccomandava soltanto col suo aspetto, la sua intellettualità, le sue maniere. Da circa un'ora conversavano insieme piacevolmente, e godevano d'una successione di vedute che sono tra le più incantevoli del mondo, quando Netta Gryseworth toccò un braccio della sorella, e disse sottovoce, guardando verso l'altro capo del bastimento: — Elena, invita il signor Phillips a ritornare qui con noi, e presentalo alla signorina Flint. Vedi come è triste e solo, pover uomo.... — Gertrude seguì la direzione de' suoi occhi, e vide lo sconosciuto di poc'anzi, il quale passeggiava in su e in giù, a qualche distanza da loro, con aria malinconica e distratta. — È un'ora buona che se ne sta lì in disparte, — proseguì Netta. — Ha le lune, temo.... — Spero che non l'abbiamo fatto fuggire noialtre il vostro amico, — disse Gertrude. — Oh, no! — fece Elena. — Benchè la nostra conoscenza col signor Phillips sia molto recente, abbiamo avuto campo d'osservare che è un uomo di carattere indipendente, e, a volte, così fantastico che io non stupisco mai del suo modo di fare, nè mi sento mortificata quando d'improvviso ci pianta.... Vi sono persone, sapete, per le quali è sempre scusa sufficiente il dire: «Sono così.» Eppure vorrei che ci concedesse di nuovo la sua compagnia: sarei lieta di presentarvelo, signorina. — Ma non le piacerebbe, — osservò la sorella. Elena esclamò: — Andiamo, Netta, non istà bene indisporre la signorina Flint contro il mio amico. Non le badate! — soggiunse rivolgendosi a Gertrude. — A me che lo conosco da maggior tempo di lei, non dispiace affatto. La mia franca sorellina non ha simpatia per la gente bizzarra, e devo confessare che il signor Phillips è alquanto eccentrico; ma appunto per questo m'attira, e mi pare che voi e lui dobbiate avere comuni molte idee, molti sentimenti. — Come puoi pensarlo, Elena? — protestò Netta. — Io dico invece che differiscono totalmente l'uno dall'altra. — Signorina Flint, dovete prendere queste sue parole nel senso d'un complimento, — disse Elena bonariamente — ma dette da me non l'avrebbero. — Tuttavia, — notò Gertrude rivolgendosi a Netta — avete espresso voi il desiderio di farmi fare conoscenza col vostro curioso originale. Sospetto che abbiate voluto confermare il principio che dobbiamo sostenere coi nostri amici il peso delle loro disgrazie. — La fanciulla rise. — No, non precisamente: sono stata mossa piuttosto da compassione _per lui_; non posso reprimere un senso di pietà verso quell'uomo quando vedo la sua aria di nostalgia, e pensavo che il conversare con voi lo avrebbe rasserenato. — Ah, Netta, Netta! — esclamò la sorella maggiore. — Ha dunque finito col destarti simpatia. Non mi maraviglierei se tra qualche giorno tu l'ammirassi più di me.... Se è così, guardati, trasparente creatura, dal tradire la tua inconsistenza! — E proseguì parlando a Gertrude: — Essa vide ieri il signor Phillips per la prima volta, e non le fece una impressione troppo favorevole. Il babbo ed io fummo suoi compagni di viaggio sul piroscafo col quale veniva da Liverpool, settimane sono. Durante il principio della traversata sofferse una forte indisposizione, e appunto in qualità di medico il babbo ebbe occasione di conoscerlo. La sua presenza a bordo stamani m'ha stupita, perchè ieri non ci disse nulla in proposito. — Balenò a Gertrude il sospetto che l'amabile signorina ne fosse ella medesima la causa, ma la sua naturale delicatezza, e la poca confidenza che c'era ancora tra loro, le vietavano di manifestarlo. La conversazione volse su altri soggetti, e il signor Phillips non venne più menzionato. Ma ella, nel momento dell'arrivo a West Point, osservò che il dottor Gryseworth e il dottor Jeremy s'erano accostati a lui, e che i tre discorrevano insieme animatamente. La giovanetta s'accomiatò dalle sue nuove amiche, le quali augurarono con molto calore di ritrovarla presto a Saratoga. Prima che la tumultuosa confusione dello sbarco fosse cessata e ch'ella avesse potuto rifugiarsi con Emilia in un posto sicuro sullo stretto molo, il piroscafo era già lontano e le signorine Gryseworth non si distinguevano più in mezzo ai passeggeri affollati a poppa. La fermata a West Point fu d'una notte soltanto. La temperatura seguitava ad essere caldissima, e il dottore, vedendo che Emilia languiva in quell'atmosfera opprimente, desiderava toccar la cima della montagna di Catskill prima della prossima domenica. Grazie alla chiarità del sereno plenilunio Gertrude potè in quell'unica sera farsi un'idea delle bellezze del luogo. Ella non aveva agio di notare i particolari; ma l'insieme che le appariva come in una dolce visione di sogno nell'incanto della notte estiva, destava nell'animo suo, vergine e ardente, un senso vago di maraviglia e di piacere; e la scena che s'offriva al suo sguardo era così divinamente armoniosa e circonfusa di tanta soavità e tanta pace, che le pareva di contemplare un miraggio del paradiso anzichè un paese terrestre. — Emilia, tesoro mio, — ella diceva mentre stavano insieme sotto un pergolato donde si dominava una magnifica veduta del fiume e delle sue rive — è qualche cosa di simile a voi! Dovreste vivere qui ed essere la sacerdotessa d'un tempio sì bello! — Con la mano nella mano dell'amica cieca ella versava nell'attento orecchio di lei la piena dei santi e sublimi sentimenti suscitati dal luogo e dall'ora; dire i suoi pensieri ad Emilia era come parlare al suo proprio cuore, e la risposta era non meno sicura e certa. Così trascorse la serata. Di primo mattino la comitiva di nuovo navigava sul Hudson. Ammaestrati dall'esperienza del giorno innanzi, s'affrettarono ad accaparrarsi buoni posti sulla tolda, sempre affollata; ma appena le rive di West Point erano scomparse, il vigile occhio di Gertrude scòrse nell'aspetto d'Emilia i noti segni di spossatezza e languore. Tosto, sacrificando senz'esitazione l'intenso piacere ch'ella provava nel mirare i deliziosi paesaggi tra cui passa il piroscafo in quel tratto del fiume, ella propose di scendere sotto coperta dove la signorina Graham sarebbe potuta stare più quieta e più comoda. Questa ricusò: le rincresceva troppo privare la fanciulla del raro diletto ch'ella gustava. — La bellezza del panorama non esiste più per me, cara Emilia; io non vedo che il vostro viso stanco. Ve ne prego, scendiamo e coricatevi, non foss'altro che per compiacermi; non avete dormito quasi punto la notte scorsa. — Parlate di scendere? — domandò la signora Jeremy. — Io davvero non mi fo pregare. Nel salotto delle signore si sta meglio che quassù, e le belle vedute possiamo goderle abbastanza dalle finestre, non vi pare, Emilia? — Proprio, lo preferite? — disse la cieca. — Oh, sì! — esclamò ella con un'enfasi che non lasciava dubbi sulla sua sincerità. — Allora, Gertrude, — riprese la signorina Graham — se mi prometti di rimanere qui, tranquilla, io scenderò con la signora Jeremy. — Gertrude aderì alla proposta, ma volle accompagnarle da basso a fine di trovare una cuccetta libera per accomodarvi la sua amica ed assicurarsi che ella fosse in condizioni di riposare veramente. Il dottore era andato a informarsi circa il pranzo, ed esse fecero senza indugio come avevano stabilito. Emilia si sentiva infatti così debole, che il chiasso e la confusione di sopra coperta le davano gran molestia. Fattala coricare nel salotto quasi deserto e silenzioso, Gertrude s'indugiò accanto a lei, lisciandole e rimovendole dalla fronte i capelli, osservando la sua faccia sbiancata, finchè s'udì accusare di violazione dei patti, e venne cacciata dall'ottima e vivace signora Jeremy. — Sono buona anch'io di badare alla nostra Emilia, sai! Tu ritorna a prendere il tuo posto a poppa, se non vuoi perderlo; e, mi raccomando, Gertrudina, non permettere al dottore di venire da noi; vorrebbe forzarci a tornare di sopra, e non è questa la nostra intenzione. — Così dicendo sciolse i nastri del suo cappello, poggiò i piedi su una seggiola messa di contro alla sua poltrona, e intimò alla fanciulla d'andarsene battendo le mani per metterla in fuga. Gertrude scappò ridendo e un sorriso le brillava ancora sulle labbra e negli occhi mentre saliva la scaletta, col suo passo rapido e leggero. Un uomo, d'alta statura, si trasse in disparte per lasciarla passare. Era il signor Phillips. Egli s'inchinò. Ella gli rese il saluto e si diresse verso il posto da lei occupato prima, maravigliandosi tra sè del caso che li faceva un'altra volta compagni di viaggio. Egli non poteva essere stato già a bordo quando ella era scesa nel salotto con Emilia: ne era sicura, perchè altrimenti l'avrebbe veduto e riconosciuto tra mille. Senza dubbio doveva essersi imbarcato a Newburgh dove il piroscafo aveva fatto una breve fermata intanto che ella si tratteneva da basso. Volgendo in mente queste riflessioni, riprese la sua seggiola, collocata sul davanti della poppa, sicchè dava le spalle alla maggior parte dei passeggeri, e contemplò il fiume. Da cinque minuti i suoi pensieri erano così divisi tra la scena pittoresca e l'attraente figura del singolare gentiluomo, allorchè un'ombra le passò dinanzi. Ella alzò gli occhi preparata a vedere il dottor Jeremy e a rivolgergli la parola, nè potè celare la sua confusione incontrando invece quello sguardo ardente, quasi magnetico, che aveva il potere di turbarla e d'affascinarla. Distolse il suo in modo piuttosto brusco; ma il signor Phillips le disse gentilmente: — Buon giorno, signorina. Vedo che il vostro itinerario e il mio ci conducono nella medesima direzione. Volete farmi l'onore di servirvi della mia guida? — Così parlando le offerse un libretto contenente una carta topografica dell'Hudson e delle sue rive. Gertrude lo prese e ringraziò. Mentre ella spiegava la carta, egli s'allontanò di alcuni passi da lei, si chinò sul parapetto con un'aria, in apparenza, molto distratta, e durante alcuni minuti stette in silenzio; poi a un tratto si voltò domandandole: — Vi piace molto questo panorama? — Oh moltissimo! — ella rispose. — Non avete mai visto nulla di così incantevole in vita vostra. — Pareva che non l'interrogasse, ma affermasse una cosa saputa. — Per voi invece è uno spettacolo familiare, — disse la giovanetta. — Che v'induce a crederlo? — fece egli sorridendo. Di nuovo il suo sguardo la turbò e più ancora il suo sorriso che lo trasfigurava, lo faceva sembrare tanto bello e tanto malinconico. Ella arrossì, e non trovò una risposta. Il signor Phillips le risparmiò la pena di cercarla seguitando: — La domanda è indiscreta, non è vero? Voi pensate che la vostra supposizione è fondata quanto la mia.... V'ingannate però. Io non sono mai stato in questi luoghi. Ma ad un vecchio viaggiatore non brilla l'entusiasmo negli occhi.... — S'interruppe, fissandola, poi soggiunse: — .... come a voi. — Quasi s'accorgesse per la prima volta dell'impaccio in cui la metteva scrutando così le sue sembianze, guardò da un'altra parte, e il suo bel viso si oscurò, prese un'espressione amara e insieme patetica, la quale svanì tosto, ma bastò a dissipare il turbamento cagionato alla fanciulla da quell'audace modo di presentarsi da sè e fare curiose osservazioni; ed ella dimenticò tutto, fuorchè la strana simpatia che destava in lei l'uomo singolare. Egli, approfittando d'una seggiola rimasta libera, sedette accanto a Gertrude, le fece notare una splendida villa sulla riva destra, parlò del suo antico proprietario ch'egli aveva conosciuto all'estero, e raccontò parecchi dilettevoli aneddoti concernenti un venturoso viaggio intrapreso con lui: questo discorso condusse ad altri, principalmente sul soggetto di peregrinazioni in paesi remoti, quasi sconosciuti ancora anche in questo secolo esploratore; e così ricca e varia era la conversazione del signor Phillips, così pittoresche le sue descrizioni, così fervida ed esuberante la sua immaginativa, e potente la sua padronanza della parola nel dar forma e colore ai suoi pensieri, che la giovanetta ascoltava rapita, ammirando e godendo. L'alta intellettualità di Gertrude armonizzava appieno con l'ardore e la poesia d'una mente sensibile al pari della sua al grande, al bello, al maraviglioso nella natura e nell'arte; e conquistate in tal guisa la sua fantasia e la sua attenzione, il suo interlocutore, che l'osservava senza parere, ebbe presto la sodisfazione d'accertarsi ch'era riuscito a vincere il senso di diffidenza e d'impaccio da lei provato sulle prime, poichè mentre ella stava ad udirlo e perfino quando i loro occhi talvolta s'incontravano, nessun segno di timore o di sospetto appariva più in quel viso animato, raggiante. Egli non abusò tuttavia del suo confidente abbandono, e continuando ad intrattenerla sui soggetti che naturalmente s'offrivano, ebbe cura di non turbarle l'animo con quell'acuto sguardo scrutatore che tanto la sconcertava. Sicchè il dottor Jeremy, venuto in cerca di lei, li trovò conversando insieme con tanta amenità e libertà, che sgranò due occhi attoniti e scotendo le spalle diede in un'esclamazione: — Ah, bene, me ne congratulo! — Gertrude, la quale non l'aveva veduto avvicinarsi, riconobbe il suono della sua voce, e voltandosi a guardarlo arrossì lievemente, conscia della maraviglia che doveva fargli il sorprenderla in familiare colloquio con un estraneo; ma notando che il signor Phillips non era punto sgomentato dalla sua brusca apostrofe, e anzi la riceveva con un sorriso, si sentì anch'ella piuttosto esilarata che confusa: giacchè, strana cosa, il suo primo sentimento di ritrosia era svanito, ed ella aveva oramai la più intera fiducia nel compagno di viaggio. Questi si rizzò, strinse la mano al dottore, cui era stato presentato il giorno innanzi, e disse con perfetta calma: — Volete, signore, in cortesia presentarmi alla signorina? Abbiamo un po' conversato insieme, ma non sappiamo con che nome rivolgerci la parola. — Il dottor Jeremy compì la formalità richiesta. Il signor Phillips, inchinandosi, guardò Gertrude con una tale espressione di paterna benevolenza, ch'ella non esitò a porre la sua mano in quella offertale. Egli la trattenne un momento, dicendo: — Non abbiate paura di me quando mi vedete. — S'allontanò e continuò a camminare in su e in giù, a passi lenti, finchè i viaggiatori diretti a Catskill furono chiamati per il pranzo; scese allora nella sala anch'egli. Il dottore motteggiò alquanto Gertrude sul suo canuto ammiratore, affermando che era ancor giovane e bello, e soggiungendo che quanto ai capelli avrebbe potuto farglieli tingere nel colore ch'ella preferiva: ma non riesci a pungerla, perchè la simpatia che sentiva per lui e che non negava, era affatto indipendente dalla sua apparenza personale. Ma il trambusto del pranzo e dello sbarco bandirono dal capo del buon Jeremy ogni altro pensiero fuor di quello della salvezza propria, delle sue signore, e delle loro valigie: causa d'ansietà, del resto, anche per qualche viaggiatore più esperto di lui, perchè il tempo concesso ai passeggeri per scendere a terra era così breve, e tali eran la confusione e la furia con cui venivano cacciati da bordo scaraventando dietro a loro i bagagli, che quando la macchina ansante e sbuffante rimise in moto il piroscafo, la piccola folla raccolta sulla banchina sembrava piuttosto un branco di pecore spaurite, che creature umane in possesso d'una libera volontà. Emilia, il cui sistema nervoso era un poco irritato, s'aggrappava, tremante, a Gertrude, e Gertrude si trovava, senza saper come, appoggiata al braccio del signor Phillips, alle cui tacite premure tutte e due dovevano l'essere sbarcate felicemente. La signora Jeremy intanto contava le valigie, e suo marito, con un piede sopra una di queste e una sacca in mano, tempestava ad alta voce contro il piroscafo, il suo equipaggio, e l'intera frettolosa e precipitosa nazione degli _yankee_. Due diligenze aspettavano sulla banchina di Catskill i passeggeri per la montagna, e prima che il dottor Jeremy avesse voltato le spalle al fiume, Emilia e Gertrude erano bell'e accomodate in una di esse per cura del signor Phillips, il quale senza fare domande, e nemmeno parlare, s'era assunto quest'incarico, e poi ne aveva informato il loro compagno affinchè sapesse dove trovarle. I Jeremy le raggiunsero tosto; gli altri posti della vettura furono occupati da una comitiva di persone che non conoscevano. E incominciò il viaggio. XXXVI. Credi, o mortale, in Dio come tu credi Nel sole.... e vedi! Entro l'anima tua risplende ancora La giovinezza d'una nova aurora. Dormi come la terra, o cuor turbato, E dissipato Il nembo che s'aggrava minaccioso Su te, sarà nel placido riposo. NEW TIMON. Prima che la diligenza avesse attraversato il polveroso villaggio e guadagnato la strada maestra conducente all'Albergo della Montagna, la grandissima differenza di temperatura tra l'aria infocata delle campagne interne e la fresca brezza che spirava sul fiume, si fece penosamente sentire ai passeggeri. Durante le prime miglia l'attenzione di Gertrude fu occupata nel difendere Emilia e sè medesima dai cocenti raggi del sole, i quali le ferivano in piena faccia; provarono un vero sollievo quando giunsero alfine sulla bella strada, erta ma ben tenuta e deliziosamente ombreggiata che saliva la pendice. La limpidità dell'atmosfera permetteva di godere in tutta la sua estensione la veduta di più in più vasta, e magnifica tanto che Gertrude incantata, rapita, sopportava a stento il freno imposto dal decoro al suo entusiasmo. E però quando la salita divenne faticosa e i signori furono pregati di scendere per diminuire il peso che i cavalli già stanchi dovevano trascinare, ella accettò con gioia la proposta di fare un paio di miglia a piedi, in compagnia del dottor Jeremy. La giovanetta era una strenua camminatrice, e il vecchio medico sempre arzillo e bene in gamba, sicchè non tardarono a precedere la vettura d'un buon tratto. Ad una brusca svoltata della strada la scena maravigliosa che si schiuse sotto i loro occhi li fece sostare. Mentre rimanevano assorti in silenziosa ammirazione, godendo la bellezza e la quiete del luogo, una voce molto vicina li scosse d'improvviso. — Incantevole paesaggio, non è vero? — Guardarono intorno e videro il signor Phillips che sedeva sopra una roccia rivestita di musco alla quale Gertrude in quel momento s'appoggiava. Il suo atteggiamento era naturale e disinvolto; un cappello di paglia a larga tesa giaceva a terra, presso a lui, e la sua capigliatura cosparsa di neve ma ancora foltissima e ondosa, rigettata indietro, lasciava scoperta la sua fronte alta ed ampia. Si sarebbe detto, vedendolo là con quell'aria di fanciullo in ozio, il capo reclinato sulla mano, ch'egli ci fosse da ore e ci si sentisse a casa propria. Ma prontamente si rizzò e mosse verso i suoi compagni di viaggio. — Siete smontato prima di noi, — disse il dottore. — Sì, già al villaggio; è mio costume camminare di preferenza, quando la vettura non fa guadagnar tempo. — Parlando, egli pose nella destra della giovane, senza guardarla nè quasi parer conscio di ciò che faceva, un bel mazzo di ramicelli d'alloro in fiore, còlti probabilmente durante la sua passeggiata. Ella avrebbe voluto ringraziarlo, ma non ne ebbe l'opportunità, perchè egli con un fare distratto si mise a discorrere col dottor Jeremy come s'ella non fosse presente. Proseguirono il cammino insieme. I due uomini conversavano con grande animazione, e Gertrude, ben contenta della parte d'uditrice, osservò ch'ella non era l'unica persona a cui il signor Phillips avesse il dono di piacere. Il medico toccò vari soggetti, e su tutti l'interlocutore era versato. La fanciulla sorrideva notando che il suo vecchio amico si stropicciava spesso le mani: suo modo d'esprimere una sodisfazione straordinaria, da lei ben conosciuto. Ora ella pensava che il loro nuovo conoscente fosse un professore di botanica, tanto si mostrava dotto in questo ramo della scienza; ora propendeva a credere che si fosse del pari dedicato alla geologia, così familiare della madre terra egli appariva; e queste due impressioni si cancellarono quando lo udì, volta a volta, parlare dell'oceano come un marinaro, d'affari come un negoziante, di Parigi come un uomo del bel mondo. Gli camminava a fianco silenziosa ma non dimenticata nè trascurata: perchè giunti a una salita molto ripida e malagevole, egli le porse il braccio e manifestò la sua tema che si stancasse troppo. Ella gli assicurò che non c'era pericolo; e il dottor Jeremy aggiunse che la Gertrudina sarebbe stata capace di lasciarseli addietro tutti e due. Tranquillato su questo punto, il signor Phillips riprese il filo interrotto della loro conversazione, a cui Gertrude ben tosto partecipò quasi inavvertitamente. Egli era un uomo che sapeva incutere rispetto e anche timore, quando voleva; ma non gli riusciva meno facile di rincorare gl'intimiditi, d'infondere negli animi fiducia e simpatia, di forzare i caratteri a spiegarsi dinanzi a lui. Gertrude già non lo considerava più come un estraneo: egli era ancora per lei un mistero, ma un mistero attraente. Ella si struggeva di conoscere qualche cosa di più sul conto suo, d'apprendere la storia d'una vita, che come s'indovinava da alcuni singoli casi ch'egli ne aveva narrati doveva esser piena di strane vicissitudini; soprattutto il suo cuore tanto inclinato verso di lui desiderava penetrare la causa della profonda malinconia che gettava un'ombra sulla sua nobile figura, e rendeva triste perfino il suo sorriso. Il dottor Jeremy, alquanto incuriosito egli pure, tentò certe domande suggestive nella speranza d'indurre il suo nuovo amico a dar qualche cenno sulla propria biografia: ma invano. Le labbra del signor Phillips rimasero suggellate, o non s'apersero che per deludere la curiosità dell'interrogatore. Alfine il buon vecchio fu costretto a cedere ad una stanchezza che non poteva più dissimulare nè a se stesso nè a' suoi compagni, per quanto gli spiacesse confessarla: e tutti e tre sedettero sul margine della strada, ad aspettare l'arrivo delle diligenze. Dopo un breve silenzio il dottore osservò, guardando la fanciulla: — Non avremo nessuna chiesa, qui, domani, Gertrudina. — Nessuna chiesa? — esclamò ella volgendo intorno lo sguardo reverente. — Come potete dirlo? — Il signor Phillips la mirò sorridendo in atto benevolo e scrutatore. — Qui non v'è domenica, — egli fece — non sale a quest'altezza. — Il tono era singolare, le parole erano leggiere: troppo leggiere, pensò Gertrude. Ella rispose con una certa serietà e con molta dolcezza: — Spesso mi rallegro che la domenica sia stata mandata a noi _quaggiù_ su questa _bassa_ terra: più si sale, e più ci si appressa, io mi confido, alla Domenica eterna. — Il signor Phillips si morse le labbra e non replicò. La sua bocca aveva preso un'espressione che a Gertrude veramente non piaceva; ma ella non trovava in fondo al cuore un rimprovero per l'ironia che appariva nelle sue maniere piuttosto che nel suo viso sul quale, mentre egli rimaneva un momento distratto, con lo sguardo fisso nel vuoto, si dipinse un così cupo dolore, che ella non potè sentire se non pietà e maraviglia. Le due vetture arrivavano. Quando egli aiutò Gertrude a riprender posto in quella dov'era attesa, sorrideva di nuovo con la sua aria serena e benigna, e la fanciulla restò persuasa che gli rendeva semplicemente giustizia pensando che nulla poteva nascondersi dietro a quell'aperta e franca fisonomia, di men che onorevole per l'uomo. Un'ora dopo i viaggiatori scendevano all'Albergo della Montagna. Con grande loro sodisfazione il dottor Jeremy e le sue signore furono subito accomodati in due delle camere migliori. Gertrude, stando alla finestra di quella assegnata a lei e ad Emilia, udì parecchi dei compagni di viaggio lamentarsi forte di non aver potuto ottenere un alloggio conveniente, e stupì che al dottore, contro il solito, fosse toccata la fortuna d'essere trattato con sì favorevole parzialità. Emilia, stanchissima del faticoso tragitto, si fece servire la cena in camera; la giovanetta stette con lei, e tutt'e due si coricarono di buon'ora. L'ultima cosa che Gertrude intese prima d'addormentarsi, fu la voce del dottor Jeremy il quale gridò passando davanti al loro uscio: — Badate, Gertrudina, di alzarvi a tempo per vedere la levata del sole. — Ma ella non s'alzò a tempo, e il dottore nemmeno: nè l'uno nè l'altra avevano creduto che il sole fosse tanto mattiniero. Sebbene Gertrude, memore dell'esortazione, balzasse dal letto prima d'avere aperto gli occhi, un torrente di luce irrompeva già dalla finestra: però la scena che le si presentò allora era tale da dissipare ogni rimpianto; nulla, ella pensava, avrebbe potuto vincerla in bellezza e solennità. Dal ripiano roccioso su cui la casa era edificata, fino all'estremo orizzonte si estendeva un mare di nuvole candidissime, che coprivano la terra sottostante nascondendola affatto alla vista. Erano immensi cumuli nivei, luminosi, occupanti tutto lo spazio visibile senza lasciar tra loro pur un minimo crepaccio, come una spessa e ininterrotta cortina tesa a dividere la terra dal cielo. E mentre, in basso, il mondo era escluso dalla chiara luce mattutina, la vetta del monte gioiva nella gloria d'una maravigliosa aurora, di cui le stesse nubi che oscuravano con la loro ombra le dimore degli uomini accrescevano la bellezza. La navicella d'una fata avrebbe galleggiato su quelle onde vaporose splendenti al sole come neve recente, che offrivano col contrasto tra il proprio immacolato candore e il purissimo azzurro delle regioni aeree superiori uno spettacolo grandiosamente pittoresco. Il denso fogliame delle querce, degli abeti, dei larici, che avevano posto radice in quell'alta zona montana, luccicava tutto fresco e rugiadoso, e gli uccelli che vi albergavano, sicuri e lieti, facevano risonare le varie note dei loro canti. Gertrude, dopo aver guardato a lungo, lasciò la finestra, si vestì in fretta, e uscì sul ripiano, davanti alla casa che pareva ancora immersa nel silenzio del sonno. Ella rimase qualche tempo immobile, col respiro quasi mozzo, compresa di reverenza e d'ammirazione. Alfine un rumore di passi la scosse. Si voltò e vide i Jeremy che venivano a lei. Il dottore pieno di vita, come sempre, si tirava dietro la sua sposa riluttante e assonnata, il cui aspetto diceva quanto a malincuore ella avesse tralasciato il suo ultimo pisolo del mattino. — Bello, eh, Gertrudina? — fece egli stropicciandosi le mani. — Una magnificenza che sorpassa ogni mia aspettazione. — Ella volse verso di lui i suoi occhi raggianti, senza proferir parola. Pago di quella muta ma eloquente risposta, il dottor Jeremy s'avanzò fin sull'orlo della roccia piana, su cui stavano, incrociò le mani sotto le falde dell'abito, e s'abbandonò a un monologo fatto di frasi esclamative e d'interiezioni, esprimenti la sua contentezza, corroborate da rapidi e regolari inchini del capo. — Non c'è che dire, è una cosa singolare, — mormorò la signora Jeremy soffregandosi gli occhi e girandoli attorno — ma di qui a un'ora o due sarebbe stata la medesima. Non so proprio perchè il dottore m'abbia forzata a levarmi così presto. — In quella lo sguardo le cadde su suo marito, e tutta sgomenta sì slanciò avanti gridando: — Per carità, dottor Jerry, non v'arrischiate così sull'orlo d'un precipizio! Siete pazzo, benedett'uomo? Mi fate morire dallo spavento! Cadrete di sotto e vi romperete il collo, come è vero che siamo al mondo! — Trovandolo sordo alle sue supplicazioni, lo afferrò per un lembo dell'abito e tentò di trarlo indietro; placidamente egli si volse domandando: — Ebbene, che c'è? — Vista l'ansietà della povera donna egli retrocedette prudentemente d'alcuni passi; ma un momento dopo era di nuovo nella stessa condizione precaria. La scena si ripetè cinque o sei volte, finchè stanca di spasimare tra angosce che si ridestavano non appena sopite, ella implorò l'aiuto di Gertrude per istrappare al pericolo il temerario che a sentir lei si sarebbe senza fallo accoppato. — Vogliamo esplorare un po' quel sentiero a destra della casa? — suggerì la fanciulla. — Pare delizioso.... — Oh, sì! — rincalzò la signora Jeremy. — Un deliziosissimo sentiero ombreggiato! Venite, dottore; Gertrude ed io si va su, di qua.... venite! — Egli guardò nella direzione da lei indicata. — Ah! — disse. — È quello di cui parlava il direttore dell'albergo. Conduce alla pineta. Bene, arrampichiamoci lassù, e vediamo che c'è di bello. — Gertrude fece l'avanguardia; i due coniugi la seguirono. Camminavano in fila, uno ad uno, essendo la via angustissima. La ripidità della salita era tale che prima d'averne fatta mezza la signora Jeremy, trafelata per il caldo e la fatica, si fermò di botto, dichiarandosi incapace d'arrivare in cima: se avesse saputo di dover inerpicarsi su per quell'erta orribile non ci sarebbe venuta davvero! Tuttavia, incoraggiata e assistita da' suoi compagni, si lasciò indurre a provare un altro po'; ma di lì a qualche minuto Gertrude, ch'era avanti d'alcuni passi, l'udì gettare un fievole grido. Ella si voltò a guardare che accadesse: il dottore rideva dai precordi, mentre sua moglie, la quale sembrava l'effigie della costernazione, faceva inutili sforzi per passare di fianco a lui nello stretto sentiero, e ridiscendere la china. — Gertrude, — ella chiamò — vieni, vieni! Seguimi! — Che cos'è stato? — domandò la giovanetta. — Ah, che cosa? Quest'altura è popolata di serpenti a sonagli, e rischiamo di esser tutti morsi a morte! — Ma no, ma no, Gertrudina, — disse il dottore, ridendo sempre. — Le ho detto soltanto che ce n'è stato ucciso qui uno quest'estate, e subito ha còlto l'occasione d'una scusa per tornare indietro. — Dite quel che volete, — replicò la buona donna che quasi rideva anche lei a dispetto delle sue paure — se ce n'era uno, ce ne possono essere degli altri, e io non voglio trattenermi un momento di più! Il luogo mi piaceva poco già prima, e ora intendo ritornamene giù più presto che non sono salita. — Il dottore vedendola così determinata si risolse ad accompagnarla. Nell'andare, gridò a Gertrude di star tranquilla perchè non c'era ombra di pericolo e la pregò d'aspettarlo sulla vetta dove l'avrebbe raggiunta non appena condotta a salvamento la moglie nell'albergo. Ella proseguì sola, non senza guardarsi attorno con un po' d'apprensione; ma il sentiero era così ben tenuto, che certo doveva essere frequentatissimo e secondo ogni probabilità sicuro, sicchè bentosto non pensò più che alla bellezza del paesaggio. Guadagnata vigorosamente la cima si trovò in un ripiano boscoso donde il suo sguardo spaziava di nuovo sul vasto mare di nubi. Sedette a piè d'un gran pino, si tolse il cappello, perchè era accaldata dallo sforzo durato, e aspirando la fresca aria montanina riprese il corso d'una meditazione che i Jeremy avevano interrotta. Ma d'improvviso un lieve sussurro la fece trasalire; si rammentò dei serpenti a sonagli, e scattò in piedi; ma udendo un suono sommesso, che le parve il respiro d'un dormente, guardò dalla parte donde veniva, e infatti vide un uomo che giaceva a terra e sembrava immerso nel sonno. Ella gli si avvicinò, cautamente. Prima che potesse scorgere la sua faccia, il cappello di paglia a larga tesa, e la lunga capigliatura ondulata, quasi bianca, glielo fecero riconoscere. Il signor Phillips dormiva, o pareva: la testa posava sul braccio ripiegato, gli occhi erano chiusi, l'atteggiamento denotava riposo perfetto. Ma nel momento che la fanciulla, pian piano, si fermava accanto a lui, mirandolo, egli s'alterò nel viso: l'espressione di pace disparve, si mutò in quella di profonda tristezza che già aveva destato in lei compassione e simpatia. Le sue labbra si mossero: agitato da un sogno egli proferì, o per dir meglio, gridò tre volte: «No, no, no!» e ciascuna con maggior enfasi e maggior veemenza; poi bruscamente alzò il braccio libero sopra il suo capo, e lo lasciò ricadere di peso al suolo; i suoi lineamenti si ricomposero, e mormorò in un sospiro: «Oh, Dio!» con l'accento d'un bimbo che, afflitto e stanco, reclina la testa sulle ginocchia della madre. Gertrude si sentiva intensamente commossa. Dimenticò che quell'uomo era un estraneo: vide soltanto ch'egli soffriva. Un insetto venne a posarsi sulla bella e aperta sua fronte: ella si chinò verso di lui, scacciò la creatura avida di sangue, e, nel farlo, una delle lacrime ch'empivano i suoi occhi cadde sulla guancia del dormente. Calmo, senza alcun movimento, egli si destò e guardò in faccia la fanciulla che, tutta confusa, dette un sobbalzo e si sarebbe voluta rapidamente allontanare; ma il signor Phillips, rizzandosi sul gomito, le afferrò una mano, e dopo averla fissata un momento senza parlare, disse con voce grave: — Figliuola mia, avete versato quella lacrima per me? — Ella non rispose che con gli occhi lucenti ancora della pietosa rugiada. — Sì, lo credo, — egli riprese — e vi benedico dall'intimo del cuore! Ma non piangete mai più per un ignoto: ne avrete abbastanza dei dolori vostri se vivrete fino all'età mia. — Se non avessi avuto dolori miei, non sarei capace di sentire quelli degli altri; se non avessi spesso pianto per me stessa, non piangerei ora per voi. — Ma siete felice? — Sì. — Molti scordano agevolmente il passato. — Io non lo scordo. — I dolori dei fanciulli sono inezie, e voi siete quasi tuttora una bambina. — Io non fui _mai_ bambina. — Strana creatura! — fece egli come parlando a sè medesimo. — Volete sedervi qui e intrattenervi meco alcuni minuti? — Gertrude esitò. — Non vi ricusate; io sono un uomo già vecchio, e affatto innocuo. Via, sedetevi sotto quell'albero e ditemi se vi piace la veduta che si gode di qui. — Ella sorrise pensando ch'egli si chiamava vecchio, e chiamava lei bambina; ma vecchio o giovane, non trovava nessuna ragione di temerlo, nè di negargli quel colloquio. Sedette, dunque, ed egli si pose accanto a lei, ma non parlò della veduta; rimasto un poco in silenzio, le domandò senza preamboli: — Voi non siete mai stata infelice, non è vero? — Mai stata infelice! — ella esclamò. — Oh, spesso, invece! — Non a lungo, però? — Sì, posso ricordare anni interi durante i quali non sognavo nemmeno che la felicità esistesse. — Ma il conforto venne, alfine. Che pensate di coloro per cui non viene mai? — Ho conosciuto troppo il dolore perch'io non desideri di consolarli. — E che potete fare per essi? — _Sperare e pregare!_ — ella rispose con un tono vibrante di sentimento. — Ma se non hanno più speranze, se la preghiera non può più nulla in loro pro? — Ella affermò risolutamente: — Nessuno è in tal caso. — Vedete, — disse il signor Phillips — questa fitta cortina di nubi che proietta ora la sua ombra sulla terra? Vi sono cuori su cui grava un'opprimente e impenetrabile oscurità. — Ma in alto, sopra le nubi, rifulge il sole. — In alto! Sia pure; però che giova a chi non lo vede? — Il sentiero che conduce in vetta alla montagna è spesso aspro e faticoso, ma il pellegrino è compensato d'ogni pena quando giunge _al di sopra delle nubi_, — rispose la giovane con entusiasmo. — Sono pochi quelli che trovano la via per salire a tanta altezza! — replicò il malinconico suo compagno. — E anche tra essi non tutti possono respirare a lungo quella sublime atmosfera. Parecchi devono ridiscendere al piano, mescolarsi di nuovo al gregge volgare, ricominciar la lotta coi vili, i maligni, i crudeli; nubi più gravi che mai s'addensano sul loro capo, e si trovano sepolti in un'oscurità più nera. — Ma hanno veduto la gloria della luce, sanno che risplende sempre lassù, e debbono essere sostenuti dalla fede ch'essa un giorno vincerà le tenebre. Guardate, guardate! — esclamò con fervore, brillando negli occhi. — Le nuvole si squarciano, presto il sole rischiarerà la terra. — Indicava così parlando le ampie fessure che apparivano tra i cumuli di vapori fino allora compatti. Si volse poi al signor Phillips per accertarsi se osservasse il mutamento; ma col medesimo sorriso sul suo volto impassibile, egli contemplava lo spettacolo che la natura gli offriva non già lontano nel cielo, ma al suo fianco, nell'aspetto della giovane e ardente adoratrice del vero e del bello. E studiando quei lineamenti, scrutandone la viva espressione, egli pareva così profondamente assorto nei suoi pensieri, ch'ella lo credette caduto in uno dei suoi accessi di fantasticheria e cessò di discorrere, in modo piuttosto reciso; ma nel momento che distoglieva lo sguardo da lui, egli disse: — Proseguite, felice fanciulla! Insegnatemi, se potete, a vedere il mondo nel roseo colore di cui si riveste per voi, insegnatemi ad amare e compatire, come voi, la miserabile creatura chiamata _uomo_. Vi assumerete, ve ne avverto, una difficile missione, ma siete così piena di fede e di speranza! — Odiate dunque il mondo? — ella domandò, con franchezza e semplicità. — Quasi, — fu la risposta. — Anch'io, un tempo, — ella disse, pensosa. — E forse l'odierete ancora. — No, è impossibile: a me, orfana, prodigò cure materne, ed io l'amo teneramente. — V'è stato benigno, davvero? — egli chiese vivamente. — Estranei senza cuore hanno meritato l'affetto che, sembra, sentite per loro? — Estranei senza cuore! — ella esclamò con gli occhi pieni di lacrime. — Oh, signor Phillips, vorrei che aveste conosciuto il mio buon zio True, che conosceste la mia cara Emilia, cieca! Basterebbero essi a darvi una miglior opinione del mondo! — Parlatemi di loro, ve ne prego, — egli disse con voce sommessa e malferma, figgendo lo sguardo nel precipizio che s'apriva ai suoi piedi. — Non c'è molto da dire: l'uno era vecchio e povero, l'altra è affatto priva della vista, eppure hanno reso il mondo splendido e bello per me misera bimba, maltrattata, desolata.... — Maltrattata! Dunque foste una volta anche voi fatta segno di malevolenza e d'ingiustizia? — Io? Ma tutti i miei primi ricordi non sono che di privazioni, sofferenze, e grandi cattiverie.... — Gli amici che m'avete menzionati ebbero compassione di voi? — Sì. Lo zio True divenne il mio padre terreno, Emilia m'insegnò dov'è il mio padre celeste. — E da allora siete sempre stata libera e leggera come l'aria, senza cure, senza desiderî insodisfatti? — Oh, no, non intendevo dir questo!... Dovetti perdere il mio primo benefattore, ed altri cari amici.... o da qualcuno separarmi per anni. Sostenni molte dure prove, passai molte ore di tristezza e solitudine, ed anche adesso sono oppressa da più d'una causa d'ansietà e di timori. — Come potete dunque esser così serena, così lieta? — egli domandò. Gertrude, levatasi da sedere vedendo avvicinarsi il dottor Jeremy, teneva una mano posata sul saldo masso di pietra a piè del quale s'era posta nell'ombra protettrice. Ella sorrise pensosamente alla domanda rivoltale dal signor Phillips, e, gettando uno sguardo nella fonda valle sottostante, poi alzando in faccia a lui gli occhi raggianti di fede, mormorò con fervido accento: — Vedo l'abisso aperto sotto di me, ma io m'appoggio alla Roccia dei secoli. — Com'ella aveva detto, ansietà e timori l'opprimevano anche allora: tremava per la salute d'Emilia, e alla crescente apprensione che già s'approssimasse il tempo in cui la sua cara le sarebbe tolta, s'aggiungeva un altro tormentoso pensiero: Guglielmo, verso il quale il suo cuore anelava palpitante d'affetto più che fraterno, sembrava scordare l'amica della sua adolescenza o almeno non amarla più con la stessa tenerezza. Erano oramai alcuni mesi che ella non riceveva lettere dall'India, e l'ultima piuttosto breve mostrava un'insolita fretta di cui egli si scusava adducendo l'urgenza degli affari ond'era sopraccarico. Per quanto riluttante ad ammetterlo, ella non poteva cacciare il gelido presentimento che dopo la morte della madre e del nonno, i vincoli che univano ancora l'esule alla terra natia s'erano dimolto rilassati. Nulla avrebbe potuto indurla ad accennare, neppure ad Emilia, un sospetto di negligenza da parte di Guglielmo; nulla avrebbe potuto offenderla più che una tale imputazione a lui fatta da altri; ma nel suo intimo ella qualche volta meditava dolorosamente sul suo enigmatico e prolungato silenzio che diminuiva la loro antica familiarità. Durante parecchie settimane, priva com'era di sue notizie, ella aveva continuato a scrivergli secondo l'usato, sicura che ciascun corriere gli recava le sue missive. Quali cause, se non una malattia o l'indifferenza, avrebbero reso ragione della persistente mancanza di risposta alle lettere da lei fedelmente inviate? Spesso ella cercava di bandire dal suo spirito ogni ipotesi sopra una questione avvolta in tanta incertezza; ma talora una tristezza amara la invadeva, nè riusciva a dissiparla se non elevando i suoi pensieri a Dio con la fede e la speranza che sempre l'avevano sorretta nelle ore di sconforto. E appunto da uno di questi alti voli dell'anima ella era scesa per volgersi piena di dolce pietà nelle parole e negli occhi, a un altro afflitto cui il dolore strappava gemiti fino ne' suoi sogni. Arrivò il dottor Jeremy, e scambiati cordiali saluti e complimenti col signor Phillips, cominciò a conversare animatamente com'egli soleva, lodò la bellezza e la pace di quel sereno mattino domenicale sulla montagna; e il suo interlocutore, costretto a sforzarsi di nascondere, se non di sperdere, la tetra mestizia che gli pesava sullo spirito, discorreva con disinvoltura e perfino con una piacevolezza che stupiva Gertrude. Ella rifece in silenzio il cammino verso l'albergo, riflettendo sulla stranezza e l'apparente incoerenza di quell'uomo. A colazione non lo videro, e a pranzo egli prese posto a una certa distanza da loro, nè diede segno di riconoscerli se non inchinandosi graziosamente alla giovanetta mentre ella usciva dalla sala. Più tardi comparve sull'ampia terrazza dove Gertrude ed Emilia sedevano insieme. Secondo il consueto, un paio d'occhi serviva alla visione mentale d'entrambe. C'era stato un violento acquazzone, accompagnato da lampi e tuoni, ma al cader del sole il temporale s'era dileguato; uno splendido arcobaleno e il suo riflesso quasi altrettanto vivace sorgevano sull'orizzonte, in apparenza assai più bassi della montagna, e il giuoco delle ombre e delle luci nella valle e sul suo fiume scintillante offriva uno spettacolo d'incantevole bellezza. Gertrude sperava che il signor Phillips venisse a intrattenersi con loro; sapeva che Emilia avrebbe gustato la sua amena e istruttiva conversazione, e, istintivamente, si confidava che la voce soave, amata e benedetta da molti a cui aveva dato conforto, infonderebbe nel cuore di lui un balsamo di pace. Ma sperò invano. Egli sussultò ravvisandole, e s'allontanò in fretta. Poco dopo ella lo vide inerpicarsi su per l'erto sentiero che li aveva attirati tutt'e due di primo mattino; e la sera egli non si mostrò all'albergo. I Jeremy si trattennero lassù altri due giorni, perchè l'aria montanina rinvigoriva Emilia, la quale pareva più forte che non fosse stata da settimane, ed era in grado di fare qualche passeggiatina nelle vicinanze della casa. Gertrude non si stancava mai d'ammirare il magnifico panorama. Una gita a piedi ch'ella fece col dottore a una fenditura aperta nel cuore della montagna dove un fiumicello balza giù nella valle da un'altezza di duecento piedi, le fornì il tema di deliziose fantasie descrittive, nelle quali la cieca aveva la sua parte di godimento. Il signor Phillips non si lasciò più vedere, senza che essi sapessero perchè. Il dottore chiese di lui al padrone dell'albergo; questi gli disse ch'era partito il lunedì, molto per tempo, a piedi. Egli ne fu maravigliato e dolente perchè quel bizzarro gentiluomo gli piaceva oltremodo, e s'era lusingato, per certe domande da lui fattegli circa il loro itinerario, che intendesse d'unirsi alla loro comitiva. — Ma non temere, Gertrudina, — disse alla ragazza con tono di faceta condoglianza — io scommetto che lo incontreremo di nuovo, e quando meno ce l'aspetteremo. — XXXVII. .... da una divina Semplicità guidata, ella piacea Nè di brillar cercava.... ANNA MORE. Da Catskill il dottor Jeremy proseguì direttamente per Saratoga. La città rigurgitava di forestieri, essendo la stagione al suo apice, e i viaggiatori imprevidenti che avevano trascurato di fissar le camere anticipatamente, non potevano sperare di trovar alloggio. — Dove scenderete? — domandò al medico un suo conoscente, in cui s'era imbattuto nel treno. — All'Albergo del Congresso, — egli rispose. — Un soggiorno tranquillo per noi, vecchi, e per la signorina Graham, ch'è cagionevole. — Siete dunque aspettati? — Aspettati! Ma no.... Chi dovrebbe aspettarci? — L'albergatore, caspita! Se non avete fissato le camere sarà un affar serio, perchè gli alberghi sono tutti pieni zeppi. — Ebbene, ci affideremo alla fortuna! — fece il buon dottore con un'indifferenza che l'abbandonò quando, giunto alla sua destinazione, ebbe a toccar con mano la veracità delle parole dettegli dall'amico. — Non so proprio che faremo, — disse alle signore, lasciate un momento nell'atrio della stazione mentre egli s'informava — pare che in nessuna casa ci sia un bugigattolo libero. Non ci resta altro che ripigliare il treno, se non vogliamo dormire sul lastrico. — Vettura, signore? — domandò un fiaccheraio sporgendosi da una ringhiera, e gesticolando a tutta possa verso il dottor Jeremy, mentre, più audace, un addetto a un omnibus gli picchiava una spalla facendogli un'offerta analoga, con voce insinuante. — Vettura! — esclamò egli in un tono più che mai irritato. — E per che farne? Dove ci condurreste, di grazia? Non c'è da ottenere ricovero neanche in una soffitta nella vostra Saratoga, nè per amor di Dio, nè per quattrini sonanti! — Ebbene, — ripigliò il secondo sollecitatore, togliendosi il berretto e asciugandosi la fronte con un cencio di pezzuola poco pulita — se non c'è posto nell'albergo vi _colonizzeranno_ fuori. — Fuori? — gridò il dottore, incollerito. — Ci siamo già, mi sembra. Quel che a me preme, è d'esser _dentro_, in qualche luogo. Dove va il vostro omnibus? — All'Albergo del Congresso. — Basta, portateci lì; ma badate, se non ci ricevono, dovete tenerci finchè non abbiamo trovato un alloggio pur che sia. — La signora Jeremy, Emilia e Gertrude furono fatte salire in un omnibus piccoletto e ficcate a stento tra una mezza dozzina di signore e di ragazzi, stanchi e polverosi, che facevano esercizio di pazienza e s'incoraggiavano mutuamente con vaghe speranze. Il dottore prese posto all'esterno. Non appena il veicolo si fermò, egli balzò a terra e corse a presentarsi all'albergatore; ma, come temeva, non c'era in tutto l'albergo un angolo vacante. Desideroso nondimeno d'accomodarlo, quegli accennò alla possibilità di procurargli avanti sera _una_ camera in una casa della strada attigua. — _Una_ camera! Nella strada attigua! — gridò il dottore. — Ah, questo si chiama essere _colonizzati_ fuori, non è vero? Ma, signore mio, per me non fa. Io devo alloggiare le mie signore e subito. O perchè diamine non avete alberghi sufficienti a ricevere i vostri ospiti? — È il culmine della stagione, e.... — Oh, il dottor Jeremy! — esclamò la voce giovanile di Netta Gryseworth, la quale attraversava l'atrio con la nonna. — Come state? La signorina Flint e la signorina Graham sono con voi? Vi tratterrete qualche tempo? — Innanzi ch'egli potesse rispondere alle sue domande e salutare la signora Gryseworth, una veneranda matrona che aveva conosciuta trent'anni addietro, l'albergatore s'accostò a lui dicendo: — Il dottor Jeremy?... Scusatemi, non vi conoscevo. Il dottor Jeremy di Boston? — In petto e in persona, — egli rispose inchinandosi. — Ma allora il caso è diverso. Le vostre camere sono impegnate, e saranno pronte tra pochi minuti. Si trovano libere da due giorni, e nessuno le ha occupate più. — L'onesto dottore dichiarò, stupefatto: — Non capisco.... Io non ho fissato camere! — Allora le fissò per voi un amico. Sorte che ne abbia avuto l'idea, specialmente se siete in compagnia di signore. Saratoga è affollatissima in questa stagione: c'erano ieri in città settemila forestieri. — Jeremy ringraziò la sua buona stella e l'amico ignoto, e chiamò le sue compagne a godere dell'insperata fortuna. — Siamo capitati bene, eh? — fece la signora entrando nella comoda camera assegnata a lei e volgendo in giro uno sguardo di compiacenza. Passò poi a visitare quella delle signorine dall'altro lato dello stretto corridoio, e soggiunse: — Se penso a tutto quello che si raccontava della ressa di gente che s'arrabatta per strapparsi un posticino, proprio non mi par vero! — Il dottore, venuto a raggiungerle, dopo aver dato gli ordini concernenti i bagagli, udì questa sua osservazione, e, ponendosi l'indice sulle labbra, bisbigliò con una burlesca aria di mistero: — Zitto, zitto! Non vi fate sentire! Noi profittiamo d'un felicissimo equivoco del nostro ottimo albergatore. Queste camere erano fissate per qualcuno, senza dubbio, ma non per noi. Poh, in fin dei conti, il peggio che ci può toccare è d'esser messi fuori quando arriveranno gli «aventi diritto», e intanto godiamoci il buon alloggio che ci favoriscono. — Ma gli «aventi diritto», se non erano i Jeremy, non vennero, e in capo a una settimana il dottore cessò di temere lo sfratto, ed ebbe perfino il coraggio di chiedere e la fortuna d'ottenere una camera più conveniente per Emilia, al primo piano, e comunicante con la sala, risparmiandole così la molestia di scendere e salire le scale dove c'era quasi sempre un grande andirivieni. La sera del loro arrivo, verso l'ora del tè, la signorina Graham e Gertrude, che avevano appunto finito di vestirsi, udirono picchiare leggermente all'uscio. Gertrude aperse e vide Elena Gryseworth, la quale, pur salutandola con calore meridionale, rimase sulla soglia, esitando. — Temo di parervi indiscreta, — ella disse — ma ho saputo da mia sorella che siete arrivate, e dianzi, per caso, dalla cameriera, che occupate questa camera attigua alla mia; sicchè non ho potuto resistere al desiderio di fermarmi un momento, passando, per dirvi quanto sono lieta di rivedervi. — Tutt'e due l'accolsero con vivo piacere, la ringraziarono d'avere tralasciato le cerimonie, e insistettero perchè entrasse e rimanesse con loro finchè il _gong_ annunziasse il tè. Elena gradì l'invito, sedette sopra un baule, e s'informò della salute d'Emilia e del loro viaggio da quando s'erano lasciate a West Point. Tra le altre avventure, Gertrude raccontò il loro nuovo incontro col signor Phillips. — Ha proprio il dono dell'ubiquità quell'uomo! — fece la signorina Gryseworth. — Era a Saratoga due giorni or sono, in quest'albergo: sedeva di faccia a me, a tavola; ma poi non lo vidi più. Faceste la sua conoscenza, signorina Graham? — No, con mio rincrescimento, — rispose Emilia. E, sorridendo, soggiunse: — Gertrude era tanto ansiosa di presentarmelo, che mi dolse di vederla delusa. — Vi è dunque piaciuto? — domandò Elena a quest'ultima, con tono grave. — Ne ero sicura. — Sì, esercita su me una grande attrazione. È molto amabile, molto originale, e tanto incomprensibile! — Nulla di compromettente, insomma, — disse l'altra con malizia. — Spero che vi si presenterà l'occasione di farvi un concetto più chiaro del suo carattere, cosa che a me, lo confesso, non riesce, perchè ogni volta che mi trovo in sua compagnia, ne scuopro qualche particolarità insospettata. Per esempio, il giorno che pranzammo insieme, a Nuova York, s'adirò così fieramente contro uno dei camerieri, ch'io ne fui quasi spaventata. Ma i miei timori, credo, erano infondati, perchè un così perfetto gentiluomo non viene a parole con un inferiore, e quantunque i suoi occhi fiammeggiassero come carboni accesi, seppe contenere il fuoco che gli divampava dentro. È obbligo di giustizia dire che la sua collera non era provocata da una mancanza commessa verso di lui, ma dal grossolano disprezzo con cui quell'uomo trascurava due semplici campagnuole, le quali non avendo pensato a raccomandarsi mediante una mancia, non ottennero qualche cosa da mangiare se non quando tutti ebbero finito, e stavano a guardare, poverine, confuse e vergognose come fossero uscite allora dal carcere. — Che cattiveria! — esclamò Gertrude con energia. — Non mi maraviglia che il contegno di quel mercenario destasse così vivamente l'indignazione del signor Phillips. Questo suo sentimento mi piace. — Sì, una vera cattiveria; anche a me facevano compassione. La più giovane delle due, una ragazza che aveva lasciato la zangola e indossato il suo bell'abito bianco per figurare in città, era sul punto di scoppiare a piangere. — Voglio sperare che cotesti casi non siano frequenti, — disse Gertrude. — Ho gran paura che se è il contrario, Emilia ed io saremo nel numero dei mortificati, perchè il dottore non dà mai mance anticipate ai camerieri: dice ch'è una bassezza e che egli disdegna di comprare le loro attenzioni in sì fatta guisa. — Oh, non temete! — rispose Elena Gryseworth. — Le persone un po' pratiche della vita d'albergo sono sempre servite con discreta cura, specie in una casa ben regolata come questa. La nonna la pensa a modo del dottor Jeremy circa le anticipazioni, eppure non viene mai negletta, qui. Il caso di Nuova York è un brutto esempio di quella parzialità che in buona misura è da imputarsi al pubblico stesso. I camerieri conoscono alla prima occhiata chi possono sopraffare e chi no; l'aria impacciata e goffa delle due campagnuole che trovarono nel signor Phillips un caldo difensore, bastava per esporle a qualunque insolente trascuranza. — Fu di nuovo picchiato all'uscio da una mano leggera. Questa volta era Netta, che s'avanzò esclamando: — Sento la voce di mia sorella, e però credo di poter entrare anch'io! — Baciò la mano ad Emilia e la scosse a Gertrude con una libertà e una vivacità derivanti un po' da fanciullesca petulanza, un po' dalla aristocratica indipendenza di maniere che la giovanetta volentieri ostentava, poi ripigliò: — Sono stizzita, sono! Da mezz'ora io facevo la guardia alla porta della sala per vedervi appena foste scese, e intanto Elena se ne stava nella vostra camera, seduta sopra un baule, godendosi la vostra compagnia, e raccontandovi lei sola tutte le novità. — Non tutte, Netta, — disse Elena — ho lasciato parecchie coserelle ghiotte per tua sodisfazione. — Hai detto alla signorina Flint qualche cosa dei Fox e dei Cox ch'erano qui ieri?... No? — Neanche una parola, — rispose Gertrude. — E dello spavento, a bordo? — Nemmeno. — E del signor Phillips? — Sì, m'ha detto che l'ha veduto a Saratoga. — Ah, quello non l'ha dimenticato? — fece Netta lanciando uno sguardo malizioso alla sorella che arrossì lievemente. — E v'ha raccontato pure che occupava questa camera, e che tutta la notte lo sentivamo attraverso la sottile parete camminare in su e in giù, la qual cosa m'impediva di dormire e mi costò un formidabile mal di capo? — No, di questo non m'ha detto nulla. — Voi non avete nè l'una nè l'altra il costume di camminare per la camera, la notte? — Oh, il costume, non direi! — Bene, possiamo rallegrarci allora d'avere invece voi per vicine! Se quel terribile signore fosse rimasto qui e avesse continuato a tenerci deste col suono de' suoi passi cadenzati, ci sarebbe stato, una di queste notti, un suicidio, o nella sua camera o nella nostra. — Credete che stesse male? — domandò Gertrude. — No, punto, — disse Elena. — Non era nulla di straordinario.... per lui almeno. Tutte le sue abitudini sono strane. Netta perse un'ora o due del suo placido sonno, e non può perdonarglielo. — Ah, un'ora o due? — gridò Netta. — La notte intera, cara la mia Elena, la notte intera. — Via, sorellina, non sai che cosa sia una notte intera, tu: non la vedesti in vita tua. — Una piccola questione minacciava di sorgere tra le due sorelle sulla durata delle passeggiate notturne del signor Phillips e le conseguenti veglie di Netta Gryseworth; ma fortunatamente il _gong_ sonò, e questa scappò nella loro camera per rinfrescare un po' le sue gale prima di presentarsi alla tavola del tè. Saratoga è un luogo bizzarro. Vi si vedono raccolti, al culmine della stagione, non solo numerosi Americani degli Stati Uniti, ma stranieri d'ogni paese. La scala della moda è trasportata là e tutti gli scalini ne sono occupati. La bellezza, la ricchezza, l'orgoglio, la follia, vi hanno degni rappresentanti; ma non mancano quelli dello spirito, del genio, della scienza. L'ozio vi regna sovrano, assoluto, e nessuno, neppure il più attivo, il più affaccendato, il più industrioso dei cittadini di questa nostra terra di lavoratori, osa contendergli il suo passeggero ma legittimo dominio. Tutti i ceti sociali, tutte le professioni, quasi anche tutti i mestieri, vi s'incontrano, amichevolmente. I possessori d'un nome aristocratico o d'una borsa ben fornita, la beltà famosa, l'uomo celebre, artista, poeta o scienziato, brillano ciascuno nella propria sfera. Certo vi sono molti idoli falsi. Gente che a casa sua è _zero_ qui trova una probabilità di esser tenuta in conto di qualche cosa, mentre altri che in una città lontana sono dei _maggiorenti_, seggono in un cantuccio, imbronciati, vedendosi d'improvviso ridotti alla parte di comparse senza importanza. Ma tutti vengono con un medesimo fine: divertirsi, distrarsi, riposarsi; e nella comune ricerca del piacere, generalmente un sentimento benevolo prevale tra loro. La gaia folla è sempre in moto; e le comitive eleganti che girano a piedi, in carrozza, a cavallo, o si radunano sulle terrazze degli alberghi, offrono uno spettacolo vivace e festevole; chi ama osservare la natura umana può qui studiarla nelle sue forme più animate. Era un nuovo mondo per Gertrude; e sebbene l'Albergo del Congresso fosse comparativamente un tranquillo ritiro ov'ella vedeva soltanto un riflesso degli splendori di Saratoga e non udiva che l'eco lontana del suo brusio, pure c'era di che maravigliare e divertire una giovanetta novizia nella vita mondana. In quell'eletto circolo di persone fini, intelligenti, cólte, che si raccoglieva intorno alla signora Gryseworth e dove il dottor Jeremy e la sua compagnia avevano subito avuto onorevole accoglienza, ella trovava molto di confacente agli elevati suoi gusti intellettuali, e fu subito apprezzata ed ammirata come meritava. La signora Gryseworth era una gentildonna della vecchia scuola, vissuta sempre nella miglior società, di cui nonostante la sua età avanzata continuava a godere i piaceri e ad essere un ornamento. Alta, di portamento maestoso, ella conservava ancora un aspetto elegante; e quantunque un po' superba e ritrosa con gli estranei, diveniva presto un'amabilissima compagna per i suoi nuovi amici, fossero vecchi o giovani. Nei primi giorni la povera signora Jeremy si sentiva intimidita dinanzi a lei, e oltremodo impacciata, ma quest'impressione svanì con prodigiosa rapidità, a segno che la piccola e tonda moglie del dottore non tardò ad essere quanto mai bonariamente familiare e loquace con l'augusta dama. Una sera, nell'atto che Emilia e Gertrude, le quali erano a Saratoga da circa una settimana, lasciavano la sala da pranzo dopo aver preso il tè, Netta Gryseworth le raggiunse, e pigliata a braccetto la fanciulla, disse col consueto suo tono di gaiezza: — Gertrude, io mi guasto con voi uno di questi giorni. — Davvero! E per quale motivo? — Gelosia. — Un lieve rossore salì al viso della signorina Flint. — Oh, è inutile che vi facciate rossa! Non è a cagione del canuto ammiratore che vi contempla durante tutto il pranzo, dall'altro capo della tavola. No, su questo proposito rimango affatto indifferente. La preferenza del signor Phillips potrà essere il pomo della discordia tra voi ed Elena; quanto a me, sono gelosa d'un altro. — Spero che Gertrude non sia d'ostacolo alla vostra felicità, — disse Emilia sorridendo. — Sì, che è.... La mia felicità, il mio orgoglio, il mio benessere sono sacrificati a lei! Ella mi rovina: certo, signorina Graham, non oserebbe comportarsi così se voi la vedeste! — Confidatevi con me, — riprese Emilia carezzevolmente — vi prometto di prendere le vostre parti. — Ne dubito: sospetto piuttosto che siate sua complice, Nondimeno esporrò le mie lagnanze. Non avete notato ch'ella si cattiva tutta l'attenzione d'un importante personaggio? Non sapete che Pietro non ha più occhi che per lei sola? Io intanto non arrivo ad ottener più nulla da mangiare o da bere finchè non è servita la signorina Flint, e però sono risoluta a chiedere al babbo di cambiar posto a tavola. Non già ch'io sia golosa, ma mi sento profondamente ferita nel mio orgoglio, mi sento oltraggiata! Ancora otto giorni fa nessuno era più di me nelle grazie di Pietro; io mi trovavo sempre davanti i miei piatti favoriti. Ma adesso è mutato registro; anche stasera, per esempio, l'ho veduto passare a Gertrude le more di cui, e l'indegno lo sa, io vo pazza, mentre spingeva, verso di me i mirtilli con un gesto sprezzante che significava: «Per _voi_, signorina, sono buoni questi!» — Ho infatti osservato che i camerieri si mostrano molto premurosi con noi, — disse la signorina Graham. — Credete che Gertrude li abbia segretamente corrotti? — Dice di no; non me raffermaste ieri, quando facevo un paragone simile, tra le attenzioni che usano a voi due, e il contegno meno lusinghiero che hanno con noialtre? E non m'assicuraste che nè da voi nè dal dottore, Pietro ebbe mai un centesimo? — Certo, — disse Gertrude — le sue gentilezze sono spontanee; ma io le attribuisco all'influsso della dolcezza d'Emilia, che lo rende desideroso di servirla. — Che, che! — fece Netta scotendo il capo con una cert'aria di mistero. — È stregoneria bell'e buona; cara Gertrude, voi praticate l'arte nera, e bisognerà ch'io metta in guardia quell'uomo. — Così parlando erano giunte nell'angolo del salone dove la signora Gryseworth e la signora Jeremy sedevano insieme su un sofà, impegnate in una conversazione animatissima. Elena e suo padre, ritornati allora da una passeggiata in carrozza, discorrevano col signor Petrancourt ch'era arrivato quella sera da Nuova York. Le due vecchie signore fecero posto sul loro sofà ad Emilia, e le giovanette sedettero presso a loro. Di tanto in tanto la signora Gryseworth gettava una occhiata d'impazienza verso un crocchio di bambini, che dall'estremità opposta della sala le impedivano, a momenti, col loro schiamazzo, di comprendere ciò che diceva la sua interlocutrice, o la costringevano ad interrompersi. Ma i piccoli disturbatori attiravano ancor più l'attenzione di Gertrude, la quale era così assorta nell'osservarli, che non udiva nemmeno la metà delle frizzanti arguzie e delle graziose sciocchezze che la vispa Netta seguitava a versare nel suo orecchio distratto. — Ebbene, Gertrude, — disse questa al fine — andate a fare il chiasso con quei marmocchi: si vede che ve ne struggete. — Mi struggo invece di farli smettere, — rispose quella. Non sembrava un desiderio benevolo, ma era giustificato. Sei o sette ragazzini, maschi e femmine, in abiti di colori gai e fogge fantastiche, approfittando dell'assenza delle mamme, sparse per le terrazze, e delle governanti o bambinaie, che cenavano, s'erano radunati intorno a una loro coetanea, nuova capitata dall'aspetto un po' strano, e si divertivano a tormentarla. La poverina vestiva a bruno; i suoi indumenti, ricchi ma privi di garbo, erano gualciti e impolverati dal viaggio. Pareva ch'ella fosse cresciuta fuor della sua vestina di seta nera, assai più corta delle sottane, e tutto nel suo esteriore denotava la negligenza de' suoi genitori o delle altre persone che l'avevano in cura. Quando, avvertita dalle manifestazioni di contrarietà della signora Gryseworth, Gertrude aveva osservato la scena, la bambina, ritta in mezzo ai suoi persecutori, si guardava intorno, spaventata, come cercando una via di fuga: ma essi le impedivano il passo, seguitando a tempestarla di domande ognuna delle quali provocava uno scoppio di risa beffarde da parte di tutti, eccettuata la piccola vittima, che, viceversa, stava per rompere in lacrime. Sia che si ridestasse nella mente della giovanetta la memoria delle antiche sue sofferenze, o vibrasse nel suo cuore la corda dell'universale simpatia per gli oppressi, ella non poteva staccar gli occhi da quel gruppo; e mentre Netta s'infervorava sul suo soggetto favorito, cioè sul signor Phillips e la sua bizzarra condotta, ella si rizzò di scatto esclamando: — No, non tormenteranno così quella bambina! — E mosse rapidamente alla riscossa. Il riso cordiale di Netta esilarata dall'entusiastico ardore del suo gesto, e il vederla attraversare il vasto e affollato salone a passi affrettati, e sola, cosa affatto inusata, provocarono la curiosità del circolo di persone da cui s'era partita, e durante la sua assenza, ella, inconsapevolmente, fornì loro un argomento d'osservazioni e discussioni. — Che è stato? — domandò la signora Gryseworth alla nipote. — Dove va Gertrude? — Entra in lizza, nonna, quale campione di quel fagotto di bimbetta. — È quella lì che fa tanto baccano? — No davvero, ma credo che ne sia la causa. — Non sono molte — notò Elena — le ragazze che possano attraversare una sala così grande con la grazia di Gertrude Flint. — Ella ha una bella figura, — disse la vecchia signora — e sa camminare, abilità rara al giorno d'oggi. — È molto ben fatta, — affermò il dottor Gryseworth che aveva seguitato con gli occhi la fanciulla, e udendo i commenti di cui ella era oggetto volle manifestare anch'egli il suo giudizio critico — ma il vero segreto del suo nobile portamento sta tutto nella non comune dignità del suo carattere, nel non sapere nè desiderare d'essere osservata, e nel contenersi pertanto con semplicità. Inoltre veste bene. Elena, mi piacerebbe che tu imitassi la signorina Flint nel modo di vestire: il suo gusto è ottimo. — Ed economico, babbo, — mormorò Netta. — La vostra borsa se ne avvantaggerebbe assai, perchè Gertrude ama la semplicità anche in cotesto. — Lo stile della signorina Flint non converrebbe alla signorina Gryseworth, — disse al dottore la signora Petrancourt avvicinatasi mentre egli parlava. — La vostra figliuola è una splendida bellezza aristocratica, e può portare le abbigliature più sontuose. — Anche il manichino d'una sarta lo può. Tuttavia credo che in un certo senso abbiate ragione. Le due ragazze non sono abbastanza simili l'una all'altra da rassomigliarsi se anche i loro vestiti fossero eguali con un'esattezza cinese. — Rassomigliarsi! Non vorreste mica che la vostra bellissima Elena facesse il paio con una persona che non ha la metà delle sue attrattive? — Conoscete da vicino la signorina Flint? — No, di vista soltanto. Netta me la indicò ieri, alla tavola del tè, dicendomi ch'ella è una sua cara amica. — Allora dovete scusarmi, signora Petrancourt, se vi osservo che non potete avere alcun'idea delle attrattive di quella giovane, posto che non sono superficiali. — Dunque confessate che non è bella? — A dir vero, non ci ho mai badato. Domandatelo a Petrancourt; egli è un giudice competente. — E s'inchinò in atto lusinghiero alla signora che era stata la «bella» della stagione al tempo che suo marito l'aveva chiesta in isposa. — Lo farò non appena mi si offra l'opportunità; ora è troppo occupato della signorina cieca.... la zia della signorina Flint, se non erro? — No, non la zia: un'amica intima. — Questo dialogo era tenuto a voce bassa perchè non fosse udito da Emilia. Non tutti però si davano tanto pensiero della sua presenza. La vecchia Gryseworth parlava di Gertrude apertamente: — Bisogna vederla in certe circostanze perchè la sua bellezza colpisca a un tratto; per esempio come la vidi ieri io, quando tornava da una cavalcata, col viso acceso dal moto e dal piacere, o nell'atto che ascolta, appassionata ed intenta, un parlatore eloquente, o che una subita commozione le fa risplendere tutta l'anima negli occhi lucenti di lacrime. — Nonnina, mi diventi una parlatrice eloquente anche tu! — fece Netta. — Gertrude è così in quei momenti. Una fanciulla, secondo il mio cuore.... — Dev'essere dunque una signorina molto amabile, disse il signor Petrancourt. — Ci farete, spero, fare la sua conoscenza. — Voi la troverete assai diversa dalla maggior parte delle ragazze che s'incontrano nei circoli mondani. Voglio riferirvi il giudizio che diede di lei Orazio Willard. È un uomo di vaglia, è un erudito: la sua opinione ha qualche peso. Stette a Saratoga due settimane: alloggiava all'Albergo degli Stati Uniti, ma venne qui più volte a visitarci. Il giorno che s'accomiatò, mi disse: «Dov'è la signorina Flint? Voglio ricrearmi l'animo ancora una volta nella sua conversazione, prima di partire. Io gusto un perfetto _riposo_ spirituale in sua compagnia, perchè ella non fa alcuno sforzo per discorrere meco, nè sembra attendere che ne faccia io in suo onore. È una di quelle poche ragazze che parlano soltanto se hanno qualche cosa da dire....» O vedete com'è riuscita a chetare quei monelli. — Il signor Petrancourt seguiva la direzione degli sguardi della signora Gryseworth. — La giovanetta di cui fate l'elogio è quella con grandi occhi neri e una capigliatura stupenda? — egli domandò. — L'avevo notata da un pezzo. — Sì, quella che parla con la bambina vestita a bruno. — Signora Gryseworth, — disse il dottor Jeremy entrando da un uscio a vetrata, aperto, dopo aver guardato dentro un momento — godo di sentire che apprezzate la nostra Gertrudina. Non ho esagerato lodandovi il suo buon senso, non è vero? — Tutt'altro. È una fanciulla intelligentissima, e anche molto buona, credo. — Buona! — esclamò il dottore. — Non m'immaginavo che la bontà fosse pregiata in questi luoghi; ma se merita di parlarne, vorrei dirvi qualche cosa del grado a cui giunge in quella figliuola.... — E senza diffondersi in minuti particolari, parlò con calore della nobile e generosa condotta di Gertrude in difficili circostanze, poi, sempre più infervorandosi, raccontò con parole commoventi la sua devozione ad un vecchio paralitico, ad un altro infermo colpito da demenza senile e di pessimo temperamento, a una donna consunta da lenta malattia, e forse avrebbe continuato esaltando l'abnegazione con cui si dedicava alla signorina Graham, quando questa gli toccò un braccio e lo interruppe, dicendogli alcune parole a voce sommessa. — Cara Emilia, — egli disse troncando di botto il suo primo discorso — vi chieggo scusa, non v'avevo veduta. Ma avete ben ragione.... Gertrude è una persona privata, e io non ho il diritto di narrare la sua vita in pubblico. Sono un vecchio imbecille.... Basta, qui almeno siamo in un circolo d'amici. — Girò gli occhi intorno con un poco d'ansietà, lanciò una rapida occhiata sospettosa ai Petrancourt, e infine li fermò sull'uomo che stava ritto dietro Elena Gryseworth. La giovane così resa accorta della presenza fino allora inavvertita di qualcuno presso a lei, si volse e si trovò a faccia a faccia col signor Phillips. — Oh, buona sera, signore! — fece, tutta maravigliata, ravvisandolo. Ma egli rimase immobile, come se non la vedesse nè l'udisse. La signora Gryseworth non lo conosceva, e guardò la nipotina con aria interrogativa: — Signor Phillips, — riprese Elena — permettetemi di presentarvi alla.... — Innanzi ch'ella avesse terminato la frase, egli guizzò fuor dell'uscio aperto e attraversò la terrazza a gran passi, asciugandosi con la pezzuola la fronte madida di sudore, e, furtivamente, anche una lacrima che nessuno vide. XXXVIII. Ah non così, non così nel passato Tu solevi incontrarmi.... A te insegnato La lontananza e il tempo hanno l'oblio? Mrs. HEMANS. Gertrude aveva rimesso la sua piccola protetta nelle mani della bambinaia venuta a cercarla, ed era ritornata a sedersi fra i suoi amici, quando l'attenzione generale fu attratta da una bellissima giovane, vestita splendidamente, che entrò nella sala scortata da tre cavalieri. Ella guardò in giro per trovar la persona che veniva a visitare, poi andò verso la signora Petrancourt, la quale a sua volta le mosse incontro. Quantunque nulla fosse per Gertrude più inaspettato di quell'apparizione, ella riconobbe subito Isabella Clinton; ma questa passò davanti a lei e ad Emilia senza notarle. Non essendovi seggiole libere, prese posto con la signora sur un'agrippina, a qualche distanza da loro, e incominciò una conversazione animatissima e familiare. Mentre discorreva non si volse mai, ed accomiatatasi sarebbe ripassata sotto gli occhi del dottor Jeremy e delle sue compagne, fingendo di non accorgersi della loro presenza, se in quel momento il dottor Gryseworth non avesse diretto la parola alla signorina Flint, chiamandola per nome. Girò allora lievemente il capo da quel lato, e còlta dallo sguardo della fanciulla fisso nel suo, mormorò un «Buona sera» in tono di noncuranza, come si saluta qualcuno che si conosce appena, gettò un'occhiata furtiva su Emilia, squadrò con impertinente curiosità il circolo di cui esse facevano parte, e, senza fermarsi, s'allontanò sussurrando ai suoi cavalieri commenti satirici sull'Albergo del Congresso e sugli ospiti che v'alloggiavano. — Oh, che bellezza! — disse Netta alla signora Petrancourt. — Chi è? — La signora Petrancourt comunicò quanto sapeva d'Isabella Clinton; avevano viaggiato insieme in Isvizzera, s'erano incontrate a Parigi dove la bella Americana era molto ammirata. — Voi la conoscete? — domandò poi a Gertrude. — La conobbi prima che partisse per l'Europa, — rispose questa — ma dopo il suo ritorno non l'avevo più riveduta. — È arrivata da poco, — disse la signora — con l'ultimo piroscafo, in compagnia di suo padre. Si trova a Saratoga da due o tre giorni soltanto. All'Albergo degli Stati Uniti fa furore, a quanto ho inteso, e ha legioni d'adoratori. — I più dei quali probabilmente sanno che uno di questi giorni sarà in possesso d'un grosso patrimonio, — osservò suo marito. Emilia, che conversava con Elena Gryseworth, udì questo discorso, e rivolgendosi a Gertrude, domandò se parlassero della signorina Clinton. — Sì, — rispose per lei il dottor Jeremy — e se ella non fosse la più maleducata ragazza del mondo, voi, cara, avreste saputo prima d'ora ch'è stata qui. — La cieca s'astenne da ogni commento. Non le faceva maraviglia che i Clinton fossero ritornati soli, perchè in Europa s'erano separati dai Graham quasi subito, ed ella non ne aveva più avuto notizie: e nemmeno la stupiva l'inciviltà d'Isabella, per enorme che fosse, posto che costei sembrava ignorare fin le regole più elementari delle buone creanze. Anche Gertrude tacque: ma, dentro, ardeva di sdegno perchè una mancanza commessa verso la gentile Emilia la feriva nel cuore. Gertrude e il dottor Jeremy erano mattinieri e si trovavano sempre fra i primi alla sorgente. Il medico diceva di gustar meglio, di buon'ora, quell'acqua salutare, e giacchè alla fanciulla levata col sole, secondo il suo costume, piaceva far moto avanti colazione, voleva che lo accompagnasse nelle sue allegre camminate mattutine, non senza aver assaggiato anch'ella il beveraggio di cui egli era tanto amante. La signora Jeremy ed Emilia prolungavano i loro sonni finchè ne sentivano il bisogno, e l'ora della colazione era quella del loro risveglio. Così la mattina seguente alla serata dell'incontro con Isabella, dopo che il dottore ebbe tracannato il suo settimo bicchiere e Gertrude stessa per compiacerlo si fu indotta con rara abnegazione ad ingurgitare il contenuto d'uno colmo, benchè quell'acqua le riuscisse molto ingrata al palato, intrapresero la consueta passeggiata. Avevano già percorso un bel tratto di cammino quando Jeremy s'avvide d'esser privo della sua mazza, e sicuro d'averla dimenticata alla sorgente, manifestò l'intenzione di tornare indietro a cercarla. La giovanetta si proponeva di seguirlo, ma egli, pensando che forse non avrebbe ricuperato l'oggetto smarrito senza qualche difficoltà e sarebbe stato costretto a indugiarsi, insistette perchè ella continuasse la sua via in direzione della strada ferrata circolare, promettendole di venire a raggiungerla girando dall'altra parte. Ella camminava da alcuni minuti, sola e pensosa, quando a una brusca svoltata d'un sentiero del parco, vide venire innanzi una giovane coppia. Non distingueva il viso dell'uomo mezzo nascosto da un largo cappello di paglia, ma nell'elegante signorina appoggiata al suo braccio aveva tosto ravvisato Bella Clinton. Era evidente che anche Bella ravvisava lei, ed in pari tempo che non voleva riconoscerla, poichè dopo il primo sguardo, tenne gli occhi ostinatamente fissi sul proprio compagno o al suolo. Questo contegno non turbò affatto Gertrude; ella non sentiva maggior desiderio dell'amicizia di quell'altezzosa creatura che costei della sua. Ma essendo così dispensata dall'aspettare e ricambiare il saluto della signorina, naturalmente la sua attenzione si fermò un istante sul cavaliere che la scortava. Egli pure, passandole accanto, volse a lei i suoi grandi occhi grigi, con indifferenza, come un estraneo guarda un estraneo in cui s'imbatte, poi nello stesso modo li distolse, parlando in tono leggero alla sua dama. E i due proseguirono, s'allontanarono. Ma Gertrude rimaneva immobile, sbalordita, oppressa dai palpiti violenti del suo cuore. Ella conosceva quegli occhi, quella voce, sapeva chi era quel giovane come se l'avesse veduto e udito pur ieri. Poteva ella forse scordare Guglielmo Sullivan? Ma egli, sì, l'ha scordata. Deve corrergli dietro, afferrargli le mani, forzarlo a guardarla, a riconoscerla, a parlarle? Mosse un passo dietro alla coppia, esitò, s'arrestò. Una folla di commozioni l'assaliva, l'accecava, la soffocava, e mentre ella lottava seco stessa, Guglielmo e Isabella svoltarono in un sentiero, scomparvero. Ella si coperse il volto con le mani (sempre suo primo impulso nei momenti d'angoscia) e s'addossò al tronco d'un albero. Era Guglielmo: quanto a questo nessun dubbio. Ma non il _suo_ Guglielmo, non il _caro ragazzo_, il tenero suo amico d'infanzia. Invero il tempo non aveva aggiunto molto alla statura e allo sviluppo del giovane diciannovenne, alto e già ben complesso, ch'era partito per le Indie. Tuttavia sei anni trascorsi in Oriente, tra fatiche e cure dello spirito, strapazzi fisici, frequenti viaggi lo avevano mutato assai più che se fosse rimasto a condurre una vita tranquilla nel suo paese. Al fresco carnato dell'adolescenza era succeduto un colorito più pallido, un poco abbronzato, e ombrato dalla barba, che mostrava una matura virilità; negli occhi ridenti adesso appariva più profondo il pensiero; l'elastico passo era più fermo e misurato; il viso, raggiante allora come un sole, aveva preso un'espressione calma e grave che dava un'impronta caratteristica ai suoi lineamenti quando erano in riposo. Ma le attrattive che avevano cattivato al giovanetto tutti i cuori, erano sostituite nell'uomo da qualità di pregio eguale, se non superiore. Egli era sempre straordinariamente bello, e dotato di quella grazia naturale e disinvolta del portamento che tanto piace. La fronte ampia ed aperta, la bocca dalle linee denotanti un animo mite ma insieme forte e risoluto, le maniere franche e balde, rimanevano inalterate, e sarebbero bastate esse sole a farlo riconoscere da colei in cui la sua immagine era indelebilmente impressa, anche se ella non avesse udito il suono della nota voce, nel momento stesso. Tutto, tutto proclamava al suo cuore palpitante che Guglielmo Sullivan l'aveva incontrata a faccia a faccia, ed era passato oltre, senza ravvisarla, e, secondo ogni apparenza, immemore o noncurante, lasciandola sola col suo immenso dolore! Dapprima quest'unico amarissimo pensiero fu presente al suo spirito: «Egli non mi conosce più!» Esso riempiva e dominava la sua immaginazione, le faceva correre nelle più profonde fibre dell'essere un fremito di stupore ed angoscia. Non rifletteva ch'ella era tuttavia una bambina quando Guglielmo l'aveva veduta l'ultima volta, e che doveva apparirgli adesso ben diversa. Meno ancora pensava a rallegrarsi d'una trasformazione di cui ogni particolare tornava a suo vantaggio. La penosa idea che l'amico diletto della sua fanciullezza l'aveva dimenticata, ch'ella era morta per lui, cancellava qualunque altro ricordo. Fossero stati tutt'e due ragazzi come al tempo della loro fraterna intimità, le sarebbe parso naturalissimo spiccare una corsa, raggiungerlo, chiamarlo. Ma gli anni e i mutamenti che avevano operato, alzavano tra loro una potente barriera. Gertrude era una donna oramai, e ne aveva l'alterezza; l'animo suo delicato, la modestia virginale la distoglievano dal seguire l'impulso dell'antico affetto. Bentosto però altri sentimenti l'assalsero confusamente. Come mai Guglielmo Sullivan si trovava là, e con Isabella Clinton appoggiata al suo braccio? Quando aveva ripassato l'Oceano? E perchè non era andato anzi tutto in cerca di lei, della prima sua amica, dell'unica, per quanto ella avesse fino allora saputo, da cui egli aspettasse d'essere accolto al suo ritorno in patria? Possibile che non si fosse nemmeno curato d'avvertirla del suo arrivo? In qual modo spiegarsi quello strano silenzio, e il fatto più strano ancora della sua premura d'accorrere a un ritrovo mondano prima di visitare la sua città natale e la sorella d'adozione? Domande su domande, dubbi su dubbi s'accavallavano nella sua mente, in tale scompiglio ch'ella non poteva ragionare nè venire ad una conclusione. Non poteva che sentire e piangere. E sopraffatta da tante dolorose commozioni ruppe in lacrime. Povera fanciulla! Era assai diverso quell'incontro da ciò che aveva immaginato e sperato! Durante sei anni, mentre la donna si maturava in lei, il ritorno di Guglielmo era stato il sogno delle sue veglie, e la realtà fugace ma dolcissima de' suoi sonni felici. Egli non si sarebbe potuto presentare in nessun'ora del giorno o della notte, nè sotto nessun travestimento, senza essere atteso e indovinato. Di nessuna formula di saluto si sarebbe potuto servire che già ella non avesse inteso sonare nella sua fantasia. Il suo primo sguardo, ella lo vedeva, le era familiare. Le parole che direbbe venendo a lei, le sue esclamazioni, le sue domande, le risposte che ella farebbe, la felicità d'entrambi (velata di mestizia dopo la dipartita dei loro cari perduti), tutte insomma le particolarità dell'incontro agognato ella le aveva già evocate mille volte nello spirito, ogni tanto in nuove forme, e con l'aggiunta di qualche nuova circostanza. Ma non mai nelle sue visioni era apparsa pur un'ombra della triste verità che d'improvviso l'aveva precipitata nel dolore di quel disinganno. Nemmeno i sogni più oscuri erano stati presaghi d'una così gelida indifferenza, nemmeno i presentimenti più affannosi, non rari, da ultimo, le avevano fatto temere qualche cosa di così straziante come quell'assoluto oblio, quella totale distruzione del tenero e intenso affetto che aveva lungamente unito a lei l'esule in terre lontane. Addossata al tronco del vecchio albero, col petto gonfio di profondi singhiozzi che non trovavano sfogo, e il viso mal celato dalle piccole mani tra le cui dita affusolate scorrevano copiose lacrime, ella piangeva, dimentica del luogo, del tempo, di tutto fuorchè della sua soverchiante ambascia. Il rumore d'un passo che s'avvicinava la scosse. Con rapido gesto si slanciò avanti senza guardare nella direzione in cui l'udiva, calò il velo di trina che portava in luogo di cappello, per modo da nascondere la faccia turbata, s'asciugò gli occhi grondanti di pianto, e s'allontanò in fretta volendo evitare d'essere raggiunta e osservata da qualcuno dei numerosi forestieri che passeggiavano nel parco a quell'ora. Le pieghe del fitto velo e le lacrime risgorganti le offuscavano la vista, ed ella non sapeva dove la conducesse la sua fuga ansiosa, quando a un tratto un rombo e un sibilo acuto le risonarono all'orecchio, in gran prossimità, spaventandola e confondendola a segno ch'ella si fermò incerta della via da prendere; ma in quella si sentì afferrare per la vita e sollevare da terra con prontezza e facilità, come se fosse stata una bimba, e prima ch'ella potesse acquistar coscienza di ciò che le accadeva, mentre lo stesso braccio robusto la reggeva trattenendola, si vide passare davanti con vertiginosa celerità una vetturetta della ferrovia in miniatura, dove sedevano due persone. Un passo di più, e si sarebbe trovata sul binario, esposta all'urto, forse mortale, del veicolo lanciato a tutta corsa. Rimosse il velo, e volse al suo salvatore, il quale, cessato il pericolo l'aveva subito sciolta dalla stretta, un viso ch'esprimeva insieme una viva gratitudine e un gran turbamento, reso più sensibile ancora dalle tracce della dolorosa commozione di poco prima. Il signor Phillips, poichè era lui, la guardò con tenerezza e pietà profonda. — Povera figliuola! — egli disse dolcemente, prendendola a braccetto. — Vi siete molto spaurita. Venite a sedervi su quel banco. — Ma ella scosse il capo e accennò che desiderava piuttosto proseguire verso l'albergo. Non era in grado di parlare; la benevolenza di quello sguardo, di quella voce, non faceva che accrescere la sua penosa confusione e le toglieva la facoltà della favella. Egli non insistette, l'accompagnò in silenzio, ma sorreggendola con amorosa cura, e gettando su lei sguardi pieni d'ansietà. Alfine, con uno sforzo ella riescì a calmarsi alquanto. Allora egli osò rivolgerle di nuovo la parola, e domandò: — V'avevo forse spaventata _io_? — Voi! — fece ella con tono sommesso e malfermo. — Oh, no! Siete tanto buono.... — Mi duole di vedervi così conturbata. Quella ferrovia circolare con le sue vetturette è inutile e pericolosa.... Dovrebbero sopprimerla. — La ferrovia? — mormorò Gertrude, come smarrita. — Ah, sicuro.... non mi rammentavo.... — Mi sembrate un po' nervosa.... Dovreste chiedere al dottor Jeremy un calmante. — Il dottore? È tornato indietro per cercare la sua mazza, credo. — Egli comprese che lo spirito della fanciulla era sconvolto, perchè ne conosceva la vivacità e l'acume essendosi in quei giorni la loro amicizia fatta più intrinseca. S'astenne dunque da altri tentativi di conversazione, e non apersero più bocca finchè, giunti all'albergo, nell'accomiatarsi, egli, tenendole un momento la mano stretta nella sua, disse con accento commosso: — Potrei forse fare qualche cosa per voi? Potrei aiutarvi? — Gertrude lo guardò, e vide al suo aspetto ch'egli l'intendeva, che capiva com'ella fosse non già nervosa ma infelice. I suoi occhi lucenti di nuove lacrime lo ringraziarono. — No.... no.... — rispose ansante. — Ma siete buono, molto buono. — E rapidamente entrò nell'atrio. Per più d'un minuto il signor Phillips restò fermo dov'ella lo aveva lasciato, fissando la porta quasi volesse vedere la fanciulla arrivata a salvamento. Il primo pensiero di Gertrude fu di nascondere quanto meglio potesse a tutti i suoi amici, e specie alla signorina Graham, il grave dolore che l'opprimeva. Certo avrebbe trovato in Emilia simpatia e conforto; ma per grandi che fossero il suo amore e il suo rispetto verso la sua benefattrice, ella rifuggiva con gelosa delicatezza da ogni confidenza atta ad abbassare Guglielmo Sullivan nella stima d'una persona dinanzi alla quale desiderava ardentemente mostrarlo degno dell'alto concetto che di lui le avevano dato le sue lodi. Emilia quasi non conosceva fino allora il giovane se non da ciò che gliene diceva Gertrude, e però un sentimento misto di tenerezza per l'amico d'infanzia, e d'amor proprio, vietava a questa di palesarle ch'egli, ritornato in patria dopo tanti anni d'assenza, l'aveva riveduta per la prima volta in un pubblico passeggio di Saratoga, e le era passato accanto senza curarsi di lei. Naturalmente le s'era affacciata l'idea che Guglielmo poteva averla cercata a Boston e, appreso ch'ella si trovava a Saratoga, esserci venuto appunto col fine di vederla: nè, riflettendo a mente calma, questa ipotesi pareva contraddetta dal fatto che, incontratala per caso, una fugace occhiata non bastasse perchè egli la riconoscesse subito, mutata com'era nel volto e nella persona. Ma quel raggio di speranza svanì quand'ella si rammentò d'una lettera ricevuta il giorno innanzi da parte della signora Ellis, la quale custodiva ora la casa dei Jeremy. Come ammettere che scrivendole avesse omesso di menzionarle una visita per lei tanto importante? Pure, una possibilità rimaneva: cioè che la data della concisa epistola fosse anteriore all'arrivo di Guglielmo, o che questi, sbarcato appena, non fosse ancor giunto a scoprire la sua temporanea dimora. Nonostante i dubbi cui dava adito la poca premura ch'egli mostrava di rintracciarla, passeggiando invece con Isabella, Gertrude s'aggrappava appassionatamente a quest'altra fragile speranza; e confidandosi ch'entro la giornata egli si sarebbe presentato all'albergo, si propose di concentrare tutte le sue energie nello sforzo di mantenersi calma e composta. Conveniva aspettare d'acquistar una certezza. Durò gran fatica a parere come il solito ed eludere l'amorosa e attenta vigilanza d'Emilia che, conscia dei doveri assunti verso la figliuola adottiva, e timorosa di non essere atta, causa la sua cecità, a proteggere abbastanza quella creatura così ardente ed eccitabile, notava, sempre all'erta, le sensazioni e le commozioni provate da Gertrude, e soprattutto ogni variazione del suo umore, ordinariamente gaio. Ora, per quanto la fanciulla si fosse armata di fiducia, e incoraggiata con la speranza che Guglielmo non sarebbe infedele alla loro antica amicizia, il suo spirito era depresso dall'evidenza con cui si era presentato ai suoi occhi il fatto ch'egli non poteva più essere per lei ciò ch'era stato una volta, che mai più non avrebbero potuto trattarsi con fraterna dimestichezza come fino a quando s'erano separati: egli era adesso un uomo del gran mondo, aveva nuove conoscenze, nuove cure, nuovi interessi, ed ella doveva riconoscere d'essersi abbandonata a una folle quanto tenera illusione, accarezzando l'idea che nel loro caso le leggi della natura sarebbero sospese, che il tempo non avrebbe alterato l'indole nè l'intensità del loro mutuo affetto. Segnatamente l'induceva in questa persuasione la circostanza d'averlo veduto in quel primo casuale incontro a fianco d'Isabella Clinton, la signorina mondana per eccellenza, tra la quale e lei non c'era ombra d'affinità o di simpatia. Isabella, invero, era la figlia dell'uomo generoso che a lui giovanetto aveva aperto la via della fortuna impiegandolo nella sua casa commerciale di cui adesso egli faceva parte in qualità di socio; nulla di più naturale quindi che Guglielmo non soltanto la conoscesse, ma si sentisse in obbligo d'usarle deferenza e prodigarle le sue attenzioni. Gertrude tuttavia provava un senso di distacco, e non riusciva a cacciare un doloroso presentimento che le agghiacciava il cuore, pensando alla sua familiarità con una che aveva sempre ostentato verso di lei un superbo disprezzo trattandola incivilmente. Un'unica via di condotta le rimaneva: dominarsi con tutte le sue forze, chiamare in suo soccorso perfino l'orgoglio, e mantenersi in qualunque evento calma e serena. Il timore che già un occhio perspicace avesse penetrato parzialmente il suo segreto indovinando che ella era afflitta, la metteva in guardia; e però, entrando nella camera dove Emilia l'aspettava, diede al suo «buon giorno» un tono gaio ed aiutò la cieca a vestirsi come di consueto. Certo il suo viso mostrava le tracce del pianto recente, ma quella non le vedeva, e prima di andare a colazione ella ebbe cura di farle sparire. Subito fu posta a nuovi cimenti. Il dottor Jeremy, che ricuperata la sua mazza era andato a cercarla nel luogo convenuto, e non l'aveva trovata nè là nè altrove nel parco, la tempestò di domande sul cammino da lei seguito e sulle ragioni per le quali lo aveva piantato in asso. Ella cadde dalle nuvole. Non s'era più ricordata affatto del vecchio signore, nè del loro accordo, secondo cui era stabilito ch'ella proseguirebbe sempre nella medesima direzione; e còlta così di sorpresa, senza che avesse preparato una risposta, arrossì, restò confusa. La verità era questa: ansiosa d'evitare l'ignoto passante che udiva venire dalla parte per dove ella doveva muovere incontro al dottore, aveva preso la direzione opposta, e, raggiunta dal signor Phillips, era tornata in sua compagnia all'albergo rifacendo la strada di prima e deludendo per conseguenza il buon Jeremy a cui non pensava più. Ma prima ch'ella potesse addurre qualche scusa, arrivò di corsa Netta Gryseworth evidentemente piena d'allegra malizia, e chinandosi su una spalla di lei, le disse all'orecchio, abbastanza forte da essere udita dagli altri della loro piccola comitiva, che si erano fermati mentre il dottore chiedeva spiegazioni a Gertrude: — Cara amica, certi commoventi addii dovrebbero esser fatti fuor degli sguardi indiscreti; mi maraviglio che li abbiate permessi sulla soglia dell'albergo! — Questa osservazione non era propria a scemare l'impaccio della fanciulla, che s'accrebbe a mille doppi quando il dottor Jeremy, ghermita per un braccio Netta la quale già scappava, insistette perchè spiegasse che intendeva dire, dichiarando che egli sospettava qualche cosa, e voleva sapere chi fosse il cavaliere di Gertrude. — Oh, un bel giovane alto, suo adoratore!... Bisognava vedere come stava lì piantato a seguirla con gli occhi! In verità cominciavo a temere che la crudele lo avesse cambiato in sasso! Che gli avevate fatto, Gertrude? — Nulla, — rispose questa. — M'ha salvata da una vetturetta della ferrovia circolare che era sul punto d'investirmi e m'ha accompagnata a casa. — Il suo tono era serio. In altri momenti avrebbe riso e motteggiato con Netta; ora un peso troppo grave le opprimeva il cuore. Ma il dottor Jeremy non s'accòrse della sua crescente agitazione, e spinse lo scherzo ancor più oltre. — Romantica avventura! Un pericolo imminente! Soccorso provvidenziale! Passeggiata da solo a sola, evitando il vecchio dottore che sarebbe stato il terzo incomodo! Ho capito.... — La povera Gertrude, rossa scarlatta e confusa da far pietà, cercò di giustificarsi, balbettò, finì col dire che non sapeva più, non rammentava.... Elena Gryseworth le gettò uno sguardo scrutatore, Emilia volse verso di lei la faccia ansiosa, e Netta, mezzo impietosita e mezzo esilarata, la trasse nella sala da pranzo dicendo: — Non vi confondete, Gertrude, non c'è poi niente di terribile, dopo tutto. — Ella volle sforzarsi di far colazione, ma non potè nascondere la sua mancanza d'appetito, e fu lieta d'accompagnare Emilia nella loro camera appena questa ebbe finito il leggero suo pasto. Là le raccontò minuziosamente il pericolo che aveva corso, e come il signor Phillips l'avesse salvata: racconto di cui la signorina Graham parve contentarsi. Poi sedette in apparenza tranquilla, e lesse ad alta voce alcune pagine d'un libro a loro prestato da quel gentiluomo, che, singolare sfortuna, ella non era ancora riuscita a presentare alla sua amica non essendosene mai offerta l'opportunità. Trascorse l'intera mattinata senza che Guglielmo si facesse vivo. Ogni volta che una persona di servizio passava per il corridoio, Gertrude palpitava di speranza; e se qualcuno picchiava all'uscio, come ripetutamente accadde, la sua mano tremante poteva appena alzar la gruccia. Questo continuo alternarsi d'illusioni e disinganni la teneva in uno stato d'eccitazione tale, ch'ella era tutta accesa in viso, e verso mezzogiorno cominciò a sentire i sintomi di un violento mal di capo, cosa molto insolita in lei. Nondimeno, comprendendo che s'ella si fosse astenuta con una scusa qualunque di comparire quel giorno a pranzo, la sua condotta avrebbe certo provocato commenti erronei, si vestì accuratamente secondo il solito, e andò a prendere il suo posto a tavola. Soffriva, ma le guance imporporate e gli occhioni neri scintillanti la rendevano più che mai attraente; nè era da maravigliarsi se nell'atto che traversava la sala e durante il breve tempo che vi si trattenne, gli sguardi del signor Phillips, che sedeva a qualche distanza, e d'altri ancora, si fissavano su lei con attenzione. XXXIX. .... solo Nell'alta notte, dal cielo silente Sul torturato cuor veglia pietoso l'occhio eterno.... NEW TIMON. Quando Gertrude, fatta accomodare Emilia nel salotto, accanto alla signora Gryseworth, ritornò sollecitamente nella sua camera, vi trovò un bellissimo mazzo dei fiori più scelti che la cameriera, come le disse, era stata incaricata di rimettere a lei. Ella indovinò subito da chi quel dono gentile ed accettabile provenisse, e quali sentimenti di benevolenza e simpatia avessero mosso il donatore; se da qualcuno poteva ricevere un conforto era dal signor Phillips, il solo quasi la cui pietà non esacerbasse la sua pena. Ad onta delle maliziose supposizioni di Netta, ella non sospettava affatto che altri motivi fuor d'una grande bontà d'animo e una sincera compassione lo avessero indotto ad offrirle quei vaghissimi fiori. Ed a ragione; perchè le sue maniere verso di lei erano piuttosto di padre affettuoso che d'innamorato, e quantunque ella cominciasse a considerarlo come un prezioso amico, non vedeva altro in lui nè pensava ch'egli desiderasse d'esser altro. Mise i fiori in un vaso d'acqua, ritornò nel salotto, e, facendosi forza, prese parte alla conversazione, discorrendo su vari soggetti, finchè, con suo sollievo, il circolo dei suoi amici si sciolse, e chi andò a far una passeggiata in carrozza o a cavallo, chi a schiacciare un sonnellino. Tra questi ultimi fu ella stessa; era contro il suo costume, ma giustificò dinanzi ad Emilia quest'eccezionale mollezza col mal di capo che l'aveva assalita. Non riesci però a dormire, e il resto della giornata le sembrò interminabile. Venne alfine la sera. Gertrude ricevette un premuroso invito d'accompagnare le signorine Gryseworth, che col loro babbo e i Petrancourt andavano a un concerto dato all'Albergo degli Stati Uniti. Ella si scusò, e persistette nel suo rifiuto nonostante le più vive istanze. Sentiva che se si fosse esposta al cimento d'un nuovo incontro come quello della mattina si sarebbe di certo tradita. Poichè Guglielmo aveva lasciato passare la giornata intera senza cercar di vederla, non avrebbe voluto per nulla al mondo mettersi lei sulla sua via, e correre il rischio di essere scoperta da lui e riconosciuta in una sala affollata di gente. No: aspetterebbe. Dovevano di sicuro incontrarsi o prima o poi. Nelle presenti circostanze ella non sapeva ancor bene come contenersi; era meglio serbare per ora l'incognito. Rimase dunque all'albergo. Oltre i Gryseworth e i Petrancourt, molti altri andarono agli «Stati Uniti», sicchè nel salotto, quasi deserto, regnava una insolita quiete, grata all'animo agitato e alla testa dolente di Gertrude. Emilia discorreva con un ecclesiastico anziano che le era stato presentato; il dottor Jeremy conversava con la signora Gryseworth, e sua moglie intanto sonnecchiava. La fanciulla, visto che nessuno aveva bisogno di lei, uscì inosservata dalla stanza proponendosi di star un po' a sedere fuori, al lume di luna; ma nel vestibolo s'imbattè nel signor Phillips. — Che fate qui, sola sola? — egli domandò. — Perchè non siete andata al concerto? — Mi duole il capo. — Me ne sono avveduto, a pranzo. Non va punto meglio? — No, non direi. — Venite a passeggiare un po' con me sulla terrazza. Vi farà bene. — Ella accettò. Egli l'intrattenne piacevolmente, le raccontò molti aneddoti divertenti, riuscì a farla sorridere, e perfino ridere, del che parve compiacersi assai. Parlò argutamente delle varie cose vedute e udite da che si trovava a Saratoga dove faceva la parte di spettatore, e terminò domandandole se non giudicava anche lei lo spettacolo una pompa di vanità e d'egoismo. Gertrude, maravigliata della domanda, non seppe rispondere. — Perchè? — disse. — Non è forse ridicolo che tante migliaia di persone convengano qui col fine di divertirsi? — egli riprese. — Non saprei, — replicò ella. — A me almeno non sembra. Divertirsi è un'ottima cosa per chi _può_ godere. — E quanti possono? — La maggior parte, m'immagino. — Che! Quasi nessuno, invece! Più di mezzi se ne vanno infelicissimi, e il resto malcontenti. — Credete? E io, al contrario, pensavo che l'attrattiva del luogo fosse appunto il vedervi tante facce raggianti d'allegrezza. Mi parevano tutti gente felice. — Oh, superficialmente! E poi, se osservate bene, vedrete che quelli che sembrano felici un giorno, hanno il seguente un'aria desolata.... Per esempio, la vostra era una delle facce raggianti, ieri, ma oggi non è più così, povera figliuola.... — Accortosi che queste ultime parole facevano tremare lievemente la mano posata sul suo braccio, e vedendo i grandi occhi neri levati verso di lui riabbassarsi ad un tratto sotto le lunghe ciglia, soggiunse: — Speriamo però che torni presto serena come prima. Ma non avrebbero dovuto portarvi qui. La montagna di Catskill si confaceva meglio alla vostra fervida fantasia e alla vostra mente riflessiva; non bisogna esporre una natura di sensitività così delicata alle offese della malignità e dell'invidia che non mancano mai in questi affollati ritrovi della bassa, egoista e crudele umanità. — Oh! — esclamò Gertrude la quale ora comprendeva che il signor Phillips in cuor suo sospettava ch'ella soffrisse per qualche ferita dell'amor proprio, qualche torto, forse ingiurioso, da lei patito. — Voi parlate troppo severamente: non tutti sono egoisti, non tutti sono malevoli. — Ah, voi siete giovane e piena di fede! Fidate pure in chi potete, finchè potete. Io non fido più in _nessuno_. — Nessuno? Non v'è dunque una persona al mondo che voi amiate, in cui abbiate fiducia? — Quasi nessuna: non più d'una, certo. In chi dovrei fidare? — Nei buoni, nei puri, nei magnanimi. — E quali sono? Come distinguerli? Secondo la mia esperienza, ed è stata vasta, sì, molto vasta, — egli stringeva i denti e il suo tono era di profonda amarezza — i così detti buoni, gli uomini stimati probi e onorevoli, spesso non sono che ipocriti bene inverniciati, peccatori di fine e polita apparenza. Sì, — continuò con voce più grave, e in modo più concitato — penso a un tale, gentiluomo rispettabile, personaggio _cospicuo_, membro della Chiesa, la cui durezza, la cui ingiustizia, la cui crudeltà hanno fatto della mia vita ciò che è.... un desolato deserto, e peggio; e penso a un altro, un vecchio marinaro rozzo e intemperante, sul capo del quale non passava giorno senza ch'egli proferisse il nome di Dio invano, e che tuttavia aveva in fondo al cuore una goccia di così pura essenza di virtù, che non riescireste a distillarla dalle anime di diecimila dei vostri educatissimi birbanti. In chi dunque devo fidare, nell'uomo buono e religioso, o nell'abietto ed empio blasfematore? — Fidate nella _bontà_ dovunque si trovi, — rispose Gertrude. — Ma non diffidate di _nessuno_ piuttosto che di _tutti_.... oh, no! — Il vostro mondo, la vostra religione, tracciano un cerchio meno ampio. — Non dite il _mio_ mondo, la _mia_ religione. Io non mi chiudo in cotesto cerchio, e non conosco altra religione che quella del cuore. Cristo morì per l'umanità intera. E se poche sono le anime così profondamente inabissate nel peccato, che non serbino una scintilla di virtù e di verità, chi può dire in quali non scaturirà alfine la luce grazie a cui potranno trovare la via di Dio? — Voi siete una buona creatura piena di carità e di speranza, — fece il signor Phillips premendo più forte il braccio della fanciulla. — Voglio aver fede in _voi_. Ma, guardate, i nostri amici ritornano dal concerto. Andiamo loro incontro. — Avevano passato ore deliziose. L'Alboni aveva superato sè stessa. Quanto dispiaceva a tutti che Gertrude non ci fosse stata! — Ma forse — le sussurrò Netta — vi siete divertita meglio qui.... — Le erano appena sfuggite dalle labbra queste maliziose parolette, che già n'era mezzo pentita, perchè Gertrude, appoggiata al braccio del signor Phillips tranquillamente, senza ombra di confusione, respingeva col semplice candore del suo contegno il folle sospetto. — C'era la signorina Clinton, — proseguì l'altra — splendidamente bella. Aveva intorno una folla di adoratori.... Ma, — soggiunse rivolgendosi alla signora Petrancourt — avete notato qual'era il favorito? Tanto favorito che non so come gli altri non si scoraggissero.... Parlo di quel bel giovane, alto, che l'ha accompagnata nella sala, e s'è ritirato dopo un poco. Finchè c'è rimasto, ella s'è dedicata tutta a lui. — Era il medesimo, non è vero, che è rientrato per alcuni minuti verso la fine del concerto? — domandò Elena. — Quello che stava ritto contro la parete? — Precisamente. Ha aspettato che l'Alboni finisse di cantare, poi s'è accostato alla signorina Clinton e s'è chinato a mormorarle qualche parola all'orecchio. Ella s'è rizzata subito e sono usciti insieme, lasciando gli altri corteggiatori piuttosto mortificati. Io, sedendo presso la finestra, li ho veduti passare e allontanarsi nel parco. — Proprio nel mezzo di quel magnifico pezzo della _Lucia_! — disse Elena. — Come hanno potuto andarsene così? — Oh, non c'è nulla di strano, dato lo stato delle cose, se la signorina Clinton preferisce una passeggiata col signor Sullivan alla miglior musica del mondo! — osservò il signor Petrancourt. — Ah! — fece Netta. — È molto simpatico quel giovane? Credete che sarà il fortunato? — Io non ne dubito, — rispose quegli. — Si crede anzi generalmente che siano fidanzati. Egli era a Parigi in compagnia della signorina e di suo padre, la scorsa primavera, e sono ritornati con lo stesso piroscafo. Tutti sanno che il signor Clinton desidera vivamente questo matrimonio, e l'Isabella non nasconde la sua preferenza. — Certo, — confermò la signora Petrancourt — è una cosa stabilita. L'ho sentito dire anche stasera da due o tre persone. — Che n'era di Gertrude durante questi discorsi? Poteva ella, dopo avere per sei anni alimentato la cara speranza d'esser l'unico amore di Guglielmo, rimaner lì pazientemente a udire quegli estranei disporre di lui, darlo ad un'altra? Sì, potè; ma non grazie a sè stessa, perchè la testa le girava, ed ella sarebbe caduta senza il saldo sostegno del signor Phillips, il quale la reggeva al suo braccio con tanta forza, che sebbene egli sentisse come tremava tutta, gli altri non se ne avvidero punto. Per fortuna, anche nessuno osservò la sua faccia sbiancata, e stando essi nell'ombra, il solo che sapeva la sua agitazione, notava gli occhi stralunati e ardenti in quel pallore mortale, le labbra semiaperte e convulsamente rigide. Come sotto l'incubo d'un sogno spaventoso, ella, col cuore in tumulto, ascoltava, immobile, e udiva e comprendeva ogni parola. Ma non sarebbe stata in grado di parlare o fare un gesto: un momento di più, e qualche caso inevitabile avrebbe tradito il suo turbamento ch'era tale da far paura. Ma il signor Phillips parlò e si mosse _per lei_, risparmiandole la pena di vedersi esposta alla curiosità degli astanti, da cui certo il suo spirito delicato e sensitivo rifuggiva con orrore. — Il signor Sullivan! — egli esclamò. — Un bravo giovanotto! Lo conosco.... Signorina Gertrude, devo raccontarvi un aneddoto che lo concerne.... — E proseguendo nella direzione in cui erano venuti incontro alla comitiva che tornava dal concerto, fece come se volessero continuare la loro passeggiata; ma adesso camminava egli solo perchè Gertrude era addirittura portata da lui. Gli altri entrarono presto nel salotto, lasciandolo con la sua compagna in piena libertà nella terrazza da quella parte già vuota. Finchè non furono scomparsi egli seguitò a narrare come il signor Sullivan fosse stato, anni addietro, suo compagno di viaggio in un deserto dell'Arabia, e gli avesse reso un segnalato servigio aiutandolo a salvarsi da un improvviso attacco d'una tribù d'Arabi erranti. Ma tosto assicuratosi che non c'era più pericolo d'essere osservati, s'interruppe bruscamente, e senza scuse nè cerimonie la mise a sedere in una poltrona che si trovava lì presso, dicendo: — State qui mentre io vado a prendervi un bicchier d'acqua.... — L'avviluppò ben bene nella mantellina e s'allontanò rapidamente. Oh, quanto gli fu grata Gertrude in cuor suo della delicatezza con cui la lasciava sola per darle il tempo di riaversi! Era la condotta più giudiziosa, e insieme più benevola ch'egli potesse tenere. Egli sapeva che non sarebbe svenuta, che avrebbe raccolto tutte le sue energie, e sperava perfino d'essere riuscito a darle l'illusione che neppur a lui fosse stata palese tutta la profondità del suo turbamento, e soprattutto che ne ignorasse affatto la causa. Quando il signor Phillips ritornò dopo alcuni minuti, ella era calma. Portò alle labbra il bicchier d'acqua, ma egli non insistette perchè bevesse: vedeva che non ne aveva bisogno. — V'ho trattenuta fuori troppo, — disse. — Venite, è meglio che rientriate. — La fanciulla si rizzò, s'appoggiò di nuovo al suo braccio. Egli, guidati i suoi deboli passi fino all'uscio vetrato che dalla terrazza metteva nella camera occupata da lei e da Emilia, si fermò un momento, dicendole con tono significativo, e figgendo ne' suoi occhi uno sguardo che corroborava le parole: — Signorina Gertrude, voi m'esortate ad aver fede in tutti; ma io vi consiglio che, inesperta della vita come siete, vi guardiate dal credere ciecamente a chiunque. Dove la vostra fiducia è ben fondata, mantenetela con fermezza e coraggio, ma non tenete per vero se non ciò ch'è provato; specie poi siate sicura che gli oziosi pettegolezzi circolanti in luoghi come questo, non meritano alcun credito. Buona notte. — Quale rivoluzione produsse quest'ammonimento nei sentimenti di Gertrude! Esso risonò al suo orecchio come una profezia e si ripercosse nell'intimo del suo cuore. Non era pieno di saggezza il consiglio del signor Phillips? Naturalmente, ella pensava, egli esponeva un assioma dettato dalla sua lunga esperienza; ma come s'applicava, al caso suo! Non aveva ella ceduto senza riflessione ai suoi timori, ai suoi neri presagi, non aveva ascoltato con inconsiderata prontezza le querele della sua gelosa immaginazione, e più inconsiderata credulità le ciarle riferite da estranei, mentre così tradiva un più alto diritto alla sua fede? Chi durante i lunghi anni della loro amicizia s'era mostrato più degno di fiducia che Guglielmo? Non era egli stato fin dall'adolescenza un esempio d'ogni virtù, superiore ad ogni bassezza, esente da ogni vizio? Non aveva abbandonato nella prima gioventù ogni cosa più cara, per andar a lavorare faticosamente sotto il sole dell'India a fine di procurare l'agiatezza, e il lusso, col tempo, a coloro di cui ambiva essere il sostegno e la consolazione? Non aveva sempre manifestato coi fatti un animo nobile, un carattere onorevole, un cuore sincero ed affettuoso? E, soprattutto, non era egli imbevuto fin dall'infanzia dei più sublimi e puri principî cristiani? Sì, questo era innegabile. E ricordandolo, riandando ciascuna fase della retta sua vita, Gertrude doveva riconoscere che egli, ragazzo d'indole generosa e amorevole, giovanetto ardimentoso ed energico, uomo fortunato e rispettato ma pure provato dal dolore, aveva costantemente mantenuto per lei lo stesso profondo e ardentissimo affetto, che anzi pareva essere andato crescendo ogni giorno, ogni mese, ogni anno, da quando l'aveva amata e protetta bambina, sostenuta e confortata durante la malattia e dopo la morte dello zio True, fino al presente, attraverso la lunga loro separazione. Non v'era una tra le numerose e regolari lettere di Guglielmo da cui non spirasse il più tenero e devoto amore per Gertrude: un amore esclusivo nel quale non poteva esservi rivalità. In tutti i suoi sogni di futura felicità domestica ella aveva parte; e sebbene la signora Sullivan, con quell'istintivo riserbo ch'era nella sua natura, si fosse astenuta dal parlargliene, il modo in cui la trattava le aveva sempre attestato chiaramente che considerava il matrimonio tra lei e suo figlio come cosa certissima. L'aperta dichiarazione fattale da Guglielmo nella lettera in risposta all'annunzio della morte di sua madre, che le sue speranze, le sue preghiere, le sue fatiche erano adesso per lei sola, non le dava una prova più sicura che già non fosse tutta la sua antecedente condotta, della tenerezza con cui l'amava? E doveva ella ora dubitare di lui? Non tener più conto, d'un tratto, di fatti che così evidentemente lo mostravano meritevole d'alta stima e credere senza altro alla subita defezione del suo amico d'infanzia? No! Risolse di bandire l'indegno pensiero, di confidarsi che presto una spiegazione sodisfacente ridarebbe la pace al suo cuore angosciato. Fino a quel momento manterrebbe la sua fede in Guglielmo: la manterrebbe con fermezza e coraggio, perchè era ben fondata. Facendo quest'eroico proposito rialzò la fronte china, e sprofondò lo sguardo nella serenità della notte. La luna era tramontata e il cielo scintillava tutto di fulgidissime stelle. Gertrude amava le notti stellate. Quello spettacolo le infondeva novello vigore. E guardando in alto vide splendere sul suo capo la stella prediletta, la stella che la sua fantasia, una volta, amorosamente immaginava accesa per lei dallo spirito beato dello zio True. E allora, come nel tempo lontano quando dai lumi celesti le scendeva nell'anima un raggio di conforto, le parve d'udir sonare al suo orecchio il detto familiare del caro padre adottivo: «Fa' cuore, uccellino, perchè è mia opinione che tutto da ultimo riuscirà a bene.» Durante il breve resto della serata rimase in questo stato d'elevazione morale e quasi di gioia; così sostenuta, potè ritornare nel salotto a prendere Emilia, dar la buona notte agli amici con voce gaia, e coricarsi tranquillamente. Avanti la mezzanotte, dormiva. Ma quella calma era in gran parte un effetto della stessa sua sovreccitazione, e però non poteva durare. La mattina seguente, destandosi, ricadde nella tristezza e nell'abbattimento di prima, e lo sforzo che fece per levarsi, vestirsi e andare a colazione fu macchinale. Si scusò col dottor Jeremy non essendo in grado di accompagnarlo nella solita passeggiata. Il suo più vivo desiderio era di lasciare Saratoga. Le pareva mill'anni d'essere a casa, in quiete, di non aver tanti occhi addosso. Quando il dottore venne a portare le lettere arrivate con la posta della mattina, ella vi gettò uno sguardo così avido ch'egli disse sorridendo: — Nulla per voi, Gertrude; ma ce n'è una per Emilia; un certo compenso, non è vero? — Meglio ancora. Era una lettera del signor Graham, lungamente attesa, che avrebbe certo menzionato la data del suo ritorno dall'Europa, e determinato quindi la durata del soggiorno d'Emilia a Saratoga. Con grande loro maraviglia, egli era già bell'e arrivato a Nuova York, e desiderava che la figliuola e Gertrude venissero a raggiungerlo subito. Gertrude stentava a nascondere la sua sodisfazione, che del resto poteva essere attribuita al piacere di riveder lui e la signora, ed Emilia, realmente felice di riabbracciare suo padre al quale era affezionatissima, la pregò di sollecitare i preparativi della partenza. Si ritirarono dunque nella loro camera, e fino all'ora del pranzo la giovanetta fu occupata nel fare i bagagli. Ella aveva passato il giorno innanzi ansiosamente sperando che Guglielmo si presenterebbe all'albergo; ora al contrario temeva oltremodo la sua visita. L'idea che il loro primo incontro avvenisse in un luogo pubblico, le era intollerabile nel suo presente stato d'animo: e s'ella ieri s'era tormentata aspettandolo invano, oggi soffriva ancor più per il terrore di vederlo comparire. Fu un vero sollievo al suo affanno la proposta gentilmente fattale dal signor Phillips dopo il pranzo, d'una scarrozzata al lago. Il dottor Gryseworth e una delle sue figliuole avevano accettato due dei posti nel legno da lui procuratosi, ed egli si confidava, come le disse, ch'ella avrebbe gradito il quarto. Poichè Emilia non aveva allora bisogno di lei, e poichè ella così era sicura d'evitare Guglielmo, acconsentì ben volentieri. Si trovavano in riva al lago da circa un'ora. Il dottore ed Elena s'erano lasciati indurre da una comitiva di loro conoscenti a giocare una partita alle bocce. Il signor Phillips e Gertrude non avevano voluto prendervi parte, ma stettero un tempo a guardare. Poi, essendo la giornata caldissima e l'aria nella sala chiusa soffocante, andarono piuttosto a sedersi fuori, finchè il giuoco fosse finito. Mentre contemplavano la bella distesa d'acque tinta di rosa dai riflessi del tramonto, una coppia venne a fermarsi poco lontano dal loro sedile. Un tronco d'albero gigantesco le nascondeva totalmente il signor Phillips e riparava anche Gertrude abbastanza da non essere osservata, quantunque un subitaneo pallore si diffondesse sulla sua faccia al vederla apparire. Quel pallore mostrava ch'ella aveva riconosciuto Guglielmo Sullivan e Isabella Clinton. Le loro parole giungevano ben distinte al suo orecchio. — Sarà dunque tanto sentita la mia assenza? — domandava Bella guardando intensamente il suo compagno che fissava il lago con aria grave. — Se sarà sentita? — disse il giovane volgendosi a lei con un accento di mite rimprovero. — E come non sarebbe? Chi può tenere il vostro luogo? — Ma, infine, due soli giorni.... — Brevissimo tempo in circostanze ordinarie, però un'eternità.... — S'interruppe come se facesse uno sforzo per frenarsi, e con una brusca mossa proseguì il cammino. Isabella gli tenne dietro dicendo: — Aspetterete il mio ritorno, non è vero? — Guglielmo si voltò, e questa volta Gertrude vide in tutto il suo aspetto l'espressione di rimprovero che aveva sentito nella sua voce dianzi. — Certo, — egli rispose, serio. — Come potete dubitarne? — L'angoscia crescente della fanciulla nell'udir questo dialogo per lei pieno di significato, si manifestava nei lineamenti scomposti, nello sguardo strano, innaturale dei suoi occhi fissi, con una veemenza da far paura. — Gertrude! — esclamò il signor Phillips dopo averla mirata un momento. — Gertrude, per amor di Dio, non v'alterate così! Che vi succede? — Ma ella non lo guardò, il suo volto rimase impietrito: evidentemente non aveva inteso. Egli le prese la mano. Era fredda come un marmo. Un'angoscia quasi pari alla sua si dipingeva ora nel viso del suo amico: egli aveva gli occhi pieni di lacrime che colavano lente lungo le gote. Una volta stese le braccia in atto di voler stringersi l'afflitta al seno e consolarla come una bambina: ma represse con forza la sua commozione. — Gertrude, — riprese, sporgendosi verso di lei e fissandola negli occhi — che v'hanno fatto quei due? Se quel giovane v'ha offesa, il ribaldo ne dovrà rispondere! — E così dicendo balzò in piedi. Quelle parole, quel gesto, richiamarono Gertrude in sè. — No, no! — ella rispose. — Non è tale! Sto già meglio.... Non ne parlate.... non raccontate a nessuno.... — e gettò un'occhiata ansiosa nella direzione del viale dov'era il giuoco di bocce. — Sto meglio, molto meglio. — Non senza grande stupore del signor Phillips, che la rigidità del suo aspetto aveva spaventato, ella si rizzò con perfetta compostezza, e propose di ritornare all'albergo. Egli l'accompagnò, in silenzio; prima d'essere arrivati a mezza costa del poggio ove avevano lasciato la carrozza furono raggiunti dai Gryseworth, e di lì a pochi minuti i cavalli trottavano verso Saratoga. Tutta la sera Gertrude ebbe quell'aria di rigidità innaturale. Durante il tragitto il dottore le domandò due o tre volte se fosse indisposta, e il signor Phillips non cessò di osservarla furtivamente con sguardi inquieti. Fino i toni della sua voce erano alterati a segno che Emilia non appena l'udì parlare domandò: — Che hai, figliuola mia? — Ma ella rispose che stava benissimo, e fece tutto ciò che doveva fare nella serata, secondo il consueto; poi s'accomiatò dagli amici, convenne anzi con le Gryseworth di rivedersi il domani mattina. A un meno che acuto osservatore Emilia sarebbe parsa la più conturbata delle due. La cieca non poteva essere ingannata, e le celate sofferenze della sua cara si riflettevano nel contegno di lei. Gertrude parlava e si moveva macchinalmente, nè potè mai in seguito rammentar bene i casi di quella serata. Ella non comprendeva che cosa la sostenesse e la rendesse capace di recitare la sua parte, quasi inconsciamente. Come era riuscita a dissimulare le torture che soffriva? Non avrebbe saputo spiegarlo. Ella non serbava che la memoria confusa d'un sogno affannoso. Solo nelle quiete ore della notte, quando Emilia parve profondamente addormentata al suo fianco, osò sciogliersi un momento dai ferrei vincoli della costrizione che s'era imposta; ma allora il torrente del suo dolore irruppe senza più ostacoli. Si levò dal letto, e affondato il viso nei cuscini di un'agrippina bassa ch'era accanto alla finestra, diede libero sfogo alle lacrime benedette ogni cui stilla era un sollievo per la sua anima dolorante. Mai, dopo la prima fanciullezza, s'era abbandonata ad un così lungo e irrefrenato pianto; e l'ansare del suo petto, la violenza dei singhiozzi che ne sfuggivano, provavano l'intensità della sua angoscia. Tutti gli altri suoi dolori l'avevano trovata forte, ben preparata a sostenerli, armata d'una religiosa fiducia e incorata da una santa speranza; ma sotto questo colpo improvviso e inaspettato, ella si curvava e s'agitava come un arboscello cresciuto ai soli estivi si contorce e trema investito dal gelido soffio dell'inverno. Che Guglielmo fosse infedele al suo primo amore, ella non poteva oramai più dubitare, e questa certezza le faceva sentire che l'unico suo appoggio nella vita era caduto. Lo zio True e la signora Sullivan erano stati l'uno e l'altra suoi benefattori ed Emilia era sempre la sua cara e fida amica: ma essi avevano tutti avuto più o meno bisogno di lei, e sebbene ella potesse riposarsi nella sicurezza del loro affetto, i due primi, per lungo tempo innanzi di partirsi dal mondo, si trovavano ridotti a non aver altro sostegno che il suo braccio amoroso, e l'ultima, la sola che le rimanesse ancora, affidava a lei la guida degl'incerti suoi passi, i quali, ahimè, parevano già vòlti verso la tomba! A chi dunque si sarebbe appoggiata Gertrude? Chi avrebbe guidato l'inesperta sua giovinezza? A chi doveva ella rivolgersi con fiducia per chiedere protezione, consiglio, aiuto, amore, se non a Guglielmo? Ma Guglielmo aveva dato il suo cuore ad un'altra.... E presto, forse, ella resterebbe sola al mondo! Ella piangeva, dunque, come piangono i desolati; e pianse finchè la fonte delle sue lacrime fu esaurita. Affranta, debole, sconvolta, si rizzò, andò alla finestra, e, rimosse dalla fronte le dense ciocche dei suoi lunghi capelli, si sporse a respirare la fresca brezza notturna che la ristorò alquanto. La tempesta dell'anima sua si calmava mentre, fissi gli occhi alle vive luci splendenti su lei dall'alto, così placide e soavi nel loro fulgore, ella sembrava comunicare con cose divine. Anche ora le stelle la compassionavano come nelle notti della sua infanzia solitaria, anche ora le sussurravano: «Gertrudina! Gertrudina! Povera piccola Gertrudina!» Intenerita, commossa dal loro sguardo pietoso, ella cadde, lentamente, in ginocchio. E la sua faccia levata verso il cielo, le mani giunte, la dolce rassegnazione espressa da tutto il suo aspetto, manifestavano che come quando ella aveva inalzato la prima tacita preghiera al Dio allora ignoto, la sua anima adesso illuminata era in profonda comunione col suo Creatore, e ripeteva le semplici parole: «Signore, eccomi!» Oh, benedetta la religione che può sostenerci in ore come quella! Oh, benedetta la fede che quando ogni appoggio terreno ci manca e la nostra più salda colonna risulta essere di sabbia, eleva l'anima al di sopra d'ogni altro bisogno, e la ricovera nel seno di Dio! Ma ecco che la giovanetta sente una mano gentile posarsi sul suo capo. Si volge, e vede Emilia, che ella credeva immersa nel sonno, ma che invece l'ansietà teneva desta, e i cui timori s'erano raddoppiati all'udire un suono di singhiozzi mal repressi. — Gertrude, — disse questa con tono addolorato — tu sei afflitta e me lo nascondi? Non distoglierti da me! — Le gettò le braccia al collo, le fece posare la testa sul suo petto, mormorando: — Dimmi tutto, tesoro! Ch'è accaduto alla mia povera figliuola? — E Gertrude versò la piena del suo dolore nel cuore d'Emilia, confidò al suo orecchio attento l'unico segreto che mai avesse esitato a confessarle; ed Emilia pianse ascoltandola, e quand'ella ebbe finito, se la strinse ripetutamente al seno, esclamando con un'eccitazione che la fanciulla non aveva mai veduta nella sua amica cieca sempre calma e serena: — Strano, strano, che tu pure abbia avuto questa sorte! O Gertrude, figliuola mia, possiamo piangere insieme. Ma, credilo, il tuo cordoglio è assai meno amaro del mio. — Nell'oscurità della notte alta, Gertrude ricevette in compenso della sua confidenza la rivelazione della storia di dolore che aveva desolato la gioventù d'Emilia, e che nonostante la fuga del tempo era sempre viva nella sua memoria e gettava sulla sua vita una negra ombra che non era soltanto quella della sua cecità. XL. Ed ecco a me venir, nella sua veste Di luce avvolta, una ninfa celeste, Che rischiarò la mia vista turbata: Religione tra gli uomini è nomata. Il castigo divin mi fe' provare, Poi la verga m'impose di baciare; Così insegnò al ribelle cuore mio La sommissione ai voleri di Dio. ANNA MORE. — Ero più giovane di te, Gertrude, — cominciò Emilia — quando fui sottoposta alla mia prova, e per ogni rispetto una persona assai diversa da quella che tu hai conosciuta. Tu sai forse ch'io perdetti la mamma in così tenera età, che non serbo alcuna memoria di lei. Ma mio padre si riammogliò presto, e nella matrigna ch'io ricordo come se fosse stata la mia vera madre, trovai tanto amore e tante cure da compensarmi pienamente della mia perdita. Io la rammento qual'era negli ultimi anni della sua vita: alta, gracile, delicata, con un viso dolce ma piuttosto malinconico. Vedova anch'ella d'un primo marito, aveva un figliuolo che divenne subito il mio solo compagno. Tutti i miei piaceri infantili furono divisi con lui. Quando mi dicesti, molto tempo fa, ch'io non potevo immaginarmi quanto tu amassi Guglielmo, fui sul punto di confidarti una parte di questa storia della mia prima giovinezza, a fine di persuaderti che nessuno meglio di me poteva comprendere un tale affetto: ma mi rattenni, perchè tu eri allora troppo bambina, e non volevo contristarti col racconto di casi dolorosi come i miei. Perciò tacqui. Le mie parole non potranno mai esprimerti quanto caro mi fosse quel compagno della mia infanzia. Ciò che eravamo l'una per l'altro, e l'influsso che l'una esercitava sull'altro ci univano coi legami d'una reciproca dipendenza: perchè sebbene egli fosse lo spirito dirigente, la volontà forte e determinata, ed io mi sottomettessi di buon grado a una dominazione cui la mia docile natura non ripugnava, c'era una cosa nella quale il mio baldo protettore e signore aveva bisogno del mio aiuto e del mio appoggio. Ero io quella che serviva da mediatrice tra lui e mio padre. Idolatrato dalla sua mamma, il ragazzo all'incontro era sempre trattato con freddezza e diffidenza dal patrigno che non lo comprendeva, e lungi dall'apprezzar le sue nobili qualità, pareva considerarlo con sospetto e antipatia. Ma ai miei sguardi imploranti, alle mie supplichevoli preghiere egli prestava benevolo orecchio, e il mio compagno sapeva che io ero pronta a spendere tutta la mia eloquenza in suo servigio ogni volta che gli occorreva ottenere un favore o far valere una scusa. «Certo per nostra madre la durezza del marito verso il figliuolo di lei doveva essere una causa di grande infelicità. Ricordo bene con quale ansia si sforzava di nascondere i suoi falli, le sue imprudenze, e come spesso m'insegnasse ella stessa ciò che avevo da dire a fine di propiziare il mio babbo, che per amor mio molte volte perdonava al ragazzo il cui carattere ardimentoso e indipendente lo metteva non di rado in conflitto con un uomo severo oltremodo contro chi sia incorso nella sua collera.... E tu hai avuto occasione di giudicarne. «Durante la sua vedovanza la mia matrigna era stata poverissima, e suo figlio, non avendo ereditato nulla dal proprio padre, si trovava alla mercè della generosità del mio. Questa era una pungentissima mortificazione per lui, e metteva a fiera prova il suo orgoglio già potente; spesso io lo vidi irritato e inasprito da benefizi che egli sapeva non essere largiti con mano paterna, mentre il signor Graham, che non intendeva questo sentimento, lo accusava in cuor suo di grossa ingratitudine. «Finchè nostra madre ci fu conservata, si visse in discreta armonia: ma disgraziatamente quando io toccavo i sedici anni, fu colta da una malattia fulminante e morì. Ho presente sempre alla memoria l'ultima notte della sua vita. Ella mi chiamò al suo letto e mi disse con voce solenne: «Emilia, io ti rivolgo morendo questa preghiera: sii l'angelo custode del mio figliuolo!» «Dio mi perdoni, — e così esclamando gli occhi spenti della cieca s'empirono di lacrime — se fui infedele alla mia missione! «Quegli di cui ti parlo, — Emilia si guardava dal proferirne il nome — era allora un giovanetto diciottenne. Mio padre l'aveva da poco fatto entrare in qualità di commesso nel proprio banco, a mal suo grado, perchè egli desiderava seguire i corsi degli studi superiori; ma sua madre ed io l'avevamo indotto a cedere, vista l'irremovibile volontà del capo di famiglia. La morte della signora Graham strinse più che mai i vincoli tra suo figlio e me. Egli continuò ad abitare con noi, e passava in mia compagnia tutte le sue ore di libertà. Il babbo stava molto fuori, e quando era in casa si chiudeva nella biblioteca lasciando che lui ed io c'intrattenessimo a piacer nostro. Frequentavo allora la scuola ed ero un'alunna diligente, amantissima dei libri. Quante volte, quando tu mi parlavi dell'assistenza che ti prestava Guglielmo nei tuoi studi, mi ricordasti il tempo in cui io venivo così aiutata e incoraggiata dal mio tenero amico, sempre volonteroso d'adoprarsi per me con l'intelligenza e con l'opera. «Ma la nostra felicità non era indisturbata. Spesso io vedevo sul volto di mio padre quella dura espressione che temevo sopra ogni cosa, mentre manifesti segni d'irritazione, d'ira talvolta, nell'aspetto del suo figliastro, m'avvertivano che una tempesta era scoppiata, probabilmente nel banco, senza ch'io potessi averne idea fuorchè dagli effetti. Nè potevo più intromettermi come mediatrice, perchè i guai insorti derivavano di solito da qualche negligenza reale o supposta, o qualche errore in materia d'affari, del giovane e inesperto commesso; colpe per le quali il babbo, negoziante fin nelle midolle, e ragioniere di scrupolosa esattezza, non aveva indulgenza, e in cui lo spensierato delinquente, privo d'attitudine all'ufficio impostogli, era proclive a ricadere. «Le cose andavano innanzi così da sei mesi, quando a un tratto avvenne un grave mutamento. Evidentemente mio padre aveva ceduto a suggestioni di terze persone, o concepito egli stesso dubbi che l'inquietavano. Egli, come tu sai, è un uomo franco, onesto e schietto nei suoi propositi, quali si siano, che se anche volesse ricorrere a qualche artifizio non avrebbe l'astuzia necessaria per condurlo a termine con buon successo. Quindi ci avvedemmo presto della sua risoluzione di porre immediatamente un freno alla dimestichezza tra il suo figliastro e me. A tal fine introdusse nella famiglia una governante: la signora Ellis, che da allora non ci ha più lasciati. La presenza quasi continua di quella estranea, e gli ostacoli ch'egli cominciò a frapporre alle antiche consuetudini che favorivano la nostra intimità provavano abbastanza come egli intendesse sradicare e distruggere, se possibile, l'affezione da cui eravamo uniti. Nè invero è da maravigliarsene ove si rifletta che essendo io oramai donna, essa non era più da considerarsi come un'affezione fanciullesca, mentre un'altra sua forma non avrebbe ottenuto l'approvazione del babbo, posto che il figliuolo della sua seconda moglie, tanto adorato dalla madre, non godeva punto la sua benevolenza. «Il dolore cagionatomi da sì fatti procedimenti non poteva compararsi che all'indignazione del mio compagno di sventura, il quale non s'era mai così fieramente risentito d'alcun altro atto ostile del patrigno: nè la tattica di questi riuscì a staccarlo da me, perchè sebbene evitasse con cura di mostrarsi sotto gli occhi della «spia», come denominava la signora Ellis, il suo genio inventivo escogitava numerose occasioni di vedermi e intrattenersi meco durante l'assenza di lei; condotta sommamente propria ad eccitare più che mai i sospetti di mio padre. «Io sono persuasa ch'egli v'era spinto soprattutto da un profondo senso della malevolenza e dell'ingiustizia usategli e dal desiderio di manifestare la sua indipendenza da ciò che stimava un'inescusabile tirannia: non ho nessuna ragione di credere che l'idea d'un idillio romantico o di un futuro matrimonio entrasse nei suoi calcoli. E io che allora non conoscevo legge superiore alla sua volontà o almeno non vi obbedivo, mi prestavo senza esitare a questi piccoli inganni per eludere la vigilanza da cui saremmo stati separati. «Ma mio padre, come non è raro il caso tra le persone poco socievoli, e in apparenza poco osservatrici, vedeva i nostri sotterfugi meglio che noi non si pensasse, e si figurava più cose che non esistessero in realtà. Egli ci spiava attentamente, ma contro il solito suo modo di procedere s'astenne per qualche tempo dal frapporsi tra noi. Ben ponderando pensai poi che allora egli si proponesse di separarci in maniera più naturale di quella tentata, approfittando della prima opportunità per trasferire il suo figliastro in qualche posto connesso con la sua casa di commercio, sia all'estero sia in una città lontana degli Stati Uniti, e volesse evitare, finchè il suo disegno non fosse maturo, d'affliggermi cedendo al dispetto e alla collera che gli bollivano dentro; perchè ha sempre avuto, come adesso, per l'immeritevole sua figliuola tutta la tenerezza e l'indulgenza conciliabili col mantenimento della sua autorità. «Ma prima che questo proposito fosse attuato, succedettero casi e sorsero sospetti i quali condussero alla sua perdita l'uno, e immersero l'altra.... — La voce mancò ad Emilia. Ella chinò il capo sulla spalla di Gertrude e pianse amaramente. — Non vi forzate di narrarmi il resto, cara, — disse la giovanetta. — So, ora, quanto siete infelice, e basta. Risparmiatevi, ve ne prego, lo strazio di ridestare per amor mio i dolori passati. — Passati! — esclamò la cieca ritrovando la voce, ed asciugando le sue lacrime. — No, non sono passati mai.... Gli è soltanto perchè non soglio parlarne che m'hanno in questo momento sopraffatta così... Non credere però ch'io sia infelice, Gertrude. La mia pace di rado è turbata, nè avrei permesso ai deboli miei nervi di rilassarsi, comunicandoti i segreti di quel mio duro tempo di prova che mai potrò dimenticare, se non fosse che, conoscendo tu quanto dolcemente e armoniosamente volga la mia vita verso il grande ed eterno risveglio, desidero provare alla diletta mia figliuola il potere di quella fede divina per cui le mie tenebre furono mutate in luce maravigliosa, e un'afflizione come la mia fu la benedetta foriera della gioia suprema. Ma non mi rimane più molto da narrare, e lo dirò il più brevemente possibile. — Ella proseguì con voce ferma benchè sommessa e un po' soffocata. — Io m'ammalai d'improvviso. Avevo una gran febbre. La signora Ellis, da me trattata sempre con freddezza e spesso con disdegno (ero, devi sapere, una bambina viziata), m'assistette giorno e notte mostrandomi una premura e una devozione ch'io non avevo diritto d'aspettare da lei. Grazie alle sue cure e alla scienza del dottor Jeremy, già allora nostro medico di famiglia, dopo alcune settimane entrai in convalescenza. Stavo già abbastanza bene da essere in grado di rimanere alzata e vestita parecchie ore, quando, un pomeriggio, per mutare aria e scena, passai dalla mia camera nella biblioteca del babbo, ch'era la stanza attigua, e mi posi quasi a giacere sul divano. Restai sola perchè la signora Ellis doveva attendere alle faccende domestiche; ma prima di lasciarmi aveva portato lì e collocato in modo ch'io v'arrivassi con la mano un tavolinetto su cui si trovavano varie boccette, bicchieri e altre cose delle quali potevo aver bisogno durante la sua assenza. «Era verso la fine d'una giornata di giugno, e io, dal divano, guardavo il calar del sole, prossimo al tramonto. Un senso di solitudine m'opprimeva, perchè da sei settimane non avevo più avuto altra compagnia che quella della mia infermiera, salvo le periodiche visite del babbo. Figurati l'immenso mio piacere quando insperatamente vidi comparire il compagno per me più geniale, e adesso poco men che proibito! Non c'eravamo riveduti da che mi ero ammalata, e dopo quella lunga e crudele separazione il nostro incontro fu più affettuoso che mai. Egli, insieme con un temperamento focoso e indomito, aveva una profondità di sentimento, una tenerezza di cuore, una dolcezza di maniere quasi femminili. Come ricordo sempre l'espressione del nobile suo viso, i maschi toni della sua voce, mentre seduto accanto a me sull'ampio divano, bagnandomi le tempie doloranti con acqua di Colonia presa da una delle boccette ch'erano sul tavolino, mi ripeteva tutta la sua gioia di rivedermi! «Da quanto tempo fossimo là non saprei dire, ma il crepuscolo già invadeva la stanza quando fummo interrotti da mio padre, il quale entrò bruscamente, venne diritto verso di noi a passi affrettati, e fermandosi di botto a una certa distanza incrociò le braccia e squadrò il suo figliastro con tale aria d'iroso disprezzo, ch'io nulla avevo mai visto di più terribile. Il giovane si rizzò e l'affrontò con uno sguardo di sfida, in atto superbo. Non posso nè vorrei descriverti la scena che seguì. «Mi basti dire che mio padre, eccitatissimo, scagliava contro l'oggetto del suo furore una doppia accusa, ove poneva in secondo luogo la bassezza, così egli diceva, di cercare d'acquistarsi mediante spregevoli arti l'amore e con esso le ricchezze dell'unica sua figliuola, colpa veniale a paragone del nero, dell'infame delitto di falso di cui appunto l'aveva scoperto reo, un falso in cambiali, per una somma ingente, servendosi del nome del suo benefattore. «Fino ad oggi, per quanto io sappia, — continuò Emilia, commossa intensamente — questa imputazione non fu contraddetta, ma io non l'ho creduta _mai_ fondata, nè allora nè poi. Quali si fossero i suoi errori (e a non pochi lo trascinò il suo temperamento impetuoso) di questa criminosa azione, sebbene nemmeno la sua parola me lo attesti, non esito a dichiararlo innocente. «Non ti farà maraviglia, Gertrude, che debole e ancora malata com'ero, io non fossi capace di notare in quel momento, e ancor meno possa rammentarmi ora distintamente, i fatti che le parole funeste provocarono. Però alcune immagini confuse, le ultime dipintesi nei miei poveri occhi, mi sono tuttora impresse nella memoria e visibili in pensiero. Mio padre dava le spalle alla finestra, e dal punto ch'entrò quella sera nella biblioteca non ho più riveduto la sua faccia; ma la figura dell'altro, dell'accusato, illuminata com'era dagli estremi raggi d'un tramonto d'oro, m'è presente sempre in pieno rilievo. La testa era fieramente rigettata all'indietro; negli occhi chiari e calmi che sostenevano uno sguardo scrutatore s'affermava l'innocenza sicura sotto l'oltraggio; il pugno stretto sembrava fare un vano sforzo per frenare la collera violenta manifestata dalle labbra compresse, dai denti serrati, dal viso fremente di viva e profonda indignazione. Egli non parlava: la voce gli rimaneva soffocata nella gola. Pure il suo patrigno seguitava ad inveire con un linguaggio senza dubbio duro e offensivo, benchè io non rammenti i termini. Faceva paura osservare le alterazioni che scomponevano i lineamenti del giovane, mentre ritto di fronte a lui ascoltava le ingiurie e i cocenti rimproveri che quegli per certo credeva in buona fede giusti e meritati, ma che accendevano nell'animo dell'offeso un'ira furibonda, spaventosa. «A un tratto egli fece un passo innanzi sollevando lentamente la mano chiusa che aveva lasciato fino allora pendere lungo il fianco. Io non so se volesse prendere il Cielo a testimone della sua innocenza del crimine imputatogli, o se intendesse colpire mio padre, perchè a quel gesto balzai in piedi risoluta a gettarmi tra loro e supplicarli di placarsi, per amor mio; ma le forze mi fallirono, e, con un acuto grido, ricaddi sul divano, svenuta. «Oh, l'orrore del mio ritorno alla vita! Come troverò le parole per dirtelo?... Ascolta, Gertrude.... Egli.... il povero ragazzo perduto.... fuori di sè, si slanciò in mio soccorso.... Reso folle dall'ingiustizia atroce non sapeva ciò che facesse. A Dio è noto che mai, mai glielo apposi a colpa, e se nella mia disperazione proferii parole che sonavano come un rimprovero, fu perchè anch'io ero frenetica, e non sapevo ciò che dicessi. — Come! — esclamò Gertrude. — Avrebbe dunque egli...? — No, no! Non egli.... _non egli_ spense i miei occhi!... Fu una disgrazia. Volle prendere di sul tavolino la boccetta dell'acqua di Colonia che aveva adoprata poc'anzi. Di boccette ve n'erano là parecchie.... Nella sua furia ne afferrò invece una contenente non so che forte acido usato dalla signora Ellis nella mia camera di malata.... Aveva un tappo di cristallo, assai aderente.... ed egli.... la sua mano era mal ferma, egli, stappandola con uno sforzo.... versò il liquido.... — Sui vostri occhi? — gridò la giovane. Emilia chinò il capo. — Oh, sventurata Emilia!... E, misero, misero giovane! — Misero davvero! Serba a lui tutta quanta la tua pietà, Gertrude, perchè egli fu di gran lunga il più infelice dei due. — Oh, amica mia buona! Quanto dev'essere stato terribile il vostro dolore! Come avete potuto soffrirlo e vivere? — Intendi il dolore per i miei occhi? Oh, sì, fu terribile assai! Ma lo strazio dell'anima fu ben peggio ancora.... — E che avvenne di lui? Che fece poi il signor Graham? — Non posso darti un'esatta relazione di ciò che seguì. Io non ero in condizioni da poter sapere come fosse stato trattato da mio padre il suo figliastro. Puoi immaginartelo però. Bandì il giovane dalla sua casa, per sempre, dichiarò di non conoscerlo più; nè certo mitigò la sentenza con nessuna gentilezza, perchè ormai, oltre le accuse che gli moveva prima, aveva disgraziatamente da imputargli la cecità della sua figliuola. — E voi non sapeste più nulla di lui? — Sì. Mediante il buon dottore, il solo che fosse informato di tutto, seppi dopo qualche tempo ch'egli era partito per l'America meridionale; e nella speranza di poter ancora una volta comunicare col povero esiliato, ed assicurarlo del mio immutabile affetto, cominciai a rimettermi in salute; la febbre cessò, lo stato de' miei occhi migliorò alquanto, e il dottore perfino non escludeva la possibilità di restituirmi a grado a grado la vista. Passarono alcuni mesi. Quel benevolo amico, perseverando con diligenza nelle sue ricerche, giunse a scoprire alfine dove precisamente si trovasse lo sventurato giovane e quale fosse il suo recapito. Ma mentre, con l'aiuto della signora Ellis che la pietà aveva guadagnata alla mia causa, io principiavo una lettera piena d'amore, supplicandolo di ritornare, tutte le mie speranze terrene furono fatalmente troncate. Egli morì in terra d'esilio, solo, senz'assistenza, senza conforto: morì vittima di quel tremendo malore che rende i paesi meridionali inospiti allo straniero. Ed io, apprendendo la dolorosa notizia, ricaddi in condizioni più miserabili di prima, e a forza di piangere spensi quel barlume che incoraggiava il buon dottore, nè la vista potè esser più ridonata ai miei occhi.... — Emilia tacque. Gertrude la cinse con le braccia, e rimasero strette l'una all'altra, in un tenero amplesso. Il comune dolore cementava la loro amicizia, la rendeva più cara che mai. La cieca riprese: — Io, Gertrude, ero allora una creatura del mondo, avida de' suoi piaceri, ignorante d'ogni altro bene. Dapprima perciò giacqui nelle tenebre più cupe, le tenebre della disperazione. Andavo intanto ricuperando le forze fisiche, e la vita mi si riapriva dinanzi, inutile e sconsolata. Tu non puoi farti un'idea della desolazione assoluta in cui trascorrevano i miei giorni. Spesso mi sono poi rimproverata il male che devo aver cagionato così al mio povero babbo, il quale, benchè non ne parlasse mai, era, ne sono sicura, profondamente afflitto dalle scene terribili avvenute, ed avrebbe dato tesori per riedificare il passato. Ma alfine un'alba sorse nella mia notte in apparenza eterna. E la luce mi fu recata da un ministro della Chiesa, il nostro caro signor Arnold. Egli dischiuse gli occhi del mio intelletto, accese la lampada sacra della religione nella mia anima placata, m'insegnò le vie della pace, e guidò gl'incerti miei passi verso quel beato riposo che già sulla terra è concesso ai fedeli di Dio. Per il mondo io sono sempre la disgraziata cieca che il triste suo fato esclude da ogni godimento; ma il mio risveglio alla vera luce è tale, che per me la mia sorte è ben diversa, ed io posso esclamare come colui che provò la virtù sanatrice del suo Salvatore: «Una volta ero cieca, ma adesso veggo!» — Gertrude quasi dimenticò le proprie pene ascoltando la straziante storia d'Emilia; e quando questa le pose una mano sul capo, ed implorò dal Signore la grazia che anche ella fosse resa atta a sostenere con pazienza le sue prove e ad attingervi nuova forza e nuova bontà, la fanciulla si sentì penetrar il cuore da quell'amore profondo, da quella fede sublime, che di rado vengono a noi se non nell'ora del dolore, e provano che soltanto soffrendo possiamo divenire perfetti. XLI. Ma la fanciulla a sè non venne meno Nell'ora d'agonia; calma, il terrore Stesso le infuse, ed il cuor suo l'orrore Tutto conobbe, e in ogni parte appieno. SOUTHEY. Posto che il signor Graham nella sua lettera manifestava il proposito di trovarsi sulla banchina all'arrivo del piroscafo a Nuova York per ricevere la sua figliuola e Gertrude, il dottor Jeremy stimò inutile d'accompagnarle oltre Albany, dove le avrebbe vedute imbarcate e donde poteva poi proseguire direttamente per Boston, sulla linea ferroviaria dell'Ovest. La sua signora era oramai impaziente di ritornarsene a casa e non si sentiva nessuna voglia di rivisitare la gran metropoli con quel gran caldo. — Addio, Gertrudina, — disse il dottore nel salutarle sulla tolda d'uno dei piroscafi percorrenti il fiume Hudson. — Ho gran paura che voi abbiate perduto il cuore a Saratoga: non siete più vispa ed allegra come prima. Non credo però che si sia potuto smarrire molto lontano, in un luogo così; dunque procurate di ritrovarlo prima che ci rivediamo a Boston. — Egli era appena sceso a terra, e mancavano pochi minuti alla partenza, quando salì a bordo una gaia comitiva d'elegantoni, parlando e ridendo più forte che non consentisse, a parer di Gertrude, la buona educazione. Nel gruppo spiccava Isabella Clinton, la quale era fatta segno di scherzosi e piacevoli motti da parte dei suoi amici, e sebbene fingesse d'esserne stizzita e quasi d'adontarsene, tradiva la propria compiacenza con l'espressione del bel viso invermigliato e ridente. A un tratto la mimica significativa d'alcuni di essi, e un _ssst_ sommesso, avvisò dell'avvicinarsi di qualcuno che non doveva udire le loro osservazioni: e Guglielmo Sullivan comparve, con una sacca da viaggio in mano e un pesante scialle sul braccio. Il suo aspetto era grave, come la sera innanzi, probabilmente per la medesima ragione. Egli passò davanti a Gertrude che aveva calato il velo sulla faccia, e andò ad Isabella presso la quale depose sopra una seggiola il suo fardello. Mentre le parlava con voce sommessa, la campana di bordo invitò bruscamente quelli che non partivano a lasciare il piroscafo. Il giovane fu costretto ad allontanarsi in fretta, e venne a trovarsi di qualche passo più vicino a Gertrude nell'atto che concludeva il suo discorso all'altra dicendo: — Dunque, se farete il possibile per ritornare giovedì, cercherò d'aver pazienza fino allora. — Gertrude distinse chiaramente queste parole. Un minuto dopo la macchina si metteva in moto, non senza però che un uomo d'alta statura, sopraggiunto in quel momento, facesse a tempo d'imbarcarsi, fra il terrore degli spettatori, varcando con un salto audace lo spazio che già divideva il bastimento dalla riva. Egli tranquillamente passò nel salotto dei signori dove si stese su un divano, trasse di tasca un libro, e si pose a leggere. Quando, incominciato il viaggio, si fece un po' di quiete sulla tolda, Emilia domandò piano alla sua compagna: — Non ho forse udito dianzi la voce d'Isabella Clinton? — Infatti, — rispose Gertrude — è qui. Siede dalla parte opposta, e ci dà le spalle. — Non ci ha vedute? — Sì, credo. Guardava in questa direzione mentre le persone che sono con lei sceglievano i loro posti. — E lei ne ha scelto uno che le permette di non vederci ora? — Sì. — Forse va a Nuova York per salutare la signora Graham. — È probabile. Non ci avevo pensato. — Seguì un silenzio. Emilia pareva pensosa. Infine ella mormorò appena: — Chi era il signore che venne a parlarle, un momento prima della partenza? — Guglielmo, — disse Gertrude con voce tremula. Emilia le premette la mano e tacque. Anche ella aveva udito le parole di Guglielmo, e comprendeva che significassero per la sua amica. Passarono alcune ore. Avevano percorso un gran tratto del fiume, perchè la velocità del piroscafo era grande: troppo grande, pensava Gertrude, per la sicurezza dei passeggeri. Dapprima, assorta nelle sue riflessioni e incapace di godere i pittoreschi paesaggi che poche settimane innanzi l'avevano tanto deliziata, ella era rimasta indifferente ad ogni cosa intorno, fissando lo sguardo nelle acque azzurre e profonde, e comunicando col proprio cuore. Ma a grado a grado la sua attenzione fu attratta da varie circostanze che eccitavano a bordo una viva curiosità, e finirono col destarle tanto spavento, che il corso de' suoi pensieri ne fu interrotto ed ella non potè più considerare se non le presenti condizioni d'Emilia e sue, e le possibili loro conseguenze. Parecchie volte, dopo lasciata Albany, il loro piroscafo era passato davanti a un altro di pari dimensioni, costruzione e velocità, recante anch'esso un carico di vite umane e diretto alla stessa mèta. Di tanto in tanto, nella loro corsa sfrenata, la contiguità delle due navi era tale da provocare serie inquietudini nel sesso debole e fiera indignazione nel forte. Si diceva che facevano una gara di rapidità, e si contendevano la vittoria disperatamente. Alcuni dei passeggeri, incuranti del pericolo, s'appassionavano per quella lotta insensata, ed eccitatissimi seguivano con folle ardore, frementi di piacere, le vicende della corsa in cui l'ambizione delle due rivali si manifestava con prove d'inaudita temerità. Ma gli altri, cioè il maggior numero, che comprendeva tutte le persone ragionevoli e di buon senso, guardavano quello spettacolo, sdegnati e impauriti. A molte delle stazioni sulla riva il piroscafo non si fermava affatto; e dove sostava un attimo, i disgraziati viaggiatori venivano spinti fuori o dentro con furia indecente a rischio della loro incolumità, e i rispettivi bagagli (o quelli di qualcun altro) scaraventati dietro a loro, senza cerimonie, mentre la macchina ansante e ruggente urlava contro la violenza fatta alla sua libertà. Verso mezzogiorno quella febbrile agitazione era al colmo, e neppure le assicurazioni del comandante che non si correvano pericoli, riuscirono a calmarla interamente. Gertrude, seduta accanto ad Emilia, le teneva stretta una mano e spiava ansiosa ogni indizio di terrore, procurando d'indovinare la verità dal contegno e dall'aspetto dei compagni di viaggio che le sembravano più intelligenti. Emilia, che non vedeva nulla di quanto avveniva intorno a lei, ma che la finezza del suo udito aveva resa accorta dello spavento generale, era tranquilla, benchè pallidissima: di quando in quando interrogava la fanciulla circa la vicinanza del secondo piroscafo, perchè la minaccia d'una collisione era la causa che principalmente turbava i passeggeri. Alfine quello su cui esse erano imbarcate giunse a oltrepassare il suo competitore; il comandante affermò di nuovo che la sicurezza era piena ed intera, e la calma ritornò a poco a poco; chi riprese le conversazioni interrotte, chi spiegò un giornale. L'allegra compagnia di cui faceva parte Isabella Clinton e fra la quale grandissima era stata la paura, ricominciò a chiacchierare e ridere chiassosamente. Ma Emilia aveva sempre il viso bianco, e a Gertrude parve alquanto spossata. — Scendiamo sotto coperta, cara, — le disse questa. — Tutto è quieto, oramai, possiamo star sicure. Nel salotto delle signore ci sono sofà comodissimi; vi metterete un po' a giacere, e ci faremo portare un bicchier d'acqua. — La signorina Graham acconsentì. Cinque minuti dopo erano stabilite gradevolmente in un angolo del salotto dove rimasero indisturbate fino all'ora del pranzo. Non andarono però a tavola. Avevano già destinato d'astenersene, e dopo la scossa sofferta la mattina non ne avrebbero avuto più voglia in nessun caso. Se ne stettero perciò tranquille dov'erano, mentre i passeggeri accorrevano alla chiamata, da ogni parte del piroscafo, desiderosi di ristorarsi con un buon pasto dopo tanti spaventi; e potevano farlo in pace, perchè la gara di velocità era cessata e a bordo tutto procedeva con perfetto ordine. Gertrude aperse il suo panierino da viaggio e prese l'involto contenente la loro colazione. Non era una di quelle colazioncine che le mamme previdenti e amorose apparecchiano per la famiglia in viaggio, ghiotte del pane per la materia prima e la preparazione appetitosa, ma consisteva semplicemente in un po' di roba asciutta che il dottor Jeremy s'era procurato in fretta all'albergo prima della loro partenza da Albany. La fanciulla girava lo sguardo dalle fette di lingua rinsecchita e di pane raffermo, alle focaccine spugnose parecchio stantie, ed esitava, non sapendo che cosa di quel poco felice assortimento dovesse raccomandare ad Emilia, quando un cameriere negro, di civile aspetto, entrò portando un gran vassoio carico di piattini scelti, lo posò sulla tavola vicina a loro, poi volgendosi a Gertrude chiese che altro desiderassero. — Ma questo non è per noi, — ella rispose. — Avete sbagliato. — Punto sbaglio, — replicò l'uomo. — Ordini ricevuti per signora cieca e signorina bella. Io obbedisco ordini. Altro, signorina? — No, ci basta. — Il negro uscì, e Gertrude, tentando di mostrarsi allegra, domandò ad Emilia che avessero a fare di quel pranzetto comparso come nella fiaba d'Aladino. — Mangialo, cara, se puoi, — disse questa. — È per noi di certo. — Ma a chi lo dobbiamo? — Alla mia cecità e alla tua bellezza, pare, — fece Emilia sorridendo; e soggiunse ingenuamente: — Forse il primo cameriere o il maggiordomo ha avuto compassione di noi, visto che non eravamo in istato di venire a tavola, e ci ha mandato il pranzo qui. Suvvia, mangialo, figliuola, prima che si diacci. — Io?... Non ho appetito, veramente.... Ma sceglierò un bocconcino delicato per voi. — Quando il cameriere venne a riprendere il vassoio, si mostrò contristato vedendo che avevano toccato appena quelle buone cose. Gertrude gli diede una mancia domandando a chi dovesse pagare il conto. — Pagare, signorina! — egli esclamò con un grottesco sorriso. — Mai più! Il signore paga tutto! — Chi? — interrogò ella, molto stupita. — Che signore? — Ma prima che l'uomo potesse rispondere un altro negro dal grembiulone bianco apparve sull'uscio, e rivolse un cenno al suo compagno, il quale s'affrettò a prendere il vassoio e trotterellò via, piegato sotto il peso, lasciando Gertrude ed Emilia alle loro congetture circa il benevolo incognito. Finirono col concludere che quella inaspettata cortesia veniva senza dubbio dal dottor Jeremy: evidentemente egli aveva dato ordine di servirle, e pagato ogni cosa, prima di lasciare il piroscafo. Nè mai il buon dottore ricevette un più immeritato tributo di elogi e di gratitudine, giacchè per quanto avesse un cuor d'oro, atti di così raffinata galanteria non se li sarebbe sognati nemmeno. Appena mangiato, Emilia si ricoricò, e diede a Gertrude il consiglio d'imitarla; poi, credendo che lo avesse seguito, cercò di prender sonno, e dormì placidamente un'ora. Ma la sua compagna vegliava accanto a lei, con amorosa cura, impedendo alle mosche di turbare un riposo di cui la povera cieca, nel suo debole stato di salute, aveva gran bisogno, dopo due notti quasi insonni. — Che ore sono? — chiese Emilia destandosi. — Manca poco alle tre e un quarto, — rispose la giovanetta, guardando il suo orologio, bellissimo dono d'una classe delle sue alunne. Emilia si rizzò, dicendo: — Non possiamo dunque essere molto lontano da Nuova York. Dove ci troviamo ora? — Non lo so precisamente, ma credo in vicinanza delle Palizzate. Se non vi dispiace d'aspettarmi qui vo a vedere. — Attraversò la sala, e cominciò a salire la scaletta. In quella fu colpita e spaventata da un suono stridente accompagnato dal rumore di passi precipitati. Ella proseguì tuttavia, sebbene più volte urtata da persone che con faccia spaurita accorrevano in frotta per conoscere la causa di quello scompiglio. Aveva guadagnato a stento il sommo della scala, quando un uomo le passò davanti di fuga, ansimante, pallidissimo, gettando il grido terribile: — Fuoco! Fuoco! — Di lì a un secondo seguì una scena di sgomento e confusione, indescrivibile. Acute grida s'alzavano al cielo, gemiti di disperazione erompevano da cuori spezzati dal terrore e dal dolore per i loro cari, o impazziti dalla certezza della propria fine imminente. Ognuno invocava soccorso dagli altri, e nessuno era in grado di prestarne. Uomini che non avevano mai pregato imploravano Dio con fervore. I cervelli più forti erano sconvolti, gli animi più valorosi si sentivano mancare, cedevano all'orrore dell'ora. Gertrude eresse la snella persona, e girò intorno i grandi occhi neri dilatati dallo spavento. Dappertutto era tumulto, ma l'elemento distruttore non appariva ancora che in un punto solo. Verso il centro della nave, dove causa l'eccessivo riscaldamento della macchina s'era incendiato il legno asciutto delle parti circostanti, una voluminosa fiamma sgorgava dardeggiando le sue lingue formidabili e facendo retrocedere interroriti i più coraggiosi. A quella vista la fanciulla si slanciò giù per la scaletta pensando soltanto a raggiungere Emilia. Ma fu arrestata al primo passo. Le braccia vigorose di qualcuno ch'era dietro a lei le cinsero la vita ed ella si sentì trarre con impeto sopra coperta, mentre una voce familiare diceva ansando: — Gertrude, figliuola mia, caro tesoro, state quieta, state quieta, io vi salverò! — Non per nulla il signor Phillips, giacchè era lui, le raccomandava di star quieta: ella si dibatteva perdutamente, gridando: — No! No!... Emilia.... Emilia! Lasciatemi.... a costo di morire devo trovare Emilia! — Dov'è? — domandò egli. — Laggiù, laggiù, — indicò Gertrude — nel salotto.... Lasciatemi andare.... lasciatemi.... — Egli gettò un rapido sguardo in giro, poi disse con tono fermo: — Calmatevi, figliuola: vi salverò tutte e due. — D'un balzo egli fu a piè della scala e si precipitò nel salotto. Emilia era nell'angolo più lontano, in ginocchio, con la testa arrovesciata all'indietro; e la sua faccia pareva la faccia d'un angelo. Phillips e Gertrude corsero a lei; e mentre l'uno si chinava per sollevarla tra le sue braccia, l'altra esclamò ansiosa: — Venite, Emilia, venite! Egli ci salverà! — Ma la cieca resisteva. — No, lasciami, Gertrude.... salvatevi voi! Oh, — soggiunse supplichevole, alzando il viso verso lo sconosciuto — non pensate a me, salvate la mia creatura! — Ma non aveva finito di proferire queste parole, che egli già la portava fuori della sala, seguito dalla fanciulla. — Se possiamo attraversare la nave siamo sicuri! — disse il signor Phillips con voce soffocata. Impossibile. Tutto il centro della tolda ardeva. — Dio buono! — egli esclamò. — Troppo tardi! Bisogna tornare indietro. — Non senza difficoltà poteron giungere al salone lungo. In quel momento il piroscafo, che non appena scoppiato l'incendio era stato diretto verso terra, urtò contro le rocce e si spaccò nel mezzo. La parte anteriore venne perciò a trovarsi presso la riva, e per coloro che l'occupavano la salvezza era quasi certa. Ma ahimè, non così per i passeggeri che stavano a poppa. La poppa restava lontano, nel fiume, e il vento spingeva le fiamme divoranti in quella direzione, ponendo i disgraziati che si rifugiavano ancora in quel frammento della nave perduta, tra due elementi egualmente fatali. Arrivati nel salone il primo pensiero del signor Phillips fu d'aprire una finestra e saltare sul bordo traendosi dietro Emilia e Gertrude. Vi pendevano alcune corde. Egli ne prese una, e l'attaccò alla nave con la destrezza d'un vecchio marinaro. Poi si rivolse alla giovanetta: — Gertrude, — disse scolpendo le parole — io porto Emilia alla riva, a nuoto. Se il fuoco s'avvicina troppo, aggrappatevi al bordo. In caso disperato sospendetevi alla corda. Lasciate svolazzare il vostro velo. Vo e torno. — No, no! — gridò Emilia. — Prima Gertrude! — Zitta! — fece questa. — Ci salveremo tutti. — Tenetevi bene alla mia spalla, Emilia, — soggiunse il signor Phillips che l'aveva ripresa in braccio, senza badare alle sue proteste. S'udì un tonfo in acqua. Erano partiti. A un tratto Gertrude si sentì afferrata per di dietro. Volse il capo. Isabella Clinton, inginocchiata, pazza di terrore, s'abbrancava a lei in guisa da ridurre l'una e l'altra all'impotenza, e in pari tempo gridava con tono lamentoso: — Oh, Gertrude, Gertrude, salvatemi! — Ella cercò di sollevarla, ma ogni sforzo era inutile perchè senza fare il minimo gesto per aiutarsi, quella s'avvolgeva follemente il grave abito da viaggio di Gertrude intorno alla persona quasi a schermirsi dalle fiamme invadenti, e quanto più presso a loro veniva balenando la luce sinistra, con più selvaggia frenesia la interrorita fanciulla s'aggrappava alla sua compagna di sventura, pur implorando con alte grida il suo soccorso mentre la teneva così impedita. Ma a questa era impossibile qualsiasi tentativo di salvezza finchè rimaneva imprigionata in quella tenace stretta. Ella guardò nella direzione in cui s'era allontanato il signor Phillips e con gioia lo vide ritornare. Egli, deposta Emilia in una barca fortunatamente incontrata, s'affrettava verso l'altra pericolante. In quel momento una gran fiammata arrivò, spinta dal vento, in tanta prossimità del luogo dov'erano rifugiate le due giovani, che Gertrude, la quale stava ritta, ne sentì il cocente calore, e tutt'e due furono mezzo soffocate dal fumo. Allora nell'animo della nobile creatura sorse una risoluzione eroica. Il signor Phillips già s'avvicinava. Una di loro poteva essere salvata. Sarebbe Isabella. Ella invocava aiuto da lei: non glielo negherebbe. E poi Guglielmo amava Isabella; egli avrebbe pianto s'ella fosse perita.... No, questo dolore gli verrebbe risparmiato. Per Gertrude non piangerebbe, non molto almeno.... Se una doveva morire, morrebbe lei, dunque.... Per una volontà come la sua, risolvere era fare. — Isabella, — ella disse col tono di quella severità che s'userebbe verso un bambino caparbio, dal quale le esortazioni amorevoli non hanno ottenuto nulla — m'udite? Rizzatevi in piedi: fate quanto vi dico, e sarete salva. M'udite? — Ella udiva, tremava, e non si moveva. Gertrude si chinò, le separò a viva forza le dita delle mani convulsamente intrecciate, e riprese, con una durezza a cui solo la necessità poteva indurla: — Se voi m'obbedite, tra cinque minuti sarete sulla riva, sana e salva, intendete? Ma se v'ostinate a non muovervi e comportarvi come una bimba senza giudizio, periremo tra le fiamme, l'una e l'altra.... Su, su, per amor di Dio, non c'è tempo da perdere! E notate bene le mie parole! — Isabella si rizzò, fissò gli occhi nel viso calmo e risoluto di Gertrude, e domandò con voce piagnucolosa: — Che debbo fare? — Vedete l'uomo che s'avvicina a nuoto? — Sì. — Viene a noi. Tenetevi afferrata a questa corda; io vi calerò pian piano a fior d'acqua. Aspettate! — E strappatasi di capo il lungo velo turchino, lo annodò al collo d'Isabella e lo rigettò sui biondi suoi capelli. Il signor Phillips arrivava. — Lesta, lesta! O sarà troppo tardi! — Isabella afferrò la corda, ma retrocedette sgomentata all'idea dell'acqua sotto i suoi piedi. Però una nuova irruzione del fuoco, da una finestra, le diede il coraggio di sfidare un pericolo ch'era del resto soltanto apparente. Aiutata da Gertrude passò sopra bordo, e si lasciò calare giù. Fu sorte che il salvatore si trovasse pronto a riceverla tra le braccia, perchè la paura l'aveva tanto estenuata che non si sarebbe potuta reggere lungamente alla corda. Gertrude non ebbe agio di seguirli con gli occhi: troppo doveva badare a sè. Le fiamme oramai giungevano fino a lei. A un piede di distanza appena dardeggiavano minacciose, ed ella, avvolta in una negra nuvola di fumo, quasi soffocava. Non poteva più esitare. S'attaccò alla corda lasciata libera da Isabella, che il signor Phillips rapidamente portava a salvamento, e scivolò lungo il fianco della nave divorata dal fuoco. Quanto tempo le sue forze le avrebbero permesso di reggersi così sospesa, quanto tempo quella parte ancora incolume dello scafo avrebbe sostenuto la corda? Non ebbe da sperimentarlo. Nel momento stesso che ella sfiorava la fredda superficie del fiume, l'enorme ruota, da cui si trovava poco lontana, diede un ultimo giro, con un rumore lugubre, spirante, che risonò come una nenia di morte; l'acqua agitata venne spumeggiando a percuotere la nave e ritirandosi travolse il corpo leggero della fanciulla. XLII. Dee la ragione governare il cuore, E all'anima irrequieta che combatte Tra la speme e il timor, suader la calma. COTTON. Il signor Graham, stanco dei viaggi e delle gaie compagnie che non si confacevano nè ai suoi gusti nè alla sua età, è ritornato a godere la quiete della vecchia villa. Egli passeggia per i viali del giardino fermandosi di tratto in tratto ad osservare lo sviluppo di qualche bell'albero prediletto, o l'eccessivo rigoglio di alcuni arbusti già amorosamente coltivati, i cui ramoscelli negletti, pendenti, chiedono al giardiniere una buona potatura. Il suo aspetto ha un'aria di contentezza, di sodisfazione che mostra quanto egli goda di ritrovarsi nell'antica dimora familiare. Forse egli sarebbe restio a confessarlo, ma è un fatto: quel godimento deriva in gran parte dalla circostanza che la tranquillità del suo ritiro è piena e sicura, grazie alla temporanea assenza della troppo vivace e troppo socievole padrona di casa, la quale si trattiene ancora a Nuova York. Intanto s'abbandona con piacere all'illusione d'essere tornato ai bei giorni passati, quand'era libero e padrone di sè, come non è più adesso, perchè la signora Graham approfitta della sua età e de' suoi acciacchi per dominarlo, con arte, del resto, maravigliosa. E la presenza d'Emilia e di Gertrude tanto intimamente associate ai ricordi di quei giorni, aggiunge forza al dolce inganno della fantasia. Esse sono là, nella casa silenziosa; le vedrà a pranzo; un pranzetto fine e succulento, presieduto dalla signora Ellis con la serietà e la precisione in lei abituali, e mangiato in pace, senza rischio di venire interrotti e disturbati da qualche chiassosa irruzione d'ospiti inattesi. Sì, Gertrude, c'è anch'essa; miracolosamente salvata dalle acque che l'avevano travolta e quasi inghiottita, ella ha fatto ritorno alla quieta e veneranda villa che ora è per lei il luogo più caro sulla terra. Dopo ricuperati, non senza difficoltà, i sensi smarriti nella lunga lotta tra la vita e la morte, aveva saputo che uomini pietosi venuti in soccorso dei naufraghi con una barca, l'avevano raccolta, mentre i flutti la risospingevano verso la nave in fiamme. Un minuto più tardi sarebbe stata perduta. Ella non rammentava nulla. Dal momento che aveva commesso il leggero peso del suo corpo alla debole resistenza della corda, fino a quello in cui aveva riaperto gli occhi in una camera tranquilla e veduto Emilia china ansiosamente sul letto ove ella giaceva, c'era una lacuna nella sua memoria. Il signor Graham era arrivato alcune ore dopo la terribile catastrofe, e il giorno seguente le aveva ricondotte sane e salve all'antica villa da tanto tempo deserta. La casa e le sue adiacenze conservano quasi il medesimo aspetto di quando apparvero per la prima volta agli sguardi maravigliati di Gertrude ancora bambina, in quella sua famosa visita, lungamente desiderata e intensamente goduta, che fu per lei durante mesi ed anni un inesauribile soggetto di entusiastici discorsi. I grandi olmi che gettano sempre la densa loro ombra sul verde vellutato del pratello davanti alla casa; il viale bene inghiaiato che conduce fino all'ingresso e poi, biforcandosi, mette a destra nel boschetto dove i rami degli alberi s'intrecciano ad arco sopra esso, a sinistra, nell'orto dei peschi; la vecchia pergola coperta di lussureggianti caprifogli, il grande padiglione rustico dai pilastri grezzi e nodosi, il laghetto, la fontana, e in ispecie le aiuole, cui Giorgio, uno dei fedeli di Gertrude, ha quasi ridonato l'aspetto di quando ella le aveva in cura; tutte le cose, insomma, appaiono ridenti e familiari, quali nelle felici estati in cui Emilia, seduta nella sua poltrona da giardino, sotto l'ampia magnolia, ascoltava la voce allegra, le squillanti risate, il passo leggero della piccola giardiniera che movendosi in mezzo ai fiori come nel suo elemento dava alla tenera amica cieca l'idea d'un fiore animato, soavissimo fra tutti. Di tanto in tanto un pettirosso in ritardo, ultimo dei numerosi stormi accorsi alla festa delle ciliege, e da lungo tempo partiti, viene saltellando per i sentieri o sulle siepi di bosso lindamente tagliate, e rizza la testolina guardandosi intorno con l'aria di dire: «È ora che parta anch'io!» Una famiglia di scoiattoli, antichi favoriti di Gertrude che si divertiva a osservarli quando si trastullavano fra i rami del salice dirimpetto alla sua finestra, va facendo la sua raccolta nei noci del giardino, dove ce ne sono parecchi, negli angoli tranquilli preferiti da quegli animaletti. Tutti affaccendati essi salgono e scendono, ciascuno con la sua noce in bocca. Non erano venuti l'anno scorso, o almeno non si erano _fermati_, perchè la signora Graham e il suo giardiniere avevano dichiarato loro la guerra. Ma quest'anno non ci sono nemici, e possono fare copiose provviste per il prossimo inverno. La vecchia casa stessa sembra gioire della sua pace. La porta della facciata è aperta a due battenti. Nell'atrio la poltrona del signor Graham occupa il solito posto. Gli uccellini di Gertrude, ben custoditi dalla signora Ellis durante la sua assenza, saltellano sui sottili ballatoi della grande gabbia indiana appesa sotto il vasto portico. Il vecchio cane di guardia sta beatamente a giacere al sole, sicuro che nessuno lo molesterà. Il salotto è, come una volta, ornato da vasi pieni di fiori. E il signor Graham pensava ch'era assai gradevole una casa così quieta e ben ordinata, mentre saliva gli scalini dell'ingresso, faceva una fischiatina agli uccelli e una carezza al cane, si sedeva nella sua comoda poltrona e pigliava il giornale portatogli dalla linda servetta. La cara vecchia villa era sempre quella. Il tempo non aveva fatto che conferirle nuova grazia, darle un'aria più riposata e più serena. Ma i suoi abitatori? Il signor Graham è passato attraverso nuove vicende, e sebbene certi tratti del suo carattere siano tanto profondi da non poter essere cancellati, egli per molti rispetti non è più lo stesso uomo. Un tempo si sarebbe coraggiosamente opposto a qualsiasi innovazione nelle sue consuetudini domestiche, a qualsiasi perturbazione de' suoi comodi; ma l'età senile e gli acciacchi avevano depresso alquanto il suo spirito e domato la sua volontà fino allora invincibile. Giusto nel momento di questa crisi egli s'era unito a una donna che possedeva energia e fermezza di propositi, combinate con una certa dose d'amabilità e di sagacia, in grado sufficiente per vincere il suo punto quando le stesse a cuore. Ella, ben inteso, lo compiaceva nelle sue piccole manie, e lo manteneva nella dolce illusione che la sua autorità (quando voleva esercitarla) era assoluta e incontrastabile; ma barcamenava in guisa da fare a modo proprio in tutte le cose importanti, e lo aveva infine ridotto a tale, ch'egli si stimava contento di godere i suoi comodi in quanto poteva e lasciare che il resto andasse per la sua china. Non è quindi da maravigliarsi se tornato per alcune settimane alla vita del buon tempo antico, ne gioisse come uno scolaretto delle sue vacanze. Emilia siede nella sua camera, neglettamente avvolta in un accappatoio. Ella è più pallida che mai, e l'espressione del suo viso è d'ansietà, di turbamento. Ogni volta che l'uscio s'apre, ella sussulta, trema, avvampa d'un improvviso rossore, e già due volte nella mattinata ha dato in uno scoppio di lacrime. Qualunque piccolo sforzo, fin quello di vestirsi, le sembra insostenibile: non può seguire la lettura che le fa Gertrude; e ogni tanto la interrompe con domande concernenti il piroscafo incendiato, il salvamento suo e d'altre persone, e tutti i particolari di quella terribile scena d'angoscia e di morte. Il suo sistema nervoso è, certo, fieramente scosso. Gertrude la guarda, e piange, stupita di vedere come la sua calma e la sua ragionevolezza l'abbiano abbandonata. Esse sono insieme fin dalla prima colazione, ma Emilia non vuole che la fanciulla si trattenga con lei più a lungo. Insiste perchè ella esca, faccia una passeggiata, si distragga un poco. Ritornerà tra un'ora, ad aiutarla a vestirsi per il pranzo: questa è una cerimonia da cui la signorina Graham non si dispensa mai, essendo suo vivo desiderio conservare agli occhi del padre un'apparenza di salute e di felicità. Gertrude sente ch'ella davvero brama restar sola, e credendo che, per la prima volta, perfino la sua presenza le sia importuna, si ritira nella camera propria. E la cieca, non appena la sua compagna l'ha lasciata, china la faccia tra le mani e di nuovo dà in singhiozzi convulsi. La signora Ellis, vista ritirarsi la fanciulla, la segue, chiude l'uscio, si mette a sedere, con un'aria che basterebbe da sola ad aumentare le apprensioni di Gertrude, e parla in tono declamatorio degli spaventosi effetti che produce sulla povera Emilia il ricordo dell'orrenda catastrofe. — È tutta sconvolta, — conclude la governante — e se non comincia a star meglio tra breve, non esito a dirlo, temo le peggiori conseguenze. Emilia è debole; i viaggi non fanno per lei. Secondo me, bisogna che se ne stia tranquilla a casa sua. Già io non approvo cotesta smania di viaggiare, specie coi pericoli che si corrono in oggi. — Fortunatamente per Gertrude, la signora Ellis viene chiamata in cucina, ed ella è alfine libera di meditare sugli eventi degli ultimi giorni: soggetto inesauribile, se nessuno l'interrompesse. Ma di lì a qualche minuto si presenta la servetta che ha portato il giornale al signor Graham, e porta qualche cosa anche a lei. Una lettera! La riceve con mano tremante, e quasi non osa guardare il bollo postale. Il suo primo pensiero è che sia di Guglielmo. Ma l'illusione svanisce senza lasciar luogo a speranze e timori. Se il bollo è di Nuova York, dov'egli potrebbe trovarsi, la scrittura le è affatto sconosciuta. Un'altra idea, di poco minor momento, le balena; oppressa dalla commozione a segno che si sente mozzare il respiro, ella rompe il suggello e legge: «Mia diletta Gertrude, figliuola mia cara, perchè tale siete veramente per me, quantunque soltanto l'angoscia del terrore e della disperazione d'un cuore paterno potè strapparmi quelle parole.... Pure non era folle il sentimento che mi spinse nell'ora del pericolo a stringervi al mio petto e chiamarvi mia. Più volte l'avevo provato, e represso. E anche ora vorrei far tacere l'invito della natura, e partirmene, per andare a finire la triste mia vita piangendo in solitudine; ma la voce che ha parlato in me non può essere ridotta al silenzio. «Se vi avessi veduta felice, gaia, senza pensieri, non avrei chiesto di condividere la vostra gioia, e men che meno avrei voluto gettare un'ombra sul vostro cammino. Ma voi siete contristata e conturbata, mia povera figliuola, e la vostra afflizione stringe tra noi un vincolo più forte di quelli del sangue: sì, mi fa mille volte vostro padre, perchè io sono un uomo infelicissimo e stanco, e so comprendere le pene altrui. Voi avete un cuore buono e gentile, cara mia creatura. Piangeste un giorno sui dolori d'un ignoto; non negherete dunque la vostra pietà, se non potete dargli il vostro filiale amore, ad un padre desolato, che con mortale angoscia scrive tremando le funeste parole da cui sarà forse condannato all'odio e al disprezzo dell'unica persona cui l'unisca un legame naturale! Già due volte prima d'oggi tentai di vergarla, e deposi la penna rifuggendo dall'impresa crudele. Ma per difficile che mi riesca il parlare, più difficile ancora è soffocare i palpiti del mio cuore inquieto: e però ascoltatemi, benchè sia probabile che poi non vorrete ascoltarmi mai più.... «V'è un uomo sulla terra al quale voi non pensiate senza orrore? Uno il cui nome non richiami alla vostra mente che fatti tenebrosi ed obbrobriosi, e sia stato da voi aborrito fin dai più teneri anni? Voi che tanto amate la vostra migliore amica, non avete appreso a odiare e disprezzare in pari misura il suo peggior nemico? Ah, non può essere diversamente! Ed io tremo pensando che la mia figliuola diletta fuggirà inorridita da suo padre quando conoscerà il segreto così lungamente custodito, così dolorosamente rivelato, quando saprà ch'egli è «FILIPPO AMORY.» Finito di leggere, Gertrude alzò dal foglio un viso ch'esprimeva soltanto un profondo stupore. Quella strana missiva era per lei inintelligibile. Grosse lacrime le luccicavano negli occhi, l'eccitazione le tingeva le gote d'un vivo rossore. Era commossa, ma non comprendeva il senso delle parole di quell'uomo. Stette alcuni minuti fissando lo sguardo nel vuoto, smarritamente, poi si rizzò di scatto e, con la lettera serrata in una mano mosse verso la camera di Emilia per comunicarne a questa il bizzarro contenuto e chiederle d'aiutarla a interpretarlo. Ma davanti all'uscio si fermò. Emilia già stava male, era agitata e depressa: non conveniva disturbarla, cagionarle forse nuovi affanni. Sollecita com'era venuta ella si ritirò, e tornò a sedere nella sua camera per rileggere la singolare dichiarazione e tentar di trovare le tracce del mistero. Che il signor Phillips e lo scrivente fossero una sola e medesima persona le era subito apparso evidentissimo. Non era lieve l'impressione che avevano lasciata nell'animo suo le parole da lui proferite incontrandola nell'imminenza del pericolo, e tutta la sua condotta a bordo. Da tre giorni quell'esclamazione affettuosa le risonava di continuo all'orecchio ed occupava il suo spirito: «Figliuola mia, caro tesoro!...» Ora le balenava la consolante idea che il nobile e generoso straniero il quale aveva così coraggiosamente arrischiato la vita per salvare Emilia e lei, potesse in realtà essere suo padre: e tutte le fibre del suo essere fremevano di gioia, una speranza inebriante sopraffaceva il suo cervello, le dava le vertigini. Ora quell'idea le sembrava invece inverosimile, folle, e si sforzava di respingerla, di considerare la cosa in modo più razionale e più probabile: certo le parole e la condotta del signor Phillips si spiegavano come l'effetto d'una potente sovreccitazione, o forse d'una fantasia un po' disordinata, un po' turbata; ipotesi, quest'ultima, che anche in altre occasioni il suo contegno le aveva suggerito. Dopo la catastrofe, ella, appena riacquistata la coscienza di sè, aveva chiesto notizie del salvatore di Emilia e d'Isabella: ma egli era scomparso, senza lasciare alcuna possibilità di rintracciarlo. Il signor Graham, arrivato poco appresso, aveva affrettato la loro partenza, e, per quanto riluttante, ella era stata costretta ad abbandonare ogni speranza di rivederlo. Perciò si trovava ridotta alle sole sue vaghe e insodisfacenti congetture. Con Emilia ella non s'era mai confidata, per gli stessi motivi che l'avevano rattenuta ora dal consultarla sulla misteriosa epistola; ma tra sè medesima non aveva cessato di ponderare, notte e giorno, il linguaggio e le maniere inesplicabili del signor Phillips, non soltanto nel recente spaventoso evento, ma fin dal primo istante della loro conoscenza. La seconda lettura della lettera la rese più perplessa ed inquieta che mai. Nè le destava nuove idee, nè dava consistenza a quelle ch'era andata volgendo in mente fino allora. Ma per un'oretta ella stette a leggere e rileggere quelle righe, finchè le ebbe quasi scancellate con le lacrime che le piovevano dagli occhi, e a grado a grado diverse commozioni si manifestavano nella espressione del suo viso. A un tratto ella si rizzò, prese risoluta un foglio, e scrisse con una febbrile rapidità che mostrava come profondamente, e quasi terribilmente, fosse scossa in tutto il suo essere, anima e corpo, e si piegasse, vacillasse sotto il peso delle speranze, delle ansie, degli affetti, dei timori che si combattevano in lei: «Caro, caro padre, «Se posso osare di credere che siete tale, o se no, certo, il migliore amico mio.... ma come scrivervi, che dirvi, poichè tutte le vostre parole sono un mistero? Padre! Parola benedetta! Oh, Dio volesse che il nobile mio amico fosse mio padre! Eppure, ditemi, è forse possibile? Ahimè! Ho un triste presentimento che il mio bel sogno sia una mèra illusione, un errore.... «Io non ho mai udito pronunziare il nome di Filippo Amory. La mia buona, la mia dolce Emilia, mi ha insegnato ad amare tutti; l'odio e il disprezzo sono estranei alla sua natura, e, me ne confido, alla mia. Inoltre, ella non ha nemici, mai non ne ebbe uno al mondo, nè potrebbe averne. Sarebbe lo stesso far guerra a un angelo del Cielo, o ad una santa e soave creatura come lei. «Nè giungerete a farmi credere che voi siate un peccatore, un reo. Non può essere. Farebbe torto a un'anima retta il pensarlo: ripeto, non può essere. Ben volentieri poserei il capo sul petto d'un tal padre; con gioia adempirei il dolce dovere di consolare i dolori dell'uomo benevolo e generoso che con abnegazione mirabile ha liberamente offerto la sua vita per me, e per altri la cui salvezza mi stava più a cuore della mia propria. Quando mi prendeste tra le vostre braccia e mi chiamaste figliuola, cara figliuola, io pensai che l'angoscia di quel terribile momento avesse eccitato e turbato il vostro spirito in modo da rivestirmi d'una falsa apparenza, da confondere forse la mia immagine con quella d'una persona amata e lontana.... Adesso credo che non fu passeggera follia, ma che piuttosto mi scambiaste sempre per un'altra a cui spetterebbe il grato ufficio di consolare la vita contristata d'un padre, mentre io, ahimè, rimango l'orfana non riconosciuta, non cercata, la povera creatura senza babbo e senza mamma, che sono stata fin dai miei più teneri anni. «Se avete perduto una figlia, Dio conceda che vi sia restituita per amarvi come io v'amerei qualora avessi la fortuna d'esser quella! Ma tuttavia consideratemi come figliuola del vostro cuore, lasciate ch'io v'ami e preghi e pianga per voi, lasciate ch'io versi dall'anima tutta la mia gratitudine per le cure affettuose e la simpatia che m'avete prodigate. «Eppure, benchè io non vanti questo diritto e non osi, sì, non osi, accarezzare il pensiero che voi non v'ingannate credendovi mio padre, non posso frenare i palpiti del mio cuore, e tremo, e quasi mi viene meno il respiro, quando mi balena la benedetta, la celeste speranza di questa possibilità! No, no, non voglio contemplarla, perchè temo che non potrei sostenere il dolore di vederla svanire!... «Oh, che mai scrivo? Non so.... Una prolungata incertezza mi farebbe soffrir troppo; scrivetemi prontamente, o venite a me, caro padre.... voglio chiamarvi così una volta almeno, dovesse pur essere la prima e l'ultima. «GERTRUDE.» Il signor Phillips, o piuttosto Amory, giacchè questo era il suo vero nome, aveva dimenticato od omesso di menzionare il suo recapito. La giovanetta se ne avvide soltanto quando s'accinse a scriverlo sulla sua lettera, e provò un acuto dolore pensando che questa non gli sarebbe mai pervenuta. Ma si tranquillò alquanto osservando di nuovo il bollo postale. Egli doveva trovarsi a Nuova York. Senza esitare diresse colà la sua missiva; poi, non volendo affidarla ad altre mani, si mise il cappello, coperse con un velo il viso commosso, e s'avviò frettolosamente verso la Posta del villaggio. Per le persone sensitive e di viva immaginazione, nulla v'è di più penoso che l'incertezza. Quando sappiamo che cosa dovremo sopportare, possiamo quasi sempre chiamar in nostro soccorso la forza e la rassegnazione necessarie; ma occorrono una pazienza e una resistenza non comuni per rendere uno capace d'aspettare con calma e serenità l'approssimarsi d'una grave crisi piena d'eventi di cui non è possibile prevedere la natura, ma che inevitabilmente eserciteranno un'azione dominante su tutta la nostra vita. Un momento la speranza prevale e promette un esito felice; sorridiamo, respiriamo, l'ansietà è bandita; ma ecco che a un tratto una parola, uno sguardo, perfino un pensiero cambia il corso dei nostri sentimenti; il volto si oscura, il petto è oppresso da una subita ambascia, la paura ci assale come un incubo, e quanto più ci siamo abbandonati a una gioia fidente, tanto più ci sprofondiamo nella tortura del dubbio o nell'agonia della disperazione. Il caso di Gertrude era singolarmente penoso. Da una settimana ella già lottava contro un'angosciosa sospensione d'animo, quasi intollerabile; e adesso, d'improvviso, sorgeva un altro mistero, fonte d'incertezze non meno tormentose, d'affanni non meno intensi. Pareva invero uno sforzo superiore al potere d'una fanciulla così giovane, sensitiva, inesperta, il dominarsi a segno da reprimere le sue commozioni, dissimularle agli occhi altrui, soffrire sola, in silenzio, i crudeli rigori della sua sorte. Eppure lo fece, e strenuamente. Sia che la gravità delle emergenze suscitasse in lei, come suole avvenire in una donna d'alti sensi e d'alto cuore, una proporzionata energia, sia che dinanzi alla inutilità d'ogni tentativo di sciogliere il complicato nodo del suo destino, ella si trovasse costretta a incrociare le braccia e chinare il capo rassegnata, sia che con umile fede resa più profonda e più ardente dal sentimento della propria impotenza, ella si rivolgesse per soccorso a Colui del quale ci appare tutta la forza nella nostra debolezza, certo si è che mentre si dirigeva a casa, dopo aver consegnato la sua lettera al mastro di posta, la sicurezza del suo passo, la calma del suo sguardo alzato al cielo, mostravano ch'ella aveva preso in quel momento una coraggiosa risoluzione: risoluzione saldamente mantenuta durante i due giorni ch'ebbe ad attendere la risposta di Filippo Amory. Ed era questa: procurar di troncare per il presente le vane congetture e l'infruttuosa comparazione delle probabilità, che servivano soltanto ad affaticare il suo spirito, torturare il suo intelletto, turbare la sua pace; non occuparsi più di ciò che concerneva lei stessa; dirigere con un disperato sforzo tutte le sue energie fisiche e morali verso fini disinteressati, e aspettare pazientemente finchè la nube oscura che pendeva sul suo fato fosse dissipata dalla luce della verità, e la rivelazione squarciasse il mistero. Fu ella medesima non poco maravigliata quando in progresso di tempo rammentò il gran numero di faccende domestiche e d'amichevoli prestazioni che quasi macchinalmente compì nel corso di quei due giorni di lotta contro pensieri che tentavano con violenza di riprendere il sopravvento e non potevano essere domati che mercè un enorme sforzo di volontà. Ella spolverò e ricollocò tutti i libri della copiosa biblioteca, disfece i bagagli e ripose nel loro luogo gl'indumenti suoi e d'Emilia, aiutò la signora Ellis a riordinare le porcellane e le biancherie, e sbrigò molti altri lavori ch'erano stati negletti o posposti. E così, lodevolmente ingegnandosi d'occupare le mani se non il cuore, ella attese. XLIII. Sian pur sottili gli argomenti tuoi, Non m'indurranno a cercar mai ricchezze Per amor del potere, nè il potere A pregiar per amore della gloria. MILTON. Nel sontuoso salotto d'uno degli alberghi di primo ordine che a Nuova York abbondano, Filippo Amory sedeva solo. Era già sera. Le tende delle finestre erano calate, e accesi i lumi a gas, la cui splendida luce faceva spiccare i colori vivaci del tappeto e delle tappezzerie, e diffondeva intorno un'aria di gaiezza e di benessere, con la quale contrastava forte il pallido viso e l'atteggiamento triste ed abbattuto dell'ospite solitario. Da quasi un'ora egli sedeva là, chino sulla tavola che occupava il centro della stanza, con la testa appoggiata alla mano sinistra, senza muoversi nè sollevare un momento lo sguardo. Egli aveva gettato all'indietro la massa ondosa dei suoi capelli inargentati, come se quel lieve peso opprimesse la sua fronte ardente, e se non fosse stato il lento gesto delle dita che di tanto in tanto passava tra i bei riccioli folti, si sarebbe potuto crederlo assopito. A un tratto si rizzò, ed ergendo l'alta e prestante persona, si mise a camminare in su e in giù per il salotto. Ma tosto una sommessa picchiata all'uscio arrestò il suo passo misurato: un'espressione d'inquietudine nervosa e di contrarietà apparve nei suoi lineamenti, e, buttandosi di nuovo nella poltrona, stava per rispondere al cameriere venuto ad annunziargli «un signore», che egli non poteva ricevere nessuno; ma l'annunziato era già sulla soglia. Il cameriere si ritirò e chiuse l'uscio. Premurosamente il visitatore, ch'era un giovanotto, s'avanzò verso il signor Amory; represse però il suo slancio cordiale dinanzi alla inaspettata freddezza con cui questi lo accoglieva mostrandogli nella faccia rannuvolata, e nel modo quasi ritroso di toccare la mano offerta, che la sua presenza non riesciva gradita. — Scusatemi, signor Phillips.... — disse Guglielmo Sullivan, poiché era lui. — Temo d'avervi disturbato. — Oh, non lo dite! — rispose quegli, urbanamente, invitandolo a sedere. — Accomodatevi. — Guglielmo non fece che appoggiar la mano sulla spalliera della seggiola proffertagli, e seguitò rimanendo ritto: — Siete molto mutato, signore, dacchè ci vedemmo l'ultima volta. — Mutato? Sì, certo.... — disse l'altro con aria distratta. — La vostra salute non sarà, spero.... — La mia salute è ottima. — Dopo avere così interrotto il giovane, Filippo Amory parve a un tratto comprendere che doveva pur fare qualche sforzo per sostenere la conversazione, e ripigliò: — È lungo tempo, signor Sullivan, che non ci siamo imbattuti. Non ho tuttavia scordato il debito di gratitudine che ho verso di voi per il vostro intervento tra me ed Alì, l'arabo traditore, con la sua truppa di ribaldi beduini. — Non ne parlate, signor Phillips. Il nostro incontro fu davvero fortunato, ma per tutti e due, perchè eravamo esposti al medesimo pericolo, e quindi ne risultò un mutuo benefizio. — Non posso ammetterlo. Voi sembravate in buona armonia con la vostra scorta, per quanto fosse araba. — Sì, ho una certa pratica di viaggi in Oriente, e so come, d'ordinario, si governano quegl'infiammabili spiriti del deserto. Ma quando vi raggiunsi, entravo appunto anch'io nel territorio di tribù ostili, e la mia scorta correva rischio d'essere soverchiata se non avessi avuto il vantaggio di unire le mie forze alle vostre. — Valutate troppo modestamente il vostro genio conciliativo, giovanotto. Con voi, che conoscete così bene i fatti, non ho neppure il merito della franchezza confessando che il mio temperamento focoso e la mia volontà ostinata erano le sole cause del pericolo che minacciava entrambi e dal quale voi fortunatamente avete saputo scamparci. No, no! Non mi negate la sodisfazione d'esprimervi ancora una volta la mia gratitudine per il vostro preziosissimo aiuto. — Signore, — disse Guglielmo sorridendo — voi fate della mia visita proprio l'opposto di ciò che doveva essere. Io sono venuto qui stasera non per ricevere, ma per rendervi grazie. — Di che cosa? — fece il signor Amory bruscamente, rudemente quasi. — Voi non mi dovete nulla! — Gli amici d'Isabella Clinton hanno con voi un debito tale, che non potranno mai pagarlo. — V'ingannate, signor Sullivan. Io non ho fatto nulla che imponga agli amici di cotesta signorina la minima obbligazione verso di me. — Non le salvaste la vita? — Sì, ma senza averne punto l'intenzione. — Guglielmo sorrise. — Non fu certo un mèro caso, signor Phillips, l'esservi voi messo a rischio di morte per salvare una vostra compagna di viaggio. — Infatti, non al caso ella deve la sua salvezza; di questo sono persuaso anch'io. Ma non ringraziate me; è d'altri il merito se la signorina Clinton oggi non dorme il sonno eterno. — M'è lecito domandarvi di chi parlate? Le vostre parole sono misteriose. — Parlo d'una cara e nobile fanciulla ch'io volevo strappare alle fiamme.... Per lei nuotavo verso quell'avanzo di nave incendiata. Il suo velo azzurro era il segnale convenuto tra noi. Quel velo accuratamente avvolto intorno al capo della signorina Clinton m'ingannò. Io la trovai aggrappata al posto di.... dell'altra che cercavo, e portai a salvamento sulla riva la preda tolta al fuoco e alle acque senza riconoscerla.... abbandonando la mia diletta che aveva offerto la propria vita in olocausto.... — Oh, non alla morte? — No, fu ricuperata per miracolo. Andate a ringraziare lei della salvezza d'Isabella Clinton. — Io ringrazio Dio, — disse Guglielmo con fervore — che gli orrori di tali disastri siano in parte compensati da eroismi come cotesto. — L'aspetto, fino allora severo del signor Amory si raddolcì alquanto mentre egli ascoltava queste entusiastiche parole del giovane in lode della devozione di Gertrude. — Chi è quella nobile fanciulla? Dov'è? — continuò l'altro. — Non me lo chiedete! — rispose l'interrogato con un gesto d'impazienza. — Non potrei dirvelo neppur se volessi. Non la rividi dopo quel giorno funesto. — Le sue maniere, ancor più che le sue parole, manifestavano una viva riluttanza ad entrare in più precisi particolari circa il salvamento d'Isabella, e Guglielmo, accorgendosene, rimase un momento silenzioso e irresoluto. Poi, avanzandosi d'un passo, riprese: — Sebbene voi non vogliate riconoscere alcuna vostra partecipazione al felice scampo della signorina Clinton, sento ch'io mancherei all'obbligo mio ove non vi facessi il messaggio di cui sono incaricato per colui che ne fu lo strumento se non la causa prima. Il signor Clinton mi prega di dirvi che salvando la vita della sua Isabella, l'unica superstite di sette figliuoli (tutti gli altri gli morirono in tenera età), avete prolungato la sua, e colmato il suo cuore di gratitudine tale, che qualunque parola è impotente ad esprimerla: fino all'ultimo dei suoi giorni egli non cesserà mai di benedire il vostro nome, e implorare da Dio le Sue grazie più elette su voi e su coloro che vi sono cari! — I limpidi e penetranti occhi di Filippo Amory erano lievemente inumiditi, ma un blando e cortese sorriso errava sulle sue labbra. — Tutto questo da parte del signor Clinton? — egli rispose. — Molto gentile e del pari sincero, non ne dubito! Ma voi, giovanotto, non intendete certo di ringraziarmi soltanto a nome suo. Non avete nulla da dire per conto vostro? — Guglielmo parve maravigliato della domanda, tuttavia replicò senza esitare: — Sicuro, signore, io come uno della numerosa cerchia di conoscenti e d'amici che la signorina Clinton onora della sua stima, vi sono grato delle vostre prestazioni generose, e immensamente v'ammiro: nè per essa soltanto, ma per tutti coloro che aveste la nobile sodisfazione di salvare da una morte orribile oltre ogni dire! — Devo interpretare le vostre parole nel senso che voi parlate unicamente in nome dell'umanità, e non sentite nessuna profonda affezione particolare per questa o quella tra le persone che si trovavano sulla disgraziata nave? — La maggior parte erano gente a me affatto estranea. La signorina Clinton anzi era la sola ch'io conoscessi da più lungo tempo dei due o tre giorni passati a Saratoga. La sua morte m'avrebbe addolorato assai, s'intende: ella aveva una certa familiarità con me, da bambina, e ultimamente sono stato molto in sua compagnia; soprattutto poi, so che suo padre, il mio venerato socio e vecchio amico preziosissimo, la cui salute purtroppo è indebolita, non sarebbe potuto sopravvivere alla perdita dell'unica figlia, quasi idolatrata; colpo che le circostanze strazianti avrebbero reso ancora più terribile.... — Voi parlate con una gran freddezza, signor Sullivan. Ignorereste forse che la voce pubblica vi pretende legato alla signorina Clinton da un sentimento più tenero della semplice amicizia? — Il graduale dilatarsi dei grandi occhi grigi di Guglielmo fissi sul signor Amory mentre questi così diceva, e l'aria tra attonita e scrutatrice che prendeva il suo viso, dimostravano chiaramente quale impressione gli facesse quella domanda. — Signore, — rispose egli sedendo con gesto deliberato sulla seggiola presso la quale era sempre rimasto ritto — o io non vi comprendo, o la voce pubblica riferisce un'opinione assolutamente falsa. — Sicchè voi non avete mai saputo nulla finora del vostro fidanzamento? — Mai, ve l'assicuro. O com'è possibile che una ciarla così infondata abbia credito fra i conoscenti della signorina Clinton? — Lo ha, e tanto esteso, che per esempio io, mèro spettatore della vita di Saratoga, l'udii spesse volte non solo bisbigliare da orecchio ad orecchio, ma affermare quale fatto positivo. — Sono in sommo grado stupito e contrariato da ciò che mi dite, — proseguì il giovane che veramente pareva sentirne dispiacere e dispetto. — Per quanto cotesto rumore sia insensato non meno che falso, se arrivasse alla signorina Clinton provocherebbe la sua indignazione, e le darebbe gran noia; per lei, anche più che per me stesso, mi dolgo che certe circostanze abbiano potuto suscitarlo. — Parlate per ragioni di delicatezza rispetto alla signorina, o siete modesto a segno di credere che sarebbe ferita nel proprio orgoglio se sapesse il suo nome così accoppiato con quello del socio di suo padre, un giovane finora sconosciuto nei circoli del mondo elegante? Ma, scusatemi.... Forse ho posto il piede su terreno pericoloso, ed è l'orgoglio vostro quello che si sdegna dinanzi alla franchezza del mio linguaggio. — No, punto, signor Phillips; mi fate torto se credete che il mio orgoglio sia di tal natura. Ma per rispondere alla vostra domanda, vi dirò che mi riferivo tanto alla prima che alla seconda delle ragioni da voi menzionate, e a molte altre ancora, quando vi affermavo di credere che vivissimo sarebbe il risentimento della signorina Clinton se mai risapesse la sciocca ed inconsulta diceria fatta circolare sul suo conto. — Signor Sullivan, — disse Filippo Amory con calore, avvicinando la sua seggiola a quella di Guglielmo — siete ben certo di non pregiudicarvi da voi stesso? Badate che un'eccessiva modestia unita ad esagerate e false raffinatezze sentimentali ha sbarrato a più d'uno la via della fortuna, e che questo potrebb'essere il caso vostro. — Come, signore? Voi parlate in una forma enigmatica, e io non ho idea di ciò che volete significare. — Bei giovani come voi, possono, lo so, mirare nella scelta d'una sposa alle fortune più alte; ma sono troppo rare, perchè se ne offrano parecchie a una medesima persona, e il mondo riderebbe alle vostre spalle se vi lasciaste sfuggire l'occasione felicissima che ora v'arride. — Occasione di che? Non intendete già consigliarmi, io credo.... — Ma sì, anzi! Io sono più vecchio di voi, e conosco meglio la vita. Un patrimonio non s'accumula in un giorno, nè il denaro è cosa da disprezzarsi. Il signor Clinton ha logorato la sua salute affaticandosi nell'acquisto di quelle ricchezze, che saranno presto possedute dalla sua unica erede. Ella è giovane, bellissima, e ammiratissima nel gran mondo in cui vive. Tanto il padre che la figlia vi guardano con occhio benigno.... Oh, non vi turbate, si discorre tra amici, e voi sapete se è vero ciò che fin gli estranei hanno osservato, e di cui spesso io ho udito parlare come di cosa indubitata. Perchè esitate dunque? Non vi distorrà, spero, dall'approfittare di questa favorevole condizione, un qualche romantico e cavalleresco senso d'inferiorità da parte vostra, quasi non foste degno d'un premio così bello? — Signor Phillips, — disse Guglielmo, titubando, evidentemente impacciato — i commenti di persone conosciute in casuali e passeggeri incontri, come quasi tutte quelle che la signorina Clinton frequentava a Saratoga, non meritano fede. Le particolari relazioni in cui mi trovo col signor Clinton mi hanno ultimamente condotto a vivere in continua familiarità sì con lui che con la sua figliuola. Egli non ha ora intorno a sè parenti nè amici fidati, e perciò sembra agli occhi del mondo far più caso di me che non ne farebbe qualora ambissi la mano della signorina Isabella. D'altronde, questa ha tanti adoratori che sarebbe il colmo della vanità se io presumessi.... — Poh, poh! — l'interruppe Filippo Amory, levandosi da sedere, e picchiandogli una spalla. — Ditelo, caro Sullivan, a qualcuno più novizio e più ingenuo ch'io non sia! Certo, — proseguì egli andando su e giù per la stanza — è dicevole cotesto linguaggio; ma, sebbene io rifugga dalle adulazioni, credo di poter senza pericolo ricordare alcuni piccoli fatti a un giovanotto che ha una tanto modesta opinione dei propri meriti. Prego, chi era il signore per la compagnia del quale la signorina Clinton fu così pronta ad abbandonare, sere sono, una splendida e affollata sala mentre cantava l'Alboni, e a lasciar delusa tutta una coorte d'ammiratori che la circondava di omaggi e di sorrisi? Con chi mai preferì ella passeggiare tranquillamente al lume di luna nel giardino dell'Albergo degli Stati Uniti? — Guglielmo indugiò un momento a rispondere, come se cercasse di rammentarsi; poi esclamò: — Vedo, vedo! Questa fu dunque una delle cause di sospetto? Io non ero invece che un messo venuto a chiamare la signorina Isabella al letto di suo padre.... Avevo ansiosamente vegliato per ore il signor Clinton, caduto in un sonno prolungatissimo, quasi letargico, che impensieriva il medico; destatosi alfine, egli chiese della sua figliuola con tale appassionata insistenza, ch'io mi risolsi a disturbarle il piacere della serata, e condurla dov'era suo dovere andare immediatamente: nel casinetto in fondo al giardino dell'albergo, che pertanto attraversai con lei al lume di luna.... — Il signor Amory sorrise, e per la prima volta guardò Guglielmo con quella dolce espressione di benignità che il suo bel viso assumeva di rado e che tanto gli si addiceva. — Ecco che cosa sono i pettegolezzi dei luoghi come Saratoga! — egli fece quasi gaiamente. — Capisco che non devo più parlare d'altre apparenze di teneri sentimenti sia in voi sia nella signorina. Ma se anche il cuore della bella e la sua dote sono sempre ben custoditi da lei e da suo padre, non mancano buone ragioni di credere, caro Sullivan, che vi sarebbe agevole conquistare ambedue. Voi siete un giovane di grande avvenire, e possedete, a quanto ho udito, una geniale attitudine agli affari che vi rende indispensabile al vecchio; e se con la prestanza della vostra persona e i pregi del vostro spirito non vi rendete tale anche alla fanciulla, la colpa sarà tutta vostra. — Guglielmo rise. — Se questo fosse il mio scopo, ricorrerei a voi per incoraggiamento e consiglio; ma, signor Phillips, è fatica sprecata far brillare ai miei occhi cotesta visione lusinghiera. — No, dato che siate l'uomo ch'io vi credo,-replicò l'altro. — E non sarete certo tanto sciocco (scusate se uso un termine un po' forte) da disprezzare l'opportunità offertavi di prendere quel posto e far quella figura nel mondo a cui vi danno diritto la vostra nascita, la vostra educazione e le vostre qualità personali. Figlio d'un rispettabile ecclesiastico (professione sempre onorevolissima), favorito nella prima giovinezza da occasioni straordinariamente vantaggiose delle quali avete saputo approfittare, oggi, col credito che godete nelle Indie, se aveste al vostro comando ingenti capitali, giungereste presto a contare fra i negozianti più cospicui. Nondimeno tutto questo non basterebbe ancora a darvi pronto e libero accesso nelle alte sfere della nostra aristocrazia; mentre sposando la signorina Clinton, salireste d'un passo a un grado sociale che difficilmente avreste conquistato con lunghi sforzi, e a venticinque anni tocchereste la mèta più eccelsa che la vostra ambizione possa vagheggiare. Nè, oso dirlo, è verosimile che l'essere vissuto sei anni affatto privo della compagnia di donne gentili, non v'abbia disposto a sentire potentemente il fascino d'una grazia e una bellezza così rare.... «Un uomo che ritorna alla terra nativa dopo una lunga permanenza sotto i tropici, suol essere facile preda della prima seducente compatriotta in cui la sorte lo faccia imbattere; e non è invero da maravigliarsi che voi siate preso dalle attrattive della signorina Isabella, singolari anche in questo paese di belle donne. E, sicuro, non avete durato sei anni di fatiche sotto il sole cocente dell'India, senza avere imparato ad apprezzare quanto vale l'insperata e onorevole fortuna che ve ne offre il premio: il riposo, la ricchezza agevolmente conseguita, e, felicità suprema, il possesso d'una giovane e bella sposa. — Seguì una pausa, durante la quale Filippo Amory stette a spiare nel volto di Guglielmo l'effetto delle sue parole tentatrici. Questi non tardò a palesarglielo con la sua risposta. — Signor Phillips, — disse in un tono risoluto ed energico che provava la sua profonda sincerità — io non ho infatti speso parecchi dei miei anni migliori lavorando sotto un cielo ardente, in prolungato esilio da quanto avevo di più caro, senza il sostegno di alti fini, senza l'incoraggiamento di dolci speranze. Ma voi mi giudicate assai male se stimate che l'ambizione che m'ha finora spronato possa essere sodisfatta da quelle ricompense che avete dipinte alla mia immaginazione con sì vividi colori. No, signore, credetemelo; quantunque i loro vantaggi siano tali che a pochi è dato conseguirli, io miro a qualche cosa di più alto ancora, e penso che davvero avrei sprecato i miei sforzi se le mie speranze e i miei desiderî non tendessero verso un bene più prezioso. — E dove cercate l'adempimento di cotesti voti sublimi? — domandò il signor Amory con accento ironico. — Non già nei circoli gai del mondo elegante nè tra l'aristocrazia del denaro. Io non dispregio un grado onorevole agli occhi dei miei simili, conosco i benefizi della ricchezza, sento il prestigio della bellezza e della grazia; ma non sono queste le cose per cui lasciai la mia patria, nè per esse vi sono ritornato. Benchè giovane, ho vissuto abbastanza, e abbastanza sofferto, perchè sia radicata nel mio cuore la fede che i soli beni degni d'essere cercati a prezzo di lotte e sacrifici, sono quelli più durevoli e più consolanti dei dubbi onori, delle precarie ricchezze, dei volubili sorrisi. — Dunque, se m'è lecito domandarlo, a che cosa mirate? — A un _focolare domestico_; e non tanto per me, sebbene da lungo tempo io aneli alla sua pace, quanto per colei con cui mi confido dividerlo. Or fa un anno — e la voce di Guglielmo si commosse, le sue labbra tremarono — v'erano, oltre la cara creatura che adesso occupa tutta l'anima mia, altre persone ch'io speravo, con tenero amore, con viva gioia, di veder cogliere un giorno i frutti delle mie fatiche. Dio non m'ha concesso di ritrovarle quaggiù, e.... ma perdonatemi, signor Phillips, non è mia intenzione d'importunarvi raccontandovi i miei affari privati. — Proseguite, proseguite, — disse Filippo Amory. — Merito bene qualche confidenza in cambio de' miei disinteressati consigli. Parlatemi come a un vecchio amico, e siate sicuro che v'ascolto con la maggior simpatia. — Da molto tempo non ho parlato liberamente di me stesso; — rispose Guglielmo — ma sono franco per natura, e giacchè manifestate il desiderio di conoscere qualche cosa de' miei propositi nella vita, io non ho alcuna ragione di nasconderveli. La mia sorte, signore, fu singolare fin dall'adolescenza: non vi dispiaccia quindi se ne fo un breve cenno. A dodici anni avevo già cominciato ad esercitare i doveri che la necessità m'imponeva. La mamma, rimasta vedova quand'ero bambino, e il vecchio nonno erano i miei soli parenti e quasi i miei soli amici; l'una di debole complessione, delicatissima, non atta ai lavori faticosi: l'altro d'età assai grave, e povero, non avendo altri proventi che la sua piccola paga di sagrestano d'una chiesa vicina. Ma, come voi sapete, perchè già ve lo dissi quando ci conoscemmo in Oriente, nonostante le loro condizioni, essi m'allevarono in una modesta agiatezza e mi diedero un'ottima educazione. «Ragazzo, quando le piastrelle e i cervi volanti sono d'ordinario gli oggetti che più appassionano, io ero già posseduto da un ardente desiderio di sollevare i miei cari d'una parte delle fatiche e delle cure di cui sostenevano il peso; e con questo fine cercai e trovai un posto, nel quale ero ben trattato e ben pagato, e che conservai fino alla morte del mio buon principale. Poi, per un tempo ebbi a sentire dolorosamente la mancanza d'impiego; mi scoraggiai, fui infelice; e questo stato d'animo era mantenuto dalla convivenza con un uomo di temperamento malinconico ed inclinato al pessimismo, come il mio nonno, il quale aveva patito nel corso della sua vita crudeli disinganni, e però lungi dal farmi cuore insisteva sulla probabilità che tutti i miei disegni, tutti i miei tentativi d'aprirmi la via della fortuna, fossero destinati a fallire. «Io ero molto amareggiato, allora, dall'influsso deprimente delle tristi predizioni del vecchio; ma poi fui indotto a pensare che, in fondo, produssero un effetto utile, perchè nulla mi spinse a raddoppiare i miei sforzi, più che la brama di provargli ch'erano mal fondate; e una delle maggiori sodisfazioni da me gustate in questi ultimi anni fu appunto la certezza ripetutamente avuta ch'egli era venuto alfine nella persuasione piena ed intera che uno almeno della sua disgraziata famiglia aveva la sorte di sfuggire ai travagli della povertà. «Mia madre era una donna di natura quieta e gentile, piccolina della persona, di maniere semplici e piuttosto riservate. Ella mi amava come la stessa anima sua; tutte le mie nozioni della bontà mi furono date da lei: dal canto mio non mi sarei risparmiato sacrificio alcuno per farla felice, avrei dato la mia vita per la sua.... Ma non ci rivedremo mai più in questo mondo; e io.... io imparo a rassegnarmi! «Per loro due e per un'altra persona di cui vi parlerò tra poco, ero pronto ad esulare, a lottare, a soffrire ed essere paziente. L'occasione si presentò, ed io non tardai a coglierla. Presto il supremo scopo della mia ambizione fu conseguito. Io guadagnavo abbastanza per me e per loro. In progresso di tempo giunsi anche a farli godere un po' di lusso. E avevo cominciato ad attendere il giorno non lontano in cui il mio sospirato ritorno avrebbe finalmente reso perfetta la nostra felicità, mentre, ahimè, la notizia della morte del nonno era per via, e mia madre anch'ella già declinava lentamente ma inesorabilmente verso la tomba! «Tutt'e due oggi sono partiti dal mondo, e io sarei rimasto tanto solo da desiderare quasi di seguirli, se non fosse quella creatura il cui amore m'avvincerà alla terra finchè ella vi soggiornerà meco. — E lei? — domandò Filippo Amory con un ardore che Guglielmo, assorto nei propri pensieri, non osservò. — È una giovanetta — rispose questi — senza famiglia, nè ricchezza, nè bellezza; ma dotata d'uno spirito così alto che la fa nobile, d'un cuore così generoso che la fa ricca, di un'anima così pura che la fa bella. — L'intensa attenzione del signor Amory e l'evidente suo desiderio d'udire il seguito, lo incoraggiarono a continuare: — Nello stabile dove abitavamo viveva un buon vecchio, che faceva il lampionaio. Era povero, più povero ancora di noi, ma non ho mai conosciuto un uomo migliore. Una sera, mentre andava in giro accendendo i suoi lampioni, raccolse e si portò a casa una bimba appena coperta di miseri cenci che una femmina crudele aveva in quel momento gettata sulla strada dove sarebbe morta di freddo, salvo che non fosse condotta a finire di morte più lenta in un ospizio; perchè soltanto le cure affettuose ed assidue di mia madre e dello zio True (così chiamavamo il nostro vecchio amico) poterono salvare quella debole creatura dalle conseguenze delle sevizie e degli stenti che l'avevano ridotta in fin di vita. Grazie alla loro instancabile vigilanza, alle loro premure, ella fu conservata per contraccambiare un giorno, e a cento doppi, l'amorosa assistenza prodigatale. «Ella era a quel tempo esile e strutta da far pietà, d'un colorito scialbo, e assai bruttina; inoltre nessuno le aveva insegnato a dominare il suo carattere violento, al quale univa una grande ostinatezza derivata certo dall'essere sempre vissuta in opposizione con tutti. «Ma nulla sgomentava l'ottimo zio True, e sotto l'influsso della sua paterna tenerezza, cominciarono a svilupparsi le facoltà e le virtù latenti in quella piccola anima fino allora negletta. Nell'atmosfera di amore ove adesso respirava, ella cambiò natura; e quando agli esempi e ai precetti che le erano dati nella sua nuova casa s'aggiunse la luce divina, versata sulla sua vita da una creatura eletta, la quale immersa ella stessa nelle tenebre, emana dal proprio spirito un'aureola radiosa che illumina chi gode il bene della sua presenza, divenne ciò che poi è stata costantemente: una donna in cui uno può riporre il suo affetto e la sua fede per sempre. «Quanto a me, non tardai ad amare oltre ogni dire quella bambina verso cui da principio mi aveva attratto un mèro sentimento di compassione. Stavamo insieme il più possibile; tutto era comune tra noi: studi, piaceri, dolori, passioni. Io ero il suo maestro, il suo protettore, il compagno dei suoi spassi infantili; ed ella dal canto suo era per me l'amica che mi consigliava e m'incoraggiava, mi consolava e mi compativa: un'amica preziosa, necessaria, perchè m'infondeva il suo spirito fervente di speranza, di energia, di fiducia. Ricordo come ella, tanto piccina ancora, mi rincorò e mi sostenne in quel mio disperato dolore giovanile, quando per la morte inaspettata del mio ottimo principale mi trovai senza impiego! «L'affezione tra lei e lo zio True era commovente. Bench'io fossi un ragazzo, ammiravo come una cosa bella il devoto amore del vecchio lampionaio per la sua figlioletta adottiva, «il suo uccellino», egli diceva, e la tenera, profonda gratitudine con cui questa lo ricambiava. «Durante alcuni anni ella gli dovette ogni cosa e parve essere semplicemente una bambina di cuore amoroso e buona. Ma giunse il tempo che le parti furono invertite. Il brav'uomo venne colpito da una infermità che lo rese invalido delle membra, bisognoso di continuo aiuto. Allora si manifestò in tutta la sua bellezza quella nobile natura femminile. Oh, come dolcemente la fanciulletta guidava i passi del vecchio che scendeva verso la tomba! Spesso, in sulla mezzanotte, io andavo a vedere se il nostro casigliano non mancasse di qualche cura che la troppo giovane ed inesperta infermiera era forse incapace di prestargli.... Mai non scorderò la figurina della piccola Gertrude, seduta tranquillamente accanto al suo letto, in quell'ora notturna che in tanti altri fanciulli avrebbe suscitato tutti i fantastici terrori delle tenebre: davanti a lei sulla tavola ardeva un fioco lumicino, ed ella, tenendo una mano di lui tra le sue, confortava la veglia dolorosa con parole d'amore, o gli leggeva qualche pagina della Bibbia contenente un santo insegnamento. «Ma, ahimè, la sua devozione non bastava a prolungare la vita del caro infermo; e, poco innanzi ch'io partissi per Calcutta, egli morì benedicendo Dio che gli aveva concesso di finire i suoi giorni in pace e consolato dalla sua dolce custode. «Toccava a me lenire il gran cordoglio della nostra Gertrudina; feci quanto stava nelle mie forze per ridarle coraggio e serenità, e fui lieto di sapere che io partendo lasciavo quest'ufficio all'angelica signorina cieca che da lungo tempo onorava della sua amicizia lei e lo zio True. Prima di staccarmi da mia madre e dal nonno, li affidai solennemente alle cure filiali di Gertrude, la quale aveva dato prova di tanta buona volontà e tanto valore. Ella promise di essere fedele alla missione assunta, e mantenne nobilmente la promessa. Nonostante la collera e la durezza del signor Graham (il padre della sua protettrice), dalla cui liberalità dipendeva da anni, ella si dedicò tutta, col cuore e con l'opera, all'adempimento dei doveri che considerava sacri. Senza curar le sofferenze, le fatiche, le veglie, le privazioni, abbandonò spontaneamente agi e piaceri, e si prestò, paziente, giorno e notte, in servigio degli amici che amava d'un amore più grande di quello d'una figliuola, perchè era l'amore d'una santa. «Io, pur eguagliandola nell'ardore e nella tenerezza, non avrei potuto fare la metà di ciò che fece lei: soltanto un cuore e una mano di donna sono capaci di quanto ideò ed eseguì Gertrude. «Ella già prima era più che una sorella per me, era l'amica mia dilettissima, la mia assidua corrispondente; adesso m'avvincono a lei legami che non sono terreni e su cui il tempo non ha potere.... XLIV. Ebbi occasion di metterti alla prova E a fondo scandagliar l'anima tua, Or confesso che invitto ti trovai Contro le tentazioni.... MILTON. — Certo, — disse Filippo Amory che aveva pazientemente ascoltato la storia di Guglielmo fino alla fine — io comprendo i vostri sentimenti. Un uomo d'animo generoso non può se non serbare una profonda e perenne gratitudine a colei che con tanta devozione e tanta abnegazione vegliò sugli ultimi giorni dei suoi cari, ai quali non poteva dedicarsi egli stesso, e prestò loro una faticosa assistenza: il calore con cui elogiate quella ragazza vi onora, Sullivan. Anche ella dev'essere una persona di rara virtù per avere mantenuto così fedelmente una promessa fatta in un tempo remoto, quand'era ancora quasi una bambina, promessa dalla quale un'amica meno perfetta non si sarebbe creduta vincolata, fosse a costo d'un sacrificio. Tuttavia non vi lasciate indurre da sensi troppo cavallereschi ad immolarvi sull'altare della riconoscenza. «Io stento ad ammettere che un giovane che ha avuto l'ambizione di tracciarsi e seguire sulla via della fortuna una carriera come quella da voi finora felicemente corsa, abbia potuto prendere a mente calma la seria risoluzione d'unire sè e la sua sorte a un'umile compagna d'infanzia, figlia d'ignoti, nè ricca nè bella, salvo che non sia già impegnato a farlo, contro sua voglia, o trascinato a cotesto matrimonio dall'idea che soltanto donando ciò che possiede di più prezioso, vale a dire sè stesso, giungerà a cancellare l'immenso debito che pesa su lui. M'è lecito domandarvi se siete già legato da una promessa? — No, — rispose Guglielmo. — Allora, datemi retta, un momento. Parlo per sincera amicizia pregandovi di non procedere inconsideratamente in una cosa da cui dipende la felicità di tutto il vostro avvenire, e d'ascoltare.... con pazienza, se potete.... le poche parole che ho da dirvi. — Il giovane, infatti, cominciava a dar segni d'inquietudine. — V'ingannate, caro amico, se credete che la felicità della vostra Gertrudina, come voi la chiamate (gran brutto nome, veramente), sarà più sicura della vostra, in quest'unione male assortita: tutt'e due avrete occasione di pentirvene. Da sei anni voi non avete più veduto quella ragazza: pensate dunque a tutto ciò ch'è seguito in cotesto frattempo, e vedete un po' con quale precipitazione agite. «Voi avete passato tutto questo tempo all'estero, in una vita attiva, che v'ha fatto acquistare conoscenza degli uomini e dei diversi loro stati sociali. Nell'India, s'intende, doveste uniformarvi ad usi e costumi assai differenti dai nostri e dagli europei; ma aveste occasione di sviluppare quell'indipendenza di carattere e quella disinvoltura che v'hanno reso mirabilmente atto a comparire nei circoli eleganti parigini quando vi foste, di punto in bianco, ammesso. Senza adularvi, posso dire che voi otteneste un vero trionfo. «Era bensì un grande privilegio l'esservi presentato quale amico d'un uomo così noto ed altamente stimato come il signor Clinton; ma dovete pure riconoscere che vi furono prodigate segnalate attenzioni da Americani residenti a Parigi, e che ora, in patria, godete i vantaggi dell'essere stato oggetto di tanto favore. Io non ebbi la fortuna d'incontrarmi con voi in quella capitale, ma mi ci trovavo nel tempo del vostro soggiorno colà e mi furono riferiti sul conto vostro parecchi fatti che la vostra modestia non vi permetterebbe di confermare. «È agevole inferirne che non mancate di gusto per il gran mondo, perchè altrimenti non avreste saputo farci così bella figura, anzi, nemmeno mantenervi nella sua cerchia. Ed è del pari evidente che il vostro amor proprio deve sentirsi lusingato dalle liete accoglienze ricevute sì all'estero che nel vostro paese, non solo da parte degli uomini ma anche delle signore, e specie delle graziose e belle fanciulle che v'hanno onorato dei loro sorrisi; tra le quali primeggia colei il cui nome già s'accoppia al vostro. È forse ammissibile che ciò non abbia alcun influsso sui vostri disegni per l'avvenire? «Quando penso a tutte le fortune su cui potete fare ragionevole assegnamento, come v'ho ad esuberanza dimostrato, e vi odo parlar di respingerle per gettarvi cavallerescamente ai piedi della piccola infermiera di vostra madre, proprio non posso tacere ed astenermi dall'accennarvi l'inevitabile reazione, il rammarico che v'assalirà poi nel trovarvi escluso per sempre dai piaceri offertivi e da voi follemente rifiutati. «Non dovete dimenticare che la considerazione in cui è tenuto uno scapolo di belle speranze, diminuisce d'assai verso l'uomo ammogliato, se la sposa non appartiene a quella eletta classe di persone ove egli ambisce d'entrare. Ora la giovanetta orfana e povera con cui volete dividere la vostra sorte, la modesta maestrina di scuola.... — Guglielmo, il quale a sua volta aveva preso a passeggiare su e giù per la stanza, fremente d'impazienza, si fermò di botto esclamando: — Io non v'ho detto che sia mai stata insegnante, nè nulla di simile! Come lo sapete voi? — Filippo Amory, sbadatamente traditosi palesando d'esser meglio informato che il giovane non potesse immaginarsi, esitò un momento, ma presto riprese la padronanza di sè, e rispose con apparente franchezza: — Per dirvi il vero, Sullivan, io ho veduto la ragazza in compagnia d'un vecchio dottore. — Il dottor Jeremy? — fece Guglielmo, pronto. — Appunto lui. — Quando la vedeste? Dove, e come? — Non m'interrogate! — disse il signor Amory con un tono leggero e petulante, il quale pareva significare che la cosa non aveva importanza, e che gli seccava entrare in particolari. — M'imbattei in quel vecchio medico nel corso d'un mio viaggio, e cotesta Gertrude Flint era seco. Egli mi narrò alcuni fatti che la concernevano, e che, devo dirlo, non tornano a suo svantaggio: mettendovi in guardia contro un matrimonio sconveniente, non parlo che in generale. — Guglielmo lo fissò con uno sguardo tra scrutatore e maravigliato, e parve in procinto d'insistere per ottenere spiegazioni più chiare; ma quegli riprese il filo del suo ragionamento senza lasciargli tempo di aprir bocca. — Cotesta Gertrude, come vi dicevo, sarà per voi una catena al piede, un ostacolo irremovibile opposto a tutti i vostri sforzi per essere ricevuto nel mondo elegante dove ella certo non è atta a brillare. Avete affermato voi stesso che non possiede nè ricchezze nè bellezza; della sua famiglia non sapete niente, e potete aspettarvi, se mai la scoprite, che non sia tale da farle onore. Credo pertanto di darvi un consiglio dettato dal senso comune, ammonendovi a ponderare le circostanze prima di vincolarvi in condizioni tanto disuguali. — Non dubito, signor Phillips, — disse Guglielmo rimettendosi a sedere, e ricomponendosi in un atteggiamento calmo — che gli argomenti da voi addotti con grande vigore per decidere una questione da cui dipende la mia felicità, siano fondati su ragioni positive e sul sincero desiderio di promuovere la mia fortuna. Confesso però che giudicandovi secondo il concetto fattomi di voi durante la nostra breve ma abbastanza intima relazione, eravate proprio l'ultima persona da cui mi sarei aspettato consigli come cotesto, perchè vi stimavo tanto indipendente dall'opinione del mondo e indifferente al suo plauso, da credere che non dovessero aver peso sui vostri criterî nel guidare un giovane. «Ma quantunque i vostri suggerimenti non mi facciano mutare proposito nè abbiano influsso alcuno sull'animo mio, apprezzo la sincerità e il calore con cui avete procurato di convertirmi a un modo di pensare che voi giudicate saggio; e risponderò con franchezza tale da persuadervi, spero, ch'io, lungi dal seguire gl'impulsi d'un cieco entusiasmo, dal prendere inconsultamente una risoluzione precipitata della quale potrei in seguito pentirmi, obbedisco a sentimenti che sono approvati dalla ragione, e hanno già sostenuto la prova dell'esperienza. «Voi v'apponete, reputandomi attratto da un gusto naturale verso le classi superiori del consorzio civile: gusto che la povertà e la segregazione nel mio cantuccio m'impedivano di manifestare al tempo della mia adolescenza, ma che nondimeno conferì non poco a determinar le mire della mia ambizione giovanile. Le case sontuose, gli equipaggi, i bei vestiti della gente ricca, esercitavano assai minor prestigio sulla mia fantasia, che non la signorile disinvoltura, la raffinatezza, l'eleganza delle maniere per cui si distinguevano le poche persone di quel ceto ch'io avessi occasione d'osservare; e sebbene desiderassi di conquistar la ricchezza per i suoi vantaggi intrinseci, per la possibilità che m'avrebbe dato di contribuire al benessere e alla felicità altrui, mi sarebbe parsa destituita di metà del suo valore se non m'avesse servito ad aprirmi l'adito ai circoli del bel mondo che contemplavo da lontano con tanta ammirazione. «Non c'era dunque bisogno delle privazioni che nel fatto di vita sociale ebbi a soffrire durante la mia dimora nell'India, perchè mi gettassi avidamente in mezzo ai piaceri di Parigi, dove, come voi dunque sapete, io, grazie alla benevolenza del mio socio, fui senza difficoltà ricevuto nelle migliori compagnie. «È vero che quando venni chiamato in Francia il mio spirito era ancora depresso dal fiero dolore contro cui lottavo dopo le tristi notizie da casa, e che mi sentivo poco disposto ad approfittare della cortesia del signor Clinton. Ma spesso impedendogli le condizioni della sua debole salute di partecipare ai divertimenti della capitale, io non potevo dispensarmi d'offrire la mia scorta a sua figlia, la quale, amantissima dei ritrovi mondani, non sapeva rassegnarsi a rimanerne esclusa, ed accettava sempre con gioia i miei servigi, trascinandomi così nel vortice della vita elegante; ove, devo confessarlo, v'era di che lusingarmi, sbalordirmi, inebriarmi. «Io non potevo restare indifferente ai favori insperati di cui mi vedevo colmato, nè respingere tutti gli assalti dati alla mia vanità. E non soltanto la virilità del mio carattere fu messa a duro cimento. Il privilegio d'essere accolto fra i gaudenti del gran mondo, m'espose a più serî pericoli. La solidità dei principî, la semplicità di costumi inculcate in me dall'infanzia e rimaste fino allora inconcusse, corsero grave rischio. Io avevo resistito sempre ad ogni sorta di tentazioni grossolane; ma i miei nuovi eleganti compagni me le presentavano sotto quelle forme raffinate che le rendono insidiose per coloro su cui, prive del seducente travestimento, non avrebbero alcun potere. Il vino, che non m'avrebbe mai attirato in mezzo a un'orgia disgustosa d'ubriaconi, nella coppa tenuta dalla mano delicata del gentiluomo uscito allora da un salotto dove l'avevo veduto festeggiato da tutti, e onorato dei sorrisi delle donne, scintillava d'affascinanti splendori, e mi faceva dimenticare l'amarezza della sua feccia. Il giocatore di professione, il furfante conosciuto, avrebbero cercato vanamente in me un loro complice; ma non pensavo del pari a stare in guardia contro gli agguati di chi meno avrei sospettato. Come credere che i miei amici, che gli amici del signor Clinton, ornamenti delle alte sfere in cui vivono, fossero capaci di vincere il mio denaro con un giuoco sleale, e condurmi a mali passi, precipitarmi nella rovina? «Quando ricordo le prime settimane del mio soggiorno a Parigi, quasi mi maraviglio di non essere caduto in nessuno dei numerosi tranelli tesi da ogni parte per la mia perdizione, e verso cui le mie simpatie sociali, la mia natura audace e insieme ingenua mi traevano fatalmente. Se fui salvato, io lo devo, ne sono persuaso, alla memoria della santa mia madre, sempre vigile, i cui ammonimenti, da me giudicati superflui al tempo in cui me li aveva dati, balzavano dinanzi alla mia mente pieni di nuova vita, armati di nuova forza nell'ora del pericolo. Nulla fuorchè la coscienza che il suo spirito gentile aleggiava sempre sul mio cammino, contristato dai miei conflitti o rallegrato dai miei trionfi, può avermi infuso il coraggio e la perseveranza di resistere, d'evitar le fosse scavate sotto i miei piedi, ove i malcauti miei passi m'avrebbero fatto sprofondare. «Ma combattute e vinte queste oscure insidie, altre non meno pericolose minacciavano la sicurezza del mio avvenire perchè soccombendovi avrei perduto gran parte del mio benessere morale e del mio valore umano. Ero travolto in una ridda di piaceri, i quali occupavano le mie giornate, e spesso le mie notti, allettandomi con lusinghe che accarezzavano il mio amor proprio, fomentavano la mia ambizione, e attutivano le commozioni più nobili. E qui credo che la mia salvezza fu il medesimo straordinario favore con cui venni accolto nella cerchia della frivola vita mondana. S'io non l'avessi veduta che da fuori, se fossi stato costretto a fermarmi sulla soglia struggendomi nel vano desiderio d'entrare, forse oggi m'indugerei ancora là, cupido e deluso spettatore di gioie a me negate; o se avessi ottenuto soltanto un accesso limitato, seguiterei a lottare ardentemente per farmi avanti. «Ma ricevuto addirittura nei più sacri penetrali dell'alta sfera a cui anelavo, potei presto scorgere tutta la vacuità, tutta la nullità di quella bagattella che noi anglosassoni chiamiamo _fashion_.[5] Non già che non v'incontrassi affatto la grazia, lo spirito, la coltura, la finezza ch'io m'attendevo di trovarvi o che queste belle qualità fossero accompagnate sempre da altre meno pregevoli. No: io credo veramente che tutte le classi sociali possano vantare i loro eroi e le loro eroine, e che vi sono tra i mondani, uomini e donne le cui virtù rifulgerebbero anche in un deserto. Nè disprezzo le formalità e le cerimonie, decorose in sè, e fonti d'eleganza e gentilezza di costumi. Finchè vi sarà una classe di gente segnalata dalla buona educazione e dalla raffinatezza delle maniere, e un'altra di cui sono proprie l'ignoranza e la volgarità, vi dovrà essere tra loro una linea di divisione, ch'è naturale e che forse nessuna delle due desidera varcare. «Ma questa barriera non è la mondanità elegante, non è la _fashion_, la quale spesso esclude le qualità caratteristiche della prima e ammette liberamente quelle della seconda. E se io ardisco fare una distinzione fondata sopra un più alto concetto, gli è perchè ho veduto da vicino quanto sia fallace l'opinione comune che le distingue secondo vane apparenze. — Siete molto giovane per filosofare così profondamente, — disse il signor Amory. — Più d'uno volta le spalle, disgustato, ad un'aristocrazia in cui non gli è riuscito d'ottenere accesso, ma ben pochi, ottenutolo, vi rinunziano. — Ben pochi, forse, almeno tra i _giovani_, — rispose Guglielmo — hanno avuto le occasioni che ebbi io di penetrarne i segreti. Credo di poter dire senza tradimento, posto che parlo in generale, d'aver veduto nella così detta aristocrazia del nostro paese, ignoranza, sguaiataggine, bassezza ed immoralità assai maggiori che non avrei creduto ammissibile. Ricordo frequenti casi in cui il più compito gentiluomo, o la più bella signora d'un circolo brillante, mostrò di non possedere neanche nozioni elementari in materie comunissime. Fui presente a ricevimenti splendidi per lusso ed eleganza, disonorati da esempi d'inciviltà e di rozzezza d'animo che offendevano del pari il buon gusto e la delicatezza. Osservai come la folle prodigalità in certe cose fosse ricattata con un'egoistica e spregevole parsimonia in certe altre: vidi uomini e donne manifestare una mancanza di principî morali e religiosi, la quale prova che l'occupare un alto grado sulla terra non preserva l'anima da quelle contaminazioni che la rendono indegna d'essere un giorno assunta in cielo. — Sì, ho notato cotesti fatti anch'io, — fece Filippo Amory — ma la mia esperienza del mondo è eccezionale, e le circostanze hanno acuito la mia perspicacia. Mi fa però maraviglia che abbiano attratto la vostra attenzione. — Non già a bella prima. Lo splendore del gran mondo m'aveva abbagliato, accecato, e soltanto a poco a poco riacquistai la chiarezza delle mie percezioni. Il sospetto della sua vanità, della sua falsità, si fondò su varie prove d'egoismo, di follia, di durezza che caddero sotto i miei occhi. Quanti bassi inganni, quali meschine rivalità, quali colpevoli oblii dei più sacri doveri potrei riferirvi! Ma non voglio palesare i segreti di singole persone, nè tediarvi col raccontarveli! «Fui specialmente colpito dall'effetto che la continua ricerca del piacere produce sui sentimenti, sul carattere, sulle affezioni domestiche della donna. Sebbene io portassi nel cuore un'immagine di fanciulla buona e pura, e dolce fosse la rimembranza, questo vivente ideale sarebbe forse stato espulso dal suo trono e soppiantato da qualcuna delle fulgide bellezze che ammaliavano i miei sguardi, se alla perfezione del volto avesse corrisposto quella dell'anima. Vi saranno, anzi non dubito che vi siano, nelle alte sfere mondane, donne egregie più ammirabili ancora per l'eccellenza e la nobiltà della loro natura che per la grazia e i pregi esteriori onde vanno adorne; ma tra quelle ch'io conobbi da presso, nessuna poteva sostenere il paragone con la modesta giovanetta, presente sempre al mio pensiero, la quale è il modello di tutte le virtù femminili. «Non è quindi da maravigliarsi se le altre non uguagliavano il mio concetto delle qualità che rendono una donna degna d'amore, poichè le misuravo alla stregua del carattere di Gertrude. Come non avrei rilevato il contrasto tra la stoltezza, la frivolezza, l'egoismo che mi vedevo dintorno, e la mente cólta, il cuore amoroso, l'abnegazione dell'amica lontana? Ella possiede tutto ciò che può abbellire la vita d'un uomo, dovunque lo conduca la sua sorte: e non riuscirete mai a persuadermi che una tale compagna debba essere di peso e d'ostacolo in cosa alcuna a colui che avrà la grande fortuna di chiamarla sua. «Quanto a me, non ambisco nulla che questa unione non m'offra. Mi avete parlato d'aristocrazia; la più alta, la sola vera ai miei occhi è quella a cui Gertrude appartiene per tutti i titoli e di cui potrebbe essere uno dei più splendidi ornamenti: l'aristocrazia della gentilezza di costumi, della cultura intellettuale, della grazia e della bellezza. M'avete parlato di ricchezze: se Gertrude non ha denaro nella sua borsa, ha però un'anima d'oro schietto, provata nella fornace del dolore e del sacrificio ed uscitane lucente e pura d'ogni lega. M'avete parlato di famiglia, d'onorevoli natali. Ella non ha parenti e la sua origine è avvolta nel mistero; ma il sangue che scorre nelle sue vene onora la stirpe da cui discende, e ogni palpito del generoso suo cuore la congiunge a quanto v'è di nobile al mondo. «Sul soggetto della bellezza siete stato eloquente. Quand'io mi separai da lei, ella era ancora in tutto, fuorchè nel carattere, quasi bambina, toccando appena i tredici anni. Benchè molto mutata, ed in meglio, dal tempo ch'era venuta tra noi, non credo che al comune degli uomini sarebbe parsa bella; ma se io non fossi stato su questo punto del tutto indifferente, il grande amore che le portavo m'avrebbe reso incapace d'un giudizio imparziale. «Ricordo bene, però, la viva indignazione da me provata udendo una volta un commesso, mio collega, che l'aveva veduta con me in una delle nostre passeggiate, fare un dileggioso confronto tra lei e la bellissima figliuola del nostro principale (la stessa signorina Clinton di cui si parlava dianzi), e l'altrettanto viva gioia con cui, essendo io presente a un esame nella scuola ch'ella frequentava, intesi la direttrice, una certa signorina Browne, dire à una signora che Gertrude Flint prometteva molto sia nella persona che nella mente. Se abbia mantenuto le sue promesse quanto alla persona non sono in grado di sapere; ma ricordando la sua fine e graziosa figurina, i suoi grandi occhi splendenti d'intelligenza, il viso animato dal calore del sentimento, la serena e quasi maestosa espressione che la purità dell'anima dava ai suoi lineamenti ancora infantili, ella m'appare come l'incarnazione di tutto ciò che ho di più caro. «Sei anni devono aver mutato il suo aspetto, ma sicuro non le hanno fatto perder nulla di quanto io pregio in lei. Ella possiede attrattive sulle quali il tempo non ha potere: una grazia ch'è un dono del Cielo, una bellezza ch'è eterna. Che cosa potrei chiedere di più? «Non v'immaginate dunque, — egli proseguì dopo una breve pausa — che la mia fedeltà alla compagna della mia adolescenza derivi unicamente da un senso di gratitudine. Io, è vero, le devo molto, assai più che non possa mai ripagare: ma l'onesta fiamma di cui ardo per la nobile fanciulla, nasce dall'amor sincero d'una purità di carattere e d'una semplicità di cuore senza pari. «C'è forse nella vita faticosa e folle del bel mondo, nel fasto della ricchezza, negli omaggi di una folla oziosa, qualche cosa che possa appagarmi il cuore, elevarmi lo spirito, e incoraggiare la mia attività, quanto il pensiero d'un focolare domestico tranquillo e felice, a cui presieda un'anima di donna con la quale l'anima mia viva in una comunione d'amore e di fede che il tempo non varrà a distruggere; che la morte renderà viepiù salda e sicura nella beatitudine eterna? — E quella che tanto amate.... siete certo.... — cominciò il signor Amory parlando con visibile sforzo; ma la voce gli mancò, e s'interruppe. — No, non sono _certo_, — rispose Guglielmo, prevenendo la domanda. — Non ho ragioni d'abbandonarmi alla speranza che teneramente vagheggio da anni, ma non mi pento d'avervi parlato con sincerità e candore, perchè dovesse ella infliggermi il dolore d'una fredda ripulsa, io sarei sempre superbo d'averla amata. Dal momento che ho rimesso il piede sul suolo americano fino ad oggi, sono sempre stato trattenuto da doveri che, per quanto sacri, facevano fremere d'impazienza il mio cuore anelante alla libertà di seguire i propri impulsi. Finalmente con questa mia visita, signor Phillips, — e così dicendo si alzò per accomiatarsi — io ho adempito all'ultimo obbligo impostomi dall'ottimo mio socio ed amico, e domani mi sarà concesso d'andare dove soltanto il dovere potè impedirmi di correre appena arrivato in patria. — Egli porse la mano a Filippo Amory che la prese con una cordialità ben diversa dalla tiepida accoglienza fattagli quando s'era presentato a lui. — Addio! — gli disse questi. — Il mio sincero desiderio che i vostri voti siano coronati da un lieto successo v'accompagna. Ma, ne sono sicuro, un giorno o l'altro rammenterete tutto ciò che vi ho detto stasera. — Strano uomo! — pensava Guglielmo dirigendosi verso l'albergo dove era alloggiato. — Con quale calore mi ha stretto la mano nell'accomiatarmi! Quanto è stato amichevole il suo saluto nonostante la freddezza con cui m'aveva accolto e la mia pertinacia nel combattere le sue opinioni e respingere i suoi consigli! — XLV. .... è un'ardua impresa Disciplinare il cuor pria che domati N'abbian gli anni e i dolori i fieri spirti E la calma impassibile fortezza Apprendergli che sol chi soffre acquista. HEMANS. La signora Prime aperse l'uscio del salotto, sporse la testa girando cautamente lo sguardo intorno, poi, col passo furtivo d'un gatto di casa che s'avventura un po' oltre i limiti usati, s'avanzò dicendo: — Signorina Gertrude, che Dio vi benedica! Vi date mai un da fare! Ecco che ora preparate per il bucato quelle immense tende della signora Graham! Io non me la piglierei cotesta briga: sapete che sarà qui appena tra quindici giorni, sicchè la signora Ellis ha tempo bastante. — Oh, fo per non stare con le mani in mano!-rispose la fanciulla; poi, guardando piacevolmente la vecchia cuoca, soggiunse: — Bella cosa essere di nuovo tutti a casa, eh, signora Prime? — Bellissima! — esclamò questa con enfasi. — Ma.... spero che il dirlo non sia nulla di male.... sarebbe meglio ancora se si potesse continuare a starcene così tranquilli, senza intrusioni! — Gertrude sorrise. — Mi sembra d'essere tornata al buon tempo antico, quando venni qui la prima volta..... — E fece, sospirando: — Ero una bambina, allora! — O adesso che cosa siete? Per amor del Cielo, signorina Gertrude, non vi sognate d'invecchiare. _Chi si sente_ giovane _è_ giovane.... Vedete, per esempio, la signorina Marta Pace.... — Volevo appunto chiedere sue notizie, — disse la fanciulla riprendendo le forbici, e cominciando a scucire un'altra tenda. — È sempre viva e in buona salute? — Lei? Dio buono! Quella lì non morirà mai. Le vecchie che hanno un'anima di giovanottina, campano in eterno. Ma io ero venuta giusto per parlarvene, della signorina Marta.... Il ragazzo che ha portato il pane stamani era incaricato d'una sua imbasciata per voi: dice che desidera vedervi appena vi sia possibile. Ma s'io fossi ne' vostri panni non avrei furia di correre là.... nè là nè in altri posti.... Avete bisogno di riposarvi, signorina Gertrude; io vedo che non state bene, siete sbattutina.... — Desidera vedermi? Povera creatura! Voglio andarci oggi stesso. Non vi mettete in pena per me, signora Prime: io sto benissimo. — E ci andò. Era il secondo giorno che passava nella più angosciosa incertezza, ed ogni occasione di muoversi, d'occuparsi, veniva da lei afferrata avidamente. Trovò la signorina Pace quasi piegata in due dai reumatismi, vestita meno accuratamente dell'usato e coccoloni davanti a un focherello di fascine e di trucioli. Sembrava tuttavia di umore abbastanza buono, e salutò la comparsa di Gertrude con esclamazioni di cordiale piacere. La curiosità, per cui s'era sempre distinta, pareva crescere anzichè diminuire con gli anni e gli acciacchi. Ella tempestò la fanciulla di domande su ciò che aveva fatto durante quell'anno d'assenza, sulle cose che aveva vedute, sulle persone che aveva frequentate. Si mostrò particolarmente desiderosa d'informazioni circa la vita di Saratoga, le mode sfoggiatevi dalle eleganti, le opportunità che il luogo offriva alle ragazze di trovare un partito vantaggioso. — Voi dunque, — disse a Gertrude dopo che questa l'ebbe pazientemente sodisfatta — non avete ancora eletto un compagno. Peccato. È vero, — proseguì con una smorfietta e un lieve gesto della mano — è vero che non è mai tardi per meditare il nodo coniugale, anzi spesso è stretto quanto mai felicemente da persone di cinquant'anni e più; nè certo una fanciulla nel fiore dei suoi giorni come voi, può disperar d'incontrare un giovane sposo. Nondimeno la vita è raddoppiata quando è divisa con un compagno geniale: ed io mi confidavo che noi, signorina Gertrude, avremmo l'una e l'altra contratto prima d'ora una sì fatta unione. L'esperienza detta le mie parole quando dichiaro che la protezione d'un consorte è preziosa per la donna. — Ma spero, signorina Marta, che voi non abbiate dovuto soffrire a cagione di cotesta mancanza. — Al contrario, ne ho sofferto terribilmente! Sappiate però che i dolori più crudeli sono stati quelli del sentimento: sì, del sentimento, ch'è la parte più delicata della natura femminile e che meno può sopportare le ferite. — Mi duole assai di sentire che abbiate avuto anche voi le vostre afflizioni. Credevo che vivendo così sola vi fossero almeno risparmiate certe prove. — Oh, signorina Gertrude! — esclamò la vecchia zittella levando in alto le mani e parlando con un tono lamentoso che avrebbe commosso la sua interlocutrice se fosse stato un tantino meno ridicolo. — Avessi io le ali d'una colomba per involarmi lontano dai miei consanguinei! Mi lusingavo d'essermi sottratta alle loro ricerche, ma nel volgere di quest'ultimo anno sono riusciti a scoprire il mio ritiro, e non posso più eludere la loro vigilanza. Appena comincio a rimettermi dal colpo d'una visita, il cui solo fine, senza dubbio è quello di far l'inventario dei miei averi e misurare la lunghezza del mio resto di vita, ecco gli avvoltoi svolazzar di nuovo intorno alla mia dimora. Ma, — ella esclamò alzando la voce e gongolando manifestamente in cuor suo — cadranno nel proprio tranello, perchè io li burlerò tutti! — Non sapevo che aveste qualche parente. Parentela di nome soltanto a quanto pare. — Nome? — disse la signorina Marta con enfasi. — Esulto di gioia quando penso che non hanno l'onore di fregiarsi d'un casato del quale sono indegni. No, portano un nome diverso, plebeo, come le loro anime grossolane. Sono tre fratelli, tutti e tre parimente odiosi ai miei occhi. Uno di costoro, spregevole bellimbusto, viene qui immaginandosi d'abbagliarmi e incutermi rispetto con la sua presenza che egli crede imperiosa: e mi chiama «zia, zia», per attestare una consanguineità da cui egli ciecamente si illude d'esser fatto più prossimo ai miei beni. — Eccitata fino al furore ella quasi urlò le ultime parole. — E gli altri due, — soggiunse non meno rabbiosamente — sono pitocchi! Pitocchi sono sempre stati, e sempre saranno! Tal sia di loro! Io ne godo! Voi m'intendete, cara signorina Gertrude, siete una giovane di mente pronta ed aperta, ed io approfitto della vostra presente «contiguità», la quale, vogliate o no, potrebbe uno di questi giorni essere interrotta dall'impazienza di qualche innamorato, per chiedervi un favore ch'io non avrei mai creduto di dover sollecitare. Ho bisogno di voi.... a questo fine v'ho fatta chiamare.... per scrivere, — e qui la vecchia signorina abbassò la voce — le ultime volontà, il testamento di Marta Pace! — La voce sommessa tremava, esprimeva il senso di profonda compassione per sè medesima onde Marta Pace era compresa, e a cui Gertrude partecipava sinceramente. Questa acconsentì di buon grado a sodisfare il suo desiderio, in quanto poteva, avvertendo però che ignorava totalmente le forme legali. Con suo stupore la vecchina affermò la propria perfetta cognizione di tutte le disposizioni della legge per il caso dato; e infatti dettò il contenuto dell'importante documento in modo sì completo e impeccabile, che quando, avendo alcuni mesi dopo la signorina Pace reso l'anima a Dio, venne trovato debitamente munito di testimonianze, firma e suggello, non fu possibile attaccarlo per alcun vizio di forma od altro, ed ebbe pieno effetto. Ma colui ch'era nominato unico erede dell'abbastanza considerevole facoltà, non volle accettarla se non per distribuirla equamente tra i parenti della testatrice più bisognosi e più degni. Quantunque gli uomini rispettabili che avevano prestato ufficio di testimoni protestassero essere Marta Pace stata sana di mente e conscia dei propri atti fino all'ultimo momento, egli dichiarò di non poter ammettere che una persona in possesso del suo buon senso commettesse la pazza stravaganza di lasciare ad un estraneo tutti i suoi risparmi faticosamente accumulati e gelosamente custoditi per lunghi anni. Quell'erede universale era Guglielmo Sullivan, il cavaliere dalle rosee guance, il quale per lo stesso spirito cavalleresco che gli aveva guadagnato il vergine cuore e la gratitudine perenne della signorina Marta, ricusava una ricompensa tanto sproporzionata al lieve servigio reso. Il testamento recava un preambolo, esilarante e commovente ad un tempo, in cui la bizzarra vecchietta esponeva nel suo stile caratteristico le ragioni e i sentimenti che avevano determinato la scelta del suo erede. «Una gentildonna già innanzi negli anni ma aggrappata ancora alla vita e alle sue speranze e, riluttante ad abbandonarle, per quanto provata da contrarianti vicissitudini, è stata ultimamente costretta dai suoi parenti a rammentarsi che innanzi il rifiorire di un'altra primavera ella potrebbe essere chiamata a raggiungere i Pace defunti: ramo della famiglia che avvenuta la sua dipartita sarà estinto. Col più cortese degl'inchini e un grazioso cenno della mano la signorina Marta saluta passando i rappresentanti dell'altro ramo, e li ringrazia del previdente pensiero di ricordarle, prima che fosse troppo tardi, l'opportunità di designare la persona in cui favore ella desidera prendere le sue disposizioni testamentarie. «E però ella ha girato tutt'intorno lo sguardo, ha riveduto nello specchio della memoria tutti i suoi conoscenti, ed ha eletto l'erede. Il giovane stesso, il più perfetto tra i giovani gentiluomini dell'epoca nostra, spalancherà gli occhi attonito e dirà: «Signora, io non vi conosco!» Ma, caro signore, Marta Pace, benchè vecchia, brutta ed inferma, ha un cuore che sente con ardore giovanile. Ella non ha scordato, e col suo ultimo atto vuol dimostrare quanto viva sia la rimembranza, il bel garzone dalle rosee guance che un giorno la sollevò dal suolo coperto di ghiaccio, passò la sua mano avvizzita sotto il proprio vigoroso braccio, e con radiosi sorrisi e confortanti parole, scortò la vecchierella afflitta da reumatismi fino alla casa ove doveva porsi al riparo dalle intemperie invernali. «La signorina Marta ha un naturale amore della cortesia, e la deferenza mostrata da un gaio e bellissimo giovanetto all'invalida e spregiata vecchiezza d'una povera donna ha toccato in lei una corda sensibile. La signorina Marta possiede, non è un segreto, un piccolo tesoro, frutto dei suoi risparmi d'anni ed anni, e poichè ella non potrà vigilare sull'uso che ne sarà fatto, ha, dopo qualche intima lotta, risoluto di preservarlo da profanazioni trasmettendolo ad una persona dotata di vera gentilezza qual'è il signor Guglielmo Sullivan, persuasa ch'egli non farà mai disonore alla primitiva proprietaria, nè permetterà che le ricchezze da lei accumulate si sperdano per vie volgari.» Seguiva un inventario del patrimonio; bizzarro patrimonio composto d'un miscuglio eterogeneo di ogni sorta di valori, e infine un testamento redatto in forma accuratamente legale, che lo assegnava all'erede nominato senza aggravio alcuno di legati o altri obblighi. Non fu un agevole compito per Gertrude raccogliere e mettere in iscritto esattamente le idee che la confusa dettatura della vecchietta voleva esprimere; e tre o quattro ore passarono prima che il documento fosse ricopiato e la paziente e diligente scrivana libera di tornarsene a casa. Il cielo era nuvoloso, e una pioggia minuta cominciava a cadere quand'ella si mise in cammino; ma la distanza non era grande, e tutto il male si ridusse a una bagnatina. Emilia avvertì subito che i suoi vestiti erano un po' umidi. — Va' nel salotto, — le disse — e siediti accanto al fuoco. Io non scenderò che per il tè; ma c'è il babbo che gradirà molto la tua compagnia; è stato solo tutto il pomeriggio. — La fanciulla trovò il signor Graham nella sua poltrona, davanti a un bel fuoco di legna, sonnecchiando col giornale in mano. Ella prese un libro e una seggiola, e andò a porsi vicino a lui. Ma il calore essendo per lei eccessivo, si ritirò presto sur un sofà, all'altro lato della stanza. In quella udì una scampanellata alla porta d'ingresso. La serva, che appunto passava per l'atrio, aperse, e immediatamente fece entrare nel salotto il visitatore. Era Guglielmo! Gertrude si rizzò, ma tremava da capo a' piedi così forte, che non osò muovere un passo. Egli venne innanzi, la guardò, esitante, poi domandò inchinandosi: — La signorina Flint?... È qui? — Ella divenne di fiamma. Volle rispondere e non potè. Non era necessario, del resto. Quel rossore bastava. Guglielmo la ravvisò, mosse vivamente verso di lei, le afferrò la destra. — Gertrudina! È mai possibile? — La franchezza e la semplicità delle sue maniere, l'ardore con cui le aveva preso e le teneva stretta la mano tranquillarono alquanto la turbata giovanetta. Il ghiaccio era rotto. Le riapparve per un istante il caro ragazzo d'una volta, il compagno della sua infanzia, l'amico diletto. — Oh, Guglielmo, sei tornato finalmente! Sono tanto contenta di vederti! — Il suono delle loro voci destò il signor Graham che s'era appisolato e non aveva udito nè la scampanellata nè il passo del visitatore. Si voltò nel suo seggiolone, poi si alzò da sedere. Guglielmo abbandonò la mano di Gertrude e si fece incontro al padrone di casa. — Il signor Sullivan, — balbettò ella tentando di compiere secondo le regole la formalità della presentazione. E scambiata che ebbero i due signori la stretta di mano di prammatica, sedettero tutti e tre. Allora Gertrude fu ripresa dal suo turbamento. Non è raro il caso che, quando due amici intimi si rivedono dopo una lunga separazione, si salutino e s'abbraccino cordialmente, e poi, nonostante tutte le cose che avrebbero da dirsi e che fanno ressa nel loro cervello, cose da fornir materia di conversazione per una settimana, nulla d'importante venga loro sulle labbra, e a un momento di silenzio segua una qualche domanda insulsa o frivola, per esempio rispetto al viaggio dell'arrivato, al suo bagaglio, o simili. Ma ella non aveva bisogno di risposta neppur a queste. Aveva già veduto Guglielmo; sapeva da quanti giorni era di ritorno, e di dove fosse venuto, e perfino con quale piroscafo; mentre dall'altro canto le premeva di nasconderglielo. Il suo impaccio si comunicò a lui, e la presenza del signor Graham, che era una costrizione per entrambi, faceva peggiore il caso. Infine il giovane disse: — Quasi non vi riconoscevo, Gertrude: anzi non v'ho riconosciuta.... Come.... — Come siete venuto? — fece bruscamente il vecchio interrompendolo, senza aver l'aria d'avvedersene. — Con l'_Europa_, — rispose egli. — Sbarcai a Nuova York circa una settimana fa. — Intendevo qui, — replicò l'altro, piuttosto secco. — Avete preso l'omnibus? — Scusate, signore, — disse Guglielmo — non avevo capito. No, ho noleggiato un calessino. — S'è occupato qualcuno del vostro cavallo? — L'ho attaccato davanti alla casa. — Guglielmo andò alla finestra per vedere se l'animale fosse ancora dove l'aveva lasciato. Scendeva già il crepuscolo. Il signor Graham tornò ad accomodarsi nella sua poltrona, e si mise a guardare il fuoco. Seguì una seconda pausa, più penosa della prima. Questa volta ruppe il silenzio Gertrude, rispondendo all'osservazione interrotta: — Anche voi siete molto mutato. — Subito temè che le sue parole lo avessero ferito, potendo egli interpretarle in senso ben diverso, e di nuovo il sangue le affluì alle gote. Ma egli non parve addarsene. — Sì, — disse — il clima dell'Oriente produce notevoli alterazioni nell'aspetto di una persona; ma non credo d'esser mutato quanto voi. Pensate, Gertrude, ch'eravate una bambina quando io partii da Boston! Dovevo pur sapere che troverei una signorina fatta, ma non me la figuravo punto! — Quando lasciaste Calcutta? — Verso la fine di febbraio. Passai la primavera a Parigi. — Non me lo scriveste, — mormorò Gertrude con voce spenta. — No, perchè ero in procinto sempre d'imbarcarmi, e volevo farvi un'improvvisata. — Ella sentì di non aver mostrato la maraviglia che egli s'attendeva, e si confuse. Tuttavia ripigliò: — Fui veramente in pena per la mancanza di lettere; ma ci rivediamo, Guglielmo, e ne sono lieta di tutto cuore. — Oh, non potete esserne lieta al pari di me! — egli disse abbassando la voce e guardando la fanciulla con grande tenerezza. — Più vi guardo e più voi mi sembrate la _Gertrudina_ d'un tempo.... Comincio a credere però che avrei dovuto scrivere e annunziarvi il mio arrivo. — Gertrude sorrise. Le maniere di Guglielmo erano così immutate, le sue parole così affettuose, che sarebbe stata ingratitudine mettere in dubbio la sua amicizia, se anche ella non era più tutto per lui. — Ma no, — rispose — le improvvisate mi sono sempre piaciute. Non ve ne ricordate? — Se me ne ricordo? Io non ho scordato nulla di ciò che vi piaceva. — In quel momento gli uccellini indiani la cui gabbia pendeva nel vano della finestra presso la quale il giovane era seduto, presero a cinguettare come solevano verso sera. Egli alzò gli occhi. — Sono i vostri uccellini, — disse ella — quelli che mi mandaste da Calcutta. — Sempre tutti vivi e sani? — Sì, tutti. — Siete stata per loro una padroncina amorosa. Quelle creaturine sono tanto delicate! — Li ho molto cari. — Oh, voi, Gertrude, vi prendete tal cura di coloro che amate, da conservarli in vita quanto più a lungo sia possibile! — Il tono, meglio ancora che le parole, esprimeva il suo sentimento. Gertrude tacque. — La signorina Graham sta bene? — domandò Guglielmo. Ella rispose che i suoi nervi avevano sofferto una grande scossa nella terribile catastrofe per cui era passata; vennero così a discorrere del piroscafo incendiato, ma la fanciulla s'astenne dal dirgli che si trovava anche lei tra i passeggeri. Guglielmo parlò con viva commozione del disastro, biasimò severamente la temerità e la negligenza che lo avevano cagionato; e terminò dicendo che v'erano a bordo alcuni suoi pregiati amici, ma ch'egli ignorava che ci fosse tra essi la signorina Graham, da lui venerata ed amata per amor di Gertrude. A poco a poco la conversazione dei due giovani andava facendosi più spigliata, inclinava all'antica familiarità. Egli era venuto a sedersi sul canapè, accanto a lei, a fine di parlare più liberamente, perchè sebbene il signor Graham fosse, o almeno sembrasse di nuovo addormentato, non si poteva già dimenticare la sua presenza. Ma Gertrude evitava a bello studio certi soggetti sui quali sarebbe stato naturalissimo che s'intrattenessero, e anzi ch'ella manifestasse una curiosità affettuosa: le cause dell'inopinato ritorno di Guglielmo, la durata della sua permanenza in patria, i suoi disegni per l'avvenire, e segnatamente le ragioni che lo avevano indotto a differire più d'una settimana, dopo arrivato, la visita alla fida amica. Ella vietava a sè stessa queste domande. Non si sentiva preparata a ricevere nè a chiedere le sue confidenze su cose che indubitatamente concernevano il suo fidanzamento con Isabella Clinton; pertanto non solo non lo interrogò in proposito, ma si diede gran pena di stornare il discorso s'egli accennava a dirne qualche cosa. E Guglielmo, ferito nel profondo dell'anima da quell'apparente strana indifferenza, si ratteneva dal forzarla ad ascoltare particolari dei quali ella mostrava di non curarsi. Parlarono della vita di Calcutta, delle novità di Parigi, della scuola dov'ella aveva insegnato, e di molte altre cose, ma non dissero parola di ciò che stava loro sul cuore. Infine una delle persone di servizio si presentò sulla soglia, e, senza vedere Guglielmo, avvertì che il tè era pronto. Il signor Graham si rizzò, e si volse, dando le spalle al fuoco. Si rizzò tosto anche il giovane e fece per accomiatarsi. Con rigido tono d'urbanità il padrone di casa lo invitò a rimanere. Gertrude avrebbe voluto insistere perchè accettasse, ma egli ringraziò ricusando così recisamente ch'ella comprese che la poco graziosa accoglienza del signor Graham lo aveva offeso. Il vecchio gentiluomo non sentiva punta simpatia per i giovanotti in generale, e Guglielmo era venuto a disturbargli la beatitudine d'una di quelle ore di quiete e libertà, divenute piuttosto rare; inoltre, e questo era il peggio, ricordava sempre con amaro cruccio che Gertrude aveva abbandonato Emilia e lui (così egli considerava la sua coscienziosa elezione tra due doveri in conflitto tra loro) a fine d'assistere i parenti di quell'importuno visitatore. E, si capisce, questo ricordo non era proprio a conciliare al giovane Sullivan l'animo d'un uomo così caparbio e ostinato nei suoi pregiudizi. Gertrude accompagnò il suo amico fino alla porta di casa. La pioggia era cessata, ma il vento fischiava sotto il portico. Voleva essere una serata fresca. Guglielmo s'abbottonò l'abito, mentre s'accomiatava promettendo di ritornare il giorno seguente. — Non avete soprabito, — ella disse. — L'aria della notte è frizzante, e voi siete avvezzo a un clima caldo. Fareste bene a prendere questo scialle. — Tolse dall'attaccapanni un grave _plaid_ scozzese che ci si trovava sempre per un caso di bisogno. Egli se lo gettò sul braccio ringraziandola, poi le prese tutt'e due le mani tra le proprie, e la guardò fisso negli occhi, come se bramasse dirle qualche cosa. Ma visto ch'ella li distoglieva dal suo sguardo amoroso, si spiccò da lei, la salutò con viso turbato e scese la scalinata di corsa. Gertrude stette con la gruccia della porta in mano finchè udì risonare i passi del suo cavallo sulla strada, poi chiuse a precipizio e s'affrettò a nascondersi nella sua camera. Ella aveva sostenuto valorosamente la prova di quell'incontro tanto desiderato e tanto temuto, aveva recitato la sua parte con calma e naturalezza; ma adesso tutto il suo coraggio l'abbandonava; pensava ai giorni, ai mesi, agli anni futuri, e comprendeva che prove più tremende l'aspettavano. Se Guglielmo si fosse mutato essenzialmente, se fosse divenuto lo zerbinotto spensierato, galante, mondano, o l'uomo d'affari, di cuor freddo, e intento solo ai guadagni, ch'ella ultimamente, a volta a volta, s'era figurata di dover forse trovare in lui, se l'avesse salutata con gelida formalità, o con dura indifferenza, o con goffo riserbo, avrebbe potuto disprezzarlo, compatirlo o biasimarlo, e quindi amarlo meno. Ma ritornava qual'era partito: franco e generoso, affettuoso e virile; le manifestava la stessa calda cordialità, la stessa delicata tenerezza di prima. Insomma era il Guglielmo ch'ella aveva tanto sognato, tanto amato. Evidentemente, pur avendo dato il cuore ad un'altra, non dimenticava l'amica della sua adolescenza. Amava Isabella d'amore, ma conservava per Gertrude un sentimento quasi fraterno. E mai non s'era pensato d'essere per lei più che un fratello. Conveniva dunque ch'ella si preparasse a sopportare la pena crudele di vederlo e udirlo parlare della sua fidanzata, e augurargli ogni felicità come una sorella al buon fratello affezionato. Ella doveva vincere una passione di cui fino allora non aveva conosciuto tutta la potenza, e trasformarla in semplice amicizia. A quest'idea il suo povero cuore dolorante si gonfiava, palpitava con violenza selvaggia, irrefrenabile. Si gettò sul letto, nascose la faccia nel guanciale, e pianse. La scosse una leggera picchiata all'uscio. Credendo che la chiamassero per il tè, disse senza alzarsi: — Siete voi, Gianna? Non ho voglia di prender nulla stasera.... — Non vengo per questo, signorina; — rispose la ragazza — c'è una lettera. — Gertrude balzò a terra e corse ad aprire. — Un ragazzino me l'ha consegnata, ed è scappato a gambe, — proseguì Gianna mettendole in mano un plico voluminoso. — M'ha raccomandato di darvela immediatamente. — Portatemi un lume, — disse ella. Mentre la servetta andava per il lume, Gertrude esaminava il plico cercando d'indovinare che potesse contenere quella missiva di così straordinarie dimensioni e tanto pesante. Non credeva possibile che fosse la risposta del signor Amory: l'aspettava al più presto entro il giorno seguente. Da chi mai proveniva? Ma non appena Gianna rientrò recando luce nella stanza, ella riconobbe la scrittura di lui: ansiosamente ruppe il suggello ed estrasse dalla busta parecchi fogli coperti di fitti caratteri. Li lesse con un'avidità e un'intensa commozione, che la grave importanza del contenuto ben giustificava. XLVI. Ha rapide e violente ore la vita Che nel precipitoso corso l'opra Fanno d'una tempesta.... HEMANS. Il manoscritto diceva così: «Figliuola mia, mia dolce e amorosa creatura. «Poichè tu stessa m'incoraggi assicurandomi che il peggiore dei miei timori era infondato (il timore che fin dalla tua fanciullezza il mio nome fosse stato infamato al tuo orecchio e il tuo giovane cuore avesse appreso ad aborrire tuo padre); poichè posso fare appello a te come a un giudice imparziale, ti rivelerò il dramma della mia vita; e ti proverò così che sei veramente mia figlia confidandomi che tu almeno mi crederai e m'amerai ad onta dell'ingiustizia del mondo. «Non voglio nasconderti nulla. Voglio palesare anzi subito ciò che più pavento di dire: le spiegazioni che seguono varranno, spero, ad attenuare l'orrore della mia storia. «Il signor Graham è il mio patrigno, e la mia santa madre, morta da lunghi anni, fu in tutto, fuorchè nell'opera della natura, la vera madre d'Emilia. Ma quantunque io sia, a questo titolo, congiunto di coloro che tu ami tanto, mi divide da essi una terribile maledizione: perchè fu la mia quella mano sciagurata che precipitò l'infelice Emilia in perpetue tenebre, (oh, non odiarmi ancora, Gertrude!). E non è tutto: a questo fatto orrendo s'aggiunse una grave accusa che mi denigrava agli occhi dei miei simili: l'accusa d'un delitto basso e vergognoso. Pure, io che vivo sotto un bando, io che vo errante per il mondo col cuore spezzato, vittima d'un funesto destino, sono innocente d'ogni colpa volontaria, come tu sarai persuasa se puoi fidare nella veracità di ciò che ti narro. «La natura mi diede e l'educazione alimentò in me uno spirito ribelle. Ero l'idolo di mia madre, donna di debole complessione, la quale sebbene m'amasse d'un amore per cui benedico sempre la sua memoria, non aveva l'energia necessaria a domare e governare la mia indole appassionata e pertinace. Tuttavia, per quanto indisciplinato, non inclinavo nè alla malvagità nè al vizio; m'arrogavo bensì un dominio incontrastabile, tanto a scuola che a casa, ma mi facevo molti amici, e nessun nemico. Quand'ecco d'un tratto fu posto un freno all'estrema libertà di cui godevo. Mia madre, ch'era vedova, sposò il signor Graham, e subito sentii gravare duramente la mano del suo secondo marito sulla mia indipendente adolescenza. S'egli m'avesse trattato con benignità, se si fosse cattivato il mio affetto (come gli sarebbe stato agevole, perchè il mio cuore ardente e sensitivo era disposto alla tenerezza e alla gratitudine), egli avrebbe potuto avere un immenso influsso sul mio carattere non ancora formato. «Invece fu il contrario. Egli usò verso di me un contegno pieno di glaciale freddezza e di sussiego. Al primo tentativo d'accostarmi a lui, fatto per esortazione della mamma, chiamandolo col nome di padre, venni respinto sdegnosamente, sicchè mi guardai bene dal ricadere in questa colpa. Ma di quel titolo ch'egli rifiutava, assumeva però tutti i privilegi e tutta l'autorità, ferendomi così nei sentimenti più delicati e nei più fieri, ed eccitando in me uno spirito di ribellione ad ogni suo comando. «Due cose in ispecie mi amareggiavano e accrescevano la mia avversione contro il prepotente patrigno: l'una era l'assoluta dipendenza dalla sua liberalità in cui sapevo di trovarmi; l'altra la confidenza fattami imprudentemente, benchè con benevole intenzioni, da una persona di servizio ch'era da molto tempo in casa Graham, circa l'origine della sua antipatia per me: la quale pare fosse un'antica inimicizia tra lui e mio padre, uomo onorevole e di alti sensi, a cui ero superbo di rassomigliare, come mi affermavano quelli che lo avevano conosciuto. «In questa guerra disuguale io mi trovavo soverchiato dalla forza preponderante del nemico; ero ancora un ragazzo, soggetto a tutela, e dall'altra parte non potevo rimaner sordo alle implorazioni di mia madre che mi supplicava di sottomettermi per amor suo. Quindi io, soltanto in qualche caso, quando mi pareva d'essere stato trattato con troppo oltraggiosa ingiustizia, mi ribellavo apertamente; ed anche allora c'era chi s'adoperava a ricondurre la pace, e almeno l'apparenza della buona armonia, in famiglia. «Così passarono parecchi anni, e, se non giungevo ad amare il signor Graham, tuttavia la potenza dell'abitudine, i miei studi che m'occupavano e m'appassionavano, e una crescente padronanza di me stesso, conferivano a rendermi più tollerabile la vita nella casa del patrigno. «E poi c'era qualche cosa che mi compensava di tutte le mie pene: il mio amore per Emilia, la quale vi corrispondeva con pari tenerezza. Non l'amavo già perchè era una preziosa mediatrice tra me e suo padre, nè perchè si assoggettava pazientemente a tutte le mie volontà e m'aiutava in tutti i miei disegni; ma perchè le nostre anime erano fatte l'una per l'altra, e più si sviluppavano e s'espandevano, più forte le avvinceva un legame che solo una mano barbara poteva strappare e spezzare. Non mi dilungherò sull'ardore e la profondità di quest'affezione: basti il dire ch'era divenuta la vita della mia vita. «Mia madre morì. Io ero purtroppo allora, a mal mio grado, impiegato nel banco del signor Graham, e abitavo sempre in casa sua. D'improvviso, senza ragione e senza scusa, egli cominciò a modificare la nostra vita domestica, seguendo una condotta non meno stolta che crudele, la quale irritava il mio orgoglio, torturava i miei sentimenti, eccitava la mia focosa natura a segno da rendermi quasi pazzo. Si era proposto di privarmi dell'unico bene che m'allietasse, che addolcisse i rigori della mia sorte: l'amore d'Emilia. Tralascio di raccontarti i motivi che io gl'imputavo, i mezzi ch'egli usava: ma erano tali da cambiare la mia antipatia per lui in odio amarissimo, la mia riluttante obbedienza ai suoi voleri in aperta e deliberata opposizione. «Lungi dal rassegnarmi a un divieto che stimavo tirannico, cercavo la compagnia d'Emilia in ogni maniera, e persuadevo la gentile fanciulla a prestarsi ai miei strattagemmi per sventare i disegni di suo padre. Io non le parlavo d'amore, non tentavo di legarla a me con una promessa, non accennavo al matrimonio: un senso d'onore me lo proibiva. Ma con una giovanile audacia che, temo, era il colmo della follia e dell'imprudenza, coglievo tutte le opportunità, fosse anche presente il signor Graham, per manifestare la mia ferma determinazione di mantenere liberamente con lei quella familiarità affettuosa ch'era nata dalle circostanze, e non poteva essere più repressa se non con la forza. «Emilia cadde malata, e durante sei settimane non mi fu concesso di vederla un momento. Non appena ella fu in istato d'uscire dalla sua camera, spiai costantemente un'occasione di parlarle. Alfine mi si offerse. Eravamo da un'ora insieme nella biblioteca, quando il signor Graham venne a sorprenderci. Egli s'avanzò verso di noi con una faccia di cui mai non scorderò la durezza e la severità. Io non mi sgomentai di quell'intrusione credendomi preparato a sfidarne le probabili conseguenze; ma non potevo aspettarmi un attacco di ben altra natura. «Ch'egli mi rimproverasse di disobbedienza a desiderî da lui datimi a intendere in ogni possibile modo, che mi dichiarasse più esplicitamente la sua risoluzione di mettere una barriera tra la sua figliuola e me, erano cose ch'io prevedevo, e mi trovavo apparecchiato a rispondergli: ma quando egli proruppe in sanguinose e volgari ingiurie, quando furiosamente m'investì con ignobili accuse, apponendomi fini egoistici e vili in cui neppure per un attimo s'era mai fissato il mio pensiero, ammutolii dallo stupore e dalla collera. «Nè questo fu il peggio. In presenza della pura giovanetta ch'io adoravo egli m'imputò d'uno dei più bassi, più neri delitti, del delitto di falso, affermando che la mia colpa, allora allora scoperta, era provata, indubitabile. «L'ira che m'ardeva dentro divampò. Alzai la mano, strinsi il pugno. Che fossi in procinto di fare non so dirtelo. Avrei trovato parole per asserire la mia innocenza, respingere la calunnia, dimostrare la falsità dell'imputazione? O, mancandomi la voce soffocata dal furore, mi sarei slanciato sul mio patrigno, scostandolo da me con violenza, buttandolo forse a terra, e sarei corso fuori per calmarmi all'aria aperta e raccogliere il mio spirito? Non posso congetturarlo, perchè in quel punto un acuto grido d'Emilia mi richiamò in me; e nel volgermi la vidi cadere svenuta sul divano. «Ella pareva colpita a morte dall'orrore di quella scena. Dimenticando ogni altra cosa mi precipitai verso di lei, ansioso di soccorrerla. Accanto al divano c'era un tavolino sul quale stavano parecchie boccette. Frettolosamente ne afferrai una, e nella mia agitazione m'accadde di versarne il contenuto, ch'io credevo un'essenza corroborante, sulla faccia d'Emilia, la quale giaceva supina.... Io non so di che si componesse la funesta mistura, ma ahimè, gli effetti ne furono evidenti.... l'atto irrimediabile era compiuto.... e compiuto per mia mano! «Lo spasimo atroce ridestò nella sventurata fanciulla la coscienza della vita. Ella balzò dal divano e, urlando selvaggiamente, le braccia alzate sul capo, come una pazza, si diede a correre attraverso la stanza, poi s'acquattò in un angolo. Io la seguii disperato, in preda a un'angoscia quasi pari alla sua; ma ella mi respinse, stendendo le mani con grida strazianti. «Il signor Graham, che su quel subito era rimasto impietrito, s'avventò allora contro di me, furibondo. Invece d'aiutarmi nei miei sforzi per sollevare la povera Emilia da terra, egli, senza alcuna pietà del mio stato, che era poco meno compassionevole di quello di lei, inveì ferocemente, rimproverandomi con parole crudeli, torturanti, che mi suonano ancora all'orecchio, d'esser la sola causa della disgrazia, accusandomi d'avergli uccisa la sua figliuola; e detto ch'ebbe, mi cacciò dalla stanza e dalla casa, espulsione alla quale io, schiacciato dal dolore e dal rimorso, non avevo la forza nè il desiderio d'oppormi. «Oh, quanto fu terribile la notte, quanto terribile il giorno seguente! Non posso darti un'idea di come li passai. Fino all'alba andai errando per la campagna, cercando invano di collegare i miei pensieri, di riacquistare un po' di calma. Ma al riapparire della luce, sebbene avessi ancora il polso febbrile e il cervello eccitato, cominciai a comprendere la necessità di tracciarmi una via di condotta. «La condizione infelicissima d'Emilia, l'ansia intensa di conoscere i peggiori effetti dell'orrendo caso, mi sollecitavano a recarmi furtivamente o palesemente, ma il più presto possibile, alla casa del signor Graham. Inoltre, tutto il poco ch'io possedevo, consistente, quanto a denaro, nel solo residuo del mio ultimo trimestre di stipendio, e quanto al resto nei miei indumenti e qualche oggetto di valore donatomi da mia madre, si trovava nella camera da me fino allora occupata. Non potevo quindi evitare di ritornarci almeno una volta. E presa questa risoluzione mi riposi in cammino verso la città, pronto, se era necessario, per ottenere notizie d'Emilia, anche ad incontrarmi a faccia a faccia con suo padre. «Tuttavia, quando fui vicino alla casa, titubai, non osai proseguire. Il signor Graham non mi aveva nulla risparmiato, neppure la minaccia d'espellermi con la violenza se osassi ripresentarmi sulla sua soglia: ed io temevo d'avventurare il mio temperamento focoso in una colluttazione con quell'uomo al quale avevo fatto già male abbastanza. «Non avevo io forse col terribile mio atto della sera innanzi, atto di cui già presagivo le funeste conseguenze, desolato la vita dell'unica e adorata sua figliuola, sepolto sotto un nero pallio le sue più care speranze? No, per nulla al mondo non avrei voluto aggiungere al mio involontario misfatto la colpa d'alzar la mano su colui che per quanto ingiusto fosse stato verso un giovanetto innocente, era punito con un castigo assai troppo severo. «Io sapevo che il suo furore era implacato, che egli avrebbe potuto eccitare il mio fino alla frenesia, e però mi proposi di non affrontarlo inconsideratamente. Un colloquio con lui dovevo averlo, a fine di confutare le calunniose accuse portate a mio carico; ma non tra le mura della sua casa, dove sua figlia soffriva per causa mia. Là, nel banco dove egli pretendeva ch'io avessi commesso un falso, ed, in presenza de' miei colleghi, avrei pubblicamente negato il delitto appostomi, e sfidato l'accusatore a darne le prove. «Ma anzi tutto bisognava ch'io vedessi Emilia, o che almeno avessi sue notizie. Prima d'incontrarmi con quel padre, conveniva che conoscessi esattamente la natura e la gravità del male ch'io gli avevo fatto nella sua creatura. E per questo m'era forza attendere il favore delle tenebre, ed introdurmi nella casa di soppiatto. «Vagai tutto il giorno, assillato dal mio cruccio, senza gustare nè desiderare cibo e riposo. Il pensiero della mia povera, adorata, torturata Emilia m'era presente sempre, mi tormentava indicibilmente. Le ore mi parevano eterne. Quella giornata conta ne' miei ricordi quanto un anno intero di miserie. Scese alfine la notte: una notte oscura, nuvolosa. L'aria era densa d'una nebbia così fitta, che nascondeva ogni cosa intorno alla distanza di pochi passi. La casa non m'apparve che quando fui davanti al portone. C'era fermo un legno che io riconobbi per il carrozzino del dottor Jeremy. Sussultai. Le sue visite ad Emilia erano cessate da più d'una settimana: lo avevano dunque richiamato a cagione della disgrazia! Data la presenza del medico, doveva esserci di certo anche il signor Graham. Perciò non entrai, e celato dalla nebbia attesi il momento opportuno. «Da uno spiraglio del portone potevo esplorare con lo sguardo l'interno dell'atrio. Vidi due volte la signora Ellis scendere e risalire; alfine scese il dottore, a passi lenti: il signor Graham lo seguiva, e poichè quegli se n'andava direttamente, lo trattenne per interrogarlo sullo stato della figliuola, come arguivo dalla profonda ansietà che si dipingeva nel suo volto, mentre con una mano sulla spalla di quel vecchio amico della famiglia cercava di leggergli negli occhi la sua opinione. Il dottore mi volgeva il dorso, e io non potevo giudicare delle sue risposte se non dall'effetto che producevano sul padre d'Emilia, il quale nell'aspetto già sconvolto, abbattuto, tradiva un'angoscia crescente ad ogni sillaba proferita dalle labbra del medico le cui oneste e sincere parole erano oracoli per chi conosceva la somma sua perizia. «Non occorrevano quindi altre testimonianze perchè fosse ribadita in me la certezza che il fato della sventurata fanciulla era irrevocabile; e guardando con pietà l'afflitto padre, pensando con terrore ch'io ero l'agente immediato in quell'opera di distruzione, sentivo ch'egli non poteva maledirmi più fieramente di quanto io maledissi me stesso. Ma per grandi che fossero il mio dolore e il mio pentimento, non mai scemati, d'aver avuto parte nello scatenarsi di quella tempesta in cui la giovanetta era così miseramente naufragata, non giungevo a dimenticare che ben maggior colpa ne aveva il signor Graham, nè a perdonargli la scellerata ingiustizia e gli oltraggi che mi avevano tratto di senno e snervato per modo da rendere uno strumento di rovina la mia mano tesa a recare soccorso. «Quando poi, partito il dottor Jeremy, uscì anche il mio patrigno, ed io, osservandolo mentre passava sotto un lampione, vidi che all'espressione di dolore già era succeduta sulla sua faccia quella consueta di sussiego, di compiacimento di sè e d'arroganza; quando compresi, udendo il picchiare sonoro e misurato della sua mazza sul lastrico, ch'egli era assai lontano dalla mia umiltà e dalla mia contrizione, cessai di sprecare quei sentimenti pietosi di cui egli non pareva aver gran bisogno e che ancor meno meritava. Non compiansi più che me solo, e fissai il mio sguardo su quella figura d'uomo duro e superbo, con l'anima riboccante d'un odio implacabile. «Non ritrarti da me, mia Gertrude, nel leggere questa franca confessione della mia natura appassionata e in quel momento eccitatissima. Tu forse non sai che sia odiare; ma fosti mai posta a simili prove? «Non appena il signor Graham ebbe svoltato il canto, m'avvicinai alla casa; il portone era chiuso, ma avevo la mia chiave: apersi ed entrai. Tutto pareva tranquillo: nelle stanze terrene non c'era nessuno. Salii pian piano, passai in una stanzina in fondo al corridoio che metteva nella camera d'Emilia ed aspettai un pezzo. Non s'udiva una voce, non si vedeva anima viva. Alfine, temendo che il mio patrigno ritornasse presto, risolsi d'andare nella camera mia, ch'era al secondo piano, a prendere il mio denaro ed alcuni oggetti di valore di cui non volevo privarmi, e poi scendere nella cucina ed ottenere almeno quelle notizie d'Emilia che avrebbe potuto darmi la cuoca, certa signora Prime, donna d'ottimo cuore, la quale, n'ero sicuro, m'avrebbe compatito. «Mi riuscì d'attuare la prima parte del mio disegno, ma a piè della scala di servizio m'imbattei nella signora Ellis che veniva dalla cucina con una tazza di brodo in mano. Costei era in casa Graham da poche settimane, messavi per ispiare le mie azioni, e perciò a me invisa. Ella conosceva tutti i particolari della disgrazia, ed era stata testimone della mia espulsione. Al vedermi si fermò di botto, gettò un grido soffocato, lasciò cadere la tazza e fece l'atto di fuggire, come davanti a una bestia feroce: infatti il mio aspetto in cui si dipingevano una selvaggia disperazione e il digiuno e la stanchezza, doveva darne l'idea.... «Io le sbarrai il cammino e la forzai ad ascoltarmi. Ma prima ch'io potessi rivolgerle la domanda che mi bruciava le labbra ella proruppe, confermando i miei più atroci timori: «— Via di qui, ribaldo, via! Volete accecare anche me? «— Dov'è Emilia? — gridai. — Permettete ch'io la vegga! «— Vederla, voi? Orribile scellerato! No, ha già troppo sofferto per causa vostra. Pensa anche lei che basta, oramai. Lasciatela in pace. «— Che intendete dire? — io feci con un urlo, scotendo violentemente per le spalle la governante le cui parole mi sbranavano il cuore, mi rendevano frenetico. «— Che intendo dire? — ella continuò. — Che Emilia non vedrà mai più nessuno: e quando pur avesse mille occhi, voi non vorrebbe vedervi certo! «— Dunque anch'ella mi odia? — io esclamai, piuttosto parlando a me stesso che interrogando la donna. «Ma ella rispose prontamente: «— Se vi odia? Oh, sì, e peggio.... Non può trovare termini abbastanza severi per voi.... Mormora fino tra' suoi spasimi: «Crudele! Malvagio!» E via dicendo. Il suono del vostro nome la fa raccapricciare, e a noi tutti è proibito di pronunziarlo in sua presenza. — «Non aspettai d'udir altro: mi volsi e mi precipitai fuori. «Quella fu la crisi della mia vita. Il fulmine mi aveva colpito e atterrato. Speranze terrene, felicità, fortuna, buon nome, tutto già era perduto; un'unica luce solitaria brillava ancora nelle mie tenebre: l'amore d'Emilia. In esso fidavo; solo in esso. Ed ecco che perdevo anche quello; e ciò era perdere la mia giovinezza, la mia fede, la suprema speranza del Cielo. Io non ero più niente sulla terra: poco m'importava dove andassi nè che avvenisse di me. «Da quel momento cessai d'esser _io_. Scese su me la nube che da allora m'avvolge e sotto la cui oscura ombra tu mi vedesti e conoscesti. Fui tocco da quel male che mutò il gaio mio riso in un sorriso amaro, che diede i toni dell'ironia mal celata e del sarcasmo al mio parlare, un tempo franco e piacevole. I miei capelli incanutirono precocemente, i miei lineamenti presero un'espressione dura, spesso severa; i miei simili, per i quali nobilmente ambivo divenire un benefattore, m'apparvero come antagonisti armati contro cui avrei dovuto sostenere una perpetua guerra; e il Dio che avevo adorato, nel quale avevo creduto come in un amico fedele e un giusto vendicatore, chi era Egli? dove era Egli? perchè non faceva trionfare la mia innocenza? Di qual nero e premeditato delitto ero colpevole perchè mi abbandonasse così? Ahimè, sventura somma fra le mie sventure, avevo perduto la fede nel Signore. «Non so da qual parte mi diressi, uscendo dalla casa del signor Graham. Le strade che attraversai m'erano, senza dubbio, tutte familiari, ma non ne rammento neppur una: soltanto so che non mi fermai finchè non venni a trovarmi all'estremità d'una banchina, con gli occhi fissi sull'acqua profonda, tentato di spiccare pazzamente un salto e inabissarmi nell'oblio eterno! «Senza quell'ultimo colpo che aveva abbattuto la mia virile energia, mi sarei attaccato ancora alla vita, almeno per rivendicare la mia buona fama; non avrei mai voluto lasciare di me una memoria denigrata da cui gli uomini m'avrebbero giudicato e su cui Emilia avrebbe pianto. Ma ora che m'importava più della gente? Ed Emilia? Aveva cessato d'amarmi, e però non si sarebbe afflitta: ed io non bramavo più altro che la tomba, il nulla. «Vi sono istanti nella vita in cui una parola, uno sguardo, un pensiero, possono pesare sulla bilancia, del fato, e determinare un destino. «Così m'avvenne. Io ero incapace di concepire un qualsiasi disegno: il caso risolse per me. Un rumore di remi nell'acqua mi scosse dalla mia apatia; pochi minuti dopo una barchetta venne ad ormeggiarsi a breve distanza dal posto dove stavo. Tostò udii da presso, sulla banchina, un passo rapido e sonoro, e voltandomi vidi al lume della luna che usciva appunto da un cumulo di nubi, un robusto uomo di mare con una grave giacca impermeabile sotto il braccio destro e una vecchia sacca da viaggio nella mano sinistra. Egli aveva una faccia rubiconda e gioviale, e nel passarmi accanto per saltare nella barca dove due marinari lo aspettavano, coi remi stillanti sollevati, pronti a rituffarli, mi picchiò cordialmente una spalla esclamando: «— Ebbene, mio bel signorino, v'imbarcate con noi? — «Senza esitare io risposi di sì. L'uomo diede un'occhiata alla mia faccia, e un'altra al mio vestito, il quale parve fargli pensar bene di me circa la condizione sociale e la possibilità di pagare la traversata; e disse ridendo: «— A bordo, dunque! — «Con suo stupore, perchè aveva creduto che scherzassi, io saltai nella barca, e alcuni minuti dopo mi trovavo a bordo d'una bella nave a tre alberi, in procinto di salpare: non sapevo per dove. «Appena in capo a due o tre giorni di navigazione appresi ch'era diretta a Rio Janeiro: ma a me, qua o là, faceva lo stesso. «Io non ero l'unico passeggero: avevo per compagna di viaggio la figliuola del capitano, a nome Lucia Grey, la quale sembrava a casa propria, tanto sopra coperta che sotto. Durante la prima settimana quasi non m'accòrsi della sua presenza, e probabilmente avrei compiuto l'intera traversata senza occuparmi di quella giovanetta, mezzo bambina, mezzo donna, se il mio strano e misterioso contegno non l'avesse tratta a condursi verso di me in un modo che mi maravigliò e finì col commuovermi. La mia aria selvaggia e smarrita, la mia continua irrequietudine, la ripugnanza che avevo per il cibo, l'indifferenza che mostravo per tutto quanto m'accadeva dintorno, la colpirono ed eccitarono la sua compassione. Da principio mi credette squilibrato di mente, e mi trattò come tale. Spesso veniva a sedersi sulla tolda, di fronte a me, e stava a guardarmi per un'ora buona, ignorando o non curandosi d'essere a sua volta osservata: poi se n'andava con un profondo sospiro. Ogni tanto m'offriva qualche bocconcino prelibato, pregandomi che mi sforzassi di mangiare; e poichè io, commosso da quella gentile benevolenza, accettavo più volentieri il nutrimento dalla sua mano che da un'altra, queste piccole attenzioni divennero quotidiane. «A misura però che il mio aspetto e le mie maniere si ricomponevano, e il tormento febbrile a cui ero in preda si quotava in una malinconia profonda ma meno torbida e fiera, ella si comportava con maggiore ritegno; e quando cominciai ad essere più simile al comune degli uomini, a sedermi a tavola con gli altri, a dormire nel mio camerotto una parte almeno della notte invece di passarla tutta passeggiando sul ponte, Lucia cessò di frequentare quella parte della nave dove solevo stare durante la giornata; sicchè di rado avevo occasione di scambiare una parola con lei, se non la cercavo apposta. «Ma avemmo tempi burrascosi che mi costringevano a cercare rifugio nella cabina, e là quasi sempre m'incontravo con la fanciulla che, seduta sulla traversa di poppa, leggeva o contemplava le onde agitate. Il viaggio era lungo; necessariamente quindi ci si trovava spesso insieme, tanto più che il capitano Grey, quegli che m'aveva scherzosamente invitato ad imbarcarmi, continuava a mostrare una cordiale simpatia per me, e incoraggiava benignamente quell'amicizia considerandola come un aiuto a trarmi dal mio stato di malinconia, il quale sembrava stupire e addolorare il gioviale comandante del bastimento quasi quanto la sua pietosa e sensitiva figliuola. «La timidità di Lucia andava a poco a poco dissipandosi, e molto innanzi il termine della traversata io non ero più un estraneo per lei. Ella parlava meco familiarmente, o, piuttosto, _mi_ parlava: perchè mentre io, nonostante qualche accenno di curiosità da parte della ragazza, mantenevo un rigido silenzio circa i casi miei, ai quali non potevo nemmeno _pensare_ nonchè _discorrerne_, ella, in compenso, s'ingegnava d'intrattenermi raccontandomi la storia della sua vita, di cui mi riferiva con semplice franchezza quasi tutti i particolari. «A volte l'ascoltavo attento; a volte, assorto nelle mie dolorose riflessioni, non udivo più la sua voce e dimenticavo la sua presenza. Allora ella s'interrompeva, e quando, scotendomi dalla mia fantasticheria, alzavo subitamente gli occhi, sorprendevo il suo sguardo fisso nel mio volto con un'espressione di rimprovero che mi faceva raccogliere tutta la mia forza di volontà per mostrare di prestarle una seria attenzione, che spesso ella alfine riusciva a cattivarsi davvero. «Fino ai quattordici anni Lucia era vissuta con sua madre in una casina sul Capo Cod. Soltanto a rari intervalli il focolare domestico veniva rallegrato dal ritorno del padre da uno de' suoi lunghi viaggi. Di solito si recavano in quelle occasioni nella città dove il bastimento era approdato, passavano alcune settimane in continuo tripudio, e poi se ne tornavano a piangere la partenza del gaio capitano, e a contare le settimane e i mesi che dovevano trascorrere prima di rivederlo. «E infine avvenne che la madre ammalò e morì. Lucia mi diceva con parole commoventi il suo immenso dolore, e quanto amaramente il babbo aveva pianto apprendendo al suo arrivo la triste notizia; mi narrava la sua vita a bordo della nave che dopo la perdita della mamma era divenuta la sua casa; mi confidava come si sentisse mesta e abbandonata quando infuriava la burrasca ed ella, mentre il capitano era al suo posto sul ponte, sedeva sola sola nella cabina, ascoltando l'urlo del vento e il ruggito delle onde. «Ella aveva gli occhi gonfi di lacrime nel parlare di queste cose, ed io la guardavo con pietà come una che il dolore faceva mia sorella. Ma le prove sofferte non potevano tuttavia soffocare in lei i vivaci e baldi spiriti giovanili. Cinque minuti dopo finito di raccontare con patetica eloquenza un episodio delle sue precoci peripezie, se il padre, sempre allegro, capitava a sorprenderla con qualche burletta e a stuzzicarla provocando le sue rappresaglie, ella era già bell'e pronta a un duello di frizzi, e perfino di scherzi un po' rudi. La cabina o la tolda risonavan di chiassose risate, di motti giocosi, le malinconie erano dimenticate; e io, rifuggendo da una gaiezza che mal s'accordava con la mia infelicità e feriva i miei nervi irritati, mi ritiravo in qualche angolo remoto a meditare e piangere su miserie per le quali non potevo sperare simpatia, cui nessuno poteva partecipare, che dovevo soffrire solo, senza conforto. «Le mie sventure m'avevano reso così misantropo, che la gara di piacevolezze tra il buon capitano e la sua vispa figliuola, il riso musicale con cui la fanciulla rispondeva alle barzellette di due o tre vecchi marinari privilegiati, mi urtavano come un'offesa: nè avrei creduto possibile che una creatura tanto poco atta a comprendere le profonde mie pene, come Lucia, provasse per me una compassione sincera, se non avessi talvolta veduto, non senza commozione, la sua innocente ilarità cadere d'un tratto, e dar luogo ad un'aria grave e triste, quando per caso i suoi sguardi incontravano il mio viso addolorato, reso più scuro ancora dal contrasto con la sua allegria e quella de' suoi compagni. «Ma non devo più dilungarmi sulla nostra vita a bordo, perchè ho da riferire gli eventi di anni, e conviene ch'io mi tenga nei limiti d'una concisa esposizione dei fatti. M'astengo dunque dal descriverti la spaventosa tempesta durante la quale, per due giorni e una notte, la povera Lucia fu pazza di terrore, e che a me, noncurante dei disagi, indifferente al pericolo, diede occasione di contraccambiare la sua benevolenza, prodigandole tutte le cure e tutti i conforti ch'era in mia facoltà darle. Ma questo ed altri casi del lungo viaggio, conferirono a farle concepire una fiducia in me che quando fummo arrivati in porto mi pose a una difficile prova, piuttosto impacciante. XLVII. Non rigettar La mia preghiera! Questo lungo errare Sempre più lunge, troppo m'ha estenuato, Nè so una spiaggia dove il disperato Mio dolor possa mai requie trovare. E. B. BROWNING. «Il capitano Grey morì. Eravamo a circa sei o sette giorni di navigazione da Rio Janeiro quando cadde improvvisamente ammalato, e tre giorni innanzi che gettassimo l'àncora in quel porto esalò l'ultimo respiro. Io aiutai Lucia ad assisterlo, gli chiusi gli occhi, e portai tra le mie braccia la fanciulla svenuta, in un'altra parte della nave. Le feci riprendere i sensi, e tentai di confortarla con parole affettuose; ma quando ella ebbe piena coscienza della sua sventura, s'abbattè in una cupa disperazione più penosa a vedersi che la precedente assoluta insensibilità. «Suo padre non aveva in alcun modo provveduto a lei; nè invero egli avrebbe potuto farlo come provò in seguito lo stato de' suoi affari. Ben a ragione la poveretta si doleva della triste sua sorte, perchè ella si trovava senza altri parenti e senza denaro, e doveva sbarcare in una terra straniera che non offriva alcun ricovero all'orfana. «Seppellimmo il capitano in mare. Compiuto il lugubre ufficio, andai in traccia di Lucia, e procurai novamente, come già m'ero provato senza alcun successo, di destare in lei il sentimento della sua condizione, e deliberare sul da farsi, posto ch'eravamo già vicini al porto, e tra alcune ore saremmo stati costretti a lasciare il bastimento e cercare alloggio nella città. Ella m'ascoltò, ma non aprì bocca, «Infine accennai alla necessità di separarci, e le domandai che idee avesse per il suo avvenire. La sua risposta fu uno scoppio di lacrime. «Io manifestai tutta la mia pietà per il suo cordoglio, la esortai a non disperarsi. «Allora, tra i singhiozzi, e interrompendosi spesso per dare in esclamazioni di dolore, ella si raccomandò con semplicità infantile alla mia compassione, supplicandomi di non lasciarla, anzi diceva di non «abbandonarla», ricordandomi ch'era sola al mondo, e che toccando terra sarebbe stata sperduta in paese straniero, implorando la mia misericordia perchè la salvassi dal morire derelitta e disperata. «Che dovevo fare? Mi trovavo anch'io solo e sperduto, la mia vita non aveva alcun fine. Eravamo tutt'e due del pari, orfani e desolati. Non v'era che un punto di differenza: io potevo lavorare e proteggerla, ella non era in grado d'aiutarsi. A _me_ ella offriva una ragione di vivere: il rifugio ch'io avrei offerto _a lei_, per quanto povero, sarebbe stato sempre qualche cosa di meglio che il rimanere esposta ad ogni sorta di sofferenze e di pericoli. Io le dissi chiaramente che ben poco avevo da darle; perfino il mio cuore era spezzato. Ma volentieri avrei lavorato per sostentarla, l'avrei difesa, consolata, e forse anche amata, col tempo. «L'ingenua fanciulla non pensava al matrimonio invocando il mio appoggio: cercava la protezione d'un amico, non già un marito. Io le spiegai che soltanto il vincolo coniugale poteva impedire la nostra separazione, ed ella nell'umiltà della sventura finì con l'accettare la mia non molto lusinghiera profferta. «L'unico confidente del nostro subitaneo fidanzamento, l'unico testimonio della cerimonia nuziale, seguita poche ore dopo, fu un vecchio marinaro, un veterano incotto dal sole e dai venti, che aveva conosciuto ed amato Lucia fin da bambina, e il cui nome ti sarà probabilmente familiare: Ben Grant. Egli scese a terra con noi e ci accompagnò alla chiesa, che fu la nostra prima mèta, e poi nel più che modesto alloggio di cui bisognava per allora contentarsi. Il buon uomo si dedicò alla figlia del suo capitano con abnegazione; ma ahimè, in un frangente che or ora saprai, il suo zelo fu malinteso e riuscì funesto. «Dopo molte difficoltà ottenni un impiego da un negoziante nel quale riconobbi per caso un ottimo amico del mio defunto padre. Egli era stabilito a Rio da parecchi anni, ed esercitava un vasto traffico. Volentieri m'accolse nella sua casa commerciale in qualità di commesso, e di tanto in tanto mi mandava anche a trattare affari in posti più o meno lontani. Le mie occupazioni erano regolari e proficue, sicchè presto non solo fui al riparo dal bisogno, ma potei procurare alla mia giovane sposa una certa agiatezza, se non il lusso. «Il suo carattere dolce, il buon animo e l'umor gaio con cui aveva sopportato le privazioni, l'ardore de' suoi sforzi per rendermi felice, non rimasero senz'effetto. Combattei la mia torva malinconia, pervenni a rasserenare il mio aspetto; e le rughe precoci che la sua piccola mano amorosamente spianava, alfine non ricomparvero più. Il breve tempo che passai con tua madre, Gertrude, è un episodio soave nella memoria della tempestosa mia vita. Giunsi ad amarla molto; non come amavo Emilia.... questo sarebbe stato impossibile.... ma ella era il fiore solitario che cresceva sulla tomba delle mie speranze giovanili e diffondeva intorno a me una gentile fragranza. La figliuola ch'ella mi diede non m'è più cara perchè è una parte di me stesso che per essere il frutto di quel caro fiore, tanto presto divelto e schiacciato.... «Circa due mesi dopo la tua nascita, bambina mia, innanzi che i tuoi occhi avessero appreso a sorridere alla vista di tuo padre necessariamente molto spesso lontano da casa, gli affari di cui ero incaricato quale agente mi chiamarono in una piazza piuttosto distante da Rio. Ero assente da quasi un mese, avendo dovuto estendere il mio viaggio oltre l'itinerario fissatomi, e avevo sempre mandato regolari notizie a Lucia (la quale, però, credo non ricevette mai le mie lettere), quando capitai in un posto i cui dintorni erano infestati da malaria. Per amore della mia famiglia presi tutte le precauzioni a fine d'evitare l'infezione, ma furono inutili. La terribile febbre mi colse e giacqui settimane tra la vita e la morte. Durante la mia malattia fui crudelmente negletto, perchè non avevo colà alcun amico, e l'esiguità della mia borsa non allettava i mercenari: ma la pena in cui ero per Lucia e per te, superava di gran lunga i patimenti fisici, pur tanto gravi. «La mia immaginazione inquieta mi suscitava ogni sorta di paure: ahimè, nessuna delle peggiori s'avvicinava alla realtà che m'attendeva al mio ritorno. Dopo un'interminabile degenza, ripresi la via di Rio, emaciato, estenuato, quasi privo di denaro e con le vesti lacere. E quando cercai la mia casa la trovai deserta, e fui ammonito d'allontanarmene, poichè la funesta epidemia della quale io ero stato preda, aveva poco meno che spopolato quella strada e le adiacenti. Benchè facessi le più minuziose inchieste, non potei saper nulla di mia moglie e della mia creatura. Corsi all'orribile carnaio dove durante l'infierire della pestilenza venivano esposti i cadaveri non riconosciuti; ma tra quei miserandi avanzi sfigurati era impossibile distinguere i propri congiunti dagli estranei. Errai giorni e giorni per la città sperando d'ottenere qualche informazione concernente Lucia: nessuno l'aveva mai udita menzionare. Esplorai tutte le banchine che Ben Grant, al quale v'avevo affidate, tua madre e te, soleva frequentare, chiesi di lui, descrivendo esattamente la sua persona: non ne scopersi la minima traccia. «Il mio primo pensiero era stato ch'egli e Lucia si fossero, com'era naturale, rivolti al negoziante per cui viaggiavo a fine di conoscere la causa della mia prolungata assenza. E però trovando vuota la mia casa avevo affrettato il passo in cerca di lui. Anch'egli era caduto vittima del morbo dominante! Il suo banco era chiuso, la sua ditta cancellata. Io continuai le indagini finchè l'ultimo bagliore di speranza non fu spento. Ma venni assicurato che quasi nessuno tra gli abitanti del rione dove avevo lasciato la mia famiglia era sfuggito al flagello; e persuaso alfine che il mio fato continuava a perseguitarmi con un implacabile furore di cui quest'ultimo colpo, ch'io mi avrei dovuto aspettare, non era se non un singolo sfogo, disperatamente risolsi d'imbarcarmi, pagando la traversata col mio lavoro, sulla prima nave che mi portasse a questo prezzo lontano dai luoghi pieni di così strazianti ricordi. «Da quel punto cominciò quella corsa angosciosa attraverso il mondo, senza termine e senza requie, in cui si riassume la mia vita. Con vari propositi, e lottando con varia fortuna per conseguirli, viaggiai in tutte le regioni del globo. Non v'è quasi una terra che il mio piede non abbia premuta; ho navigato tutti i mari, respirato l'aria di tutti i climi. Ho vissuto parimente nella città e nel deserto, fra gli uomini inciviliti e fra i selvaggi. Ed ho imparato la triste verità, che la pace non esiste in nessun luogo, e che l'amicizia per lo più è un nome vano. Se sono giunto a odiare, a sfuggire, a disprezzare il genere umano, è perchè io lo conosco bene. «Una volta visitai perfino la dimora dove trascorse la mia adolescenza. Non conosciuto, non veduto, calcai il suolo familiare, mirai le facce familiari benchè tocche dal tempo. Stetti davanti alla finestra della biblioteca del signor Graham, vidi l'aspetto sereno d'Emilia, contenta, felice nella sua cecità e nell'oblio del passato. Una fanciulla sedeva accanto al fuoco tentando di leggere alla luce vacillante della fiamma. Io non sapevo allora che desse un così dolce incanto alla sua fisonomia pensosa, nè perchè il mio sguardo vi si posasse con raro piacere: nessuna voce diceva al mio cuore paterno che io contemplavo il volto della mia figliuola. Non giurerei che il forte impulso da cui mi sentivo spinto ad entrare, a farmi riconoscere, ad implorare da Emilia una parola di perdono non fosse per prevalere sul timore del suo sdegno; ma in quella apparve il signor Graham, con la sua aria glaciale e severa, ed io fuggii di là.... Il giorno seguente ripartivo alla volta di luoghi lontani. «Quantunque nei diversi lavori che ero costretto a intraprendere per mantenermi decentemente, io guadagnassi spesso tanto da poter godere una temporaria indipendenza, e concedermi il lusso di costosi viaggi, non pensavo ad accumulare un patrimonio: a che m'avrebbe servito, poichè non avevo da provvedere che alla sodisfazione de' miei bisogni immediati? Ma il caso mi gettò dinanzi quella ricchezza ch'io non m'affannavo a cercare. «Dopo un anno passato nelle selvagge solitudini dell'Occidente, tra avventure il cui racconto ti sembrerebbe incredibile, seguitai ad attraversare quella regione, compiendo, senza compagni, un aspro e lungo viaggio, il quale aveva l'unico fine d'appagare il mio umore vagabondo. Venni così a trovarmi nel paese che fu poi chiamato la «terra promessa», nonostante che per molti dei cupidi emigranti fosse invece una terra di false lusinghe e di amari disinganni. Tuttavia per me ne scaturì l'oro di cui non avevo sete. Io fui tra i primi scopritori delle prodigiose miniere, e uno dei più fortunati, benchè dei meno diligenti e meno bramosi d'arricchirsi. «Ma questa non fu la sola nè la maggiore delle fortune toccatemi. Coi primi frutti delle mie fatiche comperai un'immensa distesa di terreni, approfittando di un'occasione offertasi. Ero ben lungi dal sognarmi che quei campi deserti diverrebbero un giorno le strade e le piazze d'una grande e prospera città. Eppure fu così: ed io senza sforzi, quasi senza saper come, acquistai ricchezze favolose. «Non è tutto. Il caso felice che guidò i miei passi alla terra dell'oro, mi condusse a scoprire una perla preziosa, un tesoro a paragone del quale le miniere della California sono un nulla ai miei occhi. «Tu sai che il grido della conquista corse il mondo, e uomini d'ogni nazione portarono le loro braccia al campo della fortuna. Poi venne la fame, seguita dalla malattia e dalla morte; e molti furono quelli che mentre s'affrettavano ansiosamente verso l'aurea mèsse, caddero sul margine della via prima d'averla pur veduta ondeggiare da lontano. «Per quanto io disprezzassi quell'avida canaglia, non potevo, nelle mie privilegiate condizioni, ricusarmi di soccorrere gli sciagurati che venivano ad abbattersi ai miei piedi; e, per una volta, la mia umanità trovò la sua ricompensa. «Un uomo di miserabile aspetto, cencioso, sfinito, mezzo morto, si trascinò fino alla mia tenda (il paese, in quel tempo primitivo, non offriva altra abitazione) e con voce fievole si raccomandò chiedendo la carità. Io lo accolsi nell'angusta mia dimora, e non gli fui avaro delle cure che ero in grado di prestargli. Ma egli non soffriva che d'inedia, e quando si fu satollato, manifestò subito la selvaggia brutalità della sua natura nell'arcigna indifferenza con cui ricevette l'ospitalità benevolmente concessagli da un estraneo, e nella vile ingratitudine con cui ne abusò. In capo ad alcuni giorni le sue forze erano ristorate, sicchè io, desideroso di levarmi d'attorno quell'intruso il quale cominciava a condursi in modo da farmi dubitare della sua buona fede, lo avvertii che doveva andarsene, non senza però mettergli in mano una quantità d'oro sufficiente ad assicurare il suo sostentamento finchè fosse giunto alle miniere ove diceva d'essere diretto. «L'uomo parve malcontento. Mi chiese il permesso di rimanere fino alla mattina seguente non avendo egli alcun ricovero per la notte che già s'avvicinava. Io accondiscesi, perchè non m'immaginavo qual serpente avessi riscaldato al mio focolare. In sulla mezzanotte un leggero rumore mi destò: ci voleva poco a turbare il mio sonno che non era mai profondo. Mi rizzai e vidi l'ospite affaccendato a impadronirsi del mio denaro, e pronto a svignarsela senza salutarmi. La sua ribalderia andò più oltre. Nell'atto ch'io l'agguantavo rimproverandogli il furto vergognoso, egli afferrò un'arme che si trovava lì presso, e attentò alla vita del suo benefattore. Ma io stavo all'erta; rapidamente schivai il colpo, ed essendo il più forte, in pochi momenti ebbi ridotto all'impotenza il mio disperato avversario. Costui si trascinò alle mie ginocchia implorando grazia con l'abietta sommissione che si conveniva a un così spregevole furfante. E ben aveva di che tremare, perchè la legge di Lynch era allora nel suo pieno vigore, e faceva giustizia sommaria dei criminali. «Avrei probabilmente abbandonato il traditore alla sorte meritata, se egli non avesse per caso scoperto alla mia cupida brama un oggetto desiderabile a segno, ch'io gli offersi la libertà come prezzo del suo possesso, con un ardore in cui dimenticai il castigo dovuto a tanta perfidia. «Il ladro, obbedendo al mio comando, vuotò le sue tasche per restituirmi l'oro, la cui perdita non m'avrebbe oltremodo afflitto: e mentre il vil metallo rotolava ai miei piedi, vidi brillare tra le monete un gioiello _mio_, legittimamente _mio_ quanto il resto; e quella vista mi colmò di maraviglia e di gioia, più che se fosse stato una stella caduta dal cielo. «Era un anello assai singolare per il disegno e la fattura, già appartenuto a mio padre, portato poi da mia madre fino al tempo delle sue seconde nozze, e da lei allora dato a me. Io lo tenevo caro come un'eredità preziosa, ed era uno dei pochi oggetti di valore presi meco nell'abbandonare la casa del mio patrigno. L'avevo lasciato, insieme con un orologio e qualche altro piccolo gioiello, a Lucia, quando m'ero separato da lei a Rio, e rivedendolo mi sembrava udire una voce da una tomba. «Con ansiosa avidità interrogai il mio prigioniero per sapere come quell'anello fosse venuto nelle sue mani, ma egli si chiuse in un ostinato silenzio. Ora toccava a me supplicarlo; e alfine, la promessa che, terminato il suo racconto, l'avrei lasciato partire immune dalla «fustigazione della giustizia»[6] gli strappò il segreto che per me aveva un'importanza vitale. Ti riferirò in poche parole la sua intralciata e scucita narrazione. «Quell'uomo era Stefano Grant, il figlio del mio vecchio amico Ben. Egli aveva udito dalla bocca di suo padre la dolorosa storia della tua mamma, e la circostanza d'un violento alterco tra il marinaro e quella megera di sua moglie quando egli le aveva portato in casa la giovane straniera, era servita ad imprimerla bene nella memoria del ragazzaccio. «A quanto rilevai da ciò che Stefano mi disse, pare che la mia prolungata assenza e la mancanza di notizie mentre io giacevo malato, fossero interpretate dal fedele ma troppo diffidente amico e consigliere della mia sposa, come un volontario e crudele abbandono. La povera figliuola, per la quale la mia vita passata era un mistero, e rimanevano quindi inesplicabili molti particolari del mio carattere e della mia condotta, cominciò a sentirsi persuasa che i timori e i sospetti del buon vecchio non erano infondati. Ella s'era rivolta al mio principale, a fine d'ottenere qualche informazione; ma egli, che mi sapeva esposto all'epidemia e mi credeva oramai nel numero dei morti, non volendo desolarla le aveva dato risposte così oscure ed ambigue, da mutare quasi in certezza le sue vaghe apprensioni. Tuttavia si ricusò fermamente di lasciare la nostra casa, e attaccandosi a un'ultima speranza stette ad aspettarvi il mio ritorno finchè il morbo non principiò a menare strage nel vicinato. Il suo piccolo gruzzolo era già finito, le forze sì morali che fisiche le venivano meno, e Ben, sempre più sicuro che l'ingenua Lucia era stata tradita e abbandonata, potè finalmente indurla a vendere la sua mobilia, e grazie alla somma così raccolta fuggire dal paese infetto prima che fosse troppo tardi. Ella partì per Boston con un bastimento su cui il suo umile protettore s'era imbarcato in qualità di marinaro; e, giunti in porto, egli la condusse nella sola casa che poteva offrirle: la sua. «Là si compì il fato della tua sventurata madre con la sua morte nel fior degli anni, e tu, bambinetta, restasti sola alla mercè della femmina crudele che unicamente la coscienza d'un crimine commesso e la tema di essere scoperta, rattenne dal cacciarti fin da allora fuor del misero asilo trovato sotto il suo tetto. Questo crimine consisteva in un vilissimo furto perpetrato da lei e dal già infame suo figlio in danno dell'innocente e infelice Lucia che la sua debolezza rendeva oramai una facile preda per la loro rapacità. «I frutti del ladrocinio non furono però mai goduti da Annetta Grant, il cui promettente rampollo tanto la superava in duplicità ed astuzia, che fattosi consegnare i gioielli col pretesto di venderli bene, si tenne per sè ciò che gli parve opportuno, e s'appropriò il denaro ricavato dal resto. «L'anello antico ora tornato in mio possesso, la preziosissima reliquia di una luttuosa tragedia, avrebbe seguìto la sorte degli altri oggetti rubati se non fosse parso al ladro di poco valore. Ma esso salvò, temporariamente almeno, lo sciagurato Stefano dal castigo dei felloni che certo aspetta quel peccatore impenitente; e quanto a me.... ah, quanto a _me_ rimane dubbio ancora se il segreto di cui fu la chiave consolerà la vita che m'avanza o farà pesare sovr'essa una più grave maledizione! «Quantunque le informazioni così ottenute suscitassero in me l'eccitante idea che la mia figliuola vivesse ancora e potesse alfine essermi resa, io non osavo abbandonarmi a quest'ardita speranza, perchè nulla m'assicurava che non fosse destinata a perire in germe, che il perduto tesoro di cui avevo miracolosamente scoperto le tracce non dovesse di nuovo sfuggire alle mie ansiose ricerche. A tutte le domande concernenti te, mia Gertrude, Stefano, il quale non aveva più ragione alcuna di nascondermi la verità, rispose che non era in grado di comunicarmi particolari posteriori al tempo in cui eri andata a stare con Trueman Flint. Egli sapeva che il lampionaio t'aveva ricoverata la notte che Annetta ti cacciò in istrada, e un caso gli apprese, di lì ad alcuni mesi, la tua permanenza in quel luogo di rifugio, essendo stato il vecchio (per dire come disse lui) tanto solennemente imbecille da recarsi di spontanea volontà a risarcire sua madre del danno da te fatto in uno sfogo d'infantile vendetta alla vetrata d'una sua finestra. «Di più non giunsi a rilevare, ma era uno stimolo sufficiente perchè io m'adoprassi con tutte le mie energie a ritrovar la mia creatura. Pieno il cuore di quest'unico desiderio, m'affrettai a partire per Boston. Non durai fatica a rintracciare le notizie del tuo benefattore, e quantunque fosse morto da anni, non poche persone, degne di fede, m'attestarono le sue grandi virtù, che ben erano conosciute. Nè la sua figliuola adottiva era dimenticata nel quartiere dove aveva passato l'infanzia. Più d'una voce rispose alle mie inchieste con accento di gratitudine, enumerando le ragioni di ricordare la fanciulla che essendo venuta in prospere condizioni dopo aver provato la povertà, s'era fatta un dovere e un piacere di soccorrere nei loro bisogni i suoi vicini d'un tempo, le cui sofferenze le erano note per avervi partecipato. «Ma, ahimè, alla somma delle mie tristi vicissitudini, una ancora doveva aggiungerne l'inesorabile destino.... Nel momento ch'io m'accertavo che mia figlia viveva ed era al sicuro, nel momento che il mio cuore paterno esultava al suono delle lodi da cui sentivo accompagnare il suo nome, mi colpirono come un fulmine queste parole tremende: «Ella è ora la figliuola adottiva della dolce Emilia Graham, della buona signorina cieca!» «O strana coincidenza! O giusto guiderdone. Mentre mi credevo sul punto di vedere la cara mia speranza divenire una felice realtà, la mano ferrea di quel destino che non voleva lasciarsi sfuggire la sua vittima, mi afferrava un'altra volta, e mi schiacciava.... La mia creatura, la mia unica figliuola, stretta da vincoli di gratitudine e d'affetto, fin dai suoi teneri anni, a colei nel cui volto non oserei fissare lo sguardo, se fosse conscia della mia presenza, per tema di leggervi una condanna che mi fiaccherebbe l'anima per sempre! «Le terre e i mari che ci dividevano finora, mia Gertrude così lungamente perduta per me, sembravano alla mia immaginazione torturata un ostacolo meno insormontabile del fatto che la sola creatura umana nel cui amore ancora speravo, era stata educata in una famiglia dove io ero odiato, dove il solo mio nome destava un senso d'orrore! «Straziato dal pensiero tormentoso che tutte le mie preghiere, tutte le mie spiegazioni sarebbero state impotenti a cancellare quella prima impressione, che le mie cure, la mia tenerezza, per quanto grandi non avrebbero ottenuto altro che un freddo e formale riconoscimento dei miei diritti, o, peggio ancora, un'ipocrita larva d'amor filiale, quasi risolsi di lasciar ignorare a mia figlia da chi fosse nata, di rinunziare a veder mai il suo viso piuttosto che imporle la terribile necessità di scegliere tra l'adorata amica e un padre da cui l'animo suo rifuggiva con raccapriccio e terrore come da un reo di neri delitti. «Dopo aver molto combattuto con sentimenti contrari, in fiera lotta tra loro, deliberai di tentare una prova: conoscere la mia Gertrude, ma guardandomi bene dallo scoprirle chi io fossi. Mi confidavo, e lo confermarono i fatti, che i mutamenti enormi operati dal tempo nel mio aspetto, mi permetterebbero di nascondere l'esser mio alle persone con cui non avevo avuto una lunga dimestichezza; e però m'avvicinai alla casa del signor Graham, senza paura di tradirmi. La trovai chiusa, e, a quanto pareva, deserta. «Mi diressi allora verso il troppo noto banco. Là un commesso, non bene informato, mi disse che tutta la famiglia del suo principale, te compresa, aveva passato l'inverno a Parigi, e che allora si trovava in Germania, a Baden-Baden. Io, senza indugio, presi il piroscafo per Liverpool, e da Liverpool proseguii speditamente alla volta dell'elegante cittadina tedesca, una giterella per me, avvezzo a ben altri viaggi. «Senza avventurarmi sotto gli occhi del mio patrigno, colsi un'occasione di farmi presentare alla sua nuova moglie, e presto seppi dalla loquace signora che Emilia e tu eravate rimaste a Boston, e che in quei giorni vi ospitava il dottor Jeremy. «Io presi immediatamente la via del ritorno, e durante la traversata feci la conoscenza del dottor Gryseworth e di sua figlia: conoscenza che fu per me preziosa avendomi agevolato il modo d'avvicinarmi a te. «Arrivato a Boston, corsi alla casa del dottore. Come già quella del signor Graham, la trovai abbandonata dai suoi inquilini e in apparenza chiusa per la stagione. Per fortuna potei interrogare un uomo occupato a riparar lo scalino della soglia. Egli mi rispose che la famiglia era assente, ma non sapeva dirmi dove fosse andata; soggiunse però che c'erano le persone di servizio, le quali m'avrebbero informato. Arditamente io tirai il campanello. Venne ad aprire la signora Ellis: la donna che venti anni addietro aveva crudelmente, spietatamente, fatto risonare al mio orecchio le parole con cui m'annunziava la morte della mia ultima speranza sulla terra. Vidi alla prima occhiata che il mio «incognito» era sicuro, giacchè ella incontrò il mio sguardo acuto e penetrante senza tremare, nè retrocedere o fuggire, come certo avrebbe fatto alla vista dello spettro di Filippo Amory. «Ella rispose alle mie domande con altrettanta freddezza e compostezza che a quelle di forse una mezza dozzina di delusi clienti del dottore: egli era partito per Nuova York la mattina stessa, e non sarebbe ritornato che fra due o tre settimane. «Nulla poteva meglio favorire il mio disegno. Io t'avrei raggiunta, avrei fatto conoscenza con te, a poco a poco, quale compagno di viaggio. «Tu sai come riuscii nel mio intento. Ora seguendovi, ora precedendovi, mi mantenni sempre vicino a voi. Per conferire in qualche modo al tuo benessere e a quello d'Emilia, per conoscere il vostro itinerario, prevenire i vostri desiderî, accaparrarvi le camere migliori e assicurarvi le premure della servitù, non risparmiai nè pene nè spese. «Della libertà con cui potei accostarti, e penetrare qualche volta nel vostro circolo, sono, ahimè, in gran parte debitore alla cecità della tua protettrice; perchè non posso dubitare che altrimenti nè il tempo, nè i mutamenti da esso prodotti, le avrebbero impedito di riconoscermi. Perciò soltanto all'ultimo atto di questo dramma, quando ci trovammo a faccia a faccia con la morte, e la dissimulazione divenne impossibile, osai fare udire un momento ad Emilia la mia voce. «Nessuno le cui facoltà mentali non siano talora state acuite e vivificate da qualche ragione così forte, può comprendere quanto intensamente io osservassi ogni tua azione, pesassi ogni tua parola, cercassi di leggerti in viso ogni pensiero: e chi giungerà a misurare l'angoscia del tenero padre che di giorno in giorno imparava ad amare di più ardente e più profondo affetto la sua creatura, eppure non ardiva stringerla al suo seno? «Specie quando ti vidi oppressa da un grave ed intimo dolore, soffersi struggendomi di proclamare il mio diritto alla tua confidenza, e più d'una volta mi sarei tradito, se non m'avesse frenato il timore che m'incuteva la dolce Emilia... dolce con tutti fuorchè meco! Io non sopportavo l'idea che la mia confessione trasformasse per te l'amico fidato in un padre aborrito! Mi rassegnai a vegliare sulla mia figliuola celatamente, a tenermi distante da lei come un estraneo, piuttosto che apparirle quale il temuto tiranno che poteva strapparla dalla casa donde egli stesso era stato cacciato, ai cuori caldi d'amore per lei, ma per lui di sasso e di ghiaccio. «Così serbai il silenzio; ed a volte, presente ai tuoi occhi, ma ancor più spesso nascosto, m'aggirai sul tuo cammino fino al giorno funesto, indimenticabile, in cui obliando tutto fuorchè la salvezza tua e di Emilia, il mio cuore parlò, tradì il suo segreto. «E adesso tu sai tutto: le mie follie, le mie sventure, i miei dolori, i miei peccati! «Puoi tu amarmi, Gertrude? Questo solo ti chiedo. Io non pretendo di toglierti alla famiglia ch'è divenuta la tua, non voglio privare la povera Emilia d'una figliuola che ella forse ha cara quanto io stesso. L'unico balsamo che cerca la mia anima straziata, è la semplice e sincera promessa che tu ti _proverai_ almeno a voler bene al tuo babbo. «Io non ho alcuna speranza in questo mondo, nè, ahimè, nell'altro, fuorchè te sola. Se tu sentissi come batte il mio cuore contro le sbarre della sua prigione, comprenderesti che ove non trovi un po' di calma, si spezzerà bentosto.... Vuoi calmarlo tu con la tua pietà, mia dolce creatura adorata? Vuoi consolarlo col tuo amore? Se sì, vieni, stringimi fra le tue braccia, mormora al mio orecchio parole di pace! In vista della tua finestra, nel vecchio padiglione rustico all'estremità del giardino, aspetto, palpitando, di udire il suono dei tuoi passi....» XLVIII. Le appare una celeste visione: in un fulgore D'aurora a lei ritorna il suo perduto amore; È colmato l'abisso, è la notte fuggita Il cui mister separa la morte dalla vita. HEMANS. Non appena gli occhi di Gertrude, che avidamente divorano il manoscritto, cadono sulle ultime parole, ella balza in piedi e si precipita fuor della camera, dove rimangono sparsi per il pavimento i fogli scivolati dal suo grembo nel rizzarsi. Scende le scale di volo, scappa dalla porta posteriore dell'atrio, si slancia attraverso il praticello, che è dietro la casa, ora tutto umido della rugiada vespertina, ed entra nel padiglione dall'uscio opposto a quello dove Filippo Amory, con le braccia conserte e lo sguardo fisso, attende la sua venuta. Egli non ode il suo passo, tanto è leggero; prima che si sia accorto della sua presenza, ella gli si getta sul petto, e tutta tremante, tutta scossa dalla violenza della sua agitazione che, a lungo repressa, adesso la soverchia, prorompe in un pianto veemente, interrotto solo da frequenti e profondi singhiozzi. Suo padre se la stringe al cuore così forte, che ella ne sente i palpiti precipitati, e tenta di sedar quella tempesta di dolore e di gioia, mormorando dolcemente, come a un bambino: — Chetati, chetati, creatura mia, tu mi fai spavento! — E a poco a poco, calmata dalle blande carezze paterne, la fanciulla perviene a dominare i suoi nervi, e solleva la faccia, sorridendogli fra le lacrime. Stanno così alcuni minuti, in un silenzio che dice più delle parole. Avvolta nelle pieghe del pesante mantello con cui egli la ripara dalla fresca aria notturna, e sempre stretta nel suo vigoroso amplesso, Gertrude sente che la comunione delle loro anime è compiuta; e all'esule ramingo che da sì lungo tempo non aveva più provato il dolce influsso d'un sorriso amoroso, brilla nelle pupille tutta la tenerezza sgorgante dal suo cuore non indurito nè inaridito dalla solitudine. La luna, che ogni tanto si nasconde dietro una nube, quando torna a far capolino li rivede nel medesimo atteggiamento. Alfine, uscita in uno spazio libero e sereno, contempla al chiaro suo lume il padre che alza verso di sè il viso della figliuola e fissandola negli occhi roridi e lucenti, rimovendo carezzevolmente dalla sua fronte i capelli scomposti, le chiede con accento di commovente preghiera: — Mi amerai dunque? — Oh, vi amo, vi amo! — risponde Gertrude chiudendogli la bocca con un bacio. A questa fervida affermazione i lineamenti fino allora contratti di Filippo Amory si rilassano: egli, l'uomo forte, china il capo sulla spalla di lei, e piange. Ma per un momento. Ella, vedendolo sopraffatto così dalla piena dei suoi sentimenti, si ricompone, lo prende per mano e gli dice, in un tono fermo e risoluto che lo scuote: — Venite! — Dove? — egli esclama guardandola stupito. — Da Emilia. — Egli rabbrividisce, e scrollando la testa in atto di triste scoraggiamento retrocede invece di seguirla nella direzione in cui ella vorrebbe trarlo. — Non posso! — mormora con voce spenta. — Ma ella v'attende! V'attende, e piange e prega, struggendosi nel desiderio del vostro ritorno! — Emilia!... Tu non sai quello che dici, bambina mia.... — Dico il vero, babbo! Siete voi quello che s'inganna! Emilia non vi odia, non v'ha odiato mai. Ella vi credeva morto da molti anni: ma la vostra voce, benchè udita una volta sola, le ha quasi fatto perdere la ragione, tanto profondamente ella v'ama sempre. Venite, e vi dirà lei, meglio ch'io non possa, quale sciagurato errore abbia fatto di voi due martiri. — Emilia, la quale aveva udito la voce di Guglielmo mentre questi salutava Gertrude sulla soglia, e indovinato ch'era lui, s'era astenuta dal chiedere della fanciulla, non comparsa alla tavola del tè; e pensando ch'ella sentiva il bisogno di starsene tranquilla nella sua camera, terminato il pasto della sera, si ritirò nel salotto. Il signor Graham, secondo il suo costume, passò nella biblioteca. Da circa un'ora ella sedeva sola in quella stanza vasta e arredata all'antica, il cui aspetto era assai piacevole e familiare. Nel camino ardeva ancora un bel fuoco gagliardo che diffondeva intorno un tepore gradevolissimo essendo le serate eccezionalmente fresche per la stagione. Alcune candele erano accese ai lati dello specchio, ma la loro luce non bastava a distruggere i pittoreschi effetti delle ombre che la fiammata dei ceppi gettava sulle pareti e sul sofà dove stava adagiata Emilia. Ella, nonostante la sua debole salute, conservava gran parte ancora della freschezza e dell'avvenenza giovanili, e per caso s'era messa in una positura, di fronte al fuoco, tale che il mobile chiarore guizzava sul suo viso dando risalto all'insolita vivacità di colorito ond'era animata dall'intima commozione dell'animo. Il gusto squisitamente fine che rendeva le abbigliature d'Emilia quasi un emblema della soave purità del suo carattere, si manifestava con particolare efficacia quand'ella indossava, come quella sera, una veste di casimiro bianco, fluente in ricche pieghe, strette alla vita da una cintura di seta, e con ampie maniche drappeggiate. Il niveo candore della seta che le orlava poteva appena rivaleggiare con quello dei polsi delicati e delle piccole mani di cui una macchinalmente andava giocherellando tra le frange purpuree di uno scialle portato nella fredda sala da pranzo, e adesso abbandonato sopra il vicino bracciuolo del sofà. Reggendosi sul gomito, la faccia chinata in avanti, verso il fuoco, ella guardava nello specchio della sua memoria, così intensamente, che chi avesse ignorato la sua cecità l'avrebbe creduta assorta nel contemplare di sotto le lunghe ciglia immaginarie figure tracciate dalla fantasia sulle bracie ardenti. A momenti, quando il vento della sera estiva, spirando tra il fogliame degli alberi, faceva che qualche ramo sfiorasse lievemente i cristalli delle finestre, ella sollevava il capo dalla mano su cui lo teneva reclinato, e arcuava il tenue collo nell'atteggiamento di chi ascolta; poi, riconosciuta la natura di quel fruscio, ricadeva con un sospiro nella sua malinconica meditazione. Una volta la signora Prime, che cercava la governante, aperse l'uscio, guardò se fosse nel salotto, e si ritirò dicendo tra sè: — Dio, com'è bella! Pare proprio un ritratto.... Vorrei che avesse occhi per vedersi! — Alfine un sommesso e rapido abbaiamento del cane di guardia ridestò l'attenzione d'Emilia; tosto lo seguì un suono di passi, nel portico, nell'atrio.... Innanzi che giungesse alla soglia ella già s'era rizzata, tendendo l'orecchio. E quando Filippo Amory e Gertrude entrarono, la cieca, silenziosa, con le labbra socchiuse, le mani giunte, un piede avanzato nell'attesa che venissero a lei, dava immagine d'una statua anzichè di persona viva. Gertrude gettò uno sguardo sulla figura estatica della sua amica, un altro su quella agitatissima di suo padre, e tacitamente se n'andò. Ella aveva veduto che s'erano riconosciuti appieno, e per istintiva delicatezza non volle turbare con la sua presenza la santità di quell'incontro. Come l'uscio si chiudeva dietro alla fanciulla, Emilia disgiunse le mani, le tese nella vuota oscurità che la circondava, e mormorò: — Filippo! — Egli afferrò entrambe quelle mani che lo cercavano, le strinse tra le proprie, cadendo in ginocchio mentre ella s'abbandonava mezzo svenuta sul sofà; allora, tenendole sempre strette, chinò sopra esse la testa, nel suo grembo, dove ella ora le posava, e con la faccia nascosta tra le dita affusolate, mormorò egli pure: — Emilia! — La tomba ha reso l'estinto alla vita! — esclamò la cieca. — Dio, ti ringrazio! — E sciolte le mani dalla stretta convulsiva di Filippo, gli gettò le braccia al collo, poggiò il capo sul suo petto, bisbigliando con voce soffocata dalla commozione: — Filippo! Caro Filippo! Sogno, o siete ritornato davvero? — Le regole convenzionali, le costrizioni imposte, che tanto spesso reprimono lo sfogo dei sentimenti umani, non esistevano per quella schietta figlia della natura ch'era Emilia Graham. Ella e Filippo Amory s'erano amati nella loro fanciullezza; erano stati divisi quasi fanciulli ancora; e tali ritornavano ritrovandosi. Durante il lungo volgere d'anni da che rimaneva esclusa dal mondo esterno, ella era vissuta in mezzo alle care memorie del passato, salva dai contagi mondani, conservando tutta l'ingenua semplicità virginale, tutta la freschezza della sua primavera; e Filippo, che non aveva contratto altri vincoli se non forzato dalle circostanze, si sentiva rifluire nelle vene la sua prima gioventù, mentre Emilia con la destra sul suo capo benediceva Dio d'averle concesso la gioia di riabbracciarlo. Ella non poteva vedere come il tempo avesse inargentato i suoi capelli, e velato della sua ombra il volto ch'ella amava; ma ritornasse egli nella forma del focoso giovanetto dagli occhi sfolgoranti, in cui era apparso per l'ultima volta al suo sguardo, o dell'uomo maturo dalla chioma precocemente incanutita che rendeva difficile ai curiosi determinare la sua età, o dell'anima assunta alla gloria degli angeli in cui lo sognava nei suoi sogni del Paradiso, era lo stesso per colei il cui mondo era un mondo di spiriti. E a lui, nel mirare quel viso del quale tanto aveva temuto l'espressione, e che invece splendeva d'una santa luce d'amore e di pietà, sembrava che la testa della vergine cieca fosse cinta di un'aureola celeste. E però la loro riunione apparteneva più al cielo che alla terra. Se le loro anime si fossero incontrate di là dalla tomba, nel soggiorno beato dove quelli che da lungo tempo furono divisi si ricongiungono in eterno, appena la loro gioia sarebbe potuta essere più pura, la loro felicità più perfetta. Quando alfine sedettero tranquilli l'uno accanto all'altra, con le dita sempre amorosamente intrecciate, Filippo udì dalle labbra d'Emilia tutta la storia del suo dolore: le speranze e i timori, le preghiere e la disperazione; narrò poi egli a lei le sue tristi vicende, ed ella, ascoltandolo, lasciò cadere molte lacrime e molti baci sulle mani che teneva tra le sue. Allora soltanto cominciarono a credere alla realtà di quella consolazione tanto lungamente negata, ma oramai così pienamente concessa, che prometteva loro giorni felici anche su questa terra. Emilia pianse sulle sventure e sulla morte prematura di Lucia, e apprendendo che la fanciulla a cui aveva posto tanto affetto e da lei con tanta cura educata era la figliuola di Filippo, inalzò a Dio una tacita preghiera di gratitudine per averle affidato nell'apparentemente inutile e desolata sua vita una così nobile, così santa missione. — Se potessi amarla di più, caro Filippo, — ella disse — lo farei per amor vostro e della dolce e innocente sua madre che tanto sofferse! — E voi mi perdonate, Emilia? — domandò egli, quando, finito di narrare il doloroso passato, s'abbandonarono alla soave delizia dell'ora presente. — Perdonarvi?... Oh, caro, che ho da perdonare? — La tremenda disgrazia che vi avvolse in perpetue tenebre. — Filippo! — esclamò ella in tono di rimprovero. — Potete credere ch'io ve ne facessi una colpa, ch'io vi biasimassi un momento solo pur nel mio segreto pensiero? — Non volontariamente, ne sono sicuro, cara. Ma avete dimenticato ciò ch'_io_ non potrò dimenticare mai.... che nel tempo della vostra angoscia, non soltanto il soverchiante pensiero, ma le vostre labbra stesse proclamarono la mia condanna.... il diniego di quella pietà, di quel perdono che la vostra anima torturata non trovava per il crudele che v'aveva fatto tanto male. — Voi, crudele! Mai, neppure nel mio più disperato delirio, io non vi feci cotesta ingiuria, Filippo, cotesta accusa immeritata!... Il mio cuore poco filiale mormorò contro l'ingiustizia di mio padre, ma verso di voi non fu mai reo di un tale tradimento. — Quella maligna donna mentì dunque asserendomi che il solo mio nome vi faceva rabbrividire? — S'io rabbrividivo, era perchè tutto l'essere mio si ribellava all'idea del torto immane che avevate patito.... Oh, siatene certo, s'ella v'affermò che i miei sentimenti per voi erano altri che di pietà e d'immutabile affetto, le sue parole derivavano da un deplorevole errore! — Dio, Dio, come perfidamente fui ingannato! — gemette egli. — Non dite perfidamente, — replicò Emilia. — La signora Ellis, con tutta la sua severa formalità, fu vittima anch'essa delle circostanze. Era un'estranea tra noi, e vi credeva diverso da quel che eravate; ma se l'aveste veduta, alcune settimane dopo, piangere amare lacrime sulla parte da lei assunta nei fatti che vi spinsero alla disperazione, e, si credeva allora, alla morte, avreste sentito, come sento io, che l'avevamo giudicata male, e che un cuore di donna palpitava sotto quell'apparenza di dura pietra. L'intensità del suo dolore mi maravigliò allora: adesso comprendo ch'era acuito da un rimorso ch'io non sospettavo. Ma dimentichiamo le tristezze del passato e confortiamoci nella fede che la mano amorosa da cui ci è data questa gioia ci afflisse finora con fini di misericordia. — Di misericordia? — esclamò Filippo. — E dove ne scorgete nella mia sciagura e nella vostra? Può essere una mano amorosa quella che fece di me lo strumento fatale, e di voi la vittima, d'una delle più gravi sventure umane? — Non parlate della mia cecità come d'una sventura! — rispose Emilia. — Da gran tempo ho cessato di considerarla tale. Soltanto nell'oscurità della notte vediamo brillare le luci del cielo, soltanto quando siamo esclusi dalla terra possiamo varcare le porte del Paradiso. Finchè avevo occhi per contemplare le maraviglie della natura e le glorie del Signore, li tenevo chiusi tuttavia dinanzi alle manifestazioni della bontà divina onde ero circondata. Mentre godevo i bellissimi e splendidissimi doni profusi sul mio cammino, obliavo di ringraziare e lodare il donatore; e con cuore ingrato, procedevo spensierata nel mio peccaminoso egoismo senza por mente alle insidie lusinghiere tese sui passi della gioventù. «E però la mano paterna di Colui che sempre vigila sopra di noi per il nostro bene, arrestò la creatura errante fuor della via che sola conduce alla pace, e quantunque il castigo giungesse improvviso ed aspra fosse la disciplina della verga punitrice, la misericordia nondimeno temperò la giustizia. Dalla tomba delle mie gioie sepolte sbocciarono speranze che fioriranno nell'immortalità. Dalle nubi e dalle tenebre sorse una fulgida aurora. Ciò ch'era nascosto alla veduta corporale si rivelò all'anima destata dalla vera luce, e il mio spirito turbato acquistò l'eterno riposo già sulla terra. Non piangete dunque, Filippo, sul mio fato ch'è lungi dall'essere triste: ma gioite con me nel pensiero di quel felice e non lontano risveglio, quando con gli occhi riaperti nella visione della beatitudine celeste, io starò dinanzi al trono di Dio, e fruirò della gloriosa presenza da cui, senza la luce sgorgata nell'anima mia dalla profondità delle mie tenebre terrestri, sarei stata forse bandita in sempiterno. — Nel momento che Emilia finiva di parlare e Filippo, compreso d'ammirazione e di rispetto, contemplando nel suo viso raggiante d'un santo gaudio il trionfo dello spirito immortale, meditava sulla maestà e la potenza conferite da una pietà sincera, l'uscio s'aprì bruscamente ed entrò il signor Graham. Il suono del noto passo troncò il sublime volo dei loro pensieri. Il colore che l'eccitazione aveva dato alle gote d'Emilia svanì in una pallidezza più intensa della consueta, mentre Filippo si rizzava lentamente dal posto che occupava al suo fianco, e con gesto deliberato si poneva di fronte al patrigno. Il signor Graham, il quale aveva l'aria tra stupita e scrutatrice d'un padrone di casa che trova nel suo salotto un visitatore ch'egli non conosce eppur sembra aspettare d'essere riconosciuto, si volse verso sua figlia come sperando di venir tratto d'impaccio da una regolare presentazione. Ma Emilia, turbatissima, taceva, e Filippo rimaneva immobile, impassibile. Quando il vecchio, che seguitava ad avanzarsi, incerto, fu a due passi da quest'ultimo, si fermò di botto, colpito dal suo fiero atteggiamento, e lo fissò in volto: ma non appena i suoi occhi s'incontrarono negli occhi fulminei del suo figliastro, vacillò, stese la mano verso la mensola del caminetto, e certo sarebbe caduto se Filippo non fosse stato pronto a sorreggerlo e farlo adagiare nella sua poltrona collocata dirimpetto al sofà. Nessuno ancora pronunziava una parola. Finalmente il signor Graham che, piombato a sedere di peso, non distoglieva lo sguardo attonito dal redivivo, esclamò con voce commossa: — Filippo Amory! Oh, Dio mio! — Sì, babbo, — disse Emilia alzandosi di scatto e afferrando un braccio di suo padre — è Filippo! Colui che per tanti anni abbiamo creduto morto, ci è reso sano e salvo! — Egli si rizzò, e appoggiandosi alla spalla della figliuola s'avvicinò di nuovo al figliastro che, incrociate le braccia sul petto, aveva ripreso la sua attitudine rigida e severa. Il robusto vecchio camminava con un passo malsicuro assai diverso dal solito, e la sua mano era agitata da un tremito mentre la tendeva a Filippo. Ma Filippo non la prese, nè rispose verbo. Il signor Graham, parlando ad Emilia senza ricordarsi ch'ella non vedeva quella scena, disse con un tono d'amarezza e insieme di rammarico: — Non posso biasimarlo.... Feci un torto ingiusto al ragazzo, e Dio lo sa! — Ingiusto! — esclamò Filippo con voce così cupa da far quasi paura. — Dite che avete funestato la sua vita, distrutto la sua gioventù, spezzato il suo cuore, infamato il suo nome! — No, Filippo, — replicò a quest'ultima accusa il signor Graham che aveva chinato il capo sotto le altre — cotesto no! Cotesto no! Nell'onore vostro non vi recai nessun danno. Scopersi il mio errore prima d'avervi denigrato pubblicamente. — Lo riconoscete l'errore, dunque? — Sì, lo riconosco! Imputai a voi la colpa che, come n'ebbi la prova, era stata commessa da quello de' miei impiegati in cui riponevo intera fiducia. Appresi la verità quasi subito, ma, ahimè, già troppo tardi per richiamarvi. Poi vennero le notizie della vostra morte, e mi dolse forte che l'offesa fosse ormai irreparabile. Ma non era strano il mio abbaglio, Filippo: me lo dovete concedere. Archer mi serviva fedelmente da più di vent'anni: come avrei dubitato di lui? — Oh no, non era strano! — disse amaramente Filippo Amory. — Poichè una colpa era stata commessa, era anzi naturalissimo che l'imputaste a me. Non mi credevate capace che di male azioni. — Fui ingiusto, lo ripeto, — replicò il signor Graham tentando di riassumere la propria dignità. — Però qualche ragione ce l'avevo.... ce l'avevo. — Forse.... Cotesto ve l'accordo. — Ebbene, stringiamoci la mano, e procuriamo di mettere in oblio il passato. — Filippo non s'ostinò a rifiutare l'offerta, ma non l'accettò con troppo ardore. Il signor Graham tuttavia parve considerare bell'e fatta la pace, e con un'aria di sollievo, come se sentisse liberata la coscienza dal peso che l'aggravava da anni (perchè egli aveva una coscienza, quantunque non tenerissima), si accomodò nella sua poltrona, e pregò il figliastro di raccontargli le proprie vicende. Questi lo sodisfece, compendiosamente; e l'attenzione prestata dal patrigno al suo racconto, il vivo interessamento con cui egli s'informava dei particolari, gli provarono che in quel ventennio il rimpianto e il rimorso avevano dimolto addolcito il cuore dell'uomo superbo, per cui ognuna delle memorie evocate era la puntura d'un rimprovero. Il signor Amory non fu in grado di spiegare la notizia corsa della sua morte affermata al dottor Jeremy dal suo corrispondente da Rio. Ma da un confronto di date risultò probabile che a questi l'avesse data il negoziante per conto del quale Filippo viaggiava e che non sapendo più nulla di lui lo credeva verosimilmente vittima dell'infezione dominante nel paese basso e malsano dov'era stato mandato. Poche settimane dopo era morto egli stesso. Nè dal canto suo il reduce fu meno maravigliato di sentire che i suoi amici di Boston erano giunti a conoscere la sua fuga nel Brasile. Ma qui la spiegazione era più facile: il bastimento su cui s'era imbarcato aveva fatto diretto ritorno in quel porto, e non mancavano a bordo, tra i marinari e gli ufficiali, persone che potessero diffusamente rispondere alle inchieste, incamminate dal buon dottore mesi innanzi, le quali essendo accompagnate dall'offerta d'una generosa ricompensa, non avevano ancora cessato d'attirare l'attenzione del pubblico. Tra i molti casi strani e romanzeschi che si svolgevano, nessuno faceva sul signor Graham un'impressione così profonda come il fatto che la fanciulla educata sotto il suo tetto e divenutagli tanto cara nonostante qualche cozzo d'interessi e d'opinioni, fosse proprio la figliuola di Filippo Amory! E mentre, finito il racconto, usciva dal salotto per ritirarsi, secondo il suo costume, nella biblioteca, andava ripetendo: — Singolare coincidenza! Singolarissima! — Non appena andatosene lui, un altro uscio s'aprì pian piano, e Gertrude guardò dentro timidamente. Suo padre mosse tosto verso di lei, e, cingendole la vita con un braccio, la trasse presso ad Emilia; poi, senza parlare, le strinse entrambe in un medesimo lunghissimo amplesso. La cieca esclamò: — Oh, Filippo, dovete pure riconoscere la misericordia e l'amore di chi ci ha serbati a una felicità come questa! — Cara Emilia, — egli rispose — io sono pieno di gratitudine.... Insegnatemi voi come e dove debbo offrirne il tributo! — Le parole non potrebbero descrivere l'ora di dolce comunione che seguì fra quelle tre anime: l'estasi silenziosa di Emilia, la gioia appassionatamente espressa di Filippo, la tenera commozione di Gertrude che li contemplava con occhi splendenti d'amore e di fede. Era quasi la mezzanotte quando il signor Amory si dispose a partire. Emilia, la quale aveva sperato ch'egli sarebbe rimasto a villa Graham come in casa propria, insistette per trattenerlo, e Gertrude unì alle vive preghiere di lei quella tacita del suo sguardo. Ma egli si mantenne fermo nella propria risoluzione con una serietà che provava quanto fosse irremovibile. — Filippo, — disse infine la cieca posandogli una mano sulla spalla — voi non avete ancora perdonato a mio padre. — Ella aveva letto nel suo pensiero. Egli sussultò al suo tono di rimprovero, ma tacque. — Gli _perdonerete_, però, gli _perdonerete_, — ella proseguì con voce supplichevole. — Non è vero, caro? — Filippo esitò un poco, poi la guardò e rispose: — Sì, per amor vostro, Emilia, gli perdonerò.... col tempo. — Partito ch'egli fu, Gertrude, dopo essersi indugiata sulla soglia, finchè non vide svanire la sua figura discernibile appena al fievole lume della luna calante, rientrò nel salotto dicendo con un gran sospiro di sodisfazione: — Oh, che giornata è stata questa! — Ma subito si represse alla vista d'Emilia che, in ginocchio accanto al sofà, giunte le mani, la faccia alzata al cielo, pareva, nella sua candida veste fluente intorno a lei sul pavimento, la personificazione della purità e della preghiera. Pianamente, la fanciulla s'inginocchiò al suo fianco, le cinse un braccio al collo, e così unite offersero a Dio i ringraziamenti e le lodi che salivano dai loro cuori traboccanti di gioia e di riconoscenza. XLIX. Gentil creatura, te bambina amai, Per terra e mari sempre meco in cuor L'immagin tua, la voce tua portai. Deh, parla, o cara, e per me vivi ancor! HEMANS. True Flint era stato reverentemente sepolto dal suo vecchio amico Cooper nell'antico cimitero attiguo alla chiesa dove questi teneva l'ufficio di sagrestano: un cimitero da lungo tempo abbandonato, come mostravano le sue pietre ricoperte di musco e in parte rovesciate. Ma prima che il già cadente edifizio dovesse cedere il luogo a una bella chiesa moderna, i venerati resti dello zio True avevano trovato un più sicuro riposo. Col gusto delicato e il pietoso sentimento che ai nostri giorni fanno eleggere per le sacre dimore dei morti luoghi tra i più ameni, un delizioso boschetto su terreno ondulato, poco lontano dalla villa del signor Graham, era stato adibito a uso di camposanto rurale. E nell'angolo più tranquillo e ridente di quell'asilo di pace, il buon lampionaio dormiva il sonno eterno. Quella zolla di terra acquistata per affettuosa liberalità di Guglielmo, scelta da Gertrude e da lei abbellita di fragranti rose e d'edera sempre verde, racchiudeva adesso anche le salme del signor Cooper e della signora Sullivan. Su quelle tre tombe la fanciulla educava molti fiori inaffiati dalle sue lacrime. E segnatamente nelle ricorrenze degli anniversari, ella considerava come un pio e caro dovere l'ornarle di fresche ghirlande. Con questo fine, in un bel pomeriggio circa una settimana dopo il felice evento, ella si dirigeva dalla villa al camposanto. Recava appeso al braccio un paniere contenente la sua offerta, e affrettava il passo, tutta assorta nei suoi pensieri. Aveva lasciato suo padre con Emilia. Benchè egli le avesse espresso il desiderio di visitare una volta la tomba dello zio True, s'era astenuta dall'invitarlo ad accompagnarla vedendoli discorrere insieme con tale evidente piacere, che le sarebbe parso un peccato disturbarli. E appunto alla loro calma e serena felicità ella pensava, incominciando la sua passeggiata, e pensava anche ai vincoli d'affetto che la univano ad entrambi, all'amore d'Emilia posto a sì lunghe e dure prove, alla tenerezza che profondeva su lei in mille modi il padre ritrovato, e che, lo sentiva, ella poteva ricambiare appena con la sua devozione per tutta la vita. Ma poi, ogni poco, in mezzo alle sue riflessioni sulla dolce e fida amicizia tra lei ed Emilia, che gli anni avevano resa sempre più forte, e su quell'affezione paterna e filiale di così recente origine eppure già tanto intima, tanto viva, che il tempo nulla avrebbe potuto aggiungervi, i ricordi d'un altro amore, più antico e non meno tenero, adesso, ahimè, miseramente infranto, le si riaffacciavano a mal suo grado. Ella tentò di bandire dalla sua memoria l'infedeltà di Guglielmo, stimando che sarebbe stata ingratitudine piangere le speranze perdute, dimentica delle sante gioie che le restavano ancora. Tentò di ribadire nell'animo suo la risoluzione ultimamente presa di non pensar mai a ciò ch'era stato il più amaro dolore della sua vita passata, per consacrare tutto il rimanente dei suoi giorni alla felicità di suo padre e d'Emilia. Non ci riusciva però. Quei ricordi penosi ritornavano in folla, insistenti, soverchianti, ad onta d'ogni suo sforzo per cacciarli, e infine cessando la vana lotta ella s'abbandonò a una profonda e malinconica meditazione. Ella aveva ricevuto altre due visite di Guglielmo, dopo la prima. La seconda era stata assai simile a questa, e nell'ultima il loro impaccio era aumentato anzichè scemare. Parecchie volte, invero, il giovane aveva mostrato un'intenzione di rompere il ghiaccio, e ritornare all'usata familiarità di linguaggio e di maniere: ma tosto un rossore, o un'aria di confusione e d'angoscia, della fanciulla, lo facevano desistere da ogni tentativo di dissipare quel riserbo, quella mancanza di confidenza che mettevano tra loro una barriera. Dal canto proprio Gertrude, in tutt'e due le occasioni, s'era proposta d'accoglierlo con la franchezza e la cordialità ch'egli doveva attendersi da lei; al suo presentarsi, infatti, gli aveva sorriso affettuosamente, e porto la mano in atto così fraterno, da incoraggiarlo a trattenerla nella sua e stringerla con calore: ma parendo egli allora in procinto di parlarle a cuore aperto, di liberarsi dal peso d'un grande segreto, ella s'era bruscamente ritratta, e preso su un lavoretto pur che fosse, gli aveva rivolto mentre sembrava applicata a quello, una domanda su cose indifferenti: contegno che sbaragliava le sue idee, e lo sconcertava per tutta la durata della visita. Ora, ponderando i miseri e penosi risultati di questi loro colloqui, ella quasi desiderava ch'egli cessasse di rinnovarli, perchè credeva che i sentimenti d'entrambi sarebbero meno feriti da una totale separazione, che da incontri in cui divenivano sempre più estranei l'uno all'altra. Per quanto fosse strano, ella non aveva partecipato a Guglielmo l'evento, tanto importante per lei, della scoperta di suo padre, d'un padre che così caramente amava. Una volta s'era accinta a farlo, ma il solo pensiero di parlare all'amico dei suoi primi anni di ciò che la toccava nell'intimo dell'anima, la turbava a segno, che aveva taciuto per tema d'essere soverchiata dalla commozione, e, perduta la padronanza di sè, trascinata a tradire il suo dolore. Ma una cosa l'angosciava sopra ogni altra. Nel suo primo vano tentativo di gettare la maschera, Guglielmo aveva chiaramente accennato alla propria infelicità; e prima ch'ella trovasse modo di mutar discorso, e scansare una confidenza alla quale non si sentiva preparata, egli era giunto a manifestarle una malinconica sfiducia nell'avvenire. Ella non poteva spiegarsi cotesta confessione, se non connettendola col suo fidanzamento: e le destava il sospetto che, abbagliato dalla rara bellezza d'Isabella, egli si fosse impulsivamente avvinto ad una fanciulla che non era capace di renderlo felice. Le piccole scene di cui il caso l'aveva fatta testimone, la confermavano in questa idea, giacchè ogni volta che le era accaduto di vedere insieme i due innamorati e d'udire le loro parole, Guglielmo pareva avere qualche ragione di malcontento. — Egli l'ama, — pensava Gertrude — e anche l'onore lo impegna; ma già s'avvede della disarmonia tra le loro nature. Povero Guglielmo! È impossibile che sia felice con Isabella! — E il tenero e pietoso cuore di Gertrude non gemeva sulla propria afflizione più che sul disinganno che doveva soffrire Guglielmo se mai aveva sperato di trovar pace nell'unione con una ragazza così prepotente, stizzosa, irragionevole. Assorta in queste riflessioni, camminava con una rapidità che quasi non avvertiva, e arrivò presto ai filari di grandi pini che ombreggiavano l'entrata del camposanto: là, sostò un momento per godere la fresca brezzolina alitante fra i rami, poi passò il cancello, volse a destra, nel viale carrozzabile, e cominciò lentamente la salita. Il luogo, sempre tranquillo, era in quell'era solitario, e come segregato dal mondo: tranne i gorgheggi di qualche uccello, non un suono turbava il silenzio e la quiete. A misura che Gertrude contemplava le bellezze a lei familiari di quel sacro recesso da anni mèta favorita delle sue passeggiate, e procedendo fra le aiuole fiorite respirava l'aria aulente di soavi fragranze, e sentiva l'appello solenne della morte, l'aspirazione dell'anima verso il cielo, tutte le commozioni non armonizzanti con quella scena svanivano, ed ella non provava più se non il senso di dolce e serena malinconia destato dal pensiero di coloro che fruiscono della beata pace. Dopo un tratto di cammino lasciò la larga via che seguiva e prese per un vialetto laterale, donde poi svoltò nello stretto sentiero conducente all'angolo ombroso e remoto che, parte per la sua lontananza dai viali più frequentati, parte per la sua amenità, era stato da lei preferito. Era situato sul pendio d'un poggetto, e da un lato un alto masso lo nascondeva allo sguardo dei passanti, dall'altro una quercia annosa stendeva sopra esso i suoi rami. La semplicissima cancellata di ferro che lo circondava era rivestita dell'edera piantata da Gertrude, che s'abbarbicava in graziosi festoni fin sulla muscosa roccia, una sporgenza della quale offriva un sedile presso la tomba di True Flint. La fanciulla vi sedette come di consueto, e rimasta alcuni minuti in contemplazione, col gomito appoggiato al ginocchio e la fronte reclinata sulla mano, drizzò la snella persona, mandò un sospiro profondo, poi sollevò il coperchio del suo paniere, versò i fiori sull'erba, e con dita agili e destre cominciò a tessere una leggiadra ghirlanda di cui, finita che l'ebbe, ornò la tomba ai suoi piedi. Sparse il resto dei fiori sugli altri due tumuli, e infine, preso un sarchielletto, e infilato un paio di guanti da giardinaggio, lavorò un'ora buona intorno all'aiuola e alle piante rampicanti con cui aveva fatto un pergolato. Terminato il lavoro sedette di nuovo a piè della roccia, si tolse i guanti, rimosse dalla fronte le fitte bande lisce dei suoi capelli e si riposò, pensosa. Compivano quel giorno sette anni da che lo zio True era morto; ma Gertrude non aveva cessato di ricordare amorosamente il buon vecchio. Spesso nei suoi sogni vedeva il suo piacente sorriso, udiva le sue confortanti parole, e notte e giorno l'immagine di colui che aveva reso serena e felice la sua infanzia, l'animava ad imitarne la umile e paziente virtù. Ma mentre ella, con gli occhi fissi sul tumulo erboso che copriva la cara salma, rievocava le liete ore che essi avevano trascorse insieme, un'altra rimembranza veniva ad amareggiare quella tanto soave: la rimembranza di un terzo, la quale non poteva esserne separata, perchè quasi sempre egli partecipava alle gioie del loro focolare domestico; e seguendo il corso delle sue intime riflessioni ella esclamò quasi inconsciamente: — O zio True, voi ed io non siamo divisi, ma Guglielmo non è più con noi! — Oh, Gertrude, — disse in tono di rimprovero una voce, vicino a lei — ed è forse di Guglielmo la colpa? — Ella sussultò, si volse, e vide colui ch'era l'oggetto de' suoi pensieri, fissarla con occhi miti e tristi, cercando di leggerle nel cuore; ma senza rispondere alla sua interrogazione, si nascose la faccia tra le palme. Egli si gettò in ginocchio dinanzi alla giovanetta e come quando s'erano incontrati la prima volta nella loro fanciullezza, dolcemente le sollevò la testa china, le scostò le mani dal viso, e la costrinse a guardarlo, dicendole con accento supplichevole: — Ditemi, Gertrude, ditemi, per pietà, che mi esclude dal vostro affetto? — Ma ancora ella non trovò altra risposta che le lacrime che le scorrevano giù per le gote. — Voi mi fate soffrire crudelmente, — egli continuò con veemenza. — Che cosa ho fatto, io, perchè m'abbiate tolto così la vostra amicizia? Perchè mi guardate con tale freddezza.... e perfino rifuggite da me? — egli soggiunse, poichè Gertrude, non potendo sostenere il suo sguardo fermo e indagatore, volgeva gli occhi altrove e cercava di liberare le mani dalla sua stretta. — Io non sono fredda.... non ho mai inteso d'esser fredda verso di voi, — ella mormorò con voce mezzo soffocata dalla commozione. — Oh, Gertrude, — egli riprese staccandosi da lei — vedo che avete totalmente cessato d'amarmi! Io tremai al primo vedervi, ritrovandovi così bella, così amabile, e amata da tutti, e temetti che qualche fortunato rivale avesse rapito il vostro cuore a quegli che lo possedeva fin da fanciullo. Ma neanche allora pensai che non mi riconoscereste _almeno_ i diritti d'un _fratello_ alla vostra affezione. — Ma no, ma no, Guglielmo, — ella disse vivamente. — Non v'adirate.... Io sarò sempre per voi una sorella! — Egli sorrise d'un sorriso doloroso. — Avevo ragione dunque? Temevate ch'io chiedessi troppo, e per scoraggiarmi stimaste bene non concedermi nulla. Sia pur così. Forse la vostra prudenza è stata per il meglio; ma.... oh, Gertrude, mi avete spezzato il cuore! — Guglielmo! — ella gridò, turbatissima. — Non sentite quanto stranamente suoni cotesto linguaggio in bocca vostra? — Perchè stranamente? — replicò egli, quasi offeso. — È forse tanto strano ch'io v'ami? Non ho io per anni alimentato il ricordo del nostro antico affetto, non ho sempre riguardato la nostra riunione come l'unica mia speranza di felicità? Non mi ha quest'amorosa speranza sostenuto e confortato nelle mie fatiche, e fatto pregiare la vita nonostante la perdita de' miei cari? E vorrete, Gertrude, qui in cospetto dei freddi tumuli dove giacciono sepolti quelli che soli, oltre voi, amavo sulla terra, schiacciare e distruggere senza compassione questo solitario, ma pur.... — Guglielmo, — ella lo interruppe, ridivenuta calma, e parlando in tono benevolo, ma serio — vi pare onorevole parlarmi così? Voi dimenticate.... — No, non dimentico nulla! — egli esclamò appassionatamente. — So che non ho diritto di molestarvi, di tormentarvi, e non lo farò più. Ma Gertrude, _sorella_ Gertrude (giacchè il sogno d'un più stretto vincolo tra noi è svanito), non vogliate biasimarmi, nè vi maravigli troppo, se non mi sento ancora capace di fare la mia parte di fratello. Io non posso rimanere vicino a voi, non posso rassegnarmi ad essere pazientemente il testimonio della felicità d'un altro. Ma i miei servigi, il mio tempo, la mia vita sono ai vostri comandi, e nel mio esilio non cesserò mai di pregare Iddio che lo sposo da voi scelto, chiunque egli sia, si mostri degno della mia nobile Gertrude e l'ami, s'è possibile, quanto io l'amo! — Che follia è cotesta, Guglielmo? — disse la fanciulla. — Io non sono fidanzata a nessuno; ma che debbo pensare del tradimento vostro verso Isabella? — Isabella? — gridò il giovane, rizzandosi, come afferrato da una nuova idea. — È dunque arrivata fino a voi quella sciocca diceria? E voi avete potuto prestarvi fede, per quanto evidentemente falsa? — Falsa? — fece Gertrude sollevando le palpebre fino allora abbassate, e gettando a Guglielmo, attraverso le lunghe ciglia umide di pianto, un profondo sguardo scrutatore. Egli lo sostenne, calmo, a capo eretto, e rispose senza esitare, con un tono di maraviglia e di rimprovero: — Falsa, sì! È mai possibile che, conoscendo tanto bene me e lei, ne abbiate dubitato pur un momento? — Ahimè, — ella gridò — devo non credere alla testimonianza de' miei occhi e de' miei orecchi? Se mi fondassi su qualche altra meno sicura, potrei pensare che fui ingannata. Non tentate di nascondermi una verità ch'io sono in grado d'affermare. Trattatemi con franchezza. Oso dirlo, Guglielmo, la merito da voi, la merito! — Franchezza, Gertrude? Ma siete voi stessa la misteriosa! S'io potessi mostrarvi a nudo l'anima mia, mi sarebbe agevole persuadervi della sua fedeltà, piena ed intera fedeltà, al suo primo amore. Quanto ad Isabella Clinton, se alludete a lei, i vostri occhi ed i vostri orecchi v'hanno ingannata anch'essi, se.... — Ella l'interruppe: — Ah, Guglielmo, Guglielmo! Avete così presto scordato la vostra devozione alla bella di Saratoga? La vostra riluttanza a lasciarla allontanarsi da voi per qualche giorno? Il gran dolore che vi cagionava la sola idea del suo pur breve viaggio, e l'amorosa impazienza che vi faceva parere quei pochi giorni un'eternità? — Basta, basta! — esclamò il giovane, nella cui mente balenava la luce che doveva dissipare il mistero. — Ditemi invece dove avete risaputo coteste cose. — Sul luogo stesso dove le diceste e le faceste. Il nostro primo incontro non avvenne già nel salotto del signor Graham. A Saratoga in un viale del passeggio, e in riva al lago, ad Albany sul piroscafo, io vi vidi insieme con la signorina Clinton, e vi riconobbi, non riconosciuta da voi. Là, le vostre parole m'accertarono di quel fatto che riferitomi da altri avrei posto in dubbio. — La luce del sole mattutino non è più serena e ridente di quella della riaccesa speranza che illuminava adesso la faccia di Guglielmo. — Ascoltatemi, Gertrude, — egli disse con un tono di fervore quasi solenne — e credete che dinanzi alla tomba di mia madre, alla presenza — (e in atto reverente alzava gli occhi al cielo) — del puro spirito che m'insegnò l'amore della verità, parlo con quella sincerità e quel candore che si convengono parlando agli angeli. Io non starò a discutere se abbiate udito proprio esattamente le parole di protesta e di preghiera da me rivolte alla signorina Clinton sul proposito del suo viaggio, e le espressioni della mia impazienza per il suo ritorno. Non m'indugerò nemmeno a ricercare dove fosse l'oggetto dei miei pensieri nel momento in cui, causa i felici mutamenti in esso operati dal tempo, sfuggiva al mio sguardo bramoso. Lasciate ch'io prima mi discolpi dall'imputazione che grava sopra di me; poi avremo agio di venire alle altre spiegazioni. «È verissimo ch'io mi dolsi forte della improvvisa partenza d'Isabella per Nuova York, sotto un pretesto che non avrebbe dovuto avere alcun peso per lei. È verissimo ch'io tentai di far valere ogni miglior argomento per dissuaderla da quel capriccio, e, riuscita vana la mia eloquenza, cercai in tutte le maniere d'indurla almeno a ritornare il più presto possibile. E ciò non perchè la compagnia di quell'egoista fosse comunque necessaria alla mia felicità (al contrario anzi), ma perchè l'ottimo suo padre, il quale l'adora a segno che nessun sacrificio gli parrebbe eccessivo al fine di procurare un piacere a quell'unica sua figliuola, giaceva ammalato, lottando tra la vita e la morte, in un albergo d'una affollata città d'acque alla moda, dove gli mancavano comodi e quiete, ed era da lei abbandonato, con un'indifferenza che mi disgustava, alle cure d'una infermiera mercenaria e d'un giovanotto di buona volontà ma inesperto, come me. «Che nell'assenza della figlia ingrata l'eternità potesse mettere un suggello a quella separazione, era un pensiero ch'io, indignatissimo, fui sul punto di manifestare: ma mi repressi, non volendo intromettermi tropp'oltre in una cosa che infine non mi riguardava, nè destare in Isabella apprensioni forse inutili. Se un sentimento egoistico entrava nella mia somma impazienza di vederla ritornata dove il suo dovere la chiamava, era unicamente il desiderio di essere dispensato dall'obbligo di supplirla al letto del mio amico infermo, e poter correre a colei dalla quale speravo un'accoglienza non impari all'ardore del mio affetto.... Figuratevi dunque se quella ch'io ricevetti agghiacciò il mio cuore palpitante.... — Ma adesso comprendete le ragioni della mia freddezza, — disse Gertrude volgendo a lui la faccia inondata di lacrime dove un sorriso di gioia splendeva come un'iride tra la pioggia estiva. — Adesso sapete perchè non osavo lasciar parlare l'anima mia.... — Sicchè, quest'era tutto? — gridò egli giubilante. — Voi siete libera, e posso amarvi sempre? — Libera da ogni legame, sì, caro Guglielmo, salvo quello con cui m'avete avvinta a voi fin da bambina.... — E stretti cuore a cuore, si dissero tutto l'amor loro, quell'amore che, nato nell'infanzia, cresciuto nella giovinezza, alimentato e rafforzato nella lontananza, reso perfetto dal dolore, doveva alfine allietare e santificare tutti i giorni futuri della loro vita. — Ma, Gertrudina, — disse Guglielmo, quando, ritornati all'antica confidenza, sedettero l'uno accanto all'altra e presero a discorrere con piena libertà del passato — come hai potuto pensare pur un momento che Isabella Clinton avesse per me un prestigio che le facesse usurpar il tuo posto nel mio affetto? Io, almeno, non t'ho fatto un simile torto: se mi sono creduto soppiantato da un altro, m'immaginavo però ch'egli fosse un eroe di virtù così splendide da essere incomparabili. — E chi potrebbe compararsi ad Isabella? — domandò Gertrude. — Ti maravigli ch'io dubitassi della tua fedeltà, considerando la sua bellezza, la sua eleganza, la sua cospicua condizione sociale, e l'occasione che tu avevi d'apprezzare tutti questi vantaggi? — Ma che valore hanno, per chi la conosca come la conosciamo noi due? Un piglio altezzoso e sprezzante non distrugge forse l'effetto della bellezza? Può l'eleganza scusare la scortesia, o la nobiltà della nascita supplire alle deficienze naturali? Quanto al denaro, l'ho io mai bramato se non per provvedere al benessere tuo.... e al loro? — E così dicendo accennava le tombe della madre e del nonno. — Oh, mio Guglielmo, tu sei tanto disinteressato! — Non in questo caso. Possedesse Isabella la bellezza di Venere e la sapienza di Minerva, non mi avrebbe fatto dimenticare che poca felicità è da sperarsi con una fanciulla tutta dedita alla ricerca dei piaceri mondani, e dimentica degli affetti e dei doveri più sacri. Potevo io vederla fuggire dalla camera del padre malato per correre a divertirsi tra gli omaggi d'una folla oziosa, o, se condotta riluttante al suo letto, scansare le fatiche delle cure e delle veglie che il suo stato richiedeva, e illudermi che una donna tale fosse atta a divenire la benedizione e l'ornamento del mio focolare domestico? Come non avrei paragonato la sua colpevole negligenza, la sua mal dissimulata petulanza, la leggerezza del suo spirito irriverente, con la dolce e amorosa devozione, la santa pazienza, la profonda e fervida pietà della mia Gertrude? Io avrei tradito me stesso più ancora che te, carissima, se Isabella, col carattere che m'ha mostrato, avesse fatto venir meno la mia ammirazione e il mio amore per colei ch'è un modello di tutte le virtù femminili. E quando guardo la piccola compagna d'un tempo, di cui serbavo un così tenero ricordo, trasformata in una donna avvenente e graziosa le cui dolci attrattive sono coronate da una bellezza quasi inesprimibile, e penso che il suo cuore è sempre mio, oh, la mia felicità mi sembra troppo, troppo grande. Mi fosse concesso di farne partecipi quelli che tanto ci amarono tutt'e due! — E chi può dire che non ne fossero partecipi? Che lo spirito dello zio True non fosse presente e gioisse dell'adempimento di tutte le sue più rosee profezie? Che il vecchio nonno non assistesse invisibile a quella scena e vedesse come i suoi dubbi e i suoi timori si mutassero in liete certezze? Che l'anima della madre gentile la quale, ancor vivente, aveva presagito quell'incontro in un sogno estatico, non benedicesse la coppia felice? Ella, che coi precetti inculcati al suo figliuolo fin dalla più tenera età, con gli ammonimenti datigli nella giovinezza, e la vigile guida del suo spirito disincarnato lo aveva armato per la lotta contro le tentazioni, sostenuto nelle sue prove, e restituito trionfante alla dolce amica della sua infanzia, per certo aleggiava sui due virtuosi amanti, godendo nella realtà la gioia pregustata in quella mirifica visione ove le era stato così vivamente dipinto il connubio tra il suo Guglielmo strappato dall'amorosa sua cura ai pericoli che lo insidiavano, e la figliuola del suo cuore resasi degna, per la perseveranza nelle vie del bene, d'una così alta e perfetta ricompensa. L. Di purissima luce un raggio splende Delle tenebre nostre nell'orrore Quando per sempre ogni altra luce è spenta: Celeste raggio acceso dal Signore. Le ombre s'allungavano, volgendo già il sole al tramonto, quando Guglielmo e Gertrude si levarono da sedere per lasciare il camposanto. Uscirono dal cancello opposto a quello donde era entrata la fanciulla, perchè egli aveva lasciato là il calessino e il cavallo con cui era venuto. Il legno si trovava sempre al suo posto; ma l'animale era riuscito a sciogliersi dalle briglie che lo legavano e, scostatosi dalla strada, brucava allegramente l'erba, guardando ogni tanto intorno e annusando l'aria. Pareva che non vedendo ritornare il padrone si disponesse a svignarsela da solo. Ma chiamato dal giovane, venne a lui docilmente, e riattaccato al calesse, dove Gertrude prese posto, partì di buona lena, quasi fosse contento di correre dopo una lunga sosta, e in meno di mezz'oretta condusse i due fidanzati a villa Graham. Non appena giunti in vista della casa, Gertrude, la quale conosceva bene le consuetudini della famiglia, capì che avveniva qualche cosa di straordinario. Si notava, dietro i cristalli, un muover di lumi in varie direzioni; l'ingresso principale dell'atrio era spalancato; perfino, cosa da lei mai veduta, un gran fuoco ardeva nel caminetto della sala d'onore, come si poteva discernere oltre le finestre; infine, quando furono più vicini, s'avvide che il portico era pieno di bauli e valigie. Questi segni annunziavano l'arrivo della signora Graham, e probabilmente d'alcuni ospiti: ella lo congetturò subito; e certo l'improvvisa comparsa di quella chiassosa e irrequieta persona proprio nel momento in cui ella desiderava ardentemente profittare dell'opportunità di presentar Guglielmo a suo padre e ad Emilia, l'avrebbe contrariata, se non fosse stata troppo felice perchè una tale inezia potesse turbare la sua gioia. Forse quel pensiero le si presentò alla mente, ma svanì subito. — Prendiamo per il viale, — ella disse — così Giorgio ci vedrà, e verrà a condurre il tuo cavallo in scuderia. Entreremo dalla porticina laterale. — No, — rispose Guglielmo — non posso entrare ora: la casa è, pare, piena di gente, e inoltre ho un fissato in città, alle otto. Poco ci manca, e ho promesso d'essere puntuale; — soggiunse guardando l'orologio — non credevo che fosse tanto tardi. Ma ti rivedrò domani, non è vero? — Gertrude gli rivolse uno sguardo ch'esprimeva il suo pieno consenso, e con una lunga stretta di mano e un amoroso sorriso si separarono. Appena aperto il cancello, Gertrude si trovò tra le braccia di Fanny Bruce, la quale aveva impazientemente aspettato la partenza di Guglielmo per impadronirsi di lei, e con molte lacrime e molti baci congratularsi e ringraziare Dio di rivederla uscita a salvamento da quell'orribile piroscafo; giacchè le due giovani s'incontravano ora per la prima volta dopo la catastrofe. — È arrivata la signora Graham? — domandò Gertrude, quando, calmate le effusioni di tenerezza, s'avviarono insieme verso la casa. — Sì, sì! — rispose Fanny. — La signora Graham, e Rina, e Isabella, e una bambinetta, e un signore malato.... il signor Clinton, credo.... e un altro signore. Ma questo è andato via. — Chi è andato via? — Un signore alto, d'aspetto nobile, con grandi occhi neri, bello in viso, bianco di capelli come se fosse vecchio: ma non è. — E dite ch'è partito? — Sì; non era venuto con gli altri. L'avevo trovato già qui.... Sarà un'oretta che se n'è andato. L'ho sentito dire alla signorina Emilia che aveva un fissato con un amico a Boston, ma che forse ritornerebbe stasera. Ne avrei piacere: dovreste conoscerlo, signorina Gertrude! — Erano giunte all'ingresso della casa, e Gertrude udiva già la voce sonora della signora Graham, proveniente dal salotto a destra. Ella discorreva con suo marito ed Emilia, e nell'atto che la giovane entrò stava dicendo: — Oh, è la cosa più terribile ch'io abbia mai udito in vita mia! E pensare, Emilia, che voi eravate a bordo.... E la nostra Isabella! Povera figliuola, non ha ricuperato ancora i suoi bei colori, dopo quello spavento! E anche Gertrude Flint.... A proposito, dov'è?... Dicono che quella ragazza s'è comportata mirabilmente.... — Si voltò, e vistala sulla soglia le corse incontro e la baciò con cordialità sincera. La signora Graham, sebbene un po' grossolana e impetuosa, non era in fondo priva di buoni sentimenti che si mostravano se un'occasione li destava. L'entrata delle due fanciulle avendo interrotto i commenti e le esclamazioni della loquace signora sulla catastrofe, ella finalmente pensò alla necessità di togliersi il cappello, il velo, lo scialle, la sciarpa, dei quali due ultimi indumenti s'era liberata a mezzo lasciandoli strascicare sul pavimento. — Basta! — ella esclamò. — Sarà meglio ch'io segua l'esempio delle ragazze e vada a levarmi di dosso questa roba impolverata. C'è da rimaner sepolti nella polvere, in treno! Ma è sempre meno male che avventurarsi su uno di quegli orribili piroscafi come mio fratello Clinton pazzamente ci proponeva. Dov'è Brigida? Bisogna che venga a raccattare un po' le cose mie.... — V'aiuterò io, — disse Gertrude pigliando in una mano una sacca da viaggio, gettandosi sul braccio la sciarpa, caduta a terra, e seguendo da presso la signora a fine di reggere l'estremità strascicante del pesantissimo sciallone che le scivolava giù dalle spalle. Ma sul primo pianerottolo venne fermata da Rina Ray che la strinse in un caldo amplesso; e fu costretta a deporre il suo carico per rispondere alle carezze e ai baci dell'amica. In capo alla scala, poi, incontrò Isabella avvolta in un accappatoio, con una gran brocca in mano, e un viso quanto mai acerbo. Tuttavia posò la brocca per terra e salutò Gertrude di buona grazia. — Sono ben lieta di vedervi in vita, — ella disse — benchè io non possa guardarvi senza rabbrividire.... la vostra vista mi ricorda tanto quel giorno terribile in cui abbiamo corso un mortale pericolo! Sorte, essere state salvate mentre tanti affogarono! Mi maraviglio sempre, Gertrude, della vostra calma in quei momenti.... Io avevo perduto la testa, e non avrei saputo che fare, se voi non vi foste trovata lì per suggerirmelo. Oh, Dio, non parliamone più.... è una cosa a cui non devo pensare! — Con un brivido e una scrollatina di spalle lasciò cadere il discorso, e si mise a chiamare la cugina con tono stizzoso: — Rina, o dove ti sei cacciata? Credevo che tu pensassi a farci portare l'acqua! — Rina, che in obbedienza a un clamoroso appello della zia era corsa in furia nella camera di questa con la sacca da viaggio che Gertrude aveva lasciata sul pianerottolo, arrivò, trafelata, domandando: — Non è ancora venuto nessuno? Ho pur sonato due volte! — No, nessuno! — rispose Isabella. — E vorrei pure lavarmi il viso e arricciarmi i capelli, s'è possibile, prima del tè. — Datemi la brocca, — disse Gertrude. — Io scendo, e vi manderò Gianna con l'acqua. — Grazie, — fece Bella a mezza voce. Rina s'oppose: — Ma no, ma no, Gertrude, vo io. — Gertrude però scendeva già le scale. Ella trovò la signora Ellis turbata e in grande perplessità. — Ah, povera me, sono rimasta di sasso! — esclamò la governante. — Piombano qui, senza una parola d'avviso, cinque persone.... e io non ho nulla in casa da servire col tè! Non un dolce fino, non quattro fette di prosciutto! E s'intende, saranno affamati, dopo un così lungo viaggio, e pretenderanno qualche cosa di buono.... — Oh, se sono affamati, signora Ellis, mangeranno volentieri anche il manzo salato, i biscotti freschi e la focaccia! Se volete darmi le chiavi caverò fuori le conserve, e l'argenteria di gala, e vedrò che la tavola sia apparecchiata per benino. — Nulla pesava a Gertrude, quella sera. E dov'ella metteva le mani, tutto andava a maraviglia. Gianna, animata dal suo esempio, fece prodigi d'attività; e quando la tavola del tè, veramente appetitosa, fu pronta, la signora Ellis, girato lo sguardo intorno e visto che di meglio non poteva desiderare, fissò Gertrude negli occhi raggianti, osservò le sue gote invermigliate, il suo fulgido sorriso, ed esclamò nella propria ignoranza: — Dio buono, Gertrude, si direbbe che siete esultante di gioia nel vedere di ritorno quelle signore! — Pochi minuti innanzi che il tè fosse servito, mentre Gertrude sceglieva i tovagliolini nell'armadio dello stanzino delle porcellane, Rina Ray fece capolino all'uscio, poi entrò conducendo per mano una bimba lindamente vestita a bruno. La sua faccia era tutta ridente, ma quando volle parlare ruppe in lacrime, e gettando le braccia al collo dell'amica le mormorò all'orecchio: — O Gertrude, sono tanto felice! Ho bisogno di dirvelo.... — Felice? — disse Gertrude. — Ma allora non dovete piangere! — Rina rise, poi pianse di nuovo, poi riprese a ridere: e negl'intervalli raccontò ch'era fidanzata, da una settimana, a un ottimo giovane, e che la fanciulletta che aveva per mano era una sua nipote, orfana, a lui cara come una figliuola. — E la mia felicità, — ella continuò — la devo a voi! — A me? — fece Gertrude stupita. — Sì! Io ero tanto vana e sciocca, lo sapete, e mi piacevano persone che non meritavano alcuna stima, e non mi curavo che del mio piacere, senza pensare al bene altrui; se voi non m'aveste insegnato ad essere qualche cosa di meglio, se non m'aveste dato un esempio che mi sono sforzata di seguire, egli non m'avrebbe mai guardata, e men che meno amata, nè creduta capace d'essere una buona mamma per la piccola Graziella, — e chinava uno sguardo di tenerezza sulla bambina che si stringeva affettuosamente a lei. — È un pastore, Gertrude, e tanto buono! Pensate un po', una creatura puerile come son io, diventar la moglie d'un ecclesiastico! — La simpatia che Rina era venuta a cercare non le fu negata, e Gertrude, la quale anch'essa aveva gli occhi lucenti di lacrime, rassicurò che partecipava di cuore alla sua gioia. Intanto Graziella, pian piano, insinuò la manina libera nella mano di questa, che guardandola per la prima volta con attenzione riconobbe in lei la piccina di cui aveva preso le difese contro i suoi persecutori nel salone dell'albergo di Saratoga. Rina fu lieta della coincidenza, e Gertrude osservando quanto migliorato fosse l'aspetto della bambina nelle vesti e nella persona, che adesso mostravano un'amorosa cura femminile, si sentì persuasa che il giovane ecclesiastico aveva fatto una buona scelta. La fidanzata avrebbe voluto descriverle il suo futuro marito, ma appunto furono chiamate al tè, ed ella dovette rimettere a più tardi ciò che le restava a dire. Il gaio salotto del signor Graham non era mai stato gaio come quella sera. Il tempo era piuttosto mite, ma il fuoco, acceso per il signor Clinton, non riscaldava eccessivamente la stanza. Tuttavia aveva cacciato la gioventù in un angolo lontano dal caminetto, nelle cui vicinanze erano rimasti soltanto la signora Graham con Emilia sul sofà, e il signor Graham col signor Clinton in due poltrone di faccia a loro. Il padrone di casa poteva discorrere così a suo agio con l'ospite su gravi soggetti d'affari, mentre la loquace sua consorte intratteneva Emilia e sè stessa, ricapitolando con brio i suoi viaggi e le sue avventure. Le ragazze stavano intorno a una tavola ove si trovava una voluminosa cartella piena di bellissime incisioni rappresentanti vedute d'Europa, recente acquisto del signor Graham. Gertrude e Rina voltavano accuratamente i fogli; la piccola Graziella, seduta sulle ginocchia della futura zietta, e Fanny, china sulla spalla della sua amica, ascoltavano attente le loro spiegazioni. Di quando in quando anche Isabella, la sola delle persone presenti che andasse girellando oziosamente per la stanza, si accostava alla tavola e riconoscendo qualcuno dei luoghi visitati, dava in esclamazioni come queste: — O guarda, Rina, c'è il negozio dove staccai quel taglio di seta celeste!... Ah, ecco la cascata che visitammo con gli ufficiali russi! — Mentre la compagnia era in tal guisa occupata, l'uscio s'aperse ed entrarono il signor Amory e Guglielmo Sullivan, senza farsi annunziare. Se anche fossero comparsi separatamente avrebbero destato una viva curiosità nella maggior parte degli astanti; ma capitando insieme, con l'aria di due intrinseci amici, essi eccitarono una maraviglia che apparve manifesta nei volti delle ragazze. I padroni di casa però avevano troppo uso del mondo per tradire questo sentimento altrimenti che scambiandosi una rapida occhiata, e, rizzatisi, accolsero i due visitatori con la debita gentilezza. Il signor Graham salutò semplicemente con un cenno del capo Filippo Amory che aveva già veduto la mattina, e lo presentò al signor Clinton, senza menzionare però la loro parentela; e stava per presentarlo alla moglie, quando questa lo dispensò dalla cerimonia dichiarando di non aver dimenticato la conoscenza fatta a Baden-Baden. Guglielmo era conosciuto da tutti fuorchè da Emilia: ma avvenne che la presentazione fosse dimenticata. Egli gettò a Gertrude uno sguardo d'intelligenza, accettando la seggiola offertagli da Isabella, la quale si mise a conversare con lui, mentre sua zia s'impadroniva di Filippo. — Signorina Gertrude, — disse sottovoce Fanny Bruce non appena tutti furono tranquillamente seduti — quello lì è il signore che v'accompagnava in calesse, stasera. L'ho ravvisato subito. — E vedendo la giovane arrossire e farle cenno di tacere, guardandosi intorno, ansiosa come se temesse che qualcuno avesse udito, soggiunse: — È Guglielmo, non è vero?... Il signor Sullivan? — La povera Gertrude era di più in più impacciata, ma la maliziosa Fanny continuò a tormentarla con le sue domande; e Isabella, ingelosita, notando che gli occhi di Guglielmo si volgevano spesso verso la tavola, a un tratto la fissò con uno sguardo scrutatore che finì di confonderla. Ma il caso le venne in aiuto sotto la forma di Gianna, che portava il giornale, e non poteva aprire l'uscio contro il quale stava la sua seggiola: il che le diede l'occasione di alzarsi, aprire, ricevere il foglio dalla ragazza, e insieme un'imbasciata di poca importanza. Mentre era occupata così, il signor Clinton si rizzò dalla sua poltrona, e, attraversando il salotto col suo debole passo d'infermo, andò a domandare qualche cosa a Guglielmo, sottovoce. Questi rispose affermativamente. Allora egli prese Isabella per mano, e avvicinatosi a Filippo Amory esclamò con profonda commozione: — Signore, apprendo dal signor Sullivan che voi siete quegli a cui debbo la vita della mia figliuola: e veniamo a ringraziarvi! — Filippo balzò in piedi e gettò un braccio intorno alla vita di Gertrude che passava portando il giornale al signor Graham e non aveva udito le parole del padre di Bella. Ella corrispose alla carezza alzando verso di lui la faccia raggiante d'un dolce sorriso. Egli disse: — Questa, signor Clinton, è la persona che l'ha salvata. Io, è vero, la portai a nuoto alla riva, ma credevo che fosse la figliuola mia adoratissima, la quale, senza ch'io potessi immaginarmelo, aveva abbandonato volontariamente ad un'altra l'unica sua speranza di salvezza. — Da par vostra, Gertrude! Da par vostra! — gridarono a un tempo Rina e Fanny, penetrando a forza nel piccolo circolo strettosi intorno all'eroica fanciulla. — Mia nobile creatura! — mormorò Emilia che appoggiata al braccio di Filippo si chinò a prenderle la mano e se la premette alle labbra. — Oh, Gertrude! — esclamò Isabella i cui occhi s'empirono di lacrime. — Io non sapevo.... non avrei mai pensato.... — La voce sonora della signora Graham venne a interromperla. — Come, la vostra figliuola?... — Sì, restituita per grazia di Dio ad un padre non degno di tanto bene! — rispose il signor Amory con reverenza. — E.... tu non hai segreti qui, mio tesoro? — fece, volgendosi a Gertrude. Ella guardò Guglielmo che stava adesso al suo fianco, e scosse il capo. — E, — proseguì egli allora — da lui concessa con gioia ad uno sposo che la merita per il suo lungo e fedele amore! Così dicendo pose la mano di sua figlia in quella di Guglielmo Sullivan. Seguì un momento di silenzio. La solennità di quell'atto aveva commosso tutti i presenti. Poi il signor Graham venne innanzi, strinse cordialmente la mano ai fidanzati, e, passandosi rapidamente una manica sugli occhi, andò, secondo il suo costume, a rifugiarsi nella biblioteca. — Gertrude, — disse Fanny tirandola per la gonnella — siete promessa sposa, dunque? promessa a Guglielmo? — Sì, — ella rispose, sperando che, appagata la sua curiosità, starebbe zitta. Ma Fanny si mise a ballare per il salotto, lanciando le braccia in alto e gridando:. — Oh, che piacere! Oh, che piacere! — Ho tanto piacere anch'io! — uscì a dire la piccola Graziella, con tono gratulatorio, sporgendo verso Gertrude la boccuccia per un bacio. — Ed _io_ — esclamò il signor Clinton posando le mani su quelle dei due giovani ch'erano sempre unite — godo che la generosa fanciulla ch'io non potrò mai abbastanza ringraziare nè mai ripagare della sua rara abnegazione, abbia avuto una degna ricompensa nell'amore d'uno dei pochi uomini a cui un padre amoroso possa con piena sicurezza affidare la felicità della sua creatura. — Esausto dalla soverchia eccitazione, egli d'improvviso si sentì venir meno, e fu accompagnato nella sua camera da Guglielmo il quale, appena che il suo vecchio amico si fu riavuto, ritornò a ricevere la benedizione d'Emilia sulle sue nuove speranze, e ad apprendere la storia del parentado di Gertrude e della sua scoperta, che lo colmò di maraviglia e di gioia. Infatti, sebbene la persona con cui aveva quella sera un fissato a Boston, fosse precisamente il signor Amory, ed egli avesse confidato a questi, nel corso del loro colloquio, come ogni dubbio e ogni malinteso si fosse dissipato tra lui e la fanciulla amata, il segreto che doveva così lietamente stupirlo non gli era stato rivelato se non nel salotto del signor Graham. A dir vero gli era parsa un po' bizzarra la proposta fattagli con insistenza dal suo amico d'accompagnarlo, lì per lì, in una visita alla villa: ma aveva poi concluso che il desiderio di riannodare la sua conoscenza con la famiglia, essendo stato presentato alla signora Graham a Baden-Baden, e forse anche un po' la curiosità di vedere da presso quella Gertrude Flint, da lui tanto esaltatagli, fossero i soli motivi del suo capriccio. E riandando le memorie del passato, esultando nella felicità presente, accarezzando le speranze del futuro, la serata trascorse rapidamente. . . . . . . . — Vieni qui, Gertrude, — disse Guglielmo — vieni alla finestra. Guarda che bella notte! — La notte invero era bellissima. Fredda certo, perchè ogni cosa che aveva un orlo s'ornava d'una frangia di brillanti diacciuoli, e il suolo era coperto d'un candido tappeto di neve che i passanti calpestavano frettolosi, stimolati dall'aria frizzante. Le stelle scintillavano come non scintillano che in puro cielo invernale; la luna sorgeva sopra una vecchia casa dalle mura brunastre, la stessa casa, all'angolo della strada, che Guglielmo e Gertrude fanciulli vedevano dalla loro soglia quando, sedutivi insieme, spiavano lo spuntare dell'astro d'argento, di dietro alla nera massa velata d'ombra. Appoggiata alla spalla del suo sposo, la giovane stette a guardare, intenta come allora, finchè l'intero disco non apparve splendente nel cupo azzurro immacolato. Nessuno dei due parlava, ma i loro cuori palpitavano all'unisono, nel ricordo dei giorni passati. In quella, l'accenditore del gas passò velocemente ed accese, come per contatto elettrico, le lucide fiamme dei numerosi lampioni che fiancheggiavano i marciapiedi; in un attimo era già fuor di veduta. Gertrude sospirò. — La bisogna non era tanto agevole, per il povero zio True! — ella disse. — Ma si sono fatti grandi progressi da quel tempo. — Sì, affemmia! — rispose Guglielmo volgendo uno sguardo di compiacenza in giro all'elegante salotto bene illuminato e bene riscaldato della loro casa coniugale, e posandolo infine sul viso radioso della sposa adorata. — Progressi che allora sarebbero parsi sogni inconseguibili. Vorrei che il buon vecchio fosse qui con noi a goderne i vantaggi! — Una lacrima inumidì gli occhi di Gertrude; ma premendo il braccio del marito, ella additò reverentemente una fulgidissima stella uscente in quel momento da una tenue nuvoletta inargentata che la aveva fino allora nascosta; la stella in cui s'era sempre immaginata di discernere il buon sorriso del suo padre adottivo. — Caro zio True! — esclamò commossa. — La sua lampada, Guglielmo, arde sempre lassù in cielo, e la sua viva luce non è ancor spenta sulla terra! — . . . . . . . In una bella città, a trenta miglia circa da Boston, sulla riva d'uno di quei laghetti circondati d'ameni colli, che sarebbero celebrati dai poeti in un paese meno ricco di questi incantevoli specchi d'acque limpide e azzurre, sorgeva una villa gentilizia d'antica ma solida costruzione. Era appartenuta agli avi paterni di Filippo Amory, ed era stata la prima dimora e l'unica eredità di suo padre che la teneva carissima. Solo l'acuto sprone della povertà aveva potuto spingerlo a venderla, con grande riluttanza. Riscattare quell'avito dominio, restaurare e introdurre giudiziosamente le comodità moderne nella vecchia casa, infertilire e abbellire i terreni, era il sogno di Filippo. Le sue ricchezze adesso gli permettevano d'avverarlo. Egli non perdette tempo, e la primavera che seguì il ritorno in patria dell'esule da lunghi anni errabondo, vide l'opera quasi compiuta. Intanto Gertrude era andata sposa a Guglielmo, e i Graham erano tornati in città, dove passando Isabella l'inverno con sua zia, la vivace signora dava gran ricevimenti in suo onore, mentre andava già meditando di rimodernare la villa del marito, per la ventura stagione. Ed Emilia, la quale aveva perduto il suo maggior tesoro, e si trovava costretta a vivere in un ambiente così poco in armonia col suo spirito non mormorava; ma contenta della sua sorte non chiedeva nè sognava di mutarla, finchè un giorno Filippo venne a lei, le prese dolcemente la mano, e le disse: — Questa casa non fa per voi, Emilia. Voi qui, fra tanta gente, siete sola come son solo io nella mia romita villa. Noi due ci siamo amati; da fanciulli fummo un'anima, e un cuore nella nostra giovinezza, e tali siamo sempre. Perchè dovremmo rimanere ancora divisi? Vostro padre non s'opporrà più ai nostri desiderî; e voi, mia amatissima, vorrete forse negarvi di allietare la vita solitaria del vostro canuto innamorato? — Ma ella scosse il capo e rispose col suo sorriso ineffabilmente soave: — Oh, Filippo, non ne parlate! Pensate alla mia debole salute, e alla mia cecità! — La vostra salute, cara Emilia, è migliorata dimolto: già le rose rifioriscono sulle vostre gote; quanto alla vostra cecità, sarà per me un conforto il farvela dimenticare con la mia devozione. Oh, non mi rimandate deluso! Un fato crudele ci divise per anni; non vogliate, adesso che possiamo essere ricongiunti, prolungare questa dolorosa separazione! Unirmi al mio primo amore è la mia più dolce, la mia unica speranza di felicità sulla terra! — Ed ella non ritrasse la mano ch'egli teneva, ma porse anche l'altra alla sua fervida stretta. — Avevo sempre pensato, caro Filippo, che innanzi quest'ora sarei stata chiamata nella mia patria celeste, e anche adesso sento che la mia dimora quaggiù non sarà lunga: ma finchè dura, o più o meno, sia secondo il vostro desiderio. Non sia mai che una mia parola divida due cuori così profondamente uniti. La vostra casa sarà la mia. — E quando l'erba rinverdiva, e i fiori sbocciavano diffondendo nell'aria le loro fragranze, e gli uccelli gorgheggiavano fra i rami, e le acque azzurre del lago s'increspavano all'alitare di zeffiri primaverili, Emilia venne a vivere sul pendio del colle con Filippo. E la signora Ellis la seguì per assumere il governo della nuova casa, e di tutte le attinenze, specie della latteria, che divenne il suo orgoglio. Ella aveva implorato a calde lacrime, e agevolmente ottenuto, il perdono di Filippo a cui sapeva adesso d'aver fatto più male che non volesse: e con la sincerità della sua volontaria confessione, con l'umiltà del suo pentimento, aveva provato che non era priva di cuore. La signora Prime sollecitò anch'essa, con vive istanze, il posto di cuoca alla villa; ma Emilia amorevolmente la dissuase. — Non possiamo lasciare tutte il babbo, — disse scusandosi. — Chi gli arrostirebbe appuntino i suoi crostini, chi gli accenderebbe a modo suo il fuoco, nella biblioteca? — La buona vecchia comprese che aveva ragione, e si rassegnò. E l'esule che ha tanto errato e tanto sofferto, è finalmente felice? Sì; ma la sua pace non deriva dalla sua bella casa, dai suoi vasti possessi, dalla fama onorevole che egli gode fra gli uomini, e neppure dall'amore della gentile Emilia. Questi sono beni preziosi, ed egli sa apprezzarli; ma la sua anima duramente esperta dei dolori del mondo, ha trovato un'àncora più salda, un più sicuro rifugio dalla tempesta, perchè grazie al divino potere d'una fede viva ha toccato il porto della salvezza eterna. Le preghiere della vergine cieca sono state esaudite, l'ultima e la migliore delle sue pie opere è compiuta; dal suo spirito illuminato un raggio è sceso nell'anima ottenebrata del suo diletto, e quand'anche Dio la chiamasse a sè, egli sarebbe ormai capace di seguire le sue orme, di continuare le sue carità, di fare il bene sulla terra finchè venga per lui l'ora di raggiungerla in cielo. Quando i due sposi, nelle sere estive, escono a respirare l'aria fresca e fragrante della campagna, e godere l'incanto dei crepuscoli sereni, ascoltando i cantori alati gorgheggianti tra le fronde, tutte le cose parlano d'una pace santa al rinato cuore di colui che per tanto tempo visse agitato ed afflitto. Quando il sole muore in mezzo alla pompa del tramonto, e a grado a grado la luce dell'occaso si estingue, quando spuntano le stelle e la luna s'inargenta, nella solenne bellezza della notte gli astri parlano parole d'alto insegnamento alla sua anima risvegliata, e la gran voce della natura, e la tenue voce sommessa che mormora in lui, dicono dolcemente, piamente: «Il sole non sarà più il tuo lume diurno, nè più splenderà per te il chiarore soave della luna: ma la luce eterna ti verrà dal Signore, e il tuo Dio sarà la tua gloria. «Il tuo sole non tramonterà più, nè la tua luna si ritirerà: perchè il Signore sarà la tua luce perpetua, e i giorni del tuo cordoglio saranno finiti.» FINE. NOTE: [1] Centesimo di dollaro. [2] Nome della nave che portò i primi coloni inglesi. [3] Esq. abbreviazione di «Esquire» titolo medio tra signore e cavaliere. [4] Colle del Tramonto. [5] La moda, l'elegante vita mondana. [6] La legge di Lynch autorizzava tutti i presenti a fustigare i ladri còlti sul fatto. Il supplizio era spesso mortale. Nota del Trascrittore Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione minimi errori tipografici. *** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK IL LAMPIONAIO *** Updated editions will replace the previous one—the old editions will be renamed. Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright law means that no one owns a United States copyright in these works, so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the United States without permission and without paying copyright royalties. Special rules, set forth in the General Terms of Use part of this license, apply to copying and distributing Project Gutenberg™ electronic works to protect the PROJECT GUTENBERG™ concept and trademark. 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START: FULL LICENSE THE FULL PROJECT GUTENBERG LICENSE PLEASE READ THIS BEFORE YOU DISTRIBUTE OR USE THIS WORK To protect the Project Gutenberg™ mission of promoting the free distribution of electronic works, by using or distributing this work (or any other work associated in any way with the phrase “Project Gutenberg”), you agree to comply with all the terms of the Full Project Gutenberg™ License available with this file or online at www.gutenberg.org/license. Section 1. General Terms of Use and Redistributing Project Gutenberg™ electronic works 1.A. By reading or using any part of this Project Gutenberg™ electronic work, you indicate that you have read, understand, agree to and accept all the terms of this license and intellectual property (trademark/copyright) agreement. If you do not agree to abide by all the terms of this agreement, you must cease using and return or destroy all copies of Project Gutenberg™ electronic works in your possession. 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Except for the limited right of replacement or refund set forth in paragraph 1.F.3, this work is provided to you ‘AS-IS’, WITH NO OTHER WARRANTIES OF ANY KIND, EXPRESS OR IMPLIED, INCLUDING BUT NOT LIMITED TO WARRANTIES OF MERCHANTABILITY OR FITNESS FOR ANY PURPOSE. 1.F.5. Some states do not allow disclaimers of certain implied warranties or the exclusion or limitation of certain types of damages. If any disclaimer or limitation set forth in this agreement violates the law of the state applicable to this agreement, the agreement shall be interpreted to make the maximum disclaimer or limitation permitted by the applicable state law. The invalidity or unenforceability of any provision of this agreement shall not void the remaining provisions. 1.F.6. 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It exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations from people in all walks of life. Volunteers and financial support to provide volunteers with the assistance they need are critical to reaching Project Gutenberg™’s goals and ensuring that the Project Gutenberg™ collection will remain freely available for generations to come. In 2001, the Project Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure and permanent future for Project Gutenberg™ and future generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see Sections 3 and 4 and the Foundation information page at www.gutenberg.org. Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non-profit 501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal Revenue Service. The Foundation’s EIN or federal tax identification number is 64-6221541. Contributions to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by U.S. federal laws and your state’s laws. The Foundation’s business office is located at 809 North 1500 West, Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up to date contact information can be found at the Foundation’s website and official page at www.gutenberg.org/contact Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation Project Gutenberg™ depends upon and cannot survive without widespread public support and donations to carry out its mission of increasing the number of public domain and licensed works that can be freely distributed in machine-readable form accessible by the widest array of equipment including outdated equipment. Many small donations ($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt status with the IRS. The Foundation is committed to complying with the laws regulating charities and charitable donations in all 50 states of the United States. Compliance requirements are not uniform and it takes a considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up with these requirements. We do not solicit donations in locations where we have not received written confirmation of compliance. To SEND DONATIONS or determine the status of compliance for any particular state visit www.gutenberg.org/donate. While we cannot and do not solicit contributions from states where we have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition against accepting unsolicited donations from donors in such states who approach us with offers to donate. 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